indice n.49
Donne in Irak sotto l'assedio imperialista
Le stragi in pakistan
lettera dal carcere di siano
lettera dal carcere di nuoro
lettera dal carcere di Tolmezzo (ud)
lettera dal carcere di cagliari
rovereto: PRESIDIO INFORMATIVO SUL CARCERE
lettere dal carcere di san vittore (milano)
due lettere dal carcere di cremona
lettera dal carcere di opera (milano)
lettera dal carcere di nuoro
Da una lettera dal carcere secondigliano (na)
lettera collettiva dalle carceri svizzere
presidio sotto il carcere di Latina
Cile: sciopero della fame dei prigionieri Mapuche di Conception
a settembre il deposito atomico
APPELLO PER Ali Orgen libero - no all'estradizione
Il tribunale italiano estrada i 3 prigionier* basch*
Libertà per tutti i prigionieri politici
Sulle deportazioni dei Rom dalla Francia
Aggiornamenti dalla lotta contro i c.i.e.
Suicidio nel carcere d'espulsione di Hannover
milano: LA CASA è UN DIRITTO, LO SGOMBERO UNA VIOLENZA
FORUM AMBROSETTI: MERCANTI DI CRISI
milano: Appello contro i licenziamenti alla GLS
Quattrocentomila nuovi licenziati
Federmeccanica disdetta l'accordo del 2008
milano: chiediamo cattedre... ci danno polizia
Donne in Irak sotto l'assedio imperialista
Intervista con la scrittrice irachena Haifa Zangana
John Catalinotto del New Yorker International Action Center, redattore di Workers World, rivista dell'omonimo partito, ha conversato a Gijon nel nord della Spagna con la scrittrice irachena Haifa Zangana sulla situazione attuale delle donne in Irak e sulla resistenza irachena contro l'occupazione. Entrambi hanno preso parte alla Conferenza internazionale sulla resistenza irachena che si è svolta dal 18 al 20 giugno proprio a Gijon. L'esito della lunga conversazione, sotto il titolo Donne in Irak sotto l'assedio imperialista, è stato pubblicato su Workers World dell'11 luglio 2010.
Nell'argomentazione preliminare alla questione relativa al ruolo delle donne nel movimento anticoloniale in Irak, Haifa Zangana, fra l'altro, si è così espressa:
Le donne irachene hanno fatto leva sulla loro condizione di donne, la più libera esistente in Medio Oriente. Si sono richiamate a una lunga storia di impegno politico e di partecipazione sociale le cui radici affondano nel IXX° secolo. Le donne hanno preso parte alla lotta contro il dominio coloniale e alla lotta per l'unità nazionale, per la giustizia sociale e per la parità legale, lungo tutto il XX° secolo. In effetti nel 1993 l'UNIFEM dichiarava che "le donne in nessun altro luogo del mondo arabo hanno così tanti diritti e sostegno come in Irak".
Io sono un'eccezione. Sono stata militante del "Partito comunista iracheno - direzione centrale"; sono stata arrestata nel 1972 […] per il ruolo da me svolto nella lotta armata mentre ero ancora studentessa all'università di Baghdad nella facoltà di farmacia. […]
Nel 1974 sono andata in Siria e Libano per lavorare con l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina); ho infine raggiunto Londra nel 1975 quando in Libano è iniziata la guerra civile.
Benché lei sia stata un'avversaria del regime-Baas, nel 1990 prese posizione contro le brutali sanzioni disposte dal Consiglio di sicurezza dell'ONU contro l'Irak - contro l' "assedio".
L'assedio sconvolge ogni aspetto della vita irachena, porta morte, malattie, rapido decadimento economico e mette pressoché fine ad ogni sviluppo umano. […] Nella metà degli anni '90 sono morti mezzo milione di bambini, un crimine, da tanti considerato genocidio.
[…] La sofferenza delle donne irachene si è estesa dalla condizione fisica a quella psicologica. Il 75% delle donne irachene soffre di depressione, insonnia, perdita di peso e dolori alla testa a causa dello shock del bombardamento militare, della morte dei propri figli, della condizione di paura e insicurezza rispetto al futuro (UNIFEM 2004).
Riferendosi alla democrazia e alla vita migliore promesse da Bush per l'Irak, Haifa Zangana ha detto:
L'invasione militare del 2003 e l'occupazione dell'Irak alla popolazione irachena hanno portato nient'altro che perdite di vite umane, distruzione e crollo delle speranze nella democrazia. Da sette anni gli iracheni sono sottoposti a una punizione (castigo) collettiva di stile israeliano. Spesso gli occupanti vengono considerati promotori dei terroristi. I progressi sul piano della sicurezza realizzati dal regime marionetta degli USA sono state le perquisizioni delle case prima dell'alba, gli arresti arbitrari, i rapimenti, le uccisioni compiute dai mercenari, chiamati personale di sicurezza, le autobombe nelle piazze affollate dei mercati. A tutto ciò sono seguite le esplosioni quotidiane a Baghdad, Salah ad Din, Nadschaf, Anbar e Ninive. Il timore della morte - pianificata o accidentale - pervade la società fino a paralizzarla.
Il "successo dell'onda" (erano così chiamate l'eskalation della guerra e l'aumento delle truppe USA) ha costituito il presupposto delle deportazioni della popolazione e delle pulizie etniche. I quartieri un tempo multietnici sono stati omogeneizzati, sono state cioè costruite enklave sunnite e sciite. […]
Oltre a ciò l'onda ha pervaso Baghdad con barriere, posti di controllo e mura e altri sfregi. Adesso solo a Baghdad ci sono 1.400 posti di controllo e oltre 50 zone divise fra loro da muri di cemento. All'ingresso e all'uscita di ognuna di queste zone è stato fissato un posto di controllo, cosicché i quartieri un tempo abitati da comunità collegate l'una all'altra sono stati resi ghetti, quartieri sbarrati.
I muri innalzati per costruire la Zona Verde, vengono chiamati "muri di sicurezza". Per la maggioranza degli iracheni quelli sono ad ogni modo i "muri dell'occupazione"; essi impongono il paragone con i muri dell'apartheid costruiti da Israele per dividere i palestinesi abitanti la Westbank.
La costruzione di questi muri e l'abbattimento dei ponti vogliono dire che non deve più esistere nessun territorio mischiato dal punto di vista religioso/etnico e che la politica di parte e del dominio si è affermata. I muri hanno un'influenza immensa sulla vita quotidiana degli iracheni, sbrindellano la composizione sociale di Baghdad e lacerano l'Irak.
[…] Le donne irachene hanno perso tutto quello che come attiviste avevano conquistato prima dell'invasione e a migliaia [650 mila secondo l'inchiesta Lance del giugno 2006] sono state vittime. Fino a metà 2007, quando ogni mese circa 50 mila persone lasciavano il paese, un iracheno su otto aveva lasciato il paese ed era divenuto profugo.
L'UNHCR [l'organo dell'ONU competente in materia di profughi] recentemente ha detto che l'exodus è stato il più grosso movimento a lungo termine di popolazione dal tempo dell'espulsione dei palestinesi - dopo la fondazione di Israele nel 1948.
La Mezzaluna Rossa irachena stima che due terzi delle persone espulse siano donne e bambini. [...] L'espulsione violenta di due milioni di iracheni però rimasti all'interno del paese e di altri due milioni verso i paesi vicini è stata accompagnata da brutali crudeltà compiute dagli squadroni della morte e dalle milizie. Sono morti causate dal tentativo dell'occupante di trovare una via alternativa al mantenimento del dominio in seguito al naufragio della sottomissione del paese. La nuova strategia si basa sul presupposto che per scomporre la popolazione dall'alto in segmenti determinati bisogna tenerla in pugno e amministrarla.
Gli USA cercano di giustificare il loro fallimento, sostenendo che l'introduzione della democrazia dopo la liberazione avrebbe aperto profondi conflitti, a loro volta nascosti dalla precedente dittatura. Le forme mai conosciute prima della violenza sono attribuite al settarismo. Le vittime delle stragi vengono usate per dare giustificazione al mantenimento, per un tempo indeterminato, di truppe straniere in Irak.
In riferimento alle radici della resistenza Zangana ha spiegato che questa non è nata soltanto dalle convinzioni ideologiche, religiose e patriottiche, ma anche come reazione alle brutali disposizioni dell'occupante e della sua amministrazione.
Gli USA hanno macchinato in modo da spingere le milizie contro gli iracheni, così da addossare loro le uccisioni degli squadroni della morte. La "guerra civile" è stata quindi ridotta a concetto dell' "Information Operation", cioè in strategia della guerra psicologica.
Lo svolgimento cronologico della resistenza armata mostra un rapido e crescente numero di attacchi quotidiani direttamente collegati all'aumento della presenza delle truppe USA.
L'Irak-Index der Brooking Institution mostra il passaggio dai 50 attacchi al giorno nella prima metà del 2005 ai circa 170 avvenuti a metà del 2007. Gli attacchi più importanti sono posti nell'elenco delle perdite USA causate da mine prefabbricate, attacchi con missili, lanciarazzi anticarro, autobombe, granate e attacchi contro gli elicotteri.
Per indebolire la resistenza gli USA hanno risposto con l'eskalation delle operazioni nascoste dirette a scuotere i conflitti confessionali e tribali. Nella politica degli USA sono seguiti poi dei mutamenti a cominciare dalla conclusione di 200 accordi di armistizio locali sfociati nell'Awakening Groups [milizie tribali locali] , cioè in annunci di ritiro e trattative segrete con alcuni gruppi della resistenza.
Il numero degli attacchi è cominciato a scendere quando le forze armate USA hanno ampliato gli attacchi missilistici adoperando elicotteri senza pilota, ciò che ha dato loro la possiblità di tenere i soldati nelle caserme. Quando le pattuglie USA venivano prese di mira dalla resistenza, in loro protezione sul posto accorrevano militari iracheni. E' così che sono cominciate a crescere le perdite dell'esercito iracheno.
L'istituto Brooking, riferendosi al 2008, scrive di una media di 40 attacchi al giorno scesi a 15 nel 2009. Poi hanno ripreso a salire con gli attacchi a Baghdad, Mosul e Diyala.
[…] Anche se gli attacchi sono in calo, i numeri indicano che la guerra in Irak è tuttora in corso. L'occupazione suscita la naturale resistenza, un principio elevato dal diritto internazionale a dovere morale. La politica confessionale-etnica non toglie nulla a questo dato di fatto.
Agli sforzi di unire le frazioni della resistenza, 13 gruppi [di resistenza] hanno eletto il dottor Harith al-Dari, segretario generale dell'associazione scrittori irachena (AMSI) a loro rappresentante politico nei negoziati futuri con la potenza occupante.
Al-Dari, riferendosi ai piani della resistenza, in un'intervista resa nel giugno 2009 al giornale tunisino Al-Shuruq, ha detto: il nostro piano è di opporci comunque con tutti i mezzi legittimi all'occupazione… fino alla liberazione del nostro paese. La resistenza è nata per liberare l'Irak, per assicurare l'unità e l'integrità irachena come patria, come popolo, per difendere l'identità dell'Irak, le ricchezze del suo sottosuolo e i suoi confini, svenduti e posti in pericolo dall'occupante. L'Irak appartiene a tutti i suoi cittadini, a tutte le sue parti costitutive e a tutte le sue confessioni.
da jghd.twoday.net
Le stragi in pakistan
Pakistan, vittime di serie b condividi Nelle aree pashtun colpite dalle alluvioni, il governo non ha mandato aiuti, ha sgomberato i campi delle associazioni islamiche e ha ripreso i bombardamenti La provincia della frontiera di nordovest (Nwfp) - recentemente ribattezzata Khyber Pakhtunkhwa - è stata una delle più colpite dalle inondazioni delle scorse settimane.
Nelle vallate tra Peshawar e il confine afgano - già prostrate da anni di guerra civile tra governo e talebani - le piogge torrenziali hanno ucciso almeno seicento persone e provocato quasi mezzo milione di nuovi sfollati.
Disperati cui il governo di Islamabad, abituato a bombardare queste popolazioni pashtun, non certo ad aiutarle, ha negato soccorsi e assistenza umanitaria, smantellando addirittura i campi d'accoglienza allestiti dalle organizzazioni religiose locali - ritenute vicine agli ambienti jihadisti e talebani - e proseguendo come nulla fosse le operazioni militari antiterrorismo, con raid aerei che hanno provocato nuove vittime civili.
Un cinismo determinato dalle forti pressioni del governo Usa che, per bocca dell'inviato di Washington, il senatore democratico John Kerry, aveva espresso preoccupazione per le opportunità di propaganda e proselitismo che questa tragedia offre ai movimenti integralisti islamici, ribadendo la necessita di non abbassare la guardia nella lotta al terrorismo.
Concetti subito rilanciati dal presidente pachistano Asif Ali Zardari, per spiegare l'ordine di sgombero di sedici campi-sfollati non governativi, eseguito lo scorso 23 agosto: ''Queste organizzazioni traggono vantaggio dalla crisi umanitaria: mi preoccupa molto il fatto che gli orfani dell'alluvione finiscano in campi dove vengono addestrati a diventare futuri terroristi''.
Tra le più attive ong religiose che si sono attivate per soccorrere le vittime delle alluvioni fornendo viveri, cure e riparo ci sono quelle legate a Jamat-ud-Dawa, organizzazione islamica notoriamente vicina al gruppo terroristico Lashkar-e-Toiba. ''Non mi interessa se sono legati o meno alla jihad: sono gli unici che hanno aiutato me, la mia famiglia e i miei amici'', spiegava prima dello sgombero uno sfollato ai giornalisti locali.
Facile immaginare come la chiusura dei campi 'sgraditi' al governo, lungi dal sottrarre la popolazione locale dall'influenza del radicalismo islamico, non abbia fatto altro che accrescere il risentimento della gente nei confronti del governo, facilitando la propaganda jihadista. Per completare l'opera, Islamabad ha subito ricominciato a bombardare la regione: solo martedì notte le bombe dei caccia pachistani hanno ucciso alcuni presunti talebani assieme alle loro famiglie e altri civili, tra cui diverse donne e bambini.
11 settembre 2010
da www.operaicontro.it
lettera dal carcere di siano
Solidarietà ai prigionieri di guerra arabi
I fatti: 6 luglio 2010: pestaggio a sangue di un prigioniero arabo attuato da una squadretta di guardie agli ordini del comandante nella sezione AS2 del carcere di Rossano (Cosenza). Una vera e propria trappola messa in atto in seguito a una lotta collettiva di sezione in merito alle condizioni di detenzione con obiettivi quali il diritto ai colloqui con i familiari, l'uso del campo sportivo interno al carcere, la possibilità di detenere radioline o lettori CD e di conservare alimenti in frigo. La lotta si era espressa nei giorni precedenti nelle forme dello sciopero della fame e di ripetute battiture.
2 Agosto 2010: provvedimento di censura della corrispondenza disposto da un decreto del magistrato di sorveglianza di Catanzaro nei confronti di un militante comunista prigioniero nella sezione AS2 del carcere di Siano (Catanzaro). L'unica motivazione indicata nel decreto è che il prigioniero in questione era il destinatario di una lettera che non ha mai ricevuto perché trattenuta. Lettera spedita da un non precisato detenuto di un carcere calabrese con un contenuto che, che a giudizio del magistrato, avrebbe potuto “fomentare manifestazioni di protesta nella casa circondariale di Siano”.
Due episodi che molto probabilmente sono collegati dal fatto che la lettera indicata nel provvedimento di censura proveniva proprio da Rossano dopo il pestaggio.
Due episodi concatenati che mostrano come si sostanzia il piano di sviluppo della detenzione accentuata dal ministero di Grazia e Giustizia dello Stato italiano. Dall'aggravamento delle condizioni di detenzione del cosiddetto carcere duro, come disposto dal “Pacchetto sicurezza” per quanto riguarda il regime sottoposto al 41-bis, all'accentuazione dell'isolamento nel circuito ex-EIV, ora AS2, dove sono tenuti prigionieri comunisti, anarchici, arabi antimperialisti, concepito con sezioni come compatimenti stagni che oltre ad essere differenziate e isolate dagli altri circuiti carcerari non devono nemmeno comunicare tra loro.
Due episodi che mostrano anche il tipo di trattamento che lo Stato italiano riserva ai prigionieri delle guerre imperialiste di conquista e di oppressione che lo vedono a fianco degli imperialisti USA, come in particolare in Afghanistan. Infatti, diversi prigionieri di questa guerra gli sono stati ceduti in gestione con il piano di smistamento di Obama, deportandoli in Italia direttamente da Guantanamo o dalla base-prigione USA di Bagram in Afghanistan. Guarda caso questi prigionieri ora si trovano nelle sezioni AS2 di Rosarno, Macomer, Benevento e Asti assieme a decine di altri proletari e operai arabi immigrati in Italia, incarcerati spesso solo perché erano attivi, o sono stati considerati tali, in reti di solidarietà e appoggio alla lotta dei popoli iracheno e afgano contro l'occupazione militare.
Per parte nostra, come militanti comunisti prigionieri italiani, pur chiarendo che da questi prigionieri antimperialisti ci distingue la concezione del mondo radicalmente diversa, che per noi ha il contenuto principale della liberazione dall'oppressione e dallo sfruttamento e l'obiettivo generale del comunismo, tuttavia siamo solidali con la loro lotta contro l'imperialismo in generale e, a maggior ragione, con la loro lotta contro il carcere dello Stato imperialista italiano.
CONTRO LA DIFFERENZIAZIONE E L'ISOLAMENTO!
MORTE ALL'IMPERIALISMO, LIBERTA' AI POPOLI!
Siano, agosto 2010
Bortolato Davide, Davanzo Alfredo, Ghirardi Bruno, Latino Claudio, Toschi Massimiliano, Porcile Riccardo, Sisi Vincendo e Zoja Gianfranco
via Tre Fontane 128 - 88100 Siano (Catanzaro)
lettera dal carcere di nuoro
Carissimi compagni/e, tanti saluti a tutti voi.
