indice n.51

La guerra più lunga (prima parte)
AFRICOM nel cuore della guerra per il petrolio
Make School Not War, Si alla Scuola No alla Guerra
Due lettere dal carcerere di Poggioreale (na)
Lettere dal carcere di San Vittore (mi)
Lettera dal carcere di Catania
Lettere dal carcere di Cremona
Lettera dal carcere di Castelfranco Emilia (mo)
Lettera dal carcere di Carinola (CE)
un giorno di sciopero della fame dei detenuti di carinola
Lettera dal carcere di Santa Maria Capua Vetere (CE)
Lettera dal carcere di Orbe (Svizzera)
Lettera dal cercere di Thun (Svizzera)
Comunicato delle/i Prigioniere/i Politici del Sri, Del Pce(r) e dei Grapo
l’aquila: condannati 11 compagni per la manifestazione del 03/06/07
Report del processo agli arrestati del 10/06/09
Sulla scarcerazione di Angelo
Alcune note sul processo agli anarchici salentini
Firenze: Sulle indagini per l'Associazione a Delinquere
firenze: Giustizia non è fatta
Dalla parte di chi si ribella. Sempre!
Il Ministero degli Interni risarcisce la famiglia Aldrovandi
catanzaro: TENTATO OMICIDIO AI DANNI DI UN COMPAGNO
brescia: NESSUNA PERSONA E' ILLEGALE!
Dagli operai della INNSE di Milano agli extracomunitari sulla gru a Brescia
Milano: sulla torre contro la sanatoria truffa
VARESE PROVINCIA IN FERMENTO!
Comunicato in solidariatà con i compagni torinesi
padova: LA MIGLIORE SOLIDARIETÀ CON UN’OCCUPAZIONE È FARNE UN’ALTRA!
napoli: ecco la nostra risposta alla loro violenza
Terzigno (na), oltre diecimila persone
Buenos Aires: Scontri tra lavoratori autorganizzati e sindacato delle ferrovie



La guerra più lunga (prima parte)
Nonostante l'annuncio del presidente Barack Obama di procedere ad un rapido ritiro dall'Irak e ad un contemporaneo intervento limitato in Afghanistan, la fine del conflitto non è all'orizzonte.

Una storia di escalation
L'atmosfera alla Casa Bianca era tesa. Alla presenza del ministro della Difesa Robert Gates e del presidente dei capi di stato maggiore delle forze armate, Admiral Michael, il presidente Obama ha affermato di considerare "in larga parte sbagliato" il comportamento del Pentagono. Recentemente l'ex comandante supremo delle forze armate in Afghanistan, il generale Stanley McChrystal, davanti a un gruppo di giornalisti aveva ripetuto la richiesta di inviare ancor più truppe in Afghanistan. Obama era fuori di sé. Questa "lavata di capo presidenziale, che da oltre mezzo secolo negli Stati Uniti non era dato vedere" è stata descritta dal giornalista Jonathan Alter nel suo libro "The Promise", che descrive, citando le fonti, lo scontro avvenuto all'interno della Casa Bianca nell'autunno 2009. Le indiscrezioni sono irriverenti, nel corso dell'incontro Obama avrebbe detto ad un collaboratore di trovarlo "freddo e esaurito". In quei momenti lo scontro fra il presidente degli USA e il Pentagono ha toccato i massimi livelli. Soltanto dopo Obama ha ceduto e impartito l'ordine di inviare in Afghanistan altri 30.000 uomini.
Nonostante le controversie all'interno dell'Amministrazione-Obama e la crescente opposizione dell'opinione pubblica statunitense (secondo un sondaggio realizzato dalla CNN all'inizio di ottobre, il 58% delle persone intervistate si è espresso contro la campagna militare in Afghanistan) l'Irak e l'Afghanistan non sono un tema presente nelle votazioni per il Congresso del prossimo 2 novembre. Il dibattito piuttosto è dominato dalla crisi economica e dalla disoccupazione di massa.

Ancora più truppe
Ad ogni modo la "guerra contro il terrore", che attualmente tiene impegnati 100 mila soldati USA in Afghanistan e pur sempre 50 mila in Irak, per Barack Obama rimane la maggiore sfida - e una grossa delusione per i suoi sostenitori.
Secondo indicazioni del sito web icasualties.org, solo quest'anno in Afghanistan hanno perso la vita 600 soldati stranieri, di cui 400 USA. Per gli occupanti, questo non è soltanto l'anno più sanguinoso dall'inizio della guerra nel 2001. Quella in Afghanistan nel frattempo è infatti divenuta la guerra più lunga nella storia degli Stati Uniti: più lunga della seconda guerra mondiale e della guerra in Vietnam (103 mesi).
Il presidente, che da candidato prometteva un'America pacifica, multilaterale, prende decisioni a favore dell'eskalation. Contemporaneamente ad un'estensione senza precedenti del programma di attacchi con cui gli USA in numerosi paesi, nei quali essi ufficialmente non conducono nessuna guerra, liquidano numerose persone, Obama ha triplicato le truppe USA in Afghanistan.
Già da candidato alla presidenza Obama aveva definito l'Irak una "pericolosa illusione". Bush, secondo Obama, avrebbe troppo trascurato l'Afghanistan. Tutti gli sforzi dovevano concentrarsi nella caccia "a Osama Bin Laden, Al Qaida, ai Talebani e ai terroristi, che erano i responsabili degli attacchi". Nei mesi successivi all'autunno 2009 Obama mentre pensava ad una strategia per l'Afghanistan e il Pakistan, definita "Af-Pak", su suo comando il numero delle truppe USA in Afghanistan continuava ad aumentare. Al momento della sua entrata in carica (novembre 2008) i soldati USA stazionati in Afghanistan erano 34.400; nel febbraio 2009 nel suo primo comando sottoscrisse l'invio di altri 17 mila soldati in Afghanistan, a cui immediatamente dopo fecero seguito altre migliaia; così nel novembre dello stesso anno il numero dei soldati era salito a 68 mila. Dunque, ancor prima dell'attesa decisione riguardante il proseguimento dell'occupazione dell'Afghanistan, Obama aveva raddoppiato i soldati USA presenti alla fine del mandato di Bush. In un discorso dell'agosto 2009 lui si premurò di prescisare che la guerra in Afghanistan era "inevitabile".
Il vicepresidente Biden reagì con stizza. Soltanto la guerra contro Al-Qaida sarebbe "indispensabile", disse Biden, il quale non è in Afghanistan ma in Pakistan. Obama voleva però impedire la presa del potere in Afghanistan da parte dei Talebani, poiché essi avrebbero offerto un territorio sicuro per la ritirata. Questa la considerazione. Una significativa manovra di novità, rispetto alla nuova strategia, venne introdotta da Robert Gates. In seguito all'affermazione, che il piano degli USA in Afghanistan dopo otto anni di guerra non era affatto chiaro, nel maggio 2009 il ministro della difesa mise alla porta l'alto comandante delle forze armate USA in Afghanistan, il generale David McKiernan. L'amministrazione-Obama voleva impiegare anche nella lotta contro le insurrezioni in Afghanistan, la strategia "Counterinsurgency" adottata e sviluppata in Irak dal gen. David Petraeus. Mullen, che aveva già occupato posizioni all'interno dell'amministrazione-Bush, propose ad Obama come successore del gen. McKiernan, il suo protetto Stanley McChrystal. Obama acconsentì.
La nomina di McChrystal fece da apripista. Ancor prima delle votazioni in Afghanistan, lui e il ministro della difesa Gates cominciarono a premere in direzione di una nuova valutazione. Barack Obama alla fine dette luce verde piano e accettò anche le "raccomandazioni" del gen. - un errore, che si rivela di lì a poco. Lo stesso Obama definì la vaga impostazione del problema come "stolta", in quanto il piano di McChrysral apriva le chiuse alla pressione del Pentagono. Il presidente venne così posto sotto la pressione di giustificarsi nel caso non avesse dato seguito alle raccomandazioni dell'alto comandante da lui stesso nominato. Pressione che McChrystal non mancò di esercitare.
Alla fine di agosto inviò un rapporto a Gates in cui descriveva la "seria e crescente cattiva situazione", la corruzione del regime-Karzai e metteva in guardia dal possibile naufragio della missione nel caso non fossero inviate più truppe. La sua "raccomandazione" in definitiva era: inviare quanto meno 40 mila soldati, il numero ideale era 80 mila, e prepararsi ad uno spazio di tempo di circa dieci anni necessario alla costruzione delle strutture statali. Per la realizzazione di quel piano, il rapporto di McChrystal, indicava un esborso aggiuntivo di un bilione di dollari. Nei soli anni dal 2001 al 2010 gli USA hanno erogato per la guerra in Afghanistan lo stesso denaro impiegato in Irak. Un costo elevato per un paese in cui, secondo la testimonianza del capo della CIA, Leon Panetta, si nascondono "al massimo e forse meno 50-100 combattenti di Al-Qaida".
Obama ricevette il rapporto di McChrystal all'inizio del settembre 2009. Mentre in pratica l'intervento cresceva da se stesso, cercò di dar corpo ad una strategia ampia per la regione. Nella prova presidenziale più lunga dall'epoca della crisi con Cuba, Obama ha respinto le numerose proposte avanzate dal Pentagono fra settembre e novembre 2009. Ha discusso le raccomandazioni di McChrystal ed esortato tutti a elaborare alternative. Il vicepresidente Joe Biden è stato una delle poche voci critiche nei confronti delle raccomandazioni. In marzo Biden si è adoperato per un intervento ridotto con unità speciali e attacchi mirati concentrati su Al-Qaida. Allo stesso tempo ha messo in guardia Obama dai tentativi del Pentagono di inviare più truppe. Un'estensione del numero dei soldati e dei mezzi militari, questo il pensiero di Biden, offrirebbe ad Al-Qaida maggiori possibilità di attacco. Le sue obiezioni lo resero obiettivo preferito del Pentagono, che iniziò nei suoi confronti una campagna di discredito. Le forze armate e con esse anche il ministro degli esteri Hillary Clinton espressero la posizione secondo cui l'aumento della truppa sarebbe necessario per stabilizzare la situazione e per rendere possibile una soluzione politica.
Le riunioni di routine alla Casa Bianca, come è stato detto da alcuni partecipanti, somigliano ad un seminario del "Professor Obama" che assale i militari con domande tormentose. Questa è una grossa differenza rispetto a George Bush, il quale per regola accoglieva le richieste del Pentagono senza porre domande, confidando sulla fiducia suoi generali. Tuttavia i militari a tante questioni poste da Obama non hanno saputo dare risposta. Esemplare è la perplessità espressa dal Pentagono quando egli chiese di conoscere i costi dei piani di intervento proposti. Sconcertato il presidente, per avere risposta, ricorse al direttore del bilancio della Casa Bianca, Peter Orszag. Come ben presto doveva emergere, Obama aveva tutte le ragioni di nutrire sospetti nei confronti dei suoi militari. (Continua)

20 ottobre 2010
da www.jungewelt.de/2010/10-29/025.php


AFRICOM nel cuore della guerra per il petrolio
Dopo aver incassato il rifiuto di quasi tutti gli stati africani, il comando degli Stati uniti per l'Africa sembrava essere destinato a rimanere a Stoccarda, in Germania. Di fatto, continua ad essere molto presente e attivo nel continente africano. AFRICOM, sotto la copertura dell'aiuto umanitario, lotta al terrorismo e mantenimento della pace, si sposta in un crescente numero di paesi dove conduce manovre militari, programmi formativi e di assistenza.
Questi movimenti vanno in parallelo alla diminuzione della presenza della Francia nella sua vecchia area d'influenza. In mancanza di una vera e propria base dove collocarsi, AFRICOM è stato ripensato come strumento che consiste in una trama di piccole installazioni intorno alla base americana di Gibuti. Dispone di una forza permanente di circa 1.800 uomini. Per le emergenze, dispone di una base navale in Kenia e altre due in Etiopia.
La rete si sta estendo in Africa equatoriale con la presenza a Kisangani, nel cuore di Ituri, Provincia orientale, Repubblica democratica congolese (RDC). "Si tratta di formare un esercito più professionale, che rispetti l'autorità civile e garantisca la sicurezza del popolo congolese. Ciò che facciamo qui come in altri luoghi d'Africa, d'accordo con i governi sovrani, è nell'interesse dei popoli. Agli USA e alla comunità internazionale interessa che il popolo congolese viva in pace ed abbia la possibilità di un futuro migliore", diceva il generale William Ward.
Un ritornello ben noto. Tutti sanno che l'attivismo militare nordamericano non è garanzia di sicurezza. La collaborazione fra USA ed Etiopia ha raggiunto i suoi fini militari, ma ha generato una delle peggiori crisi umanitarie in Somalia. A Ituri, vittima di un conflitto interetnico dal 1999, che ha già fatto 50.000 morti e 50.000 sfollati, l'ingerenza americana ha buone probabilità di aggravare la situazione. E' questa la paura che sta dietro il rifiuto degli stati africani di ospitare la base di AFRICOM. Dovrebbe essere l'Unione africana ad assumersi l'impegno del mantenimento della pace e della lotta contro il terrorismo.
Ma la vera ragione della presenza di AFRICOM in Congo e in altri posti dell'Africa è il petrolio. Lo aveva già detto senza reticenze un ufficiale del generale Ward nel febbraio 2008: proteggere la libera circolazione delle risorse naturali dell'Africa verso il mercato globale è uno dei principi di fondo di AFRICOM. Il rifornimento petrolifero degli Stati uniti e il problema della crescente influenza cinese sono le sfide più importanti agli interessi statunitensi. Pur se la preoccupazione degli USA è condurre una guerra contro il terrorismo planetario, la creazione di un comando specifico per l'Africa spiega la natura dell'implicazione nordamericana nel gioco delle grandi potenze riguardo ai mercati africani. AFRICOM ha come finalità prioritaria quella di garantire il rifornimento petrolifero africano agli Stati uniti, per non dipendere troppo dal Medio Oriente.
La base di Gibuti permette il controllo della rotta marittima da cui transita un quarto della produzione mondiale petrolifera e il dominio della fascia petrolifera che attraversa l'Africa fino al Golfo di Guinea, dopo aver attraversato il Ciad e il Camerun. Un nuovo sito in Uganda fornisce agli Stati uniti la possibilità di controllare il Sud del Sudan. Le zone di Nigeria, Gabon, Guinea e RD Congo, ricche di petrolio e di gas sono nel mirino USA.
La Provincia orientale del Congo è in ebollizione, e tra le multinazionali desiderose di ottenere le concessioni per lo sfruttamento e lo stato congolese sono già nate della questioni. Sotto l'ombra di AFRICOM, gli americani sono lì per il petrolio e i minerali, vitali per l'industria elettronica e informatica. Dopo essersi accaparrati i minerali del Katanga, dove un consorzio sfrutta più della metà delle risorse minerarie, e dopo essersi assicurati il controllo di quelle del Kivu, Washington ora vuole il pezzo più grosso della torta, il petrolio di Ituri e per estensione, dei Grandi Laghi.

