indice n.46

iraq:elezioni con l’occupazione
due Lettere dal carcere di Rossano calabro (CS)
lettera dal carcere di vigevano
sul processo a Milano per "terrorismo internazionale"
Lettera dal carcere di Nuoro
Da una lettera dal carcere di Opera (milano)
Lettera dal carcere di Carinola (CE)
due Lettera dal carcere di Poggioreale (napoli)
due Lettera dal carcere delle Vallette (to)
da una Lettera dal carcere di Viterbo
Cremona: presidio a Cà del Ferro
Milano: presidio sotto san vittore
lettera dal carcere di san vittore (mi)
PROCESSO AL SUD RIBELLE
Solidarietà dal carcere di Alessandria
27 maggio: udienza preliminare per gli indagati del 10 giugno
Milano: sul processo di appello per l'"Operazione Tramonto"
nuoro: cominicato di solidarietà e sull'esito del processo
tre Compagni baschi arrestati a Roma
Perugia: Comunicato sull'arresto di Michela del 10/4/10
firenze: Ancora Repressione nelle scuole
Bella ciofeca!
Pasquale libero
Cronologia dei principali fatti avvenuti nei CIE
Modena 19/06/2010: Corteo contro cie
roma: comunicato di un gruppo di detenuti a ponte galeria
napoli: A BOSCOREALE LA POLIZIA CARICA I MANIFESTANTI
L'Aquila 17 giugno 2010
Atm: assunzioni, straordinari …licenziamenti
Milano: gli operai Mangiarotti occupano la direzione
Dalla Polonia, una lettera ai lavoratori FIAT
Milano: Altissima l'adesione allo sciopero degli scrutini
Dopo la Grecia brucia anche la Romania



iraq: Elezioni con l'occupazione
Il voto del 7 marzo viene festeggiato dal parlamento iracheno. Per la potenza occupante Usa e per la resistenza, al contrario, è cambiato poco.
Tanti commentatori occidentali hanno reagito con entusiasmo alle recenti elezioni politiche in Irak. Tutti, sulla base della partecipazione, 62% degli aventi diritto al voto, hanno visto consolidata la democrazia in Irak.
Taluni, come Jan Ross sulla Die Zeit dell'11 marzo, adesso vedono persino George W. Bush, Dick Cheney, Tony Blair e gli altri ispiratori della guerra completamente nel giusto. Al contrario, lo sceicco harith Al-Dari, segretario generale dell'influente associazione degli scrittori (AMSI) e portavoce ufficiale di un'ala significativa della resistenza militare, ha definito le recenti elezioni per il parlamento in Irak come "mezzo per giustificare l'occupazione e per confermare l'egemonia Usa sull'Irak." I recenti sviluppi provano che in nessun caso la via seguita porta alla ricostruzione di uno stato sovrano. Il processo politico è ancora contrassegnato da criteri etnici-confessionali e non condurrà al ritiro degli Usa.
Nei fatti le recenti elezioni sono state segnate da innumerevoli manipolazioni, da una rafforzata repressione, dall'esclusione di candidati e dall'uccisione di avversari politici. Tuttavia i risultati elettorali sono stati riconosciuti sul piano internazionale ed hanno conseguenze considerevoli sull'ulteriore sviluppo del paese. Quest'ultimo appuntamento elettorale, per tanti avversari dell'occupazione, è stato motivo per prendervi parte. Anche la resistenza questa volta volta non ha lanciato un appello al boicottaggio.
Mentre la partecipazione alle votazioni in generale diminuisce, nelle province in cui la resistenza è forte invece essa è stata superiore alla media. Segno che in tanti sperano di sconfiggere attraverso il voto il regime settario imposto dagli Usa e di poter giungere presto a mettere fine all'occupazione. Se gli Usa dovessero mantenere l'impegno di ritirare le proprie truppe entro la fine del 2011, la nuova amministrazione si trasformerebbe in un governo di transizione.
I voti dell'opposizione si sono concentrati sul laico "Movimento Nazionale Iracheno", Al-Irakia, un'alleanza elettorale formata dal partito dell'ex primo ministro Jiad Allawi e dai partiti nazionalisti, che si incontrano nella più o meno radicale opposizione all'occupazione. Questa alleanza fra i più stretti alleati di un tempo degli Usa, fra l'altro corresponsabile nei devastanti attacchi su Falluja dell'aprile 2004, non è sicuramente ben vista da tanti avversari dell'occupazione, in ogni caso pare avere successo. Nonostante le numerose manipolazioni, le sono stati agiudicati la maggior parte dei seggi. Dei 325 seggi parlamentari ne ha conquistati 91, ponendosi così immediatamente davanti alla "Coalizione dello stato di diritto" che ne ha avuti 89. In ogni caso e molto poco probabile che Allawi diventi il nuovo presidente del Consiglio.
Siccome la "Alleanza Nazionale Irachena" (INA), sciita, ha acquisito 70 seggi e la "Alleanza Kurda" 43, se i partiti di governo si fossero presentati con una sola lista avrebbero raggiunto la quota di 200 seggi e messo al sicuro una maggioranza sufficiente. Il fatto è che dei 70 seggi acquisiti dall'INA soltanto 17 toccano al Consiglio Islamico Supremo (ISCI), il secondo partito di governo sciita, mentre 39 seggi appartengono alla multiforme alleanza del movimento anti-americano guidata dall'esponente religioso Muqtada Al-Sadr. Fino ad ora questa alleanza ha escluso il sostegno ad un secondo governo Maliki ed inoltre, per una partecipazione al governo, mette avanti difficilmente digeribili, fra cui la pressione su Washington per accelerare il ritiro delle truppe Usa e per non fare concessioni ai kurdi. Senza questi presupposti, con particolare attenzione a respingere le rivendicazioni avanzate dai partiti kurdi dell' "Alleanza Kurda", PUK e KDP, relativamente alla regione petrolifera di Kirkuk, difficilmente un governo Maliki potrà prendere il largo. Poste queste considerazioni e senza perder tempo, i vertici dei partiti sciiti e kurdi hanno già avviato negoziati con Teheran, dove, scrive il giornale arabo Al-Hayat non corrono nessun pericolo di essere ascoltati dagli spioni americani.
Nessuna combinazione di partiti è da escludere. Una solida alternativa all'attuale governo potrebbe risultare possibile soltanto da un'alleanza fra Al-Irakia e il movimento di Al-Sadr. Dal punto di vista dei contenuti fra i due movimenti c'è una forte concordanza, ma l'avversione dei seguaci di Sadr nei confronti dei nazionalisti sunniti, un tempo combattuti come "baasisti", è troppo profonda, rende inimmaginabile una coalizione stabile. Presumibilmente i negoziati andranno per le lunghe, diversi accordi e la dovuta energia della potenza occupante vanno nella direzione di affidare il governo ad una coalizione corrispondente ampiamente a quella al governo precedente, però rafforzata da altre alleanze elettorali. Una riedizione di un governo kurdo-sciita potrebbe far esplodere la rabbia dei suoi avversari in proteste violente, che potrebbero intensificarsi rapidamente. Tanti, probabilmente, non abbandoneranno le proteste verbali e non credono che la resistenza armata aumenterà.

3 aprile 2010
da www.jungewelt.de


due Lettere dal carcere di Rossano calabro (CS)
Gentile associazione Ampi Orizzonti e carissimi amici e amiche vi ringrazio per gli opuscoli. Finalmente ho ricevuto un po' di notizie, perché per parecchio tempo sono rimasto senza informazione, perciò ancora una volta vi ringrazio e vi auguro ogni bene (buona salute).
Siamo stati trasferiti da poco qui in una sezione di isolamento. Come sezione è tranquilla, ma stiamo aspettando i nostri diritti, Chissà quando arriverà l'ok del dap, spero fra poco… Vi auguro ottima salute, il vostro amico Khaled

11 maggio 2010
Serai Khaled, Contrada Ciminata Greco 1 - 87068 Rossano Scalo (Cosenza)

***
Egregi responsabili dell'Associazione Ampi Orizzonti, sono felice di scrivervi dopo un'esperienza orribile nel carcere degli americani di Bagram in Afghanistan [60 km nord-est di Kabul, ndc]. Mi chiamo Mezzani Moez Ben Abdelkader (alias Abu Nasim), sono sposato con un'immigrata afgana in Pakistan.
Il carcere di Bagram si trova in una base americana dentro un aeroporto. Voglio raccontarvi della mia prigionia di 7 anni in quel carcere. Ero legato al muro con i ferri, come i gladiatori romani, ricoperto dal suono della musica rock 24 ore su 24. Sono stato arrestato a Peshawar [città del Pakistan situata a nord nei pressi del confine con l'Afghanistan, ndc] e venduto agli americani come uno schiavo. E' stata una brutta esperienza. Aspetto la vostra risposta se volete conoscere tutta la mia storia, per non dimenticare.
Sono qui in Italia in ragione del trattato dell'Europa con l'America. Normalmente non dovrei trovarmi in carcere perché ho diritto all'Asylum Political, perché dopo 7 anni nell'inferno di Bagram sono stato considerato innocente. Ho tanto da raccontarvi.
Il vostro povero amico Moez (alias Abu Nasim) che si sveglia sempre alle 2 per parlare da solo come un pazzo a causa delle torture subite. Ciao

30 maggio 2010
Fezzani Moez Ben Abdelkader (Abu Nasim),
Contrada Ciminata Greco 1 - 87068 Rossano Calabro Scalo (Cosenza)


lettera dal carcere di vigevano
In nome di Dio compassionevole e misericordioso, un saluto a quelli sulla retta via.
Ho ricevuto la vostra lettera oggi al carcere di Vigevano, grazie moltissimo per tutto. Soprattutto per la vostra risposta veloce alla mia lettera. Noi siamo un gruppo [processati a Bologna, ndc] che a partire dal 26 aprile siamo al carcere di Vigevano e ci rimarremo fino al 20 maggio, poi verremo trasferiti in Sardegna perché all'ultima udienza hanno rinviato il processo al 16 giugno, se volete presentarvi siete i benvenuti.
Grazie a Dio l'ultima udienza del 5 maggio è passata bene, ci hanno interrogato e abbiamo cercato di difenderci e ci appoggiamo a Dio. Mi avete chiesto a proposito delle cure che ho ricevuto a Macomer. Veramente nell'ultimo periodo per causa del nostro trasferimento dalla Sardegna a Milano, non ho potuto ricevere l'autorizzazione da parte del magistrato per andare all'ospedale a Macomer o a Vigevano, per questo sono rimasto in carcere e continuo a prendere gli antidolorifici. A me serve una lastra o una visita chirurgica (purtroppo è andata così). Infine se potete tradurre dall'arabo all'italiano la lettera, mandatemela a Macomer.
Accettate i miei saluti, arrivederci e alla prossima lettera.

Chabchoub Mohamed
Vigevano, 13 maggio 2010


sul processo a Milano a un gruppo di persone della Tunisia
e dell'Algeria accusate di "terrorismo internazionale"
Continuiamo a dar conto del processo per “terrorismo” che si svolge a Milano. Riportiamo di seguito il resoconto di alcune udienze con l’avvertenza che, trattandosi degli appunti presi nel corso delle udienze, la lettura potrà risultare talvolta poco ovvia non potendo fornire tutti gli elementi necessari ad una visione d’insieme. L’intervento che riportiamo in fondo, di un compagno avvocato interno al processo, aiuta senz’altro a sopperire a queste mancanze.

Udienze 30a e 31a rispettivamente dell'11 e 18 maggio 2010
La presenza delle persone incarcerate è elevata, circa quindici (su 22).
Le udienze sono state entrambe quasi state interamente occupate dalle arringhe della difesa. Quasi, poiché è intervenuta, e per prima, la rappresentante della difesa del governo che appunto si è costituito come parte civile. Il governo o Consiglio dei Ministri ha chiesto ed ottenuto sin dalla prima udienza (3 aprile 2009) di costituirsi come parte lesa. L'avvocatessa che doveva svolgere questo compito ha adoperato, se possibile in maniera ancor più disincantata, i teoremi del pm.
Ossia: le persone inserite in questo processo sono state arrestate e processate in base all'art. 270-bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico), hanno rappresentato senz'altro un pericolo presunto contro lo stato. Il materiale loro sequestrato (cassette dedicate all'apologia del martirio, libri di carattere religioso, lettere…) assieme ai reati collegati (falsificazione di documenti, assistenza logistica…) al 270-bis hanno promosso l’immigrazione illegale, favorito il proselitismo, la propaganda e …destato allarme sociale. Il tenore delle conversazioni telefoniche e ambientali era criptico, forse volevano significare altro, proteggere, sottacere …le discussioni sui martiri in Irak, Afghanistan, sulla Jihad, sul califfato. Tutto ciò ha destato un clima, un turbamento sociale, creato allarme a cui lo stato ha dovuto far fronte con ulteriori risorse. Le indagini hanno permesso di accertare l'esistenza di un gruppo i cui membri aderivano ad un solo programma.
Come si capisce quella dell'avvocatessa dello stato è stata un'effettiva difesa delle guerre condotte dallo stato, una difesa contro chiunque solo le critichi o anche genericamente non le condivida. In questa difesa, pareva un ufficiale delle forze armate italiane, ha fatto proprio il carattere preventivo e criminalizzante del 270-bis, andando oltre le richieste del pm. Infatti oltre ad aderire alle richieste di quest'ultimo ha chiesto - come già accaduto nel processo al partito comunista politico-militare dello scorso anno - un risarcimento di 2 milioni di euro.
Talvolta, nella difesa degli imputati, gli avvocati si sono adoperati per mostrarne la condotta occidentale, per esempio, citando la scarsa frequentazione della moschea. Se è vero che questo comportamento può essere trasformato in una attenuante è anche vero che così si va incontro alla tesi dello stato relative all'islamico terrorista e, dall'accusato, di conseguenza, si esige un'abiura - neppure tanto velata.
Altri hanno messo in campo argomentazioni più solide.
E’ stato detto che diversi imputati sono stati pedinati, ascoltati, “attenzionati” dal 2003 e anche prima, fino al 2008, in quanto segnalati dai servizi segreti tunisini, in quanto già in carcere in Tunisia. La Tunisia è uno stato che la Corte suprema europea ha condannato, in particolare dopo il 2003, per grave violazione dei diritti umani, per confessioni strappate con la tortura, per sentenze emesse da tribunali militari.
Che qui in Italia diversi imputati hanno firmato i verbali degli interrogatori in italiano, lingua loro incomprensibile scritta e parlata, ma soprattutto dopo 6 mesi di isolamento in celle videosorvegliate.
Che il materiale delle diverse intercettazioni è stato tradotto con criterio sintetico e parziale, che è stato tradotto solo quanto ritenuto pertinente. Ciò non è accettabile perché non esistono le considerazioni contrarie.
Che il proselitismo è un'attività costante, quotidiana, ampiamente lontana dagli imputati, al pari delle discussioni fra loro sull'Irak ecc., episodi collocati nel passato, lontani dalla loro vita reale…
Che una persona presente nelle gabbie, è in carcere da oltre 2 anni per aver chiesto via telefono una bottiglia di Virgin Cool, interpretata dagli inquirenti come richiesta di “documenti vergini”…
Che un imputato in questo processo - nei cui confronti il pm ha chiesto 8 anni - è appena stato condannato in Francia a 5 anni per i medesimi reati (e a piede libero) e quindi, siccome non si può processare due volte una persona per lo stesso reato, questo processo, per questa persona, non ha fondamento…
Che dopo anni di indagini viene incolpato uno soltanto per aver dormito nella casa di un altro considerato il “capo” (il pm ha richiesto 5 anni); non una volta è partecipe dei dialoghi, non ci sono elementi di impegno, responsabilità, non frequenta la moschea. Sempre e soltanto interventi neutri, cioè dedicati ai problemi di casa, di lavoro, alla fidanzata coreana… Comportamenti umani di cui il pm si dimentica solo per partito preso.
27 maggio 2010, 32a udienza continuano le arringhe degli avvocati
In generale l'impostazione degli interventi degli avvocati è di dimostrare l'estraneità degli imputati rispetto al castello dell'accusa, di smarcarli cioè dal clichée dell' "islamico radicale". Quel che conta perciò è quanto e se fuma erba, beve birra, frequenta la moschea, conversa sulla jihad, quale opinione ha delle donne... Così in aula si è potuto sentire: "è un socialista di cultura francese, rispetta i diritti delle donne", "nelle perquisizioni non avete trovato nessun materiale ideologico", "nelle intercettazioni non parla mai d'altro che di lavoro, famiglia"... quindi "non essendoci nessun elemento di contributo allo schema associativo, men che meno a quello del 270-bis per cui è in carcere da 2 anni, ne chiedo l'assoluzione per non aver commesso il fatto".
In quanto alle falsificazioni dei documenti, se ci sono state, sono "opera di un sans papiér solitario per tentare di sfuggire all'espulsione".
Ci sono stati interventi che sono andati invece oltre l'arido innocentismo, presupponendo l'imputato come vittima o meglio come capro espiatorio per mascherare, manipolare e proseguire l'agire dei governi occidentali. Cioè, ci si trova di fronte a "processi segnati" dove però sono stati scaraventati “operai, uomini di fede” da anni in Europa.
“I governi occidentali non hanno portato la democrazia in Afghanistan, ma la guerra, il terrorismo. Nel mondo regna una pace assoluta, a parte dove siamo andati noi a bombardare. Non si può attribuire alle falsificazioni dei documenti, al denaro scambiato fra gli imputati per il sostegno famigliare, per l'amico in carcere, quel che non hanno voluto né potuto essere”. “La requisitoria del pm è completamente fondata sul sospetto, la congettura, la manipolazione dei fatti più semplici; non ci sono prove, riscontri logici, verificabili; essa è parte della ‘chiave di lettura’ sempre decantata dal pm secondo cui il gruppo di imputati è la ‘punta di un iceberg’. L'organizzazione del presunto viaggio in Irak dei 'martiri della libertà', attributita agli imputati, ha come unica prova una telefonata senza alcun riscontro reale. Chi vuole andare a combattere in Irak o in Afghanistan non può finanziarsi con le falsificazioni dei documenti, ha bisogno di altri sostegni e convinzioni. Se il ‘terrorismo islamico’ in Italia, dove non è accaduto nulla, dipende dal gruppo delle persone sotto processo qui, allora possiamo sentirci sicurissimi”.