Ho ricevuto l'opuscolo per la prima volta, la cosa mi ha fatto moltissimo piacere perché lo scambio di opinione è importante per sentire altri ristretti.
Quando sono venuto in Italia sognavo di trovare un paese libero, democratico, che difende i diritti umani. Purtroppo ho trovato il contrario. La democrazia è solo una facciata per coprire la dittatura. Tutta la partitocrazia non lavora per il bene del popolo, ma solo per rafforzare il proprio potere. Cambiano la legge sempre per favorire i propri interessi; per loro non è importante guardare in faccia il povero popolo.
E' dittatura a pieno significato, è uno stato mafioso. Chi dice che fascismo e razzismo in Italia non esistono, è un bugiardo.
Compagni siete un santuario dell'opinione libera. Dove si trova un posto per dire la mia opinione con piena libertà di parola? Viva il vostro opuscolo. Avanti per sempre. Faremo riparare e rinnovare il tenore di vita di questo povero popolo che non riesce ad arrivare a fine mese con le promesse del padrone!!!
Ho presentato denuncia per l'aggressione da me subita contro la casa circondariale di Rossano. Vedremo se questa volta avrò giustizia oppure no. Come sempre il ministero difende il padrone e il sistema!!!
Un saluto libertario
Nuoro, settembre 2010
Elayashi Radi, via Badu 'e Carros 1 - 08100 Nuoro
lettera dal carcere di Tolmezzo (ud)
Noi detenuti della casa circondariale di Tolmezzo abbiamo deciso di scrivere questa lettera dopo l'ennesimo pestaggio avvenuto nelle carceri italiane.
Dopo i casi di Marcello Lonzi a Livorno, di Stefano Cucchi a Roma e di Stefano Frapporti a Rovereto e di tanti, troppi altri in giro per la penisola, siamo costretti a vedere con i nostri occhi che la situazione carceraria in italia non è cambiata per niente.
Mentre da una parte ci si aspetta dai detenuti silenzio e sottomissione per una situazione inumana (quasi 70.000 prigionieri a fronte di nemmeno 45.000 posti, percorsi di reinserimento sociale pressochè inesistenti, scarsissima assistenza sanitaria, fatiscenza delle strutture ecc...) si ha dall'altra il solito trattamento vessatorio da parte del personale penitenziario, non giustificabile con la solita scusa sulla scarsità di
uomini e mezzi.
Denunciamo quello che, ancora una volta, è successo venerdì 13 agosto proprio qui a Tolmezzo, dove un ragazzo, M.F., è stato picchiato con tanto di manganelli nella sezione infermeria.
Se come per altre volte i protagonisti dell'aggressione erano, tra gli altri, graduati ormai noti ai detenuti per le loro provocazioni, l'altra costante è stata la completa assenza del comandante delle guardie e della direttrice dell'istituto.
La nostra situazione è fin troppo pesante per accettare la sottomissione fisica dopo quella psicologica.
Per noi tacere oggi potrebbe voler dire ricevere bastonate domani se non fare la fine dei vari Stefano o Marcello domani l'altro.
Noi non ci stiamo e con questa nostra ci rivolgiamo a chiunque nel cosiddetto mondo libero voglia ascoltare, affinchè la nostra voce non cada morta all'interno di queste mura.
Tolmezzo, 15 agosto 2010
alcuni detenuti del carcere di Tolmezzo
***
In seguito al comunicato sopra riportato, che denuncia un pestaggio all'interno del carcere di Tolmezzo (Udine), si è svolto il 4 settembre 2010 a Tolmezzo un presidio in solidarietà ai detenuti.
Alle ore 16 una trentina di solidali si sono radunati nella piazza principale della cittadina per parlare agli abitanti della situazione nel penitenziario della loro città, ma anche per denunciare l'esistenza stessa del carcere in quanto tale e per ricordare che in carcere troppi sono morti e continuano a morire. In contemporanea agli interventi al microfono si è distribuito il comunicato scritto dai detenuti di Tolmezzo.
Alle ore 18 ci si è spostati sotto il penitenziario: musica, botti e interventi al microfono sono stati molto apprezzati dai detenuti, che appena si sono accorti della presenza dei compagni hanno iniziato ad urlare dalle finestre delle celle.
La polizia penitenziaria ha iniziato a fare una ronda nel cortile, e una delle guardie filmava il presidio dall'interno delle mura. Fuori dal carcere la situazione con gli sbirri si è mantenuta tranquilla, c'erano solo un paio di volanti e una macchina della DIGOS.
Rispetto al carcere ci trovavamo dall'altra parte della strada, ma si vedeva (e si sentiva) benissimo l'interno delle celle. Mentre un compagno parlava al microfono da una finestra è stata sventolata una bandiera rossa e nera.
Quando si è fatto buio i detenuti salutavano i solidali con la luce degli accendini e ad un certo punto abbiamo notato una luce più forte delle altre: una cella era stata incendiata!
Al momento di andare via, verso le 20 e 30, i detenuti continuavano a ringraziare per il presidio, a salutare, a invitarci a tornare presto.
Una volta partiti dal carcere sono stati sparati dei fuochi d'artificio da un luogo che i detenuti possono vedere dalle loro celle.
In contemporanea a questa iniziativa si è svolto a Rovereto (Trento) un volantinaggio.
rovereto: PRESIDIO INFORMATIVO SUL CARCERE
CONTRO I TRASFERIMENTI PUNITIVI
Nata per opporsi al silenzio e all’indifferenza sulla morte di Stefano Frapporti – “non si può morire così”, “io non scordo”, “io non archivio”… – la nostra esperienza come assemblea ha incontrato la realtà del carcere. Anche perché è nel carcere di Rovereto che Stefano è stato trovato morto, qualche ora dopo il suo fermo.
Ci siamo mossi a sostegno delle proteste organizzate dei detenuti per ottenere delle condizioni carcerarie più vivibili. Le lettere che abbiamo ricevuto ci hanno fatto conoscere un mondo che si vorrebbe tenere nascosto e lontano: abusi, sovraffollamento, criminalizzazione della povertà. Abbiamo così scoperto che due terzi dei detenuti sono dentro per reati di poco conto – insomma povera gente che qualche cambiamento legislativo farebbe uscire subito – e che le cause di tutto ciò sono profondamente sociali.
Le proteste dei detenuti e la solidarietà esterna hanno strappato dei miglioramenti. Il che ha dimostrato che i continui riferimenti da parte dell’amministrazione penitenziaria alla mancanza di personale e mezzi erano dei pretesti.
Se da una parte ha dovuto farsi carico delle ragioni della protesta, dall’altra la direttrice del carcere locale si è vendicata trasferendo lontano da Rovereto – dunque da amici e familiari – due detenute, “colpevoli” di aver mantenuto rapporti di corrispondenza e di solidarietà con l’esterno. Ed è proprio questo che si è voluto colpire: la solidarietà.
Mentre a Rovereto si trasferiscono i detenuti scomodi, altrove – come rivela un comunicato dei detenuti del carcere di Tolmezzo – si eseguono pestaggi. Di fronte a tutto questo, non possiamo girare la testa da un’altra parte.
Sabato 4 settembre, mentre a Tolmezzo (Udine) si stavano svolgendo dei presìdi per denunciare un ennesimo pestaggio in carcere, abbiamo voluto esprimere anche qui a Rovereto la nostra solidarietà nei confronti dei detenuti e delle loro coraggiose denunce.
Di fronte a simili abusi, noi pensiamo ancora una volta a quello che è accaduto a Stefano. E non ci sentiamo liberi. Ma nemmeno rassegnati. Anzi.
MARTEDI’ 21 SETTEMBRE, ORE 18,00
PIAZZA LORETO, ROVERETO
assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti
nonsipuomorirecosi@gmail.com - frapportistefano.blogspot.com
Da una lettera dal carcere secondigliano (na)
Francesco è stato di nuovo trasferito da Cagliari a Secondigliano, dalle sue parole confuse emerge il suo carattere sempre solidale con gli altri prigionieri, la sua combattività e la volontà di denunciare soprusi e angherie, nonché i diretti responsabili.
…io al piano terra, 5^ sezione. A fianco c'è la 4^ riservata alle attese di visite mentali.
Questa estate era piena, e senza luce l'11^ e 12^ cella. Oggi 24 agosto stavano picchiando un africano, dalle sue grida come non intervenire? Ho gridato io e chiuso.
Telefona a Stefano Dell'Aquila e a Ciambriello che così abbandonati senza luce li ammazzano tutti, è colpa di Luigi Pezzone medico reparto e Peppe Bariscelli infermiere.
Spiega ad Antigone che questa 4^ sezione "Caruso" l'avevano fatta chiudere e aggiustata…in soli tre anni 173 morti…
Facciamo sentire la nostra vicinanza a Francesco, non lasciamolo solo nella sua quotidiana lotta contro l'autorità e le angherie degli indegni secondini.
Meglio scrivere con Raccomandata A.R. in quanto spesso gli rubano la posta:
Francesco Catgiu, Via Roma verso Scampia, 250 - 80144 Secondigliano (Napoli)
4 settembre 2010
da informa-azione.info
lettere dal carcere di san vittore (milano)
Ciao, vi scrivo per raccontarvi cosa è successo al mio coimputato. Ieri le guardie, compreso il brigadiere, lo hanno riempito di botte, in più l'hanno portato in isolamento.
Vi sarei molto grato se gli scrivete due righe, vi ringrazio anticipatamente.
P.S. Tutto è accaduto per un piccolo diverbio con un appuntato. Tra l'altro è la quarta volta che lo menano in 3 mesi che siamo qua. Lui era ai piani inferiori. A mio parere non si agisce così, mi sembra che stanno esagerando. Vi risaluto…
(lettera firmata)
13 settembre 2010
***
Ciao a tutti/e, vi ringraziamo in coro per il sostegno che fornite a tutti noi.
Stiamo facendo il possibile per sensibilizzare la popolazione detenuta della casa circondariale S. Vittore ad un comportamento più idoneo all'abbattimento del carcere piuttosto che all'abbellimento dello stesso.
La difficoltà come sapete è che in questo carcere ci sono 30/40 ingressi al giorno e altrettante uscite (trasferimenti ecc.), essendo vicino al tribunale, usano questo carcere per chi deve fare il processo e che poi trasferiscono altrove. Vi dico che dal 2 marzo 2010 ad oggi, di quelli che c'erano al mio ingresso, escluso il settore penale, siamo due dozzine al massimo. Ci è arrivata oggi una vostra lettera del 30 giugno con le scuse delle poste di Cordusio perché aperta. Ringraziamo per i libri, vorremmo foste qui sotto tutte le sere… a presto, un abbraccio di cuore dal terzo raggio.
Milano, 31 agosto 2010
***
Ciao Olga, speriamo di trovarvi in ottime condizioni di salute. Vi scriviamo per manifestare l'assenso di molti detenuti alle vostre lettere e speriamo vi scrivano in tanti come detto.
Ci vogliamo battere su due punti fondamentali:
1) lo spazio, la metratura insufficiente,
2) la sanità intesa come cura del malato che viene assistito solo se scioperi o in procinto di morte.
Grazie Olga per esserci vicini. Ora che arriva l'inverno si rischia il congelamento oltre che del sangue anche dello spirito e il vostro calore, siamo sicuri, aiuterà molte persone che non meritano tutto questo dolore. Un abbraccio a tutti/e voi
Milano, 2 settembre 2010
(seguono diversi nomi)
***
Ciao ragazzi/e, come state? Sono arrivati i libri… Credo che abbiate parlato anche con i miei [nei volantinaggi davanti al carcere nei giorni di colloquio], mi ha accennato qualcosa mia madre. Pensavo mi avessero bloccato la posta, grazie stasera inizierò a leggere se non c'è troppo bordello in corridoio…
Per quanto riguarda il 14 [agosto giorno del presidio itinerante sotto il carcere] credo che la repressione dentro il carcere (credo che abbiate sentito il silenzio del III° raggio, a parte qualche cella) sia dovuta al volantino che ha fatto agitare più del dovuto gli appuntati e i loro capoccia, ce n'era uno proprio tra noi e voi il P.le Aquileia, dove avete letto la lettera, che ci minacciava ad ogni rumore o parola detta, ma a noi dei rapporti non cene frega un c… fatto sta che nessuno poi ci ha rapportato. Forse hanno paura?! O forse ci danno ragione. D'altronde è la verità e mi dispiace che tanti altri detenuti siano stati buoni e calmi per poi dire il giorno dopo che dovevamo fare più casino…
Il cibo che ci danno è sempre scarso, l'unica cosa positiva è che c'è l'acqua, anche se non caldissima… il compagno di cella sta tornado dall'ora d'aria "serale" estiva che danno ogni 3-4 giorni, vi saluta con un abbraccio forte…
Quando usciamo ci piacerebbe militare o in qualche modo collaborare con voi per quanto riguarda il discorso carceri… speriamo di sostenervi per quanto possa essere possibile da qui dentro, ma il desiderio è di vedersi fuori, il prima possibile.
Il carcere (S. Vittore come esempio) è lesionistico a livello fisico cerebrale tanto quanto 10 volte superiore al reato che commetti o presunto…
Davide ha inviato un'istanza per ottenere la "detenzione domiciliare" dopo un'intervento chirurgico ad una spalla, l'istanza gli è sta respinta con le motivazioni: “non si ritiene che lo stato di detenzione possa influire in maniera significativa sulle condizioni cliniche del paziente essendo peraltro coadiuvato da un piantone”, detenuto anch'egli, “per ausilio necessità personali e pulizie della cella”… da cui Davide trae questa conclusione:
Le motivazioni del rigetto danno per scontato, secondo il mio parere, che ogni detenuto stia bene in carcere, che la vita e la dignità di tutti i detenuti è rispettata e onorata, cosa che in regime di prigionia, fossi un magistrato, stenterei a scrivere, soprattutto se la casa circondariale di riferimento è S. Vittore e loro sanno…
Detto questo, dire o scrivere che godo di buona salute o buone condizioni generali vi fa capire, perchè in carcere ci sono malati conclamati di HIV ai quali, anche al primo reato, non concedono nulla…
Stare in questa situazione di prigionia logora mente e fisico, a prescindere dallo stato generale di salute, lo si palpa con mano dall'esterno, e ve ne diamo conferma dall'interno, che alcuni magistrati dovrebbero esplorare prima di evincere rigetti egocentrici e poco affini alla realtà. Un saluto e un abbraccio forte da tutta la cella, Davide
Milano, 21 agosto 2010
***
Ciao ragazzi/e, vi saluto e vi mando un forte abbraccio, vi racconto che in questi giorni dopo la manifestazione le "cose" vanno stranamente meglio. Durante la distribuzione del cibo c'è una sorta di vigilante che assicura la corretta distribuzione del cibo.
Ieri mattina si è allagata la cella 312 accanto alla nostra (311) e di conseguenza anche un pezzo di sezione e altre celle sono state invase dall'acqua. Ho fatto alcune barchette di carta che hanno navigato a suon di incoraggiamenti, tipo gara clandestina con scommesse su quale per prima avesse raggiunto la sala degli "assistenti", quando dopo "solo" 1 ora abbondante si è presentata la MOF (Movimento Operazioni nel Fabbricato, in breve squadre per riparazioni idrauliche, elettriche ecc.), stranamente di domenica, che ha riparato il guasto successo ad un tubo che emanava litri d'acqua prosciugata con l'aiuto dei lavoranti…
In questi giorni vi scrivo spesso perché credo che la battaglia si possa vincere: fare chiudere questa sozzeria non è impresa facile, ma basterebbe un controllo serio dell'ASL o far conto che per ogni detenuto lo stato riserva 7 mq, mentre qui in 15 mq scarsi c'è una media di 4-5 persone, più del doppio di come dovrebbe essere.
Sto attendendo il ricovero perché non riesco più tanto a sopportare il male, vi saluto e con me tanti altri detenuti che mi han chiesto informazioni su di voi, a cui ho detto di non esitare a scrivervi o di farmi avere i loro scritti per poi spedirveli.
Ciao un abbraccio Davide
Milano, 17 agosto 2010
Davide Puricelli, p.za Filangieri 2 -20123 Milano
***
[...] da tre mesi risiedo nel carcere di S. Vittore, al III° raggio cella 317. Ho una condanna di 4 anni per detenzione di cocaina. Colgo l'occasione per ringraziarvi per l'interesse nei nostri confronti.
Essendo io alla mia prima e spero ultima carcerazione, mi sono trovato davanti ad una realtà pressoché inimmaginabile. Qui all'interno le cose non sono quelle che certi politici descrivono al di fuori.
Non funziona niente, il disagio è all'ordine del giorno, i pochi diritti fondamentali di umanità e civiltà vengono ripetutamente calpestati giorno dopo giorno, cosicché uno si abitui, e ancora peggio, si convinca di non avere diritti. Mi sono rivolto a voi per darvi sostegno morale in tutto quello che fate per far capire alle persone che sono all'esterno che, dietro quelle mura, oltre alla sofferenza giornaliera si aggiungono ingiustizie e degrado totale. Ringraziandovi per il sostegno che ci date, porgo i più sinceri saluti a tutti voi.
Grazie, con stima.
Milano, 17 agosto 2010
Massimiliano Visconti, p.za Filangieri 2 -20123 Milano
***
Ciao ho ricevuto la cartolina e anche i vostri libri, vi ringrazio di cuore! Siete veramente molto altruisti, sinceri, leali oltre che gentili nel dedicare il vostro tempo a noi. Le scorse lettere le abbiamo scritte io e altri ragazzi che si trovano al terzo piano, raggio tre. Ora io sono stato spostato in un altro reparto, sempre al terzo raggio ma al quarto piano. Questo è un reparto chiamato Nave. Qui si possono frequentare alcune attività molto interessanti, una quindicina. Siamo i più seguiti giornalmente da psicologi, dottori ed educatrici professionali, in poche parole è una goccia in questo oceano ma per chi si vuole aiutare a cercare una via migliore per il futuro, è già un inizio.