04 novembre 2010
da www.fundacionsur.com/spip.php?article7422
fonte: www.resistenze.org


Make School Not War, Si alla Scuola No alla Guerra
Soldi per la scuola si devono trovare tagliando la scuola militare
Negli ultimi anni in Italia alla crisi economica si è accompagnata una serie di drammatici tagli all'istruzione (dalle scuole elementari sino alle università e alla ricerca) che, se pur presentati come Riforme, hanno in realtà ottenuto l'unico obiettivo di smantellare parte del diritto all'istruzione pubblica, laica, gratuita, libera e accessibile a tutti e continuano a procedere invece nella direzione di una educazione in mano ai privati, governata dal mercato del lavoro, confessionale, autoritaria.
A fianco del disinvestimento però la scuola è stata attraversata da una vera e propria ristrutturazione che ha visto il ricatto come nuovo principio regolatore dell'istruzione.
Al ricatto della precarietà per gli insegnanti si è aggiunto quello introdotto tramite le punizioni agli studenti (per esempio la reintroduzione del 5 in condotta) e l'introduzione massiccia degli stage obbligatori, ovvero ore di lavoro gratuito offerte alle aziende, al posto dei laboratori dentro le scuole.
Quest'anno il tentativo di riempire il vuoto di cultura e di istruzione con la militarizzazione e l'esaltazione delle virtù belliche è diventato evidente grazie al tandem che La Russa ha realizzato assieme alla Gelmini. Primo fra tutti è stato introdotto il programma allenati per la vita. Un percorso di addestramento paramilitare che dovrebbe coinvolgere circa 800 studenti lombardi, 140 istruttori militari in congedo, 27 docenti e 38 scuole superiori: mentre sono drasticamente ridotte o eliminate materie come la geografia (che fornirebbero agli studenti gli strumenti per conoscere e non temere le differenze culturali), si fa spazio alla topografia, più utile sul campo di battaglia; mentre le palestre sono spesso fatiscenti, nelle caserme è possibile praticare esercizi ginnico militari.
Subito dopo è entrata in vigore la Mini-Naja, un vero e proprio Stage, che garantisce crediti formativi al posto delle lezioni a scuola. Tre settimane nell'esercito, tre settimane di scuola in meno, tutto finanziato tramite il cedolino unico. Quest'ultimo è un meccanismo per cui sarà possibile per il ministero del Tesoro "sequestrare" alle scuole i risparmi del fondo di istituto dovuti a somme non spese per varie ragioni. Parte di questi fondi, invece di essere utilizzati l’anno successivo sempre per spese interne e di funzionamento verranno destinatealla Mini-Naja.
In un contesto in cui le scuole non riescono a pagare le supplenze piuttosto che i corsi di recupero, il finanziamento dell'addestramento militare tramite la scuola è solo il più evidente aspetto di una politica che, anche indipendentemente da questi programmi, preferisce finanziare le guerre distruttive che costano milioni di euro e provocano tragedie in tutto il mondo e favorire l'ignoranza tramite lo smantellamento della scuola. Noi vogliamo costruire un mondo in cui la guerra possa essere bandita, a cominciare dal ritiro immediato delle truppe italiane dall'Afganistan e dalla fine di quella guerra.
28 ottobre ore 19.00 @ Cantiere presentazione della campagna Make School Not War
4 novembre in piazza Cairoli (MI) ore 9.30 corteo.
A seguire molte altre mobilitazioni.

Coordinamento dei Collettivi Studenteschi di Milano e Provincia
CS Cantiere

***
milano: i comandi militari bussano alle porte della scuola
Di seguito la lettera di ALLENATI PER LA VITA inviata ai docenti dal Comdando Militare esercito Lombardia lo scorso 14 settembre 2010.

Egregio Professore, alle ore 17.00 del 20 settembre 2010, presso il Salone Radetzky di Palazzo Cusani, in via Brera, 15, sarà siglato il rinnovo del Protocollo d'Intesa con il Provveditore Regionale Scolastico Lombardia, denominato "Allenati alla Vita". alla presenza dei Sig.ri Ministri della Difesa, On. Ignazio LA RUSSA, e della Istruzione Università e Ricerca, On. Mariastella GELMINI. L'Intesa regionale, che sancisce il connubio fra due Dicasteri (Difesa e Istruzione) per la formazione ed educazione dei giovani, prevede i seguenti due Progetti rivolti agli studenti degli Istituti di 2° grado:
- formazione "Allenati per la Vita" per offrire ai partecipanti, a livello provinciale e regionale, esperienze di condivisione sociale, culturale e sportive sulla traccia del progetto di addestramento già effettuato gli anni scorsi;
- concorso "Civico - culturale" attraverso un progetto tematico o scritto inerente il "150° Anniversario dell'Unità d'Italia".
L'attività "Allenati per la Vita" è un corso teorico con successiva gara pratica tra pattuglie di studenti, valido come Credito formativo scolastico e con oneri di spesa sponsorizzati da Enti pubblici e privati. Oltre alle lezioni teoriche, che possono essere inserite nell'attività scolastica di "Diritto e Costituzione", il progetto sviluppa le attività di: primo soccorso, arrampicata, tiro con arco e pistola ad aria compressa, nuoto e salvamento, orientiring ed, infine, percorsi ginnico - militari. Le attività in argomento permettono di avvicinare, in modo innovativo e coinvolgente, il mondo della Scuola alla Forze Armate, alla Protezione Civile, alla Croce Rossa ed ai Gruppi Volontari del Soccorso. La pratica del mondo sportivo militare, veicolata all'interno delle scuole, oltre ad innescare ed instaurare negli studenti la "conoscenza e l'apprendimento" della legalità, della Costituzione, delle Istituzioni e dei principi del Diritto Internazionale, permette di evidenziare, nel percorso educativo, l'importanza del benessere personale e della collettività attraverso il contrasto al "bullismo" grazie al lavoro di squadra che determina l'aumento dell'autostima individuale ed il senso di appartenenza ad un gruppo.
Il "concorso civico - letterario", a differenza delle precedenti edizioni che contemplavano esclusivamente degli elaborati scritti aventi come tema delle lettere ad amici militari impegnati in Operazioni di Pace, sarà vario e diversificato, basato sui "150° dell'Unità d'Italia". Per ogni provincia, saranno premiati i primi dieci classificati ai quali sarà corrisposto un premio in €, elargito da vari sponsor istituzionali e non, ammontante a 5.000,00 € in media per provincia. Come gli anni precedenti, tutte gli elaborati / progetti / lavori vincitori saranno raccolti in un libro, edito dalla Mursia. Nella precedente edizione ha partecipato un numero elevato di studenti che, in alcune province, ha superato addirittura il migliaio di unità. In attesa di un Suo cortese cenno di risconto e con la speranza di poterLa annoverare fra i partecipanti, l'occasione mi è propizia per inviarLe distinti saluti.

Milano, 14 settembre 2010
Comando Militare Esercito Lombardia
Il Comandante Gen. B. Camillo de MILATO


Due lettere dal carcerere di Poggioreale (na)
Ciao Maria, grazie di cuore per la solidarietà dimostratami… Ti faccio un "breve riassunto" sulla mia situazione in modo che tu stessa possa comprendere le cattiverie, gli abusi a cui sono sottoposto a far data dal 4 maggio 2009 e non solo.
Fino a quella data mi trovavo nel circuito EIV qui a Poggioreale presso il padiglione Venezia. Quel giorno si presentò un secondino, mi disse di prepararmi il vestiario che venivo tradotto. In un primo momento pensai di essere stato declassato da quel maledetto circuito a cui ero ed eravamo sottoposti quotidianamente a qualsiasi tipo di violenza psicologica, privati di tutti quei diritti fondamentali ecc. Ebbene, quel giorno mi ritrovai nella prigione di Secondigliano, lì scoprii di trovarmi in una sezione protetta.
Preso atto di questo chiesi di parlare con uno di questi servitori dello stato (secondino). Mi convocò un ispettore, gli dissi: guardi che con ogni probabilità c'è stato un errore! Cosa ci faccio in una sezione protetta con persone che hanno problemi di incolumità? Ex poliziotti, ex collaboratori di giustizia, congiunti di collaboratori ecc. Mi rispose, dicendomi: guardi che se lei si trova qui qualche problema ce l'ha. Poi continuò dicendomi: domani le farò sapere con più precisione.
Il giorno seguente mi chiamò e mi disse: Trombini, lei è stato messo qui pere una circolare del DAP e aggiunse: deve restare in cella da solo, con gli altri detenuti non può avere nessun contatto quindi dovrà fare anche l'aria da solo in quanto con gli altri detenuti non è compatibile, essendo loro servitori dello stato ecc. In seguito ebbi modo di leggere quella specie di circolare. Ti dico cosa c'è scritto anche se sono sicuro che avrai avuto modo di leggerla.
I reparti EIV non esistono più. Sono stati sostituiti con nuovi reparti di differenziazione, cioè, con l'AS1, AS2 e AS3.
L'AS1 riguarda solo gli ex 41bis, l'AS2 è per i reati di terrorismo, l'AS3 è riservato a coloro che hanno l'art. 74, cioè, spaccio e associazione. Infine dice: i detenuti che hanno mostrato nel tempo una naturale propensione alla violenza all'interno degli istituti o che hanno una spiccata tendenza all'evasione, dovranno essere reclusi in sezioni protette e in celle singole. Ebbene Maria, questo è.
Da quando mi trovo in questa sezione non ho lasciato nulla di intentato, ho presentato ricorso a Strasburgo, poi presso il tribunale di sorveglianza, quest'ultimo mi ha risposto che non possono intervenire in quanto si tratta di un atto amministrativo e sugli atti del DAP non possono metterci il becco, che su questo c'è un vuoto legislativo ecc. insomma, sono nella stessa posizione di quando mi trovavo in EIV: senza possibilità di difesa. E già su questo ci sarebbe molto da dire, visto che l'Italia si proclama un paese "democratico" - ho aggiunto le virgolette perché si tratta di una democrazia mascherata. Comunque sorvoliamo, tanto sappiamo già che sono una massa di dittatori e fascisti.
Mi sono rivolto al garante dei diritti del detenuto della Campania, ho presentato ricorso al TAR. Ancora non ho avuto risposta. Ho fatto per 15 giorni uno sciopero della fame, dei farmaci salva-vita, ma nulla è cambiato. Anzi una cosa è cambiata. Se voglio andare all'aria mi ritroverei in compagnia di ex servi dello stato ecc. quindi mi rifiuto di andare all'aria. In risposta mi è stato detto che a Secondigliano mi lasciavano andare da solo perché l'organizzazione era diversa. Grossa cazzata - per 11 mesi qui ho rotto i coglioni sul fatto che mi facevano fare l'aria da solo, la risposta è stata sempre la stessa: Trombini non possiamo metterla all'aria con questa gente. Di colpo a Poggioreale tutto è regolare.
Maria, sono una massa di cani, cercano in tutti i modi di annientare l'individuo, di piegarlo, di sottometterlo ai loro sporchi metodi, ma io, di certo, non mio piego e continuerò a lottare sempre, a testa alta e soprattutto con dignità.
Maria, avrei ancora tanto da raccontarti…, purtroppo non faccio colloquio da 3 anni per delle incomprensioni nate con i miei… qui in questa sezione non chiedo niente a nessuno, preferisco morire di fame ecc. Se ti fa piacere scrivimi, così avremo modo di conoscerci meglio. Non mi rimane che ringraziarti. Ti auguro che tutto ti vada come tu desideri.
Un saluto a tutti i compagni/e. Sempre per la libertà. La libertà non è frutto proibito!

