INDICE n.41

afghanistan: il vietnam di obama
Cronaca di un processo per "terrorismo islamico"
ANCHE IN ITALIA IL MILITARISMO COMINCIA NELLE SCUOLE
Berlino: nessun ufficiale nelle scuole
AGGIORNAMENTO SULLE LOTTE ALL'INTERNO DEI CIE ITALIANI
Denunciamo le colpe pubbliche della morte di Sher Khan
Lettera dal carcere di san vittore (mi)
Gabriel Pombo Da Silva sulla morte di Diana...
sciopero della fame dei prigionieri rivoluzionari
Lettera dal carcere di Poggioreale (NA)
lettera dal carcere di nuoro
Lettera dal carcere di Carinola
Comunicato dal carcere di Verona-Montorio
Sul processo di Roma contro alcuni compagni in carcere
Euskal Herria: arrestati 36 giovani militanti di Segi
Aggiornamento sui prigionieri anarchici in Grecia
dicembre 2009: un anno dalla rivolta greca
Roma: Solidarietà con Francesca, ex scuola 8 marzo
Lettera aperta di Laura sugli arresti domiciliari di Juri
Lettera dal carcere di Firenze-Sollicciano
Lettera di uno degli arrestati a Milano per rapina di fotocopie
Bologna: Processo per i fatti di Parma
Di lavoro si muore perché di precarietà si vive!
Ravenna: condannati gli attivisti della Rete per la sicurezza sul lavoro!
Parma: SRU, COMUNICATO DALL'OCCUPAZIONE
Occupazione di alcuni spazi dell'Università di Genova
Prove di forza: Sui recenti sgomberi a Torino
Torino: corteo contro sgomberi e repressione
napoli: inaccettabile equiparazione con i fascisti
Bologna: Corteo antifascista, arrestati 3 compagni
Pisa: Nuova occupazione di Prendocasa in città
Sulla manifestazione antirazzista a Coccaglio (Bs) del 28/11
FRANCIA: CONTINUA E SI ESTENDE LO SCIOPERO DEI SANS PAPIERS
AGILE, ex EUTELIA: COME LICENZIARE 9.000 PERSONE SENZA CHE NESSUNO SE NE ACCORGA!
Arese: La Fiat conferma la deportazione dei lavoratori e delle produzioni
INVITO DAGLI OPERAI DELLA INNSE


Afghanistan: il Vietnam di Obama
Il 20 agosto si sono tenute le elezioni presidenziali in Afghanistan: esse dovevano rappresentare per le potenze occidentali la glorificazione dei risultati di una guerra imperialista che le vede impegnate nell'area dall'ottobre 2001 per garantirsi il controllo di un paese strategicamente importante, perché attraverso di esso si snoderanno gasdotti e oleodotti dallAsia centrale all'Oceano Pacifico, quindi necessario per il controllo geopolitico dell'intero continente asiatico.
Le elezioni, da un lato, avrebbero dovuto sancire la legittimità dell'occupazione agli occhi dell'opinione pubblica occidentale, sempre meno convinta delle operazioni di guerra e del governo fantoccio installato dall'occupante Nato, indipendentemente dal nome che lo avrebbe rappresentato.
Dall'altro lato, esse avrebbero dovuto segnare una tappa di avvicinamento sulla strada della realizzazione del progetto USA del "grande Medioriente" che ha due obiettivi principali: assicurare il controllo agli Stati Uniti delle fonti e delle vie di trasporto energetiche e realizzare un unico asse di dominio coloniale dal Maghreb all'Afghanistan e Pakistan.
L'importanza della fiera elettorale per gli imperialisti é evidente dato il dispiegarnento di forze militari nel periodo antecedente e durante il loro svolgimento (solo l'Inghilterra ha inviato altri 700 soldati per l'occasione a cui probabilmente se ne aggiungeranno altri 1.500 nel prossirno futuro) e per l'escalation di violenza, stragi, bombardamenti nei villaggi afghani e nel vicino Pakistan perpetrati dalle forze ISAF (international Security Assistance Force della NATO) in questi mesi.
Contemporaneamente si sta svolgenclo loperazione "Khanjar" (colpo di spada), firmata dal "democratico" Obama, che ha visto 4.000 marines, coadiuvati dall'esercito afghano, impegnati in un attacco, definito il più vasto dai tempi del Vietnam, nella zona di Helmand, nel Sud dell'Afghanistan, preceduta da un'offensiva delle forze britanniche sempre nella provincia di Helmand e Kandahar.
Se ci si sofferma sui tre protagonisti di questa campagna elettorale, appare chiaro quanto sia una farsa e che a tirare le fila sia sempre l'occupante. Se il corrotto affarista Karzai é ben conosciuto per essere l'uomo scelto dallo Zio Sam, i suoi sfidanti non sono certo diversi. Basta pensare che Ashraf Ghani é un ex analista della Banca Mondiale, scartato nel 2006 come candidato alla carica di Segretario Generale delle Nazioni Unite e consigliere dello stesso Karzai durante il governo provvisorio dal 2002 al 2004. Mentre Abdullah, già ministro degli esteri in esilio durante il governo talebano, fu, dopo il 2001, confermato ministro degli esteri fino al 2006, quando venne rimosso da Karzai, insieme ad altri, in Una fase di rimescolamento clientelare delle cariche.
Ma il teatrino elettorale, con gli immancabili dati gonfiati rispetto alla reale affluenza alle urne e ai brogli denunciati da più voci, non ha retto ed è stato piuttosto il detonatore che ha fatto scoppiare le contraddizioni che rendono la situazione afghana ben lontana dall'essere "pacificata".
Se queste contraddizioni sono emerse in maniera tanto evidente è grazie alla Resistenza del popolo afghano che, con la parola d'ordine del boicottaggio delle elezioni, ha saputo additare con chiarezza quali interessi si muovono dietro le fanfare propagandistiche e, in tutto questo periodo, non ha lasciato tregua alle forze di occupazione e ai loro servi, con attacchi e azioni continue.
Del resto la tattica delle elezioni, che dovrebbero dare una verniciatura democratica ai massacri e agli interessi economici e politici dell'imperialismo occidentale, è pratica dalla storia lunga: basta pensare alle analoghe elezioni in Iraq e a quelle tenute durante la guerra in Vietnam a supporto dei fantocci fascisti di Saigon. Va anche sottolineato che il tanto decantato rispetto per le elezioni è stato improvvisamente dimenticato quando si trattava delle elezioni in Palestina che hanno visto la sconfitta della politica corrotta e filo imperialista di Fatah e la vittoria delle forze riconosciute dal popolo perché impegnate nella Resistenza contro I'occupazione sionista.
La realtà è che la coraggiosa Resistenza del popolo afghano sta mettenclo a dura prova la sofisticata macchina da guerra imperialista che, con i cingolati sempre più immersi nel fango, è costretta a destinare sempre nuove risorse al già imponente dispiegamento di forze nell'area. Attualmente sul territorio, infatti, sono presenti 61.130 soldati sotto il comando ISAF (di cui 28.850 USA) e 17.100 soldati sono impegnati nella missione Enduring Freedom a guida americana operante nell'Est del paese al confine con il Pakistan, paese in cui il conflitto è destinato ad estendersi con conseguente aumento delle truppe. Obama ha già dichiarato che saranno inviati altri 21.000 militari e ha già sollecitato gli alleati a rendere la loro collaborazione più consistente, appello a cui il governo italiano ha risposto prontamente.
Il progetto del comandante americano della Nato McChrystal è quello di rafforzare ulteriormente la presenza militare entro il 2012 passando a 160.000 soldati, incrementando anche l'esercito locale che dovrebbe passare dagli 88.000 ai 250.000 soldati. Tutto questo dimostra la Sostanziale continuità della politica estera a stelle e strisce: che sia incarnata da Bush o da Obama, risponde sempre agli stessi interessi.

Estratto dall'opuscolo "Guerra e resistenza. Sul fronte esterno e sul fronte interno",
settembre 2009, del collettivo Tazebao di Padova
Per richiederne copia: COLLETTIVO TAZEBAO
PRESSO ASS. CULTURALE NICOLA PASIAN, VIA VARESE 10 - 35100 PADOVA

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In attesa dell’annuncio da parte dell’amministrazione Obama del nuovo piano di escalation militare USA e NATO nello scacchiere afgano, giunge notizia di una più che sospetta triangolazione di sistemi d’arma tra Italia, Stati Uniti ed Afghanistan.
Il comandante della coalizione alleata nel paese mediorientale, generale Stanley McChrystal ha confermato all’agenzia Reuters la consegna alle forze armate afgane di due aerei da trasporto C-27A “Spartan” in dotazione dell’US Air Force, mentre altri 18 velivoli dello stesso modello saranno consegnati entro il 2011.
[...] Nel 2005, Alenia-Finmeccanica, congiuntamente ai colossi statunitensi L-3 Communications Integrated Systems, Boeing, Rolls Royce, Honeywell e Dowty, ha costituito la joint venture Gmas - Global Military Aircraft Systems, candidandosi come principale contractor del programma “Joint Cargo Aircraft” per l’ammodernamento dei mezzi di trasporto militare USA.
[...] Sembra poi che la produzione dei C-27J “ghanesi” verrebbe sub-appaltata all’Alenia Aeronautica. Chissà che commesse e fatturati non crescano allora secondo le stime auspicate dai manager Finmeccanica al tempo in cui il governo di Roma si piegava agli scellerati programmi USA di militarizzazione del territorio italiano: oltre al “Dal Molin” di Vicenza, il potenziamento delle infrastrutture di Aviano, Camp Darby, Napoli, Sigonella e Niscemi.

Redazioneonline - Osservatorio Internazionale
Fonte: megachipdue.info

Cronaca di un processo per "terrorismo islamico"
Il 3 aprile di quest’anno è cominciato uno dei tanti processi in Italia contro l’islam militante: quello contro 26 persone, delle quali 3 latitanti, arrestate nell’estate del 2008 per "associazione sovversiva con finalità di terrorismo internazionale" e “falsificazione di documenti”. Il procedimento avanti alla prima sezione della Corte di Assise di Milano costituisce e conferma l’inconsistenza probatoria delle inchieste connesse al cosiddetto terrorismo internazionale di matrice islamica.
Ciò che emerge, per altro verso, è il contenuto “ideologico” sotteso, più che in altri procedimenti analoghi, della costruzione accusatoria. Viene indagata indagata la componente “internazionalista” del radicalismo islamico, quella attiva sul fronte del sostegno alla guerriglia in Iraq e in Afghanistan. Non esiste, processualmente, nessun elemento di violenza espressa e neppure progettata nei paesi occidentali, ma è ricercato il riferimento a rapporti con la resistenza islamica nel mondo. Gli imputati, d’altro canto, sembrano dar conto di una posizione “più politica” che religiosa.
Il processo aperto nei loro confronti é dettato dalla più feroce prevenzione, basta assistere anche ad una sola udienza per percepirne la violenta e devastante portata terrorista. La vita quotidiana di persone in vario modo all'opposizione dei governi di tanti paesi arabi venduti all'imperialismo, viene osservata con le lenti di ingrandimento dalle polizie d'Europa e degli USA, in combinazione con quelle degli stati arabi. La lotta di queste persone riguarda da vicino tutti noi, comunisti, anarchici, proletari, proletarie combattive-i, poiché è diretta contro il nemico comune che saccheggia e uccide, per esempio in Irak e in Afghanistan, e che sfrutta, incarcera e uccide anche qui in Italia.
ercare un'aperta e franca discussione con i prigionieri arabi chiusi a Macomer, Benevento e in ogni altro carcere, in particolare nei CIE e nei giudiziari delle grandi metropoli, in cui la presenza di persone immigrate è elevatissima, per unirci nella lotta. Questo non solo e tanto per vincere il comune nemico, ma per costruire finalmente rapporti di reciproco aiuto, di rispetto e solidarietà internazionale fra le popolazioni del Mediterraneo e oltre.

Il processo in corso a Milano nasce su un'inchiesta iniziata dai Reparti Operativi Speciali dei carabinieri nel 2001 in Liguria (Imperia) - ovviamente sospinta dall'attacco alle "torri gemelle" compiuto a New York l'11 settembre di quell'anno - poi fagocitata dalla procura di Milano, in quanto le persone processate in gran parte vivevano in questa città.
Con il fascicolo processuale sono stati risucchiati nella metropoli lombarda, e così promossi, tanto il pm titolare dell'inchiesta (Piacente) che il colonnello dei carabinieri (Sandulli), che l'ha diretta sul campo, passato da Genova a dirigere i ROS di Milano.
Fino ad agosto il processo è stato assorbito dalle eccezioni della difesa e dall'esposizione d'accusa del pm; alla ripresa, in settembre, 4 udienze sono state dedicate alla lettura-commento del verbale d'arresto, compito affidato al colonnello Sandulli.
Adesso, fine novembre, il processo è entrato nella fase del "controesame" del principale investigatore, effettuato dal collegio di avvocati e avvocate della difesa.
Le linee direttrici dell'inchiesta prendono le mosse dalle prime inchieste in Italia (in particolare in Lombardia), contro l'"ambiente islamico": Bazar, Haidora, El Tahqiq, Rinascita sono alcune di quelle citate in aula.
La circostanza di essere già stati indagati e incarcerati all'epoca costituisce in buona sostanza l'elemento fondante dell'accusa poiché é l'unico fatto certo, o quantomeno il più importante, a ri-prova dell'identità criminale del reo.
Alle intercettazioni telefoniche ed ambientali - come in ogni processo per 270 che si rispetti - sta il compito di provare il contatto, la relazione, l'adesione con l' "associazione terroristica" (Ennhada, Fratelli Musulmani, GIA, Al Qaeda sono alcune di quelle citate in aula) o, più frequentemente, con un presunto appartenente ad essa, che è già stato indagato, incarcerato o soltanto "attenzionato" o che figura nelle liste di "radicali islamici" redatte in sede ONU (black list).
Il malloppo dell'accusa si basa sulla criminalizzazione dell' "attività ideologico religiosa" ed è il risultato della stretta collaborazione fra i servizi segreti, di controspionaggio ecc. d'Italia, Algeria, Tunisia, Egitto, e dei paesi europei, Inghilterra, Francia, RFT, Spagna… dove risiedono come rifugiate o semplicemente immigrate tutte le persone indagate e arrestate. I luoghi controllati sono le moschee (dalle carte dell'accusa tornano i nomi della moschea viale Jenner a Milano), chi vi si affaccia, le loro attività ma anche la scuola di via Quaranta, sempre a Milano.
L’ "attività informativa-investigativa" è soprattutto diretta contro le persone segnalate ed inseguite dai servizi segreti degli stati arabi, contro presunti militanti di alcune organizzazioni o movimenti, ritenuti o meno “fuorilegge”, come il movimento Fratelli Musulmani in Egitto, che in parlamento è presente con 88 deputati o come il GIA in Algeria.
Lo stato italiano conduce inchieste e processi come questo anche basandosi su "fonti aperte" (Internet) per dare corpo al discorso storico, che proprio perché adoperato per tenere in galera le persone inquisite, finisce con l'essere una raccolta di brandelli d'accusa farsesca eppure tragica perché condizione dell'arresto e anche della condanna.
Inoltre, l’attenzione investigativa sia rispetto a Enhada, organizzazione politica tunisina criminalizzata nella terra di origine ma non in Europa, che nei confronti di chi è stato condannato dal tribunale militare di Tunisi rivela una possibile ulteriore merce di scambio degli "accordi bilaterali di cooperazione" con i paesi extra-europei. Sul principio dell'indagine, incalzato da avvocate-i, il colonnello é stato chiaro: noi abbiamo preso atto delle inchieste fatte in madrepatria, ci siamo consultati sul personaggio... l'appartenenza ad organizzazioni come Ennhada è un indizio di attività terroristica...
Obiettivo dell'accusa è mostrare i collegamenti di queste organizzazioni fra loro e con Al Qaida, cioè con la guerra in Afghanistan, con gli "attacchi terroristici" compiuti o possibili in Europa.
Così in nome della "guerra comune contro il terrorismo islamico", stati imperialisti e stati arabi dipendenti cercano di liquidare nei paesi arabi ogni opposizione, ogni resistenza alla guerra imperialista e ai suoi saccheggi, vanificando il principio di innocenza o di colpa fondato sui dati di fatto ed esaltando invece il processo indiziario, l'inquisizione al fine di appioppare il profilo politico del nemico. La criminalizzazione dell'identità poltica apre le porte a particolari condizioni carcerarie, di tortura, isolamento e annientamento all’interno di circuiti e sezioni speciali.
Tutti gli accusati sono segnati dal "divieto di incontro con altri che non siano come loro", cioè altri "terroristi islamici", disposto dal DAP e quindi isolati da circa un anno nelle speciali sezioni per prigionieri "islamici" delle carceri di Benevento, Macomer (Nuoro) e di Asti, nel caso debbano salire al nord per processi o altro, in caso di isolamento individuale è utilizzato anche il carcere di Voghera. Il divieto di incontro con altre categorie di prigionieri è lo stesso che regola il funzionamento di altre sezioni speciali, quelle per soli comunisti a Siano e Carinola, per sole comuniste a Latina, per soli anarchici ad Alessandria, sulla base delle lettere circolari del DAP dell'aprile 2009 e del gennaio 2007 (sulla strutturazione dei circuiti speciali di "Alta Sicurezza").
Contro questa situazione le persone gettate in carcere lottano. Soprattutto a Macomer - dai prigionieri giustamente definita "piccola Guantanamo" - dove nel luglio-agosto scorsi si sono rivoltati a soprusi e angherie, così in ottobre ad Asti.
Lo stato italiano insomma la sua parte la fa, con particolare cura inquisitoria e sadica. Questo agire il colonnello lo ha letto e argomentato. Viene preso di mira, ad esempio, un rifugiato della Tunisia, i suoi contatti "fisici", "telefonici", saltuari o "molto frequenti" che siano, gli interventi nella moschea, il denaro ricevuto-scambiato, le abitazioni frequentate, biglietti aerei… Da tutta questa raccolta di dati che cosa è emerso in tanti anni di indagini?: niente di "penalmente rilevante", come dice il colonnello stesso che si affretta ad aggiungere assieme al pm "però rilevante da un punto di vista preventivo-investigativo".
Tuttavia 18 persone sono state messe in galera "preventivamente" anche perché si sono aiutate nel darsi ospitalità o nel contribuire anche con soldi al sostegno di chi si trova in carcere, anche nel caso di parenti stretti. L’invio di alcuni libri in carcere è stata ad esempio considerata attività di proselitismo in carcere nonostante tale materiale non sia stato nemmeno fatto oggetto di sequestro. Molti dei colloqui in carcere sono stati intercettati e registrati.
In questo senso all'accusa non importa proprio nulla - e talvolta non è nemmeno a conoscenza - se le persone incarcerate che ritiene essere i "capi", come Imed Zarkaoui per esempio, siano state assolte e scarcerate in Francia, dove sembra che si sia concentrata l'intera attività investigativa (sul "gruppo di Menton" e quello “di Parigi”).
L'asservimento agli USA è ancora più chiaro se pensiamo anche alle extraordinary rendition (la più nota è la deportazione-ratto dell'"imam di viale Jenner" a Milano) o al recente trasferimento in Italia di tre prigionieri di Guantanamo, deciso nell'incontro del 17 giugno 2009 negli USA fra Obama e Berlusconi.
(Dice il ministro degli Esteri Franco Frattini che la consegna al nostro Paese di prigionieri detenuti a Guantanamo è "decisione presa". La lista si riduce a quattro tunisini. Riadh Nasri, 43 anni; Moez Fezzani, 40 anni; Abdul Bin Mohammed Bin Ourgy; Adel Ben Mabrouk, 39 anni. Tutti, prima di rendersi irreperibili tra il 2000 e il 2001, hanno soggiornato in Italia. Tutti, in procedimenti diversi e in città diverse (nel caso di Nasri e Fezzani, Bologna e Milano), sono accusati di cosiddetti "reati mezzo" (falsificazione di documenti, il più comune) che ne hanno consentito l' incriminazione quali asseriti fiancheggiatori di "organizzazioni Salafite". Tutti sono inseguiti da provvedimenti di cattura. Tre di loro, (Nasri, Fezzani, Ourgy) sono stati oggetto di richieste di estradizione della procura di Milano. Da La Repubblica del 17 giugno 2009)