Io personalmente ho intenzione di affrontare questo problema secondo le mie idee, esperienza e possibilità, oltre alla questione giuridica e legale penso che avrò un paio d'anni per capire dove ho sbagliato e perché, poi devo anche affrontare il problema della tossicodipendenza.
In breve, sto frequentando molte attività e interagisco con il gruppo perché vorrei fare per la prima volta un percorso comunitario adatto a me, visto che è anche la mia prima volta in carcere, questo grazie anche ai professionisti che lavorano qui, sono, come ti ho detto, psicologi, educatrici anche del Sert. Mi ha fatto piacere scambiare due chiacchiere con voi e se vi va, scrivete ancora. Ciao.
P.S. La prossima volta scriverò anche con i miei nuovi concellini.
(lettera firmata)
Milano, 2 settembre 2010
***
Vi scrivo pensandovi autorevolmente sani e fiduciosi.
Vi voglio scrivere due righe in base a ciò che riguarda alcuni punti che nel carcere non funzionano o che comunque vanno corretti e che possono portare all'abbattimento delle "mura".
Se non erro per ogni detenuto spettano per legge 7mq di spazio nella cella. A S. Vittore, in celle da 14 mq, si vive minimo in 4 persone con brande a castello fuori norma.
14 mq compresi muri divisori, cucina e bagno, tavolino e armadietti.
I M M A G I N A T E V I , come può essere la vita qui per chi di voi non c'è mai stato, dover convivere in questi spazi con almeno una decina di concellini diversi al mese, se non 3-4 a settimana. Ragazzi, anziani, uomini costretti al carcere per reati a volte ridicoli, se non inesistenti tipo "aver assistito ad un furto di bicicletta" o cose simili "furto di una confezione di gamberoni" al supermercato e condanne di 6 mesi ecc.
L'igiene è pessima come sapete scarafaggi, pulci e infezioni sono all'odg, ma vorrei soffermarmi su un particolare che poi tanto non lo è.
La sera un/a infermiere/a gira all'esterno delle celle per fornire le terapie farmacologiche ai detenuti che ne hanno bisogno e ciò che mi colpisce è che usano una siringa sola per tutti i tipi di farmaci, cioè con un'unica siringa prelevano le dosi di un farmaco dalla boccetta per un "paziente" e così via con le altre boccette di farmaci, ma la siringa è la stessa.
Non c'è un cazzo di niente a norma qui dentro e quando dicono al Tg che i politici vanno a controllare sono cazzate, perché nei raggi non si vede mai nessun essere vivente di quel genere. Chissà dove li mandano, cosa cazzo vedono, perché qualsiasi essere umano con un minimo di potere farebbe qualcosa, vedendo e toccando con mano la detenzione dall'interno, la galera bastarda che la gente non conosce, non vede, non vuole vedere.
Buttiamo giù i muri e diamo voce a chi è perseguitato da anni dall'ingiustizia italiana, perché è ingiusto anche che queste situazioni, se la gente le conoscesse non le augurerebbe al proprio peggior nemico - questi comandanti infami che pensano a incularsi con un appartamento a Montercarlo o cose simili.
Segue poesia:
Ogni tramonto, verso sera
il detenuto guarda in alto perché spera
sarà questa l'ultima sera di questa bastarda galera.
Nessun atto che ho commesso può giustificare che domani
sia la stessa sera… Milano, 4 settembre 2010
due lettere dal carcere di cremona
Ciao, ieri dalla cella in cui mi trovavo ho sentito la manifestazione che avete fatto oltre le mura, mi sono preso l'indirizzo di Ampi Orizzonti.
Io mi trovo alla sezione E al 4° piano e non ho sentito molto bene i contenuti della discussione, ma penso siano facilmente deducibili.
D'altronde le problematiche inerenti il "pianeta" carcere sono le solite: sovraffollamento, vitto inadeguato e zero possibilità di reinserimento. Così va il mondo!
Cremona ha il problema affollamento tollerabile, ma il livello organizzativo della vita intramuraria dev'essere inferiore a quello di una comunità di cordati, non vedo segnali di vita degni di nota. Da parte dell'autorità amministrativa sembra regni l'imperativo di lasciare tutto così, lavorare stanca e pensare ancora di più!
Qui come accennavo il vitto è pessimo, a mezzogiorno sempre pasta scotta e la sera sempre pasta in brodo anche con 40° all'ombra. Due tre volte la settimana wurstel, un paio di volte pseudo bistecche, tipo hamburger che sembran fatti con carne di cane, senza offesa per i canidi che amo molto.
L'insalata è sporca e marcia idem la frutta. L'altro giorno abbiamo fatto una raccolta di firme, ci ha chiamato l'ispettore, ma solo gli arabi hanno avuto il coraggio di metterci la faccia. Anch'io sono andato e sono stato invitato dall'ispettore ad evitare casini, ma ho riposto che i detenuti avevano ragione e sembra che qualcosa sia migliorato, ma pochissimo.
Non voglio far ricadere la responsabilità sugli agenti, sono servi e cani da guardia, ma le responsabilità sono più in alto. Comunque sia, difficilmente il carrello del vitto riesce ad arrivare in fondo alla sezione, c'è sempre qualche detenuto che resta senza mangiare e se quel qualcuno non ha nessuna possibilità perché come me non fa colloqui, ecc, allora la detenzione si fa veramente dura, se non sai muoverti sei fritto, anche se la solidarietà fra sub-proletari non ha pari.
La prigione è programmata per stritolare i "delinquenti" vigliacchi!, se sopravvivi esci con il diploma di delinquente duro e irriducibile, altrimenti resterai sempre a piangerti addosso.
Il questa sezione le docce non funzionano, non c'è pressione e l'acqua è quasi sempre fredda, fare la doccia è un'impresa e non so come verrà risolto il problema per l'inverno.
Le docce sono state fatte da poco ex-novo. Questo di Cremona è uno dei famosi carceri d'oro dell'epoca di tangentopoli e i criteri adottati nell'edificarlo dovevano rispettare i canoni del periodo, cioè qui l'intermediario, dalla progettazione all'esecuzione dei lavori doveva intascare più che poteva, alla faccia della qualità dei materiali e dei canoni di affidabilità dell'opera.
D'altronde in un'Italia "Repubblicana" tutti dovevano intascare in nome di una forma distorta di redistribuzione del capitale, figlia del compromesso e della D(emocrazia) C(ristiana), alla faccia del diritto costituzionale. Noi siamo gli eredi di quell'epoca, chi la rimpiange non ha capito un cazzo.
Tolte le scuole elementari e medie, qualche corso di bricolage e yoga per salvare la faccia e sostenere un certo ceto parassitario, piccolo borghese che gravita attorno alla periferia economica del capitalismo, l'unico svago è la palestra. Purtroppo però è chiusa, inagibile da due anni causa allagamenti! Sembra una barzelletta.
Al detenuto, al nostro povero prigioniero, bastonato e compatito, non rimane che il gioco delle carte (la scacchiera non c'è e neanche il risiko), il calcio Balilla, che ho scoperto mesi fa, essere stato inventato da un poeta anarchico spagnolo che ha partecipato alla guerra civile spagnola, e la tv.
La tv poi ti ammazza, in carcere finisci quel processo di teledipendenza che avevi iniziato fuori. Il processo di ipnosi mediatico con i suoi messaggi subliminali ti penetra nell'inconscio e ti modella, diventi uomo-massa, oggetto quindi soggetto (non è un paradosso). La televisione ti modifica la "realtà". Essa viene oggettivata a scapito della tua soggettività percettiva e quindi essa viene privata di analisi e critica.
E' l'ultimo attacco diabolico del potere all'uomo, Kant è l'anticristo, l'uomo va liberato da se stesso e ricondotto nell'alveolo della conoscenza divina… a sua insaputa!
Le tecniche di controllo mentale oggi giorno sono così sottili e sofisticate che difficilmente ci rendiamo conto di essere programmati fin dalla nascita e riprogrammati dove insorgono processi di devianza (Rapporto NATO "Operazioni Urbane nel 2020"), mi viene in mente allora il compagno Giulio ed il mondo di Matrix.
"Tu sei un'alterazione endemica del sistema…" (v. Matrix), così dice l'architetto a Dio e io mi auguro che di queste alterazioni ce ne siano a milioni e che iniziino a prendere coscienza, in carcere, si sveglino.
Vorrei continuare la lettera, ma non sono sicuro risulterebbe interessante, rischierei di andare nel personale e quindi evito.
Vi ringrazio per la manifestazione e l'impegno per la causa a favore dei detenuti.
Un abbraccio fraterno, Andrea.
Cremona, 22 agosto 2010
Andrea Orlando, via Palosca 2 - 26100 Cremona
***
Carisimi compagni/e, mi chiamo Cristoforo voi non mi conoscete e nemmeno io vi conoscevo fino a poco tempo fa, quando ho assistito al vostro presidio, nella mia cella, fuori dalla Casa circondariale di Cremona. Poi tramite il compagno di cella…
Devo dire che io sono "nuovo" del carcere, sono detenuto da 2 mesi, in attesa di processo (dove quasi sicuramente verrò rimandato a casa perché sono innocente), però per quanto breve sia stata la vostra presenza fuori dalle mura, mi ha dato grande forza, sapere che c'è qualcuno che combatte per noi, mi ha fatto stare bene. Non nego anche qualche lacrima di commozione (anche durante la lettura dell'opuscolo), sapere che c'è gente che se la passa peggio di me, ma che continua a resistere contro questo sistema, mi fa stare male, vorrei dare il mio supporto, anche se queste righe non so quanto aiuto potrebbero dare.
In questo carcere ci sono tanti problemi, a partire dalla mancanza di acqua calda nelle celle, per finire in quella delle attività. Se non si va all'aria, praticamente si sta 24 ore chiusi in cella, ciononostante sembra di stare in un albergo, leggendo le situazioni critiche nelle altre carceri.
Non riesco a capire come certa gente possa continuare a fare del male a persone detenute (innocenti o no), poi tornare a casa come se niente fosse; come possa umiliarle così tanto da farle sentire degli stracci. Vorrei tanto trovare le parole giuste per riconoscere quello che sento quando leggo l'opuscolo 48; il fatto è che non ci sono parole o scuse, per dire quello che provo. Certe cose non dovrebbero accadere, la gente non dovrebbe morire in carcere per colpa di qualche guardia che non sa cosa fare.
Non trovo le parole, mi sento impotente di fronte a questo orrore, è una cosa atroce, non si può nemmeno descrivere se non con il dolore. Vorrei solo che questo mio insignificante gesto potesse dare conforto a qualcuno. Vorrei dire loro di stringere i denti e non dargliela vinta a questo sistema di merda, che vuole solo renderci macchine. Sono sicuro che, però, lo sanno già. Il fatto è che nonostante io abbia già 23 anni, non mi sono mai informato su queste cose, sto capendo solo ora come è questo diabolico sistema.
Un altro punto di cui volevo scrivere riguarda i CIE.
Trovo incredibile la storia di questi centri. Da quanto ho capito le situazioni sono ancora più degradanti e invivibili. Non è possibile che ci debba sempre scappare un morto o decine di rivolte per far attirare l'attenzione e forse per cambiare qualcosa. Non può essere che una persona con figli, moglie e lavoro venga rinchiusa per mesi e poi deportata. Non dovrebbero esserci né barriere né frontiere. Il fatto che in Italia conta ancora il colore della pelle mi fa schifo, mi vergogno.
Volevo dare un po' di supporto a chi è detenuto a Catania. Credo che lì la situazione sia davvero al limite. Pagare così tanto per l'acqua è un'indecenza. Per quanto il resto penso che in quasi tutte le carceri ci rubino soldi da tutte le parti, a partire dalle cuffie per la musica (10 euro) e a finire al lettore CD "buono" (75 euro), se poi qualcuno vuole un lettore MP3 è meglio che si metta l'anima in pace.
Riguardo invece all'articolo sulla tessera del tifoso, sono rimasto allibito (per non dire scandalizzato), e mi chiedo se potrò mai andare allo stadio una volta fuori di qua.
Ormai stiamo andando sempre verso la rovina più totale, sempre più persone stanno aprendo gli occhi, qualcosa succederà di sicuro. Grazie al vostro “cavallo di battaglia” (48), si sta diffondendo nelle nostre menti qualcosa di importante.
Sento che molte cose, in me, saranno diverse da ora in poi. Grazie per avermi illuminato la via.
Concludo qui la mia lettera e mi scuso per la confusione più totale. Vorrei poter far arrivare a tutti i fratelli e sorelle il mio più caldo saluto. Un abbraccio che viene direttamente dal cuore.
Cremona, 2 settembre 2010
Cristoforo Pirrello, via Palosca 2 - 26100 Cremona
lettera dal carcere di opera (milano)
Ciao carissimi amici di ampi orizzonti, spero di trovarvi tutti bene, così vi assicuro di me - fisicamente. Oggi il tempo è solare… mi chiedete di Monza: con la direttrice di prima si stava male, il prete comanda, non fa entrare gli altri ministri di culto. Chissà se cambia qualcosa.
Qui abbiamo l'elenco del sopravitto, ma senza i prezzi. Le cose qui dentro costano il doppio di fuori. E non sono neanche di prima scelta. Faccio un esempio: ci sono le mozzarelle, che dovrebbero essere di bufala, ma non ci assomigliano per niente; sono mozzarelle normali e le paghi come bufala. Come vi avevo già scritto una volta, per avere la luce in cella bisogna comprarsi le lampadine.
Ora dopo nove mesi ci hanno ridato il campo grande. Ci andiamo ogni 15 giorni per tre volte di seguito - 1 ora per ciascuna volta. In poche parole si sono perse 3 ore d'aria; inoltre, nel giorno in cui alla sezione in cui ti trovi tocca il campo grande tu non puoi andare al cortile normale del passeggio, vai al campo non puoi andare al passeggio - dove il tempo dell'aria non è mai di 1 ora ma di 40 minuti.
Adesso è iniziato un altro corso, che poi è un lavoro senza essere pagati; non ti danno neppure l'attestato di partecipazione. E' una truffa per prendere soldi dalla Regione.
Per il resto non c'è niente di nuovo.
Buona giornata, un caro abbraccio a tutti voi, ciao amici miei
(lettera firmata)
Opera, 2 settembre 2010
lettera dal carcere di cagliari
Carissimi/e compagni/e, vi informo che il 10 luglio 2010 sono stato trasferito nuovamente dal carcere di Tempio Pausania a quello di Cagliari. Il motivo è "tentata evasione"!
Non mi è stato rinvenuto nessun oggetto che poteva far pensare ad un'evasione, tanto meno non mi è stato notificato nessun rapporto disciplinare. Solo una voce confidenziale che dice: Francesco Domingo voleva scappare! Chi ha potuto mettere questa voce in giro? La stessa direzione, per il semplice motivo di non farmi accedere ai benefici previsti dalla legge.
A maggio avevo inoltrato istanza di affidamento e semilibertà ed ero in attesa che venisse fissata la camera di consiglio per la discussione sulla mia libertà, essendo che il mio fine-pena è di un anno e sei mesi - con dietro 10 anni già scontati ininterrottamente! E mi vengono a parlare di evasione!
Ma sono proprio questi trasferimenti e queste infamità che subisco a rendermi ancor più forte. Da questo loro comportamento infame capisco che sono accaniti perché in tutti questi anni di detenzione non sono riusciti ad "addomesticarmi".
Oltre al trasferimento, tutt'oggi sto avendo problemi con la corrispondenza epistolare! Molta corrispondenza non mi è mai giunta, altra mi raggiunge con notevole ritardo, anche mensile. Anche questa è una delle tante infamità che combinano per tagliare i contatti con l'esterno! Ma con il solo pensiero che in "libertà" ci sono compagni/e vicini/e ritorna quella forza necessaria per lottare e andare avanti.
Vi informo che ieri 27 agosto 2010 ho intrapreso lo sciopero della fame sia perché mi viene cestinata la corrispondenza e sia perché non mi concedono i benefici previsti e continuano a rompere la minchia per cose inesistenti.
Per questo motivo ho già intrapreso lo sciopero della fame affinché venga fuori la verità. Non gliela si può dare sempre vinta, bisogna reagire e lottare sempre per la libertà.
Carissimi/e compagni/e, per oggi termino qui inviandovi un caloroso abbraccio, Ciccio Domingo.
Cagliari, 28 agosto 2010
Francesco Domingo v.le Buoncammino 19 - 09123 Cagliari
lettera dal carcere di nuoro
Carissime compagne e compagni, sono Antonio e sono detenuto per reati di cui agli art. 416-bis, 575, 577 ecc. ecc. Vi scrissi tempo fa. Provengo da Bellizzi Irpino (Avellino) e per motivi che ancora non conosco sono stato trasferito qui. Mi sono avvicinato alle vostre idee, proprio grazie a questo grande compagno che è qui con me. Uomo con alti valori morali e sani principi che da 16 anni combatte civilmente questo stato dittatore, dichiarandosi prigioniero di stato.
Condivido le vostre idee ed i vostri pensieri, vengo da una terra denominata "terra dei briganti", la Basilicata o Lucania, e ne sono fiero perché i miei avi combatterono con orgoglio gli invasori piemontesi…
Questa è la mia breve presentazione. Mi farebbe piacere ricevere posta da chiunque vorrà avere corrispondenza con il sottoscritto, uomini e donne, per condividere qualcosa insieme contro questo stato bigotto. Io voglio lottare per un mondo senza più il cancro della piovra teocratica, senza mura, senza prigioni, contro ogni tabù e sistema di controllo stuprante della libertà degli individui. Sogno un'umanità autogovernata dal biosocialismo di mutuo soccorso, LIBERIAMOCI in fretta.