17 giugno 2010, aula bunker di S. Vittore, 33a udienza
Continuano le arringhe degli avvocati, sono presenti appena due prigionieri.
Anche l'avvocato di Samir sviluppa la linea di difesa, mettendo in mostra l'inconsistenza delle accuse e la propaganda politica che si nasconde dietro la richiesta di condanna. In sintesi, di seguito, l'intervento dell'avvocato.
L'art. 270-bis, base dell'accusa, vieta progetti e comportamenti violenti effettivi, possibili; non punisce le idee probabili, i pensieri o i progetti, pur se "aberranti", non concretizzati. I progetti attribuiti alle persone qui sotto processo riguardano, in breve, il califfato e l'invio di persone in Irak. L'idea del califfato è collegata ad un ideale di società, con riferimenti ad un passato lontanissimo e ad un futuro immaginato ancor più che probabile. L'invio di persone in Irak per combattere non ha conferme reali. L'accusa si fonda su poche telefonate riguardanti un "colonnello" che dovrebbe andare in Siria; nulla però dice sull'identità di questo "colonnello", che cosa faccia, per quale ragione vada in Siria. In ogni caso, in Irak c'è un conflitto armato, ci sono forze occupanti che compiono bombardamenti, causando centinaia di morti fra la popolazione: opporre resistenza all'occupazione è persino giustificato dalle leggi internazionali. E non si può nemmeno accusare le persone qui sotto processo di "terrorismo" in quanto nei loro comportamenti come nelle loro comunicazioni essi condannano le bombe nei mercati, poiché essi auspicano l'unione fra sciiti e sunniti…
L'accusa, le sue fondamenta, il lungo verbale del colonnello Sandulli, non spiegano mai le ragioni delle proprie affermazioni, seguono il "metodo deduttivo proprio delle dittature". Il diritto penale non è un esercizio di "politologia", ma dimostrazione di un reato effettivo e sua punizione. Per esempio, negli atti dell'accusa la Tunisia viene citata 73 volte, mai però viene detta una parola su che cos'è questo paese. E' un paese democratico, laico? Il suo presidente-dittatore, è al potere da 24 anni, sempre eletto con maggioranza assoluta… Anni fa un giudice come voi (rivolto ai giudici popolari) ha espresso delle critiche verso questo sistema, prima è stato espulso dalla magistratura e, in seguito ad un richiamo dell'Unione europea, reintegrato. Dopo pochi mesi viene trovato morto; è stato comunicato a causa di un infarto. Quanti di questi casi sono avvenuti e avvengono in Tunisia? Cosa succede a chi si ribella a questa realtà dispotica? Alcune persone imputate qui apparterebbero ad "Ennhada" un movimento vicino ai Fratelli Musulmani a loro volta presenti nei parlamenti di Algeria, Egitto… una realtà nient'affatto "terrorista". Ciò è stato chiarito anche di recente da una critica rivolta da Al Qaida ai Fratelli Musulmani, considerati un movimento che "ha evitato di prendere posizione" sulle guerre in Irak e Afghanistan… Anche in questo caso per il colonnello Sandulli "non ci sono differenze… nella sua insalata russa di sigle". L'accusa riduce ogni movimento islamico ad Al Qaida, così "Hizb ut-Tahrir" (Partito della liberazione), qui citato più volte è assente persino dalla "Black List" dell'Onu - che tende a includere anziché a escludere - e di recente ha tenuto congresso… negli Usa!
Le richieste di pena del pm sono sicuramente influenzate dalle premesse di questa inchiesta e dalla sue aspettative - andate deluse. Non c'è prova, non c'è fatto, le persone sotto accusa non sono terroristi… vanno liberate.

Lunedì 21 giugno 2010, 34a udienza
In sostanza la linea difensiva dell'avvocato che ha preso la parola oggi ha ricalcato quella emersa nelle ultime udienze. E cioè: l'assenza totale di prove, fatti, capaci di sostenere le accuse di "associazione sovversiva finalizzata al terrorismo internazionale" (270-bis), "favoreggiamento dell'immigrazione clandestina", "reclutamento", "proselitismo"… Con minuziosità è stato smantellato il teorema dell'accusa fondato sulla miscelazione dei dati, sulla non trascrizione delle intercettazioni ambientali ecc. richieste dalla difesa. In tal modo, ad esempio, agli accusati sono state attribuite considerazioni totalmente arbitrarie; della loro vita spiata per anni è stato detto qualche particolare subito manipolato per esporre l' "islamico integralista", esistente solo nella testa dell'accusa. Linguaggio, comportamento, persone avvicinate, letture, canti, frequentazioni tutto spiato per 2,3,4 anni e a volte oltre, è sempre stato uguale dentro le abitazioni come fuori. Nulla di riconducibile all'attività clandestina, ancor meno al terrorimo.
Un andamento dell'udienza che ha fatto scattare la voce, non richiesta, del pm di turno, il procuratore capo Armando Spataro, cioè, una delle menti dell'accusa, con molta probabilità entrato in scena oggi per ammonire la corte a seguire la linea di guerra voluta dallo stato. Spataro per intervenire ha atteso che l'avvocato, dopo circa 3 ore di arringa, affrontasse il punto dell'invio del denaro in galera. Non poteva interrompere ed intromettersi, lo ha fatto, per dire che il denaro era inviato a prigionieri "condannati"; il presidente non lo ha zittito. Non era vero che il denaro fosse indirizzato a prigionieri "condannati", perché questi in quell'epoca erano stati assolti dalla famosa "sentenza Forleo" in seguito abbattuta da una sentenza della Cassazione.
Questa irruzione prepotente dell'accusa, voluta per “riportare ordine in aula”, fa capire quanto sia considerata importante dallo stato la condanna in questi processi. I quali soprattutto sono voluti per affermare la legittimazione della guerra saccheggiatrice, la riduzione del proletariato immigrato a figura di nemico allo scopo di cercare di tener diviso il proletariato tutto e così proseguire l'aggravamento delle sue condizioni di lavoro, di vita in generale in omaggio a monsieur Le Capital. Un tentativo che può essere vanificato soprattutto, assumendo con estrema concretezza, anche nella prassi quotidiana, l'internazionalismo.

Milano, giugno 2010

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IL GIUDICE E L'ISLAM
Le aule giudiziarie italiane, per lo più quelle milanesi, sono ancora occupate nella persecuzione dei militanti islamici. Non fanno più notizia e per tale ragione i mass media non se ne occupano. Non che gli arresti, e i conseguenti processi, non siano di per sé una notizia di rilievo ma è l'esito degli stessi che appare scontato e come tale privo di interesse.
Dopo i processi della prima metà del 2000 le indagini si sono indirizzate, a dire della Procura della Repubblica, ai fiancheggiatori delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica, ossia a coloro, sempre a dire della Magistratura inquirente, che hanno supportato l'attività terroristica.
I nuovi processi, e ancor prima le indagini, hanno riguardato effettivamente un maggior numero di soggetti. Le nuove inchieste, quelle iniziate negli ultimi tre anni, sono sostanzialmente tre: due a Milano oggi pendenti avanti alla Corte di Assise di Milano sezione 1^, dei quali uno in conclusione nel mese di giugno (a carico di Zarkaoui Imed, Ignaoua Habib, Abbachi Kamel, Dridi e altri) ed uno in fase iniziale e relativo alla nota esplosione alla Caserma milanese Santa Barbara. Il terzo è a carico di 4 persone delle quali due detenute ( Ilhami Rachid e altri) e pendente avanti alla Corte di Assise di Monza.
Come si diceva l'esito è pressochè scontato laddove l'approccio delle Corti di Assise, secondo una comprovata e unanime conferma della Corte Suprema di Cassazione, ha pressochè posto una sorta di equivalenza tra adesione al radicalismo islamico, ancorchè solo astratto e di principio, e ricorre4nza delle finalità sovversive e terroristiche. Dal punto di vista della logica giuridica una vera aberrazione come d'altronde facilmente intuibile anche alla luce della semplice ragionevolezza comune.
Ciò che si percepisce, in questi processi di fine decennio, è l'assoluta evanescenza delle accuse ancor prima che delle deduzioni di prova. Come dire che non è affatto immediata la comprensione di ciò che si contesta realmente agli imputati. Si ha l'impressione che neppure la Pubblica Accusa abbia chiara consapevolezza dell'illiceità che dovrebbe qualificare le condotte oggetto dei processi. Nei processi di inizio decennio, la materia del contendere, per così dire, era concreta, benché per lo più indimostrata, ed era connessa a presunte condotte di supporto logistico portato dagli imputati alle guerriglie afghane, irachene ed in generale alla più vasta offensiva islamista all'imperialismo occidentale. Il contendere era, appunto, la consistenza delle prove dedotte dalla Pubblica accusa. Nei processi attuali tutto questo manca. Agli imputati di oggi si addebitano aderenze generiche ad un modo di pensare. Una sorta di compiacenza degli stessi per il radicalismo islamico. Niente più. La paccottiglia probatoria dedotta dalla Pubblica Accusa sono per lo più rapporti di conoscenza, semplice conoscenza, tra gli imputati di oggi e quelli di ieri, quelli condannati nella prima parte del decennio in corso. L'aver simpatizzato con essi e, al più, aver solidarizzato con gli stessi durante la loro prigionia in Italia (invio di modesti importi in danaro ai detenuti, corrispondenza rituale e così via). Ciò che pare evidente è la volontà di punire i rapporti di solidarietà con i prigionieri islamici. Nell'esercizio della Difesa tecnica di questi imputati ci si scontra con l'indeterminatezza delle accuse ancor prima che con la fragilità delle prove. Eppure l'ordine di scuderia cui soggiace la Magistratura Giudicante appare quella della condanna a tutti i costi, anche a costo del ridicolo.
I processi iniziati nella prima parte del decennio sono giunti a definizione, ossia hanno esaurito tutti i gradi di giudizio, senza nessuna sostanziale modificazione. Ciò che emerge con evidenza è che le condanne degli islamici imputati sono state comminate con una gigantesca forzatura interpretativa delle norme che disciplinano i cosiddetti delitti politici (art. 270 bis c.p. e seguenti). Senza entrare nei tecnicismi possiamo affermare che i principi di diritto - di quel diritto borghese del quale da sempre evidenziamo la natura strumentale - hanno mostrato la loro estrema duttilità alle ragioni dello Stato. La tanto decantata solidità dei principi di diritto, quelli che dovrebbero fondare la civiltà giuridica delle moderne democrazie, svelano la loro inconsistenza. E con essa confermano i limiti insuperabili della difesa giuridica nei processi che hanno natura squisitamente, ed esclusivamente, natura politica.

giugno 2010
Avv. Sandro Clementi - Milano

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sentenza di cassazione vieta l’espulsione in Tunisia
Con la sentenza sentenza numero 20514 la corte di Cassazione ha negato l'espulsione in Tunisia di quattro immigrati condannati dalla Corte d'assise d'appello di Milano il 10 novembre 2008, per terrorismo e appartenenza a una cellula del gruppo salafita.
"Il governo italiano e tutte le istituzioni della Repubblica, compresi gli organi giurisdizionali nell'ambito delle rispettive competenze, e specificamente in materia di misure di sicurezza, il magistrato di sorveglianza", non possono ordinare il rimpatrio di immigrati tunisini che abbiano commesso reati in Italia, per i quali oltre alla condanna è prevista anche l'espulsione.
L'ordine di non rimpatriare gli immigrati verso la Tunisia è una "inibizione obbligatoria" diretta al governo italiano ed emanata dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, che l'ha comunicata alla rappresentanza permanente d'Italia presso il Consiglio d'Europa, con una nota trasmessa lo scorso 15 aprile.
Inoltre il divieto vale "fino a quando non sopravvengono in Tunisia fatti innovativi idonei a mutare la situazione di allarme descritta nella decisione della Corte europea dei Diritti dell'Uomo, tali da offrire affidabile e concreta dimostrazione di garanzia di pieno rispetto" del divieto di tortura. La misura dell'espulsione potrà, eventualmente, essere sostituita "con altra misura di sicurezza".
In Tunisia, viene praticata la tortura "spesso durante il fermo e allo scopo di estorcere confessioni", con tecniche di tortura che vanno "dalla sospensione al soffitto alle minacce di violenza sessuale, passando per le scariche elettriche, l'immersione della testa in acqua, le percosse e le bruciature di sigaretta".
Il verdetto della corte si riferisce in particolare al ricorso presentato da sei imputati di terrorismo di nazionalità tunisina, nei confronti di quattro dei quali era stato emesso l'ordine di espulsione al termine dell'espiazione della pena. La Cassazione ha comunque confermato la condanna per Arman Ahemed el Hissini Helmy (tre anni e otto mesi), Maaouy Lofti Ben Sadok (due anni), Ben Yahia Mouldi Ben Rachid (10 anni), Hekiri Hichem Nem Mohamed (cinque anni e sei mesi), Kneni Kamel (cinque anni) e Sahraoui Nessim Ben Romdhane (sei anni). Nei confronti di Sahraoui è stata annullata la condanna di primo e secondo grado, per errori nella dichiarazione di contumacia. Annullata con rinvio anche la condanna per Hekiri Hichem Nem Mohamed e per Knemi Kamel, per errori nella valutazione della prova. Per gli ultimi quattro imputati, alla luce di quanto detto sopra, l'espulsione non potrà quindi essere eseguita.

1 giugno 2010
Estratti da Il Secolo d'Italia


Lettera dal carcere di Nuoro
Eccomi compagni, ci sono anch'io!
Fresco di deportazione a Badu 'e Carros dal… [parola illeggibile, a noi] palermitano da dove sono stato allontanato per aver irritato con i miei proclami di lotta e di denuncia, la feudataria di quella cloaca di stato mafiomassoplutocratico.
Soltanto adesso scopro l'esistenza del vostro (nostro) opuscolo, il nr. 44 3/2010 passatomi da un compagno sardo. Sono supercontento di scoprire nuovi e vecchi focus di lotta. Io ci sono in quest'avanguardia da 53 anni (16 da prigioniero di stato), come fondatore della Fondazione Ernesto Che Guevara in Italia, come militante costituente del movimento antimperialista, anticlericale, anticapitalista, anti tutto ciò che rappresenta il criminale potere della bicefala cupola mafiomassoplutocratica mondiale.
Io lotto per un mondo senza più il cancro della piovra bancaria e teocratica, senza mura, prigioni, discriminanti e programmi di alienazione di massa, contro le multinazionali assassine, contro ogni tabù e sistema di controllo stuprante della libertà degli individui. Contro la robotizzazione che fa fuori l'uomo, contro la necropornografica cultura, contro l'8x1000 alla pedofila piovra, contro i cimiteri di lusso, contro la moda (sottovalutata mafia assassina…), contro tutto ciò che è veloce a danno del naturale ritmo.
Sogno e lotto per una umanità autogovernata dal biosocialismo di mutuo soccorso. Sogno la libertà da tutti quei fossati pseudo ideologici in cui fermenta nella paralisi mentale il fanatismo che i padroni hanno programmato per il "Dividi et impera", rendendoci fratricidi e prigionieri per la loro felicità. LIBERIAMOCI!!!
Lottiamo biosocialmente sani ovvero liberi per un rivoluzionario mutuo soccorso internazionale e permanente!
Un abbraccio a tutti i compagni, saluti libertari-guevariani-situazionisti, Peppe Fontana

www.prigioniero di stato.it; fontana@prigioniero di stato.it
PS: il mio sito è a disposizione, usatelo.

Nuoro, 29 aprile 2010
Giuseppe Fontana, via Badu 'e Carros 1 - 08100 Nuoro


Da una lettera dal carcere di Opera (milano)
Ciao a tutti, […] per 3 mesi quest'inverno ci hanno tolto anche il passeggio, solo 2 ore al giorno, una volta alla mattina e il giorno dopo al pomeriggio. La causa, ci hanno detto, era che dovevano compiere dei lavori. Nelle 6 sezioni di cui è composto il carcere, 4 si è chiusi e 2 aperti.
La socialità (andare nelle celle con altri alcune ore al giorno) nelle sezioni più rigide c'è solo a Natale, Pasqua e il 15 di agosto.Ora da 5 mesi non si va più al campo grande. Al colloquio non entrano più molte cose. Per avere la luce bisogna comprarsi le le lampadine ecc.
Le scuole funzionanti sono le medie e ragioneria. Ogni tanto viene avviato qualche corso di informatica. A novembre doveva esserci un corso di imbianchino e muratore. C'è stato, ma non era un corso, solo lavoro, sfruttamento di manodopera gratis. […]
Un caro saluto a tutti voi

Opera, 3 maggio 2010
via Camporgnago 40 - 20090 Opera (Milano)


Lettera dal carcere di Carinola (CE)
Carissimi compagni, il 25 aprile, dopo 25 giorni mi è stato tolto l'isolamento sanitario imposto dalla direttrice. Questo è accaduto un po' perché avevo intrapreso da due giorni lo sciopero della fame e un po' perché i compagni hanno fatto pressione, chiedendo che facessi il passeggio e la socialità con loro.
Questo isolamento mi era stato dato perché la dirtettrice e qualcun altro credevano che nella socialità e nel giocare a pallone avrei potuto contagiare altri detenuti. Senza però prendere in considerazione che questo isolamento sanitario non è previsto, a meno non si tratti di malattie infettive tipo: scabbia o altri casi estremi. Quindi il loro obbiettivo non era tanto quello di salvaguardare la salute dei miei compagni, ma per fini proprio. Cioè per spingere il DAP a trasferirmi, tanto per levarsi la patata bollente della responsabilità. Essendo il solo ammalato di HIV sia alla direzione che a altri, comprese le guardie, gli sto creando un lavoro doppio. Ogni due mesi mi devono portare all'ospedale per i controlli e ogni mese devono prendermi i farmaci a Napoli. Quindi per loro tutto questo è una scocciatura. Come per le docce. Prima si potevano fare (una al giorno) sia al mattino che al pomeriggio, ora solo al mattino. …
In questo carcere ci sono prigionieri di tutte e tre le classificazioni AS1, AS2 e AS3, ma non possiamo incontraci gli uni con gli altri. Adesso, dopo 1 anno, anche noi possiamo andare una volta alla settimana al campo grande. I passeggi sono ricoperti da reti metalliche e ci sono telecamere ovunque.
Purtroppo questo non riguarda solo Carinola, ma anche il carcere di Alessandria e Siano, circuiti per la tortura psicologica, la repressione e l'annientamento. Anche le celle sono piccole, appena 5x2…
Rompere la gabbia, creare e organizzare la nostra rabbia!
Un saluto da tutti noi, Mauro

Carinola, 7 maggio 2010
Mauro Rossetti Busa, v. S.Biagio 6 - 81030 Carinola (Caserta)