Milano, novembre 2009

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Lettera dal carcere di Voghera
Prima di tutto voglio ringraziare tutte le persone che difendono gli sfortunati come noi. Voglio ringraziarvi per il vostro coraggio, per i vostri veri sentimenti umani. Non dimenticherò mai i sorrisi che ho visto in tribunale quella mattina. Ho sentito come ci fosse un’altra famiglia che mi vuole bene. Davvero non mi sento solo, almeno fino adesso.
Per quel che riguarda le mie condizioni nel carcere di Voghera non va bene, anzi, mi trovo in condizioni disumane! Sì, è la verità, sono in isolamento in una cella molto fredda, dove non c’è l’acqua calda, la doccia me la fanno fare solo la sera tardi. La doccia è scrostata, umida e sporca. Il reparto dove sono è composto da sole tre celle di isolamento e di punizione. Ho chiesto al vice-comandante perché sono spostato lì. Mi ha detto: qui comandiamo noi e ti mettiamo dove vogliamo.
La mattina dello spostamento è stata difficile per me, avevo intorno più di 6 guardie perché ho rifiutato di rientrare in cella, dopo aver visto la cella così sporca, piena di muffa sul muro. Loro mi hanno detto che sarei rimasto lì solo per qualche momento e che mi avrebbero poi riportato nella cella dove mi trovavo prima. Ma loro non sono uomini di parola, ancora oggi mi trovo nella stessa merda, sto aspettando che arrivi la grazia del papa!!! per uscire da questa condizione disumana …
Grazie a dio in cella ho dei fari che mi permettono di scrivere un libro cui sto lavorando. Il suo titolo è “Ricordi di un turista bianco”, me ne servo per descrivere i maltrattamenti. Se dio vuole… mi rimarrà il vostro affetto, un bel ricordo, soprattutto il sorriso.
Il mio piccolo regalo a tutti voi:
Una volta siamo due…
una volta sono solo…
una volta sono complice…
una volta non c’è nessuno…
Un bacio di speranza a tutti

Dridi Sabri
Voghera di merda, 2 novembre 2009


ANCHE IN ITALIA IL MILITARISMO COMINCIA NELLE SCUOLE
In italia è nato nel 2007 il progetto "la pace si fa a scuola".
A discapito del nome, si tratta di un accordo tra i ministeri della difesa e dell'istruzione che abbozza una forma di collaborazione tra scuola ed esercito, attraverso diverse tipologie di intervento. Tale accordo è stato proposto nel 2006, e ha trovato le sue prime linee guida nell'ottobre 2007 alla "marcia per la pace" Perugia - Assisi.
L'aspetto più interessante e pericoloso è il Training Day, un progetto applicato già da tre anni, per ora solo in Lombardia. Infatti, attraverso un protocollo firmato dal comando militare lombardo e dall'ufficio scolastico regionale, si è cominciato a introdurre le truppe della morte nelle scuole, facendo passare i loro corsi come educazione allo sport e alla disciplina.
Questi corsi prevedono una collaborazione dei vari corpi militari dello stato, tra cui croce rossa, protezione civile, associazioni d'arma e altri, riuscendo in tale modo a coniugare lezioni di diritto e prove di tiro al poligono, lezioni sulle pratiche di guerra e sui diritti umani, addestramento militare ed educazione fisica.
Il progetto è così articolato: una scuola funge da "polo" per tutti gli istituti della provincia, e qui si svolgono le ore di lezione.
Le altre scuole, grazie all'impegno di alcuni professori, propongono il corso ai propri studenti. Gli interessati si iscrivono, divisi in squadre da quattro elementi ciascuna.
Oltre a ciò, il comando dell'esercito si impegna ad avere la disponibilità di un poligono, per svolgere una giornata di addestramento al tiro.
Al termine del corso si mette in scena una vera esercitazione militare a punti, dove le squadre di studenti affrontano prove di varia natura (dall'orienteering al riconoscimento di mezzi militari, dal primo soccorso alla cultura militare, dalla topografia all'uso di armi di precisione).
Quest'anno la collaborazione tra scuola ed esercito ha fatto un passo avanti non indifferente. Se, infatti, fino all'anno scorso le spese venivano sostenute dai vari corpi dell'arma, quest'anno, attraverso l'ennesimo accordo "Le Parti si impegnano a collaborare, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali e connesse dotazioni finanziarie".
Mentre si licenziano precari e si tagliano risorse, i soldi della scuola vanno nei progetti per l'esercito. Con oltre 8.000 militari schierati nelle cosiddette "missioni di pace" e più di 3.000 nelle città italiane, è naturale che l'esercito avverta l'esigenza di reclutare nuove leve, anche per implementare la repressione e per "far girare" l'economia.
In questo periodo di crisi, infatti, sta aumentando la necessità delle aziende di investire in nuovi paesi, e la guerra è senz'altro il modo migliore. Non è un caso che, dopo aver partecipato alla guerra in Iraq, l'Italia organizzi, da oltre tre anni, l'"ItalianExpo" a Erbil, nel Kurdistan iracheno. L'"ItalianExpo" è una fiera di sole aziende italiane che, attraverso l'amicizia con le istituzioni irachene (ricordiamo che ora l'Iraq è in mano ad una classe politica fantoccio voluta dagli occupanti anche se spacciata come elettiva), vogliono approfittare delle possibilità date dal mercato estero. È facile immaginare che queste imprese, dopo i loschi affari che stanno facendo in Iraq, appoggeranno certamente la prossima guerra che l'imperialismo occidentale deciderà di scatenare.
Il progetto "La pace si fa a scuola", inondato di parole forti e sinistrorse come pace, umanitarismo, scuola, ha mostrato fin da subito il suo vero volto.
Infatti le linee guida palesano la volontà di trattare le tematiche dei "cari" militari italiani in missione di pace, parlando, tra l'altro, della missione in Libano come modello di risoluzione delle controversie internazionali.
Con questo progetto la scuola italiana si mostra sempre più guerrafondaia e votata al nazionalismo ad ogni costo.
Gli stessi militari che vengono ad insegnarci la "pace" sono quelli che invadono, uccidono, bombardano, torturano e violentano intere popolazioni. Ormai noti a tutti sono infatti le distruzioni di scuole ed ospedali, i bombardamenti con armi chimiche, le torture e le umiliazioni ai danni dei prigionieri.
Per questo, senza alcuna compassione per i militari caduti, è necessario cacciare l'esercito, come ogni forza armata, dalle scuole e dalle strade, impedire che possa arruolare ed operare nei luoghi della nostra quotidianità, per restituire tali luoghi alla libera aggregazione, lontana dalle logiche di sopraffazione ed autorità proprie del militarismo.

ANARCHICI LECCHESI


Berlino: nessun ufficiale nelle scuole
Mercoledì 25 novembre 2009 due giovani ufficiali della Bundeswehr sono entrati nel ginnasio Paulsen situato nel quartiere Steglitz (Berlino). Il Gruppo Lotta di Classe sud- ovest ha immediatamente lanciato l'appello per la protesta. Il Partito della Sinistra ha criticato l'iniziativa della Bundeswehr. La polizia era presente, ciò nonostante è stato esposto all'ingresso della scuola uno striscione critico nei confronti della Bundeswehr "Che cosa cerca la Bundeswehr in Afghanistan?". Il ginnasio Paulsen e la sua direttrice, Ulrike von Rinsum [del partito cristiano-democratico, CDU, oggi al potere, ndc], che pilota simili manifestazioni magnificanti la guerra, deve essere tenuto d'occhio.
Di seguito l'appello lanciato dal Gruppo Lotta di classe.

Protesta contro la Bundeswehr
Oggi 2 tenenti della Bundeswehr vogliono entrare come referenti nel ginnasio Paulsen di Steglitz, per tenere una conferenza sul tema "Che cosa ha perso la Bundeswehr in Afghanistan?". Oltre a ciò i referenti vogliono "informare" gli studenti sulle offerte di formazione della Bundeswehr, cioè, fanno propaganda per la Bundeswehr e di conseguenza per la guerra. Studentesse e studenti del 12° e del 13° anno sono state-i costrette-i ad assistere a questa manifestazione.
Noi, gruppo di studenti e studentesse liberi dalle gerarchie e autonomi troviamo ignobile aver dato qui una piattaforma alla Bundeswehr. I soldati non sono un referente normale. Essi esistono per cadere morti e per uccidere a loro volta. Se i 2 tenenti parlano dell'impiego della Bundeswehr in Afghanistan, allora la tendenza è chiara, parleranno della "necessità dell'intervento" e di un "intervento di pace". La realtà è completamente diversa, la guerra e l'assassinio in Afghanistan sono all'ordine del giorno.
Perciò vi esortiamo a protestare insieme a noi e a disturbare attivamente questa manifestazione. Mai più il ritorno della guerra! Mai più il ritorno del fascismo!

Gruppo Lotta di Classe sud-ovest.

Da notizie apparse su diversi giornali berlinesi si apprende che la Bundeswehr dispone di 94 giovani tenenti inviati con cura nelle scuole allo scopo di fare pubblicità alle forze armate. In tutto il paese di queste manifestazioni, nel 2008, ne sono state tenute circa 6.500. Lo stipendio d'ingresso di un tenente, cioè di giovani reclute appena uscite dai licei, è di 1.500 euro.

da de.indymedia.org/2009/11267421.shtml


Denunciamo le colpe pubbliche della morte di Sher Khan
L'associazione Dhuumcatu invita tutti i compagni, la stampa, le televisioni a diffondere la notizia di questa morte, denunciando che Sher Khan non è morto per il freddo. Della sua morte è responsabile l'amministrazione cittadina. A causarla la pressione pscicologica che quest'uomo ha dovuto subire e che è culminata con i 40 giorni di detenzione a Ponte Galeria senza il trattamento medico a che da anni Sher Khan seguiva. Le Autorità, quando venerdì scorso lo ha rilasciato da Ponte Galeria, lo ha fatto solo per non essere responasibile di questo assassinio.
Accusiamo il Comune di Roma di aver perseguitato Sher Khan, prima sgomberandolo da via Salaria e poi lasciadolo in strada a morire, quel Comune di Roma che manda i vigili per sgomberare i giardini di Piazza Vittorio, ma che non si accorge che una persona giace a terra in una notte freddissima.
Siamo convinti che il Governo e l'amministrazione locale ha aiutato Sher Khan a morire, perché lui non ha mai abbassato la testa davanti alle discriminazione e al razzismo. Facciamo un appello a tutti, in particolare alle amministrazioni perché partecipino alle spese del funerale in quanto la comunità pakistana ha deciso di mandare la salma in Pakistan ai suoi familiari. La salma sarà trasferita da Roma a Milano e da Milano in aero in Pakistan.
Appuntamento giovedì 17-12-2009 alle ore 17.00 a Piazza Vittorio
manifestazione e saluto alla salam di Sher Khan

da www.dhuumcatu.com


AGGIORNAMENTO SULLE LOTTE ALL'INTERNO DEI CIE ITALIANI
Pian del Lago (Caltanissetta)
Tra il 14 e il 15 novembre una rivolta scuote il Cie di Pian del Lago a Caltanissetta. La notte un gruppo di detenuti tenta di sfondare i cancelli laterali del Cie per scappare, utilizzando un tavolo di cemento come ariete. All'arrivo delle forze di polizia e dei militari un lancio di oggetti attraverso le sbarre rallenta il personale intervenuto a sedare la rivolta. I reclusi, vistosi impossibilitati a fuggire, si spostano all'interno dei tre padiglioni dormitorio e appiccano il fuoco a tutti i materassi ed oggetti che capitano sotto mano. Nei giorni successivi tutti i detenuti vengono allontanati e trasferiti in altri Cie perché il centro è inagibile. L'unica parte ancora agibile del Centro è quella in cui stanno i richiedenti asilo. Nelle camerate infatti è bruciato tutto e sono piene di fuliggine. Il cie di Caltanissetta viene chiuso. Dopo la rivolta in Italia i centri di detenzione hanno 40 posti in meno.

Torino, 8 novembre
Al Palazzo di Giustizia di Torino si svolge l'udienza contro Adel, Mohammed e Maathi, accusati di aver divelto alcuni vetri durante la rivolta del giorno precedente. L''aula è gremita di solidali che a fine udienza espongono uno striscione contro i Centri. Il giudice convalida gli arresti ma dispone la scarcerazione degli imputati. I tre, dunque tornano nelle gabbie di C.so Brunelleschi. Il 19 novembre riprende il processo ma degli imputati non c'è traccia. Adel è stato infatti espulso in Tunisia mentre Mohammed e Maati sono rimasti chiusi in corso Brunelleschi e l'udienza prossima sarà il 24 febbraio prossimo.
Il 27 novembre un recluso del Cie decide di salire sul tetto, da solo, e di non scendere più. Non per protesta ma per un motivo molto pratico: gli avevano promesso che il giorno successivo l'avrebbero deportato, e lui ha giustamente fatto in modo di perderlo, quel maledetto aereo. Lo stesso giorno un recluso algerino è stato liberato dopo appena quaranta giorni di reclusione, di cui ben venti però passati in sciopero della fame e della sete.
Sempre lo stesso giorno un ventisettenne nordafricano di nome Yassin El Bechi, già in sciopero della fame da sei giorni, si taglia le braccia per protesta. La polizia, invece di curarlo, lo tira fuori dalla gabbia e lo porta in isolamento, per pestarlo e per arrestarlo, con la solita accusa di resistenza. Non è la prima volta che succede una cosa del genere, ma per la prima volta, tutti i trenta reclusi dell' area rossa entrano in sciopero della fame per due giorni consecutivi. Vogliono avere notizie dell'arrestato, vogliono parlare con un magistrato, perché si rendono conto del totale arbitrio delle forze dell'ordine cui sono sottoposti ogni giorno, perché oggi è toccato a Yassin, domani può toccare ad ognuno di noi. Dopo aver ottenuto da un ispettore la promessa che questa settimana un capo della procura, una donna verrà a visitare il centro, lo sciopero è stato interrotto e solo qualcuno lo prosegue. Comunque sia, tra lotte individuali e sommosse collettive, si fa strada l'antica idea della solidarietà organizzata contro una repressione che si fa sempre più feroce e indiscriminata.

Milano, 7 novembre
Intorno alle 23.00, la polizia spegne la luce e ordina ai reclusi di rientrare nelle gabbie, anticipando così gli orari abituali e limitando la socialità dei prigionieri. Questi si rifiutano e la polizia fa irruzione nelle gabbie picchiando con i manganelli e facendo distendere alcuni prigionieri per terra. Ne nasce una piccola battaglia, durata un'ora intera. La polizia ha usato manganelli ed idranti e i reclusi lanciato bottiglie e bruciato materassi. Anche la sezione femminile partecipa attivamente alla protesta. Verso l'una di notte la polizia entra nella sezione B e arresta quattro ragazzi per la rivolta scoppiata qualche ora prima. Questi vengono fatti uscire dalla stanza inginocchiati, e sempre in ginocchio percorrono tutti il corridoio, tra gli insulti e le percosse delle guardie. Il giorno dopo c'è l'udienza per la convalida dell'arresto dei ragazzi e si conclude con la custodia in carcere per tutti e quattro i ragazzi, accusati di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Tutti molto giovani e incensurati, uno di loro addirittura dichiara di avere compiuto 18 anni il giorno stesso dell'arresto, quindi che sarebbe stato detenuto ancora minorenne in Corelli.
Questa volta, ancora più smaccatamente, si vede come le accuse siano state totalmente montate ad hoc su quattro dei ragazzi più giovani del centro. Impossibilitati ad entrare nella sezione C, cuore della rivolta, la polizia ha deciso di pescare a casaccio tra i ragazzi dell'altra sezione. L'arbitrarietà dell'arresto ha creato subito una forte solidarietà negli altri reclusi. Ad esempio i loro compagni di sezione, molto legati a questi ragazzi anche per via della loro giovane età, si sono subito dati disponibili per testimoniare. Il processo è iniziato il 17 novembre. In aula molti antirazzisti solidali hanno potuto salutare e sostenere i ragazzi prigionieri chiusi nelle gabbie. Tra i presenti anche un parente degli arrestati arrivato direttamente dalla Francia. In serata i compagni degli arrestati ancora chiusi dentro Corelli fanno uscire un comunicato via telefono in cui hanno raccontato ciò che è successo veramente quella sera al centro di via Corelli.
Il primo dicembre il processo continua. Dopo le dichiarazioni dei poliziotti, palesemente inventate, comincia l'interrogatorio di uno dei ragazzi. Questi, nonostante la giudice lo minacci di denunciarlo per calunnia, ha il coraggio e la determinazione di dichiarare come si siano veramente svolti i fatti quella sera. Racconta come l'arresto sia stato una ritorsione per un tentativo di fuga di qualche giorno prima, come siano stati fatti inginocchiare tra le percosse dalle guardie e costretti così a salire sul blindato della polizia per essere trasferiti al carcere. Durante la sua dichiarazione i solidali presenti nell'aula si sono fatti sentire dando della razzista alla giudice e non sono mancati sguardi di intesa e sorrisi tra le gabbie e il pubblico.

Brindisi, 8 novembre
Grande evasione preceduta da una sommossa nel Cie di Brindisi Restinico la sera dell' 8 novembre. Un gruppo di ribelli ha aperto il cancello interno della struttura e, dopo essersi fatto strada con il lancio di sassi e di oggetti contundenti, tra cui un estintore, ha ingaggiato una lotta corpo a corpo con le forze dell'ordine. Un’evasione di massa che ha scatenato la brutale repressione delle guardie, con pestaggi e arresti a casaccio. Molti feriti sono stati bastonati mentre dormivano, nel sonno indotto dalla "terapia", ma nei referti medici si attesta senza dubbio che quelle ferite, quei nasi rotti, sono stati provocati da "un incidente". In dieci comunque sono riusciti a fuggire mentre quattro sono stati arrestati.