Un abbraccio a tutti i compagni, e saluti libertari…
Nuoro, 27 agosto 2010
Antonio Cossidente, v. Badu 'e Carros 1 - 08100 Nuoro
lettera collettiva dalle carceri svizzere
Noi, Billy, Costa, Silvia e Marco, individualità ecologiste rivoluzionarie ed anarchiche ostaggi dello Stato Svizzero, abbiamo deciso uno sciopero collettivo della fame di durata individualmente variabile, dal 10 alla fine di settembre 2010.
Per le contingenti limitazioni e i ritardi nelle comunicazioni (che tra noi tre in carcerazione preventiva/in attesa di processo in Svizzera sono persino di totale divieto di comunicazione), l'accordo e l'organizzazione di quest'iniziativa è difficile e forse solo in seguito saranno possibili delle più esaustive e peculiari notizie, conferme e dichiarazioni anche individuali. (*)
Ma come individualità anarchiche rivoluzionarie, con questa nostra iniziativa vogliamo ribadire forte:
La solidarietà e la partecipazione internazionalista - da dentro e superando ogni specifica tendenza - alle iniziative e alle lotte rivoluzionarie, sia dentro che fuori, contro la repressione, il carcere, l'isolamento, la tortura…, per la liberazione di tutte le individualità che sono ostaggi nella guerra sociale e rivoluzionaria contro il sistema, per la libertà di tutti e di ognuna, nonché per la distruzione d'ogni galera, recinto e società che ne ha bisogno. In questo senso, totale appoggio e solidarietà alle recentemente nate campagne di liberazione per le rivoluzionarie ed i rivoluzionari di lunga detenzione.
È continuità di lotta insieme a tutte le individualità che non hanno mai solamente voluto subire questa guerra e questa crisi sociale, economica, politica e ambientale sempre più acuta e brutale del sistema.
È continuità nei forti e solidi rapporti di lotta e d'affinità come individualità anarchiche "verdi/anticivilizzazione" che ci uniscono da tanti anni:
Contro ogni Stato, prete e padrone, contro ogni galera e repressione, contro ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'uomo sulla donna, dell'uomo sulle altre specie e dell'uomo sulla natura.
Nell'essere coalizzati, tra noi e con altre individualità d'altre esperienze, nella lotta radicale contro le nocività, le distruzioni e lo stesso sistema che le produce e le rende necessarie, vale a dire questo presente tecnoscientifico di produzione e consumismo industriale, capitalistico, mercantile, monopolistico ed imperialista delle multinazionali e dei loro Stati. Sia che si tratti di vecchie o d'innovative nocività e distruzioni. Sia per quanto la tipica arroganza truffaldina dei padroni e lacché (scienziati, media, politici, sbirri, preti e organizzazioni nei libri paga e/o nelle liste del gioco "del democratico dialogo" dei padroni) le dipingono come umanitarie, necessarie ed ecocompatibili come il nano e biotech, gli OGM, le "energie alternative" o persino il nucleare…! E per quanto questa feccia imperialista, guerrafondaia e globalmente terrorista di padroni e loro complici e istituzioni dichiarano "vandali", "terroristi", "ecoterroriste", ecc. noi e chiunque che realmente dissente e resiste e lotta per una società di liberi individui autonomi senza schiavitù, oppressione, sfruttamento e distruzioni!
Nell'essere radicalmente critici e in lotta contro le lontane radici di questo sistema attuale come più progredita, compiuta e distruttiva espressione della millenaria civiltà antropocentrica del dominio tecnologico e industriale (produzione-consumo) e dell'addomesticamento patriarcale, della stratificazione e del controllo sociale, della massificazione/carcerazione nelle città, dello sfruttamento, dell'oppressione, della violenza organizzata e guerra dell'uomo contro l'uomo, dell'uomo contro la donna, dell'uomo contro le altre specie, contro la natura, contro il resto dell'universo.
Per concludere, ma certamente non per ultimo: quest'iniziativa è anche un contributo e saluto complice, solidale e attivo a tutte voi individualità rivoluzionarie d'ogni tendenza che individualmente o unitamente qui fuori e ora ci sostenete con il vostro complice, libero e vero amore rivoluzionario, con le vostre iniziative, con la continuità ed il rafforzamento della resistenza e dell'offensiva rivoluzionaria alla luce del sole o alla luce della luna e delle stelle, con ogni mezzo necessario, contro ogni espressione del mostro Stato e capitale.
Insieme siamo forti, la solidarietà è la nostra arma migliore!
Dal carcere Svizzera, Billy, Costa, Silvia e Marco
7 settembre 2010
(*) Nota sull'iniziativa ed altro, dal lager Pöschwies, Zurigo
Nel mese di giugno abbiamo iniziato la discussione e l'organizzazione di quest'iniziativa. Subito dopo, la procura federale decretò i ben noti e vili inasprimenti del blocco delle comunicazioni politiche e personali con Silvia, Costa e Billy nell'usuale logica d'annientamento e d'isolamento di uno degli Stati canaglia capitalisti ed imperialisti (ricordo che solo i banchieri privati ginevrini amministrano il 10% dei patrimoni privati del mondo…) delle multinazionali di natura fondamentalmente razzista e fascista.
Come poco sorprende: anche solamente il pretesto per questa aggressione contro l'integrità e l'identità dei tre compas è un grave atto di discriminazione in uno Stato canaglia che vanta di quattro lingue ufficiali, tra cui l'italiano, quando come motivo avanza la mole di corrispondenza italiana da tradurre nel tedesco; c'è il solito sbirro della repressione federale che, per bassi motivi di animosità e rappresaglia politica, blocca arbitrariamente ogni corrispondenza tra i tre e una compagna del Soccorso Rosso Internazionale Svizzera molto impegnata anche nel loro sostegno.
Praticamente: se una lettera non è soppressa, ricevo risposta solo dopo un mese o un mese e mezzo. Così c'è stata impedita la discussione e l'elaborazione comune di una dichiarazione più articolata e compiuta formalmente e nei contenuti. Toccava a me abbozzare la presente dichiarazione ed abbiamo solo "in extremis" potuto raccogliere l'assenso certo di tutte sia sui contenuti fondamentali e di quanto si vuole comunicare, che sui tempi.
Ma una cosa è certa, e lo stiamo nuovamente dimostrando ora, qui ed altrove. Noi dentro e voi fuori, invece di farci terrorizzare e paralizzare dalle criminali logiche di rappresaglia ed aggressione della feccia repressiva dello Stato e del capitale, queste logiche non fanno altro che mobilitarci e rafforzare il confronto, la partecipazione e l'unione nell'azione sui vari livelli di lotta. In questo senso, per esempio saluto calorosamente l'incontro per la liberazione animale e della Terra del 10-11-12 settembre e il messaggio di Silvia per questo incontro, che condivido ampiamente; o l'unione tra forze comuniste ed anarchiche a Roma nelle iniziative della campagna internazionale per la liberazione dei compagni e delle compagne sotto sequestro…; o, come in Messico, Cile, Argentina, qui e dappertutto: saluto con gioia le azioni militanti di solidarietà e di rappresaglia rivoluzionaria/insurrezionale contro l'aggressione repressiva, perché la rappresaglia rivoluzionaria é uno dei campi di battaglia di rilievo e imprescindibili nella guerra sociale. Le loro nefandezze non ci devono mai stupire, ma, finché non saranno spazzati via, più a buon mercato se la cavano, più sono sfrenati.
7 settembre 2010
Marco Camenisch, Pöschwies, Regensdorf
***
lettera dal carcere di Biel
Per l’incontro di liberazione animale e della terra - settembre 2010
Con grande dispiacere non posso essere presente a queste tre giornate molto importanti, al primo incontro di liberazione animale e della Terra, ma con il mio pensiero e il mio cuore sono lì con voi. Vi mando questo messaggio e un forte abbraccio.
Siamo continuamente bombardati/e da un'infinità di sostanze tossiche emesse nell'aria, nel terreno, nei fiumi e nei mari; sommersi/e da nocività industriali e tecnologiche. Biotecnologie e nanotecnologie stanno per compenetrare l'intero tessuto di questa società. Intossicati/e, considerati/e cavie e pezzi di ricambio, violati/e nel profondo dei nostri corpi…tra l'alienazione di un mondo di circuiti elettronici…
Ogni giorno, proprio in questo momento, una parte della foresta amazzonica viene distrutta per sempre. Specie animali e vegetali di cui non conosciamo l'esistenza si stanno estinguendo, per i fragili e complessi legami ed equilibri del mondo naturale insieme ad esse si estingueranno tante altre specie. Il peso della distruzione di ecosistemi e della loro biodiversità, del continuo depredare le loro "risorse" per il bisogno energetico del sistema industriale, degli stravolgimenti climatici è un peso dalle terribili ed irreversibili conseguenze per l'intero pianeta e per ogni essere vivente da non poter essere considerato una questione secondaria. Così come l'importanza delle lotte ecologiste radicali per contrastare questo sistema che si fonda sull'avanzata del progresso scientifico e tecnologico.
Quelle stesse multinazionali che qui da noi hanno le loro sedi e centri di ricerca ed espandono il loro potere e i loro progetti in modo più subdolo, nel sud del mondo manifestano apertamente il loro volto di morte. Per i contadini depredati dei loro saperi e obbligati dalle multinazionali biotech come Monsanto a piantare semi OGM sterili, per le ultime tribù rimaste tra le foreste che stanno scomparendo per fare spazio a monoculture di soia e per ricavare biocarburanti, per loro è una questione di sopravvivenza.
Non reagire equivale a morire. Armi in pugno stanno resistendo all'avanzata delle multinazionali e della civilizzazione. La loro resistenza è anche la nostra, parte della stessa lotta.
Le lotte di liberazione animale e della Terra sono parte dello stesso percorso, non possono essere scisse e considerate separate.
Ogni essere vivente è legato dallo stesso filo di sfruttamento. E' lo stesso sistema, lo stesso paradigma antropocentrico che reifica ogni essere vivente, riducendolo a mero numero, a merce, a carne da macello, a risorsa da utilizzare, ad aggregazione di organi da sezionare, ad insieme di cellule, geni e atomi da plasmare e modificare…
I tanti piani di sfruttamento e oppressione del sistema sono come tante dimensioni che si compenetrano e si fondono una nell'altra, formando una fitta rete di legami e relazioni. Estraniare una specifica questione da questa fitta rete è perdere il contatto con la realtà attorno a noi e non sapere più capire le evoluzioni del dominio.
Dobbiamo chiederci a cosa ci opponiamo, se al dominio in ogni sua manifestazione, nel portare avanti progetti specifici dobbiamo riconoscere le necessità dell'unione delle lotte di liberazione. Non perdendo mai quella tensione che ci spinge ad essere in conflittualità con l'intera società, che non ci fa accontentare, che non ci fa nascondere dietro le parole ma le fa diventare pratica.
"Protestare è dire che qualcosa non ci va, opporci è fare in modo che quello che non ci va non accada più". (Ulrike Meinhof, militante della RAF).
Opporci è dare concretezza al nemico, renderlo chiaro e visibile davanti a noi; è dare concretezza al nostro sentire e al nostro pensiero.
Solo unendo in un unico fronte le lotte di liberazione animale ed ecologiste radicali sapremo fronteggiare la complessità e profondità del dominio, con una lotta che vada oltre la superficie per scardinare all'origine e nella totalità ogni forma di sfruttamento.
Potremmo dire che la strada che abbiamo intrapreso è facile, che non faremo mai errori e che riusciremo ad ottenere tante vittorie. Probabilmente avvicineremo più militanti, ma cosi, senza essere pronti/e ad affrontare le prime difficoltà, quando si presenteranno l'intero movimento potrà collassare. Per evitare questo dobbiamo essere consapevoli che in realtà la strada è lunga e tortuosa, piena di ostacoli che a volte ci sembreranno insormontabili. Faremo degli errori, subiremo delle sconfitte, alcuni/e abbandoneranno la lotta e dovremmo scontrarci con la repressione… ma nonostante tutto questo, nonostante il contesto attorno a noi ci appaia sempre più desolante e sia sempre più difficile trasmettere i nostri messaggi nella loro complessità e radicalità, se non siamo noi, se non sei tu a decidere di combattere, chi lo farà? Se non iniziamo ora a lottare, quando? Se aspetteremo, se aspetterai, sarà troppo tardi…
Di fronte allo scenario che ci circonda se siamo assaliti/e dall'impotenza e dallo sconforto, non dobbiamo cedere a queste sensazioni, ma ribaltarle in consapevolezza e forza. Nella testa gira, vorticosamente, la domanda: "Cosa possiamo fare? Cosa potremmo mai fare contro tutto questo?".
Per rispondere basta semplicemente iniziare ad invertire la rotta tracciata dal sistema, fermando quel corso degli eventi che i potenti ci vogliono far credere ineluttabile.
Ognuno/a è indispensabile, anche solo un individuo può fare la differenza, può aprire una gabbia, e non esisterà mai un prezzo troppo alto da pagare per aver salvato una vita… Più individui possono diventare un bastone tra gli ingranaggi di questo sistema e attaccarlo nei suoi gangli vitali. Se tutte le persone che per la prima volta sono a questo incontro, quando sarà finito, si impegneranno concretamente e con continuità, potranno nascere nuove campagne di lotta e i progetti già esistenti si rafforzeranno e cresceranno. Insieme potremo sviluppare un movimento di liberazione animale e della Terra forte della sua radicalità, composto da più anime e più progetti specifici, ma tutti uniti dallo stesso amore, dallo stesso odio, dalla stessa rabbia, dalla stessa passione e ardente necessità nel petto di combattere contro chi sfrutta e uccide ogni essere vivente e la Terra, in conflittualità con l'intero esistente.
Senza la paura di sbagliare perché dagli errori impareremo e ci alzeremo più consapevoli e forti. Senza la paura della repressione perché non ci sono più terribile gabbie di quelle che rinchiudono milioni di animali. Perché verso un pianeta morente dobbiamo imparare il coraggio di rischiare la nostra libertà, perché le gabbie più grandi sono quelle che ci costruiamo attorno al nostro cuore e alla nostra mente, fatte di indifferenza e giustificazioni per non agire…
Sotto pelle quel brivido che ci fa vivere la vita fino all'ultimo respiro, rimanendo senza fiato, con il cuore in gola e i pugni sempre stretti. Con la certezza di combattere con tutte le nostre forze fino in fondo… Alziamo gli occhi tra la luce delle stelle e conquistiamo il cielo…
A tutti gli spiriti liberi e selvaggi.
Che rimangono tali anche se rinchiusi tra le sbarre di una prigione o di una gabbia.
Libertà per Costantino Ragusa, Luca Bernasconi, Marco Camenisch e tutte le prigioniere e i prigionieri rivoluzionari/e
luglio 2010
Silvia Guerini, Carcere di Biel-Svizzera
***
In Solidarietà a Silvia, Billy e Costa
Contro le strategie di isolamento nelle carceri elvetiche
Costa, Silvia e Billy, arrestati in Svizzera con l'accusa di possesso, trasporto e tentato uso di materiale esplodente e di voler attaccare un centro IBM in costruzione, che sarà di riferimento europeo per la ricerca nanotecnologica, continuano la loro lotta nelle carceri elvetiche.
Le condizioni detentive dei nostri compagni sono un'espressione evidente, chiara della volontà delle autorità svizzere di fiaccare e isolare la loro necessità di continuare la resistenza a questo esistente anche se costretti tra quattro mura. La censura della posta e le nuove prescrizioni sulla corrispondenza vanno nella direzione inequivocabile di impedire sia i vincoli affettivi sia di isolare i compagni dai loro legami di lotta.
Questa non è di certo una novità, abbiamo già conosciuto le "democratiche" galere svizzere quando con Marco Camenisch, abbiamo lottato contro il suo isolamento nel carcere lager di Thorberg, ma conosciamo anche i nostri compagni: sempre in prima fila in anni di lotte ecologiste, per la liberazione animale e per la distruzione della civiltà tecno-industriale. Non possiamo che apprezzarli e siamo certi che malgrado le infamità di qualsivoglia procuratore, non si piegheranno, ne abbasseranno la testa. La loro coerenza e la loro determinazione ci servano da esempio.
Pensiamo sia quantomeno necessario far sentire la nostra voce a questi compagni. Che la solidarietà faccia breccia attraverso le spesse mura del carcere, che le iniziative si moltiplichino, che la lotta riprenda con più ardore di prima. Solo attraverso le lotte, la solidarietà acquista valore, prende forma e sostanza.
Invitiamo tutte le realtà e le individualità a far sentire la loro voce nei modi che più ritengono opportuni. Per rispondere a questo tentativo d'isolamento e riaffermare con ancora più determinazione la necessità di proseguire le lotte.
NON UN PASSO INDIETRO! LIBERTÀ PER SILVIA COSTA E BILLY!
SOLIDARIETÀ AI PRIGIONIERI E PRIGIONIERE RIVOLUZIONARIE!
26 agosto 2010
Il Silvestre, Coalizione contro le nocività , Rote Hilfe Schweiz, Anarchiche e anarchici ticinesi, Equal Rights Forlì, Anarchici e anarchiche di Via del Cuore, Villa Vegan, LasVegans, Anarchiche e anarchici bolognesi
da informa-azione.info
Contro il carcere, contro l'isolamento
presidio sotto il carcere di Latina
Domenica 19 settembre, ore 13
Il carcere è per eccellenza il luogo ideologico e fisico con cui la società protegge la sua violenza strutturale, strumento dello Stato per reprimere, isolare, nascondere le sue contraddizioni e mettere a tacere ogni forma di opposizione, più o meno consapevole, al suo quieto e omologato vivere. E di fronte al peggioramento delle condizioni di vita sia all'esterno che all'interno del carcere, all'aumentare delle morti e delle violenze nelle sezioni da parte dei carcerieri, degli strumenti di annientamento e delle strategie di isolamento, grazie alla creazione di sezioni speciali e differenziate, la risposta dello Stato è il nuovo piano carceri in cui sono previste nuove sezioni di 41 bis, la costruzione di nuovi 11 penitenziari e di 20 padiglioni per ampliare strutture già esistenti.