15 ottobre 2010

***
Carissimi compagni/e, ritengo sia necessario fare avere a tutti notizie riguardanti la struttura lager di Poggioreale. Un luogo leggendario, dove sono stati reclusi personaggi ottocenteschi e contemporanei, alcuni dei quali hanno scritto la storia d'Italia. Una struttura definita fiore all'occhiello dello stato italiano per storicità ecc..
Sorge in pieno centro a pochi metri dal centro direzionale napoletano, con un ingresso interno principale interamente rinnovato, simile ad una maestosa hall di un albergo a dieci stelle hollywoodiano. Ma se storia e leggende ci dicono questo, la realtà ci dice ben altro.
Provate anche minimamente ad immaginare l'interno di un vulcano in eruzione; più di ciò che può essere un inferno con tanti satana armati di manganelli più che di tridenti, dove disumanità, crudeltà, fanatismo, illegalità e tutte le possibili violazioni dei diritti umani vengono giornalmente attuate da coloro che dirigono questa struttura-lager tramite i loro secondini scagnozzi.
Questo è il carcere di Poggioreale, forse unico in Europa, dove esistono regolamenti fuori da ogni regola, quasi preistorici. Un lager nazista, dove si sono consumati i più feroci eccidi della storia, di fronte a Poggioreale è un Eden.
All'interno del carcere di Poggioreale, con il permesso del suo direttore e con la complicità di buona parte della magistratura, ogni giorno da parte delle guardie, graduati e non, vengono commessi i più efferati reati che il codice penale contempla ed allo stesso tempo prevede e punisce: reati di sequestro di persona, riduzione in schiavitù, percosse e lesioni, omissioni di soccorso, tortura personale e mentale, sfruttamento del lavoro, omissione sulla regolamentazione delle basilari norme igieniche, e tanto altro ancora; dulcis in fundo, omicidio volontario (preterintenzionale) a seguito di lesioni, percosse e istigazione al suicidio. Tutti reati commessi a danno dei reclusi.
Riguardo alle morti in seguito a percosse, solo di qualcuno riusciamo ad avere notizia, perché i dirigenti del carcere e i magistrati, fin quando possono, coprono e insabbiano gli eventi, mentre i suicidi hanno avuto un'escalation impressionante. Sono cinquantacinque dall'inizio dell'anno ad oggi, di cui 4 solo a Poggioreale , tutti a distanza di pochi giorni tra loro. Cinquancinque esseri umani, i quali, più che sopportare e subire quanto ho già citato hanno preferito togliersi la vita. Atti classificati suicidi, ma di fatto omicidi legalizzati, perché indotti al suicidio da chi gestisce le carceri e dal sistema. Ormai il detenuto è trattato come una bestia allo stato brado.
Mesi addietro, mentre esplodevano le temperature estive, direttori, guardie e politici, si distraevano nei refrigeri marini e montani, mentre le celle di Poggioreale, contenenti 14/15 persone (il triplo della capienza) diventavano torride bolgie in cui le sofferenze individuali diventavano intollerabili fino ad essere un pericolo per la sicurezza collettiva e personale, tanto da giungere, spesso, proprio al suicidio; dove a tutti vengono negati i più elementari diritti: quello di potersi lavare se non due volte la settimana, quello di non poter usufruire delle ore d'aria consentite; quello di non avere nessun tipo di socialità, di attività sportiva ecc., ma solo reclusione in cella 22 ore su 24.
Tutto ciò con i responsabili del carcere, i politici e i magistrati i quali giornalmente non sanno fare altro se non giocarsi in allegria, per la loro effimera e non sempre onorevole visibilità, il tempo cioè la vita degli altri.
Amici e compagni/e movimentiamoci tutti affinché si trovi un modo, una strada per porre fine a tutto questo.
Sempre per una piena libertà! La libertà non è un frutto proibito!

20 ottobre 2010
Giuseppe Trombini v. Nuova Poggioreale 177 - 80143 Napoli


Lettere dal carcere di San Vittore (mi)
Il mio none è Ferraru Constantin Florin, sono detenuto in carcere a S.Vittore di Milano. Voglio dirvi che sono in sciopero della fame perché mi hanno giudicato in modo non corretto. Sono di nazionalità rumena. Secondo me il giudice ha fatto una discriminazione di razza. Io voglio una giustizia corretta e normale. Voglio un altro processo però con altri giudici assistiti da altri giudici.
Sono in carcere da un anno e un mese: non ho avuto diritto a niente. Due giorni fa c'è stato il processo dove sono stato condannato a 6 anni dio carcere per un reato che non esiste, che io non hop fatto.
Non resisterò a questa condanna perché sono ammalato da quando avevo 3 anni. La mia malattia è: encefalite cronica. Al processo il mio avvocato ha presentato i miei documenti relativi alla mia malattia. Il giudice non ha preso in considerazione niente.
Nello stesso processo e con le medesime accuse hanno inserito mio fratello e mio cugino, condannati rispettivamente a 3 e 5 anni di carcere. Mio cugino di recente è stato colpito proprio qui in carcere dal diabete, il giudice non preso in considerazione neppure la sua malattia.
Vi ringrazio tanto, con la speranza che mi aiutiate.

23 ottobre 2010
Ferrare Constantin Florin, p.zza Filangieri 2 - 20123 Milano

***
[…] i presidi a nostro favore che fate sono iniziative che danno un punto di partenza a molti detenuti che, però, da questo carcere vengono spesso trasferiti e se ne perdono le tracce. Per minare l'incolumità dell'albero del potere del carcere, con l'obiettivo di chiuderlo, ci vorrebbero presidi un giorno si e un altro anche, cosa che però credo farebbe rimanere ben poche persone all'esterno.
Per questo gli agenti penitenziari non temono più di tanto i presidi, anche perché un'eventuale lotta deve essere necessariamente guidata da un numero notevole di persone che qui è difficile raggiungere dati i continui sfollamenti.
L'unica strada da percorrere è quella di denunciare e abbattere ogni loro sopruso, uno alla volta fino ad arrivare alla cima. Occorre altresì l'impegno a portare le denunce in tribunale, con seguito di persone e mezzi stampa, senza aspettare che un detenuto muoia in galera per darne notizia magari dopo mesi.
Da detenuti pretendiamo i nostri diritti senza avere la dignità calpestata in ogni atto compiuto in galera.
Quanto accaduto a quel ragazzo (ve ne ho scritto in una lettera precedente, strattonato e punito per essersi fermato davanti a una cella per salutare), è uno dei tanti casi sui quali si è pronti a far valer i nostri diritti: sono fatti gravissimi per i quali ci sono avvocati disponibili a battersi.
La forza dei vostri presidi deve essere anche quella di aiutarci in sede di processo nel far valere i nostri diritti per eliminare il tanto marcio che regna all'interno dell'istituto.
[…] Con questo salutiamo tutti voi, ciao

Milano, 27 ottobre 2010
(lettera firmata)


Lettera dal carcere di Catania
[…] qualche giorno fa mi sono sentito male. Mi hanno portato in infermeria dove mi hanno controllato soltanto la pressione arteriosa. Mi hanno detto che tutto era a posto.- Dopo qualche minuto il dottore mi ha chiesto come stavo, e io per risposta ho continuato a dire che avevo difficoltà nel respiro. Nonostante ciò lui ha ribadito che tutto era a posto e mi ha rimandato in cella, pur essendo stato informato dalla guardia che ero un cardiopatico, il tutto senza annotare nulla sulla mia cartella clinica.
Essendo in cella singola (cubicolo) l'agente di guardia ha lasciato aperto il blindo per far circolare più aria in cella. Al mattino alle 8,30 sono arrivate le infermiere di reparto, avendo saputo del malore, mi hanno chiesto quali accorgimenti avesse preso il medico del pronto soccorso in nottata, e come mai nulla era annotato in cartella. Poco dopo, da un breve accertamento, risultava che la persona che alle ore 3,00 mi aveva assistito era solo un semplice infermiere e che il medico invece era in un'altra stanza a riposare dolcemente. E' stato inoltre accertato che il malore aveva anche alterato il valore glicemico: questo alle 8,30 era 500, ma nella notte doveva essere stato molto più alto. Valore che per tutta la giornata del 16 (ottobre) è rimasto alto nonostante le insuline, oscillando dalle 250 alle 300 fino alle undici di sera - ora in cui mi hanno chiuso il blindo.
Quella che ho raccontato in questa lettera è la testimonianza di quanto a mio modesto parere, di notevole gravità e inaudita disumanità, mi è personalmente accaduto tra le 3,00 del 16/10 e le 6,30 del 17/10.
Premetto di essere severamente cardiopatico con ischemia ventricolare: diabetico; iperteso; affetto da gravi problemi respiratori; ostruzione delle vie respiratorie; depressione reattiva con attacchi di panico notturni… e tante altre patologie tutte invalidanti, tanto che risulto essere invalido e disdabile.
Durante il mio percorso carcerario, nonostante quanto sopra, non ho mai avuto richiami e mai, a causa del mio stato di salute, ho dato alcun problema. E' accaduto che per la prima volta la mattina del 16/10 intorno alle 3,00, mi sono svegliato a causa dell'insorgere di un normale raffreddore, che, a causa delle mie problematiche vie respiratorie mi ha del tutto chiuse le vie respiratorie nasali, tanto da avere un attacco di panico abbastanza violento. Verso le 3,00, poiché il malessere aumentava, ho chiamato la guardia che, ad onor del vero, si è subito attivata, accompagnandomi al pronto soccorso interno al carcere. Lì ho trovato una persona che ha ignorato le mie richieste di aria, mi mancava. Lì nessuno fino alle 6,30 è più venuto a controllare il mio stato di salute. E' evidente che la notte fra il 16 e il 17 mi sono trovato nella situazione di persona a forte rischio di infarto. A coloro che ci tengono sotto sequestro tutto ciò non interessa; che tu viva o muoia per loro è senza importanza.
Che ne pensate? Vorrei avere l'opinione di qualcuno.
Grazie, L.Q.P. (liberi quanto prima)

ottobre 2010
(lettera firmata)


Lettere dal carcere di Cremona
Salam Alaikum, sono Samir, un saluto caro da un amico caro agli amici da cui vorrebbe un aiuto. In questo carcere le mancanze importanti sono tante. Questi problemi iniziano ancora prima di essere rinchiusi qua dentro. Quando ci arrestano non ascoltano quello che diciamo e scrivono quello che vogliono e alla fine ti mandano sempre in carcere. Nessuno di noi sa per che cosa è dentro.
Il carcere è quanto di peggio, non ci danno nessun aiuto, nemmeno i medicinali. Qui all'ultimo piano dove mi trovo spesso non arriva l'acqua calda. Le guardie frustrate, razziste, si sfogano su di noi. I giudici danno gli arresti domiciliari solo agli italiani, perché noi non abbiamo i documenti.
Spero in una vostra risposta, sperando che questa lettera trovi la strada per arrivarvi.
Tanti saluti da un amico che soffre dentro, anche perché dal soffitto ascendono gocce di acqua. Samir

10 ottobre 2010
Lakhmiri Hicham, v. Palosca 2 - 26100 Cremona

***
Cari compagni di Ampio Orizzonti, sono Angelo e vi scrivo da Cremona, dove, come al solito, le necessità di noi detenuti vengono tralasciate; mi riferisco in special modo alle cure mediche che sono pressoché assenti. In particolare, nel mio caso e di un altro compagno, entrambi sofferenti di ernie discali - patologie che non ci consentono di avere una normale e quotidiana vita psicomotoria a causa dei forti e continui dolori.
Questo nostro problema è da oltre sei mesi che si trascina: i "medici" del carcere lo risolvono con iniezioni cortisoniche e stampelle, invece di darsi da fare per affrettare l'eventuale ricovero ospedaliero. Il compagno con il mio stesso problema da ben quattro mesi deve essere continuamente assistito da altri detenuti, perché non autosufficiente nel muoversi.
Faccio notare di aver scritto al vice-primario del reparto di neurochirurgia dell'ospedale di Cremona per renderlo partecipe del problema. La sua risposta è stata chiara ed esauriente. Mi ha scritto che il problema non è causato dal C.U.P. dell'ospedale, ma dalla lentezza e dal menefreghismo dei "medici" del carcere nell'inviare richieste di visite specialistiche ospedaliere.
Ho più volte chiesto il trasferimento nel carcere di Busto Arsizio, dove, tra l'altro, ho la residenza (non nel carcere ma nella città), motivando l'avvicinamento colloqui con mia moglie, che non sta proprio bene, e le mie due splendide figlie.
In risposta dall'ufficio matricola mi hanno detto che il carcere era sovraffollato, per cui non c'erano posti disponibili, mentre ho saputo da fonti certe (il SERT da cui provengo e l'avvocato) che non era assolutamente vero.
Purtoppo cari compagni siamo perseguitati da una casta politico-fascista che, oltre ad internarci tra le mura e le sbarre, crede di poterci allontanare affettivamente dalle nostre famiglie mandandoci in istituti sempre più lontani da casa. Non fanno però i conti con la storia che ci insegna che questo tipo di repressioni nel tempo vengono rovesciate dalla forza della "libertà e della determinazione".
Vi sarei grato se poteste inviarmi i seguenti libri, così da poter impegnare il tempo nella lettura ed evadere così da questo contesto inumano…
Cari saluti a tutti voi, Angelo