Roma, 13 novembre
C'è tensione nel CIE di Ponte Galeria da quando i reclusi non hanno più notizie di un loro compagno, di nome Faid, che nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 novembre è stato portato all'ospedale per problemi cardiovascolari. Sembra che l'uomo lamentasse dolori da giorni e che dopo l'ennesima richiesta di soccorso l'abbiamo ricoverato all'ospedale S. Camillo. Già da domenica si era diffusa dentro al CIE la voce che Faid fosse morto ancor prima di arrivare all'ospedale, notizia che era stata confermata anche da un avvocato in contatto con due reclusi, mentre la Croce Rossa, davanti alle domande dei solidali e dei reclusi, ha continuato a negare tutto, come al solito, rifiutandosi di fornire informazioni sulle sue condizioni di salute e sul motivo del suo ricovero.
All'alba di domenica 15 novembre, invece, un altro recluso tunisino, di nome Mohammed Bachir, viene ricoverato all'ospedale Forlanini perché probabilmente affetto da influenza A. E' quanto hanno ipotizzato i reclusi ascoltando i crocerossini che l'hanno prelevato e che infatti indossavano mascherine su viso e naso. La cosa ha ovviamente diffuso il panico tra i reclusi all'interno del centro, che sono rimasti a contatto per giorni con il virus, al freddo, in spazi angusti e senza alcuna precauzione. A Ponte Galeria infatti dall'inizio dell'inverno non funziona il riscaldamento e l'acqua calda sembra sia tornata in funzione solo da qualche giorno.
Martedì 17 novembre si apprende che Faid è ancora ricoverato in ospedale in seguito a un'ischemia cerebrale e che fortunatamente, a quanto pare, non sarebbe in pericolo di vita, mentre Bachir è riuscito a scappare dall'ospedale, ma non ci è dato sapere se sia davvero affetto da influenza A, né se vi sia un reale rischio di contagio all'interno del centro.

Bari, 30 novembre
Rivolta nel Cie di Bari. Tutto sarebbe nato alla mattina da un litigio tra un recluso e i funzionari dell'ufficio immigrazione. Litigio culminato con il lancio di una sedia e con il fermo del recluso. Solo a quel punto, per difendere il fermato, un'intera sezione del Centro sarebbe insorta: vetri spaccati e materassi bruciati. Non si sa quanto siano stati ingenti i danni, ma alla fine i soldati del Battaglione San Marco hanno trasferito in carcere due prigionieri, forse tre, mentre altri due sarebbero in ospedale. Secondo un lancio di agenzia, inoltre, tre poliziotti e due soldati sarebbero stati leggermente feriti negli scontri.

Trapani, 27 novembre
Una decina di immigrati, in attesa di venire rimpatriati, la notte tra il 27 e 28 novembre hanno tentato di fuggire dal Centro di identificazione ed espulsione "Serraino Vulpitta" di Trapani, segando le barre delle finestre e calandosi dal primo piano con le lenzuola. Sono stati bloccati da polizia e carabinieri.


Lettera dal carcere di san vittore (mi)
Ciao carissimi amici, sono Ibrahim, come state? Spero che questo mio scritto vi trovi in ottima salute. Carissimi amici vi ringrazio tanto per quello che state facendo con noi detenuti... Non vedo l'ora di uscire, di incontrarvi sotto il cielo della libertà, spero che ciò accada il più presto possibile.
Carissimi amici noi stiamo abbastanza bene anche se ci troviamo qui in carcere per niente. Stiamo soffrendo di brutto. Io ho perso i rapporti con la famiglia, non ho più loro notizie. Insomma, ho perso praticamente tutto, il mio futuro è rovinato. Non so cosa devo fare quando esco da questo incubo. Devo ricominciare da capo di nuovo, e spero non mi arrestino un'altra volta per la clandestinità.
Sapete quante persone vengono arrestate perché trovate senza permesso di soggiorno? Persone poi processate e condannate al carcere da 5 mesi fino anche a 1 anno e mezzo? In Italia c'è crisi, il carcere è sovraffollato, senza acqua calda, facciamo la doccia con acqua fredda, tutti i giorni la stessa cosa; i riscaldamenti sono freddi, non funzionano; il cambio delle lenzuola lo fanno una volta al mese. Intanto ogni giorno portano persone. Non si vergognano di niente!
Carissimi amici vi saluto tutti, state bene, ciao alla prossima lettera.

10 dicembre 2009

Chi scrive è uno degli arrestati per la rivolta nel CIE di Milano di quest’estate.
Gabriel Pombo Da Silva sulla morte di Diana...
Ho appena ricevuto il volantino che parla della morte (=assassinio) di Diana Blefari Melazzi... triste e duro.
Indipendentemente dal fatto di sapere che carcere e morte sono consustanziali alla nostra scelta di lotta ed al nostro impegno combattente, provoca sempre dolore venire a sapere della tragica fine dei nostri compagni (siano o meno affini, siano e non siano noti, ecc.).
Sul "caso" di Diana sono stato messo al corrente dalla RAI 1... Dico bene: messo al corrente piuttosto che informato perché la TV è un organo integrale della propaganda del dominio. In tal senso quel che la RAI ha diffuso sulle circostanze della sua morte e sulla figura di questa militante comunista è ripugnante. A Diana l'hanno assassinata tre volte: quando l'hanno arrestata; quando in carcere è stata sottoposta al 41bis; e, una volta arrestata e isolata e morta hanno preteso infangarne la figura e la persona/impegno, trattandola da pentita.
Como sopravvissuto al genocidio FIES posso capire perfettamente le cause che hanno motivato la drastica decisione di Diana... Dico bene: decisione invece di scelta...
Si sceglie solo quando si è liberi... ed allora una persona privata della libertà decide cosa fare in base alle circostanze in cui si trova. Se fosse stata libera o in altre condizioni di carcerazione non avrebbe deciso di smettere d'esistere.
Quando si sopravvive peggio che una bestia, isolato e costantemente sottoposto ad una forte pressione psicologica; in uno spazio asfissiante, attorniato da criminali in divisa che ti fanno sentire in mille modi che che tu non sei nulla e non hai NULLA da aspettarti... qual è la logica?
La logica e la finalità del carcere, dell'isolamento, delle torture e della propaganda del dominio sono la morte...
Noi che abbiamo conosciuto (e ne siamo sopravvissuti) la spietata ferocia di questa logica non abbiamo alcun problema nel dichiarare la guerra senza tregua a tutti quelli che ci torturano, assassinano, violentano, ecc...
Guerra alla guerra senza tanta retorica di merda contro il sistema ed i suoi socialfascisti di merda..
Radicale? Tutti noi che andiamo fino alla radice di ciò che abbrutisce, avvelena, assassina e tortura, inesorabilmente ci radicalizziamo.
Le mura del carcere sono sufficientemente alte da non permettere che il comune dei mortali possa lanciarvi uno sguardo all'interno e farsi un'opinione non filtrata dai propagandisti dei media su quel che accade qui dentro... Le sezioni d'isolamento (così come le diverse forme d'isolare) sono quanto c'è di più profondo e illuminante di questo sistema selettivo di sterminio proletario.
I mass-media sono nelle mani dei nemici dell'Umanità, pertanto è "logico" che non sono affatto "neutrali" nel corso della guerra sociale (e lotta di classe... là dove la classe ha coscienza di se stessa in quanto tale) e "l'informazione"...
Le domande che un proletario si deve sempre porre sono: da dove viene l'informazione? Che finalità persegue? Chi "sceglie" qual è la notizia e perché? Quali interessi politici ed economici ci sono dietro ogni progetto organizzato?
Ma... tornando a Diana... Cos'è che non capisce la "gente" sulla sua radicale decisione di smetterla d'esistere in un luogo in cui non c'è posto per la speranza? Quale la differenza se uno che si mette la corda al collo e se sono i carcerieri a farlo?
Nessuno si mette una corda al collo se ha un minimo di speranze... se attorno ha fratelli e sorelle che ti amano e ti assistono, se nel calendario hai date significative che segnalano momenti piacevoli (un colloquio, una chiamata, una lettera, una scadenza di lotta, ecc...) o divertenti in cui condividere sorrisi, parole, idee...
Cosa accade quando persino all'interno del carcere (che è già una sufficiente punizione) ti separano (disperdono) dai tuoi compagni e dall'ambiente esterno in cui vivono le persone che ti sostengono e ti amano... Quando giocano perversamente con la corrispondenza, la stampa, i colloqui, le telefonate ed altri "Diritti"? Cosa succede quando alla fine comprendi che tutto quel che puoi fare è vegetare come una pianta: senz'acqua, senza luce, senza sole e senz'aria?
Per gli stati-governi occidentali ed i loro mezzi di comunicazione è piuttosto semplice esigere i "Diritti Umani" ai paesi dell'Africa o dell'Asia senza guardare prima nel proprio cortile... Come quella frase del dito e della luna: alcuni guardano il dito ed altri la luna.
Quando dimentichiamo che la "prosperità economica" in cui viviamo oggi in "Europa" proviene da secoli di sfruttamento imperialista e coloniale sui continenti dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina, il discorso dei "nostri politici" non può offenderci... Ma quando abbiamo una chiara coscienza ed una memoria storica (classista), allora sono il revisionismo ed cinismo propagandistico del dominio capitalista a ferirci...
Personalmente, provo dolore dinanzi alla perdita di compagne e compagni (anche se non sono affini) sia per le conseguenze della loro decisione che per l'azione diretta o indiretta dei nostri nemici, perché un/una militante rivoluzionario/a non si "recluta" (come un soldato o poliziotto/carceriere) mettendo un annuncio in TV o su un giornale. Un rivoluzionario non si forma (o "uniforma") in un'Accademia. Il Militare, il Poliziotto ed il Carceriere hanno il loro "lavoro" per soldi, il rivoluzionario per convinzione... Il rivoluzionario non definisce la sua attività come "lavoro", ma come impegno.
Potrei scrivere centinaia di pagine spiegando/dicendo perché dobbiamo continuare l'impegno e la lotta di tutti i caduti sparsi nel mondo e nel corso della storia e senza tanta "moderazione" nelle parole, argomenti come nei mezzi...

Gabriel Pombo Da Silva
Aachen, 16.11.09


sciopero della fame dei prigionieri rivoluzionari
Dal 20 Dicembre al 1 gennaio ci sarà una protesta internazionale dei prigionieri rivoluzionari, anche con l'intento di ricordare Mauri e la sua determinazione nell'azione.
Noi abbracciamo sempre con gioia le proposte senza compromessi di altri prigionieri e reputiamo che lo sciopero della fame sia, nelle mani di un sincero combattente, uno degli strumenti di lotta rivoluzionaria in carcere.
In questo senso noi aderiremo, ognuno secondo le proprie possibilità, non per chiedere qualcosa ai nostri carcerieri, ma nella speranza che la nostra forza superi queste grigie mura e possa accompagnarvi nell'agire rivoluzionario, consci che solo voi potete realmente colpire dove più nuoce.

Alcuni Prigionieri di Guerra dal carcere di Alessandria


Lettera dal carcere di Poggioreale (NA)
Carissimi/e compagni/e, qui nel carcere di Poggioreale da due giorni i detenuti attuano una protesta per le stesse ragioni esistenti in tutte le proteste scoppiate in tante carceri. Il motivo è quello del sovraffollamento, che ormai non è più sostenibile. E’ emergenza nazionale, la prima dal dopoguerra. Siamo 66-67 mila detenuti, se va avanti così le carceri scoppiano. Carceri sovraffollate, tentativi di suicidio, omicidi… ormai ogni giorno nelle carceri si muore. Ma tutto questo a chi importa? A nessuno, né alla società né all’opinione pubblica né tanto meno a coloro che fanno pacchetti di sicurezza al solo scopo di aggravare alla gente i problemi sociali: lavoro, disoccupazione…
Per i ministri Alfano, Maroni noi saremmo i responsabili dei problemi sociali, quando invece gli unici responsabili sono loro, che sono il vero marciume di questa società. E io credo che l’erba cattiva dovrebbe essere estirpata con le buone o con le cattive.
Basta con questo governo di pagliacci da circo. E’ veramente l’ora di alzare la voce, e se non basta bisogna ricorrere ad altri mezzi. C’è aria di fascismo, fermiamoli fino a che siamo in tempo. Un mio saluto comunista-anarchico

Mauro
Napoli, 27 novembre 2009


lettera dal carcere di nuoro
Il 23 novembre ho intrapreso uno sciopero della fame perchè quattro mesi fa quando mi trovavo ancora a Nuoro nel carcere di Badu'e Carros mi arrivo' un vaglia da parte della mia famiglia, come da prassi l'ho firmato e mi è stata consegnata la ricevuta. Due giorni dopo (a fine luglio) vengo trasferito ad Iglesias e il 16 agosto arriva anche il vaglia, ma questi bastardi non me lo caricano sul conto perchè gli servono per i loro sporchi affari. Il 19 ottobre mi trasferiscono nuovamente a Badu'e Carros e secondo la loro tesi dovrei aspettare altri 3-5 mesi per riavere i miei soldi perchè li hanno messi a posta giro. Per questo motivo ho intrapreso lo sciopero della fame per riavere i miei soldi che mi servono per andare avanti qua dentro!!! e finchè non mi arrivano non lo terminero', come non terminero' di rompere i coglioni a tutta la sbirraglia. Anche questa voltaho iniziato la mia "battaglia" contro di loro e voglio proprio vedere chi la vince!!!

francesco


Lettera dal carcere di Carinola
Carissimi compagni, vi scrivo queste righe per farvi avere mie notizie e informarvi che sono rientrato dalla Sicilia e mi trovo di nuovo a Carinola.
Vi ho scritto da Caltanissetta, spero vi sia arrivata la mia posta, dove vi informavo della repressione che c’è in quel carcere. Lì i detenuti non possono neanche parlare e ogni giorno sono minacciati di rapporti con i quali gli tolgono i benefici. Di conseguenza i detenuti sono privati dei propri diritti.
Vi informo che prima di partire anch’io ho subito un rapporto disciplinare perché avevo fatto e passato un’istanza ad un altro carcerato. Vi mando copia del rapporto, che è illegittimo perché deve essere comunicato entro 10 giorni, invece mi è stato notificato qui a Carinola dopo 213 giorni. Non mi hanno così consentito di esercitare il diritto ad esporre eventualmente le mie discolpe, come previsto dall’art. 39 (O.P.).
Comunque tutto questo non può battere un animo forte che continua a lottare con tutte le forze contro tutte le ingiustizie, per un mondo di uomini liberi.
Qui a Carinola si continua con piccole lotte per avere quei diritti che aiutano ad andare avanti e a sperare in momenti migliori e fuori da questi posti di sofferenza.
Vi saluta tanto il compagno Mario e tutti.
Saluti a tutti i compagni, con affetto, Antonino

Carinola, 8 novembre 2009


Comunicato dal carcere di Verona-Montorio
Il 17 novembre - come di consueto all'alba - digos e polizia si sono presentati a casa di Luca e Pasquale, due compagni di Verona. Entrambi sono arrestati e rinchiusi nel carcere di Verona-Montorio. Ad uno dei due compagni verrà impedito di prendere i farmaci salvavita prescritti dal cardiologo.
Il 20 novembre si è tenuta l’udienza di convalida: Pasquale, per motivi di salute, è stato posto agli arresti domiciliari con pesanti restrizioni (divieto di scrivere, di telefonare, di incontrare chiunque non sia residente nell'abitazione e divieto di recarsi in ospedale per effettuare i consueti controlli), Luca è stato portato in carcere. La mobilitazione non si è fatta attendere e domenica 22 è stato organizzato un presidio sotto al carcere di Montorio.
Il riesame del 4 dicembre a Venezia ha disposto anche per Luca gli arresti domiciliari, senza restrizioni (le motivazioni non sono ancora disponibili). Il giorno successivo le compagne e i compagni hanno organizzato un presidio-volantinaggio a Verona.
Mercoledì 9 dicembre, sempre a Venezia, anche a Pasquale sarà confermata la custodia cautelare. Il giorno prima del riesame la Digos di Verona pare abbia avuto un colloquio con il Gip presso la procura di Venezia. Per ora i compagni restano ai domiciliari.
Di seguito riportiamo un comunicato degli arrestati e degli stralci di una lettera di Luca, significativa per ciò che descrive dall'interno del carcere di Verona e per come pone l'accento sui fuochi di rivolta presenti.

All’alba del 17 novembre la Digos ha arrestato due antifascisti a Verona. L’accusa è di aver aggredito con “premeditazione” un noto antifascista di Forza Nuova che anni prima era stato l’autore del vigliacco accoltellamento dei due antifascisti, aggrediti, con un’altra trentina di “coraggiosi” camerati, a Volto S. Luca, mentre erano in compagnia di tre compagne. Uno dei due riportò 150 punti di sutura per l’accoltellamento, addirittura una delle compagne fu pestata brutalmente, in dieci contro lei da sola. A distanza di anni - dopo un processo farsa in cui gli avvocati dell’accusa e della difesa, con la compiacenza del pm, pensavano solo alla spartizione di denaro da spillare agli accusati e ai compagni - l’accoltellatore non fece neppure un’ora di galera. Ad oggi non ha ancora subito alcun processo. I due antifascisti arrestati sono noti compagni che hanno dedicato la vita alle lotte sociali, all’antirazzismo e all’antifascismo.
Che i fascisti fossero infami, utili alla Digos e alla magistratura è risaputo. Ma il “lavoro” che sta a monte degli arresti, fatto dalla questura scaligera e dal pm, è palesemente lontano dal voler punire chi ha osato rispondere con una “strapazzata” alle provocazioni di un fascista, complice di quasi tutte le azioni violente dei camerati veronesi. E’ UN PROCESSO POLITICO! Un’azione organizzata e mirata a fermare l’antifascismo, che, praticamente inesistente in passato a Verona, da qualche tempo ha cominciato ad organizzarsi, ad essere praticato anche in questa famigerata città. Una città profondamente razzista e xenofoba dove per decenni leghisti, fascisti e razzisti vari, hanno potuto godere di ogni impunità, inserirsi, come un cancro, in ogni istituzione e settore della vita sociale, arrivando all’omicidio di Nicola Tommasoli, dopo una scia di sangue durata anni. Una città storicamente partecipe delle peggiori stragi fasciste del passato organizzate dallo stato e dai servizi segreti.
Il pm ha dichiarato che i due prigionieri antifascisti sono persone “ pericolose socialmente”, dedite alla violenza per fini politici e che si sono sostituiti per “vendetta” alla “giustizia” dello stato, della polizia, della “società civile”. Ma di quale GIUSTIZIA parla il pm? Quella di uno stato che ammazza donne e bambini in guerre imperialiste per il profitto? O della “giustizia” della polizia che ammazza di botte innocenti in questura? Oppure della “giustizia” dello stato che sfrutta e ammazza ogni giorno lavoratori in fabbrica e sui posti di lavoro? Di quale GIUSTIZIA E’ IL GARANTE? E, nella società borghese neoliberista in cui viviamo quotidianamente i drammatici meccanismi di povertà ed esclusione, i “violenti” sarebbero questi due compagni arrestati?
L’ipocrisia e la meschinità arrogante del pm e del giudice delle indagini preliminari (che ha accolto le sue tesi con “sacro furore”) è intollerabile e ben visibile. L’immoralità e la disumanità interessata rendono “deformi” gli animi di questi guardiani del sistema economico e sociale vigente. Facendoli capaci di usare il loro potere per combattere e tentare di distruggere chiunque cerchi di costruire una giustizia libera, non fondata sullo sfruttamento e sulla sofferenza degli uomini su altri uomini. La GIUSTIZIA di cui blaterano è la VIOLENZA di pochi sulla vita di tanti, TROPPI!
La stampa e i media, totalmente asserviti al sistema, si sono immediatamente attivati, collaborando con questura e magistrati nel creare il “mostro” mediatico, nel violentare la vita di familiari e amici dei due compagni, nel riprendere una foto delle “belve in catene” fuori dall’aula del tribunale, in cui però ai familiari era vietato entrare e avere notizie dei due prigionieri. La meschinità e la malafede di questi pennivendoli è lampante a chiunque sia vicino e conosca l’attività e la vita di questi due antifascisti.
Il carcere in cui sono stati rinchiusi i due è indicativo del concetto di violenza e GIUSTIZIA del pm, del G.I.P. e dello stato loro sovrano, che sia gestito da destra o da sinistra. Un lager fatiscente in cui il riscaldamento è scarso, i muri hanno muffa e acqua, celle costruite per uno o due detenuti sono usate per stiparne quattro o cinque. L’igiene è inesistente, scarafaggi e sanitari da vomito. Assistenza sanitaria inconsistente. In passato uno dei compagni ha avuto un intervento cardiaco e si trova tuttora sotto stretta assistenza medica e farmacologia; ebbene, con il benestare del pm, per giorni non ha ricevuto i medicinali di cui ha assoluto bisogno, ricevendoli, poi, sbagliati. Malattie come epatite, HIV, pidocchi, ecc. sono presenti in tutte le sezioni. Il cibo è scarso per sfamare un adulto e, con il benestare dell’on, Giovanardi, è di una qualità così nauseante che addirittura vengono buttati via bancali interi di cibo appena arrivati perché marci e andati a male.
Il carcere è una discarica umana in cui gli individui che non producono e non sottostanno alle regole della classe sociale egemone, in una società asservita alla borghesia, vengono privati di ogni libertà elementare. Fatti vivere peggio delle bestie, nella continua sopraffazione compiuta dalle guardie in divisa.
RIFIUTIAMO questo processo politico all’antifascismo e tutti i suoi attori e comparse che recitano la loro grottesca commedia!
RIFIUTIAMO l’accusa di essere “pericolosi socialmente”: chi è realmente pericoloso per la società è a piede libero, ricco, porta la celtica e ha il potere di disporre della vita degli altri!
Oggi come ieri l’antifascismo è GIUSTO E NECESSARIO in Italia, come in ogni luogo dove si soffre il rigurgito nazista e l’assenza di libertà. Come già accaduto nella nostra storia, i fascismi si possono e si devono sconfiggere. Saremo sempre al fianco dei popoli, degli individui, dei gruppi e realtà che, di fronte all’ingiustizia non voltano lo sguardo per omologarsi facilmente, ma decidono di organizzarsi e dichiarar “guerra” alla tirannia che soffoca le loro vite.
AL FIANCO DI TUTTI I DETENUTI IN LOTTA !
AL FIANCO DI TUTTI I RIVOLUZIONARI PRIGIONIERI E LIBERI!
PER L’ANTIFASCISMO MILITANTE!