***
Lettera autobiografica di Mauro
Miei cari compagni/e,
da bambino venni portato nell'Istituto Orfanotrofio di Modena da un'assistente sociale, per volontà di mia madre, dopo che mio padre era stato arrestato per rapina in un convento di frati. Quando uscii dall'orfanatrtofio ritornai a vivere in famiglia, dove la povertà la toccavi con le mani. Non ero figlio unico, avevo altri cinque fratelli e due sorelle, che non ero ancora riuscito a conoscere. L'unico sostentamento era un misero sussidio di 130 000 al mese che ci passava l'assistente sociale. Non vivevamo dentro una casa, ma in una roulotte di 6 mt. Noi ragazzi dormivamo in un materasso a terra. Per riscaldare un po' l'ambiente esavamo la vecchia stufa a legna (una Zoppas). La sola scuola che frequentavamo era quella del Comune, a sua volta convenzionata.
Smisi presto di frequentare la scuola, per dedicarmi a furti negli appartamenti, agli scippi. Questo era il solo modo per garantire la nostra sopravvivenza e per dare un aiuto in carcere. Mia madre non poteva lavorare per motivi di salute, così andava a vendere casa per casa bottoni, pettini, saponette ecc. Con quello che riusciva a guadagnare non sempre si riusciva a mettere insieme un pranzo. Ecco perché scelsi la strada a-delinquere, per dare un aiuto alla mia famiglia. Mia madre cosa poteva dirmi se non di non andare a rubare? Però io facevo sempre di testa mia. Se non rubavo non si mangiava, non riuscivamo a pagare l'avvocato a mio padre. Quando hai 13/14 anni non ti domandi se scippi ad una proletaria o a un sottoproletario, rubi e basta. E' una lotta per la sopravvivenza, mai per l'arricchimento, poiché ricchi non si diventa, si nasce. Poi c'è chi è ricco e continua a rubare per diventare ancora più ricco - come, del resto fanno i nostri governanti di merda, che, come dice Tremonti non mettono le mani nelle tasche dei cittadini, mettendole però nelle banche.
Avevo 14 anni quando mi trovarono addosso una pistola a tamburo P38 e diversi bossoli, cominciai così a toccare il carcere minorile, collegi, case di rieducazione, riformatori. Della loro rieducazione me ne sono sempre sbattuto i coglioni e altrettanto di questa società borghese e consumistica, delle loro rtegole burocratiche.Tentai di evadere dal carcere minorile di Firenze, però senza riuscirci; mi riuscì invece di evadere più volte dal riformatorio, una volta scappammo in sette ragazzi. Non ho nessun rimpianto rispetto alle mie scelte. Non mi sono mai vergognato della mia povertà. Se potessi tornare indietro le rifarei, ma stavolta per rubare ai ladri (banche).
Mia madre non è una sinta ma una gage; mentre le origini della famiglia di mio padre sono quelle di sinti circolanti. Mio nonno era di Torino, anche mia nonna; lui è stato partigiano. Mia madre fin da piccola è sempre stata comunista, credo anche mio padre, mio zio invece era simpatizzante di benito mussolini; è stato bersagliere. Io sono comunista-anarchico, potevo mai diventare fascista? Nel corso degli anni sono diventato un pericoloso sovversivo ribelle anarchico, senza però rinnegare il mio comunismo. Non lo dico io che sono pericoloso, lo hanno detto quelle merdeal servizio della borghesia, servitori dello stato che mi hanno giudicato con il codice Rocco.
Mi ritengo anarchico ribelle che ha sempre ripudiato le loro leggi fasciste, il loro autoritarismo e fascismo. L'unica giustizia per me è quella proletaria, il resto è tutta merda che galleggia.
Sono un anarchico molto rabbioso e incazzato, non credo che questo stato vada cambiato ma piuttosto abbattuto come il capitalismo. E chi la pensa diversamente da me è un problema suo non mio. Tutti liberi!
Un saluto comunista anarchico, Mauro

25 maggio 2010



due Lettera dal carcere di Poggioreale (napoli)
Carissimi amici e compagni, […] qui a Poggioreale per diversi giorni è stata fatta la battitura (da noi detenuti) sotto forma di protesta, visto il sovraffollamento e le condizioni in cui siamo costretti a vivere.
Il carcere di Poggioreale o meglio il lager di poggioreale, è un penitenziario dove tutti i prigionieri, nessuno escluso, vengono, veniamo, torturati e violentati psicologicamente tutti i giorni, a partire dal vitto che fa schifo. Schifo forse è una parola troppo nobile, giusto perché non volevo dire merda, ma lho detto. Per 22 ore al giorno ci tengono chiusi in cella come sardine. Non vi è possibilità di partecipare a nessuna atività sportiva, ricreativa. Spesso e volentieri tanti detenuti vengono massacrati di botte dagli sbirri, specialmente le fasce più "deboli", tossicodipendenti ecc. I prezzi del sopravitto sono esorbitanti, i generi alimentari li paghiamo 4 volte il dovuto. La doccia ce la fanno fare 2 volte alla settimana. Questa è la forza di queste merde. Spesso fra me e me faccio delle riflessioni e quello che riesco a dirmi è che in tanti ci siamo rammolliti, nel senso che stiamo arrivando al punto che ci facciamo mettere i piedi in testa, per non dire altro. Loro lo hanno capito e ne stiamo pagando le conseguenze. Ci tengo a precisare che il mio non è assolutamente un giudizio, no, è semplicemente un mio pensiero.
Cominciamo a colpire le tasche di questi capitalisti. Se tutti i lavoranti di tutte le carceri si chiudono dal lavoro, però tutti, nessuno escluso, loro sono costretti ad assumere ditte, imprese esterne e di certo dovranno essere anche essere retribuite, ma non con le paghe date a noi detenuti. Non bisogna fare grandi cose, basta poco per creare il caos. Non serve fare la battitura. Se ci pensiamo bene, dopo un po' di rumore cosa abbiamo risolto? Nulla. Insomma amici/e questo è il mio pensiero.
La libertà non è un frutto proibito! Ciao e grazie di tutto, Giuseppe

Napoli, 16 maggio 2010
***
Carissimi amici/e, vi informo che da 4 giorni ho iniziato lo sciopero della fame e la sospensione dei farmaci e rifiuto anche di andare all'aria, visto che vengo costretto a fare il passeggio con ex-poliziotti, ex-collaboratori e congiunti di collaboratori. Insomma questi fanno come cazzo gli pare. Non riesco a comprendere perché il DAP abbia potuto fare una circolare dove si dice che i detenuti che si trovavano nei circuiti ex-EIV, che sono propensi all'evasione o che hanno avuto atti di aggressività nei confronti degli agenti o di altri detenuti, devono essere inseriti in sezioni protette e in cella singola.
Come è possibile tutto ciò? Se il dipartimento mi ritiene un soggetto pericoloso, con quale criterio dispone che devo stare con persone che hanno problemi di incolumità? Non è una follia? E se spacco la testa a qualcuno? Forse hanno fatto questa cattiveria proprio perché vogliono che accada il peggio.
Compagni/e, non so come venir fuori da questa situazione di merda. Solo al pensiero di essere costretto a vivere in questa situazione mi sto ammalando nel vero senso della parola. Già il mio stato di salute era precario, ma a questi bastardi non interessa un cazzo. Anzi, se gli ammazzo qualcuno non solo ne sono contenti, me lo fanno pure pagare.
Alcuni compagni di Genova che conoscono la mia situazione (compreso Juan, al quale mando i miei saluti e un caloroso abbraccio) mi hanno spedito un vaglia. Grazie a voi tutti della solidarietà. La libertà non è un frutto proibito. Viva l'anarchia, Giuseppe

Napoli 21 maggio 2010
Giuseppe Trombini, via Nuova Poggioreale 177 - 80143 Napoli
due Lettera dal carcere delle Vallette (to)
Lettera dalle "Vallette" luogo di segregazione del potere borghese nelò vano tentativo di fermare la sacra lotta del proletariato.
Compagni!! Sono stato arrestato nell'ambito dell'inchiesta del giudice Silvia Salvadori, per le lotte conseguenti all'occupazione proletaria anarchica del CSOA "l'Ostile" di corso Vercelli a Torino.
Le mie tendenze sono anarco comuniste pur se dire anarco-comunista è una contraddizione in termini. Ho una visione troppo personale (quindi deviata) di ciò che sono le lotte e tutto ciò fa dime un cane sciolto pur sempre pronto a combattere e mai ambiguo.
Ho ricevuto stamane il vostro opuscolo che sarà per me un'ottima lettura (per ora l'unica) prima del sonno e sicuramente farà del mio dormire sogni combattivi e resistenti!!!
Vorrei grazie al vostro opuscolo portare la mia solidarietà a tutti i compagni reclusi (con particolare pensiero per il gruppo 12 Febbraio e Nadia L.).
Sono stato in carcere già per anni, ma le motivazioni erano ben diverse e tutte legate a quella tossicodipendenza che mi teneva lontano dal mondo delle lotte. Dal 1997 sono tornato a Torino, dove, dopo quattro anni di comunità, ho ritrovato i compagni dei Carc e di seguito l'antagoniosmo che hanno fatto di me un uomo nuovo. Oggi fiero in catene il mio credo rivoluzionario mi facilita e mi rende forte pur chiuso in cella (chiudere i compagni è la prova della paura della borghesia).
Sento loa solidarietà in modo tangibile grazie ai continui telegrammi e raccomandate che mi giungono e un presidio dei compagni (che non ho visto ma ben udito) fuori dal carcere mi ha portato delle lagrime nonostante le mie 55 primavere!
Ci siamo compagni, questa è lotta !!! OSTILE A OGNI RAVVEDIMENTO!!!
Ora smetto, non sono uno scrittore e in più diverrei patetico!
LA RIVOLUZIONE NON E' UN PRANZO DI GALA!!!
W MARX, W ENGELS, W LENIN, W MAO, W IL COMPAGNO GIUSEPPE STALIN
PS. Sono sempre stato un somaro e nonostante i consigli deio compagni, prima con i Carc poi con il CCP sono sempre restìo a studiare i testi sacri del comunismo, per cui sono parecchio confuso. Forse questo è il motivo del mio anarco comunismo?
Accetto, anzi bramo chiunque voglia scrivermi e portare un po' di luce nella mia confusione!! Con immensa stima, Luigi

Torino, 19 maggio 2010

***
E' notte di quelle notti che non si dorme, i rumori del carcere in sottofondo si mescolano a chi soffre perché è in carenza e ieri un marocchino di 41 anni è stato trovato morto d'infarto dal suo compagno di cella… poco si è detto e scritto… 11 mesi alla fine della pena ed è morto così in solitudine…senza cure… Ne so poco, io, sono ancora nella sezione dei "Nuovi Giunti"… Anch'io sono cardiopatico, ma è una situazione diversa, mi considero un Rivoluzionario Prigioniero della borghesia… poi ho 55 anni e per la Causa sono pronto a dare la vita…Ma lui no, neppure sa perché è morto… Certo preferisco morire in uno scontro a fuoco con l'infame sbirraglia… ma d'infarto in un carcere… è un assurdo…
E oggi è la festa della repubblica… ma quale repubblica? Quella berlusconiana… mussoliniana…fascista? È questa l'Italia del 2010?
Dal tribunale del riesame mi è stato respinto tutto e di tre compagni solo uno ha ottenuto i domiciliari. Gioisco per lui, per Luca.
Quando uno stato che si autodefinisce democratico rapisce, violenta e uccide i suoi figli perché si ribellano all'aggressione, beh! Io lo considero uno stato fascista a tutti gli effetti!!! Tipo Turchia!!!
Non mi avranno mai!!! Guardo dalle finestre le luci di Torino, vorrei essere là, lottare con loro, combattere o morire per migliorare questo mondo fatto di coccodrilli e di vittime!!!
Ora basta, il sonno mi prende e il mio cancellino ha diritto al sonno!!!
Vorrei ringraziarvi dei libri che mi sono giunti e spero la corrispondenza continui… se per cortesia mi mandate qualche francobollo.
Con stima, A PUGNO CHIUSO, Luigi

Torino, 4 maggio 2010
Luigi Giani, viale Pianezza 300 - 10151 Torino

***
Il Tribunale della Libertà ha deciso: dei tre compagni in carcere per la resistenza allo sgombero de Lostile occupato, Luigi e Davide rimarranno dentro mentre Luca sarà trasferito ai domiciliari. E dei quattro che sono ai domiciliari dal 12 maggio scorso, due saranno sottoposti all'obbligo di firma, uno avrà l'obbligo di dimora in un piccolo paese in provincia di Cuneo e solo uno liberato senza altre pretese. Per i restanti dieci complessivamente si diradano un po' le firme: ma neanche per tutti. Una merda, per dirla con un linguaggio ricercato.

28 maggio 2010
da www.autistici.org/macerie


da una Lettera dal carcere di Viterbo
[…] vi racconto qualche episodio accaduto qui: il 27 maggio (2010) c'è stato un violento pestaggio ai danni di un detenuto italiano che si trovava nel ROT (Reparto Osservazione Trattamento) situato al piano terra del Blocco D1 e al successivo trasporto del detenuto in infermeria. Sono stato solo testimone del passaggio delle guardie, 7 + 1 sovrintendente e dell'allontanamento degli operatori del SERT e della contestuale chiusura di tutti i blindati. Ho ascoltato il "sonoro" del fatto…
Il giorno dopo, all'esterno del carcere c'è stata una raccolta di firme contro l'ergastolo assieme alla distribuzione di volantini che riportavano la circolare del DAP in cui erano autorizzate, da circa un mese, le chiamate ai cellulari e l'aumento degli spazi di socialità interni. Ebbene, numerosi famigliari sono stati avvertiti dagli agenti all'ingresso a non filmare, pena non meglio precisate ritorsioni…
Un forte abbraccio a tutti/e

v. S. Salvatore 14/b - 01100 Viterbo


Cremona: presidio a Cà del Ferro
16 Maggio 2010 ore 15.00: una quarantina di compagne/i di area libertaria si sono ritrovati sotto le mura del carcere di Cremona per un presidio di solidarietà ai prigionieri lì rinchiusi, contro le morti di Stato ed in sostegno alla lotta di Maria Ciuffi, mamma di Marcello Lonzi, ragazzo ucciso dalla polizia penitenziaria nel carcere delle Sughere di Livorno. Posizionato lo striscione con la scritta "Lonzi, Aldro, Cucchi… sappiamo chi è SStato" ed esposto una mostra sul caso di Marcello, un buon impianto di amplificazione ci ha permesso di rompere le mura del silenzio: in tempi brevi si è instaurato un dialogo con i detenuti affacciati alle finestre, una comunicazione fra le parti che è durata per circa quattro ore.
Il carcere di Cà del Ferro è nato agli inizi degli anni '80, progettato per sostituire la vecchia galera di Via Jacini situata in centro città, subì nel corso della sua edificazione modifiche legate alla politica emergenziale anti "terrorismo". Quindi da piccola struttura cittadina adibita a persone arrestate per piccoli reati si è trasformata in un vero e proprio carcere speciale. Dipinto dagli asserviti media locali come "carcere modello", in verità le sofferenze patite dai reclusi sono pari, se non superiori, ad altri lager di stato con nomi ben più conosciuti. La presenza al presidio di alcuni famigliari ci ha messo a conoscenza di ciò che realmente succede dentro quelle mura: botte e angherie varie sono il leit motiv del vivere quotidiano, la tortura inflitta a chiunque si opponga alle logiche di gestione instaurate dalle guardie non esclude un "trattamento speciale"nelle celle poste sottoterra, tant'è che gli stessi parenti che sono intervenuti al microfono si sono guardati bene nel citare per nome le persone rinchiuse, onde evitare spiacevoli ripercussioni!
Dalla risposta dei reclusi si è avuta la percezione che le tematiche toccate dagli interventi siano state apprezzate e ad ogni slogan inneggiante la libertà le urla provenienti dalle celle giungevano forti e chiare. La musica sparata ad alto volume è come se avesse fatto idealmente da breccia tra "dentro e fuori", la solidarietà a volte è fatta anche di piccole cose, ciò che noi dall'esterno percepiamo come situazione di basso profilo, nei cuori di chi vive sequestrato tutto si amplifica e per un solo istante le sbarre vengono cancellate. La mobilitazione è stata anche un'occasione per rilanciare le lotte anticarcerarie a livello territoriale con la prospettiva di creare una rete di solidarietà attiva che in futuro coinvolga non solo i/l le compagni/e, ma anche i famigliari e i detenuti stessi, cui abbiamo comunicato gli indirizzi ove poter scrivere e ricevere materiale di contro-informazione. Concludiamo questo breve resoconto dicendo che presto torneremo per rompere il silenzio assordante che circonda quelle infami mura, nel frattempo, un abbraccio solidale a tutti/e i prigionieri/e e massima solidarietà a Maria Ciuffi.

Crema, 16 maggio 2010
Compagne e compagni di Crema/Cremona
inguaiati.crema@gmail.com


Milano: presidio sotto san vittore
San Vittore: carcere con capienza di 900 persone dove, stipate, ne sopravvivono 1600
Uniamoci, passiamo la parola a chiunque sa ascoltare, per dare forza ai prigionieri
che dentro a S.Vittore lottano contro le gravi condizioni di vita.
Hanno iniziato con lo sciopero del vitto e della spesa e da oggi, proseguiranno con lo sciopero della fame.
Per questo chiamiamo tutti e tutte al presidio davanti a San Vittore in piazza Aquileia,
Mercoledì 16 Giugno alle ore 18.30.
(Portiamo mestoli e pentole per farci sentire!)
I prigionieri ci dicono apertamente che S.Vittore è un canile in cui loro sono considerati e trattati anche peggio dei cani. Di seguito stralci da alcune lettere:

Ciao, qui la situazione con l'arrivo del caldo diventa sempre più insostenibile. Gli scarafaggi e le pulci aumentano, gli odori che escono dalla turca sono sempre più forti, scabbia a gogò…
…I detenuti non hanno nessun diritto nemmeno l'igiene, ci sono condizioni psico-fisiche così gravi da indurre al suicidio…
…Striscia la notizia si occupa dei canili lager ma non delle carceri lager!
...I pestaggi e le violenze delle istituzioni sono quotidiani, le guardie sempre più infami e per di più, è da una settimana che siamo senza televisione… Per quest'ultima cosa, domani abbiamo intenzione di fare un po' di casino. Finita l'ora d'aria pensiamo di non rientrare in cella…
…Sempre domani partirà una protesta, speriamo in tutta S.Vittore, per le condizioni di merda in cui ci tengono… Ogni sera, dalle sette alle otto, faremo una specie di battitura alle sbarre per farci sentire anche fuori, sperando che qualcuno ci senta e qualcosa si smuova…
Con le leggi imposte da governo e parlamento molte più persone vanno ora in galera e ci restano per lungo tempo: basta - per esempio - dissentire e prendere parte a manifestazioni di piazza o picchetti davanti alle fabbriche, per essere colpiti con l'art. 270bis (associazione sovversiva…), oppure, è sufficiente non essere in regola con il permesso di soggiorno o anche avere solo nelle tasche una qualche canna in più, per finire in galera.
Altroché rieducazione e reinserimento nella società; con la legge ex Cirielli il ritorno in carcere di persone recidive è praticamente assicurato.

Come riportato bene qui sopra, anche a S. Vittore, la situazione diventa sempre più insostenibile.
In Lombardia - San Vittore - è il carcere da sempre più sovraffollato; le persone vengono cambiate e sbattute da una cella all'altra senza un minimo di riguardo alle condizioni personali o alle relazioni tra i prigionieri. In alcuni raggi i prigionieri sono chiusi nelle celle per la maggior parte della giornata, le poche ore d'aria che hanno, sono a discrezione dei secondini e capita a volte che siano loro a decidere di aprire le celle anche mezz'ora dopo. In altri raggi non sono permesse le ore di socialità. Le richieste di visite mediche vengono "concesse" dopo molto tempo - se va bene - e se a segnarsi dal dottore è un immigrato, il più delle volte non viene nemmeno chiamato.
Quando si va a colloquio bisogna sopportare code estenuanti subendo anche le angherie dei secondini. A volte i generi alimentari non vengono fatti entrare perché non sono - così ci viene detto - chiusi bene o sono vietati…peccato che se si richiede una lista, questa non viene data.
Chiamiamo tutti e tutte a sostenere chi dentro a S.Vittore e in ogni carcere, si ribella e lotta contro l'aggravamento delle condizioni igieniche, sanitarie, alimentari, di vita e contro le restrizioni degli spazi di socialità...
In gioco non c'è solo la dignità e la libertà di chi ora si trova dentro, ma di tutti noi.