9 novembre 2010
Angelo Margiotto

***
Sono un pò di giorni che tento di scrivere ad Ampi Orizzonti ma non ci sono con la testa. Oltretutto giorni fa mi sono arrivati dei soldi che io non voglio, non fumo, non ho vizi particolari e quindi posso benissimo vivere senza denaro e non in funzione di esso. Così avevo deciso di darli a Benedetta che li avrebbe gestiti per i compagni/e prigionieri in Svizzera. Invece è una menata unica perchè posso inviare denaro solo ai familiari (che non ho), non più di 220 euro etc etc., insomma una menata unica. Così ho minacciato lo sciopero della fame per domani. Mi ha chiamato il comandante ed ha detto di aspettare due giorni così mi troverà la soluzione (poi vedrò). Insomma, il carcere tende proprio ad annullare la tua condizione di essere umano, privarti di ogni reazione.
Le docce non funzionano da due giorni e qui nella sezione E sono proprio guai, specialmente ora che hanno riportato l'orario invernale. Non ci è più possibile spalmare nella giornata il tempo per fare le docce, ora hai dei tempi prestabiliti e quindi, dal momento che anche nelle sezioni ai piani inferiori fanno la doccia, noi siamo fottuti. Rivoli d'acqua e oltrettutto fredda, come si può fare la doccia così.
Questa mattina sono venuto a sapere che gli extracomunitari, sprovvisti di foglio di soggiorno, non possono frequentare le scuole o i corsi professionali. E' una bastardata unica, non solo obblighi il prigioniero a vivere nella passività della quotidianità carceraria, ma è un vero atto di razzismo. [...]
Un abbraccio fraterno a tutti i compagni e le compagne, Andrea.

novembre 2010
Orlando Andrea. via palosca 2 - 26100 cremona


Lettera dal carcere di Castelfranco Emilia (mo)
Ciao OLGa ciao a tutti i compagni ciao a tutti i lettori e ciao amici in tutte le carceri di stato e non! […] nella precedente informavo di quella che per noi “ospiti” in quel di Castelfranco Emilia è ormai prassi ordinaria, la negligenza di alcuni operatori sanitari (se ancora così li vogliamo indicare), scrivevo riferendomi al defunto compagno Massimiliano, naturalmente la negligenza indicata è riferita anche nei confronti di tutti gli altri “ospiti”.
L'ultima mi riguarda personalmente: da oltre un anno facevo presente ai su citati di avere un problema nella gola. Le risposte erano sempre le stesse: “Lei è un vecchio assiduo fumatore! Lei deve smettere di fumare. Il fastidio che sente è una conseguenza del fumo inalato, la gola è infiammata, il catarro si deve ai polmoni che ormai saturi, lo espellono! Non è niente dio grave! Deve solo smettere di fumare! Il fumo fa male” (grazie per avermene dato informazione)! Come dire: il cielo è azzurro e il mare è una distesa d'acqua e… ovvietà simili. Ebbene, qualche giorno fa un operatore sanitario un po' più attento ha voluto approfondire l'esame (mi ha poi solo guardato attentamente in gola!) nel mio cavo orale, solo 5 secondi per rendersi conto che, in primo piano all'ingresso della gola vi è qualcosa di anomalo, forse un polipo, forse una piantina di basilico… lo chiarirà l'esame che è stato, ORA, richiesto con urgenza e che spero mi facciano entro e non oltre il “fine pena”; c'è qualcosa che mi dovrà essere asportato, tagliato… nella speranza non si tratti di qualcosa che ormai, in tutto il tempo perso fino ad oggi, non abbia messo radici ormai difficili da estirpare.
Sono pieno di rabbia. Se solo avessero, allora, esaminato con attenzione, si sarebbe potuto risolvere il problema in maniera meno cruenta e con esito probabilmente meno pesante per me e migliore per la mia salute. Non mi verrà più bene “Va' pensiero” o “O sole mio”… scusate se faccio questa ironia assurda ma… cerco di essere ottimista. Una cosa è certa, seppure senza corde vocali non smetterò di urlare contro questo sistema fascista e dittatoriale, contro ogni ingiustizia che ogni giorno viene posta in essere da questi schiavisti al potere e all'opposizione. Urlare per svegliare le coscienze di chi ha gli occhi chiusi e non vede! [...]
Cari amici… un fraterno abbraccio, vostro Orlando. A risentirci presto! Con mille buone onde per tutti i compagni. Ciao

novembre 2010
Falbo Orlando, v. Forte Urbano,1 - 41013 Castelfranco Emilia (Modena)


Lettera dal carcere di Carinola (CE)
Racconto di una protesta colpita da rappresaglia
Carissimi compagni e compagne, vi spedisco queste righe per darvi notizie e informarvi che mi trovo da un mese nel carcere di Augusta (Siracusa) per un processo. Vi metto a conoscenza della nostra situazione. Al momento mi trovo in isolamento assieme al compagno Adamo Bernardino, perché abbiamo fatto una protesta del tutto pacifica e legittima. Era volta ad attenzionare la direzione: sulla distribuzione del vitto, dato che nei giorni festivi e alla domenica pomeriggio non viene distribuito; sul cambio delle lenzuola ridotto, quando va bene, a una volta al mese; sull'igiene personale e delle celle - non ci danno nulla per pulirle; non fanno le visite mediche ai lavoranti, in particolare a chi porta il vitto - fra questi ce n'è uno colpito dall'HIV ed un altro con l'epatite C. Da qui la protesta che, ribadisco, è stata pacifica e legittima.
C'è dell'altro. In questo carcere il tempo delle telefonate con i propri congiunti, per punizione e per tutto il tempo di questa, ci è stato ridotto dai 10 minuti regolari a 3. Siamo inoltre stati privati di tv, radio e del necessario per vivere in questi posti di sofferenza. A nostro parere ci troviamo sottoposti ad una misura afflittiva, vessatoria non prevista e illegale. Siamo del tutto isolati, ma con forza portiamo avanti le nostre lotte e le nostre ragioni, anche se la situazione non è delle migliori.
Qui ci hanno detto che aspettano disposizioni dal ministero. Sicuramente hanno chiesto l'applicazione dell'art. 14-bis, per tenerci isolati 6 mesi…

Augusta, 28 ottobre 2010

***
Ieri notte [4/11] mi hanno preso da Augusta e trasferito nell'isolamento di Siracusa, una sezione buia e quasi sottoterra. Il pavimento è sempre umido, non si asciuga mai. Aspetto di vedere cosa ci faccio qui, mi dicono che aspettano il trasferimento a Carinola, dove spero di spedire questo scritto…
Questa mattina alle 4 mi hanno fatto preparare. Alle 8 eravamo all'aeroporto di Catania, alle 9 siamo arrivati a Napoli, alle 10,30 siamo arrivati a Carinola.
Dopo gli accertamenti, oggi 8 novembre 2010 mi hanno messo in isolamento totale. Mi hanno lasciato solo la roba per scrivere e poco vestiario. In cella non c'è nulla, la poca roba che ho dietro devo lasciarla sul pavimento. Dicono che sono disposizioni di Augusta. Questa è la sezione dell'art. 90 e il regime è sempre lo stesso, non è cambiato niente. Per fortuna che oggi pomeriggio mi hanno dato la posta arretrata dove ho trovato gli opuscoli 49 e 50, Terra Selvaggia, Il Silvestre, così ho da leggere. Sempre per fortuna ci sono questi raggi di sole che sono la solidarietà e il sostegno che arrivano dai compagni. Questo non ci fa sentire soli, è un rapporto che ci aiuta a continuare a lottare e a non sentirsi mai smarriti… vi saluto tutti e tutte con la speranza che la vostra solidarietà si faccia sentire.
Vi spedisco assieme a questa lettera un documento che con il compagno Adamo abbiamo spedito a Strasburgo alla Corte Europea per i Diritti del'Uomo.
Potete pubblicare tutto e anche divulgare ad altri compagni ed opuscoli. La solidarietà è una forza che niente e nessuno può fermare.
Per un mondo di uomini liberi.

Antonino Faro v. S.Biagio 6 - 81030 Carinola (Caserta)


un giorno di sciopero della fame dei detenuti di carinola
Grazie alla nostra Mita, ci è giunto questo documento collettivo degli ergastolani (e non solo, credo..) di Carinola che annunciano per il primo dicembre una giornata di sciopero collettivo della fame contro la pena dell’ergastolo, e per spingere per un suo superamento. Giornata che si ripete a partire dal primo dicembre 2007, quando partì in tutta Italia la grande inziative di scioperi della fame a catena la cui esperienza venne testimoniata successivamente in un libro edito dalla Associazione Liberarsi, dal titolo MAI DIRE MAI. Vi lascio al documento degli ergastolani (e credo ci siano pure detenuti non ergastolani ad averlo appoggiato) seguito poi dalle firme di coloro (sempre tra i detenuti di Carinola) che vi hanno aderito.

9 novembre 2010
da urladalsilenzio.wordpress.com

***
E.p.c Al signor Direttore sede Casa C/le e di Reclusione Carinola
E.p.c. Al Garante dei diritti dei detenuti Dott.ssa Adriana Tocca Centro Direzionale Is. F8 XIII piao 80143 Napoli.
E.p.c. Associazione Il Carcere Possibile onlus via Santa Lucia, 123 80143 Napoli
E.p.c. Associazione Liberarsi onlus Casella Postale 30 50012 Grassia (FI)
Al Signor Magistrato di Sorveglianza c/o Tribunale di S. Maria Capua Vetere
AL SIGNOR MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
E a tutte le L.L.SS. Che leggeranno per conoscenza, desideriamo informarvi che a seguito dell’iniziativa partita il 1° dicembre 2007, questo 1° dicembre è il quarto anno consecutivo di adesione a un giorno di sciopero del carrello del vitto dell’amministrazione Penitenziaria.
Molti di noi ergastolani prenderanno parte a questo sciopero sostenuto da familiari, amici, conoscenti e semplici cittadini disposti a condividere questa lotta di civiltà umana e giuridica per sensibilizzare le istituzioni tutte, compresa la Magistratura di Sorverglianza, ad una ponderata riflessione sulla pena dell’ergastolo affinché di fatto lo stesso venga abrogato perché stride fortemente con quel precetto costitzuzionale sancito dall’art. 27, comma 3, secondo il quale “LE PENE NON POSSONO CONSISTERE IN TRATTAMENTI CONTRARI AL SENSO DI UMANITA’ E DEVONO TENDERE ALLA RIEDUCAZIONE DEL CONDANATO”.
Chi ha l’ergastolo morirà in carcere, perché ad associarsi non sarà il peso della pena, visto che non ha fine, ma il resto della vita, che gli rimarrà da vivere.
In uno Stato di diritto che si definisce civile e non giustizialista, che ha promosso la moratoria modiale per l’abolizione della pena di morte, mantenere tra le sue leggi la pena dell’ergastolo è aberrante.
La Costituzione è la massima espressione del rispetto dei diritti della persona e della possibilità di poter essere rieducato e reinserito nella societa, che è un diritto sancito dalla Costituzione, un diritto della persona detenuta, e non può essere solo la prerogativa di molti, ma deve esserlo di tutti, perché tutti sono uguali davanti alla legge (art.3 Cost.), e la legge non ha autorità superiore alla persona, ma ha autorità se serve alla persona (art.2 Cost.) e il detenuto, prima ancora di essere tale, è persona.
Per questa ragione, noi detenuti del carcere di Carinola, provincia di Caserta, il 1° dicembre 2010 aderiamo a un giorno di sciopero della fame per l’abolizione dell’ergastolo e l’applicazione dell’art. 27 comma 3° della Costituzione.
Si pregano le L.L.SS. di darne comunicazione agli organi di informazione locali e nazionali, sia della carta stampata sia televisivi.