Un prigioniero antifascista
3/12/2009
***

da una Lettera dal carcere di Montorio (Verona)
[...] La cella in cui mi trovo ha la muffa e i muri sono sempre bagnati, fa un freddo boia. L’igiene è inesistente, c’è puzza di merda e i cessi sono osceni, ieri ho schiacciato un scarafaggio, ci sono pidocchi, piattole, ecc.. I detenuti malati sono tutti insieme con gli altri, epatiti, HIV, tossici. Abbiamo solo l’acqua fredda, le docce, 3 a settimana, sono calde, ma anche lì l’igiene è un disastro! Il cibo non lo mangerebbero neanche i maiali; è tutto scadente e marcio, e in più è scarso, non basta a sfamare un adulto. La spesa è carissima. Tra l’altro, non ho scritto prima perché avevo tutto bloccato, soldi, spesa ecc. E anche la mia corrispondenza mi è stata data con settimane di ritardo.
E’ una settimana che tutto il carcere è in protesta. Due volte al giorno facciamo la battitura, sfasciamo robe, buttiamo oggetti fuori dalle celle, urliamo e facciamo un boato che sembra vengano giù i muri! Gli sbirri sono tesissimi! Sabato, nella protesta, alcuni hanno incendiato carta e bombolette, lanciandole nel corridoio! DELIRIO! La prima sera di protesta uno sbirro ha provocato un ragazzo maghrebino, dicendogli: “Stai zitto figlio di puttana!”…Il marocchino è impazzito, ha rotto una lametta da barba e ha cominciato a lamarsi il corpo. Allora gli sbirri lo hanno buttato fuori di cella e lui ha corso dietro allo sbirro per lamarlo! Le merde erano terrorizzate! Poi il ragazzo si è aperto la pancia, sangue ovunque, alla fine i suoi amici di cella lo hanno calmato ed è stato portato all’ospedale! Ora sta bene ed è nella cella davanti a alla mia.
Siamo in protesta per le condizioni bestiali e il sovraffollamento. Questo carcere è una polveriera pronta ad esplodere! E’ una “discarica umana”. C’è solo sopraffazione, ingiustizia e immoralità! Qui tentano di seppellire come immondizia tutti i problemi, gli esclusi, tutto ciò che non piace alla società borghese, che questa non sa e non vuole risolvere.
[...] Qui ci sono una cifra di detenuti con infermità e disabilità allucinanti. Dalle guardie vengono trattati come merde. Non hanno alcuna assistenza medica, non possono espletare normali attività come lavori, vestirsi o cucinare. Di tutto questo non frega un cazzo a nessuno. C’è un vecchio con il diabete, non riesce a camminare e non può andare neanche alle udienze in tribunale. Il medico ha detto che può camminare… renditi conto! Il “medico” è senza laurea, una specie di infermiere volontario che esercita solo in carcere e fuori fa tutt’altro lavoro! [...]

Luca
Montorio Veronese, 29 novembre 2009


Sul processo di Roma
contro alcuni compagni in carcere
I primi di ottobre dello scorso anno, durante un trasferimento dal carcere confino di Siano-Catanzaro (dove esiste un braccio solo per prigionieri politici comunisti) a quello di Opera a Milano, dove si svolgeva il processo contro di loro, alcuni compagni dell’inchiesta “Tramonto” sono stati appoggiati per la notte al carcere romano di Rebibbia. Qui hanno subito un pestaggio perché hanno protestato contro le degradanti perquisizioni corporali a cui sono stati sottoposti. Da “vittime” a colpevoli, sono stati denunciati per i reati 336, 337, 339, 590, 594, 650 c.p. (violenza, minaccia, resistenza a Pubblico Ufficiale aggravata, lesione personale e inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità). Vogliono seppellirli con anni di galera dopo la già pesante sentenza di 110 anni emessa il 13 giugno a Milano, sentenza motivata con il fatto che non hanno rinnegato la loro identità rivoluzionaria.
Presso il tribunale di Roma si sono già tenute, in questo mese, due udienze preliminari, la prossima si svolgerà il 2 dicembre.

Udienza 11/11/2009
Dinnanzi al GUP Dott.ssa Finiti, gli avvocati della difesa hanno sollevato varie questioni in relazione alla illegittimità, nonché arbitrarietà delle perquisizioni subite dai compagni, sia perché le stesse non dovevano essere ripetute nel carcere di Rebibbia, dato che erano già state effettuate a Catanzaro all’atto della partenza, sia per le modalità vessatorie e degradanti con cui sono state realizzate. Hanno fatto acquisire al fascicolo sia una sentenza della Corte Costituzionale, n. 526 del 2000, inerente alla questione, sia una serie di riferimenti alle modalità delle perquisizioni e alla Circolare del DAP n. 3542/5992 del 2001.
È stata data inoltre lettura integrale della denuncia, fatta pervenire da Ghirardi Bruno, contro le guardie carcerarie in relazione alla quale alla prossima udienza il Giudice trasmetterà gli atti alla Procura, giacché la difesa ne ha fatto esplicita richiesta messa a verbale. All’esito della camera di consiglio il Giudice ha disposto l’integrazione istruttoria al fine di verificare l’arbitrarietà dell’atto di perquisizione convocando un’ulteriore udienza per il 18 novembre. Ha disposto la citazione dei testi Tranquilli Mauro e Reni Antonio (guardie carcerarie) e ha inoltre disposto l’acquisizione del Regolamento vigente a Rebibbia nella parte relativa alle perquisizioni.

Udienza 18/11/2009
In questa udienza, fissata perché il giudice aveva disposto un’integrazione probatoria, è stato acquisito l’ordine di servizio della casa circondariale di Rebibbia, datato 22 maggio 2003, che dispone in ordine alle modalità di perquisizione personali a carico dei detenuti sulla base dei principi stabiliti dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2002 che aveva fissato dei paletti molto rigidi per l’espletamento delle perquisizioni.
Sono inoltre stati sentiti due testi, l’Assistente Capo Mauro Tranquilli e l’Ispettore superiore Antonio Reni.
Il primo è quello che materialmente ha proceduto ad eseguire la perquisizione nei confronti di tutti. Ha deposto, dunque, raccontando la sua versione dei fatti.
Sostanzialmente ha ammesso che le perquisizioni sono state fatte con denudamento perché questa è la modalità che loro abitualmente seguono nei confronti di tutti i detenuti, indipendentemente dalla loro classificazione interna, e seguono questa modalità principalmente per due motivi: il primo è perché non sono autorizzati a mettere le mani addosso a nessuno e in secondo luogo per motivi igienici non toccano nessuno.
Il Giudice è stata molto attenta alle sue risposte e lo ha anche incalzato chiedendogli, per esempio, come mai in altre sedi, quali aeroporti o luoghi ove tutti vengono sottoposti a controllo non viene denudato nessuno e l’igiene è salvaguardata per esempio attraverso l’utilizzo dei guanti.
Il teste, inoltre, ha affermato che in tutti gli anni di servizio le perquisizioni si sono sempre svolte seguendo quel protocollo, in barba, come gli ha fatto notare il Giudice, ai principi sanciti dalla Corte Costituzionale. L’unica modifica che si è registrata negli anni sarebbe, a suo dire, l’abolizione della flessione.
Egli ha giustificato il loro operato richiamando ragioni di sicurezza interna dell’istituto perché a perquisizione vengono sottoposti tutti coloro che entrano a Rebibbia dall’esterno, equiparando così sia quelli che rientrano da un permesso senza scorta, per i quali è espressamente prevista, a chi vi giunge da altro carcere ove è stato perquisito all’uscita.
Durante la sua escussione è incorso in contraddizioni. Invece, Reni, non ha assistito fin dall’inizio all’episodio, ma è sopraggiunto chiamato da Tranquilli e ha confermato in aula l’aggressione fisica avvenuta, a detta del Tranquilli, da parte dei compagni.
In parte ha contraddetto il suo collega rispetto alla pratica delle perquisizioni che a suo dire si svolgerebbero senza procedere al denudamento, ma toccando gli indumenti e poi utilizzando il metal detector, il cui uso era stato invece negato da Tranquilli.
Gli Avvocati hanno fatto notare ai testi che i principi espressi con la sentenza della Corte Costituzionale sono stati recepiti da una circolare del DAP del 2002 che è stata prodotta al Giudice. Dalla discussione in aula è emerso chiaramente l’atto arbitrario della polizia penitenziaria. L’udienza per la discussione è stata rinviata al 2 dicembre.

Questa cronaca delle udienze mostra ancora una volta qual’è il trattamento riservato ai prigionieri nelle carceri e, in particolare, le vessazioni a cui sono sottoposti i prigionieri rivoluzionari. Non si tratta di “casi” e questo emerge in questo periodo con lo stillicidio di morti in carcere, ammazzati di botte come Stefano Cucchi, o uccisi dal 41bis, come la compagna Diana Blefari.
È un sistema carcerario che ha nella barbarie del trattamento e nella tortura dell’isolamento, finalizzato all’annientamento di chi non piega la testa, le sue radici.
Come Associazione di Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12 febbraio 2007 ci stringiamo attorno alla resistenza dei nostri familiari per sostenerla e a fianco di tutti coloro che subiscono la brutalità del carcere. Abbiamo visto, nella nostra piccola esperienza, che il carcere è anche resistenza e lotta e che questa è l’unica possibilità per cambiare le cose. Ci impegneremo a denunciare ogni abuso e ad appoggiare ogni protesta.
Sostenere la resistenza dei prigionieri!
Uniti si vince!

Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07
parentieamici@gmail.com - assparentieamici.wordpress.com
NOVEMBRE 2009


Euskal Herria: arrestati 36 giovani militanti di Segi
In un'operazione compiuta dalla polizia nelle prime ore del mattino di oggi in varie località di Euskal Herria, 34 militanti appartenenti all'organizzazione giovanile illegalizzata Segi sono stati prelevati dalle loro abitazioni e detenuti, mentre 92 locali, tra appartamenti, centri sociali, herriko taverne e associazioni di quartiere, sono stati perquisiti.
L'ordine di arresto emesso dal giudice Grande Marlaska, ha implicato un dispositivo di polizia costituito da 650 agenti della FSE (corpo di sicurezza spagnola). Secondo quanto afferma un comunicato reso pubblico poche ore fa dal Ministero degli Interni spagnolo, gli arrestati "esercitavano presumibilmente funzioni di responsabilità" in Segi.
Tale operazione, sempre secondo quanto sostiene la comunicazione sopra citata, mirava allo smantellamento della struttura direttiva dell'organizzazione giovanile e della sua struttura logistica e di finanziamento. Le accuse vertono oltremodo sul teorema "tutto è ETA" secondo cui si cerca di ricondurre varie organizzazioni indipendentiste alla lotta armata. Lo stesso Ministro degli Interni Alfredo Perez Rubalcaba ha dichiarato nella giornata di oggi che l'operazione di polizia portata a termine ha raggiunto tre obiettivi: "impedire che le organizzazioni di ETA che sono state illegalizzate si riformino", "impedire che ETA abbia una nicchia" e "lottare contro la violenza di strada, che nell'organizzazione di ETA corrisponde giustamente a Segi".
A pronunciarsi per primi sulla vicenda, con gravi dichiarazioni, sono stati il Ministro degli Interni del Governo basco, Rodolfo Ares e il presidente della comunità autonoma basca Patxi Lopez. Il primo qualifica gli arresti di oggi come "molto importanti" e sostiene che dimostrino "l'efficacia della polizia", mentre il secondo descrive l'accaduto come "un passo verso la pace".
Dall'altra parte il partito Aralar ha dichiarato che tali detenzioni non sono casuali ma hanno lo scopo preciso di indebolire il processo interno cui ha dato il via la sinistra abertzale rappresentata da Batasuna; allo stesso tempo puntualizza che nel Codice Penale "coloro che commettono delitti sono le persone e non le organizzazioni", pertanto detenere persone "per appartenenza a un'organizzazione è una aberrazione giuridica".
Risulta quindi chiaro in questo momento politico, come lo Stato spagnolo abbia voluto dar "prova" della sua forza con l'ennesima operazione di repressione nei confronti della sinistra indipendentista, dimostrando un atteggiamento di chiusura rispetto alla proposta di dibattito politico annunciata diversi giorni fa dalla sinistra abertzale. Che tale "prova di forza" abbia successivamente dimostrato la paura di affrontare il dibattito politico viene avvalorata dalla scarsità di argomentazioni che lo Stato spagnolo ha nel negare effettivamente l'autodeterminazione di Euskal Herria e il diritto dei cittadini e delle cittadine basche a decidere sul proprio futuro.
Sulla base di queste considerazioni, la sinistra abertzale rinnova il suo impegno e la sua costanza nel seguire il cammino intrapreso, affermando a voce alta che nessun attacco repressivo riuscirà a fermare la volontà di avviare e sviluppare un processo democratico verso la risoluzione reale del conflitto.

Infoaut
24.11.2009
ehl.bologna@gmail.com
***
Quello che segue è il terribile elenco delle torture alle quali sono stati sottoposti i 31 giovani indipendentisti baschi arrestati pochi giorni fa [accusati di essere affiliati alla formazione giovanile Segi, dichiarata illegale da due anni]. In Spagna, se l'accusa è di terrorismo, si viene condotti alla Audiencia Nacional di Madrid e lì per 5 giorni avvengono gli interrogatori e vengono estorte delle confessioni solo dopo pesanti sessioni di tortura.

I colpi sono stati costanti, assieme alle minacce ed alle pressioni. Persino minacce di violenza sessuale, alcune detenute hanno subito palpeggiamenti e vessazioni sessuali. Sono state denudate o costrette a restare senza indumenti intimi per gran parte del periodo d'isolamento. Queste le denunce:
- Pestaggi, minacce e pressioni.
- Alcuni sono stati costantemente colpiti sulla testa.
- Altri hanno avuto la pistola puntata sulla testa durante gli interrogatori.
- Applicazione di una borsa di plastica sulla testa fino a farli restare quasi senza respiro.
- Gli hanno fatto prendere delle pistole con le mani e poi li hanno ricattati per le impronte rilasciate.
- Hanno effettuato dei salti sui detenuti.
- Picchiati con dei libri.
- Denudati e costretti a fare esercizi fisici.
- Lungo il trasferimento a Madrid, un detenuto è stato fatto scendere e gli hanno chiesto se voleva vedere il luogo dove si trova Jon Anza (si tratta di un basco "desaparecido" dallo Stato spagnolo).
- Colpi sui testicoli.
- Palpeggiamenti.
- Nel caso delle donne: denudate o con addosso solo gli indumenti intimi, palpeggiamenti dal bacino in su. Minacce di violenza sessuale e minacce di morte.
- Simulazione di violenza sessuale ad un giovane.
- Obbligati a restare in posizioni scomode.
- Simulazione dell'applicazione della borsa di plastica in testa.
- Minaccia di iniettare delle droghe, con una siringa piena di liquido e iniezioni sul dorso, anche se il detenuto non ha notato alcun effetto.
- Segni di colpi sulla schiena e sul petto.

Maggiori informazioni: www.askatu.org
Traduzione: Culmine, 30.11.09


Aggiornamento sui prigionieri anarchici in Grecia
Il 9 dicembre si terrà il processo d'appello contro l'anarchico Giannis Dimitrakis, arrestato nel gennaio 2006 in seguito ad una rapina in banca, nel centro di Atene. In primo grado il compagno è stato condannato a 35 anni di carcere. Per la stessa rapina sono ricercati altri 3 compagni: Simos Seisidis, Marios Seisidis e Grigoris Tsironis. Circa un mese fa le autorità greche, con l'aiuto dei mezzi di comunicazione, hanno offerto una taglia di 600.000 euro al fine di ottenere informazioni per "dare una mano" e vendere i 3 compagni in fuga.Probabilmente già nel gennaio 2010 si terrà il processo contro gli anarchici Polikarpos Georgiadis e Vangelis Hrisohoidis, arrestati nell'agosto 2008 per il sequestro dell'imprenditore Mylonas. Nello stesso processo figura, anche se contumace, il celebre rapinatore Vasilis Peleokostas, evaso con un elicottero dal carcere di Koridallos alcuni mesi fa. Il compagno Ilias Nikolau sarà processato il 2 dicembre a Salonicco, questa la sua ultima lettera.