Solidali con i prigionieri/e in lotta
Milano, 8 giugno 2010

***
Mercoledì 16 giugno si è riusciti a dare un sostegno anche dall'esterno. Dalle 18.30 alle 20.30 fra i prigionieri che battevano sulle sbarre e urlavano tutto il loro odio contro il carcere e una quarantina di compagne e compagni sostenuti dalle casse sonore sistemate in piazza Aquileia, da qualche pentola e mestolo e urla di risposta è stata possibile una bella comunicazione.
lettera dal carcere di san vittore (mi)
Buongiorno, scrivo a voi dopo le parole che ci avete sussurrato ieri da Piazza Filangieri.
Purtroppo non conosco la vostra ragione sociale, insomma chi siete, ma poco importa. Avete ottenuto la massima stima di molte persone che come il sottoscritto è detenuto presso la CC di S.Vittore.
Oltre che ringraziarvi, vi dico che sono invalido al 100%, ho il braccio dx paralizzato e sto rischiando di perderlo, oltre ad avere gravi ustioni su buona parte del corpo (35%).
Vi scrivo perché da normale detenuto sto rischiando la mia salute, ho compiuto qui in carcere 29 anni, mi chiamo Davide, per ottenere visite in ospedale al Gaetano Pini devo ogni volta fare lo sciopero della fame ed è una condizione disumana.
I medici dell'ospedale hanno diagnosticato che le condizioni di detenzione in cui mi trovo non permettono di tentare l'unico intervento che può, potrebbe, salvarmi dall'amputazione del braccio, che purtroppo proprio in carcere, ha subito un peggioramento e subisce giorno dopo giorno un degrado osseo accertato dai medici.
Non ho più antidolorifici che possano allentare il dolore, se non forse la Fen-Morfina, che però nessun medico del CC di S. Vittore prende la responsabilità di prescrivermi con la "scusante" che sono un ex-tossicodipendente.
Da 4 mesi vivo in una cella di 15mq con gli altri cancellini, che, grazie a dio mi aiutano e ci facciamo forza per andare avanti in attesa della libertà, che, nel mio caso, così come stanno le cose ora, arriverà non prima di 2 anni.
Le altre cose della vita qui dentro già le sapete, vorrei solo la vostra risposta per potervi scrivere di più del mio caso, non per avere benefici, ma per conoscere a "chi non sa" cosa può dover sopportare un essere umano per alcuni sbagli, addirittura non tutti commessi, puniti in questo modo dalla legge che ovviamente "è uguale per tutti"???
Ringranziandovi per l'incitamento dato a me, ecco l'indirizzo per scrivermi (spero lo facciate):

Davide Puricelli p.zza Filangieri 2 - 20123 Milano


PROCESSO AL SUD RIBELLE
Nella notte fra il 15 ed il 16 Novembre del 2002, arrivò la custodia cautelare per 23 compagni e compagne (e di questi, 18 compagni si son fatti per 17 giorni il carcere duro a Trani, Viterbo, Latina), con l'accusa di aver dato vita ad un'associazione sovversiva denominata "Rete Meridionale del Sud Ribelle" e di aver cospirato contro l'ordine economico costituito della Stato (1).
Fu chiaro sin dall'inizio che si sarebbe trattato di una vendetta dello Stato per quelle giornate di Napoli e Genova; che sarebbe stato un vero e proprio processo politico, non solo per via dei reati contestati (il reato di cospirazione è un chiaro esempio di come, sotto attacco, sia la libertà di esprimere il proprio pensiero, quindi anche il proprio dissenso), non solo per i voli pindarici del teorema accusatorio che prova ad avvicinare esperienze politiche così diverse e distanti per contesti storici e pratiche politiche, ma anche per la gestione dell'inchiesta, per gli apparati repressivi coinvolti (Ros, Digos, Sisde, Polizia, Carabinieri), per lo svolgimento stesso del processo.
Quella della Rete del Sud Ribelle, nata subito dopo Napoli 2001, è stata un'esperienza molto significativa per il territorio meridionale, grazie alla quale diverse realtà (gruppi, collettivi, centri sociali, individualità) si sono incontrate, organizzate e coordinate, dando vita a lotte per l'occupazione, in difesa degli immigrati, per l'ambiente contro le devastazioni, contro i depositi di scorie nucleari, contro le grandi opere. Le lotte contro il ponte sullo stretto, contro le scorie radioattive che si trovano nei nostri mari, contro i rifiuti tossici nella sibaritide poggiano le proprie radici in quella che è stata l'esperienza del Sud Ribelle.
E' nella Rete del Sud Ribelle che tanti compagni sono cresciuti politicamente ed hanno acquistato coscienza e determinazione; strumenti indispensabili perché il Sud, ogni "sud" della terra, possa realmente alzare la testa ed in nome del valore della dignità umana, liberarsi dall'arroganza e dalla prepotenza dello stato e della mafia. Non sarà di certo un'inchiesta, seppur pesante e infamante, lunga e devastante anche sul piano personale e degli affetti, a mettere il coperchio ad un "pentolone" che ribolle rabbia e voglia di ribellione. Perché in fondo il Sud è sempre stato ribelle!

PROCESSO AI 25
L'altro filone d'inchiesta partito dopo Genova 2001 è quello per devastazione e saccheggio (2). Il reato di "devastazione e saccheggio", introdotto nel dopoguerra e mai contestato per scontri di piazza, è stato rispolverato dalla Procura di Genova per i fatti del G8 del 2001. Gli elementi che integrano il reato sono: l'ordine pubblico messo in crisi e il danneggiamento ripetuto di beni, anche tramite compartecipazione psichica tra gli imputati. In pratica, non occorre aver effettivamente "devastato", ma è sufficiente essere presente mentre gli altri devastano. E' proprio con questo processo che lo Stato cerca vendetta, scegliendo 25 manifestanti come capro espiatorio e riscrivendo la storia, la cronaca, le ragioni degli scontri e dei cortei di Genova (nei tribunali hanno cancellato la verità dell'assassinio di Carlo Giuliani, sentenziando che fu per un proiettile colpito da un sasso di un manifestante che "sfortunatamente" uccise Carlo). E' così che il 9 ottobre 2010 è stata emessa la sentenza del processo d'appello che condanna, con pene molto pesanti (pene aumentate rispetto al processo di primo grado, fino a 15 anni di reclusione, per complessivi 98 anni e sei mesi di reclusione), dieci persone accusate di devastazione e saccheggio, reati contro le cose, non di omicidio. Ecco allora come lo Stato, la sinistra istituzionale alla ricerca di inutili Commissioni Parlamentari su Genova 2001 (che comunque non si sono istituite!), il complice atteggiamento di buona parte del "movimento" rimasto in silenzio o troppo preso dal dibattito "violenza - non violenza", vorrebbero far pagare a questi 10 compagni la determinazione che a Genova 2001 portò migliaia di persone a prendere di mira i simboli del capitalismo ed a difendersi dalle brutali cariche delle forze di polizia.

Note:
(1) Nonostante il 2 Dicembre 2002 arrivi la sentenza del Tribunale di Libertà di Catanzaro che rimette in libertà gli arrestati e demolisce tutto l'impianto accusatorio, la Cassazione annulla la sentenza per un vizio di forma. Così a Luglio 2003, il PM Fiordalisi ribadisce la volontà di arrestare tutti e 20 gli indagati e ad Aprile 2004 arriva la richiesta di rinvio a giudizio per tredici degli indagati, due dei quali fino a quel momento estranei alla vicenda giudiziaria (Luca Casarini e Alfonso De Vito); le posizioni di altri 41 indagati vengono archiviate. A Maggio 2004 il governo chiede cinque milioni di euro di risarcimento per i danni non patrimoniali, cioè d'immagine, subiti in occasione dei vertici di Napoli e di Genova. Il Processo riprende ad Ottobre 2005 ed inizia la trafila dei testi dell'accusa. Si fa il 2008 quando, dopo la richiesta da parte del Pm Fiordalisi di 50 anni di carcere per tutti e 13 gli imputati, il processo si conclude con l'assoluzione piena di tutti gli imputati. A Dicembre 2008, la Procura di Cosenza, non accettando la sentenza di primo grado, presenta appello. Il giudizio d'appello inizia appunto il 18 Maggio 2010 presso il Tribunale di Catanzaro.
(2) Art. 419 codice penale: Chiunque commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito.

Estratti dal documento LA REPRESSIONE NON CI FERMERA'
del Collettivo Riscossa di Catanzaro

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Slitta al prossimo 20 luglio, anniversario della morte di Carlo Giuliani, ucciso durante gli scontri di piazza avvenuti in concomitanza del summit del G8 tenutosi a Genova tra il 19 e il 21 luglio 2001, il processo d'Appello ai 13 "No global"della rete meridionale del "Sud Ribelle". Il difensore di uno degli imputati, infatti, ha fatto rilevare un errore di notifica degli atti per la fissazione del processo, ed i giudici della Corte d'Appello di Catanzaro hanno disposto il rinvio.
Fuori dall'aula, un sit-in di protesta a cui hanno partecipato il Collettivo Riscossa e il Coordinamento Phonemedia di Catanzaro in lotta nonché numerosi giovani provenienti da diverse zone della Calabria. A partire dalle 9 e trenta i manifestanti fanno il loro arrivo in piazza Matteotti, la piazza antistante la Corte d'appello di Catanzaro. Cori, bandiere e striscioni, per esprimere solidarietà agli imputati in un processo che considerano pretestuoso e sommario.
"Siamo qui per riaccendere l'attenzione nella nostra città - afferma un militante del Collettivo Riscossa - su un procedimento penale mediante il quale lo Stato, nonostante l'assoluzione in primo grado, ha voluto attaccare frontalmente un movimento nato dal basso e assolutamente trasversale, composto da giovani, anziani, famiglie, appartenenti all'associazionismo cattolico (...). Vogliono far passare quel movimento per una cospirazione di un gruppo di esaltati estremisti quando invece si è trattato di un movimento di massa che stava sensibilizzando la società, e per questo doveva essere represso (…), un tentativo di riscrivere la storia del movimento nelle aule dei tribunali - osserva il giovane - . Un altro motivo per cui siamo qui - aggiunge ancora - è quello di denunciare l'impunità di cui godono alcuni apparati dello Stato: la cronaca degli ultimi anni è ricca di episodi di violenza da parte delle "forze dell'ordine" che, ad oggi, non hanno colpevoli (…). Pensiamo all'archiviazione dell'omicidio di Carlo Giuliani, ai casi dell'omicidio di Stefano Cucchi, di Marcello Lonzi o di Federico Aldovrandi".
Il Sud Ribelle è solo uno dei filoni d'inchiesta aperti in seguito alle drammatiche giornate di Genova 2001 culminate con la morte di Carlo Giuliani. Parallelamente, i giudici della Terza sezione della corte d'Appello di Genova, dopo 13 ore di camera di consiglio, hanno ribaltato la sentenza di assoluzione, emessa in primo grado, condannando i vertici della polizia: quattro anni per Franco Gratteri, attualmente capo dell'Anticrimine e Giovanni Luperi, oggi ai vertici dell'Aisi, i servizi segreti, 3 anni e 8 mesi per Gilberto Caldarozzi, capo del Servizio centrale operativo. Per loro anche la pena accessoria di 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, che diventerà operativa se e quando la sentenza supererà l'ultimo esame, in Cassazione.
In totale, sono stati condannati 25 imputati su 27 con pene che superano gli 85 anni di reclusione. Nella requisitoria finale il procuratore generale, Pio Machiavello, aveva chiesto per i 27 imputati oltre 110 anni di carcere, motivandola come segue: "Non si possono dimenticare - aveva detto - le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale d'arresto dei 93 No global, le bugie sulla presunta resistenza. Né si può dimenticare la sistematica e indiscriminata aggressione e l'attribuzione a tutti gli arrestati delle due molotov portate nella Diaz dagli stessi poliziotti".

da www.terramara.it il 21/05/2010


Solidarietà dal carcere di Alessandria
Un saluto per Costantino Ragusa, Silvia Guerini e Luca Bernasconi prigionieri in Svizzera. Questo scritto vuole essere un modo per esprimervi la nostra solidarietà, completa e sentita, umana e politica.
Condividiamo il percorso di chi lotta in prima persona, riconosciamo l'eco dei loro passi nei nostri, comprendiamo il fiatone che ogni tanto ci rallenta e non li sorprendiamo se a volte un ostacolo ci fa cadere, sappiamo che ci rialzeremo sempre.
Ancora meglio conosciamo la gioia che il semplice percorrere questi sentieri può dare e, come in una passeggiata in montagna, non è solo la meta che conta, ma l'esaltazione che cancella la fatica, la condivisione con i compagni e le compagne di viaggio, il senso di libertà che ci coglie ad ogni passo su questo sentiero fuori dalla strada maestra.
Costantino, Silvia, Luca, siamo convinti che abbiate già fatto vostra la libertà e che neanche il carcere possa privarvene.
Certi che supererete quest'ostacolo.
Desiderosi che quei sentieri tornino ad essere abbattuti.
Per la distruzione di ogni forza di dominio.
Per l'Anarchia.

28 maggio 2010
Alessandro Settepani, Leonardo Landi, Sergio Maria Stefani
Strada Casale 50/A - 15040 San Michele (AL)


27 maggio: udienza preliminare per gli indagati del 10 giugno
Giovedì 27 maggio presso l’aula bunker di Rebibbia, a Roma, si terrà la prima delle udienze di rinvio a giudizio per i compagni arrestati per l’inchiesta partita il 10 giugno 2009. L’accusa per tutti è quella di partecipazione ad un’associazione eversiva denominata ‘Per il comunismo - Brigate Rosse’.
Per questa inchiesta, gestita e orchestrata dal procuratore aggiunto di Roma Piero Saviotti e con l’avallo del gip Maurizio Caivano, a giugno sono state fatte decine di perquisizioni in tutta Italia (Lazio, Liguria, Sardegna e Lombardia) e otto sono i compagni indagati. Per loro, in diversi periodi, sono state richieste le misure cautelari in carcere e attualmente sette si trovano nel carcere di Siano, mentre uno è ai domiciliari per ragioni di età.
In questa inchiesta, come in molte altre, l’obiettivo ormai dichiarato dei paladini del regime democratico è quello dell’annientamento del pensiero e delle pratiche rivoluzionarie. Il messaggio per tutti i compagni è spero proprio di sbatterti in carcere per un bel po’, ma se non ci riuscissi comunque ti rendo l’esistenza difficile, così magari avrai meno tempo e voglia di ribellarti. Uno dei prigionieri è stati recentemente licenziato a causa delle imputazioni, mentre ad altri era già successo dopo le perquisizioni ed anche questo è parte del gioco messo in atto dalle istituzioni al fine di fare terra bruciata nella vita dei militanti.
Quindi la migliore solidarietà è quella che dice ai arrestati che non sono dentro per nulla, che fuori non c’è il vuoto pneumatico, ma ci siamo noi che continuiamo la loro e la nostra lotta, impedendo che spiragli di pratiche rivoluzionarie siano messi al bando, consapevoli del prezzo che viene e verrà fatto pagare ogniqualvolta qualcuno alzi la testa.
E se è vero che il carcere è funzionale al mantenimento dell’ordine dato, allontanando dalla vista le contraddizioni del sistema ed imprigionando i rivoluzionari, sappiamo che esso, al pari di qualsiasi altro luogo di aggregazione e segregazione, può trasformarsi nel suo contrario e produrre rivoluzionari e liberazione, da George Jackson a tutte quelle forme di organizzazione politica e di rivolte che hanno attraversato l’Italia dagli anni settanta in poi.
La rivoluzione è un fiore che non muore
La lotta è la nostra arma
AL FIANCO DEI PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI DI TUTTO IL MONDO

Assemblea Contro il Carcere e la Repressione

Per colore che volessero far sentire solidarietà e vicinanza con lettere o cartoline l'indirizzo è: Bruno Bellomonte, Gigi Fallico, Manolo Morlacchi, Massimo Porcile, Dino Vincenzi, Costantino Virgilio, Gianfranco Zoja
Via Tre Fontane 28 - 88100 Siano (Catanzaro)

Inoltre per chi volesse contribuire alle spese il numero di conto corrente è:
80152077 intestato a ASSOCIAZIONE SOLIDARIETÀ PARENTI E AMICI
per bonifici bancari nazionali: bban-i-07601-12100-000080152077
per bonifici bancari internazionali: iban it-94-i-07601-12100-000080152077
specificando nella causale per gli arrestati del 10 Giugno

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Rinvio a giudizio per gli imputati del 10 giugno
Il 27 maggio 2010 si è svolta l’udienza preliminare che vede alla sbarra gli imputati dell’inchiesta del 10 giugno.
Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti ha ottenuto il rinvio a giudizio per tutti gli otto compagni per partecipazione ad associazione terroristico-eversiva costituita in una banda armata denominata Per il comunismo – Brigate Rosse; alcuni sono anche accusati di atto di terrorismo con ordigno esplosivo e micidiale alla caserma Vannucci della Folgore, a Livorno; detenzione e porto di un mortaio artigianale e di candelotti di esplosivo al fine di sovvertire l’ordinamento dello Stato; detenzione di armi. Le persone considerate offese nella richiesta del pm sono il presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro della Difesa.
Il processo inizierà il 16 settembre 2010, presso il tribunale di Roma.
Non ci stupisce questo esito che era scritto, come noto era già il fatto che la fermezza rivoluzionaria nel ventre della bestia si scontra inevitabilmente con il carcere.
Non ci preme sapere se i nostri compagni abbiano fatto ciò che viene loro contestato perché sappiamo bene da che parte stare e siamo consapevoli che ribellarsi a questo sistema di sfruttamento significa scontrarsi con chi lavora unicamente per annientarci, nelle galere come nelle strade, il che fa scattare la logica intimidatoria e punitiva delle istituzioni democratiche.
Ma la loro prigionia non induce a piegarci ed a rinunciare alla nostra identità politica autonoma rispetto ai modelli borghesi.
Se lo Stato democratico pensa di difendersi a colpi di sentenze, è destinato ad un’amara delusione, perché la rivoluzione dice: io ero, io sono e io sarò.
Non ci sfuggono certo le difficoltà: oggettive, quelle dovute all’attuale condizione politico-economica ed alle violenze che la democrazia parlamentare si concede con il plauso dell’opinione pubblica; e soprattutto soggettive, quelle legate all’espressione del pensiero e della pratica rivoluzionari.
I nostri attrezzi sono l’unione, la determinazione e la lotta, gli unici di cui disponiamo, ma che sono anche più che sufficienti per ribaltare un meccanismo globale strutturalmente in agonia, perciò non ci lamentiamo.
I ribelli di ieri e di oggi, ed ovunque nel mondo, hanno affrontato condizioni ben peggiori per giungere infine alla vittoria.
LA RIVOLUZIONE è UN FIORE CHE NON MUORE

Assemblea Contro il Carcere e la Repressione
assembleacontrolarepressione@gmail.com

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Giovedì 17 giugno la cassazione ha annullato la “misura cautelare” in carcere a Manolo e a Costantino che lasceranno il carcere di Siano.


milano: Sull'udienza del 27/5 del processo d'Appello contro i compagni e la compagna arrestati nell'operazione "Tramonto"
Fuori dall'aula
Nonostante la pioggia, un affollato e determinato presidio di oltre 150 persone ha accompagnato per tutta la giornata l'udienza del 27 maggio. L'aula è stata riempita costantemente dalla calorosa presenza di parenti e amici, colleghi di lavoro degli imputati e da compagni solidali di delegazioni arrivate da diverse parti d'Italia e d'Europa. La delegazione del Soccorso Rosso Internazionale, formata da rappresentanti giunti dalla Germania, dal Belgio, dalla Svizzera e dalla Spagna è stata la miglior risposta all'attacco repressivo sferrato dalla magistratura belga, in combutta con quella italiana, con gli arresti del 5 giugno 2008 di militanti del Soccorso Rosso, da tempo tutti liberi.
Corso di Porta Vittoria è stato colorato da una miriade di striscioni per la libertà dei compagni, contro il carcere imperialista e la repressione, contro l'isolamento, il 41 bis, la differenziazione e le carceri confino. Il rumore del traffico milanese è stato più volte sovrastato da cori di slogan e da interventi al megafono. A metà mattinata il presidio si è trasformato in blocco stradale incurante della minaccia di carica della sbirraglia.
Il presidio ha espresso anche la piena solidarietà ai compagni, dell'inchiesta 10 giugno 2009, in udienza preliminare a Roma nella stessa giornata.