Seguono più di 70 firme degli aderenti
Lettera dal carcere di Santa Maria Capua Vetere (CE)
Carissime compagne e carissimi compagni, sono una vostra compagna di questa brutta avventura. Vi scrivo queste righe per dirvi di essere sempre forti, di lottare per i vostri diritti e di combattere senza paura, perché chi ha paura muore ogni giorno!
Questo l'ho capito con l'esperienza che la vita mi ha offerto, sia negativa che positiva; lo dico nonostante la mia giovane età, ma con alle spalle già l'emigrazione dal mio paese per poter avere un futuro migliore. Ed eccomi qui ad affrontare questo dolore, da sola, senza nessun sostegno, ma anzi, a sopportare a volte la discriminazione razziale senza aprire bocca. Sapete perché?
Perché le critiche ingiuste e la discriminazione accadono per far sentire importante chi tira il calcio, però tutto ciò spesso significa che la nostra opera conta qualcosa, che siamo degni di attenzione. Ricordatevi che: "Nessuno al mondo prende a calci un cane morto"!
Beh, siate forti e non pensate di essere le uniche e gli unici a soffrire poiché "ero triste perché non avevo scarpe finché non incontrai una donna che non aveva piedi", e con questo esempio potete prendere coraggio e speranza dato che tutto può cambiare.
Sono con voi e vi dico non mollate, non perdete, ma soprattutto non perdete la dignità che è quanto di più prezioso, non vi preoccupate poiché niente sarà così per sempre.
Bonne chance mes amis. Mounia

Santa Maria Capua Vetere, 14 novembre 2010
Mounia Moussali N.C. - 81055 S. Maria Capua Vetere (Caserta)


Lettera dal carcere di Orbe (Svizzera)
Eccovì la prima lettera da Marco dopo il trasferimento che sa tanto di vendetta e hysterismo allo stesso tempo! Senza preavvisarlo, senza che potesse ritornare nella cella per fare "i bagagli", prendersi il necessario (indirizzi, numeri telefonici ecc), senza scarpe ... prelevato da sbirri incapucciati! Senza dubbio è la risposta alla campagna in solidarietà con i rivoluzionari di lunga detenzione, tra cui lui, lo sciopero collettivo con Billy, Costa e Silvia e altre azioni militanti in loro appoggio..
Di sicuro questo atto repressivo non intimorirà nessuno - al contrario: quando il nemico reagisce in questo modo stressato, vuol dire che siamo sulla strada giusta!
La solidarietà è nostra arma - adesso più che prima - usiamola in solidarietà con la lotta dei prigionieri rivoluzionari.
www.rhi-sri.org per avere altre informazioni

Care/i compas, Giovedì 7 ottobre 2010 prima del lavoro di pomeriggio m'informarono via citofono nella cella che non c'era lavoro, che potevo stare in cella (mai successo in 6 anni, ah ah), poi mi chiamarono nell'ufficio della sezione, che il signor Hauenberger (tipo maresciallo) mi voleva parlare, ma c'erano due guardie tipo pretoriano (alti, selezionati per tanta massa muscolare e poco cervello) che mi portarono in magazzino ("il magazziniere le deve dire qualcosa", solito stupido e inutile espediente…). Con ancora altri pretoriani attorno il magazziniere mi mostrò l'ordine di trasferimento del sig. Thomas Noll, ben noto "capo d'esecuzione pena", membro direttivo ed ex-psichiatra d'emergenza del carcere Pöschwies. Motivi: “Pericolo per l'istituto causa manifestazioni” e “pericolo per l'incolumità del personale”, privazione dell'effetto sospensivo dato dal diritto di ricorso contro l'ordine, sempre “per motivi di sicurezza”, e che la galera di Orbe ("Bochuz"), cantone Vaud, è disposta a continuare il mio internamento. Mi devo cambiare e quattro sbirri della cantonale di Zurigo mi caricano su di una carretta di elicottero. I polsi legati con fascette che te li tagliano e fanno un male boia e le mani fissate a una cintura, con la catena ai piedi fissata a sua volta alla carretta. Si vola fino a Yverdon Les Bains, atterrano su di un parcheggio industriale sbarrato da sbirri incappucciati che col furgone mi portano al carcere.
Ora attendo con grande curiosità la mia "roba" che avevano detto "te la mandiamo", e sono nella "normale" sezione arrivi, meno male nei miei abiti privati, qui l'uniforme si porterebbe solo al lavoro. Anche per il resto sembra che la perfidia e la demenza è un po' meno "olimpionica" che nella galera d'avanguardia Pöschwies della feccia di giustizia zurighese.
Beh, poco rilevante, ma rilevante è invece la evidente rappresaglia politica e la dinamica sequestro-ostaggio come prigioniero politico/di guerra dello stato e del capitale e le responsabilità dei cantoni/delle istituzioni di Zurigo/Vaud.
Ma certamente non credo che la resistenza militante ci casca, s'intimorisce e si fa ricattare di cotanta pochezza e paranoica espressione di debolezza della repressione… :-)
Ma che, all'inverso, hanno solo peggiorato un pochino la loro situazione, che anche questo ulteriore piccolo smascheramento del loro degrado paranoico contribuisce alla fondamentale riflessione e analisi militante per lo sviluppo ed il rafforzamento teorico e pratico come direzione corretta molto oltre lo specifico (caso, repressione).
Vi abbraccio forte, a presto

Orbe, 10 ottobre 2010
Marco Camenisch


Lettera dal cercere di Thun (Svizzera)
Care compagne e cari compagni, da giovedì 21 Ottobre mi trovo qui nel carcere preventivo di Thun nel cantone di Berna. Il trasferimento dalla prigione di Berna è stato molto rapido e senza preavviso, appena il tempo di preparare velocemente le mie cose, consegnarle alla guardia e dare qualche saluto in giro per la sezione.
Fin dal mio arrivo ho percepito una certa rigidità da parte del personale di sicurezza, ho immaginato che fosse un po' "l'approccio da ingresso", considerando anche le difficoltà di comunicazione per via della lingua; successivamente altri comportamenti hanno evidenziato che molto probabilmente ci sono anche le ragioni del mio frettoloso trasferimento da tenere di conto, motivazioni che nessuno mi ha detto.
All'arrivo delle mie cose da Berna sono iniziate le sorprese, mi è stato detto di scegliere solo tre libri e tre buste dalla corrispondenza, il resto sarebbe andato tutto in magazzino. Avendo tutta la corrispondenza legale mischiata, lettere ancora non risposte, alcuni libri non letti ma soprattutto conoscendo i magazzini dei carceri mi sono opposto. Sembrava di parlare con i pompieri di Farenheit 415, una vera fobia per la carta: troppi libri.., troppe lettere.., troppi giornali, troppi stampati; forse troppa solidarietà (?). Tra le perle che ho potuto capire, tra il mio inesistente tedesco e scarso francese è stata la definizione di biblioteca per i miei appena venti libri. Alla fine ho proposto ed è stato accettato, di dare indietro al colloquio del giorno dopo tutta la posta risposta oltre ai libri e giornali giá letti; cosa che del resto giá facevo a Berna per i libri.
Il giorno dopo parlare con il responsabile della sicurezza ha sbollito un po' la situazione, per lo meno non si è parlato piú di quei numeri assurdi.
Cambiando carcere, la mia grande preoccupazione era anche le modalità con cui facevo il colloquio a Berna cambiassero; infatti in risposta alle mie "istanze interne", la direzione mi aveva fatto sapere che le visite sarebbero state solo di un'ora e a vetro alto.
All'ultimo momento prima del colloquio di lunedì ho saputo che la Procura Federale ha ripristinato la precedente autorizzazione valida nel carcere di Berna: niente vetro divisorio, due ore di colloquio (considerato che i familiari vengono dall'Italia) con la presenza di un funzionario di polizia come uditore.
Di solito quando si cambia un carcere, si trova qualche aspetto migliore e qualcuno peggiore: questo dipende dalla struttura ma soprattutto dal regolamento che ogni direzione tende sempre a personalizzare.
Devo dire che migliorare la situazione dal carcere di Berna non è stato difficile, essendo una struttura con una chiusura ermetica allucinante. Qui una grossa finestra a tre metri e mezzo di altezza che si puó aprire elettronicamente, permette l'entrata di aria dall'esterno. La finestra bassa resta invece sigillata, con una copertura a poca distanza all'esterno che impedisce ogni visuale. Con l'alimentazione è andata bene, per il semplice fatto che ho potuto parlare con il responsabile della cucina, per altro molto disponibile; in dieci minuti è stato possibile tirar su un buon vitto vegan con importanti cambiamenti da prima, per lo stesso risultato a Berna ci avevo messo tre mesi con non poche discussioni e risultati non sempre definitivi e positivi. Per il resto la situazione è meglio che a Berna, il passeggio in comune per una ventina di detenuti è minuscolo con grata e rete fitta come tetto ed è quasi completamente privo di coperture in caso di pioggia.
Una guardia si è raccomandata per le restanti 23 ore di chiusura totale: "suonare solo per i farmaci" ; come ogni carcere anche questo non si smentisce, gli psicofarmaci sono l'aspetto piú diffuso elargito abbondantemente. Che mistificazione definirli medicamenti, del resto di queste menzogne o riscritture della realtà il carcere ne è pieno: gli psicofarmaci fanno parte della dimensione carcere, lavorano lentamente ma tenacemente alla dissoluzione dell'individuo.
Come a Berna anche qui c'è la possibilità di lavorare, la stessa attività alienante: assemblare le confezioni che serviranno ad ospitare gli Swatch per conto della celebre multinazionale Svizzera dell'orologeria. La paga è tipo a "cottimo" in base a quanto si "produce", in questo caso parecchie ore di lavoro giornaliero equivalgono a poco piú che il "valore" di una confezione di caffè. Infatti la maggior parte dei detenuti "non lavora per i pochi franchi ma piú che altro come passatempo"; non credo invece che la multinazionale Swatch abbia una cosí bassa considerazione di questo lavoro.
Le carceri rappresentano per molte multinazionali delle specie di isole di Sud del mondo inserite nel ricco e progredito Nord. Se infatti il Sud del mondo è da sempre per loro terra di saccheggio e sfruttamento lo è anche qualsiasi luogo dove sono presenti esclusi e sfruttati.
Sarà un caso che chi finisce dietro le mura di queste carceri sono sempre piú spesso proprio chi cerca di sfuggire a situazioni insostenibili nel proprio paese? Sfruttati invisibili nelle luccicanti metropoli occidentali finchè è possibile, dopo, magari rinchiusi: per un permesso di soggiorno scaduto o per il capriccio del politico di turno, ancora una volta peró lo sfruttamento non è finito.
Da una cartolina del Soccorso Rosso Internazionale di Zurigo vengo a sapere anche del trasferimento di Marco in un cantone piuttosto lontano. Ancora non so nulla di Silvia e Billy ma è chiaro che è in corso una dispersione in seguito alle iniziative di sciopero nostre nelle varie carceri e alle iniziative solidali messe in piedi qui in Svizzera e in Italia.
La censura non mi permette di avere moltissime informazioni su quello che si muove in giro, ma da questa agitazione in seno alla repressione sembra che le iniziative non passino inosservate.
Aldilà di questo, simili forme di rappresaglia non fermano nulla della forte solidarietà biodiversa diffusa in tante lotte e soprattutto non scoraggia sicuramente tutte quelle che verranno. Un forte abbraccio a tutte/i

Carcere di Thun, 26 ottobre
Costantino Ragusa
da informa-azione.info
***
indirizzi dei compagni anarchici ecologisti detenuti in Svizzera
Successivamente allo sciopero della fame intrapreso da Silvia, Costa, Billy e Marco tre di loro sono stati trasferiti. Non sappiamo se questi trasferimenti siano da intendere come una piccola rappresaglia dell'apparato repressivo svizzero posto di fronte alla fierezza di questi compagni, o se riguardino invece la meccanica e burocratica gestione di chi privano della libertà. Tuttavia il trasferimento di Marco verso il carcere di massima sicurezza di Orbe, senza alcun preavviso, si connota abbastanza evidentemente come vigliacco gesto di vendetta.
Di seguito gli indirizzi aggiornati dei prigionieri anarchici ecologisti detenuti in Svizzera.