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Lettera di Ilias Nikolau
Alcuni si sono arresi ed altri si sono sentiti soddisfatti nell'ascoltare le successive dichiarazioni dei potenti sullo sradicamento della violenza illegale. Altri ancora hanno provato un sollievo nel sapere che gli immigranti saranno perseguiti ed arrestati: è come se la miseria e l'esistenza che riempiono con dosi di farmaci alla fine troveranno la redenzione.
Tuttavia, il peggio è che questa società per prolungare la sua lenta morte è stata vaccinata con la frase "io vivo semplicemente la mia vita personale" e con l'apatia. Le prede dei loro capi, vittime di leaders d'ogni genere, sono umiliate, abbassano la testa per nulla e perdono sempre più il senso delle proprie potenzialità e dignità, magari sacrificando persino gli ultimi momenti di libertà.
In questo mondo in cui regnano la rassegnazione e l'obbedienza, ci sono degli sguardi orgogliosi e le tracce della dignità che non temono di pagare fino al prezzo più alto e prendono la vita con le proprie mani. Tutti quegli appassionati adoratori della Negazione stanno lottando per i cammini della libertà. Passanti in un sentiero che porta alla liberazione individuale e collettiva, i guerrieri contro quel che è ingiusto, mostrano sempre la loro presenza e in ogni dove.
Adesso è il nostro turno e noi, dalle oscure celle della democrazia, lanciamo il nostro segnale: una solidarietà senza condizioni verso quelli che con fermezza guardano direttamente negli occhi della vita e reclamano l'ovvio: la libertà assoluta, senza soccombere alle catene della prigionia, senza fare nemmeno un passo indietro.

Ilias Nikolau
carcere di Amfissa (Grecia), 16 novembre 2009

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Il tribunale di Salonicco ha condannato a 7 anni e 6 mesi di carcere il compagno anarchico Elias Nikolaou con l'accusa di essere il responsabile dell'esplosione di ordigni incendiari davanti all'edificio della Polizia Municipale ad Evosmos, la mattina del 13 gennaio 2009. La Corte ha anche deciso di negare il ricorso all'appello.
Il processo è durato due giorni e giovedì, 4 dicembre, la Corte lo ha condannato per possesso di esplosivi e rischio di esplosione a persone e cose.
LIBERTA 'AL COMPAGNO ANARCHICO ELIAS NICHOLAOU!
da informa-azione.info


Dicembre 2009; un anno dalla rivolta greca
Alcune osservazioni ed insegnamenti dall’anniversario
Il finesettimana del 5-6 Dicembre è stato il primo anniversario della rivolta di una parte importante del proletariato, autoctono e immigrato, in grecia. Tutto cominciò con l’assassinio di uno studente 15enne, Alexandros Grigoropoulos, da parte di un poliziotto in servizio in un quartiere di ritrovo di compagni e di giovani. Da li, la rivolta si estese in tutto il paese coinvolgendo persino piccoli paesi o isole del mar Egeo abitate da poche centinaia di persone le quali si sono recate davanti a stazioni di polizia per tirar sassi. Queste settimane di scontri, riappropriazioni di spazi, cortei, discussioni, occupazioni di emittenti radio e televisivi hanno lasciato il segno, lanciando una lunga scia di lotte. Esse a loro volta hanno trovato terreno “fertile” sulle contraddizioni dovute alla crisi economica creando le premesse per un incontro su grande scala fra lavoratori del settore privato e compagni lavoratori appartenenti a gruppi del movimento anarchico-extraparlamentare-autonomo.
Tracce di questi incontri si sono viste durante i cortei e le azioni di solidarietà nei confronti della sindacalista ed operaia nelle pulizie della metropolitana, Costantina Kuneva dalla Bulgaria. I coordinamenti fra lavoratori e gruppi politici hanno evidenziato il clima di intimidazioni che affrontano le lavoratrici e questo ha portato ad azioni di denuncia e rappresaglia nei confronti dell’azienda appaltante e della metropolitana con attacchi in pieno giorno alle sedi dell’azienda e durante la notte contro convogli fermi. A livello concreto l’azienda della metropolitana ha proposto l’assunzione diretta dei lavoratori greci e comunitari in un tentativo di spaccare il fronte della lotta.
Inoltre nei mesi successivi al Dicembre del 2008 sono proseguiti e aumentati gli attacchi incendiari e dinamitardi contro simboli del capitale e dello stato arrivando ad avere una cadenza quasi quotidiana. Da parte sua il governo greco prima nella sua variante centrodx e dopo il settembre ’09 in quella centrosx, ha intensificato i controlli e ha passato una serie di leggi che intensificano i mezzi di controllo come la registrazione personale di tutti i cellulari ricaricabili.
Con premesse di questo genere e un quadro economico-sociale fosco, siamo arrivati al primo anniversario della morte di Alexandros e della rivolta. In questa occasione gli apparati governativi, consapevoli della situazione e dell’assenza di margini di trattativa con le parti sociali hanno optato per la via della militarizzazione delle città e degli attacchi preventivi contro collettivi e sedi che potevano rappresentare nodi organizzativi. Il Sabato 5 centinaia di poliziotti sono entrati armi in mano all’interno dello spazio autogestito “Ressalto” situato in un quartiere periferico del Pireo e hanno arrestato 22 persone presenti con le accuse di costituzione di “banda organizzata” (n.d.r equivalente ad associazione sovversiva o banda armata) e di detenzione di armi ed esplosivi. La presenza di un numero cospicuo di bottiglie di birra bevute e di carburante per la stufa e bastata affinché la polizia sostenesse che i presenti avevano molotov alla loro disposizione. In seguito a tale azione nell’arco di un ora un numero di solidali ha occupato il municipio di Keratsini a poche centinaia di metri dalla sede dello spazio. L’intervento della celere nonostante l’opposizione del sindaco che voleva trattare con gli occupanti, ha portato all’arresto di altre 40 persone e del sindaco stesso in un primo momento.
Per il giorno del 6 Dicembre erano previste manifestazioni in diverse città organizzate da diversi gruppi. Il clima di queste, sin dall’inizio è stato teso per via della massiccia presenza della polizia e degli avvenimenti del giorno precedente. Gli scontri che ci sono stati, seppur di un certo spessore pensando ai livelli italiani, non sono stati minimamente paragonabili a quelli dell’anno scorso ne a livello pratico ne a livello politico. Al contrario gli apparati statali si sono trovati pronti all’appuntamento avendo messo a punto un meccanismo di stretta collaborazione fra propaganda, controllo e repressione. La lezione dell’anno scorso è servita loro in quanto nell’arco di 3 giorni sono stati effettuati circa 160 arresti e quasi mille fermi per identificazione con successivo rilascio. Fra i fermati anche compagni da altri paesi europei, presenti per solidarizzare con il movimento greco. Si può capire quanto questi numeri sono alti se si considera che nell'intero mese di Dicembre '08 il numero degli arrestati era inferiore. Se da un lato questa scadenza dimostra le carenze del movimento e le capacità di gestione di un momento di crisi dal governo del centrosx, dall’altro canto lascia i nodi di più lungo respiro completamente irrisolti rispetto alla crisi economica che comprende i paesi europei. In questo senso la Grecia, anello debole della catena dell’Unione Europea e monetaria e anello forte delle lotte sociali e operaie, è da tenere sotto costante osservazione.

Un compagno presente


Roma: Solidarietà con Francesca, ex scuola 8 marzo
Continua la persecuzione per gli arrestati dell’ex scuola occupata 8 Marzo di Magliana: spietata la pena inflitta all’unica donna.
Francesca è stata arrestata il 14 settembre, insieme ad altri quattro giovani, nel blitz dei carabinieri contro l’occupazione dell’ex scuola 8 marzo e, dopo due mesi di misure cautelari nei suoi confronti, temiamo oggi che facciano difficoltà a darle il permesso di andare a lavorare. Lei, incensurata, ha scontato 17 giorni di carcere preventivo durante i quali è stata trasferita due volte, da Rebibbia a Civitavecchia e da Civitavechia a Perugia, senza contare i trasferimenti in tribunale per il riesame, sempre in gabbiotto chiuso posto dentro il cellulare (modello Hannibal del “Silenzio degli Innocenti”). Dal 30 ottobre è agli arresti domiciliari con un unico permesso di andare a trovare il nonno novantenne, nello stesso condominio, col divieto assoluto di incontrare chiunque, anche la badante.
Ma di chi stiamo parlando, di una nuova Sig.ra “Gabetti” che a Milano “vendeva” gli alloggi popolari o di quale orrenda megera che potrebbe inquinare le indagini o perpetrare i crimini? E quali sono i crimini?
Francesca è laureata in sociologia e lavora con le cooperative per le carceri. Fa parte del Centro Sociale “Macchia Rossa” che nel quartiere si batte da decenni contro gli sfratti ed in sostegno dei senza tetto.
Nel giugno 2007, 40 famiglie hanno occupato uno stabile abbandonato da più di 20 anni, l’ex scuola 8 marzo, lo hanno reso abitabile rifacendo gli impianti e mettendo in sicurezza persino il tetto, hanno aperto il giardino e gli spazi al piano terra al quartiere.
Quando c’è stato un grave episodio di violenza ad ottobre 2007 e Iwona – una senzatetto ospite nell’ ex scuola occupata - è stata accoltellata dal suo convivente, Francesca ha passato giorni e notti al suo capezzale all’ospedale Forlanini. Sempre disponibile per qualsiasi tipo di necessità, non si sottraeva neanche al lavoro manuale, persino quando si trattava di aggiustare il tetto. Mi sono chiesta più volte perché una brillante giovane donna dedicasse gran parte della sua vita a quella piccola comunità.
Poi “l’inchiesta-teorema” dei carabinieri e le denuncie di alcuni stranieri allontanati dall’occupazione perché violenti, raccolte sempre dallo stesso maresciallo e perfettamente sovrapponibili l’una all’altra e contemporaneamente una campagna di stampa diffamatoria dei quotidiani Il Tempo ed il Messaggero (proprietà dei noti costruttori Bonifaci e Caltagirone), fino alla violenta irruzione di decine, se non centinaia di carabinieri per arrestare i cinque e perquisire lo stabile.
Gran parte delle accuse sono subito cadute come l’associazione a delinquere, le bottiglie incendiarie (armi da guerra) non sono state trovate, il furto di rame dichiarato inesistente dalle perizie. Dell’impianto accusatorio rimane la presunta estorsione di 15 euro a persona al mese che l’assemblea degli occupanti gestisce per le spese comuni, le cui ricevute sono state presentate al GIP. Rimangono poi accuse di violenze senza un riscontro, un referto medico o del pronto soccorso, se non la denuncia di immigrati irregolari e senza tetto, strumentalizzati e ricattabili.
Nonostante il castello accusatorio si vada sgretolando perchè privo di ogni ragionevole fondamento, continua la persecuzione giudiziaria contro di loro cui non è estraneo il sindaco e la sua amministrazione. Tra le accuse dei carabinieri, infatti, anche l’aver contrastato la propaganda elettorale di Alemanno. Il risultato è che tre degli arrestati sono ancora privati della loro libertà.
Per fortuna a Gabriele, il compagno di Francesca, ricercatore di fisica, è stato almeno concesso di andare a lavorare, mentre Francesca non ha ancora ricevuto risposta alla sua istanza. Il terzo è Simone, il più giovane del gruppo, anche lui molto penalizzato, ha perso il lavoro e continua ad subire la forma più restrittiva di misura cautelare ai domiciliari, non potendo neanche ricevere visite o telefonate. Insieme a Francesca ci sembrano le vittime designate e chiediamo a tutti e in particolare alle donne di esprimere solidarietà e di far crescere la mobilitazione perché sia loro restituita la libertà.

usiait1@virgilio.it


Lettera aperta di Laura sugli arresti domiciliari di Juri
E' stato fissato al 20 gennaio prossimo davanti al tribunale collegiale di Pistoia il processo ai sette compagni antifascisti arrestati a seguito della devastazione della sede di Casapound a Pistoia, l'11 ottobre scorso e ora ristretti agli arresti domiciliari. Il gip Matteo Zanobini, accogliendo la richiesta di giudizio immediato presentata dal pm Luigi Boccia e ritenendo evidenti le prove a carico dei sette compagni (sic), ha così deciso di avallare la montatura giudiziaria orchestrata per porre un freno all’autorganizzazione e alla mobilitazione popolare contro le squadracce fasciste e razziste incentivate e promosse dalla banda Berlusconi. A seguire la lettera di Laura, moglie di uno dei compagni, Juri Bartolozzi, che denuncia il senso, gli obiettivi e le ripercussioni di questi arresti.
Invitiamo tutti i compagni a sostenere Laura e Juri, a tenere alta la mobilitazione in sostegno di tutti gli antifascisti arrestati, ad estendere questa mobilitazione fuori degli stessi confini regionali.
Respingiamo al mittente i tentativi di dividere il fronte antifascista, insinuando differenze tra antifascisti buoni e cattivi, tentando di isolarli, anche fisicamente, gli uni dagli altri (vedi trasferimento di Alessandro Della Malva nel carcere di Parma), minacciando e intimidendo chi li sostiene e rilancia la lotta.
Facciamo della risposta all'operazione repressiva esemplare condotta in Toscana, la scintilla capace di infiammare la prateria!
Uniti contro il fascismo, ovunque, senza se e senza ma!
Libertà per Alessandro, Juri, Elisabetta, Mannu e tutti gli altri antifascisti arrestati!
Rafforziamo la mobilitazione delle masse popolari contro le misure reazionarie del governo Berlusconi!
Per scrivere a Yuri: Yuri Bartolozzi, Via S. Moro 187 - 51100 Pistoia (PT)
Aiutiamo anche economicamente Laura e Juri facendo un versamento su:
Postepay n. 4023600470226814 - intestata a M. Maj


Associazione Solidarietà Proletaria (ASP)
CP 380, 80133 Napoli – Italia
info@solidarietaproletaria.org - www.solidarietaproletaria.org

Come compagna del partito dei CARC e come moglie di JURI BARTOLOZZI volevo denunciare la situazione in ci troviamo sia io che JURI dopo il suo arresto. JURI è stato messo agli arresti domiciliari il 9 novembre, da quel giorno mio marito non ha più potuto comunicare con nessuno tranne me, non può nemmeno scrivere una lettera ai suoi genitori e neanche vederli. JURI è in uno stato d’isolamento totale, una condizione che non viene riservata neppure ai peggiori mafiosi, considerando che non gli viene concesso nemmeno di uscire sul proprio pianerottolo.
Con questa azione giudiziaria hanno voluto colpire JURI su tutti i piani, ossia a livello psicologico per quanto riguarda l’isolamento, a livello emotivo per quanto riguarda la totale lontananza dai propri affetti (amici, parenti, ecc.) e, infine, anche a livello economico in quanto non dandogli modo nemmeno di lavorare hanno lasciato una famiglia a reddito 0. Secondo il giudice di PISTOIA noi possiamo mangiare anche senza lavorare, forse qualche sera la cena verrà lui a portarcela!
Questa situazione fa sì che neanche io mi sento più libera di invitare persone a casa, usare il telefono e internet: ho paura di esporre JURI a delle ritorsioni e le persone in contatto con me ad “attenzioni” e pressioni.
Tutto questo è ciò che viene riservato agli antifascisti rei soltanto di partecipare ad una riunione per fare un coordinamento regionale toscano antifascista. L’Italia per costituzione è una nazione antifascista governata però da chi permette di aprire sedi fasciste nelle nostre città e che invece di combatterle le appoggia e in alcune città collabora con loro.
Vedendo come stanno andando avanti le cose, sembra che il sacrificio dei nostri partigiani, che hanno lottato e alcuni di loro hanno perso perfino la vita per liberare il nostro paese dal fascismo, sia stato inutile in quanto invece di perseguitare i fascisti (incostituzionali) SI PERSEGUITANO GLI ANTIFASCISTI.
Infine volevo dire che in paese normale le istituzione non avrebbero avuto esitazioni ad esprimere la propria solidarietà nei confronti degli antifascisti arrestati, ma a PISTOIA no, la solidarietà si dà ai fascisti come segnale di democrazia.
In poche parole volevo dire che il motivo per cui hanno attaccato la nostra famiglia (e anche molte altre) è che abbiamo deciso di aprire gli occhi e di non rimanere indifferenti di fronte all’ondata reazionaria della borghesia guidata dalla banda BERLUSCONI.
L’ANTIFASCISMO NON SI PROCESSA!
SALUTI DALLA COMPAGNA LAURA
Pistoia, 30.12.09
***
I DETENUTI DI PISTOIA SI SONO UNITI AGLI ANTIFASCISTI
Sabato 21 novembre, nel pomeriggio avevamo organizzato un PRESIDIO sotto il carcere di Santa Caterina in Brana, a Pistoia dove è tuttora detenuto, dopo 40 giorni e senza alcun mandato di arreso, bensì tuttora in “fermo giudiziario” il compagno Alessandro Della Malva.
Alle ore 16.00 con un impianto montato su un rialzamento del terreno nel giardinetto posto a ridosso del muro di cinta posteriore del carcere, a pochi metri dal braccio che racchiude le celle, abbiamo iniziato a mandare musica di lotta ed altra. Ogni qualche minuto interrotta per lanciare messaggi di solidarietà ad Alessandro.
Messaggi che ben presto si sono indirizzati a tutti i proletari detenuti (il 40% circa sono in attesa di giudizio).
Il PRESIDIO è andato avanti così per circa due ore. Con le auto che percorrevano la strada antistante che rallentavano o si fermavano per vedere cosa stesse accadendo, con le persone che si affacciavano alle finestre
Intorno alle ore 18.00, dopo l'ennesimo nostro intervento per gridare la solidarietà ad Alessandro e a tutti i proletari detenuti, ma anche per gridare forte tutta la nostra rabbia per questo sopruso, per la illegittimità di un provvedimento che priva, senza motivazione alcuna se non una pura e semplice volontà repressiva, un antifascista della sua libertà, abbiamo cominciato a sentire rumori provenire dal carcere. Pochi minuti ed abbiamo compreso che nel braccio delle celle si stava sviluppando una protesta dei detenuti. Il rumore si è fatto sempre più forte: battevano gavette, le sbarre delle porte, tutto quello che avevano. Ovviamente ci siamo uniti a loro con tutta la nostra forza.
Per circa un'ora (dalle ore 18.00 alle ore 19.00 circa) al nostro Presidio si sono uniti i detenuti nella loro protesta. E' stata una cosa veramente esaltante per noi fuori e pensiamo ancora di più per il compagno Alessandro.
Tutti i detenuti, così come noi, sappiamo che verso il compagno Alassandro si sta sviluppando un'azione di repressione cieca e vigliacca.
Abbiamo promesso di ritornare il prossimo sabato e così tutti i sabati fin quando non cesserà questo sopruso contro il compagno Alessandro.
Questa mattina i pennivendoli del regime non hanno perso occasione di affermare la loro reale funzione: di DISINFORMAZIONE!
Su La Nazione la protesta dei detenuti è stata spostata dalle ore 18.oo alle ore 13.oo, in modo da non farla considerare in unità con il Presidio degli antifascisti pistoiesi. Non pensiamo di dover dire niente di più a proposito di questi che blaterano tanto sulla c.d. “libertà di stampa”. Libertà di ingannare, di usare la menzogna, di essere falsi.