Suo obiettivo è creare esempi di condotta per quanti ancora non hanno varcato le sue soglie e isolare e spezzare gli uomini e le donne costretti al suo interno rompendo ogni forma di solidarietà e di comunicazione con l’esterno.
E le sezioni speciali, come Latina, Alessandria, Siano, Carinola, Rossano, Benevento e Macomer, ed il 41 bis rappresentano in tutto questo la punta più avanzata del sistema di coercizione. In questi luoghi di tortura vengono costretti quei compagni e quelle compagne che mai si sono piegati alle logiche del sistema e anzi hanno avuto quella determinazione, coraggio e coerenza che li ha portati a contrarsi e lottare direttamente contro di esso, dichiarandogli guerra, consapevoli delle conseguenze che avrebbe potuto avere ma senza che questo li abbia mai potuti scoraggiare. Per questo crediamo che questi compagni e compagne, che ancora oggi nonostante gli anni di galera continuano a lottare, siano una parte fondamentale del movimento, semplicemente trasferiti in un altro settore di lotta.
Da anni lo stato continua a volerli isolare e spezzare per fare dimenticare loro, le loro pratiche e le loro volontà perchè sono la dimostrazione che nessuna galera può spezzare l'identità rivoluzionaria, rappresentano in pratica la dimostrazione del suo fallimento. La loro detenzione vuole essere per lo stato esemplare per quanti si vogliono porre in modo conflittuale nei confronti dell'esistente e spezzare quel filo che ci unisce ai compagni reclusi.
Con questo presidio vogliamo ribadire la nostra opposizione al sistema carcere, e all'isolamento e alla differenziazione che ne costituiscono la parte fondante, e mostrare la nostra solidarietà alle pratiche di lotta dei compagni rivoluzionari.
E’ anche con questo spirito che Silvia, Billy, Costantino e Marco lottano portando avanti lo sciopero della fame (dal 10 al 30 settembre) nelle carceri elvetiche, uno spirito che rimane vivo anche di fronte alle difficoltà che necessariamente si incontrano quando ci si oppone concretamente al dominio in tutte le sue manifestazioni.
In Italia, come in Spagna, come in Francia, come in Svizzera, come ovunque nel mondo, infatti gli stati affinano le loro ricette per ottenere questo obbiettivo, prolungando le pene e inasprendo e differenziando i trattamenti, il nostro compito invece è quello di continuare a portare avanti la nostra opposizione, senza farci abbattere e continuare e rafforzare le lotte nelle loro molteplici espressioni e modalità.
Contro il carcere, contro l'isolamento e la differenziazione
Solidarietà ai prigionieri e alle prigioniere rivoluzionarie
Il Silvestre, Anarchici e anarchiche di via del cuore, Anarchici e anarchici ticinesi, Anarchici a bologna, Coalizione contro le nocività, Villa Vegan Squat, Equal rights Forlì
***
AL FIANCO DEI PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI
In occasione della giornata di mobilitazione per i prigionieri politici di lunga detenzione, lanciata dal Soccorso Rosso Internazionale, e dello sciopero della fame di 20 giorni che Marco, Costa, Silvia e Billy hanno iniziato il 10 Settembre nelle carceri svizzere, aderiamo e invitiamo a partecipare al presidio indetto sotto un carcere in cui sono detenute da oltre 20 anni alcune compagne rivoluzionarie.
In Italia oggi esistono sezioni differenziate solo per i prigionieri politici come Latina, Alessandria, Siano, Carinola, Rossano, Benevento e Macomer. Il fine è isolarli sia dagli altri detenuti sia rispetto all’esterno, ma i compagni e le compagne che, nonostante gli anni di galera continuano a resistere, sono parte integrante della lotta di tutti noi contro il capitalismo.
In democrazia, i tribunali rispondono all’esigenza dello Stato di difendere se stesso da chi nega la sua legittimità. È chiaro come in generale sia il potere politico a dettare la linea su quello giudiziario; in quest’ottica il carcere diventa un sostegno ideologico fondante della civiltà che ci circonda. I prigionieri politici rendono evidente questo dato.
Le istituzioni civili, parlamentari e non, dei paesi sviluppati hanno creato delle norme che vincolano la scarcerazione dei detenuti rivoluzionari (quando la loro pena è terminata) oppure alcuni benefici (quando il fine-pena è mai) al loro ‘ravvedimento’ che prende l’esatta forma dell’abiura pubblica.
Un condannato a lunghe pene per reati associativi può accedere alle facilitazioni previste dalla legge solo rinunciando alla propria identità politica; questa imposizione assume varie forme legali, a seconda del luogo, dall’obbligatorietà della perizia psichiatrica fino alle norme che prolungano arbitrariamente la detenzione ed applicate in modo retroattivo a chi si trova già in carcere.
L’ovvia conseguenze è che coloro che si trovano ancora il galera dopo tanti anno sono i compagni che non hanno accettato di essere piegati, mantenendo la loro integrità rivoluzionaria e la loro dignità: alla giustizia di Stato non sfugge il pericolo costituito dal fatto che costoro tornino ad essere parte delle lotte e dei movimenti.
Ma la loro fermezza dice qualcosa anche a noi: è necessario non abbandonarsi alle frustrazioni o alle nostalgie e conquistarsi un posto verso il cambiamento radicale e reale. Se siamo parte dello stesso percorso che porterà i popoli a liberarsi dagli oppressori e le genti ad essere infine libere, dobbiamo mostrarlo.
La storia ci ha insegnato quanto è inutile fare appelli democratici ai reclusori e come solo lo scontro può darci la libertà che vogliamo, la libertà dalle galere, dallo sfruttamento, dal dominio culturale e dalla violenza istituzionalizzata.
La natura totalitaria delle democrazie attuali indica quanto fosse rozzo il fascismo; i paesi occidentali ne hanno ereditato i fini, raffinando però i mezzi: lo spirito del codice penale è diffuso, alla ricerca della collaborazione delle masse. Non serve parlare di telecamere ad ogni angolo di strada per dire che vogliono controllare l’intera società.
Ciononostante, la coscienza rivoluzionaria non è spenta, la lotta è necessaria ed inevitabile e gli organi repressivi non cessano il tentativo di fermarla.
Anche in questo, gli strumenti evolvono e sezioni speciali e differenziazione rappresentano la linea seguita ormai dagli anni 70: il carcere tedesco della deprivazione sensoriale, il carcere speciale italiano dell’art. 90 e poi del 41 bis, il Fies in Spagna…
Ma contro il carcere, c’è sempre stata battaglia come contro la società dello sfruttamento e della guerra che lo produce.
14 settembre 2010
Assemblea Contro il Carcere e la Repressione
Cile: sciopero della fame dei prigionieri Mapuche di Conception
I prigionieri Mapuche dichiarano che le recenti drastiche misure li colpiscono con processi illegali e pilotati.
Da ieri i prigionieri politici Mapuche del carcere di Conception sono entrati in sciopero della fame e sono determinati a portarlo avanti fino alle estreme conseguenze.
Puntano il dito sul fatto che in Cile attraverso una campagna oculata sono stati installati dei veri e propri lager contro i Mapuche. La destra economicamente e politicamente ricca di influenza ha premuto sui media, sulla procura e i politici per portare l'opinione pubblica a criminalizzare prematuramente i Mapuche.
I prigionieri hanno posto le seguenti richieste:
1. La legge antiterrorismo entrata in vigore al tempo della dittatura, non deve più essere applicata contro i Mapuche
2. I Mapuche non devono più essere portati di fronte al tribunale militare
3. La libertà per tutti i prigionieri politici Mapuche di tutte le carceri del Cile. Essi insistono sul diritto ad un processo corretto, la fine di processi basati su pratiche e testi a carico anonimi, che violano i diritti umani, come chiedono la fine della minaccia e della tortura psicologica e fisica.
4. La smilitarizzazione degli insediamenti Mapuche, nei quali I Mapèuche possano impegnarsi per loro diritti.
Seguono i nomi dei prigionieri: Ramón Llanquileo Pilquimán, Comunidad de Puerto Choque, Tirúa; José Huenuche Reiman, Comunidad de Puerto Choque, Tirúa; Luís Menares Chanilao, Comunidad de Nalcahue - CholChol; Jonathan Huillical, Sector Lonquimay; Victor Llanquileo Pilquiman, Comunidad de Puerto Choque, Tirúa; Norberto Parra Leiva, Comunidad de Puerto Choque, Tirúa; César Parra Leiva, Comunidad de Puerto Choque, Tirúa; Héctor Llaitul Carrillanca, Sector San Ramon, Tirúa.
Carcere "El Manzano" di Conception
Indirizzo: Camino Concepción a Penco S/N, Lote B1, El Manzano- Chile
13 luglio 2010
fonte: www.mapuche.nl/espanol/presos_mapuche_lista100202.html
da de.indymedia.org/2010/07/286105.shtml
***
Cile: Minatori sepolti esprimono solidarietà ai prigionieri mapuche
I 33 minatori cileni intrappolati da settimane nella miniera San José a Copiapó, in Cile, esprimono, tramite un messaggio, solidarietà ai detenuti Mapuche in sciopero della fame.
''Salvate i Mapuche!''
Nella Giornata Mondiale del Detenuto "Desaparecido" i 33 minatori seppelliti vivi in Cile, ricordano al mondo la lotta per la giustizia del popolo Mapuche.
Certe notizie anche se in superficie sono più difficilmente visibili, rispetto ad altre che devono emergere da 700 metri di crosta terrestre. A ricordarci questa banale, ma non meno importante condizione mediatica, sono proprio i 33 minatori intrappolati nella miniera San José a Copiapó, in Cile diventati, loro malgrado, gli attori principali di un operazione di riscatto dalle viscere della terra che occupa le prime pagine di tutti i notiziari mondiali da quasi un mese. I loro messaggi sono stati largamente diffusi e confortano sulle loro condizioni di vita, proponendo agli spettatori televisivi globali drammatiche immagini di volti provati dal lavoro e dalla precarietà della condizione. Alcuni messaggi, prima che visivi, sono stati cartacei e proprio il neo presidente del governo cileno, Sebastián Piñera, gli ha esibiti davanti alle telecamere mondiali, appostate sulla bocca della miniera, per dimostrare la vicinanza del governo ad una classe lavoratrice che in Cile occupa oltre 800mila addetti, molti dei quali emigrati dal Perù o dalla Bolivia e comunque rappresentanti sociali delle classi più povere. Tra questi molti sono rappresentanti dei popoli originari del continente: Mapuche, Quechua o Aymarà.
Scripta Manent
Tra le missive esibite davanti alle telecamere, avide di notizie sulla salute degli intrappolati del sottosuolo, pare non abbiano avuto modo di palesarsi alcune che, evidentemente, contestavano il governo. I minatori, in due fogli di carta inizialmente censurati, si mostrano solidali con la battaglia civile intrapresa, oramai da quasi cinquanta giorni, da alcuni prigionieri mapuche in sciopero della fame e contestano le parole del premier chiedendogli per iscritto di "Stare zitto!".
Trentatrè minatori sotterrati hanno così la pretesa di rendere visibile una battaglia civile che prosegue dalla dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990) e intrapresa a luglio da 32 prigionieri politici, vittime di una "legge speciale antiterrorista" che in Cile discrimina i popoli originari Mapuche e annienta le loro legittime richieste di riconoscimento. La lettera propone il parallelismo tra le due tragiche storie e riporta: "Liberate i Mapuche, da 41 giorni in sciopero della fame".
Questo grande esempio di fratellanza scaturito da 700 metri di profondità dovrebbe fare arrossire chi, il 30 agosto, nella giornata internazionale del detenuto "desaparecido", dimentica facilmente le ingiustizie ancora presenti nella "esemplare" democrazia cilena e rifiuta di confrontarsi con una storia, forse ancora troppo recente e addomesticata, intessuta di sparizioni (oltre 900 quelle denunciate nel solo 2009), violenze e detenzioni arbitrarie proprio a carico spesso dei rappresentanti del Popolo Mapuche, un tempo unica popolazione ad avere riconosciute le loro terre come uno Stato autonomo dalle corone spagnole, e ora bollati come terroristi e perseguitati a colpi di leggi speciali e violenza poliziesca.
4 settembre 2010
fonte: selvasorg.blogspot.com - peacereporter
da informa-azione.info
a settembre il deposito atomico
Leggiamo oggi (25 agosto 2010) sul Sole 24 Ore che, con Carmine Fotina, si occupa delle "misure in cantiere per la ripresa":
"I prossimi mesi sono densi di impegni sul fronte della politica energetica, considerata una delle principali leve per lo sviluppo industriale. In attesa di un ministro titolare (continua l'interim del premier Berlusconi), il sottosegretario Stefano Saglia sta portando avanti i principali dossier.
Sintetizza così le tappe verso il nucleare: "Entro ottobre il Consiglio dei Ministri dovrà approvare il documento sulla strategia nucleare. Mi auguro che a quel punto si sia sciolto anche il nodo dela nomina del Cda dell'Agenzia per la sicurezza. Contestualmente spero venga definito anche il Cda della Sogin".
Serviranno poi due delibere Cipe: una sulle tecnologie scelte per i nuovi impianti, l'altra sulla costituzione dei consorzi industriali.
Ma sull'energia c'è altro che bolle in pentola. "Entro il 5 dicembre - dice Saglia - andrà approvato il decreto legislativo che recepirà la direttiva europea sulle fonti rinnovabili. Con questo strumento metteremo ordine al settore degli incentivi per l'eolico e biomasse. Introdurremo un nuovo meccanismo meno oneroso sulle bollette ma comunque generoso, soprattutto se confrontato con altri paesi".
Sullo stesso quotidiano, a pag. 19, troviamo l'approfondimento sui siti nucleari contenuto in un articolo di Jacopo Giliberto dal titolo: "A settembre il deposito atomico".
L'articolo è riportato integralmente nel file allegato.
Ne estraiamo un passo: "Entro un mese la Sogin dovrebbe consegnare la mappatura dei luoghi potenzialmente idonei a ospitare il parco tecnologico con deposito atomico. La mappatura conterrà un elenco delle località adatte in via teorica. Poi si seguirà la via già adottata anche all`estero.
Invece di fare come a Scanzano Ionico (Matera), dove la scelta fu decisa dall`alto e le proteste paralizzarono il progetto, la Sogin in questo caso emanerà un bando di gara tra i comuni idonei".
Sul fronte della "mappa delle centrali" Saglia non si sbilancia più di tanto ripetendo le "indicazioni di massima". Più preciso, invece, Federico Testa, responsabile energia del PD, di area nuclearista (che non va confuso con l'ex presidente di Legambiente Chicco Testa, altro esponente "democratico" sfegatatamente pro-atomo): "Servono grandi masse d`acqua fresca in prossimità di potenti linee di alta tensione. Il Po di oggi non ha più abbastanza portata per assicurare acque di raffreddamento a diverse centrali di grossa taglia. Quindi potrà essere ospitato sulle rive del fiume un compatto reattore Ap1000 del secondo raggruppamento, quello franco-tedesco. Probabilmente sostituirà una delle vecchie centrali a Caorso (Piacenza) o Trino Vercellese. Le altre saranno sul mare".
L'articolo si conclude con il solito gioco del toto-centrali: "Ipotesi ancora aperta per Monfalcone (Gorizia). Quasi certe per ospitare due Epr affiancati, le aree costiere del demanio militare nelle maremme tra Grosseto e Viterbo, a nord della centrale di Montalto di Castro. E pare interessata la Sardegna, dove la crisi della grande industria energivora (Alcoa, Eurallumina, Ottana) potrebbe essere compensata dal ricorso all`atomo, forse tra il Sulcis e l`immenso demanio militare della zona di Teulada. Un altro polo nucleare potrebbe essere confermato nella zona del Garigliano, vicino a Sessa Aurunca (Caserta)".
Coordinamento "FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO"
c/o Campgna OSM-DPN, via Mario Pichi, 1 - 20143 Milano
APPELLO PER Ali Orgen libero - no all'estradizione
Sabato 4 settembre presidio al carcere di Benevento
Non si può capire l'arresto e la richiesta di estradizione di Ali Orgen se non parliamo del Kurdistan, un paese negato che invece ha un suo popolo, suoi confini, una sua lingua, una sua cultura. Un paese di 40 milioni di persone che ha subìto e subisce il genocidio perpetrato da quegli stati che, come la Turchia ne occupano le terre e ne vogliono distruggere la storia. Per il solo fatto di parlare il curdo, si rischia la prigione. Ogni formazione politica curda è bandita.
Ali Orgen ha scelto come tanti altri curdi di manifestare e lottare per la liberazione del proprio popolo, il riconoscimento dei suoi diritti e l'indipendenza dallo Stato turco. Per questo, nel novembre del '96 è stato arrestato. Dopo tre anni di carcere duro, in cui viene ripetutamente torturato, è condannato a morte, benché non sia mai stato accusato di alcun fatto di sangue. La condanna viene poi tramutata in ergastolo e successivamente in sei anni di reclusione. È un processo farsa. Al momento della condanna, ad Ali manca da scontare un residuo di pena, ma gli viene abbuonato e quindi viene liberato.
Nel 2003 Ali arriva a Taranto, dove, dopo anni di duro lavoro nei campi, in alcuni pub ed in Ilva apre un phone center, il primo in città, che diventa un punto di riferimento per gli immigrati, in quanto, fra l'altro, questi possono telefonare a prezzi contenuti nei propri paesi. Più in generale costruisce eccellenti relazioni sociali e non solo con gli immigrati.
Nel 2005, in sua assenza, il processo viene riaperto, e in base alla riforma del codice penale turco, alla quale le si dà validità retroattiva, viene condannato a scontare quel presunto residuo.