Marco Camenisch, Penitencier de Bochuz, Case Postale 150 - 1350 Orbe, Switzerland
Luca Bernasconi, Regionalgefängnis Bern, Genfergasse 22 - 3001 Bern, Switzerland
Costantino Ragusa, Regionalgefängnis Thun, Allmendstr. 34 - 3600 Thun, Switzerland
Silvia Guerini, Regionalgefängnis Biel, Spitalstrasse 20 - 2502 Biel/Bienne, Switzerland

24 ottobre 2010
da informa-azione.info


Comunicato del Collettivo delle/i Prigioniere/i Politici
del Sri, Del Pce(r) e dei Grapo
Oggetto di questo comunicato é denunciare la campagna di oppressione ed eliminazione che sta mettendo in atto lo Stato fascista e terrorista spagnolo contro il collettivo dei prigionieri politici del SRI, del PCE(r) e di GRAPO.
Anche se questa situazione non é una novità (sono ormai molti anni che sopportiamo un piano minuziosamente disegnato per farci rinnegare le nostre idee democratico-rivoluzionarie e indurci ad abbandonare la nostra giusta linea di Resistenza) negli ultimi anni questa campagna si é andata incrementando in modo significativo in tutti i settori, cominciando da quello giuridico. Se da sempre denunciamo che i processi presso la Audiencia Nacional sono una vera e propria farsa, ultimamente sono stati fatti passi in avanti con una serie di montature giuridiche e poliziesche finalizzate a imporre un ergastolo di fatto a Manuel Pérez Martínez, segretario generale del PCE(r) o per condannare a un "fine pena: mai" ad altri dirigenti comunisti, come ad esempio Juan García Martín. Per trovare situazioni simili si deve tornare con la memoria all'epoca franchista, quando i tribunali militari applicavano instancabilmente le leggi per "la repressione della massoneria e dl comunismo" o quelle del "banditismo e terrorismo".
Oggi queste montature hanno luogo non solo grazie all'arsenale delle cosidette leggi "antiterrorismo" di cui si é dotato lo Stato, ma in particolare di una, la fascista "Legge dei Partiti", inventata ad hoc per criminalizzare le organizzazione della resistenza politica, come nel caso del PCE(r), della solidarietà verso i prigionieri politici (SRI) o quella di solidarietà della sinistra basca che lottano affinché si riconosca il loro programma indipendestista e il diritto all'autodterminazione del popolo basco. Non bisogna neppure dimenticare che questa legge pende come una spada di Damocle sul futuro delle organizzazioni sindacali indipendenti, su quelle dei giovani antifascisti o di qualunque altro collettivo che metta radici nel calore della lotta di classe.
Lo Stato ha la pretesa di usare i prigionieri politici che ha in ostaggio, per ricattare il movimento di resistenza organizzato. Per questo applica una politica di dispersione e isolamento, allontanandoci a centinaia di chilometri da parenti e amici e mantenendo la maggior parte di noi in un regime di assoluto isolamento.
Questa politica criminale si fa ogni giorno piú coercitiva, impedendoci di avere rapporti scritti, mettendo difficoltà e, in alcuni casi persino sopprimendo i colloqui con familiari ed amici, imponendo loro umilianti perquisizioni, ecc.
La sua sete di vendetta sembra non aver limiti: non contento di averci imposto decine di anni di galera, lo Stato fascista spagnolo si é inventato la cosiddetta "Doctrina Parot", grazie alla quale molti prigionieri politici che avevano terminato la pena sono costretti a restare in prigione. E' il caso, ad esempio, de Jaime Simón Quintel che, in carcere da oltre 25 anni, si é visto prolungare la condanna per altri dieci anni. La stessa cosa sta accadendo ai prigionieri politici gravemente malati, come Paco Cela Seoane, Laureano Ortega Ortega, Carmen Muñoz Martínez, Manuel Arango Riego, María José Baños Andujr, Isabel Aparicio Sánchez ed altri, di cui esigiamo l'immediata liberazione.
Come é logico, qualunque prigioniero desidera uscire di galera e noi non siamo un'eccezione; ma noi non siamo stati condannati per motivi personali, ma per le nostre idee e, se usciremo di galera, sarà per continuare a difendere queste idee e portare avanti i progetti democratici e rivoluzionari a causa dei quali siamo stati sbattuti in carcere. Se questo non sarà possibile, continueremo a stare qui.
Per tutto ciò, a partire dal 1° dicembre inizieremo alcune giornate di digiuno che, inizialmente, saranno tutti i martedì e i venerdì, pur avendo presente che i compagni malati e quelli che sono da oltre 20 anni in galera e che hanno partecipato a molti e lunghi scioperi della fame, potrebbero peggiorare il loro già delicato stato di salute.
Deroga della legge dei partiti!
Libertà immediata per i prigionieri gravemente malati e per quelli che hanno terminato la condanna! Riunificazione dei prigionieri del PCE(r) e dei Grapo in una stessa prigione!

Ottobre 2010


l’aquila: condannati 11 compagni per la manifestazione
del 3 giugno 2007 contro il carcere e l’art. 41-bis
Martedì 16 novembre il tribunale di L’aquila condanna 11 compagni tra Padova, Mestre, Verona e Genova ad una pena di 2 anni, attraverso l’art 414 cpp comma 3, per alcuni slogans lanciati durante la manifestazione contro il 41 bis del 3 giugno 2007 nella medesima città, corteo terminato sotto al carcere per esprimere solidarietà ai prigionieri e alla militante rivoluzionaria Nadia Lioce ivi sottoposta al regime di carcere duro!
Il Pubblico Ministero aveva fatto una richiesta di ben 5 anni!
Questa sentenza dimostra chiaramente la natura politica di questo processo, che mira ad attaccare la solidarietà di classe verso i rivoluzionari prigionieri e a dividere i compagni su un terreno di lotta in cui convergono molte realtà anche diverse tra loro. Infatti sono attualmente in corso due procedimenti processuali distinti a seconda dei capi d’accusa, per un totale complessivo di 24 denunce. Esprimiamo la nostra solidarietà ai compagni condannati. Seguiranno a breve ulteriori aggiornamenti da parte degli imputati.
La solidarietà di classe non si processa! No al 41 bis!
Solidarietà a tutti i rivoluzionari prigionieri detenuti nelle carceri imperialiste!

novembre 2010
compagne/i per la costruzione del Soccorso Rosso in Italia


Report del processo agli arrestati del 10/06/09
Seguono degli estratti quasi integrali dei resoconti relativi a tre udienze del processo ai compagni arrestati il 10 giugno 2009 diffuse dall’Assemblea contro il Carcere e la Repressione (assembleacontrolarepressione@gmail.com).

Dopo essere stati trasferiti da Siano a Viterbo per consentire loro di presenziare al processo, i compagni arrestati il 10 giugno 2009 hanno passato qualche settimana di isolamento per la ragione che nel nuovo carcere non esiste un circuito di AS2 e quindi il divieto di incontrare gli altri detenuti sarebbe stato motivo sufficiente per non uscire dalla cella. Ora, invece, gli imputati possono fare aria e socialità per un totale di sette ore al giorno, esclusivamente tra di loro.
Dopo tre udienze durante le quali si sono affrontate solo questioni procedurali e peritali, il 21 ottobre scorso il processo è entrato nel vivo delle argomentazioni con l'inizio dell'audizione dei testimoni dell'accusa.
Ma prima ancora di cominciare con le domande, i pm Amelio e Tescaroli hanno richiesto l'acquisizione agli atti della lettera in solidarietà ai prigionieri di guerra arabi uscita da Siano nell'agosto 2010, firmata tra gli altri da due degli accusati.
Le motivazioni consistono nelle parole d'ordine contro l'isolamento e la differenziazione e morte all'imperialismo e libertà ai popoli ed il fatto che alcuni degli estensori sono già stati condannati dal tribunale di Milano per 270-bis, elementi che porrebbero gli imputati colpevolmente nell'area eversiva. La corte ha rifiutato l'istanza.
L'unico teste ascoltato finora è stato Lamberto Giannini, dirigente della digos di Roma, che ha parlato per circa tre ore talmente in linea con la tesi d'accusa che non c'è stato bisogno di molte domande; si può sostanzialmente affermare che ha deposto a ruota libera. Il senso del suo intervento è stato sottolineare come questa inchiesta sia derivata dalle indagini sulle BR-PCC dell'ultimo periodo.
Sono stati utilizzati esempi e termini roboanti per delineare una continuità tra l'associazione ora sotto processo "Per il comunismo - Brigate Rosse" e le BR; sottolineando conoscenze e frequentazioni così come elaborazioni teoriche, Lamberto Giannini ha sostenuto che gli imputati si inseriscono nel solco storico della lotta armata in Italia. Il dibattimento non è sceso nei dettagli, ma si è limitato a dipingere una situazione generale e, più che altro, un'impressione ed un'interpretazione dei rapporti. Al di là della prova dei fatti, l'intenzione da parte della procura e dei suoi testi è stata inquadrare relazioni, pensieri e movimenti in un ambito rivoluzionario e quindi da reprimere.
Nell'udienza del 2 novembre è continuato l'interrogatorio di Lamberto Giannini, che ha finito di riferire in merito alle ricostruzioni dei movimenti, degli incontri e delle relazioni dei e fra i compagni. In particolare, in perfetto accordo con i pm e agevolato dall'accondiscendenza della presidentessa della Corte Anna Argento, ha dato una chiara impronta alle sua deposizione, utilizzando espressioni quali tecniche di organizzazione, incontri con precauzione, spedinamento, telefonate in codice, prese a prestito da altre inchieste o dalle dichiarazioni della sempre presente Cinzia Banelli, continuando in questo modo a percorrere la strada, già ben tracciata nella precedente udienza, di internità dei compagni alla storia della lotta armata. E questo senza poter riferire sul materiale audio dell'inchiesta, che deve essere ancora sottoposto a perizia, e per questo non dovrebbe rientrare nel dibattimento, ma da sbirro qual è ha sostituito quel contributo con la sua interpretazione, trasformando di fatto le intercettazioni in semplici orpelli che dimostrano la tesi dell'accusa. L'interrogatorio si è poi concluso con la descrizione delle armi ritrovate e con lo stato del loro funzionamento.
Il controinterrogatorio di Lamberto Giannini da parte della difesa è stato posticipato per ragioni di tempo alle prossime udienze, eccezion fatta per alcune domande da parte che hanno messo in luce la fragilità del quadro disegnato, basato anche su sottintesi considerati come certi e omissioni temporali volontarie.
Questa è stata anche l'udienza in cui si è affrontato l'attentato alla caserma Vannucci, unico reato specifico attribuito a tre dei sette compagni indagati e la cui contestazione è avvenuta solo a chiusura indagine. In merito a questa accusa sono stati sentiti per qualche ora sei testimoni. Dopo aver sentito colui che si è occupato del prelievo del DNA con metodi e parametri che sono emersi essere decisamente traballanti, i due testi successivi sono stati i paracadutisti che hanno ritrovato la borsa con il mortaio. Durante l'interrogatorio si sono contraddetti fra loro e rispetto alle dichiarazioni rilasciate subito dopo il ritrovamento fornendo di fatto un ricostruzione confusa anche rispetto alla pericolosità dell'accaduto ed in cui le distanze da poche decine di metri diventavano centinaia, mentre le borse sembrano spostarsi da sole... con disappunto, mal celato, del pm.
Il testimone successivo è stato un abitante della zona che pareva aver visto qualcuno avvicinarsi alla caserma con una bicicletta che l'accusa sostiene essere stata successivamente ritrovata nelle vicinanze.
Anche in questo caso, il teste si è contraddetto molte volte, tanto da suscitare affermazioni sarcastiche del pm e della corte quali "sembra che lei voglia accontentare chi la sta interrogando": nel giro di pochi minuti ha affermato e sconfessato elementi probanti sulla bicicletta, sul suo riconoscimento che pare non sia avvenuto direttamente, sulla persona che aveva dichiarato di aver visto e sul suo abbigliamento. È emerso il comportamento dei carabinieri di Livorno che oltre ad aver sottoposto il teste a tre interrogatori in due giorni, pare lo abbiano aiutato a ricordarsi, attraverso domande mirate, di alcuni particolari al fine di avere un quadro identificativo funzionale alle indagini. Particolari che in udienza il teste non ricordava affatto ma che grazie all'intervento del pm gli sono tornati alla memoria, per altro improvvisamente seppure in modo confuso.
È stata poi la volta del comandante dei RIS di Parma e della biologa che si sono occupati del riconoscimento del DNA trovato, così dicono, sul manubrio della bicicletta che prima di avere una paternità pare abbia fatto il giro di diverse questure ed inchieste.
La corte con i pm si sono distinti anche questa volta nella loro capacità di orchestrare il teatro processuale, pronti a recuperare ogni errore delle comparse chiamate a recitare il ruolo di testi e a trasformare ogni obiezione contro di loro in obiezione a favore, tanto da interrompere un avvocato, nel momento in cui ciò che diceva poteva diventare troppo sfavorevole, come se ci trovassimo in un gioco in cui però ci sono anni di galera in palio.
Nella prima parte dell'udienza dell'11 novembre, sono stati ascoltati due tecnici sulla dinamica esplosiva del mortaio rudimentale della Vannucci. L'interrogatorio ha voluto sottolineare la pericolosità della carica esplosiva, soprattutto se contestualizzata rispetto al luogo, ribadendo la tesi emersa durante il precedente esame di uno dei due parà: l'ordigno sarebbe stato posizionato per colpire la mensa dei sottufficiali o comunque un posto affollato, nel tentativo quindi di avallare l'imputazione di tentata strage. Nonostante la descrizione accurata da parte dei testi sia rispetto alla dinamica presunta dell'esplosione, sia rispetto ad eventuali danni che avrebbe potuto provocare una deflagrazione che comunque non è avvenuta, mancano elementi concreti per accertare gli avvenimenti di quel giorno. Non si capisce quale tipo di polvere incendiaria avrebbe causato l'innesco; non c'era il collegamento fra miccia e innesco, cosa di cui peraltro lo stesso teste si stupisce e che inficia l'elevata pericolosità dell'ordigno dal momento che, come ha sottolineato un avvocato difensore, il materiale ritrovato di per sé non era esplodente; non si conosce la reale quantità di esplosivo utilizzato e tutte le ricostruzioni effettuate si basano su ipotesi a posteriori e perciò non verificabili.
Nella seconda parte dell'udienza è proseguito il controinterrogatorio del primo dirigente della digos di Roma, Lamberto Giannini.
In questa seduta sono intervenuti gli avvocati di Costantino Virgilio, Bruno Bellomonte e Bernardino Vincenzi. Le linee difensive di ognuno sono focalizzate sulle azioni individuali e specifiche, tralasciando i comportamenti dei coimputati.
L'avvocato di Costantino Virgilio ha cercato di far puntualizzare quali tecniche di spedinamento, contropedinamento e altre simili condotte, definite dal teste come patrimonio di organizzazione, fossero state messe in pratica dal suo assistito nei casi specifici precedentemente indicati. Come era già successo nelle precedenti audizioni, si è evidenziata la necessità da parte del capo della digos romana di piegare la condotta dei singoli imputati alla coerenza della sua tesi accusatoria, con uno scarto logico che nega il valore del dato empirico; inoltre il teste ha dovuto più volte ribadire che le indagini non sono state effettuate direttamente da lui e che quindi una sua riposta a domande specifiche sarebbe stata incompleta o imprecisa, a differenza di quanto aveva testimoniato durante l'interrogatorio dei pm in cui le sue affermazioni apparivano salde e costituivano precise ed indiscutibili parti dell'indagine.
Gli avvocati di Bruno Bellomonte si sono concentrati nell'appurare alcune precedenti affermazioni del digos, importanti per la tesi accusatoria. Di fronte alle contestazioni, Lamberto Giannini ha ammesso che gli accertamenti, quando si sono svolti, non hanno dato riscontro, mentre in altre occasioni non si sono svolti, rivelando ancora l'inconsistenza di alcune sue deduzioni.
Continuando nel controinterrogatorio, il teste ha poi dovuto dichiarare che i rilievi informatici hanno dato esisto negativo e che i rapporti con alcuni personaggi noti del movimento rivoluzionario erano o inesistenti o interrotti da tempo.
È indimostrabile persino l'internità di Gigi Fallico alle BR-PCC che, sempre secondo il digos, sarebbe incerta ed indefinita, ma che era uno dei capisaldi dell'inchiesta.
Non sono mancati, infine, riferimenti a vecchissime informative, irrilevanti ai fini del processo, ma utili a dipingere il quadretto del perfetto sovversivo.
In pratica la testimonianza di Lamberto Giannini, se analizzata con puntualità, risulta avere molte falle, tanto che ha dovuto ricorre in più occasioni a battute di spirito rispetto ai loro metodi di indagine (abbiamo pensato di non chiedere direttamente a Fallico e Bellomonte che cosa stessero architettando), come se in questo modo la grossolanità delle sue affermazioni potesse passare simpaticamente inosservata, in contrasto con la serietà a cui i pm richiamano con ossessione durante i controinterrogatori della difesa e con quella verità che credono di avere in mano, incuranti della vita delle persone sotto processo.
La fragilità dell'impianto della procura è però sostenuta e puntellata dalle scelte della corte presieduta da Anna Argento che consente ampi margini di manovra all'accusa e li nega agli avvocati difensori; si direbbe che il processo è diretto dai pubblici ministeri sempre pronti a imbeccare il teste di turno o a opporsi in modo censorio alle domande della difesa, mentre il giudice annuisce.
E difficilmente potrebbe essere altrimenti perché la tesi accusatoria, se osservata in modo non parziale, mostra la sua inconsistenza e la sua natura di pregiudizio. Il senso e il tono nelle parole dei pm è che, rispetto a quello per cui gli imputati vengono processati, poco conta la concretezza della prove, quasi dimentichi delle regole del gioco che loro hanno scelto di giocare, immedesimati nel ruolo di paladini dell'ordine democratico.