Pistoia, 22 novembre 2009
RETE ANTIFASCISTA PISTOIESE


Lettera dal carcere di Firenze-Sollicciano
LA VOCE DEI COMPAGNI
Un terrazzino, quello della mia cella, lo sgabello, un pacchetto di sigarette.
La musica che entra dentro le mura.
La musica, quella dei compagni, della solidarietà, quella che qua dentro mette i brividi sulle braccia e lungo la schiena.
Poi il carcere risponde!
Marocchini, rumeni, albanesi, italiani, molti picchiano con i pentolini sulle sbarre di cemento e in coro si alza una parola che tutti capiscono…
Molti stanno urlando LIBERTA’, LIBERTA’, LIBERTA’!
La vostra voce è entrata…
Da qui, in lontananza, si sentono anche le voci del femminile, dall’altra parte del carcere, si sbracciano, urlano anche loro.
La voce dei compagni entra, colpisce e torna fuori carica di forza.
Molti qua recepiscono e, anche se schiacciati da una realtà di sbarre, mura di cinta e cemento, almeno in questo istante, tirano fuori rabbia, passione e voce.
TUTTI LIBERI!
Un abbraccio grande a tutti e a presto

A PUGNO CHIUSO
Mannu

Dal 1° dicembre, Mannu si trova agli arresti domiciliari.


Lettera di uno degli arrestati a Milano per rapina di fotocopie
Voglio prima di tutto ringraziare tutti coloro che in questi giorni hanno manifestato solidarietà e vicinanza a me e ai miei compagni, per noi è importante, non ci fatte sentire soli. Ringrazio pure i giornalisti per tutte le cazzate che hanno scritto. Grazie al personale sbirresco per la straordinaria irruzione a casa mia, hanno cercato anche dentro il freezer le “800 fotocopie”, armi, bombe, ma hanno solo trovato la loro crudele realtà, quella di sapere per l'ennesima volta che fanno un lavoro di merda, che sono i servi dello stato, gli schiavi del sistema.
Non voglio parlare della “famosa rapina” di cui siamo accusati, posso solo dirvi, anche se tanti lo sanno già, che le cose sono andate diversamente. Mi fermerei più a riflettere sulla repressione stile pinochet che sta subendo il movimento.
Questa società è malata, è malata di rassegnazione, di ipocrisia, tutti si lamentano, ma nessuno è capace di muovere un dito. La crisi continua a fare danni: le fabbriche chiudono, gli operai vengono licenziati, le scuole vengono chiuse, le famiglie non arrivano più alla fine del mese, questa è la realtà. Invece esiste quella finta realtà in cui viviamo fatta dall'aperitivo alla sera, dalla discoteca il weekend, dal grande fratello in TV, da facebook, queste cose ci mantengono in vita, è come se fossimo in stato vegetativo ma attaccati a queste cose e quindi continuiamo ad esistere in questa assurdità che qualcuno chiama vita. Non ci sono più nemmeno gli spazi per socializzare, ci vogliono comandare come se fossimo dei robot, per loro il nostro unico dovere deve essere quello di obbedire, abbassare la testa e subire tutto in silenzio.
Oggi altri 2 studenti vengono arrestati per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, fino a quando dobbiamo sopportare questi vergognosi attacchi verso chi lotta per una scuola, una università, una società migliore?. E' arrivato il momento di dire basta!!
La repressione si fa ogni giorno più dura e questo allontana più le persone dalla lotta, la gente ha paura. Invece chi lotta da anni, è sparso in mille gruppi che seguono lo stesso fine, ma che hanno metodi di lotta diversi, allora io mi chiedo, fino a quando deve durare questa situazione?, non credete che sia ora di lasciare da parte l'orgoglio militante e iniziare a confrontarci e cercare metodi di lotta comuni, che facciano fronte a questa assurda repressione?
Dobbiamo riprendere la lotta dentro l'università prima di tutto, con i 5 arresti quella più contenta (oltre ai ciellini infami e a Decleva) è la polizia, ci avevano già provato con le sospensioni e erano riusciti a sospendere 2 compagni, venerdì ingabbiano 5 studenti e sono sicuro che non finisce qui, ma il finale lo possiamo decidere solo noi: o uniamo le forze e iniziamo un lavoro serio e costante, o abbassiamo la testa e accettiamo la sconfitta. Io personalmente scelgo la prima, non mi arrendo.
Fuori la gente è incazzata ma si tiene ancora strette quelle finte sicurezze che la fanno andare avanti, dobbiamo solo aspettare e intanto lavorare con intelligenza, prima o poi le verità verranno a galla e le bugie cadranno come un castello di carte.
Penso a tutti i miei compagni e amici fuori, mi mancate da morire, grazie per la vostra solidarietà. Potranno rinchiuderci mille volte, potranno infamarci quanto vogliono, ma noi resistiamo, noi non molliamo, usciremo più incazzati di prima, COME VOLETE VOI, NON CI AVRETE MAI!!
Ora vi lascio vado a lottare contro la noia e a passeggiare nei miei pensieri, ci vediamo presto. Con amore e con rabbia, vostro per sempre ...


Bologna: Processo per i fatti di Parma
Si è tenuto oggi, 2 dicembre, il processo con rito abbreviato per i petardi lanciati nel cortile dei vigili urbani di Parma la notte del 19 ottobre 2008. Sono caduti i capi d'imputazione dell'art. 280, quindi le finalità di terrorismo, e di detenzione e fabbricazione di esplosivi ed è rimasto l'art. 6 L. 895 che si riferisce ad accensioni ed esplosioni pericolose di materiale esplosivo che provoca timore pubblico.
Maddalena è stata condannata a 1 anno e 2 mesi, Nora a 1 anno, sembra per entrambe senza condizionale, Simone invece è stato completamente assolto da ogni reato. Per ora Maddalena, che ha già scontato 1 anno e 1 mese, resta in attesa della comunicazione di rilascio che dovrebbe arrivare in giornata. Condanne comunque molto pesanti se si pensa che anche la perizia del tribunale ha confermato che si trattava di petardi e non di bombe carta. Ma si sa, le sentenze sono sempre frutto di trattative tra servi in divisa e servi togati che in questo caso non potevano certo rischiare di dover risarcire per ingiusta detenzione. Evidentemente le contrattazioni che si svolgono nelle aule dei tribunali come se ci si trovasse al mercato del pesce non potevano portare a conclusioni diverse. Peppe andrà invece a rito ordinario.

Solidali da Bologna
da informa-azione.info


Di lavoro si muore perché di precarietà si vive!
Venerdì 11 dicembre processo alla solidarietà
Chi scende in piazza per dire basta alle morti sul lavoro viene processato nell'indifferenza dei più.
Durante le giornate che seguirono la morte di Enrico Formenti, avvenuta mentre lavorava in porto il 13 aprile 2007, alcune centinaia di portuali e persone solidali bloccarono i varchi con ogni mezzo. Per quelle giornate sono finiti sotto processo 6 compagni.
Venerdì 11 dicembre avrà luogo la terza udienza per quei fatti.
Chiediamo a tutti i lavoratori e a chiunque voglia portare solidarietà di essere presenti in aula al tribunale di Genova dalle ore 9.
Per non dimenticare Enrico. Basta con la barbarie dei padroni e l'ipocrisia dei sindacati.
"Perché non saranno mai i padroni di loro spontanea volontà, a darci la sicurezza sul lavoro, né gli addetti alla sicurezza, le commissioni, i sindacati o i giudici, ma soltanto la nostra lotta".
Genova: venerdì 11 dicembre, ore 9: appuntamento davanti al tribunale
Dalle ore 20 presso il C.S.O.A. Pinelli: cena benefit per Gian e Massi e gli altri arrestati del 10 giugno 2009. A seguire Sound System!!

Assemblea in solidarietà con i processati

***
"Si può fare solo una cosa cioè far valere e sostenere con tutte le forze
quello che nelle concrete situazioni sociali e politiche
può condurre ad una società di uomini liberi.
Se non si fa questo vuol dire che ci si rassegna
a che l’uomo sia solo un pezzo di fango"
J.P. Sartre

La sequela di inchieste che si stanno succedendo in Italia con una scadenza ormai semestrale testimonia la volontà dello Stato di sconfiggere l’opposizione manifesta ad un sistema sociale ed economico che ormai non ha da offrire che razzismo, sottomissione e disgregazione, andando a punire condotte reali o potenziali in qualche modo lesive dello stato di cose presenti.
L’inchiesta del 10 Giugno perfettamente si inserisce in questo panorama come tutte le altre che vedono coinvolti rivoluzionari sia anarchici che comunisti.
Quello che vogliamo ribadire è la nostra solidarietà ai compagni prigionieri in un percorso che, al di là delle sterili differenziazioni, senza vittimismo e commiserazione, sia capace di continuare e rafforzare le lotte nelle loro molteplici espressioni e modalità, e di sostenere quel filo che ci unisce ai compagni reclusi, che è lo stesso filo che unisce i compagni più esperti con quelli più giovani e volenterosi, tramandando la rivoluzione. Crediamo infatti che le lotte di questi compagni vadano tutte nel senso del rovesciamento di un dominio, di un intero sistema sociale, politico ed economico che ben conosciamo e tutto questo ci pone, noi e loro, dalla stessa parte della barricata.
In questo scenario l’unica solidarietà possibile è quella che si esprime come azione politica militante, è quella che dice agli arrestati che non sono dentro per nulla, che fuori non c’è il vuoto pneumatico, ma ci siamo noi che continuiamo la loro e la nostra lotta, consapevoli del prezzo che viene e verrà fatto pagare ogniqualvolta qualcuno alzi la testa.
È possibile sostenere i compagni prigionieri e dare prospettive alla nostra opposizione, arricchendola della coerenza, determinazione, dignità e coraggio di coloro che vengono colpiti dallo Stato, impedendo che spiragli di pratiche rivoluzionarie siano messi al bando.
E se la politica e la lotta entrano nel carcere allora la reclusione, che ha il solo obiettivo di isolare e disgregare, è resa inutile.
Solo affrontando la prigione da un punto di vista politico, e non con il codice di procedura penale in mano, gli si da la sua giusta dimensione, evitandoci anche di lottare inutilmente contro l’obiettivo sbagliato, come succede a garantisti e democratici.
Consideriamo quindi i nostri compagni semplicemente trasferiti in un altro settore di intervento.
E se è vero che il carcere è funzionale al mantenimento dell’ordine dato, allontanando dalla vista le contraddizioni del sistema ed imprigionando i rivoluzionari, sappiamo che esso, al pari di qualsiasi altro luogo di aggregazione e segregazione, può trasformarsi nel suo contrario e produrre rivoluzionari e liberazione, da Geoge Jakcson a tutte quelle forme di organizzazione politica e di rivolte che hanno attraversato l’Italia dagli anni settanta in poi.

Assemblea contro il carcere e la repressione


Ravenna: invece che chiudere l’Intempo
condannati gli attivisti della Rete per la sicurezza sul lavoro!
7 attivisti della Rete per la sicurezza sul lavoro di Ravenna sono stati denunciati dal presidente della Compagnia Portuale di Ravenna, Rubboli, per avere occupato l’agenzia interinale Intempo. Per parlare con gli articoli del codice borghese: concorso in reato (art. 110), violenza privata (art 610), invasione di terreni o edifici (art 633)- danneggiamento (635) del c.p.
In questi giorni è arrivato il decreto di condanna a cui presenteremo opposizione.
Ricordiamo i motivi per cui avevamo occupato le sede dell’agenzia Intempo al Porto di Ravenna il 13 marzo del 2007: denunciare all’opinione pubblica il ruolo di questa agenzia di sfruttatori di questi caporali al servizio dei padroni del Porto, dalla Compagnia Portuale ai terminalisti, una banda di trafficanti di esseri umani che ha mandato a morire gli operai Luca Vertullo a Ravenna e Denis Zanon a Porto Marghera, morti che rivelano, ancora una volta, il nesso causale tra precarietà e rischio-sicurezza per i lavoratori. Operai morti per il profitto dei padroni.
Volevamo che si mantenesse alta l’attenzione su questi temi perché conosciamo bene come vanno queste cose: impunità dei padroni ai processi, solitudine dei famigliari, silenzio stampa sulla vicenda.
Il processo per la morte di Vertullo a Ravenna, come sappiamo, è terminato con lo scandalo delle assoluzioni di 8 imputati, dai dirigenti della Compagnia Portuale ai responsabili della sicurezza. Scandalo perché pur riconoscendo che questa “morte è dovuta ai ritmi velocissimi”, dall’ “ottica meramente intesa a un aumento della produttività”, che ha mandato dentro la pancia di una nave 9 stivatori, di cui 4 al primo giorno di lavoro, di cui uno, Luca Vertullo, ha trovato la morte, pur riconoscendo tutto questo, i veri responsabili del sistema di sfruttamento che ha il suo centro nel comando padronale, non faranno neanche un secondo di galera, secondo la giustizia dei padroni.
Le motivazioni della sentenza dicono quello che, come Rete, stiamo denunciando e combattendo: è la ricerca del profitto che trasforma i lavoratori – e la loro vita - a merce. Eppure questa agenzia interinale è ancora lì. Al Porto di Ravenna dalla Mecnavi a Vertullo niente è cambiato. O almeno sembra. Perché la nostra azione, quel 13 marzo di 2 anni fa, entrava nel vivo dei problemi e voleva – e vuole - mettere fine allo stillicidio di infortuni con la postazione fissa dell’ispettorato o dell’Ausl al Porto, con l’elezione ed il rafforzamento degli Rls, con le lotte e gli scioperi. I confederali si sono dimostrati parte del problema (caporali, gestione dell’Agenzia interinale) e non riusciranno certo a salvarsi l’anima con i convegni sulla sicurezza in occasione della strage della Mecnavi al Porto.
Ora questa richiesta di condanna per l’iniziativa della Rete suona come una rappresaglia: non solo l’impunità nelle aule dei tribunali per padron Rubboli e per i suoi caporali, ma anche l’arroganza di chi vorrebbe isolare, criminalizzare chi si batte contro gli omicidi di operai nei luoghi di lavoro.
Sul piano legale ci opponiamo, ma la battaglia va condotta anche sul piano politico e sociale. Serve che chi è stanco di parole ipocrite in materia di sicurezza sul lavoro prenda una posizione chiara e netta, serve che rafforziamo la Rete a livello locale e, perché no?, lavorare fin da subito per una manifestazione cittadina che sia il vero processo popolare ai padroni del Porto, contro tutti i padroni assassini.
Chiudere l’agenzia della morte, l’Intempo!
Giustizia per Luca Vertullo!
No alla criminalizzazione della lotta per la sicurezza nei luoghi di lavoro!

Rete Nazionale per la sicurezza sul lavoro
Polo emiliaromagna - sede di Ravenna, via G. Di Vittorio, 32 (Bassette)
cobasravenna@libero.it 339 8911853


Parma: SRU, COMUNICATO DALL'OCCUPAZIONE
L’occupazione dell’ex-scatolificio di via Guastalla da parte della SRU (Società di Riappropriazione Urbana) continua a funzionare mettendo in pratica, giorno dopo giorno, i progetti che si era proposta di realizzare.
In una città in cui si permette la continua espansione dell’edilizia privata, mascherata da edilizia sociale, a sempre più singoli e famiglie si vede negato il diritto di avere una abitazione dignitosa, cosa che li costringe o a dover pagare affitti superiori alle loro possibilità economiche, quindi incorrere in un conseguente sicuro sfratto o, nei casi
più estremi, a dormire in strada. Il comune fin’ora ha preferito privilegiare gli speculatori piuttosto che garantire i diritti a tanti cittadini che non hanno trovato alcuna possibilità di ascolto e dialogo con l’Istituzione comunale sempre più autoreferenziale e occupata piuttosto ad accontentare gli ‘amici degli amici’.
Tra i progetti che non sono rimasti sulla carta ma anzi sono stati resi operativi da subito nell’area della SRU vediamo per primo quello abitativo.
Gli occupanti hanno provveduto a rendere abitabile il posto, sistemando, pulendo, imbiancando, aggiustando, insomma recuperando lo stabile trovato in stato d’abbandono. Un altro progetto che ha visto la luce è il Doposcuola, uno spazio pensato per cercare di rispondere alle esigenze e ai bisogni delle famiglie che con la riforma Gelmini vedono sacrificare il tempo scolastico e la qualità dell’insegnamento in nome dei tagli alla scuola pubblica.
Sono anche partiti gli incontri del progetto Hip-hop, la Cucina popolare e la sala di lettura/Rassegna stampa. Contiamo in breve tempo di mettere in piedi uno spazio che possa ripondere alle esigenze degli abitanti del quartiere e della città che non trovano dignità nella città degli speculatori.
La SRU parteciperà, venerdì 4 dicembre, alla giornata nazionale di lotta contro gli sfratti per chiedere:
* Tassazione delle case sfitte
* Blocco degli sfratti
* Stop alle nuove costruzioni alle periferie della città
* Nuove case popolari
* Vincolare le fabbriche che vengono dismesse ad essere destinate a spazi pubblici o case popolari per almeno dieci anni

Ribadiamo infine che l'occupazione è stato lo strumento adatto a riappropriarsi di spazi di libertà negati, spazi prima di tutto per immaginare una città diversa, adatta ad incontrarsi e non come una vetrina dove tutto ciò di cui hai bisogno ha un prezzo. In questa città dominata a ogni livello da interessi legati ai palazzinari, occupare è stata l'unica strada percorribile per essere ascoltati e per portare all'attenzione collettiva problemi troppo spesso trascurati.
A chi si rifiuta di prenderci in considerazione, come il vice sindaco, perchè abbiamo violato la legge, rispondiamo semplicemente che da uno di Forza Italia è difficile prendere lezioni di legalità.