La mattina del 18 agosto Ali viene arrestato. Su di lui pende una richiesta di estradizione totalmente ingiustificata. Ali rischia di finire nelle carceri turche, di essere torturato e ucciso. Questo è Ali Orgen. Non quello dipinto come un "terrorista" dai mass media imbeccati dalle note dell'Interpol e dell'Ucigos, silenziosi complici, insieme al governo italiano, del sistema repressivo turco.
Nel più totale silenzio Ali Orgen è stato trasferito dal carcere di Taranto a quello di Benevento. Ciò a conferma del tentativo palese di isolarlo dai suoi affetti familiari e da quella vastissima rete di solidarietà che immediatamente si è creata nei suoi confronti.
Negli anni novanta Ali è stato vittima di un processo ingiusto. Oggi è vittima di una ingiusta richiesta di estradizione che si basa sull'assurda applicazione di un nuova legge liberticida.
Per questi motivi il Comitato di solidarietà ad Ali Orgen indice un presidio per sabato 4 settembre 2010 dalle ore 17.30 presso il carcere di Benevento.
Contestualmente fa appello a tutte le forze autorganizzate, di base, antagoniste, ai sinceri democratici alla massima partecipazione al presidio per esprimere e far sentire la nostra solidarietà ad Ali Orgen ed evitare che vada verse certe torture e possibile morte!
Comitato di solidarietà ad Ali Orgen- No all'Estradizione
www.comitatodisolidarietadaliorgen.blogspot.com
gruppo facebook: No all'estradizione del compagno Ali Orgen!!!!
***
Circa 150 compagni hanno partecipato alla manifestazione sotto il carcere di benevento per la libertà del militante kurdo ali orgen, arrestato a taranto, contro l'estradizione in turchia, per la libertà di tutti i prigionieri politici, per la libertà del kurdistan la manifestazione è stata sentita e combattiva, compagni si sono susseguiti al microfono, per denunciare l'operazione repressiva, per informare dello stato delle cose, per solidarizzare con tutti i detenuti, per sostenere le ragioni del popolo kurdo.
La delegazione più folta è giunta da Taranto e dalla Puglia, organizzata in bus dal comitato contro l'estradizione, animato dagli amici e amiche di ali orgen, ragazzi e ragazze che lo hanno conosciuto e frequentato e che lo rivogliono tra di loro, presenti Confederazione Cobas Taranto, Proletari Comunisti e Slai Cobas per il sindacato di classe Taranto, Sinistra Critica, Cloro Rosso, Comitato di quartiere Città Vecchia e altri tra cui il comitato Iqbal Masih di Lecce, il centro sociale Depistaggio, compagni di Benevento, compagni del CAU Ist orientale di Napoli, compagni dei Carc - presente un
parlamentare lucano, la manifestazione si è poi spostata in corteo lungo il perimetro del
carcere, per avvicinarci alla zona della prigione, dove era presumibilmente chiuso Ali Orgen, qui la manifestazione ha visto il susseguirsi di musica, saluti, particolarmente toccanti quelli delle ragazze amiche di Ali orgen e in kurdo quelle di altri militanti kurdi presenti - oli orgen azadi, kurdistan azadi, tutti azadi! Un compagno e una comapgna di Lecce hanno cantato canzoni di lotte apprezzare e applaudite - la manifestazione si è
conclusa verso le 20.30 con l'impegno di tutti a proseguire in tutte le forme la lotta.
Proletari Comunisti ha tappezzato il cancello con cartelli la lotta di liberazione non è terrorismo - libertà per ali orgen e per tutti i prigionieri politici antimperialisti - no all'estradizione, governo italiano complice del regime fascista massacratore e torturatore di Turchia - terrorista è lo stato e il regime kurdo genocida del popolo.
5 settembre 2010
proletari comunisti Taranto
Il tribunale italiano estrada i 3 prigionier* basch*
Neanche la lunga e dettagliata arringa contro l’estradizione del Procuratore Generale Otello Lupacchini - cioè il rappresentante dell’accusa (!) – ha smosso i tre giudici della quarta sezione della Corte d’appello penale di Roma che oggi, intorno alle 15, hanno deliberato la consegna si Fermin Martinez Lakunza, Artzai Santesteban Arizkuren e Zurine Gogenola Goitia allo Stato Spagnolo. Già in mattinata gli avvocati della difesa – Cesare Antetomaso e Maria Luisa D’addabbo – si erano dovuti mettere all’opera per analizzare in fretta e furia alcune decine di pagine inviate nella giornata di ieri da Madrid in cui vengono elencati alcuni comportamenti che, secondo i giudici spagnoli, proverebbero la condotta criminale dei tre baschi arrestati a Roma il 10 giugno e da allora detenuti nelle carceri italiane: l’aver partecipato a riffe (!), l’aver partecipato ad assemblee e manifestazioni, frequentari certi bar e certe strade di Pamplona... Comportamenti che lo stesso Lupacchini – pure noto per la durezza e la spietatezza con le quali ha mandato in galera centinaia di attivisti dei movimenti italiani di estrema sinistra durante gli ultimi decenni – ha definito insufficienti a giustificare l’estradizione in Spagna dei due ragazzi di Pamplona e della ragazza di Lekeitio. Si è spinto oltre il Procuratore Generale, arrivando a giudicare una aperta violazione dei diritti di riunione, espressione e manifestazione del proprio pensiero la legislazione antiterrorismo spagnola che, non essendosi ancora adeguata agli standard dell’Unione Europea non può quindi essere automaticamente applicata anche nel nostro paese, in questo caso nei confronti di Zurine, Artzai e Fermin.
Una vera e propria arringa difensiva quella del rappresentante dell’accusa, poi integrata e approfondita dagli interventi dei due legali della difesa che hanno contestato la validità della documentazione inviata fuori tempo massimo dall’Audiencia Nacional di Madrid costituita non da prove o indizi di colpevolezza ma da una lista di banali e normali manifestazioni politiche e di vario tipo alla luce del sole e di natura non certo criminale. Ma a nulla è servita la inconsueta corrispondenza tra i punti di vista della difesa e dell’accusa: il collegio giudicante, con una formula tra l’altro giudicata imprecisa e sciatta dai legali delle due parti, hanno disposto la consegna alle autorità di Madrid dei tre giovani che potrebbero rischiare fino a 12 anni di reclusione per un reato di opinione. La decisione è stata accolta con stizza da Lupacchini, che l’ha apertamente criticata annunciando addirittura un ricorso della Procura in Cassazione… Fatto sicuramente inusuale. I legali, così come il Procuratore Generale, hanno ora 10 giorni di tempo per depositare la richiesta di ricorso in Cassazione. Fino a quel momento, quindi, i tre giovani rimarranno in Italia in condizione di carcerazione.
“I secondini del carcere di Terni non permettono a mio figlio di telefonare, nonostante che il tribunale gli abbia concesso questo diritto quasi due mesi fa!” denuncia a Piazzale Clodio Lurdes, la madre di Artzai. “La settimana scorsa non le hanno fatto neanche vedere la sua fidanzata Maite, venuta apposta a Roma in aereo solo per poter stare con lui un’ora”. Gli attivisti dei centri sociali – Corto Circuito, Strada, Faro, Area 51 – e delle forze politiche della sinistra venuti a manifestare per l’ennesima volta per la libertà dei tre ragazzi scuotono la testa. Per l’assurda sentenza, e per l’accanimento delle autorità carcerarie nei confronti di questi giovani che in qualsiasi altro paese d’Europa potrebbero svolgere tranquillamente la loro attività sociale e politica senza dover finire in galera. Poco più in là, appese ad una grata, una bandiera del movimento basco per l’amnistia e uno striscione che recita ‘Libertà per i prigionieri politici baschi. Txote, Artzai e Zurine askatu’.
Lurdes piange, abbracciata a sua sorella in un angolo… Domani tornerà a Pamplona, e parteciperà ad un ‘omenaldia’ (omaggio) che gli abitanti del suo quartiere hanno voluto dedicare a Fermin, che tutti chiamano Txote, e ad Artzai. Nel popolare quartiere della Txantrea e nelle vie di Antsoain, a due passi, tutti li conoscono. E sperano che tornino presto a casa. Real politik e magistrati italiani permettendo. Vada come vada, Zurine trascorrerà in una cella di Rebibbia il giorno del suo compleanno, l’11 settembre.
8 settembre 2010
da Radio Città Aperta
Libertà per tutti i prigionieri politici
Siamo l'associazione profughi politici di Muenster. Diversamente da quel che il nome lascia presumere non ci occupiamo soltanto di un determinato gruppo di profughi e "soltanto" di profughi. Siamo solidali con tutte le persone che lottano contro condizioni insopportabili, che soffrono sotto queste condizioni. Pensiamo che della storia dell'umanità non è ancora stata scritta la parola fine; aspiriamo ad un mondo senza fame, sfruttamento, oppressione e guerra.
Il 1° settembre abbiamo fatto parte della delegazione che si è recata al processo in corso a Dueseldorf. Qui le persone accusate sono tre membri della "Federazione anatolica". Per rendere comprensibile la situazione bisogna fare qualche passo indietro.
In Turchia numerose organizzazioni turche e kurde si difendono rispetto alle insopportabili condizioni di vita e all'assenza della libertà d'opinione.
Nel dicembre del 2000 nelle carceri in Turchia è stato compiuto dallo stato un massacro di prigionieri. A causa del massacro e delle morti causate dallo sciopero della fame, in breve tempo morirono 140 prigionieri. Solo dopo che un avvocato dei prigionieri uccisi ebbe reso noto quanto era accaduto, solo allora, l'isolamento totale fu soppresso. Questo era lo scopo principale, raggiunto il quale lo sciopero della fame fu interrotto. Tuttavia lo stato turco non ha interrotto la guerra contro le persone socialmente progressiste. Oggetto del suo odio sono, ad esempio, i parenti dei prigionieri politici membri di Tayad, la loro organizzazione. In Turchia parecchie organizzazioni turche e kurde si difendono di fronte alle tremende condizioni di vita e all'assenza della libertà d'opinione. Una di queste organizzazioni è il DHKP-C.
Che cosa ha a che fare la Germania con tutto ciò? Germania e Turchia intrattengono rapporti commerciali notevoli, riguardanti innanzitutto il commercio di armi. La guerra contro i kurdi viene portata avanti da decenni. Questa attività miliardaria il capitale tedesco e il suo governo non vogliono assolutamente perderla. Per questo i tribunali tedeschi sono particolarmente premurosi di presentare lo stato turco come uno stato di diritto, che si difende, come ovunque nel mondo, dal "terrorismo"; e suggeriscono allo stato turco la tesi di agire in difesa della democrazia. Ciò, sapendo bene che soltanto pochi critici ancora guardano, ascoltano, dicono qualcosa e ancor meno si sognano di fare qualcosa. In questo modo l'obiettivo è raggiunto effettivamente.
Sotto accusa a Duesseldorf sono Nurham Edem, Ahmet Istanbullu e Cengiz Obam. Non sono i primi. Altri militanti di sinistra sono già stati condannati. Questo significa che la solidarietà verso i prigionieri è urgente.
Testi nel processo sono Ilhan Demirtas e Mustafa Atalay. Le condanne sono già state richieste. Adesso è giunto il momento dei testi. Così la violenza dello stato dimostra di poter agire ampiamente anche in modo macabro. Se questa durezza sia esercitata per spingere un membro contro la propria associazione, noi non lo sapremo mai, poiché "cane non mangia cane!" (proverbio tedesco).
Il teste Mustafa ha una lunga storia come attivista politico. Lui, come prigioniero politico, è già stato torturato e tenuto in galera 14 anni al tempo della dittatura fascista in Turchia. Appena liberato fuggì in Germania e qui ricevette asilo politico. Naturalmente lui ha scritto ed agito contro la situazione in Turchia. Per questo ora è stato arrestato qui, in Germania. Nonostante la salute incrinata Mustafa è stato arrestato all'uscita dell'ospedale dove si era recato in seguito ad un infarto cardiaco e per l'inserimento di un bypass. Mustafa è stato condannato come presunto terrorista. In questi anni di carcerazione in Germania è stato tenuto in isolamento e qui lo ha colto l'infarto. Non per niente l'isolamento viene caratterizzato come "tortura bianca". In tutti i casi la violenza dello stato mira direttamente più all'annientamento psichico che a quello fisico. Per questo il teste Mustafa Atalay, attualmente libero, nel corso della deposizione del 1° settembre è stato continuamente assistito da due giovani dottori. Questo atteggiamento della giustizia naturalmente non ha nulla a che fare con l'umanità. I giudici sanno di poter essere accusati di lesioni. Un rischio che loro non vogliono proprio correre. E' comprensibile. Se l'umanità fosse la spinta del proprio agire non avrebbero chiamato in tribunale un uomo così gravemente ammalato.
Dato l'ascolto delle numerose telefonate e la fantasia persecutoria incondizionata la condanna dei tre di Duesseldorf è possibilissima. Così lo stato intende ostacolare la solidarietà. I 40 compagni presenti al processo sono stati un raggio di speranza del movimento di solidarietà. In ogni caso la gente che tira avanti vive e lavora ogni giorno non riesce ad essere presente. Per questo chiediamo a tutti coloro che sono in posizione critica di fronte al sistema di prendere parte ad altre delegazioni da inviare al processo.
I processi contro presunti terroristi sono a malapena una traccia dei normali processi. Se entri in aula devi consegnare i documenti - che vengono fotocopiati.
1) Questo viene fatto per incutere timore, per tenerti lontano dal processo, per seguirlo al massimo via internet.
2) Lo stato agisce in questo modo con l'obiettivo di intimidire la stampa; ciò nonostante qualche giornalista è presente.
3) Quali persone sono particolarmente attive nel movimento di solidarietà? Contro chi sono rivolti i futuri processi? Accusati sono pochi, tenuti sotto controllo sono tutti quelli che sono contro repressione, guerra e sfruttamento. Anche il miglior cacciatore non può sparare su tutte le lepri. Anche il miglior apparato di persecuzione non riesce a mettere sottoterra tutta la resistenza. Sebbene i cacciatori in questo caso siano pagati o comprati, per raggiungere qualche risultato è necessaria una grossa fatica. Se i tanti che considerano merda il terrore dello stato si unissero, allora non sarebbe possibile l'angheria di spingere in tribunale una persona colpita da infarto.
La giustizia può essere sfottuta soltanto esponendo la verità sui suoi crimini. Il 1° settembre Mustafa non ha reso nessuna testimonianza. Nonostante la cattiva salute lui resta fedele alle proprie convinzioni.
I deboli non lottano.
I forti lottano forse per un'ora.
Quelli ancora più forti lottano tanti anni.
Ma i più forti lottano per tutta la vita.
Questi sono indispensabili.
(Bertold Brecht)
3 settembre 2010
Associazione di Muenster per profughi politici
fonte: hamburg@political-prisoners.net
Sulle deportazioni dei Rom dalla Francia
Abbiamo tante volte parlato della fortezza Europa, della distinzione tra cittadini comunitari e cittadini dei paesi terzi come la linea giuridica e sociale attraverso la quale passava l’accesso ai diritti. La sorte dei Rom europei, comunitari anzi, è l’esempio più eclatante di come questo criterio non sia valido, in realtà, per tracciare in Europa quella che Foucault ha definito la separazione biopolitica tra chi deve vivere e chi può essere lasciato morire, necessaria al fine di rendere le società governabili.
Quello che sta accadendo in questi giorni in Francia, l’espulsione collettiva di centinaia di Rom (93 persone sono già state deportate su due voli da Lione e da Parigi verso la Romania e la Bulgaria, e altri due aerei sono previsti entro fine agosto) è la concretizzazione dell’esistenza di almeno due diversi livelli di cittadini comunitari, e per quelli di serie B non sembrano servire a nulla il diritto dei Trattati e delle Convenzioni, né le Raccomandazioni e le Direttive europee. Bene che la Commissione sia stato il primo organo istituzionale a reagire, a ricordare che i Rom bulgari e Rumeni sono cittadini dell’Unione e che nei loro confronti non può essere attuato nessun diritto speciale. Ma è da tempo che, in tema di migrazioni, i governi non sembrano dare troppa importanza alle dichiarazioni che provengono da Bruxelles e da Strasburgo. Basti pensare all’Italia e al modo in cui ha del tutto ignorato la netta opposizione del Consiglio d’Europa alla prassi dei respingimenti di migliaia di migranti, quasi tutti potenziali rifugiati, verso le carceri e il deserto libico.
L’Europa della coesione sociale e dei progetti come quello che prevede 17,5 miliardi di euro stanziati dalla Commissione per il periodo 2007-2013 per l’integrazione dei Rom in 12 paesi Ue, sembra venire costantemente sopraffatta da quella securitaria e poliziesca, che utilizza il fenomeno delle migrazioni, ovvero la vita di milioni di persone, come strumento delle campagne elettorali combattute a suon di terrore da incutere tra la gente e da curare, subito dopo, con spettacoli indecenti come quello cui si sta assistendo in questi giorni nel paese della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Che le vittime siano dei cittadini comunitari, status che loro malgrado i paesi della nuova Unione a 27 hanno visto accordare anche alle minoranze dei nuovi Stati aderenti, rende solo più evidente la gravità di questa situazione.
E poi ci sono i Rom, nello specifico, questa popolazione che secondo il Consiglio d’Europa non supera i dodici milioni di persone, e che ha subito le peggiori persecuzioni della storia. Le peggiori sì, perché quelle in proporzione meno commemorate e ammesse, quelle quasi giustificate dalla “diversità” di questa gente stabilita molto spesso su enormi equivoci come quello di ritenere che si tratti di persone che hanno tutte la vocazione culturale a non stanziarsi in nessun luogo, pregiudizio infondato che giustifica il loro concentramento in campi dove la dignità umana viene costantemente violata. Nessun progetto davvero concreto per loro, perché troppo sfuggenti a tutte le categorie previste e troppo comodi, certamente, come capri espiatori da sacrificare in ogni momento grazie alla loro fragilità: una popolazione fragile, che dei pregiudizi che l’hanno sempre circondata è stata costretta a fare uno stile di vita.