Sulla scarcerazione di Angelo
Dopo tre mesi precisi di detenzione preventiva Angelo è uscito dal carcere di Siano. La decisione firmata dal g.i.p. è stata presa in quanto la misura di detenzione cautelativa massima per il 280 bis, comma 1 (atti di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi) è di tre mesi. Al di là della gioia e felicità di riabbracciare un compagno sequestrato nelle discariche della borghesia imperialista, vogliamo fare una riflessione su questa vicenda repressiva e rilanciare. Per quella che è la nostra valutazione, questa inchiesta ha fatto acqua da tutte le parti e lo dimostra il fatto che non solo Angelo sia stato scarcerato, ma anche il fatto che lo snodo principale dell’impianto accusatorio dell’inchiesta (art. 270 bis), inchiesta tra l’altro ancora in corso, sia al momento decaduto. Quindi questi moderni inquisitori viaggiano in alto mare. Aprono inchieste ovunque per fermare quello che non possono fermare: la caduta della tigre di carta! Ma è risaputo che i servi e i lacchè, fin quando i loro padroni sono in vita, rimangono fedeli ad essi.
Storicamente, da quando il modo di produzione capitalista è il modello economico dominante, i comunisti, i rivoluzionari, gli anarchici e i proletari coscienti hanno pagato anche col sangue il loro contrapporsi allo stato di cose esistenti. Questo è parte inevitabile della guerra sociale tra classi. È per questa motivazione che non abbiamo nessun intenzione di entrare solamente in semplici tecnicismi giuridici. Per quello che ci riguarda, o si sta da una parte della barricata o si sta dall’altra!
O si sta dalla parte degli sfruttati o si sta dalla parte degli sfruttatori!
Noi abbiamo già da tempo scelto e non sarà certo qualche inchiesta a fermarci!
Per l’unificazione delle lotte! Per un fronte anticapitalista unitario!
Contro la farsa elettorale costruiamo una campagna astensionista!
Contro il revisionismo ed opportunismo: rilanciare la memoria storica di classe!
A fianco dei nostri prigionieri e prigioniere sequestrati nelle carceri della borghesia imperialista! Rilanciamo attraverso le lotte la solidarietà internazionalista!

novembre 2010
Comitato contro la repressione Roma


Una storia già scritta?
Alcune note sul processo agli anarchici salentini
L’idea e la legge, la passione e la quiete sociale.
Spesso in questa storia vi sono state forti contrapposizioni tra chi professava liberamente le proprie idee, e chi tentava di reprimerle; tra chi si batteva con determinazione perché degli individui stranieri non fossero reclusi, solo per non avere un documento in regola, e chi invece sbandierava quella reclusione come mezzo per ottenere più sicurezza. Da un lato gli anarchici, dall’altro la polizia, la magistratura, la Chiesa, che gestiva un Cpt, giornali e politici vari. Eppure questo, non può che essere un quadro riduttivo di ciò che vi è stato e vi è in gioco.
Nel marzo 2005 il Centro di Permanenza Temporanea per stranieri irregolari gestito dalla curia leccese chiude definitivamente. Gli ultimi anni della sua esistenza hanno visto in continuazione scioperi, rivolte, fughe da parte degli immigrati all’interno. All’esterno l’opposizione tenace da parte di alcuni anarchici e la contestazione di altri gruppi. Nello stesso tempo diventa di pubblico dominio, la gestione violenta ad opera del direttore Don Cesare Lodeserto, di alcuni suoi collaboratori e dei carabinieri all’interno.
Lodeserto viene arrestato e poi condannato, tra le altre cose, per violenza privata e sequestro di persona. Ma lo Stato non poteva permettere di processare se stesso e i suoi amici e lasciare liberi i suoi più acerrimi nemici. Così, nel maggio 2005, anche alcuni anarchici vengono arrestati con l’accusa di associazione sovversiva e molti altri inquisiti. Dopo una lunga detenzione quattro anarchici vengono condannati per associazione a delinquere, altri tre per reati minori. In otto vengono completamente assolti. Le condanne sono pesanti ma i compagni sono ormai liberi e continuano ad occuparsi dei loro interessi. Cala il silenzio su tutta la vicenda, compresi i vari processi di Lodeserto e company. Intanto i Cpt vengono trasformati in Centri di Identificazione ed Espulsione, le carrette del mare vengono subito rimandate indietro verso altri lager, la caccia allo straniero e al diverso diventa sempre più cavallo di battaglia delle politiche securitarie e xenofobe dei governi che si succedono. I Cie divengono un meccanismo fondamentale per il potere, per gestire con la reclusione e la repressione sia una manodopera ricattabile e in eccesso (gli stranieri irregolari), sia per contenere un’umanità indesiderata.
A Lecce di tutto questo si rincorrono gli echi, fino a che non ricominciano gli sbarchi dei disperati stranieri che riportano in auge la questione. Ma non è certo quest’ultimo aspetto ad essere determinante per i giudici che il 9 dicembre emetteranno la sentenza d’Appello nei confronti degli anarchici sotto processo. Molto altro forse si muove sotto e al di là di questo processo, almeno tenendo conto della modalità con cui si è svolto. Il primo presidente, dopo aver rinviato per varie udienze, ha chiaramente manifestato l’intenzione di non voler andare avanti e passare ad altri la patata bollente. Il secondo ha rinviato per tre volte la sentenza, assumendo pretesti alquanto “anomali” per la procedura corrente.
Il motivo non è facile da individuare ma potrebbe essere cercato nella volontà di peggiorare la condanna di primo grado a carico dei compagni. Se i Cie sono così importanti per il dominio, e lo sono, condannare pesantemente chi ad essi si è opposto duramente, può essere da monito per chi continua a portare avanti queste lotte. D’altro canto i Cie rappresentano una spina nel fianco, date le numerose proteste che si ripetono all’interno e all’esterno sia in Italia che nel resto del mondo. La storia di un ex Cpt, definitivamente chiuso, come di un Cie che brucia, non sono buona propaganda per gli Stati. E poi vi sono le questioni locali. Il potere e l’immagine della curia leccese offuscato da tutta la vicenda. L’influenza e la affiliazione dei suoi uomini con personaggi politici molto potenti a livello istituzionale (come può essere un Sottosegretario all’Interno). Una procura assetata di vendetta verso alcuni amanti della libertà. La necessità di reprimere chiunque non si adegui alle regole. La fine della storia? Si vedrà! Per il momento possiamo solo dire che circostanze e personaggi non sono puramente casuali, ma si possono trovare in qualunque storia in cui l’autorità si scontri con l’autodeterminazione di chi non chiude gli occhi di fronte all’oppressione e all’ingiustizia. In gioco non vi è solo la repressione di qualcuno, ma la maggiore libertà per tutti.

19 ottobre 2010
Alcuni anarchici
peggio2008@yahoo.it


Firenze: Sulle indagini per l'Associazione a Delinquere
Associazione a delinquere con finalità eversive. E' questa l'accusa che, a partire da alcune informative della Digos, viene rivolta ad alcuni dei nostri compagni e non solo. L'indagine va avanti già da sei mesi, ma il PM Coletta ha chiesto la proroga di altri mesi per la conclusione delle indagini nei confronti di sei degli indagati. Associazione a delinquere, per dei reati specifici che non vanno oltre il danneggiamento, l'oltraggio a pubblico ufficiale e la manifestazione non autorizzata.
Di questo siamo venuti a conoscenza solo oggi, con la prima notifica della richiesta di proroga delle indagini, accompagnata dal recapito di svariate denunce "creative", in cui in più di un caso viene contestata la partecipazione a tafferugli semplicemente mai verificatisi nella date in questione.
Loro la chiamano associazione a delinquere, noi diciamo: montatura giudiziaria!
Montatura giudiziaria ridicola quanto preoccupante. Ridicola per l'evidente inconsistenza del capo d'accusa. Preoccupante perchè è con indagini del genere che, se da un lato si cercano forzate scorciatoie giudiziarie per colpire i compagni attivi in città, dall'altro si punta a formalizzare la criminalizzazione delle lotte politiche e sociali e di chi ne è protagonista nelle scuole, nelle università, in città.
Non possiamo non renderci conto di come indagini come queste non siano riducibili a mere trovate originali della Digos locale, ma rispondono ad un chiaro progetto nazionale che vuole stringere la morsa intorno ai movimenti. Non è semplicemente la "repressione" ad avanzare, ma il conflitto sociale che, purtroppo, da molto tempo continua a vedere stato e padroni all'attacco. E' per questo che vogliamo denunciare la repressione, moltiplicare e rafforzare gli strumenti di autodifesa, ma soprattutto da subito ripensare e rilanciare un iniziativa politica autonoma che attorno all'oggettività dei bisogni ricomponga un opposizione sociale capace di resistere e passare al contro-attacco.
La crisi incalza, e i padroni, che seppure fino ad ora siano riusciti ad uscirne rafforzati sotto molti profili, usandola a pretesto per sacrifici e ancora sacrifici, iniziano ad aver paura che la Francia possa ben presto passare le alpi e la rabbia esploda anche da queste parti.
Ecco. Rilanciare l'iniziativa politica su questo terreno crediamo sia la prima necessaria e significativa risposta da dare! Non c'è tempo per il vittimismo, né possiamo permetterci una "lotta alla repressione" come rapporto conflittuale, ma privato, con lo stato.
Rompere l'isolamento in cui vogliono ghettizzarci, riuscire a farsi interpreti di una realtà sociale che manifesta sempre più potenzialità conflittuale nei confronti di un economia devastatrice (socialmente ed ecologicamente) e di una casta politica fatta di bunga-bunga e unità generale di intenti da destra a sinistra: usare la crisi per buttarlo (ancora di più) a quel servizio ai lavoratori, agli studenti, ai proletari. Questa è la sfida.