3/12/2009
da www.autistici.org/parmantifascista/


Occupazione di alcuni spazi dell'Università di Genova
PER SCALDARE L'AUTUNNO... PER SCALDARE LE NOSTRE VITE!
Abbiamo deciso di occupare alcuni spazi [della Facoltà di Lettere] di Balbi 4.
Siamo qui per lottare, siamo qui perché abbiamo bisogno di un luogo per discutere, per organizzarci. Perché non possiam continuare ad accettare passivamente i progetti da incubo dei nostri governanti, dall'università al mondo del lavoro, dalla “sicurezza” al razzismo sugli immigrati, dalle guerre “umanitarie” ai morti nei cantieri, nelle carceri, nelle caserme.
Rifiutiamo di riproporre le categorie con cui abitualmente ci differenziano per mantenerci separati, disuniti e quindi inoffensivi. Studenti, lavoratori, disoccupati, precari, giovani o meno giovani, italiani o stranieri: non viviamo tutti le stesse condizioni, le nostre vite – e i nostri problemi – non sono identiche, ma siamo tutti sottomessi allo stesso sistema che sfrutta, opprime e umilia ogni forma di vita.
L'Italia è in guerra, con truppe d'occupazione in 33 paesi del mondo.
Lo Stato respinge gli immigrati e i loro barconi della disperazione, spesso provocando stragi, mentre quegli stessi flussi migratori che si contrastano sono determinati anche dalle guerre cui il nostro paese partecipa.
Negli ultimi undici anni (dal 1998 con la legge “Turco-Napolitano”) i governi di sinistra e di destra succedutesi nel paese hanno istituito moderni Lager in cui vengono deportati e rinchiusi per mesi quegli stessi immigrati, perché privi di documenti. Questi luoghi (C.I.E., ex C.P.T.) sono una continua polveriera in cui i reclusi tentano ogni strada per raggiungere la libertà, scatenando rivolte ed evasioni.
La loro economia è in crisi e questo, come sempre, significa che a pagarne le conseguenze saranno i poveri, gli sfruttati, con licenziamenti, carovita, aumento di mutui e affitti e una sempre più diffusa insicurezza sociale, paura. Il pacchetto sicurezza e altre norme e modifiche in materia di ordine pubblico, vanno lette anche in quest'ottica: una sorta di autodifesa preventiva per eventuali e probabili conflitti sociali a venire.
Da anni infatti è in atto un processo di irregimentazione sociale: le telecamere ad ogni angolo, il poliziotto di quartiere, gli squadroni notturni a pattugliare le strade – ma anche i tentativi di Brunetta di combattere l'assenteismo sul lavoro - fino alle norme comunali più recenti e deliranti: i cancelli a chiudere alcuni vicoli, gli orari e le vie in cui si può o non si può bere una birra e circolare con una bottiglia.
Niente che sconvolga da un giorno all'altro le nostre vite, ma un lento condizionamento per abituarci ad essere sorvegliati, controllati nel nostro vivere quotidiano, cosicché ci appaia naturale, un giorno, avere dei militari in divisa mimetica e armati a chiederci i documenti, o a sedare una rivolta in un C.I.E. e un domani, chissà?, a sciogliere un picchetto operaio.
Di fronte alla miseria delle nostre esistenze, alla miseria sociale, economica e culturale, di fronte alla paura che il sistema produce quello che ci offrono è una sicurezza fatta di repressione, controllo e razzismo di Stato. Ma la loro sicurezza uccide.
Quando non lo fa nei C.I.E., nei cantieri (1.200 morti all'anno), nelle carceri (150 all'anno), nelle caserme e nelle strade con pallottole e manganelli, ci uccide giorno dopo giorno, di lavoro, di noia, di tristezza.
Quando non uccide ci abitua a non vivere.
Nel loro ordine non c'è gioia possibile, per cui non ci resta che costruircela, che conquistarcela.
Cominciamo col prenderci gli spazi di cui abbiamo bisogno, per conoscerci, discutere, per incontrare complici, per (auto)organizzarci e ripartire.
In un momento in cui, per esempio, le università vengono sempre più “aperte” ai privati, alle multinazionali, ai padroni, non vediamo perché non aprirla – noi, occupandola – a chiunque, nell'Italia odierna, senta la necessità di agire, di opporsi, di costruire altro, un altro forse tutto da inventare.
Non lottiamo solo per sete di giustizia, non solo contro l'orrore che ci stanno costruendo attorno, ma per la volontà di vivere, di essere felici, di mettere in campo i sogni che portiamo nei nostri cuori.
SOLIDARIETA' A TUTTE LE REALTA' IN LOTTA
CONTRO IL RAZZISMO, CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA
CONTRO LO STATO DELLE COSE
PER LA SOLIDARIETA', LA LIBERTA', LA GIOIA, LA RIVOLTA

fuoricontrollo@inventati.org
Prove di forza: Sui recenti sgomberi a Torino
[Il 10 Dicembre] La Questura di Torino decide di mostrare i muscoli, e si imbarca nell’ambizioso progetto di effettuare una doppietta: lo sgombero di due case occupate in un colpo solo. Un passo avanti in vista della soluzione finale tanto desiderata dall’asse Chiamparino-Lega-Pdl. Cominciano all’alba, e cominciano dalle più giovani, Cà Neira prima, L’Ostile subito dopo. Ma qui incontrano la prima resistenza della giornata: sei occupanti riescono ad arrimpicarsi sul tetto per non essere sgomberati. Ci rimarranno 15 ore. Da subito cominciano ad accorrere i solidali, che diventeranno più di un centinaio prima di sera, tra compagni e abitanti del quartiere. Una donna porta un lenzuolo e chiede di scriverci “Forza raga’ il quartiere è con voi.” Comunque, la mattina e il primo pomeriggio passano tranquilli. Ci sono i pompieri, ma sono distanti, e sembra che la polizia non voglia forzare più di tanto la situazione. Sperano in una rapida capitolazione degli occupanti, ma si sbagliano.
Nel frattempo, dall’altra parte della città gli sgomberati di Cà Neira occupano l’ex Cinema Zeta vicino a piazza Moncenisio. La polizia arriva in forze e prova subito a sgomberare. Gli occupanti stavolta salgono sul tetto, in quattro, ma dopo un po’ vengono portati in Questura. Saranno denunciati e rilasciati in serata.
Non passa molto tempo, e la polizia tenta lo sgombero anche dell’Ostile. Quando il camion dei pompieri inizia a fare manovra, i solidali cercano di mettersi in mezzo e vengono caricati. Nel parapiglia, ci finisce di mezzo anche una donna sui cinquant’anni che passava di lì. Viene travolta dai celerini, presa a calci e manganellata. La donna, sotto shock, viene soccorsa dai manifestanti e portata al sicuro.
Quando il presidio si dota di un impianto audio che trasmette Radio Blackout, e in particolare una diretta che racconta a tutti l’increscioso incidente della prima carica, la polizia risponde attaccando violentemente il presidio. E qui tutti si danno da fare, i pompieri per primi, che innaffiano l’impianto coi loro idranti e portano via il generatore. La polizia spara diversi lacrimogeni, spingendo il presidio verso sud. Negli scontri, due persone vengono fermate e portate in questura. Anche loro saranno rilasciati in serata. Il presidio arretra e si trasforma in un corteo selvaggio in cui vengono rovesciati e incendiati cassonetti lungo corso Giulio Cesare, corso Novara, piazza Crispi, dove i manifestanti si attestano nuovamente in presidio, fronteggiando la polizia. Lungo il percorso, diversi abitanti del quartiere si uniscono al corteo. Testimoni raccontano ad esempio di un gruppo di ragazzi che esce da un portone, incendia un bidone e scherza coi manifestanti; un gigante africano impartisce lezioni di tattica militare ai compagni prima di unirsi al corteo; un giovane maghrebino dice ai suoi amici che lo invitavano ad andarsene: “No, no! io voglio restare con loro!”
In piazza Crispi la polizia carica altre tre volte, sempre più violentemente, tra lacrimogeni sparati a casaccio (prima lanci troppo lunghi che prendono gruppi di gente che non c’entrava niente, e poi lanci ad “altezza uomo”), cariche, controcariche, petardi, assalti a pompieri di passaggio… alla fine per farla finita i poliziotti caricano direttamente con tre camionette, i famosi “caroselli” che si usavano una volta, fino a quando non si imparò a piantargli un palo tra le ruote… Durante queste cariche tre o quattro compagni vengono pestati duramente e fermati. Due di loro saranno portati in ospedale, una compagna con un braccio ingessato, un compagno con la faccia e il corpo tumefatti.
Contemporaneamente, la polizia riesce a salire sul tetto dell’Ostile e porta via gli occupanti. Anche loro saranno portati in Questura, e rilasciati in serata. Nelle mani della polizia rimangono quindi, a quanto ne sappiamo, i manifestanti fermati in piazza Crispi. Avendoli pestati con violenza, non è da escludere che li arrestino con le solite accuse di resistenza e lesioni. Nelle prossime ore ne sapremo qualcosa di più. Per ora, annotiamo che se l’inziativa della Questura voleva far assaggiare a tutti la sua forza militare, ebbene, ha anche avuto l’indubbio merito di provare la forza morale del movimento, e di rilanciare le prossime iniziative. Che, vi ricordiamo, sono:
Venerdì 11/12: concerto contro sgomberi e repressione, dalle ore 17.00 in piazza Vittorio
Sabato 19/12: corteo contro sgomberi e repressione, alle ore 14 dalla stazione di P.ta Susa

11 dicembre 2009
da www.autistici.org/macerie

Martedì 2 dicembre di buon mattino ingenti forze poliziesche avevano proceduto a sgomberare il Fenix3, spazio occupato il 28 novembre.


Torino: corteo contro sgomberi e repressione
In risposta ai continui attacchi delle istituzioni e dei media contro tutte le realtà occupate, scendiamo in piazza per dire basta a un regime sempre opprimente e una repressione dilagante, in cui democrazia e libertà si traducono in C.I.E. e militarizzazione delle città. La tanto invocata sicurezza crea un clima di terrore, nel frattempo le persone
continuano a morire: sul lavoro per un ricatto sociale che ci costringe alla sopravvivenza, nelle carceri in condizioni disumane, nelle strade per mano della polizia. in nome del progresso e dell'economia la nostra salute è attaccata ogni giorno da troppe nocività e la nostra mente viene manipolata dai media.
PER LA RIAPPROPRIAZIONE E LA DIFESA DEGLI SPAZI AUTOGESTITI E LA LIBERTA' DI TUTTI GLI INDIVIDUI
Appuntamento Sabato 19/12: ore 14 davanti alla Stazione Ferroviaria di Torino P.ta Susa

case occupate e fermenti liberi attivi

***
Comunicato assemblea degli spazi anarchici di Roma
su adesione alla manifestazione del 19 dicembre a Torino
La nuova ondata di repressione è lo strumento con cui lo Stato e il sistema capitalista difendono il collasso dei loro modelli di vita, del mito del progresso tecnologico e della produttività. In tutta Italia, come nel resto d'Europa, il tormentone sicurezza legittima gli attacchi contro chi per scelta o per necessità non rientra negli schemi imposti. Ovunque case occupate, centri sociali e realtà autogestite vengono colpite da sgomberi (più o meno riusciti), minacce e teoremi giudiziari, indistintamente promossi da tutte le parti politiche. A Torino tutto il consiglio comunale ha stilato un documento unitario in cui richiede al prefetto e al ministero degli interni lo sgombero di tutti gli spazi occupati e ha inoltre deciso di non rinnovare il contratto d'affitto a Radio Blackout, l'unica emittente autogestita della città.
Sabato 19 dicembre le realtà torinesi hanno indetto un corteo contro gli sgomberi e la repressione che porterà nelle strade più di venti anni di esperienze autogestite, di occupazioni, di lotte fuori dalle logiche di mercificazione e profitto. Parteciperemo alla manifestazione per dare la nostra solidarietà, determinati a difendere senza compromessi i nostri spazi e i nostri percorsi.
OGNI MINACCIA A UNO SPAZIO AUTOGESTITO E' UN ATTACCO ALLA NOSTRA LIBERTA'
Per chi vuole venire in "trasferta" a Torino ci vediamo giovedi 10 dicembre alle 21.00 a L38squat Laurentino Occupato, 6° ponte, via Giuliotti 8, metro laurentina - bus 776.

anarchici/che, squatters, individui agitati/e


Napoli: Inaccettabile equiparazione coi fascisti
Questa mattina all'alba, con 9 blindati e la celere in assetto antisommossa, è stata sgomberata la Ex-Schipa occupata di via Salvator Rosa. 40 persone, tra attivisti e nuclei familiari che li vivevano, sono state sorprese nella notte e sono uscite dopo una trattativa di 30 minuti. Ciò malgrado sono state deportate in questura dove sono state denunciate per "invasione e occupazione di edificio". In questo momento, mentre gli occupanti escono dalla questura dopo le identificazioni, attesi da un presidio di altri compagni, stanno murando l'ingresso della Skipa e con esso i nostri sogni, il nostro lavoro, la ludoteca che partiva martedi (qualcuno lo spiegherà ai bambini!), la sala cineforum dove già si erano fatte le proiezioni in questi giorni ecc.
Abbiamo saputo che contemporaneamente è stata sgomberata Casapound a Materdei. 4 i fascisti che sono stati fermati. Delle due l'una: o hanno concordato lo sgombero o l'esiguità delle presenze rivela chi con l'occupazione rispondeva a un bisogno sociale e chi invece ne faceva una speculazione politica di estrema destra. Gli Schifone, i Taglialatela, i Santoro, rappresentanti istituzionali di una destra che quando le fa comodo sostiene di fare abiura del fascismo, dovrebbero spiegarci se l'appoggio e il sostegno concreto e continuo a un'organizzazione che per statuto si propone di "innovare e rinverdire l'eredità del fascismo" è semplicemente nostalgia per il loro passato di "camerati" o altro...
Noi non accettiamo in nessun modo questa equiparazione tra chi fa parte di una tradizione di esperienze e di autogestione a scopo sociale (che comprende non solo i centri sociali, ma gli occupanti casa, i movimenti dei disoccupati, perfino esperienze religiose ecc) e un gruppo sparuto di persone che punta a insediarsi a Napoli in strutture pubbliche per riprodurre le pratiche neofasciste, xenofobe e razziste di cui si sono resi protagonisti in tutta Italia! Con modalità squadriste e agguati che già abbiamo imparato a conoscere... Oggi il comune di Napoli e le altre istituzioni citttadine hanno compiuto un grave errore di pavidità culturale e politica. Una responsabilità anche per il futuro. Crediamo che la città debba schierarsi su questo, perchè ne va del grado di civiltà stessa della vita sociale.
Non ci fermeremo! i nostri progetti nel quartiere Materdei e a Salvator Rosa andranno avanti. Il bisogno di casa e socialità represso alla ex-Schipa troverà presto nuovi luoghi di espressione... Venerdi saremo nella manifestazione contro la repressione e l'autoritarismo indetta da un ampio arco di forze anche in difesa degli spazi occupati e che simbolicamente partirà proprio da Materdei. Stiamo infine organizzando la mobilitazione per il 12 dicembre, anniversario della strage di piazza Fontana e data simbolo di denuncia delle trame stragiste portate avanti dal neofascismo e dai servizi segreti in Italia! Difendiamo il futuro: Nessuno spazio ai fascisti e ai razzisti nella nostra città.

1 dicembre 2009
Rete napoletana contro il neofascismo, il razzismo e il sessismo
da www.infoaut.org


Bologna: Corteo antifascista, arrestati 3 compagni
Alle 19 di sabato [12 dicembre] un nutrito gruppo di antifascisti si è trovato in via Riva Reno nei pressi della sede di Forza Nuova per contrastare l’iniziativa di un concerto fascista organizzato nel centro di Bologna e per provocazione proprio il 12 dicembre, a 40 anni dalla Strage di Piazza Fontana e dall’uccisione di Pinelli nei locali della questura di Milano. La polizia e i carabinieri, in tenuta antisommossa e con un numero esagerato di camionette, schierati come se dovessero presidiare la zona rossa del G8 difendevano i loro amici che intanto facevano il saluto romano ben protetti e sicuri di non essere raggiunti. Quando è arrivata la notizia che il concerto non lo avrebbero più fatto, un gruppo si è spostato nelle vie del centro per dire alla città che non può essere accettata così senza fiatare la presenza di queste merde.
In via Marconi il corteo è stato attaccato dagli sbirri che nel frattempo avevano ricevuto rinforzi. Tre compagni sono stati buttati a terra e ammanettati. Poi è iniziata una caccia all’uomo che è arrivata fino in via Indipendenza dove altri quattro sono stati fermati. Tutti e sette sono stati portati in questura dove i quattro modenesi, fermati in via Indipendenza, sono stati rilasciati dopo qualche ora, mentre Nicu, Robbi e Andrea sono stati arrestati con l’accusa di lesioni e resistenza. Un presidio solidale è stato improvvisato sotto i locali della questura. Lunedì ci sarà o l’udienza di convalida degli arresti o il processo per direttissima, si riservano di dirlo entro domenica sera.
Solidarietà agli arrestati.

da emiliaromagna.indymedia.org

Martedì 15 si è tenuta l’udienza di convalida. È stato confermato il carcere per Nicu e per Robbi. Andrea invece è ai domiciliari. I capi d'imputazione sono: resistenza aggravata, lesioni aggravate, danneggiamento aggravato, manifestazione non autorizzata e lancio di oggetti pericolosi.


Pisa: Nuova occupazione di Prendocasa in città
Ad un anno dalle prime occupazioni un altra famiglia ha trovato casa. L'alloggio sfitto si trova in via Rainaldo, a due passi dal viale delle Piagge. Già in mattinata vi è stato un primo contatto con la proprietà. Si allunga la scia di riappropriazioni che sembra diffondersi sempre più tra precari, migranti e studenti. Nel quartiere è stato diffuso un volantino in cui si spiegavano le ragioni dell'occupazione.
"Cari vicini, come in ogni buon rapporto di vicinato abbiamo ritenuto necessario presentarci. Siamo i nuovi abitanti di un appartamento rimasto sfitto per anni in questo quartiere, di proprietà di una nota famiglia di imprenditori pisani. La nostra occupazione si inserisce in un progetto autorganizzato che abbiamo chiamato “Prendocasa”, a cui partecipano studenti, lavoratori precari e migranti, che si trovano nell'impossibilità materiale di pagare un affitto.
Molti di noi hanno contratti di lavoro a termine, altri sono disoccupati, altri ancora hanno un posto di lavoro messo in pericolo dall’aggravarsi della crisi economica. Non stiamo drammatizzando quella che pensiamo sia una situazione nota a tutti voi. A Pisa esistono centinaia di case vuote e abitabili, lasciate a marcire per anni senza che vengano né vendute né affittate. Ed è proprio questo impressionante numero di case vuote che determina l’impennata dei prezzi nel mercato degli affitti: se la domanda è alta e l’offerta è scarsa è chiaro che il prezzo sale. È una delle più crude leggi di un mercato selvaggio, che calpesta uno dei diritti fondamentali delle persone: quello ad avere un tetto sopra la testa.
A chi si chiede perché non ci rivolgiamo al Comune, per avere una casa popolare, chiediamo di collegarsi al sito dell’amministrazione e di controllare quante sono le famiglie reputate idonee ad ottenere la casa popolare e quale percentuale di esse la ottiene veramente: è una quantità irrisoria e anche chi risulta assegnatario spesso è costretto ad aspettare mesi e mesi prima di entrare nella casa che gli spetta di diritto. E non ci aspettiamo certo che la situazione migliori. In questo momento di crisi, la risposta dei governi e delle amministrazioni locali è sconcertante: tagli all’istruzione, tagli ai servizi, tagli all’edilizia popolare.
Mentre le Banche o Alitalia si restaurano le finanze con i nostri soldi, chi sta pagando questa crisi siamo proprio noi, lavoratori, studenti, migranti, quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese. Bene: noi questa crisi non la vogliamo pagare ed è per questo che abbiamo deciso di sottrarre spazi alla speculazione immobiliare, riappropriandoci di un bene fondamentale come il diritto all’abitare. Vi salutiamo, invitandovi a contattarci per qualsiasi dubbio o perplessità.