È troppo stupido dire qui, adesso, cose ovvie come quelle che anche tra i rom, o soprattutto tra i rom, c’è gente che delinque, o che molti bambini Rom non vanno a scuola. Si stenta a credere che nel 2010, dopo il terribile passato di questo continente in tema di razzismo e intolleranza, si sia ancora capaci di criminalizzare intere etnie attraverso la loro stigmatizzazione in quanto problema sociale.
Le cause formali delle deportazioni francesi di questi giorni sono confuse. Si va dalla giustificazione del rimpatrio volontario (e negli ultimi anni abbiamo imparato bene quanto volontari siano la maggior parte dei rimpatri dall’Europa), alla mancanza di mezzi e alla pericolosità sociale. Questi ultimi due elementi vengono enunciati insieme, come se fossero la stessa cosa, senza fare alcuna distinzione tra i singoli casi, anche se il governo francese continua a dire che tutte le posizioni dei rimpatriati sono state analizzate individualmente. Eppure proprio la Francia, con la legge Besson del luglio del 2000 aveva attuato uno degli strumenti più avanzati in materia di “integrazione” non solo dei Rom stanziali ma “addirittura” delle “gens de voyage”. Peccato che le aree attrezzate che dovevano sorgere in ogni Comune non siano nate che in minima parte. Da qui la costrizione, per queste persone, a stazionare illegalmente dove riescono, a errare di continuo. Ma è sempre più semplice colpevolizzare chi subisce una mancanza istituzionale che valutare i come e i perché di quell’inadempimento. Alla criminalizzazione della povertà, del resto, siamo sempre più avvezzi in questa società liberale in crisi in cui chi affonda (a meno che non si tratti di una banca) diventa da un giorno all’altro un marginale e un potenziale pericolo.
Ogni giorno che passa stiamo scegliendo la nostra Europa, e al di là dell’operato dei governi e delle dichiarazioni delle istituzioni europee, quel che fa davvero paura è la mancanza di reazione della maggior parte dei cittadini, il restare indifferenti o compiaciuti di fronte ad azioni di polizia come quelle francesi o ai respingimenti dei profughi verso trattamenti inumani e degradanti. Il non sentirsi mai in qualche modo responsabili del destino degli altri perché troppo intenti a difendere il proprio senza mai capire che esiste un’interdipendenza inscindibile.
Finché non verremo tutti toccati dentro le nostre case, direbbe Brecht, e non ci sarà rimasto più nessuno a protestare per la nostra sorte.
20 agosto 2010
da www.meltingpot.org/articolo15762.html
Aggiornamenti dalla lotta contro i c.i.e.
Milano, 11 settembre 2010
Nel cie di via a corelli a milano un ragazzo giocando a calcio si rompe una gamba, gli viene ingessata e lo riportano dentro la struttura, dove come sappiamo già è difficile sopravvivere se si gode di ottima salute, figurarsi cosa può significare stare lì dentro sofferente per la rottura di un arto, senza avere una mobilità del tutto autonoma e dove il più delle volte le richieste di cure vengono negate a priori dai solerti aguzzini della croce rossa.
Sabato pomeriggio chiede che gli venga fatta l'iniezione di antidolorifico, ed inoltre chiede il perchè non viene liberato, cosa che altre volte è avvenuta per dei reclusi, la cui condizione fisica non era più compatibile con la permanenza all'interno del centro.
La risposta del responsabile di turno della croce rossa è insulti ed un cazzotto in faccia al ragazzo, facile quando si è alti, robusti ed in ottima forma fisica picchiare un ragazzo con la gamba ingessata, immobile e sofferente, ma si sa la croce rossa ci ha fatto già altre volte vedere come si prende cura degli altri, soprattutto nei centri di identificazione ed espulsione che gestisce: omertà di fronte a tentativi di violenza sessuale da parte di un ispettore di polizia, falsa testimonianza durante i processi, omissione di soccorso, quando abbandona senza stampelle sul marciapiede di fronte al cie di milano, chi ha una caviglia rotta ed è diventato un elemento troppo fastidioso e scomodo all'interno del centro.
Poi, pubblicamente, durante le interviste, l'uomo immagine di turno della croce rossa italiana dichiarerà che loro si sono solo difesi da attacchi fisici sferrati da un ragazzo immobilizzato dall'ingessatura di una gamba, che gestiscono al meglio l'ospitalità nei lager e che le rivolte sono strumentali per coprire i tentativi di fuga, in un luogo dove le condizioni di vita sono tali che l'unica possibilità che hai di sopravvivere è evadere.
Dopo le botte della croce rossa viene chiamata ad intervenire anche la polizia, la quale non può essere da meno nelle proprie mansioni. A questo punto i compagni di cella del ragazzo insorgono, cacciano fuori la polizia, barricano le porte ed iniziano a dare fuoco ai materassi. La protesta si estende ad altre due sezioni, fuoco, aria irrespirabile, polizia in antissommossa chiamata in gran numero per sedare la protesta e ovviamente per dare la loro razione di manganellate e botte a chiunque gli capiti a tiro. Verranno portati via 5 ragazzi, tra cui il ragazzo con la gamba ingessata, destinazione il carcere di san vittore.
Intanto all'esterno il tamtam tra i solidali ai rivoltosi si è diffuso e piano piano iniziano a convergere sotto le mura del cie in via corelli, ad accoglierli come sempre, digos, polizia in antisommossa e militari che rimangono però al di là della sbarra di confine e che danno l'impressione di voler, se fosse possibile, far passare tutto sotto silenzio.
Dopo un lungo presidio sotto il cie che ha visto alternarsi momenti di tensione con momenti di relativa tranquillità, in serata una bella notizia, due reclusi vengono rilasciati dopo attente e prolungate perquisizioni dei loro affetti personali, sono liberi di uscire e di incontrare chi era accorso lì per appoggiare la protesta e che è felice di accoglierli ed allontanarsi insieme da quel luogo.
La semplice esistenza ogni giorno all'interno di un cie viene attaccata, viene negata e viene posta ai margini estremi di ciò che viene considerata vita, ribellarsi è l'unica possibilità che ti rimane per sopravvivere ed incontrare complici sia dentro che fuori ti permette di accrescere le proprie possibilità per riuscirci. Per questo ogni rivolta è una storia a sé che permette di non far cadere il silenzio intorno a quello che succede dentro questi lager contemporanei, che ci fa fare un passo ulteriore verso la loro distruzione e che ci indica con la ribellione l'unico modo di muoversi quando la tua esistenza viene duramente attaccata da un dispositivo di potere.
Gradisca d'Isonzo (go), lunedì 13 settembre
Intorno alle 18 partono le telefonate da dentro il CIE: è scoppiata un'ennesima rivolta. Tutto comincia con uno sciopero della fame. Nulla che i gestori del lager non sapessero: erano giorni che i reclusi protestavano perché, dopo le sommosse e le fughe dell'estate, era scattata la punizione collettiva. Chiusi in cella senza poter uscire all'aria, se non per un'ora al giorno. La risposta è immediata e durissima. Una ventina di poliziotti in assetto antisommossa entra nella sezione intimando di smettere lo sciopero. Il tutto condito con un po' di manganellate distribuite nella camerata ribelle.
È la scintilla per la rivolta: materassi e lenzuola vanno a fuoco. Gli immigrati telefonano agli antirazzisti della regione per avere sostegno e far sapere quello che accade.
In sottofondo alle chiamate le urla dei detenuti, ancora rinchiusi nella camerata. Il fumo riempie la stanza: gli immigrati non riescono a respirare, ma nemmeno questo basta. Le porte restano serrate. Nessuna pietà per chi non china il capo. Parte rapido il tam tam antirazzista: le radio di movimento mandano in diretta la voce dei ribelli intrappolati, vengono contattati i giornalisti e i compagni più vicini. Un consigliere regionale di Rifondazione chiama il questore per informarlo che ormai quello che sta succedendo al CIE è trapelato all'esterno. La Prefettura di Gorizia - secondo quanto riferisce l'Ansa - diffonde prontamente una diversa versione dei fatti. L'incendio all'interno del CIE sarebbe stato appiccato per coprire il tentativo di fuga di una ventina di altri reclusi, sventato dall'intervento delle forze dell'ordine. Un paio di attivisti vanno davanti al CIE. Purtroppo, come sempre, da fuori non si vede e sente nulla. Nemmeno il fumo, perché gli incendi nel frattempo erano stati spenti. All'interno delle celle l'aria resta irrespirabile e la situazione è molto tesa. Forse - ma la notizia non è confermata - in tarda serata un numero imprecisato di reclusi viene portato in ospedale per un principio di soffocamento.
(Da una corrispondenza di un compagno triestino)
***
Lettera dei Reclusi di Gradisca
Noi stiamo scioperando perché il trattamento è carcerario, abbiamo soltanto due ore d'aria al giorno, una al mattino e una la sera, siamo tutti rinchiusi qui dentro, non possiamo uscire. Ci sono tre minorenni qui dentro, sono Tunisini e hanno 16 anni, ci chiediamo come mai li hanno messi qui se sono minorenni?
Il cibo fa schifo, non si può mangiare, ci sono pezzi di unghie, capelli, insetti…
Siamo abbandonati, nessuno si interessa di noi, siamo in condizioni disumane.
La polizia spesso entra e picchia. Circa tre mesi fa con una manganellata hanno fatto saltare un occhio ad un ragazzo, poi l'hanno rilasciato perchè stava male e non volevano casini, e quando è uscito, senza documenti non poteva più fare nulla contro chi gli aveva fatto perdere l'occhio. Ci trattano come delle bestie.
Alcuni operatori [di Connecting People n.d.r.] usano delle prepotenze, ci trattano male, ci provocano, ci insultano per aspettare la nostra reazione, così poi sperano di mandarci in galera, tanto danno sempre ragione a loro.
C'è un ragazzo in isolamento che ha mangiato le sue feci. L'hanno portato in ospedale e l'hanno riportato dentro. È da questa mattina che lo sentiamo urlare, nessuno è andato a vederlo, se non un operatore che l'ha trattato in malo modo.
Il direttore fa delle promesse quando ci sono delle rivolte, poi passano le settimane e non cambia mai niente.
Da due giorni siamo in sciopero della fame, e il medico non è mai entrato per pesarci o per fare i controlli, entra solo al mattino per dare le terapie.
Continueremo a scioperare finchè non cambieranno le cose, perché 6 mesi sono troppi e le condizioni troppo disumane.
Questo non è un posto ma un incubo, perché siamo nella merda, è assurdo che si rimanga in queste gabbie. Sappiamo che molta gente sa della esistenza di questi posti e di come viviamo. E ci si chiede, ma è possibile che le persone solo perchè non hanno un pezzo di carta debbano essere rinchiuse per 6 mesi della loro vita?
15 settembre 2010
Reclusi del CIE di Gradisca
Suicidio nel carcere d'espulsione di Hannover
Venerdì 2 luglio si è tolto la vita nel carcere d'espulsione di Hannover-Langenhagen, Slawik C.. L'uomo 58enne viveva in Germania da 11 anni, il 28 giugno scorso era stato arrestato per essere espulso in Armenia.
L'uomo era fuggito dall'Azerbagian. Sulla base di dati di identità falsi forniti da Interpol, l'ufficio immigrazione si era procurata presso l'ambasciata armena una copia della carta d'identità, così da rendere possibile l'espulsione. Chiaramente anche il successivo arresto non è stato legale. In carcere Slawik C., secondo le dichiarazioni della direzione, è stato "sottoposto" a terapia, poiché si mostrava aggressivo. L'insieme delle circostanze dell'arresto di Slawik C. solleva tante domande.
Il suicidioo di Slawik C. è il secondo che avviene nel carcere d'espulsione di Hannover-Langenhagen. Già nel 2000, pochi mesi dopo l'apertura del carcere, mentre il ministro degli interni della Bassa Sassonia [la cui capitale è appunto Hannover] e parti dei media elogiavano il nuovo carcere d'espulsione quale modello da seguire, a Langenhagen, angosciato dall'imminente espulsione verso lo Sri Lank, si toglieva la vita il 17enne Arumugasamy Subramaniam. Il suicidio di Slawik C. rende ancor più chiaro quanto è disumano il carcere di espulsione e in quale condizione disperata si trovino i prigionieri al suo interno. Viene riconfermato in modo lampante che dietro le mura accadono tante cose sottratte all'opinione pubblica. Per esempio, in questi giorni quattro prigionieri hanno iniziato uno sciopero della fame per impedire la loro espulsione in Siria. Dopo aver minacciato le guardie, dopo tre giorni hanno interrotto lo sciopero. Si è saputo dello sciopero della fame di altri quattro prigionieri maltrattati dalle guardie.
Non sappiamo quanti scioperi della fame ci siano stati. E' sicuro che i prigionieri devono subire abusi e umiliazioni mai portate a conoscenza dell'opinione pubblica. In tanti vengono imprigionati a torto, anche secondo la legge vigente. Secondo un'analisi di un avvocato quest'ultima condizione riguarda almeno il 30% dei prigionieri.
E' necessario costruire la pressione affinché tutti i casi di abuso e suicidio vengano sottoposti ad inchiesta. E' necessario che noi portiamo verso l'esterno le lotte che i prigionieri conducono dietro le mura.
La prigionia d'espulsione è la più aperta privazione dei diritti a cui sono sottoposti i profughi. Essa esprime la spietata volontà impegnata dall'autorità a favore dell'espulsione. La tragica morte di Slawik C. estende una volta di più la coscienza di tutto ciò
Siamo infuriati e tristi per la morte di Slawik C.! Solidarietà con i prigionieri in attesa dell'espulsione! Abolire la prigionia dell'espulsione e le espulsioni!
Su questi contenuti il 9 luglio 250 persone sono scese in corteo per le strade di Hannover.
8 luglio 2010
da de.indymedia.org/2010/07/285762.shtml
milano: LA CASA è UN DIRITTO, LO SGOMBERO UNA VIOLENZA
Lettera aperta di Cristina
La mattina del 24 agosto 2010 a Gratosoglio, due ispettori dell'Aler si sono presentati a casa mia per comunicarmi verbalmente che entro un mese mi avrebbero sgomberata e che l'unica alternativa per me e i miei figli sarebbe stata la comunità o l'ospitalità presso parenti o conoscenti.
Mi sgomberano perché nel 1998 ho occupato per necessità l'alloggio in cui vivo.
Ho occupato perché dopo anni di bandi non ho mai avuto risposta, ho occupato perché pur avendoci provato, il mio reddito non mi ha mai permesso di accedere al mercato privato (fatto da squali), ma soprattutto ho occupato perché sono convinta che l'alloggio pubblico mi spetta.
La casa mi spetta come spetta a tutte le persone che pagano amaramente lo sfruttamento e l'accanimento dei padroni e dei governanti. Speculano sempre più sulle nostre vite: ci licenziano, ci sgomberano, ci tolgono i servizi, (sanità,scuola..); ci inducono a falsi bisogni e ci negano quelli veri.
In una città come Milano dove l'unica politica sulla casa è quella di favorire la speculazione immobiliare e la rendita dei proprietari, il problema abitativo è, ormai sempre più drammatico. E' in questo contesto che l' Aler e il Comune si permettono di lasciare vuoti 5.000 alloggi pubblici, mentre portano avanti campagne mediatiche e militari per far credere che coloro che occupano sono malavitosi; innescano una guerra tra poveri che ci vuole divisi e isolati per poter portare avanti impunemente le loro politiche basate sul profitto.
Come donna, lavoratrice e madre sono sempre più arrabbiata perché vivo ogni giorno la precarietà del lavoro, l'incertezza e la mancanza di una prospettiva in cui credere. Una rabbia che rafforza la mia determinazione e la mia convinzione a difendere con le unghie e con i denti ciò che mi viene negato: la casa in cui vivo.
L A S O L I D A R I E T À È U N ' A R M A U S I A M O L A
Giovedì 9 settembre 18,30 INCONTRO PER UN CONFRONTO
in Via C. Baroni 232 Gratosoglio
FORUM AMBROSETTI: MERCANTI DI CRISI
Anche quest'anno a Villa d'Este The european house Ambrosetti organizza il consueto forum dal suggestivo titolo “Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive”. Senza nessuna delega ma solo contando sui loro privilegi e sull'autorità, personaggi nazionali e internazionali dell'economia e della politica da più di trent'anni si arrogano il diritto di concordare strategie economiche che puntualmente si tramutano in imperialismo e sfruttamento, fino ad incidere direttamente sull'economia reale.
Glaston, AroTubi, Canepa, Tessitura Canclini, BGM, sono solo alcuni esempi di aziende comasche che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione o alla mobilità per i loro dipendenti. Nei primi sei mesi del 2010 sono 1.856 i lavoratori comaschi messi in mobilità, la cassa integrazione è salita del 62% rispetto all'anno scorso e le aziende chiuse in provincia sono 1.371.
Questi numeri ci dicono che la crisi c'è ancora, che peggiora sempre di più, e che travolge i lavoratori e le fasce deboli, mentre i principali responsabili, in larga misura presenti ad incontri come il workshop Ambrosetti, e la loro autorità non ne sono minimamente minacciati, ma continuano impunemente a prendere quelle decisioni che si ripercuotono sulla vita di ognuno di noi.
La crisi non è finita. La prima settimana di maggio ha visto l'economia greca avvicinarsi al collasso. Contro questo rischio è stato costituito l'ennesimo fondo tappa buchi per dare un segnale di stabilità ai mercati finanziari.
Inoltre, come hanno dichiarato recentemente le tre banche principali (U.S.A, G.B. e la banca centrale europea), la ripresa, dove e quando ci sarà, sarà molto più lenta del previsto e comunque al costo di una disoccupazione sempre crescente, oppure a costo di condizioni contrattuali sempre peggiori. Ne è un esempio la Fiat con l'accordo per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco in cui in cambio del mantenimento del posto di lavoro, gli operai sono stati costretti ad accettare condizioni di lavoro disumane.