Dentro l'aula
La parola alla difesa e agli imputati.
La difesa: L'avvocato Giuseppe Pelazza, in una lunga, meticolosa e avvincente arringa, accolta da un fragoroso applauso del pubblico presente in aula, ha espresso le motivazioni del ricorso in appello.
Una arringa di denuncia sull'utilizzo dei reati associativi contro la lotta di classe e rivoluzionaria e sui metodi poco ortodossi con cui è stata costruita l'inchiesta ed è stata emessa la sentenza di primo grado.
Una denuncia chiara e precisa utile a capire, oltre a questo specifico processo, come oggi vengono costruite le inchieste ed emesse le sentenze. Diffonderemo appena possibile integralmente tutta l'esposizione. In sintesi, la prima parte dell'intervento dell'avvocato ha esposto le motivazione della richiesta di nullità della sentenza:
- Molti faldoni sono stati inseriti nelle carte dell'accusa dopo la chiusura delle indagini preliminari, in particolare quelli riguardanti la presunta e impossibile connivenza dei compagni con l'infame Maniero e la sua banda e quello riguardante la solidarietà. La comparsa di Maniero voleva essere utile a gettare fango sugli imputati e a garantire la spettacolarizzazione del processo. Stile, questo, adottato costantemente dall'accusa.
- La sospensione dei termini proposta dalla pm Bocassini, e accettata dalla Corte di primo grado, è stata illegale in quanto introdotta per la criminalità organizzata e poiché c'era già una norma esistente fin dal 1995 applicabile per reati di "terrorismo". Pelazza ha espresso la sua irritazione per questo non essendoci nessuna possibilità di vicinanza degli imputati con la mafia dicendo: "Tirate la corda del diritto in modo troppo vistoso, se il reato è politico non potete applicare il diritto usato per la criminalità organizzata".
- Non sono ammissibili le "informazioni fiduciarie" del SISDE (Servizio di Intelligence). A questo proposito ha citato alcune sentenze e scritti di Spataro in cui si afferma che possono essere utilizzate solo se sono riconoscibili fonti e definizioni e si dice che i prigionieri hanno diritto a un giusto processo.
- In sentenza è stato riconosciuto un danno a Ichino per la scorta che ha dovuto "subire": 5 mesi, 100.000 euro, 20.000 euro al mese! Non c'è stato nessun danno, innanzitutto perché è stato dimostrato in primo grado che tutta la vicenda è falsa e poi perché la scorta c'era già fin dal 2003. Lo scriveva allora, tutto tronfio, lo stesso Ichino sui giornali. Noi possiamo, su questo personaggio, esprimere solo il nostro disprezzo: un uomo vestito subdolamente di sinistra per nascondere l'uomo profondamente di destra, incarnazione vivente del concetto espresso a suo tempo da Gianni Agnelli, che la politica di destra si fa meglio con la sinistra. E non possiamo scordare che gli arresti sono scattati per il pericolo "omicidiario" grazie proprio a una falsa intercettazione fornita dalla questura alla Bocassini in cui i compagni avrebbero detto: "Siamo pronti ad ammazzare Ichino".
- Sono stati cambiati, prima di entrare in camera di Consiglio ben tre Giudici Popolari per futili motivi! Ciò è inammissibile. Ci sono sentenze di Cassazione che hanno annullato processi di primo e secondo grado per l'esonero di un solo giudice.
- Le perizie sulle intercettazioni, su cui si basa principalmente tutta l'inchiesta, sono state fatte su copie delle stesse e non sugli originali e, addirittura, non è documentato chi e come ha fatto queste copie! L'intercettazione da cui è stato costruito il falso di Ichino è tratta da un'intercettazione più lunga in cui addirittura i compagni vengono intercettati da molto prima del loro arrivo sul luogo (ci sono le relazioni della digos che notano, al minuto, gli orari precisi in cui i compagni arrivano). A proposito delle intercettazioni Pelazza esprime il suo disappunto sul fatto che il Giudice a latere Enrico Scarlini, estensore delle motivazioni della sentenza, sembra proprio che si vanti di non averle ascoltate. Per di più non ha nemmeno ascoltato le costose registrazioni del dibattimento: nella sentenza non c'è nemmeno un riferimento ad esse!
- Non è chiaro come siano state trovate le armi, le versioni di Pifferi (capo della digos di Padova) con cui il Rossin (coimputato dei compagni divenuto loro accusatore) già due giorni dopo l'arresto ha chiesto di parlare, sono contraddittorie. Ci sono molte "stranezze" che emergono dalle carte processuali sia sulle armi che sulle diverse e successive versioni del Rossin che, mano a mano che passa il tempo, si allineano con ciò che dice l'accusa.

Oltre alle motivazioni delle nullità l'avvocato denuncia le troppe "malignità" utilizzate per stilare la sentenza, indice piuttosto di un metodo adottato nel scriverla che di semplice "cattiveria". Sono state infatti utilizzate "prove" non ammesse al dibattimento fino ad arrivare al ridicolo di accusare un compagno dell'acquisto di un'arma da un altro imputato che è stato assolto dal reato di averla venduta!
L'arringa è poi proseguita con la denuncia dell'uso dei reati associativi, in particolare del 270 bis figlio del 270 proveniente dal codice fascista Rocco, modificato col bis e l'aumento di pena da Kossiga nel 1979 e ulteriormente peggiorato nel 2005 con l'aggiunta della dizione "terrorismo internazionale". Viene ricordato che la Cassazione negli anni 50 aveva abrogato questo articolo perché fascista. Viene denunciato che questi reati ora sono usati a piene mani preventivamente per reprimere la lotta di classe con la logica: "Ti puniamo non per quello che hai fatto ma per quello che sei", il reazionario concetto della "Colpa d'autore".
A questo proposito ricorda come, a differenza dei compagni che sono stati ritenuti colpevoli e come tali trattati e sbattuti, oltre che in galera, come mostri in prima pagina, Mario Mori, venuto a testimoniare anche in questa aula, capo del Sisde durante questa inchiesta, ora è sotto processo accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e per lui vale la presunzione di innocenza. Stesso succede per Giampaolo Ganzer, comandante del Ros dei Carabinieri che, sotto processo a Milano con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, peculato e falso e per il quale è stata chiesta una condanna a 27 anni di carcere. Ganzer e Mori naturalmente oltre che a essere liberi occupano posti da dirigenti all'interno delle istituzioni!
A questo proposito l'avvocato ricorda che la pm Bocassini ha mentito in aula quando ha affermato che le "rivelazioni" del Sisde non sono state utilizzate per l'inchiesta mentre è di questo mese l'articolo sul "Il sole 24 ore" in cui, a proposito dell'inchiesta sulle porcherie italiane e il caso Anemone, viene scritto che la stessa si è complimentata per il prezioso contributo dato dagli agenti del Sisde per incarcerare i compagni.

Pelazza prosegue sul reato associativo dicendo che l'associazione deve essere idonea a ledere il bene protetto che in questo caso è lo Stato e cita nuovamente Spataro assertore di questo concetto giuridico. Deve esserci idoneità offensiva, sentenze sono state annullate perché non realizzavano tali requisiti, come ad esempio quella contro gli anarchici torinesi che, purtroppo, ha visto nel 1998 due compagni "suicidi", Sole e Baleno.
In questo processo si è dimostrato che non esiste idoneità offensiva, ma si è di fronte ad atti preparatori per punire i quali esiste già l'art. 18 della famigerata legge Reale. Si giunge al paradosso di dover chiedere l'applicazione di una tale legge reazionaria!
Inoltre andrebbe applicato il semplice 270 modificato nel 2006 riferito al territorio nazionale e non il 270 bis modificato nel 2005 che ha l'aggiunta "terrorismo internazionale"e nel quale è ben specificato che le azioni devono essere "idonee".
Ma la prova regina della sentenza è la "Confessione" degli imputati, ovvero il loro documento allegato agli atti in Primo Grado, in cui si parla di analisi della situazione attuale e di necessità della lotta di classe e di quella rivoluzionaria, quindi, viste le prove, non c'è nemmeno il 270! L'avvocato lascia alla Corte le conclusioni.

I compagni dalla gabbia
Il compagno Claudio Latino interviene a nome del Collettivo Comunisti Prigionieri "L'Aurora" e del militante comunista Massimilano Toschi. Denuncia l'uso mistificatorio del documento consegnato ai giudici della Corte in Primo Grado che lo hanno trasformato in prova regina di confessione. Evidentemente, influenzati dal clima di Inquisizione che vive oggi l'Italia, hanno avuto il bisogno di creare una prova regina e ciò è chiaramente nato dalla mancanza di prove. La volontà punitiva si è espressa anche aggiungendo al documento una firma che non c'era, quella di Bruno Ghirardi, per colpirlo per la sua indomabile identità di rivoluzionario.
Il compagno ha poi spiegato che non hanno nulla da confessare e nemmeno nulla da spiegare alle Corti della giustizia borghese che sono quelle che assolvono i padroni assassini per l'eternit, per le morti sul lavoro, che coprono le stragi di stato. Invece hanno molto da spiegare alla loro classe, sul perché sono in una gabbia del tribunale borghese in veste di imputati e ringraziano calorosamente la loro classe per la solidarietà che ha manifestato in questi anni nei loro confronti.
"La nostra verità è che siamo qui per una società nuova, questo è un processo politico e fa parte di un'offensiva più generale che vede la polizia contro gli operai che lottano e contro i movimenti…La crisi è a un punto critico e per questo l'offensiva reazionaria è maggiore…"
Ha spiegato che la loro è solo una piccola esperienza per la costruzione di un Partito Comunista -pm in grado di porre la questione di come strappare il potere dalle mani degli sfruttatori e che la repressione non potrà fermare il divenire della storia perché, citando Marx e la lucidità con cui le sue analisi sono applicabili alla situazione attuale, a suo tempo scrisse: "Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono nelle loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. ..."
Appena disponibile faremo circolare l'allegato agli atti prodotto dai compagni

Il Pubblico
Un folto pubblico stipato nell'aula ha accolto l'intervento dei compagni con un lungo e commosso applauso seguito da slogan, pugni chiusi e striscioni alzati a cui rispondevano i compagni da dietro le sbarre.
La presidente della Corte Maria Luisa Dameno ha subito invocato lo sgombero dell'aula, ma dopo qualche minuto, vista l'impossibilità dello sgombero, si è ritirata assieme a tutta la Corte.
La Corte ha così subito paradossalmente la mistificatoria linea assunta per la gestione forcaiola di questo processo: massima pubblicità, ostentazione di forza e messa in mostra dell'apparato ogni volta che parlava l'accusa, silenzio tombale per le giornate in cui parla la difesa. Infatti in aula il 27 c'erano pochissimi sbirri e, guarda caso, nemmeno un giornalista. Quando parlò la Bocassini, i suoi testi incappucciati, quando venne Ichino c'erano, in numero allucinante, ogni tipo di sbirri e l'aula illuminata dalle telecamere dei massmedia. Per la "pericolosità" degli imputati sono state messe le doppie griglie alla gabbia e addirittura, dopo un anno di udienze, misero la scorta a Luigi Domenico Cerqua che presiedeva la Corte di Primo Grado.
Il 27 maggio, improvvisamente, tutta la pericolosità degli imputati e del pubblico era svanita! Evidentemente credevano che a tre anni e mezzo dagli arresti la solidarietà fosse scemata e, comunque, non volevano dare pubblicità alla difesa! Ma la solidarietà e la lotta non si fermeranno e saranno più forti del silenzio e delle menzogne dei mass media.
Va sottolineata la zozza ipocrisia dei mass media della sinistra borghese, particolari sostenitori delle "toghe rosse", che, in questo periodo, non parlano altro che di diritto all'informazione sui processi e lanciano campagne e mobilitazioni: le bugie hanno sempre le gambe corte!
Invitiamo tutti a presenziare alla lettura della sentenza che si terrà il 24 di Giugno

29/5/2010
Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07
parentieamici@gmail.com.it - www.parentieamici.org


nuoro: cominicato di solidarietà e sull'esito del processo
7 anni e 10 mesi: questa la pena inflitta ad Antonella, Paolo e Ivano
Oggi 16 giugno 2010, la Corte d'Appello di Cagliari ha riconsiderato la pena inflitta ai tre compagni nuoresi, reputata troppo lieve dalla Corte di Cassazione in relazione al reato per il quale sono stati condannati in via definitiva.
Sulla base della sentenza, la difesa ha reputato che il massimo inasprimento della pena dovesse arrivare 3 anni e 7 mesi.
Ma dopo tre ore di dibattimento, in appena poco più di un'ora, la Corte ha emesso una sentenza scandalosa: 7 anni e 10 mesi che ripercorrono la linea già tracciata dal p.m. De Angelis e che vanno anche al di là delle richieste del pg.
L'accanimento nei confronti dei tre compagni non è quindi terminato e la condanna odierna ne è un'amara conferma.
Tra le righe delle sentenze finora emesse, si delinea chiaramente l'intento di condannare le idee, come rivendicato dal pg e dal presidente del tribunale nei loro interventi.
Non lasciamo soli i compagni che quotidianamente subiscono la repressione.
Non permettiamo che ci rubino la vita.
Rivendichiamo la nostra e la loro libertà.

22 giugno 2010
Compagne e compagni
da informa-azione.info


tre Compagni baschi arrestati a Roma
Giovedì 10 giugno a Roma i carabinieri hanno arrestato 3 giovani indipendentisti baschi - Fermin Martinez, Zarine Gojenola, Artzai Santesteban -, mentre stavano distribuendo volantini sulla situazione di criminalizzazione del movimento giovanile di Euskal Herria e di denuncia contro il governo spagnolo per la violenta repressione politico-militare che attua da decenni contro il popolo basco.
I 3 compagni arrestati, giunti a Roma per tenere una conferenza stampa davanti al Parlamento Italiano, erano ricercati dalle autorità spagnole dallo scorso 24 novembre, giorno in cui una montatura giudiziaria della magistratura spagnola aveva portato a una maxi-retata in Euskal Herria contro la gioventù indipendentista, con oltre 50 giovani pretestuosamente accusati di appartenenza a ETA.
Anche a Roma abbiamo potuto vedere il vero volto del governo Spagnolo, che di fronte a proposte democratiche per la soluzione del conflitto nel Paese Basco risponde con la repressione più selvaggia, con arresti selettivi, illegalizzazione di partiti, rappresentanze sociali e dei lavoratori, collettivi giovanili, con la chiusura di organi di stampa, con la tortura (pratica ormai quotidiana ad opera dei vari corpi di Polizia presenti sul territorio basco), con la dispersione contro i prigionieri politici.
Mentre si stanno avviando le prime iniziative in sostegno dei compagni arrestati, per ora a Roma e Alpi Occidentati, esprimiamo loro tutta la nostra solidarietà, contro la loro estradizione nelle mani dei torturatori spagnoli e per la loro immediata scarcerazione.
Riportiamo di seguto un servizio di Radio Città Aperta a due giorni dagli arresti.

da ehl.bologna@gmail.com

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Questa mattina presso la Corte d’Appello di Roma si è tenuta l’udienza di convalida dell’arresto dei tre giovani indipendentisti baschi arrestati giovedì mattina mentre volantinavano nei pressi di Palazzo Chigi per chiedere una giusta soluzione del conflitto che oppone il loro popolo alle autorità spagnole. Ai tre ragazzi - assistiti dagli avvocati Cesare Antetomaso, Maria Luisa D’Addabbo e Carmela Lavorato, tutti aderenti all’Associazione Giuristi Democratici - il magistrato di turno ha ufficialmente notificato l’ordine di cattura europeo spiccato nel dicembre scorso da Fernando Grande-Marlaska, giudice dell’Audiencia Nacional di Madrid, dopo che erano scampati alla maxi retate del 24 novembre contro collettivi e associazioni della gioventù basca di sinistra.
Nei confronti dei tre giovani l’accusa è esclusivamente quella di appartenere all’organizzazione giovanile Segi, messa fuori legge da Madrid nel 2007 in quanto ritenuta emanazione dell’organizzazione armata ETA; nessun altro reato specifico gli viene addebitato, a ulteriore e inequivocabile conferma del carattere tutto politico della persecuzione giudiziaria nei confronti degli attivisti delle organizzazioni della sinistra indipendentista. I tre imputati - detenuti in celle singole in una condizione di semi-isolamento - sono apparsi in buone condizioni e hanno respinto l’estradizione richiesta dalle autorità spagnole; a una domanda da parte del magistrato a proposito della propria nazionalità Zurine Gogenola Goitia ha ribadito di essere basca.Ora la magistratura italiana ha poco più di due settimane per decidere sulla richiesta di estradizione avanzata da Madrid, contro la quale i tre giovani potranno comunque fare ricorso appellandosi alla Corte di Cassazione.
La rete informale di solidarietà che ieri ha realizzato una conferenza stampa davanti all’ingresso principale del carcere di Regina Coeli per denunciare la persecuzione dei giovani baschi e chiedere provocatoriamente che venga loro concesso l’asilo politico da parte del Governo italiano, nei prossimi giorni è intenzionata a convocare una iniziativa pubblica alla quale invitare giuristi, giornalisti ed esponenti politici affinché sulla vicenda si sviluppi un ampio dibattito anche per cercare di rompere una condizione di censura che sta caratterizzando l’atteggiamento dei principali media del nostro paese.