La famiglia della porta accanto
6/12/2009


Sulla manifestazione antirazzista a Coccaglio (Bs) del 28/11
Il comune di Coccaglio (Brescia) conta una popolazione residente totale di circa 7.000 persone in cui devono essere comprese 1.500 persone immigrate.
Nella ventina di aziende qui attive, metalmeccaniche, mobilifici, cantine ecc., lavora anche la folta immigrazione. Questa posizione dà all'immigrazione coesione e forza politica che si è espressa anche contro la tentata "pulizia etnica". Di seguito riportiamo qualche antefatto da fonti giornalistiche, che può aiutare a capire il clima in cui è nata la manifestazione.
Il comune di questo paese, all'inizio di novembre, avvia l'operazione 'White Christmas' (natale bianco). Secondo l’ “ordinanza comunale”, fino al 25 dicembre i vigili urbani dovrebbero andare a casa di circa 400 persone immigrate, revocando la residenza a chi, fra queste, dovesse avere il permesso di soggiorno scaduto da sei mesi e non abbia avviato le pratiche per il rinnovo, "se non dimostra di averlo fatto, la sua residenza viene revocata d'ufficio".
Il 21 novembre nella vicina Rovato, una giovane coppia in un auto ferma in un posteggio viene aggredita. Nella colluttazione il giovane rimane a terra probabilmente colpito con un coltello; la sua ragazza cerca la fuga… pare certo che abbia subito uno stupro.
Il possibile aggressore sarebbe un giovane di nazionalità marocchina; regolare, con piccoli precedenti penali e a quanto pare senza lavoro.
25 novembre: Duemila in corteo a Rovato in solidarietà con le persone colpite dai fatti di venerdi notte. Ad aprire il corteo lo striscione "Ora basta". Nel corso della manifestazione una trentina di leghisti-fascisti, incappucciati, prima assalta, con tanto di bomba carta, un bar, picchia la barista (italiana) che cerca di chiudere la porta del bar e poi aggredisce due cittadini di origine kosovara.
Contro l'ordinanza del sindaco e la lettera scritta agli abitanti in cui li si invitava a tenere chiusi i negozi e a stare in casa sabato 28 (giorno della manifestazione generale) e nonostante i fatti di Rovato, sono state tenute due manifestazioni. L'una lunedì 23 novembre davanti al comune a cui hanno dato vita oltre cento immigrati del luogo, un gesto di protesta contrastato dai carabinieri; l'altra sabato 28, con partenza proprio dalla sede del comune, organizzata dalla CGIL di Brescia, soprattutto dalla FIOM (erano presenti anche suoi dirigenti nazionali), a cui hanno preso parte oltre 2.500 persone di ogni colore giunte da Brescia, dai paesi vicini, da Bergamo, Rovereto, Verona e Milano.

Un pugno di leghisti (una cinquantina), che si erano dati appuntamento nello stesso luogo, è scomparso sommerso dall'arrivo delle compagne, dei compagni, delle famiglie immigrate, dei giovani di ogni colore, tanti.
Caratteristica generale dell'appuntamento è stata la presenza di comitati o associazioni antirazziste, ecologiste, territoriali, unite nel respingere la "pulizia etnica".
"A Coccaglio vigili troppo zelanti e ‘gasati’ si esaltano fino a manifestare il loro desiderio di fare piazza pulita dagli immigrati. Questi dipendenti comunali eseguono decisioni della Giunta, applicano modalità comandate. La cattiveria minacciata dal ministro degli interni colpisce in modo indiscriminato persone per bene e le loro famiglie, li fanno sentire stranieri, cioè estranei, precari, non desiderati. E' il contrario di quello che si deve fare per creare comunità, corresponsabilità, convivenza." (dal volantino Cgil)
"Coccaglio è un paese dell'area produttiva bresciana che, come altri luoghi, è stato investito dalla crisi economica. Molti immigrati hanno perso il lavoro e cercano disperatamente di trovarne un altro. I rastrellamenti hanno lo scopo di scovare chi, avendo perso il lavoro da più di sei mesi non è riuscito a trovare un nuovo contratto regolare per rinnovare il permesso di soggiorno e quindi, per la legge Bossi-Fini e per il nuovo pacchetto-sicurezza, può essere espulso. " (dal volantino dell'Associazione Antirazzista "3 febbraio").
Il corteo combattivo, colorato e vivo, ha percorso per due ore le strade del paese, fermandosi negli incroci per ribadire le proprie ragioni. Davanti c'erano gli impianti più potenti, dietro i megafoni dei singoli comitati ecc., tamburi, trombe. Fra i tanti striscioni contro la politica del governo riservata a lavoro, immigrazione, territorio, casa, sanità… uno, "Giù le mani dalle donne", portato da donne di diversa etnia, ha attratto tanta attenzione. Da uno di questi spezzoni è stata espressa con bella ironia una critica al governo, al sindaco mediante il canto di un pezzo dell'inno di Mameli seguito da "Siamo tutti clandestini".
La giornata si è conclusa nella piazza maggiore del paese, dove si sono succeduti oltre dieci interventi. Questi, spazianti dall'umanesimo fino all'unità di classe, hanno avuto in comune il proposito di "non lasciare la città in mano ai leghisti ", di respingere la discriminazione razziale che "ha già passato il limite". Ciò non tanto e solo nei fatti di Rovato e di Coccaglio, ma piuttosto nel proposito del governo di tagliare la cassa integrazione a lavoratrici e lavoratori immigrati: cominciano da noi poi dal sud, dal centro, dal nord, infine arriveranno a colpire anche lavoratrici, lavoratori padani, leghisti… L'appello è stato inequivocabile: dobbiamo rispondere uniti nella lotta.
Diversi interventi, soprattutto di donne immigrate, hanno naturalmente condannato lo stupro di Rovato, assieme però alla sua strumentalizzazione politica che mira a colpire particolarmente le persone immigrate. Qui è stata ricordata la solita prassi di due pesi e due misure. Pochi anni fa il caso di un sindaco della zona, finito sotto processo perché accusato di violenza sessuale, venne messo a tacere in breve. Lui se la cavò con il patteggiamento. In un altro intervento il territorio bresciano di oggi è stato paragonato all'Alabama di ieri con i suoi Klu Klux Klan… ebbene, oggi in Alabama diverse città sono governate da sindaci neri… allo stesso modo "Rovato, Coccaglio fra qualche anno avranno sindaci africani"…
In un intervento un compagno ha ricordato quanto avviene nei CIE, in particolare a Corelli, dove arresti, torture, tentati stupri, processi a chi dentro lotta contro le leggi discriminanti (razziali) dello stato, sono realtà quotidiana.

Milano, novembre 2009


FRANCIA: CONTINUA E SI ESTENDE LO SCIOPERO DEI SANS PAPIERS
Lo sciopero del lavoratori sans papiers si estende. È iniziato il 12 ottobre con 3.000 scioperanti, oggi ne raggruppa oggi 4.600, con documenti alla mano. Il movimento coinvolge una cinquantina di località, in cui si organizzano «picchetti», raggruppati secondo le principali categorie, dove il lavoro «in nero» è importante: pulizie, sicurezza, edilizia e lavori pubblici, ristorazione e attività interinali. I lavoratori delle agenzie interinali sono presenti in tutti i settori e si sono organizzati in questo modo: assemblee quotidiane con molte centinaia di partecipanti, comitati di sciopero di circa 80 delegati per picchetto, per meglio resistere ai padroni delle agenzie interinali e delle imprese utilizzatrici, che si passano la patata bollente della loro assunzione illegale. Per tutte le categorie, il movimento è strutturato con delegati eletti secondo la località, che si riuniscono regolarmente per decidere sul loro movimento.
La determinazione e il dinamismo dello sciopero nascono dagli stessi scioperanti. Certo, sono aiutati da alcuni militanti sindacali (della CGT innanzitutto, che già nel 2008 avevano preso l’iniziativa di un primo movimento, del SUD e della FSU, e il sostegno della CFDT e dell’UNSA) e da attivisti di alcune associazioni (Réseau Eduction Sans Frontière, Ligue des Droits de l´homme e altri).
L’attuale sciopero è il secondo atto di un movimento che ha avuto il suo esordio clamoroso nel 2008, con una prima ondata di scioperi di «lavoratori nell’ombra», che spesso vivono da anni in Francia, con busta paga e dichiarazione dei redditi, senza però alcuno status giuridico, senza assistenza sanitaria, spesso braccati dalla polizia e con il rischio di espulsione. Senza dimenticare quelli che lavorano completamente in nero, come molte donne, che fanno le badanti o le cameriere. Questi lavoratori si sono ribellati e, per il secondo round, ricorrono all’arma dello sciopero.
Il movimento del 2008 aveva costretto il governo a definire alcuni criteri di regolarizzazione, ma assai vaghi, miseri, e applicati secondo l’arbitrio delle prefetture. Non poteva durare. Di conseguenza, è sorto un nuovo movimento di lavoratori ancora più ampio, che vede in lotta i lavoratori più sfruttati e vulnerabili. E non è stata detta ancora l’ultima parola, malgrado il pesante silenzio del mondo politico, di coloro che a destra sono ai piedi di Sarkozy, a sinistra, a rimorchio dei socialisti.
Sarkozy ha escogitato una risposta minacciosa: ha preferito parlare di un’altra cosa, di voli charter che, con uno sforzo comune, diversi stati d’Europa potrebbero organizzare per rispedire i clandestini a casa loro.
Chiediamo scusa, non «voli charter», ma «viaggi di gruppo», che finti operatori turistici, di destra e di sinistra, la mano nella mano, organizzano di comune accordo! Come il governo inglese (di sinistra) e francese (di destra) hanno appena fatto, per rimandare una trentina di Afghani da Londra a Kabul, con scalo a Roissy (Parigi) per imbarcarne altri tre.
Mentre Sarkozy tergiversa e mena il can per l’aia, i padroni s’inquietano: lo sciopero paralizza i cantieri edili, i centri di ristorazione e di pulizie, e tutto il settore interinale, che non ha mai conosciuto uno sciopero simile. Per questo, la parola è lasciata alla polizia, che evacua i centri occupati. Ogni giorno, avvengono da 2 a 5 espulsioni. Senza però intaccare l’efficacia dello sciopero e la determinazione degli scioperanti, che trovano il modo di alloggiare altrove! Il governo dovrà cedere.
La lotta dei lavoratori sans papiers merita il nostro sostegno.
È necessario che il loro sciopero vinca, che siano regolarizzati - come tutti sans papiers che di fatto appartengono al mondo del lavoro. Lottano perché il padronato non possa impunemente utilizzare la loro situazione, per abbassare le condizioni salariali e di lavoro di tutti i lavoratori. I sans papiers agiscono nell’interesse di tutta la loro classe lavoratrice.

10 NOVEMBRE 2009
- Editoriale del bollettino di fabbrica «L’Etincelle» pubblicato dalla frazione di minoranza di Lutte Ouvrière - 2 novembre 2009
- www.convergencesrevolutionnaires.org, traduzione e segnalazione a cura di Michele Basso


AGILE, ex EUTELIA
COME LICENZIARE 9.000 PERSONE SENZA CHE NESSUNO SE NE ACCORGA!
E’ iniziato il licenziamento dei primi 1.200 lavoratori di OLIVETTI-GETRONICS-BULL-EUTELIA-NOICOM-EDISONTEL TUTTI CONFLUITI IN: AGILE s.r.l. ora Gruppo Omega
Agile ex Eutelia è stata consegnata a professionisti del FALLIMENTO.
Agile ex Eutelia è stata svuotata di ogni bene mobile ed immobile.
Agile ex Eutelia è stata condotta con maestria alla perdita di commesse e clienti.
Il gruppo Omega continua la sua opera di killer di aziende in crisi, l’ultima è Phonemedia 6.600 dipendenti che subirà a breve la stessa sorte.
Siamo una realtà di quasi 10.000 dipendenti e considerando che ognuno di noi ha una famiglia, le persone coinvolte sono circa 40.000 eppure nessuno parla di noi.
Abbiamo bisogno di visibilità Mediatica, malgrado le nostre manifestazioni nelle maggiori città italiane (Roma – Siena_Montepaschi – Milano – Torino – Ivrea – Bari – Napoli – Arezzo) e che alcuni di noi sono saliti sui TETTI, altri si sono INCATENATI a Roma in piazza Barberini, nessun Giornale a tiratura NAZIONALE si è occupato di noi ad eccezione dei TG REGIONALI e GIORNALI LOCALI.
NON siamo mai stati nominati in nessun TELEGIORNALE NAZIONALE perché la parola d’ordine è che se non siamo visibili all’opinione pubblica il PROBLEMA NON ESISTE.
Dal 4-Novembre-2009 le nostre principali sedi sono PRESIDIATE con assemblee permanenti.
Se sei solidale con noi INOLTRA QUESTA MAIL ad almeno 10 amici nei prossimi 30 minuti, non ti costa nulla, ma avrai il ringraziamento di tutti i lavoratori e le Lavoratrici di Agile ex Eutelia che da mesi sono senza stipendio.
Altrimenti questa azienda morirà.

Le Lavoratrici e i Lavoratori di Agile s.r.l. – ex Eutelia
Venerdì, 13/11/2009


Arese: La Fiat conferma la deportazione
dei lavoratori e delle produzioni
I lavoratori non chineranno la testa! SARA’ LA LOTTA A DECIDERE.
Aspettiamo che le istituzioni battano un colpo.
Aspettiamo che la magistratura e le toghe rosse aprano i capitoli nascosti su questo grosso scandalo a cielo aperto. La chiusura dell’Alfa Romeo di Arese e la sua deportazione a Torino, oltrechè per i lavoratori e’ uno SFREGIO per tutta MILANO; se continua così ci porteranno via anche la Scala.
Lapo Elcann e tutta la famiglia Agnelli si preparano a festeggiare a Milano – sponsor Formigoni, Moratti e Podestà - il centenario dell’Alfa Romeo.
Se pensano di banchettare sulla pelle di 1.000 lavoratori di Arese buttati sulla strada si sbagliano di grosso ed li consigliamo di cambiare programma.
Ad Arese vogliono solo speculare con Expo 2015 sulla enorme area di 2 milioni e 350mila mq.
Altro che alberghi di lusso, ville con piscina e il centro commerciale più grosso d’Europa!
IL BISCIONE DEVE RIMANERE AD ARESE
Lo Slai Cobas e i lavoratori dell’Alfa si opporranno con la lotta e con tutte le loro forze contro la chiusura di Arese.
Venerdì alle ore 9.30 una prima iniziative di lotta alla portineria sud ovest;
lunedì prossimo alle 9.30 assemblea e iniziativa di lotta di tutti i lavoratori e sindacati dalla portineria centrale dell’Alfa;
7 dicembre manifestazione alla Scala.

Arese, 18 novembre 2009 Slai Cobas Alfa Romeo

***
QUANDO LA MERDA DEBORDA
ARESE: ALFA ROMEO KAPUT
Dopo trent’anni di manfrine, l’Alfa Romeo di Arese chiude. L’ultimo rimasuglio, il Centro Stile, va a Torino. I lavoratori, a casa.
Questo è l’esito di una logorante vicenda, in cui si sono sparate, a danno dei lavoratori, tutte le possibili balle: prima il nazionalismo italiota (contro la Ford) poi il campanilismo meneghino (contro i «torinesi»), passando per la balla spaziale dell’auto ecologica del Furmiga. E molti si son fatti infinocchiare (anche grazie a Cgil e Fiom), mentre Arese passava da 16mila lavoratori alle poche centinaia di oggi, contando anche i cassintegrati.
Sulla vicenda, Corrado Delle Donne dello Slai-Cobas – afferma: «[...] l’Alfa Romeo è stata regalata alla FIAT a suon di tangenti, e Torino, dopo aver incassato 2 mila miliardi per Arese a fondo perduto vuole chiudere tutto». Secondo Delle Donne, «al danno si aggiunge la beffa, perché Fiat se ne va da Arese ma lascia a comandare l’area un suo ex manager, Luigi Arnaudo [presidente del CdA di Immobiliare Estate sei, la società proprietaria dei 2milioni e 300mila mq dell’area dell'Alfa Romeo di Arese]».
Mercoledì 18 novembre, nel corso della manifestazione dei lavoratori superstiti dell’Alfa di Arese davanti alla sede di Assolombarda, è stata posata la riproduzione di un bonifico da 4 miliardi di lire eseguito l’11 marzo 1992 da Credito Italiano alla Banque Internationale de Luxembourge a favore del cliente 'Gabbiano'. «Quel Gabbiano – ha spiegato Delle Donne - era Bettino Craxi e l’assegno fu staccato da Cesare Romiti perché l’Alfa venisse ceduta alla FIAT, anziché alla Ford».
Ricordiamo alcuni passaggi di questa sporca storia, che è perfettamente al passo con l’attuale evoluzione del modo di produzione capitalistico, all’insegna delle più sfacciate speculazioni.
Nel 1986, l’IRI di Romano Prodi regalò alla FIAT l’Alfa Romeo, mandando a casa i signori della Ford , che la stavano comprando, a suon di dollari. Lo stabilimento maggiore (più di due 2milioni di mq) era quello di Arese (Milano), che allora contava circa 16mila lavoratori. Via via la produzione di automobili e quindi l’occupazione sono andate scemando, per cessare del tutto nel 2005, grazie a una strategia di tagli, scorpori e delocalizzazioni, che ha visto la FIAT disattendere sistematicamente accordo su accordo. Attualmente, i lavoratori sopravvissuti ad Arese, meno di un migliaio, tra una cassa integrazione e l’altra vengono occupati in attività sostanzialmente occasionali, tra cui il centro ricerca e sviluppo design di FTP Powertrain Technologies. Nel frattempo, la FIAT ha congelato la realizzazione del Centro Direzionale. L’area è ormai matura per la speculazione immobiliare.
D’altro canto, nell’attività di FIAT Group, oggi l’automobile rappresenta ormai poco meno del 50%, coinvolgendo poco più di un quarto (55mila), dei 198mila dipendenti complessivi. In espansione, è il settore delle macchine per l’agricoltura e le costruzioni, dove sussistono possibilità di guadagni, legati alle speculazioni fondiarie e immobiliari, in cui FIAT Group è ben presente, grazie alla IFI (Istituto Finanziario Industriale), oggi EXOR Group, nato il 1° marzo 2009, proprio quando prendevano corpo le trattative per Chrysler.
Con 18mila dipendenti, EXOR Group è la vera holding operativa di FIAT Group. Per curiosità, nel consiglio di amministrazione di EXOR Group, in carica dal 7 luglio 2009, non appare Sergio Marchionne, ritroviamo invece tutta la vecchia cosca sabauda di corso Marconi. Da sempre, addetta Speculazioni & Affini.

Milano, 19 novembre 2009
dinoerba@libero.it


INVITO DAGLI OPERAI DELLA INNSE
Sabato 5 dicembre 2009, ore 15
Sala biblioteca via Valvassori Peroni 56 - Milano Lambrate

ASSEMBLEA PUBBLICA
Con una delegazione degli operai della INNSE
- La grande crisi travolge fabbriche e operai.
- La resistenza operaia. I suoi mezzi e i suoi risultati.
- L’emergere di un nuovo sindacalismo.
- La ripresa di una mobilitazione collettiva attorno alla centralità operaia.
- Le multe e le denunce non intimoriscono gli operai e non spezzano la solidarietà militante.
- Il partito operaio alla INNSE, il partito operaio a Milano.
(E’ anche possibile trovarsi davanti alla INNSE via Rubattino 81, per le 14,45 dopodichè ci si sposterà in via Valvassori Peroni 56 per l’assemblea).

I “gruisti” della INNSE
Milano, 25 novembre 2009