Anche quest'anno chi ha sempre guadagnato per mezzo di questo sistema, chi ha inventato strumenti finanziari di ogni tipo per creare ricchezza dal nulla, ora propone le ricette per uscire da questa situazione, preoccupandosi che ha farne le spese siano sempre le fasce più deboli della società private anche del più minimo stato sociale, e sempre più
precarizzate e ricattabili.
Anche quest'anno alcune associazioni e partitini di sinistra terranno un contro-forum per redigere alcune proposte per uscire dalla crisi verso un altro modello economico.
Noi vogliamo ricordare alla sinistra di palazzo che non vi è alcun motivo per cui chi da sempre si lascia dietro guerre imperialiste, sfruttamento e speculazioni di ogni sorta debba cedere le redini del mondo a chi timidamente propone nuove regole per il gioco.
Se c'è una via da percorrere è quella del conflitto sociale, merce rara tra le poltrone di velluto. Sta a noi, studenti, lavoratori, immigrati, precari, disoccupati fare in modo che la loro voce non sia l’unica e che il nostro futuro non dipenda dalle loro decisioni!
Anche quest'anno saremo in piazza non per proporre cure palliative ma per rilanciare il conflitto sociale come motore di un rovesciamento radicale!
LA VOSTRA CRISI, LA NOSTRA RABBIA!
SABATO 4 SETTEMBRE 15, PIAZZA MATTEOTTI (STAZ. COMO LAGO FNM) COMO.
PRESIDIO CONTRO IL FORUM AMBROSETTI E LA SUA CRISI
Collettivo Dintorni Reattivi - COMO
milano: Appello contro i licenziamenti alla GLS
A tutti i lavoratori, alle organizzazioni sindacali e politiche, ai centri sociali, agli organismi di lotta sociali e territoriali, proponiamo un primo incontro domenica 19/9/2010 alle ore 15.00, per aprire un percorso condiviso e promosso unitariamente che, a partire dalla lotta contro i 15 licenziamenti di rapprsaglia fatti dalla Coop. Papavero, in pieno agosto, a sei mesi di distanzadagli scioperi di febbraio al capannone della GLS Italy di Cerro al Lambro:
- costituisca, da subito, una CASSA DI RESISTENZA per i lavoratori licenziati dalla GLS, con la prospettiva di estenderla, come strumento di sostegno e di lotta, ai lavoratori licenziati per ritorsione e terrorismo dai padroni,
- organizzi INIZIATIVE E MOBILITAZIONI DI PIAZZA E TERRITORIALI COORDINATE contro i licenziamenti politici, per la difesa dei diritti nei posti di lavoro, contro l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro condotto da padronato e governo per “superare la crisi”
I 15 licenziamenti degli operai della Coop Papavero, voluti da GLS Italy, perché “colpevoli” di avere scioperato in difesa dei propri diritti calpestati e per ottenere il rispetto delle condizioni normative e salariali previste contrattualmente, non sono un fatto “interno” al settore della logistica e alla lotta nelle cooperative sviluppatesi nel milanese.
I 15 licenziamenti della Coop Papavero sono stati fatti nella medesima logica e con le stesse finalità dei licenziamenti dei 3 operai alla Fiat di Melfi, dell’operaio della Fiat di Termoli, dei 64 operai delle cooperative dell’appalto Carrefour di Pieve Emanuele, dell’operaia della coop alla Clinica Privata San Carlo di Paderno Dugnano.
Un filo conduttore unisce tutti questi episodi di vero e proprio terrorismo, sono fatti per intimidire, impaurire, terrorizzare i lavoratori, colpendo chi osa sollevare la testa. Fungono da battistrada all’applicazione di contratti modello Pomigliano, alla cancellazione dei diritti per ottenere maggiori profitti e disporre dei lavoratori senza freni e vincoli giuridici, al tentativo di cancellare qualsiasi forma di contratto collettivo, seppur già subordinato agli interessi padronali come quelli attualmente esistenti.
Respingere i licenziamenti politici e contrastare quest’attacco, isolati e separati nei rispettivi posti di lavoro, è impossibile. Occorre rompere la logica degli “orticelli” e degli “steccati”. Dare una risposta all’altezza della situazione richiede che i lavoratori si colleghino e comincino a costruire la propria unità e il proprio coordinamento dal basso, sulla base di obiettivi comuni e condivisi.
Per questo proponiamo un incontro, che si terrà domenica 19 settembre alle ore 15, c/o il CSA Vittoria, (via Friuli angolo via Muratori, Milano) per avviare, se possibile, un percorso comune, con delle iniziative che collettivamente definiremo e praticheremo per organizzare la risposta contro i licenziamenti e l’attacco di padroni e governo.
Le realtà che hanno sostenuto e condotto le lotte delle cooperative nel milanese.
Milano, 10 settembre 2010
Comitato Antirazzista Milanese, Coordinamento Lavoratori San Giuliano Milanese, CSA Vittoria, Sindacato Intercategoriale Cobas
Quattrocentomila nuovi licenziati
Quattrocentomila… proviamo a chiamarli con nome e cognome e vediamo che effetto vi fa.
Sono i 700 in carne e ossa della Ixfin di Caserta, i 350 della Nokia-Siemens e i 1.400 della Ex-Jabil entrambe in Lombardia, i mille della Finmek divisi tra il Veneto, l’Abruzzo e la Campania, i 220 della Ritel di Rieti e gli 800 della Micron ad Avezzano. Più o meno 4.500 che lavorano nel settore “apparecchiature elettriche”. Lavorano? Ieri sì, oggi forse, domani forse no: sono tutti dipendenti di aziende a rischio chiusura. Già stufi dell’elenco? Fatevene una ragione: è un rosario lunghissimo, sgranarne ogni grano sarà anche una penitenza. Ma una penitenza dovuta, se si vuole conoscere un po’ di verità.
Settore “Prodotti per la casa”: rischiano il posto e lo stipendio i 120 della Cesame a Catania, i 550 della Nicoletti a Matera, i 450 della Saint Gobain a Savigliano in Piemonte, i 650 della Ideal Standard a Brescia e in Friuli, i 1.500 della Natuzzi a Bari.
Settore della chimica: rischiano lo stipendio i 400 della Portovesme a Cagliari, gli 800 della Ineos Vinils in Veneto, Romagna e Sardegna, i 300 della Montefibre a Venezia, i 450 della Nuova Pansac veneta, i 200 della Basell a Terni, gli 80 della Krotongres a Crotone.
Stanchi di numeri e nomi di gente che non sa se arriva a Natale legando il pranzo con la cena? Peggio per voi. Ecco i 4.000 della Merloni in Emilia, Umbria e Marche, i 500 della Electrolux in Veneto, i 150 della Riello a Lecco, i 150 della San Giorgio a La Spezia, i 900 della Siltal in Piemonte, Veneto e Campania, gli 800 della Indesit in Piemonte, Lombardia e Veneto. Ed è solo il settore “elettrodomestici”.
E i 450 della Grimeca a Rovigo, i 1646 della Tirrenia, i 200 della Manuli, i 200 della Astigiana Ammortizzatori, i 400 della Rieter, i 250 della Sogefi, i 1200 della Oerlikon Graziano, i 200 della Cantieri Apuania, i 300 della Eaton, i 300 della Fincantieri di Castellammare di Stabia, i 500 della Atr. Era l’elenco, non completo del settore trasporti.
E nella “Moda”, i 1500 della Mariella Burani, i 1500 della Ittierre, i 1200 della Legler, i 350 della Golden Lady. E altri 1500 nella siderurgia, tra Ilva, Lucchini ed Euroallumina.
Chiediamo scusa a tutti gli altri, gli altri dei 400mila che non abbiamo chiamato con nome e cognome, con il nome della loro azienda che forse chiude e forse no. L’elenco completo è stato fornito dal ministero dello Sviluppo economico, quello senza ministro. Elenco che parla di ottanta aziende “malate gravi”. Elenco che è stato pubblicato dal «Sole24ore», il quotidiano della Confindustria. Non un segreto, elenco ufficiale. Eppure quei 400mila sono uno dei “segreti” meglio custoditi dai telegiornali. Quattrocentomila non valgono un titolo in sette tg moltiplicati per ogni sera di agosto. Quattrocentomila “orfani” di dichiarazioni politiche, quattrocentomila “cristiani” per cui non si celebra nessuna “messa”, nessun rito, neanche quello dell’attenzione. Non fanno “notizia”, nel nostro piccolo proviamo a porre minimo riparo.
Piove sul bagnato
I circa 400mila posti di lavoro che si perderanno nel corrente anno si sommano ai 660mila persi nel 2009 e ai 97mila del 2008. La diminuzione degli occupati avviene in una situazione in cui la disoccupazione riguarda circa 2.300.000 persone. Ufficialmente la disoccupazione è stagnante, (tra l’8,6 e l’8,7%), in realtà è in crescita; in salita è comunque il tasso di disoccupazione dei più giovani, quelli con età compresa tra i 15 e 24 anni, che sale al 26,8%.
I DATI DI AGOSTO - Le ore di cassa integrazione autorizzate ad agosto alle aziende italiane diminuiscono del 32,7% rispetto a luglio ma aumentano del 40,1% rispetto ad agosto 2009. Lo rileva l'Inps precisando che nel mese appena trascorso le aziende hanno chiesto 76,5 milioni di ore a fronte dei 54,6 milioni chiesti nello stesso mese del 2009. Quasi la metà delle ore di cassa integrazione chieste sono state di cassa in deroga (35,5 milioni) mentre quelle di cassa integrazione ordinaria e straordinaria con 41 milioni di ore nel complesso sono risultate in lieve diminuzione rispetto al 2009 (42,4 milioni le ore autorizzate nell'agosto 2009). La cassa in deroga nel mese è quasi triplicata passando da 12,1 milioni a 35,5 milioni.
(fonte Ansa) 03 settembre 2010
24 agosto 2010
da «Operai Contro»
Avanza il progetto di "Fabbrica Italia" di Sergio Marchionne
Federmeccanica disdetta l'accordo del 2008
Il 7 settembre il direttivo di Federmeccanica, in rappresentanza delle sue 12.000 aziende associate, ha proceduto alla disdetta unilaterale degli accordi del 2008, gli ultimi che portano la firma della Fiom, il più rappresentativo sindacato del settore metalmeccanico.
Qual è la portata tecnico-normativa di di questa operazione?
Il presidente Federmeccanica Pierluigi Ceccardi, ha voluto spiegare che il recesso dell'accordo 2008 (tra l'altro approvato dalle assemblee dei lavoratori) è stato deciso "per ragioni cautelative... per garantire la migliore tutela delle aziende".
In sostanza significa che l'Associazione industriale intende tutelarsi dalla possibilità di azioni legali della Fiom che, non avendo sottoscritto l'accordo del 15 ottobre 2009, firmato invece da Cisl, Uil, Ugl e Fismic, intende riferirsi alle norme concertative messe a punto nel 1993. L'accordo del 2009, oltre a contenere le richieste salariali, apre la possibilità, da parte delle imprese, di derogare da quanto previsto dagli accordi nazionali; una porta aperta verso la cancellazione del contratto nazionale, come gli eventi degli ultimi giorni stanno chiaramente a dimostrare.
A ulteriore riprova della sudditanza di Federmeccanica nei confronti di Marchionne, fra una settimana le sigle sindacali firmatarie degli accordi dell'autunno del 2009 si troveranno per mettere a punto un contratto che sarà applicato a tutto il comparto dell'automobile. Nei fatti gli accordi di Pomigliano che sono stati presentati come "l'eccezione" diverranno, com'era evidente, la "regola"; inoltre questo comporterà l'esclusione della Fiom dalla possibilità di esercitare i diritti sindacali dentro le aziende.
Il significato politico dell'iniziativa di Federmeccanica, dell'esecuzione degli accordi Marchionne-Marcegaglia, è oltremodo evidente. Da un lato si consegue il doppio risultato di emarginare la Fiom da ogni contrattazione aziendale e al tempo stesso si mantiene Fiat, con i suoi sostanziosi contributi, dentro Confindustria. Inoltre si procede decisamente verso la cancellazione del contratto nazionale, svuotandolo con accordi "laterali", indebolendo ulteriormente le già fragili forze del proletariato industriale, in particolare all'interno delle imprese medio-piccole. Tutto quanto è poi cementato dall'ideologia della "modernizzazione", della necessità del superamento "della lotta di classe", dei bisogni di accrescimento della produttività imposta dalla "neutrale" globalizzazione.
Va sottolineato che i meccanismi di scomposizione sono connaturati alla logica immanente del sistema, che questi sono processi che avanzano da anni su tutti i segmenti della forza lavoro e che hanno subito una pesante accelerazione da quando, tre anni fa, il sistema iniziava ad immergersi in una crisi dai connotati epocali.
La tanto decantata "uscita dalla crisi" si presenta, in ambito industriale come un "ritorno", come una tendenza ad accrescere il "plusvalore assoluto" intensificando lo sfruttamento del corpo-macchina attraverso i 18 turni, la riduzione delle pause, l'aumento degli straordinari, l'introduzione delle nuove forme di organizzazione del lavoro (Ergo UAS, WCM) che puzzano tanto di ipertaylorismo.
Quanto a vera e propria ristrutturazione produttiva, conseguita con investimenti in capitale fisso, allo stato attuale se ne vede poca. Lo stesso può dirsi rispetto all'innovazione di prodotto; un rilievo questo che ben si adatta alla stessa Fiat: si pensi ai ritardi nelle proposte di nuovi modelli e, soprattutto, ai mancati investimenti di automobili più ecocompatibili.
Quel che ci sembra chiaro è che il "nuovo modello di relazioni industriali", per come si va delineando in questi mesi, incentrato sul modello Marchionne e che vede protagonisti attivi il ministro Sacconi, Confindustria tutta ,e l'adesione convinta di Cisl e Uil (con la non poca ambiguità di buona parte della Cgil), andrà a modificare profondamente le condizioni di lavoro, di vita, di reddito di tutto il proletariato industriale.
E' evidente che i confini del "doppio" mercato del lavoro tendono a sfumare sempre più. I diversi segmenti del proletariato metropolitano, al termine del ciclo economico depressivo, saranno sempre più "ricomposti tecnicamente" sia dal punto di vista delle condizioni di reddito sia perchè si vedranno gettati nella giungla dei contratti post-fordisti.
8 settembre 2010
da www.infoaut.org
Milano: Chiediamo cattedre... ci danno polizia
Anche oggi 9 settembre, quarto giorno di convocazione per l'assegnazione di cattedre a tempo determinato per la scuola secondaria di primo e secondo grado (questa volta classi di concorso Psicologia e Sociologia, Storia e Filosofia, Lettere alle medie), presso l'IPS Cavalieri di Milano i precari presenti hanno temporaneamente bloccato le operazioni di nomina per denunciare la mancanza di trasparenza e di regolarità delle stesse. Come ieri la Direttrice scolastica della scuola, professoressa Lodigiani, si è rifiutata di svolgere le nomine all'interno dell'Aula Magna, lasciando duecento insegnanti precari in attesa di nomina per ore in piedi, in spazi angusti, in violazione delle più elementari norme di sicurezza. Questa situazione, oltre a essere disumana e irrispettosa per le persone presenti, rende di fatto impossibile controllare la regolarità delle operazioni e garantire la trasparenza delle assegnazioni.
La decisione della professoressa Lodigiani di non svolgere le nomine all'interno dell'Aula Magna è stata motivata dalla paura di possibili “proteste” come quelle avvenute nei giorni scorsi quando la mancanza di cattedre già comunicate dai presidi e delle 152 cattedre di sostegno concesse in deroga nell'elenco delle disponibilità aveva giustamente fatto infuriare i precari in attesa di nomina che si vedevano sensibilmente ridurre il numero di cattedre disponibili e di conseguenza le possibilità di scelta e di lavoro. È grave che una Dirigente manchi ai propri doveri di assicurare le nomine in assoluta trasparenza e sicurezza, in base alle norme vigenti, per evitare legittime lamentele e richieste di informazioni.
Ed ancora più grave è che, nel momento in cui i precari presenti hanno chiesto con insistenza che la professoressa Lodigiani aprisse l'Aula Magna e svolgesse lì le convocazioni, gli ispettori di polizia (presenti a tutte le convocazioni fin da lunedì) abbiano minacciato di identificare gli stessi e sulla strada antistante l'ingresso della scuola sia apparsa una camionetta carica di poliziotti in tenuta antisommossa, nonostante le richieste fossero avanzate in forma assolutamente pacifica e civile nonché legittima. Alle richieste più che motivate di trasparenza, regolarità e sicurezza delle operazioni di nomina lo Stato risponde quindi minacciando l'uso della forza, come se fossimo nel pieno di una manifestazione politica e criminalizzando chi, insegnante e non “pericoloso contestatore”, denunci un comportamento fuori-legge da parte dell'Istituzione, che rischia di ledere i suoi diritti lavorativi.
Questa situazione rende evidente una volta di più quanto sia importante da parte di noi precari essere uniti, non piegare la testa e far rispettare i nostri diritti; per questo invitiamo tutti, precari, lavoratori della scuola, studenti, cittadini solidali a partecipare sabato alla manifestazione (concentramento ore 15, piazza Missori, Milano) conto i tagli della Gelmini e Tremonti e contro lo smantellamento della scuola pubblica. Come associazioni precari chiediamo inoltre che l'USP provveda al più presto a indire nuove convocazioni su tutte le classi di concorso che includano tutte le disponibilità mancanti nelle prime convocazioni.
9 settembre 2010
Coord. Lavoratori della scuola "3ottobre" - C.P.S. Milano
Lavoratori Auto-organizzati della Scuola - Milano
Movimento Scuola Precaria – CPS Milano