12 giugno 2010

Teramo: Annullato presidio fascista
e domiciliari per i 2 arrestati del 28/5
Era annunciata per il 5 Giugno una mobilitazione da parte di esponenti del movimento di destra Forza Nuova e dell'associazione “Disperato Amore” di Teramo.
La Questura però, stando al comunicato inviato dalla segreteria provinciale di FN, ha negato l'autorizzazione, e per questo gli organizzatori dell'iniziativa: "condannano, senza mezzi termini, la decisione di negare il presidio".
Nella nota si legge inoltre: "Vorremmo ricordare alle istituzioni che dopo i fatti del 23 dicembre, fu permesso lo svolgimento di un corteo per le vie centrali della città e nessuno protestò. Ora ci viene posto un divieto da parte delle autorità. Non ci appelliamo alla costituzione, non faremo ricorsi e non ci prostreremo innanzi a nessuno per vederci garantito un diritto popolare: ogni settimana, con sistematicità, chiederemo di svolgere una manifestazione, fino a quando non si decideranno ad autorizzarla. Non vogliamo trasformare Teramo in un campo di battaglia, ma non accetteremo nemmeno più provocazioni e aggressioni".
Comunque sia, un nutrito gruppo di antifascisti e solidali si era comunque raccolto per evitare l'ennesima presa per culo della questura teramana.
Nel frattempo, i due arrestati il 28 maggio sono stati trasferiti ai domiciliari.

da informa-azione.info

Perugia: Comunicato sull'arresto di Michela del 10/4/10
"In questo mondo di cyberpoliziotti noi vogliamo esplorare il nostro universo immaginario, i nostri desideri e sogni di potere. Vogliamo disegnare l'avvenire a nostra immagine" Rosi Braidotti
Il 31 maggio l'ultima udienza del processo per resistenza a pubblico ufficiale a Michela, arrestata il 10 aprile [1] scorso a Perugia mentre trascorreva una serata tra amici, è stata rimandata al 30 giugno 2010.
Dopo un primo periodo di mobilitazione, che ha visto prevalentemente un'attivazione sul piano personale e relazionale, noi del Collettivo Sommosse Perugia riusciamo ad uscire soltanto adesso con un comunicato
ufficiale sull'aggressione subita, perché quanto accaduto a Michela è da considerare la situazione più critica da noi vissuta fin dall'inizio della nostra breve storia.
Un'azione repressiva del tutto gratuita e sovradimensionata, una vera e propria azione dimostrativa da parte delle forze di polizia che aspirano al governo della città di Perugia, che si conferma territorio privilegiato di
sperimentazione di politiche della paura e del controllo.
Un'azione repressiva forte e indiscriminata, criminalizzante gli stili di vita, che ha colpito più duramente chi da sempre ha fatto sua l'opposizione al securitarismo e alle retoriche dei divieti, delle restrizioni, delle recinzioni.
Dal 10 aprile fino ad oggi si è andata progressivamente delineando sui giornali come nell'aula di tribunale una ricostruzione della vicenda che vede la stigmatizzazione dell'unica donna arrestata come la "deviante": colpevole di avere fatto degenerare la situazione nel corso di un "normale" di controllo di polizia, responsabile del
coinvolgimento degli altri due ragazzi arrestati e infine legittimante la reazione repressiva da parte delle forze dell'ordine.
La retorica con la quale si vuole dipingere Michela come il pericoloso soggetto da cui è scaturito il "problema di ordine pubblico" riprende lo stereotipo sin troppo facile da ricalcare della donna aggressiva,
ribelle e indisciplinata attraverso il quale da sempre si criminalizza, colpevolizza e reprime la capacità reattiva e la forza di autodeterminazione delle donne. Una forza sovversiva che si tenta in ogni modo di restringere e contenere entro un sistema normalizzante e repressivo "ordinario".
In un momento di difficile gestione della città, a causa di diffuse e capillari politiche di repressione con le quali anche a Perugia si tenta di governare una crisi profonda e generalizzata che d'altro canto non vede una risposta forte da parte di chi questa crisi la subisce in misura maggiore (donne, migranti, giovani, precar*), noi intendiamo proseguire il nostro percorso di riconquista della città, di riconquista dei nostri corpi e dei nostri spazi, del nostro futuro.
Per questo saremo presenti alla due giorni su sicurezza, carcere e proibizionismo che si sta organizzando a Perugia per il 25 e 26 giugno prossimi, nella quale porteremo i nostri contributi sulla decostruzione del concetto di SICUREZZA che per noi significa libertà dalla violenza di genere, libertà dal controllo e dalle recinzioni, libertà di scelta e autodeterminazione, accesso al reddito, alla mobilità, alla cultura, alla felicità.
Noi ragazze in lotta, ragazze cattive, vogliamo un presente in cui poter vivere e un futuro in cui poterci specchiare

20 giugno 2010
Collettivo Femminista Sommosse Perugia
da informa-azione.info


firenze: Ancora Repressione nelle scuole
Nelle scuole di Firenze i presidi si arrogano sempre di più il potere di perseguitare gli studenti che fanno un lavoro di azione politica autonoma.
Dopo la legge provinciale che permette agli studenti di ritrovarsi a scuola solo se costituiti in Associazione APOLITICA con tanto di presidente, statuto e soci riconosciuti dal preside e dalla provincia, dopo la sospensione di una settimana che ha costretto un ragazzo a ritirarsi a causa dell'Irruzione in Consulta provinciale, dopo che il collettivo del
Castelnuovo è stato cacciato fuori da scuola, dopo che l'11 maggio la vicepreside del Castelnuovo ha strappato uno striscione che gli studenti del collettivo avevano attaccato per ricordare la violenza delle cariche di un anno prima, che alcuni di loro avevano subito personalmente, il presdie di quella scuola, Di Lorenzo, non contento, ha deciso di mettersi d'accordo con i suoi amici sbirri per spiare e perseguitare gli indegni atti di attaccare striscioni e manifesti nella propria scuola.
Ieri pomeriggio infatti il preside ha convocato un Consiglio d'Istituito straordinario per discutere dei provvedimenti da prendere nei confronti dei ragazzi del collettivo, sulla base di un FASCICOLO SPEDITOGLI DALLA QUESTURA, recante copia delle varie contestazioni nei suoi confronti che gli studenti avevano scritto su interet, sui siti della rete dei collettivi, dei 400 colpi, sul sito di Fiondaradio e sui loro profili di facebook. Il preside è giunto alla conclusione che non prenderà provvedimenti legali per gli insulti che ha ricevuto, ma potrebbe applicare sanzioni disciplinari (sospensione, che è uguale a dire bocciatura.
La rete dei collettivi dà piena solidarietà ai ragazzi del collettivo caos castelnuovo e CONDANNA:
- l'azione repressiva dei presidi-sbirri, che non lasciano spazio ai collettivi
- la persecuzione della questura, che tenta di spiare in ogni modo, e trova nei presidi (nostri "educatori?!") un perfetto alleato.
NON CI FERMERANNO CON LE SOSPENSIONI E LE MINACE, NON CI FERMERANNO
PERSEGUITANDOCI E REPRIMENDOCI,
LA LOTTA CONTINUA, SIAMO SEMPRE PIU'INCAZZATI!

20/05/2010
Rete dei Collettivi

Bella ciofeca!
Il 17 maggio, sotto il furgone di un redattore di Nunatak, abbiamo trovato un bel segnalatore con tanto di scheda SIM Vodaphone e quattro pile torcia, da 3,6 volt ciascuna, in serie. Il tutto piazzato con calamite dietro una ruota posteriore del mezzo. Questa volta, giusto per non darci meriti inappropriati, bisogna ammettere che non ci volesse molto ad accorgersi che “qualcuno” aveva piazzato un marchingenio per spiare i nostri spostamenti. Del resto, è da tempo ormai che, purtroppo, è buona abitudine fare i conti con un controllo tecnologico sempre più invasivo e capillare. In effetti, in mezzo a tutte le manovre e gli attacchi repressivi che lo Stato muove a quanti hanno ancora il coraggio di alzare la testa, questo non è che l’ennesimo segnale di quanto la rivista Nunatak sia diventata oggetto di attenzioni da chissà quale Procura o corpo investigativo.
Monitoraggio, visite a domicilio e tutta una serie di altre più o meno velate pressioni gravitano da tempo intorno alla rivista e a chi vi collabora con l’intento di farvi terra bruciata intorno e preparare un eventuale prossimo intervento repressivo.
Ci pare inutile ribadire ancora una volta che le loro “attenzioni” non ci faranno arretrare di un passo sui nostri percorsi, ma non possiamo che ammettere che, fino a quando divise e autorità si preoccuperanno della nostra presenza, del nostro pensare e del nostro agire, avremo la conferma di andare nella giusta direzione.

Redazione di Nunatak - rivista di storie, culture, lotte della montagna


Pasquale libero
Apprendiamo e diffondiamo con estrema felicità la notizia che, da questa mattina, il compagno antifascista Pasquale, recluso agli arresti domiciliari a Verona per l’infamia di un fascista ammaestrato dalla digos e magistratura, E’ LIBERO!! Ora i due compagni arrestati a Novembre, Luca e Pasquale, sono entrambi finalmente liberi di poter tornare alla loro vita e alle loro lotte. L’antifascismo anche sotto i colpi della repressione non si ferma, neppure a Verona. Sia ben chiaro a digos, magistrati e fascisti infami, anche a Verona, come nel resto d’Italia, l’antifascismo militante continuerà la sua lotta, rispondendo colpo su colpo ad ogni manovra repressiva del regime. Finalmente questa brutta storia per i compagni di Verona è finita, MA LA LOTTA ANTIFASCISTA CONTINUA….

Antifascisti/e veronesi, Arditi sez Veneto, Compagni/e delle fiamme nere della temeraria, Antifa Verona


Cronologia dei principali fatti avvenuti nei CIE
durante il mese di maggio 2010
Come sempre ringraziamo la redazione di macerie per la raccolta e la diffusione di avvenimenti e lotte.

Torino, 2 maggio
Proprio come la settimana scorsa, anche questa domenica un gruppo di prigionieri di corso Brunelleschi ha tentato la fuga, questa volta dall'area bianca. Il tentativo è stato bloccato sul nascere dalla polizia, che si è poi accanita in particolar modo su di un ragazzo - pestato tanto da dover essere trasportato con urgenza all'ospedale. Intanto i reclusi dell'area gialla - che sono in sciopero da lunedì - hanno dato la propria solidarietà ai pestati come potevano: lanciando bottiglie e insulti contro i militari.

Torino, 3 maggio
Il ragazzo pestato ieri sera ha passato la notte all'ospedale e solo questa mattina è stato riportato al Centro, ma in isolamento. Per cercare di dividere i prigionieri la polizia sta spargendo la voce che a pestarlo siano stati i suoi stessi compagni: nonostante questi tentativi, la tensione dentro non si abbassa e i reclusi delle aree bianca e gialla continuano ad essere combattivi.

Milano, 5 maggio
"Dovevano essere rimpatriati in Senegal e provenivano dal centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano ma una volta saliti sull'aereo hanno picchiato i 4 agenti che li accompagnavano. È accaduto ieri a Malpensa su un volo diretto a Dakar: diverse le contusioni riportate dai poliziotti che avevano preso in carico i due giovani con il compito di portarli sull'aereo (…). I due senegalesi, una volta saliti a bordo dell'aereo, hanno dato in escandescenze tirando calci e pugni. Dopo essere stati riportati alla calma il comandante del volo ha deciso di non accettare a bordo i due clandestini e così i poliziotti li hanno dovuti riportare al Cie di Milano. Per loro è scattata anche la denuncia di resistenza a pubblico ufficiale e saranno processati in direttissima domani mattina. Non è la prima volta che si verificano casi di questo tipo". (da "Varese News")
Attualmente, di questa storia non sappiamo altro che quel che riporta la nota d'agenzia pubblicata sopra. Conosciamo però Mamadou, uno dei due protagonisti, fino all'altro ieri in prima fila nello sciopero della fame che è in corso in via Corelli dall'inizio di marzo.

Busto Arsizio, 7 maggio
Si è svolta questa mattina al tribunale di Busto Arsizio l'udienza contro i due senegalesi arrestati. Uno di loro è da tempo in Italia e la polizia gli aveva garantito che sull'aereo avrebbe trovato anche i propri familiari, in modo da rientrare in Senegal insieme a loro e non lasciarli da soli in Italia. Ovviamente la polizia mentiva, ed è per questo - ha sostenuto in udienza - che ha fatto resistenza attirando su di sé la violenza della scorta. Il secondo, invece, in Senegal ci voleva ritornare e lo ha difeso mentre lo malmenavano. Tutti e due hanno rifiutato di patteggiare e la prossima udienza del processo è prevista per il prossimo 14 maggio, alle ore 10, sempre al tribunale di Busto Arsizio.

Trapani, 7 maggio
Due immigrati sono stati arrestati a Trapani dopo un tentativo di fuga dal Centro di identificazione ed espulsione "Serraino Vulpitta". Hanno opposto resistenza e procurato lesioni al personale in servizio nella struttura intervenuto per bloccarli. I due tunisini erano riusciti a eludere la sorveglianza e, dopo avere scavalcato il muro di cinta, erano scappati. Immediatamente rintracciati, hanno aggredito i poliziotti. Al termine del rito direttissimo, l'arresto e' stato convalidato e il processo rinviato.

Gorizia, 7 maggio
Nove ospiti del Cie di Gradisca d'Isonzo, perlopiù di origine maghrebina, sono fuggiti nella tarda serata di ieri dalla struttura. I nove - a quanto si è saputo dalla Questura di Gorizia - facevano parte di un gruppo di una trentina di immigrati che hanno tentato la fuga. Una ventina di loro, però, è stata trattenuta dal personale di vigilanza, mentre gli altri nove hanno forzato, danneggiandola, una grata in ferro posta nell'atrio esterno ad una camera e dopo averla attraversata, hanno raggiunto il tetto della struttura e superato le "barriere", dileguandosi nella notte.

Roma, 9 maggio
In prima serata, durante una corrispondenza con Ponte Galeria, ci raccontano che una delle persone costrette nelle gabbie della sezione maschile, dopo aver chiesto di ricevere delle cure per una malattia che ha bisogno di assistenza sanitaria continua, ha ingerito 4 accendini per farsi portare in ospedale. L'unica risposta che ha ricevuto è stato un pestaggio in cella da parte della celere. Nella sezione maschile questa sera si rifiuta il cibo per protesta. L'aggiornamento di questo momento [22,30] è che questa persona sta morendo senza ricevere alcuna attenzione. Siamo poi venuti a sapere che il recluso che picchiato è stato ricoverato in ospedale. Ha subito un intervento chirurgico per togliergli gli accendini dallo stomaco. Dopo quattro o cinque giorni di convalescenza sarà "libero" di… tornare a Ponte Galeria.

Torino, 11 maggio
Due donne marocchine con regolare permesso di soggiorno sono tutt'ora detenute al Cie di Torino, sembra paradossale ma non é tutto. Ieri infatti, una di queste è stata portata all'aeroporto di Caselle, pronta per essere espulsa, caso vuole che non ci fossero aerei, ed è stata quindi riportata in corso Brunelleschi. Ovviamente nessuno si aspettava che cercassero di espellerla e lei stessa era convinta che l'avrebbero liberata. Non è stato così. Tutto questo alla luce del fatto che chi, esausto dell'accoglienza tutta italiana e delle sue strutture tanto ospitali e della sua popolazione proverbialmente caciarona e socievole, chiede di tornare al proprio paese è costretto a rimanere detenuto ad oltranza e a sopportare le prepotenze ed i capricci delle guardie e del console. Questa si chiama psicologia inversa.

Milano, 20 maggio
Dopo una prima udienza il 7 di maggio, la settimana successiva il giudice di Busto Arsizio li ha condannati ma, dopo essersi fatto garantire che sarebbero partiti presto dall'Italia, ha sospeso la pena e li ha "rimessi in libertà": ovviamente i due ora sono di nuovo in via Corelli, da dove li abbiamo sentiti.

Gradisca, 21 maggio
Rinchiusi in 40 in una stanza da otto, sono riusciti a fuggire dal Cie. È iniziata così la seconda evasione di massa dalla struttura per immigrati in appena due settimane. L'episodio si è verificato nella notte fra mercoledì e giovedì, attorno alle 3. Ancora una volta gli immigrati rinchiusi nel Cie - in larga parte tunisini - sono riusciti ad arrampicarsi sul tetto del complesso e a tentare la fuga lanciandosi oltre il muro di cinta, nel vuoto, da oltre 4 metri d'altezza: questa volta è andata bene a 17 di loro, riusciti a far perdere rapidamente le proprie tracce nella campagna circostante avvolta dall'oscurità. Le ricerche che ne sono seguite non hanno prodotto risultati. Più o meno altrettanti, 19, sono stati invece immediatamente ripresi dalle forze dell'ordine. (Da "Il piccolo" del 21 maggio 2010)

Bologna, 21 maggio
Tre punti con ago e filo da labbro inferiore a superiore, per protestare contro il rigetto della sua richiesta d'asilo in Italia. Amina (il nome è di fantasia, ndr), 34 anni di cui otto passati nel nostro Paese, viene dalla Tunisia e in Libia ha un bimbo piccolo cui, ogni mese, manda con fatica un po' di soldi. Suo figlio è nato al di fuori di una "regolare" unione. Ed ora che la giovane donna, ospite forzata del Centro per identificazione ed espulsione degli immigrati senza documenti di Bologna, rischia da un momento all'altro di essere rispedita in Nordafrica, Amina teme che la famiglia le faccia pagare con la vita quel figlio dello scandalo. Per questo giovedì pomeriggio, appena saputo del rigetto, la ragazza ha preso ago e filo e si è cucita la bocca, nel bagno di uno degli stanzoni comuni del settore femminile, all'ex caserma di via Mattei. È stata un'immigrata dal suo stesso destino a dare l'allarme agli operatori della Misericordia, che gestiscono il centro. Ma la donna, accompagnata al Policlinico Sant'Orsola per una visita fisica e psichiatrica, non ha voluto in nessun modo farsi toccare. Da giovedì quindi Amina, trattenuta al Cie dal 30 marzo scorso, non mangia e non beve. Né ha alcuna speranza, dice, di poter ricorrere contro la decisione di rigetto della richiesta d'asilo: il poco denaro messo da parte in Italia le serve per mantenere in Libia il suo bambino (…). (Da "L'Unità" del 21 maggio 2010)

Bologna, 27 maggio
Sei giorni dopo la scelta di cucirsi le labbra per protestare contro il rigetto della richiesta di asilo politico, Najoua è stata rilasciata dal Cie di via Mattei. La donna è stata rilasciata perché i medici del Cie hanno dichiarato il suo stato di salute incompatibile con la permanenza nella struttura.
Ad accoglierla, ieri sera all'uscita dal centro, ha trovato l'avvocato Roberta Zerbinati che l'ha subito portata in ospedale per accertamenti. "La Questura ha deciso di rilasciarla - ha spiegato il legale - Resta senza permesso di soggiorno, ma ora potrà fare i suoi ricorsi da donna libera".

Gradisca, 23 maggio
Ancora una evasione dal Cie di Gradisca. Questo pomeriggio ci hanno provato in nove, ma due sono stati subito ripresi, rimessi nelle celle e picchiati pesantemente. Degli altri sette invece, per ora, non ci sono notizie: è possibile dunque che siano riusciti ad allontanarsi e che ora siano liberi.

Roma, 24 maggio
A soli tre giorni dalla maxi evasione l'altra notte il copione dietro il muro della ex Polonio si è ripetuto. Questa volta sono riusciti a darsi alla macchia in sette, tutti nordafricani, mentre 14 sono stati ripresi dalla forze dell'ordine subito allertate.
Bologna, 24 maggio.
Questa sera, intorno alle 22.00, un gruppo di reclusi di via Mattei ha dato fuoco a un po' di materassi. Sono intervenuti i pompieri a spegnere i roghi, e poi la polizia a far le foto dei danni. Le notizie sono ancora confuse, e non sappiamo quante sezioni siano rimaste coinvolte. Sta il fatto che almeno in una sezione del Centro i prigionieri dormiranno in cortile: dentro alla struttura l'aria è irrespirabile, e di materassi non ce n'è più.

Milano, 26 maggio
Questa mattina, con la scusa di un foglio da firmare, hanno preso Mamadou da dentro al Centro e lo hanno riportato a Malpensa dove, legato ed imbavagliato, è stato fatto salire sull'aereo. Questa innocente "precauzione" dei funzionari di polizia che lo accompagnavano, però, ha sortito l'effetto contrario di quanto desiderato: il comandante dell'aereo, vedendolo così impacchettato, si è rifiutato di accettarlo a bordo ed ora Mamadou, che ha fatto un bel casino una volta liberato da lacci e bavagli, è di nuovo in Corelli.

Brindisi, 26 maggio
"Un tempo fungeva da campo profughi per gli esuli provenienti dall'Istria, poi di volta in volta è stato centro di accoglienza, di permanenza temporanea, per richiedenti asilo (…) il centro è teatro continuo di rivolte e contestazioni, un posto gestito dalla cooperativa "Connecting People" dove sono stati rinchiusi illegalmente anche minori, dove l'autolesionismo è la norma tanto che un trattenuto afgano nei giorni scorsi si è cucito due volte le labbra perché gli veniva impedito di parlare con i propri figli.
L'altro ieri sera si preparava probabilmente un rimpatrio di massa e gli 85 detenuti hanno improvvisato una rivolta. Ovviamente le ricostruzioni differiscono, le forze dell'ordine parlano di una fuga di massa sventata - in 10 sono riusciti ad allontanarsi - e di 5agenti di sorveglianza feriti dal lancio di sassi e calcinacci. Secondo Angelo Leo, segretario provinciale del Nidil Cgil, le cose sono andate diversamente. C'è stata una resistenza al rimpatrio, di persone che rischiano la vita se riportate nel proprio paese che polizia, carabinieri e agenti della guardia di finanza hanno represso brutalmente. Secondo le sue informazioni sono almeno dieci i reclusi che sono dovuti ricorrere alle cure ospedaliere" (…). (Da "Liberazione" del 26 maggio 2010).
Ma cosa è successo nel Cie di Restinco, a Brindisi, questa settimana? Sicuramente due rivolte con fuga, a due giorni di distanza una dall'altra, rivolte consistenti e dure. E poi i soliti pestaggi: addirittura gira voce di un ragazzo senegalese in fin di vita all'ospedale dopo essere passato tra le mani di polizia e militari della San Marco. La Prefettura ovviamente smentisce, ma questo come sappiamo vuol dire poco. In ogni caso, in tutto, i fuggiaschi sarebbero 24, e gli scontri sarebbero terminati soltanto all'alba di ieri.

Torino, 28 maggio
Dopo essersi sentiti dire dagli emissari di Comune e Prefettura che "è finito il tempo di fare i turisti in Italia" e che è arrivato il momento di ritornarsene in Somalia, oppure in Germania o in Francia, i rifugiati "ospiti" da mesi nella caserma di via Asti dopo lo sgombero dell'ex clinica San Paolo danno vita ad un piccolo corteo spontaneo in via Po. Un corteo singolare, fatto sul marciapiede e sotto i portici, che schiva passanti e camerieri basiti e rasenta i tavolini dell'aperitivo torinese: ancor più che le manifestazioni ordinarie, prefigura i movimenti futuri di una città che è meta e snodo di mille viaggi diversi e dove i viaggi a volte si rivelano per quello che sono, forme di lotta. Arrivati in piazza Castello con i loro striscioni, i profughi rifiutano sdegnosamente l'offerta di parlamentare con qualche sottopiffero prefettizio e preferiscono farsi vedere e far conoscere le proprie ragioni alla città. Poi, quando ne hanno abbastanza, si girano sui tacchi e se ne ritornano in via Asti.

***
Martedì 8 giugno, davanti al tribunale di Milano, un'ottantina di antirazzisti e antirazziste si sono radunati in presidio per dare sostegno e solidarietà a Joy ed Hellen, contro le deportazioni, contro i CIE e contro gli aguzzini che li gestiscono. A sorvegliare gli/le antirazzisti /e uno sproporzionato schieramento di polizia e carabinieri che però non è bastato ad impedire che il "buon nome" della polizia venisse infangato ancora una volta dalla verità, sia dentro che fuori dal tribunale. Fuori, viene aperto lo striscione proibito, che recita"Nei CIE la polizia stupra", quello del 25 novembre, causa di tre cariche da parte della polizia, in Piazzale Cadorna a Milano nella giornata internazionale contro la violenza sulla donna. Martedì come allora quando lo striscione appare, in mezzo alla strada e sulle strisce pedonali, poliziotti e carabinieri si agitano e si schierano poi, con due piccole cariche, schiacciano i manifestanti verso il marciapiede. Il presidio tiene comunque, e lo striscione proibito viene difeso e riportato a casa pronto ad essere risfoderato ogni qual volta si riterrà opportuno. Dentro, sette piani sopra i/ le manifestanti, nella stanza del GIP, si svolge l'incidente probatorio in cui viene sentita la testimonianza di Joy sulla violenza subita nel CIE di via corelli, come la sua testimone Hellen. E' presente anche lui Vittorio Addesso, ispettore capo di polizia, nascosto dietro degli occhiali da sole, affiancato dal suo difensore, avvocato dello studio La Russa di Milano. La sua presenza non intimorisce né Joy né Hellen, che raccontano guardandolo in faccia tutta la vicenda. La verità che infanga il buon nome della polizia non piace, non piace perché rompe l'illusione di un potere piccolo, meschino ed arbitrario che i cosiddetti rappresentanti dell'ordine credono di detenere e che li fa sentire liberi di compiere piccoli e grandi soprusi dentro e fuori le mura di CIE e carceri. Tutt'altro che atti isolati, tutt'altro che un problema di "mele marce", ma, piuttosto, il segno della realtà quotidiana a cui opporsi con ogni mezzo possibile e necessario. Realtà alla quale Joy, Hellen e tante/i altre/i si sono opposti denunciando ciò che accadeva, opponendosi con tutta la loro forza a violenza, rappresaglie, deportazioni. Joy è di nuovo nel cie di Modena, di nuovo ostaggio dello stato, che oggi venerdì 11 giugno deciderà se confermare la sua detenzione per altri 60 giorni in quella struttura, di nuovo con la minaccia di una deportazione in Nigeria, che per lei equivale ad una condanna a morte. Joy, insieme a tante e tanti come lei continuerà ad opporsi a tutto questo senza cercare vie di fuga e senza credere o illudersi della clemenza del nemico.

Comitato Antirazzista Milanese

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Chiudiamo con un'ottima notizia, qualche giorno dopo Joy è stata liberata…


Modena 19/06/2010: Corteo contro cie
All’interno di un percorso di lotta che parte da lontano e che si è andato intensificando negli ultimi mesi qui a Modena e a Bologna, in Italia e in generale in Europa, con scioperi della fame, rivolte, fughe dei reclusi, e presidi, presenze nelle città, azioni di sostegno dei solidali, promuoviamo un corteo a Modena per il 19 giugno 2010
Contro i Cie, perché sono i lager odierni in cui vengono rinchiusi gli immigrati senza le carte in regola per vivere nei paesi dei ricchi
Contro le deportazioni, chiamate spudoratamente rimpatri
Contro la funzione di questi centri, che è quella di tenere sotto minaccia della privazione della libertà individui da annientare e rendere quindi disponibili per lavori da schiavi
Contro chi li gestisce, perché lucra sulla miseria, come la Croce Rossa e la Misericordia che si presentano dissimulati sotto un’aurea caritatevole o le Cooperative della Lega Coop che si spacciano come promotrici della mutualità e della solidarietà
Contro tutte le aziende che si arricchiscono con appalti per fornire servizi all’interno come la Concerta spa e la Sodexo
Contro tutti gli uomini in divisa che, nell’adempimento del loro “dovere” di carcerieri, nei Cie massacrano e stuprano
Contro il Cie di Modena, gestito dalla Misericordia di Daniele Giovanardi che, attraverso i suoi metodi da piccolo dittatore fatti di propaganda da un lato e asservimenti, soprusi, divieti, restrizioni e isolamento praticati sui reclusi dall’altro, sperimenta un modello esemplare per altri Cie in Italia
Contro Frontex, l’agenzia che gestisce e organizza le deportazioni per i paesi europei e controlla le frontiere
Contro la propaganda razzista
Contro il silenzio complice dei “bravi cittadini”
Insieme a chi brucia i Centri di detenzione
Insieme ai rivoltosi di Rosarno
Insieme a chi non si arrende e lotta con i mezzi che ha a disposizione: rivolte, scioperi e fughe
Insieme a chi non gira la testa dall’altra parte
Fuori i reclusi dai Cie
Fuori i Cie dal mondo

Coordinamento per il 19 giugno

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Il circuito dello sfruttamento
I Cie, ex Cpt, sono luoghi di detenzione amministrativa sottoposta all’autorità di polizia quindi, da un punto di vista giuridico, propriamente equiparabili ai Lager nazisti. Istituiti dalla sinistra nel 1998 e condotti a compimento dalla destra, sono parte integrante e costituente di un meccanismo perfettamente oliato che alimenta il circuito dello sfruttamento. La politica razzista, con le sue leggi e la sua propaganda, incalza l’immigrato schiacciandolo nell’angolo per renderlo sfinito e umiliato schiavo, un pezzo utile da mettere a profitto nei tempi della produzione o in quelli del business del “divertimento” sessuale. Nei Cie vengono rinchiusi immigrati senza il permesso di soggiorno, ma non solo. Ci sono persone che hanno richiesto l’asilo politico, che hanno lavoro e carte in regola ma con vecchi decreti di espulsione sulle spalle, che hanno finito di scontare una pena in carcere e donne, tante donne, in molti casi vittime della tratta. Gente che è sfuggita da guerre, persecuzioni, maltrattamenti e prostituzione. E fame. Guerre e fame che il capitalismo occidentale produce per continuare indisturbato a dominare e a razziare il mondo.
Resi clandestini per la sventura di arrivare da paesi disgraziati, sotto la minaccia costante e continua di essere internati e deportati, di venire fermati per strada, negli autobus, nei treni e trattati come bestie, di venire separati dagli affetti più cari, di finire nuovamente nelle grinfie di sfruttatori e “protettori” senza scrupoli, vivono in balia della malvagità di chi esegue gli ordini del potere.

Il meccanismo dello sfruttamento per funzionare ha bisogno di un braccio armato fatto non solo di sbirri e militari, ma anche di controllori di autobus e treni che, solerti, scovano immigrati clandestini e li consegnano nelle mani delle autorità. Necessita di un ambiente predisposto ad accogliere tutte le possibili misure di controllo, militari nelle città compresi, quindi la propaganda razzista sostenuta dall’ossessione securitaria entra in campo per alimentare le paure eliminando il rischio che qualcuno solidarizzi o manifesti repulsione per metodi così spietati e disumani. È così che si forma un esercito di schiavi circondati da una massa grigia di esseri collusi, insensibili e meschini.
Il secondo termine, espulsione, richiede a sua volta che venga predisposto un meccanismo di attuazione. Centri di detenzione per immigrati sono presenti in tutta Europa e nel 2004 è stata istituita Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne) che, tra le altre, ha la funzione di «fornire agli stati membri il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte». Non è facile nemmeno per gli stati deportare, ci vogliono accordi con i paesi terzi, tanto che spesso vediamo presidente del consiglio e ministri italiani correre smaniosi in giro per il mondo alla ricerca di accordi con Libia, Ghana ecc. Ma ora Frontex è pronta per il suo compito, ha a disposizione aerei charter noleggiati con pilota compreso per le deportazioni che rastrellano gente dai vari centri di detenzione facendo scali in diverse città europee. E si tratta di un intervento prezioso per il sistema rimpatri anche perché sugli aerei di linea troppo spesso i comandanti hanno dovuto far scendere i deportati, e la loro scorta, a causa delle proteste loro o di altri passeggeri, scioccati nel vedere gente in manette e maltrattata.

Le condizioni nei Cie e le lotte recenti
Chiunque segua le lotte contro i Cie sa che non passa giorno senza che arrivino notizie di soprusi e maltrattamenti, che i reclusi lamentano un disinteresse totale rispetto a qualunque genere di necessità, perfino di cure mediche anche in presenza di malattie o ferite gravi. Si sa che il cibo è pessimo, scarso, condito con psicofarmaci e a volte pure pieno di vermi o scarafaggi. Che gli internati non hanno alcun diritto e che per loro è praticamente impossibile uscire anche se hanno casa, lavoro, coniuge italiano e figli. Che le forme di protesta vengono spesso schiacciate dalla repressione e dai manganelli e che le pene per chi reagisce sono sempre alte. A volte arrivando persino alla morte, come nel caso di uno dei rivoltosi del Cie di Milano. Che gli operatori dei Cie e le guardie si rivolgono agli immigrati con violenza e disprezzo. Che i ricatti sessuali contro donne e trans sono quotidiani. Che gli stupri da parte delle guardie, e di chissà chi altro, sono un rischio costante e troppe volte una realtà. Che quando le violenze vengono denunciate, come nel caso di Joy e di Preziosa, le ritorsioni sono terribili e interminabili. Che i reclusi vengono spesso rispediti in paesi di cui non sanno più nulla e che in certi casi non sono neppure quelli di provenienza. Si potrebbe continuare all’infinito con esempi di soprusi e palesi ingiustizie, di esasperazioni che portano a pesantissime forme di autolesionismo fino ad arrivare in alcuni casi al suicidio.
Ma è anche vero che le tensioni e le ribellioni dentro tutti i centri di detenzione in Italia e in Europa intera non si placano. La gioia per le fiamme di Vincennes o di Lampedusa non si spegne e l’esempio recente di 84 donne in sciopero della fame a Yarl’s Wood in Inghilterra dà forza e speranza. Senza dimenticare l’indomabile sciopero della fame che ormai da marzo prosegue a staffetta, con il forte sostegno dei compagni fuori, al Cie di Milano.
In Italia, dall’approvazione del nuovo Pacchetto Sicurezza nel luglio 2009 con il quale è stato introdotto il reato di clandestinità e il prolungamento fino a sei mesi del periodo di detenzione nei Cie, le ondate di protesta, le lotte all’interno dei lager della democrazia e fuori non si sono mai fermate. In alcune occasioni la determinazione e la rabbia dei reclusi hanno portato a coraggiose rivolte e fughe, pensiamo alle rivolte dell’estate scorsa al Cie di via Corelli a Milano, a quella di Modena dove i reclusi hanno reso inagibili diversi padiglioni, alle continue fughe dal Cie di Torino, alla rivolta e al fuoco di Ponte Galeria a Roma, a Gradisca, ai tentativi di ribellione di Bari, all’incendio recente al Cie di Bologna.
All’esterno la lotta di tanti si è espressa e continua a esprimersi in Italia, a Parigi, in Belgio, ovunque e in molteplici forme, dai presidi, al sostegno agli scioperi della fame, alle iniziative in città per portare fuori la voce dei reclusi, a tante e ripetute azioni solidali contro i responsabili e gli speculatori che si ingrassano con l’affare Cie.
I Cie esistono ancora, certamente la lotta non ha ancora raggiunto un sufficiente livello di efficacia ma c’è, dentro e fuori.

I Cie di Modena e Bologna
I Cie di Modena e Bologna sono strutture dalle quali, come ci hanno fatto sapere i reclusi, «tutti sanno che non si esce»; sono carceri speciali per immigrati le cui condizioni interne sono particolarmente dure e disumanizzanti, i regolamenti applicati totalmente arbitrari e funzionali alla castrazione di ogni forma di protesta, di rivendicazione di libertà e di comunicazione con l’esterno fin dal principio. Non si possono tenere i cellulari che vengono sequestrati all’entrata, tranquillanti vengono somministrati nel cibo a colazione, pranzo e cena, e abusi e violenze da parte di ispettori di polizia, ricatti e insulti sono all’ordine del giorno. Come se non bastasse in questi centri una buona percentuale di detenuti è persino in possesso del permesso di soggiorno. Chi viene internato nonostante sia “regolare” non è un malcapitato a caso e raro, bensì chiunque abbia avuto un decreto di espulsione anche se riferito a un periodo per il quale il reato è già stato indultato. Ma non importa «loro cliccano sui computer e se risulta qualcosa che non torna ti portano dentro anche se hai un lavoro o se pensavi di dover solo completare delle pratiche di regolarizzazione». Dai Cie di Modena e di Bologna non si esce, non solo per militari, sbarre e filo spinato, ma anche perché l’ampliamento del raggio di persone internabili e il prolungamento dei tempi di detenzione fruttano moltissimi soldi ai gestori di queste strutture, ovvero alla Confraternita delle Misericordie presieduta da Daniele Giovanardi. Questa associazione cattolica guadagna 75 euro al giorno per ogni recluso del Cie di Modena e 72 per quello di Bologna. Sarà per questo che alcuni reclusi ci dicono che non vengono nemmeno rimpatriati, anche quando lo vorrebbero?
Il 17 aprile, dopo mesi di silenzio imposto e di ribellioni stroncate, 50 reclusi tra uomini e donne del Cie di Bologna sono entrati in sciopero della fame e, successivamente, si sono rivoltati dando fuoco a parte della struttura, causando 50.000 euro di danni. Un bel regalo per chi ha scelto di fare dell’internamento degli immigrati un lucroso business!
Nei giorni successivi, i giornali locali interessati solo quando la notizia è eclatante e fa vendere ma mai nella quotidianità delle sopraffazioni patite da chi sta dentro questi infami luoghi, hanno diffuso la notizia di diversi episodi avvenuti tra Bologna e Modena in relazione a quello che definivano «il presunto sciopero della fame»: una quindicina di solidali sono entrati con volantini e megafono nel tribunale del giudice di pace a Bologna, il giorno dopo un gruppo di persone avrebbe spaccato i vetri della mensa universitaria di Bologna rifornita dalla Concerta Spa che porta i pasti anche al Cie e che circa un mese prima avrebbe subito danni a furgoni parcheggiati in una sua sede ritrovati con le gomme tagliate, infine il 2 maggio un gruppo di solidali ha scelto di interrompere la messa della domenica nel duomo di Modena per smascherare, con volantini e megafono, le responsabilità dei gestori del Cie della città e per rompere il silenzio. Un silenzio che per quanto riguarda il Cie modello di Modena, che per le peculiarità indicate sopra presumiamo sperimentale, è sempre stato totale. Giovanardi ha poi dato dei farneticanti a chi porta in diverse forme la solidarietà agli immigrati reclusi nel suo Cie, dove secondo lui sono trattati con tutti i riguardi e le misericordiose cure necessarie.

Per continuare opportunamente a farneticare indiciamo
Un Corteo contro i Cie e contro la Misericordia che gestisce quelli di Modena e Bologna.
Un corteo che miri a far conoscere alla città le nefandezze che quotidianamente avvengono dentro questi lager.
Un corteo contro la vergogna delle deportazioni
Un corteo comunicativo che punti il dito contro i responsabili di queste strutture.
Un corteo che non deleghi la propria difesa.
Un corteo contro i Cie per noi è un corteo contro l’organizzazione sociale che li ha concepiti e realizzati, non vogliamo bandiere di partiti o di sindacati.
Consapevoli che l’opposizione ai Cie non si esaurisce in scadenze e appuntamenti ma si alimenta giorno per giorno delle proteste e delle rivolte interne e dei contributi solidali di chi lotta al loro esterno, crediamo importante in questo momento lanciare un’iniziativa partecipata per ribadire la natura di questi centri e che i responsabili non sono entità astratte ma collaboratori e approfittatori concretamente esistenti e contro i quali è possibile indirizzare le nostre lotte.

Coordinamento per il 19 giugno


Roma: Comunicato di un gruppo di prigionieri a Ponte Galeria
Segue un comunicato diffuso da un gruppo di detenuti nel Cie romano di Ponte Galeria.

A tutte le persone che vivono in questo paese
A tutti coloro che credono ai giornali e alla televisione
Qui dentro ci danno da mangiare il cibo scaduto, le celle dove dormiamo hanno materassi vecchi e quindi scegliamo di dormire per terra, tanti tra di noi hanno la scabbia e la doccia e i bagni non funzionano.
La carta igenica viene distribuita solo 2 giorni a settimana, chi fa le pulizie non fa nulla e lascia sporchi i posti dove ci costrigono a vivere.
Il fiume vicino il parcheggio qui fuori è pieno di rane e zanzare che danno molto fastidio tutto il giorno, ci promettono di risolvere questo problema ma continua ogni giorno.
Ci sono detenuti che vengono dai CIE e anche dal carcere che sono stati abituati a prendere la loro terapia ma qui ci danno sonniferi e tranquillanti per farci dormire tutto il giorno.
Quando chiediamo di andare in infermeria perchè stiamo male, l'Auxilium ci costringe ad aspettare e se insistiamo una banda di 8-9 poliziotti ci chiude in una stanza con le manette, s'infilano i guanti per non lasciare traccia e ci picchiano forte.
Per fare la barba devi fare una domandina e devi aspettare, 1 giorno a settimana la barba e 1 i capelli. Non possiamo avere la lametta.
Ci chiamano ospiti ma siamo detenuti.
Quello che ci domandiamo è perchè dopo il carcere dobbiamo andare in questi centri e dopo che abbiamo scontato una pena dobbiamo stare 6 mesi in questi posti senza capire il perchè. Non ci hanno identificato in carcere? Perchè un'altra condanna di 6 mesi?
Tutti noi non siamo daccordo per questa legge, 6 mesi sono tanti e non siamo mica animali per questo hanno fatto lo sciopero della fame tutti quelli che stanno dentro il centro e allora, la sera del 3 giugno, è cominciata così:
ci hanno detto: "se non mangi non prendi terapie" ma qui ci sono persone con malattie gravi come il diabete e se non mangiano e si curano muoiono.
Uno di noi è andato a parlare con loro e l'hanno portato dentro una stanza davanti l'infermeria dove non ci sono telecamere e l'hanno picchiato.
Così la gente ha iniziato ad urlare di lasciarlo stare.
In quel momento sono entrati quasi 50 poliziotti con il loro materiale e con un oggetto elettrico che quando tocca la gente, la gente cade per terra.
Le guardie si sono tutte spostate sopra il tetto vicino la caserma dei carabinieri qui dentro, dove sta il campo da calcio. Dalla parte sinistra sono entrati altri 50 poliziotti.
Quando abbiamo visto poliziotti, militari, carabinieri, polizia, finanza e squadra mobile ufficio stranieri (che sono i più infami) sui tetti, uno di noi ha cercato di capire perchè stavano picchiando il ragazzo nella stanza.
"Vattene via sporco" un poliziotto ha risposto così.
In quel momento siamo saliti tutti sopra le sbarre e qualcuno ha bruciato un materasso e quindi i poliziotti si sono spavenati e sono andati fuori le mura per prendere qualcuno che scappava.
Da quella notte non ci hanno fatto mangiare nè prendere medicine per due giorni.
Abbiamo preso un rubinetto vecchio e abbiamo spaccato la porta per uscire e quando la polizia ha visto che la porta era aperta hanno preso caschi e manganelli e ha picchiato il più giovane del centro, uno egiziano.
L'hanno fatto cadere per terra e ci hanno picchiati tutti anche con il gas, hanno rotto la gamba di un algerino e hanno portato via un vecchio che la sua famiglia e i sui figli sono cresciuti qui a Roma, hanno lanciato lacrimogeni e hanno detto che noi abbiamo fatto quel fumo per non far vedere niente alle telecamere. Così hanno scritto sui giornali.
Eravamo 25 persone e alcune uscivano dalla moschea lontano dal casino, ma i giornali sabato hanno scritto che era stato organizzato tutto dentro la moschea e ora vogliono chiuderla. La moschea non si può chiudere perchè altrimenti succederebbe un altro casino.
Veniamo da paesi poveri, paesi dove c'è la guerra e ad alcuni di noi hanno ammazzato le famiglie davanti gli occhi. Alcuni sono scappati per vedere il mondo e dimenticare tutto e hanno visto solo sbarre e cancelli.
Vogliamo lavorare per aiutare le nostre famiglie solo che la legge è un po' dura e ci portano dentro questi centri.
Quando arriviamo per la prima volta non abbiamo neanche idea di come è l'Europa.
Alcuni di noi dal mare sono stati portati direttamente qui e non hanno mai visto l'Italia.
La peggiore cosa è uscire dal carcere e finire nei centri per altri 6 mesi.
Non siamo venuti per creare problemi, soltanto per lavorare e avere una vita diversa, perchè non possiamo avere una vita come tutti?
Senza soldi non possiamo vivere e non abbiamo studiato perchè la povertà è il primo grande problema.
Ci sono persone che hanno paura delle pene e dei problemi nel proprio paese.
Per questi motivi veniamo in Europa.
La legge che hanno fatto non è giusta perchè sono queste cose che ti fanno odiare veramente l'Italia.
Se uno non ha mai fatto la galera nel paese suo, ha fatto la galera qua in Italia.
Vogliamo mettere apposto la nostra vita e aiutare le famiglie che ci aspettano.
Speriamo che potete capire queste cose che sono veramente una vergogna.

Un gruppo di detenuti del CIE di Ponte Galeria
11 giugno 2010
da informa-azione.info


napoli: A BOSCOREALE LA POLIZIA CARICA I MANIFESTANTI
La sera del 4 giugno, alle ore 22, un folto gruppo di cittadini – circa 400 persone – si è riunito sulla panoramica di Boscoreale allo scopo di svolgere un’assemblea pubblica sul tema “discariche ed inceneritori” in seguito alle sconfortanti notizie provenienti dagli enti Provincia e Regione riguardanti la Cava vitello e la Cava Sari (site a circa 200 metri dalla suddetta rotonda).
Da subito lo schieramento delle forze dell’ordine è stato ingente.
L’assemblea ha tentato di chiedere alla polizia di poter aprire una vertenza con il Prefetto, avvicinandosi alla via Zabatta, dove erano schierati i blindati della Polizia: non avendo avuto risposte celeri in merito, i manifestanti, per evitare scontri, sono ritornati presso la rotonda proseguendo nel blocco stradale.
Passata la mezzanotte le persone rimaste hanno subito l’offesa delle forze dell’ordine che hanno iniziato una carica violenta contro i manifestanti stessi, molti dei quali fermi ai lati della strada.
I cittadini hanno provato a difendersi a mani alzate e senza offendere. Dopo circa trenta minuti di scontri, il bilancio è stato di 3 persone fermate e 6 feriti, tutti fra i civili.
L’offensiva dello Stato contro il diritto dei cittadini a difendere la propria salute, ha toccato questa sera punti di estrema violenza e tensione. La risposta alla richiesta, legittima, della cittadinanza a veder tutelata in primis la propria salute, è stata la violenza delle forze dell’ordine.
Siamo indignati dinanzi all'ennesimo abuso da parte dello Stato. Continueremo a gridare forte ai signori che gestiscono il potere che questa terra non è morta e non accetterà, restando a guardare, il disastro ambientale in atto.
Chiediamo solidarietà a tutte le realtà in lotta e ai cittadini.

sabato 5 giugno 2010
Movimento Difesa del Territorio - Area Vesuviana, Collettivo Area Vesuviana
da napoli.indymedia.org/node/12875


L'Aquila 17 giugno 2010
Dopo che per mesi a L'Aquila i media hanno rovistato nelle nostre case e nelle nostre vite in maniera invasiva e ipocrita, dopo che tutte le parate del governo sul nostro territorio sono rimbalzate sugli schermi di tutta Italia, dopo che per di più di un anno si è costruita un'enorme bugia mediatica fatta di scenografie e repressioni, ieri, voi servi del potere del cosiddetto servizio pubblico (oltre ai servi privati) siete riusciti a non dire nulla (a parte TG3 e LA7) della più grande maniefstazione della storia della nostra città. Più di 20 mila cittadini, forze sociali e istituzioni, hanno attraversato la città e hanno invaso l'autostrada bloccandola per più di un'ora.
Era notizia di apertura e invece hanno avuto il coraggio di non parlarne per niente. Dopo aver usato la nostra città come spot, ora che le bugie vengono a galla non potete fare altro che nasconderla.
Ma non durerà, preparatevi perché presto ci vedrete a Roma, in massa, a bloccare la capitale e ad assediare il Parlamento e Palazzo Chigi per pretendere giustizia, equità e verità.
Video: www.youtube.com/watch?v=HRwhHCXOcMQ

Comitato 3e32
da www.forum.planetmountain.com
Atm: assunzioni, straordinari …licenziamenti
Da ieri 18 maggio davanti il deposito ATM Palmanova di via Esterle, una lavoratrice autista fresca di licenziamento senza giusta causa ha cominciato un presidio permanente contro la decisione aziendale che non poggia su alcun motivo: difatti la solidarietà da parte di tutti i lavoratori dello stesso deposito è enorme.
Sembrano abbastanza assenti invece i sindacati. Mentre invece dalle maestranze aziendali il tentativo di non voler far scoppiare alcun caso. Ma a ben vedere a nostro avviso non si tratta di caso ma il tutto si inquadra in una logica ben precisa che è quella di colpirne uno/a per educarne 100.
Ci si fregia come un'azienda che assume continuamente, ma si nascondono i milioni di ore di straordinario, arrivando persino a licenziare senza motivi alcuni.
Trattati come merce da usare e poi farne ciò che si vuole, i lavoratori a tempo determinato anche in ATM sono sotto la mercè padronale, se non addirittura sottopadronale che poi sarebbe quella dei funzionari di deposito, con tutti i ricatti possibili e immaginabili.
Sempre meno affidabili i percorsi legali, soprattutto se il cappello è quello dei sindacati confederali, giustissima e perfetta sotto tutti i punti di vista a nostro avviso la scelta della lavoratrice di intraprendere questo percorso di lotta che può e deve abbracciare la solidarietà di tutto quel mondo, sempre più vasto e diffuso, di precariato sociale.
Come sindacato, della lotta contro l'arroganza padronale e contro il precariato ne abbiamo fatto da sempre il nostro inno e la nostra bandiera.
A Jessica va tutta ma proprio tutta la nostra solidarietà, e se la situazione non troverà un rapido sbocco punteremo a far convergere crescenti mobilitazioni insieme a tutti coloro che da anni hanno deciso di incamminarsi con noi lungo questo cammino.
Intanto chiediamo a tutti i lavoratori ATM, da subito, di dare segnali di vitalità piuttosto che di sconfitta e rassegnazione, dando conforto alla dolcezza della nostra collega con le proprie presenze che oggi, e ancor più domani con la/e crisi galoppanti, varranno capitali inestimabili.

Milano, 19 maggio 2010
S.I. Cobas trasporti ATM S.p.a. - Milano


Milano: Altissima l'adesione allo sciopero degli scrutini
Ulteriore aggiornamento dall'area metropolitana milanese: si sono aggiunte altre sei scuole superiori all'elenco delle scuole in cui verranno bloccati tutti o parte degli scrutini il 14 e il 15 giugno arrivando probabilmente a bloccare quasi 400 scrutini fra Milano e provincia e molti altri lavoratori decideranno oggi o domani se aderire aumentando sicuramente ulteriormente il numero di scrutini bloccati.
Giorno 14 e 15 giugno saranno infatti diversi gli istituti di Milano e provincia che saranno costretti a rinviare molti scrutini a causa dello sciopero dei docenti precari e di ruolo e del personale ata che lottano da mesi contro il riordino delle scuole superiori e i tagli alla scuola che porteranno al licenziamento di migliaia di lavoratori precari e alla dequalificazione dell'istruzione pubblica.
Si hanno già conferme di una forte partecipazione allo sciopero (in alcuni casi il 100% degli scrutini bloccati nei due giorni) da parte di docenti di famose scuole della città di Milano come il Pasolini, Bertarelli, il Cremona, il Ferraris Pacinotti, il Varalli, il Giorgi, l'Allende, il Tenca, il Tito Livio, il Luxembourg, il Brera, il Marconi, l'Oriani Mazzini, il Marie Curie, lo Steiner, il Leonardo da Vinci, l' Einstein, il Galvani, il Moreschi, il Maxwell, il Verri, tutte scuole superiori di Milano e anche una scuola media Arcadia Pertini, e una scuola primaria ICS Capponi.
Giungono inoltre continue adesioni da molte scuole superiori dell'interland milanese come ad esempio il Falck di Sesto, l'Itsos di Cernusco, il Gadda di Paderno Dugnano, il Bellisario di Inzago, l'Olivetti di Rho, il Marconi di Gorgonzola, il Mosè Bianchi di Monza, il Piero della Francesca di Melegnano, il Majorana di Rho, il Marie Curie di Tradate.
Notizie simili si registrano anche nelle altre città della Lombardia con scrutini bloccati a Pavia, Varese, Mantova.
Appuntamento il 15 giugno sotto l'Ufficio Scolastico Provinciale di via Ripamonti, 85 per un sit-in di protesta a partire dalle ore 10,00 alle 18.00. Venite a manifestare il vostro dissenso contro i tagli alla scuola pubblica insieme ai docenti e agli ATA che hanno promosso e sostenuto con la propria adesione lo sciopero degli scrutini. Unitevi ai lavoratori che in questi mesi hanno costruito una lotta comune - come mai si era vista negli ultimi anni - facendo sì che dietro lo sciopero di uno solo si manifestasse la volontà di tanti lavoratori, tutti coesi nel sostentamento di una cassa di solidarietà comune.
Partecipate e unitevi ai lavoratori della scuola che da mesi
protestano per difendere la scuola pubblica patrimonio di tutti.

15 Giugno 2010
Coord. Lavoratori della scuola "3ottobre" - C.P.S. Milano


Milano: gli operai Mangiarotti occupano la direzione
Questa mattina alle 6:30 si sono presentati un centinaio fra celerini e digos per sgomberare gli uffici direzionali della Mangiarotti Nuclear che si trovano in via A. e C. Pirelli 6 in zona Bicocca. Al momento c’erano circa una 40ina di operai e qualche solidale. Mentre gli operai si apprestavano per salire sono arrivati correndo i celerini dal retro del palazzo (dopo che i loro soci, la digos, li hanno avvisati che il campo era libero). Non c'è stato alcun scontro e i pochi operai che erano già sopra sono stati portati giù.
I lavoratori hanno comunque proclamato lo sciopero restano fuori dalla direzione per assicurarsi che nessun crumiro cercherà di entrare per lavorare.
Su questo non ci sono problemi. Quindi si resta fuori in picchetto fino alle 19-20 di questa sera. Oggi era atteso anche un gruppo di francesi che sono stati ovviamente dirottati altrove e l'incontro non c'è stato.
Un altro gruppo di operai tiene costantemente sotto stretta sorveglianza la fabbrica per evitare colpi di mano e la sottrazione di altri pezzi lavorati.
Chi per una ragione o per un'altra non può passare in giornata fuori dalla direzione, può passare dal presidio che si trova in V.le Sarca n. 336.
La proprietà della fabbrica continua a voler chiudere lo stabilimento e spostare la produzione in Fruili in una nuova fabbrica che stanno costruendo là.
Durante le trattative ieri in prefettura, e per sgomberare la direzione dagli operai, il padrone “offriva” (bontà sua) il rientro per 10 operai dalla cassa integrazione con qualche vaga promessa di lavoro.
Nei mesi precedenti quello stesso padrone ha fatto rientrare una parte degli operai vietandoli, espressamente e per iscritto, di svolgere qualsiasi attività lavorativa per farli sentire inutili e fiaccarli ulteriormente. E questo avveniva mentre teneva altri fuori cercando di alimentare divisioni e sospetti fra quelli dentro e quelli fuori. Come ultima carta da giocare, la proprietà propone di fare un capannone per 50 persone per fare non si sa cosa. Dal momento che sarà senza macchine utensili si tratta di un semplice magazzino. Dopo un po’ di tempo, l’accordo potrà essere chiuso e gli operai sbattuti per strada.
La psicologia del padrone Testa si sintetizza così: “il padrone sono io e faccio quel che voglio” quando esigeva come condizione inderogabile l’allontanamento degli operai dalla direzione per “trattare”.
Ovviamente gli operai memori di ciò che ha fatto per loro finora, hanno rispedito la proposta al mittente. Lo stabilimento deve rimanere laddove si trova ora e chiedono l’aumento dell’organico secondo quanto prevedeva l’accordo di un anno fa.
Il sindacato (FIOM) e i suoi funzionari non sembrano essere del tutto consci dello “spezzatino” che si prospetta per gli operai. Può darsi che il meno peggio per il sindacato, è già una vittoria. Ma per i lavoratori è morte certa.
La mobilitazione prosegue ora incentrando l’attenzione sugli altri pezzi che restano all’interno dello stabilimento.

Milano, 11 giugno 2010


Dalla Polonia, una lettera ai lavoratori FIAT
La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli altri. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono ammesse rimostranze all’amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend).
A un certo punto verso la fine dell’anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L’anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione.
Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo “Giorno di Protesta” dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l’anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?
Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.
In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.
E’ chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente.
Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l’azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso. Lavoratori, è ora di cambiare.
Tychy, June 13, 2010
da libcom.org/news/letter-fiat-14062010


Dopo la Grecia brucia anche la Romania
Mentre in Grecia ci si prepara al quarto sciopero generale contro il tentativo di far pagare la crisi del capitale ai lavoratori salariati, scendono in piazza anche i lavoratori rumeni.
La loro lotta contro il piano di austerità concordato tra il Fondo monetario internazionale e il governo della Romania è cominciata con la manifestazione sindacale unitaria del 13 maggio e sta continuando tutt'oggi con scioperi e cortei contro la decisione di tagliare pensioni, stipendi pubblici e sussidi di disoccupazione.
I giornali italiani, però, non hanno riportato nessuna notizia dalla Romania. Evidentemente la loro libertà di stampa finisce dove inizia la paura del capitale!
La Romania, con i suoi 22 milioni di abitanti è in una crisi forse anche peggiore di quella greca. Il paese ha un debito pubblico che potrebbe schizzare entro il 2012 al 65% e lo sforamento del deficit è di quasi il 9% quest'anno.
In cambio di una tranche di prestito di 850 milioni di euro (il totale del prestito sarà di 20 miliardi) il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Europea hanno ottenuto dal presidente Traian Basescu e dal primo ministro Emil Boc un piano di austerità simile a quello greco, che prevede il taglio del 25% dei salari dei dipendenti dello stato e delle aziende a partecipazione statale, il taglio del 15% delle pensioni e 70.000 licenziamenti.
La risposta è stata immediata e di massa in tutto il paese.
Decine gli scioperi e le manifestazioni. Il palazzo del governo e le prefetture locali sono presidiate da giorni da centinaia di militanti dei picchetti "anti austerità".
Ieri 19 maggio, in concomitanza con lo sciopero generale in Grecia anche i sindacati rumeni hanno chiamato i lavoratori allo sciopero generale.
Decine di migliaia di dipendenti pubblici e pensionati hanno risposto all'appello e sono scesi in piazza a Bucarest manifestando sotto la sede del governo.
Di fronte alla negazione di ogni dialogo da parte del governo, i sindacati rumeni hanno convocato un secondo sciopero generale per il 31 maggio.

20 Maggio 2010
Il pane e le rose