9 novembre 2010
I/le compagni/e dello Spazio Liberato 400Colpi
da informa-azione.info


firenze: Giustizia non è fatta
Non conosciamo ancora le motivazioni della sentenza che porta alla prescrizione del reato contestato per il riconoscimento delle attenuanti, previste dal nostro ordinamento, per tutti e 13 i condannati per il processo del 13 maggio 99. Potremmo definire tutto questo una sorta "di macchine indietro" da parte dell'apparato repressivo nei confronti dei manifestanti, un passo indietro nella volontà punitiva dello stato, essenza stessa del processo politico. Ma questo non può bastare e non ci è sufficiente.
Sicuramente un nostro riconoscimento sincero va alla solidarietà manifestata da tanti, ed a coloro che si sono esposti e hanno fatto propria la costruzione della solidarietà, stanando quella indifferenza o paura che ha contraddistinto negli ultimi anni le reazioni davanti agli attacchi repressivi e a questo processo.
Ma, aspettando comunque le motivazioni della sentenza, niente è cambiato nella sostanza della sentenza di primo grado. I manifestanti sono riconosciuti colpevoli del reato di resistenza.
I veri colpevoli di quelle cariche, dei pestaggi, dei feriti, gli stessi colpevoli della guerra nella ex-Jugoslavia, sono anche stavolta rimasti impuniti. Non cambia la costruzione dei fatti, la scarsa attendibilità dei testimoni a difesa, mentre rimane invariata la ricostruzione e la campagna successiva orchestrata da questura e procura.
Questo vorremmo che a tutti rimanesse ben chiaro. Non è stato un fatto un passo indietro su questo. La guerra e le conseguenze sul livello repressivo interno rimangono l'elemento cardine di questo processo. La tanto declamata giustizia, legalità non ha "trionfato" neanche stavolta. Semplice casualità o condizione strutturale di questo sistema?
Ci preme che quanto è maturato nella solidarietà non vado disperso con la fine di questo processo. Che questa sia sempre e comunque presente davanti ai processi e alle denunce degli studenti, alle angherie dei loro presidi che assumono il ruolo di agenti investigativi operando vergognose pressioni nei loro confronti; a coloro che per l'antifascismo verranno processati nei giorni a venire; a tutti/e coloro che si opporranno nella pratica ai divieti di piazze e strade rivendicando il loro pieno diritto a manifestare; a coloro che solo perchè immigrati vengono rinchiusi per mesi.
Certo festeggeremo, ma nel bene o nel male non dimenticheremo niente.

novembre 2010
Centro Popolare Autogestito Firenze sud
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Dalla parte di chi si ribella. Sempre!
Dopo qualche mese dall'uscita di Joy dal circuito Cie-carcere-Cie, ci siamo incontrate all'interno dell'appuntamento nazionale di Torino contro i Cie e le espulsioni (21-24 ottobre) per confrontarci tra compagne provenienti da varie città sul proseguimento della lotta contro i lager della democrazia.
L'imminente scadenza del 2 dicembre, giorno fissato per l'udienza preliminare dell'ispettore capo di polizia Vittorio Addesso (alle ore 12), ci ha trovate ancora una volta unanimi nel rifiutarci di delegare allo Stato e ai suoi tribunali l'accertamento di una verità che già da un anno andiamo ribadendo: nei Cie la polizia stupra.
Una verità che è emersa non appena la legge Turco-Napolitano ha creato i Cpt, nel 1998. La quotidianità di ricatti sessuali e stupri contro le donne immigrate da parte di uomini in divisa dentro e fuori i lager della democrazia è, per noi, un dato di fatto. Come è un dato di fatto il sistema di connivenze che garantisce a questi aguzzini la licenza di fare ciò che vogliono dei corpi di uomini e donne reclusi nei Cie e in ogni altra istituzione totale.
I Vittorio Addesso possono esistere perché ci sono magistrati che denunciano le donne che, come Joy ed Hellen, hanno il coraggio di rompere il silenzio. Ricordiamo, infatti, che Antonella Lai, in qualità di giudice del processo contro le/i rivoltose/i di Corelli, in sentenza ha disposto la trasmissione degli atti alla procura per il reato di calunnia contro le due ragazze nigeriane.
I Vittorio Addesso possono esistere perché ci sono quelli che, come Massimo Chiodini, responsabile della Croce Rossa nel lager di Corelli, pur di garantirsi lauti profitti sono disposti a testimoniare il falso e a coprire gli abusi. Ma d'altronde che aspettarsi da chi ha scelto di ingrassare il proprio portafogli lavorando per gli enti gestori dei Cie? Che si chiami Croce Rossa o Lega Coop per noi non fa alcuna differenza, e ci fa lo stesso schifo.
I Vittorio Addesso possono esistere perché sanno che questori come Vincenzo Indolfi - ex questore di Milano, recentemente promosso a prefetto con funzione di ispettore generale di amministrazione del consiglio dei ministri - e ministri come Roberto Maroni faranno di tutto per espellere quell'immigrata che osi denunciare un poliziotto per violenza sessuale nel Cie.
Le continue ribellioni e fughe dai lager della democrazia dimostrano una sola cosa: i Cie vanno chiusi senza se e senza ma. Di quei luoghi non possono che rimanere macerie, per ricordare che per creare tali abominii non c'è bisogno di un regime nazista ma è sufficiente la logica disumanizzante dello sfruttamento di donne e uomini.
Non intendiamo essere complici di uno Stato che, dopo aver fatto di tutto per chiudere la bocca ad una donna che ha avuto il coraggio di ribellarsi contro il suo aguzzino, ancora una volta utilizzerà la logica ipocrita delle "mele marce" per farsi garante della giustizia.
Marcio, per noi, è tutto il sistema: chi costruisce i Cie, chi li gestisce, chi deporta donne e uomini immigrati e rom, chi discrimina a colpi di leggi, chi sfrutta lavoratori e lavoratrici, chi fa della sicurezza un'arma di comando e controllo, chi usa gli stupri per criminalizzare in base al passaporto e tace sulle violenze quotidiane che avvengono nella "sacra famiglia", chi condanna le donne che reagiscono, senza delegare, a vessazioni e violenze.
Siamo dalla parte di chi si ribella, perché anche noi ci ribelliamo quotidianamente.
Non ci interessano i rituali e le ipocrisie di chi si dichiara contro la violenza sulle donne e poi distingue o strumentalizza in base alle proprie convenienze.
Il 25 novembre 2009, quando ci siamo mobilitate contro i Cie in diverse città in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a Milano la polizia caricò con violenza e ripetutamente il presidio in piazzale Cadorna perché uno degli striscioni esposti diceva a chiare lettere che "Nei centri di detenzione per immigrati la polizia stupra". Quelle cariche avevano, da parte della questura milanese, il chiaro obiettivo di stroncare sul nascere lo smascheramento di connivenze e coperture sulle violenze sessuali nei Cie. Di molestie e stupri nei Cie non si doveva parlare, perché questo avrebbe aperto un varco nella cloaca del dispositivo. Ma il poliziesco atto di forza in piazzale Cadorna si palesò immediatamente per quanto era in realtà: un grande atto di debolezza e paura nei confronti di pratiche ed enunciati che andavano formandosi.
Nei mesi successivi intimidazioni e denunce si sono susseguite nei vari territori contro chi andava ribadendo la realtà della violenza quotidiana nei lager della democrazia, in particolare contro le donne immigrate. Tutto questo non ci ha fatte arretrare di un passo!
Ad un anno di distanza proponiamo che il prossimo 25 novembre sia l'inizio di una settimana di lotta contro i Cie come luoghi di sopruso ed abominio, dove la violenza di genere è pratica quotidiana, una lotta che ciascuna realtà declinerà come vuole nel territorio in cui agisce per poi convergere a Milano il 2 dicembre in un presidio sotto al tribunale, consapevoli di non essere lì per sostenere una "vittima", ma una donna che si è ribellata alla violenza di un uomo - di un uomo in divisa.
E non sarà che un nuovo inizio… Tutte quelle che non intendono essere complici

3 novembre 2010
da noinonsiamocomplici.noblogs.org


Il Ministero degli Interni risarcisce la famiglia Aldrovandi
La notizia è rimbalzata sui vari media nazionali: la famiglia di Federico Aldrovandi, il diciottenne massacrato da quattro poliziotti la notte del 25 settembre 2005, in via Ippodromo a Ferrara, ha accettato il risarcimento di 2 milioni di euro da parte del Ministero degli Interni, a patto che la stessa famiglia non si costituisca più come parte civile ai processi che riguardano la vicenda.
In definitiva, il prossimo processo di Appello, che vede imputati i quattro sbirri, si terrà senza la parte civile, la quale non potrà presenziare come parte in causa, né fare domande o avere suoi avvocati in aula di tribunale.
Un ricatto inaccettabile, che la famiglia ha invece accettato. Una sorta di compravendita del silenzio.
Si è addotta come motivazione la sensibilità del Ministero, che avrebbe, con questo atto e secondo un'interpretazione forzata, ammesso la colpa e gli errori della polizia. Come se di errori dovessimo parlare!
La realtà è sotto gli occhi di tutti e non servirebbe ricordare come gli omicidi da parte degli apparati statali si avvicendino con scadenza regolare. Chi volesse fare una ricerca seria, si accorgerebbe dei tanti ammazzati, dei tanti soprusi, delle tante vigliaccherie poste in essere da questi paladini dell'ordine.
Senza scadere nel giudizio della somma pattuita, poiché pensiamo che la vita di un individuo non abbia prezzo, sentiamo il dovere, come anarchici e ancor prima come persone, di fare una nostra analisi.
Se non stupisce, da parte statale, la volontà di chiudere del tutto con una vicenda che ha creato una frattura tra società ed istituzioni, stupisce, invece, la decisione di chi, fino ad ora, pur con tutte le contraddizioni del caso, si era battuto per riaffermare una verità oltre misura taciuta.
Abbiamo assistito, nei vari anni seguiti all'omicidio, ad insabbiamenti, coperture, intimidazioni agli amici e alla famiglia, prese di posizione di sindacati di categoria e colleghi a favore degli imputati, addirittura a regolamenti interni alla Questura ferrarese (un ispettore capo della Digos ha persino denunciato pubblicamente l'omertà e le minacce che ha ricevuto dai colleghi per il solo fatto di essere amico della famiglia). Ora sembra giunto il tempo per cui si deve dimenticare, si deve far finta che nulla sia accaduto quella notte del 25 settembre 2005. Bene, noi non dimentichiamo; gli anarchici non archiviano!
La nuova associazione "parenti e amici delle vittime delle forze dell'ordine", che alcuni famigliari vogliono far nascere, a seguito delle tante morti (non) sospette dei loro cari ad opera dei santi in divisa, dovrebbe partire da questo: una totale consapevolezza del ruolo delle forze di polizia.
Speriamo si vogliano fare i nomi dei responsabili, organizzare una qualche forma di protesta non addomesticata dalle dinamiche istituzionali, predisporre statistiche accurate delle tante vittime (non solo dei morti) di carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie, polizia municipale (anche loro hanno le loro vittime!), finanzieri, soldati.
Fornire un quadro d'insieme sulla violenza statale significa andare oltre ai singoli episodi.
Certo, l'associazione non parte benissimo se, al limite della decenza, la sorella di Stefano Cucchi, il ragazzo prima pestato da solerti guardie carcerarie e poi lasciato crepare in una stanza d'ospedale senza nessuna cura, è andata a tenere una conferenza, con tanto di foto in locandina del fratello ucciso, in una sede romana di Casapound Italia, associazione di estrema destra, vicina ai gruppi neo-nazi, che se avessero potuto avrebbero linciato il "tossico" Stefano.
Come parlare di libertà e giustizia con degli strenui difensori dell'oltranzismo fascista?
E, sempre per restare nell'ambito della costituenda associazione, come vedere di buon occhio le iniziative concertate con le istituzioni, come quella svoltasi al teatro Boldini di Ferrara in Ottobre, in occasione della proiezione del film su Federico "è stato morto un ragazzo", dove oltre al Sindaco della città, che ha preso la parola per spandere un mare di ovvietà preconfezionate, si è assistito alla vergogna del Questore in prima fila, a rubare la poltrona a chi era interessato veramente?
Noi siamo disposti sempre ad avere un'apertura mentale su ogni cosa, ma questa, davvero, non la capiamo.

15 ottobre 2010
Anarchici ferraresi
da informa-azione.info


catanzaro: TENTATO OMICIDIO AI DANNI DI UN COMPAGNO
Il Collettivo Riscossa intende ricostruire e fare chiarezza su quanto accaduto lo scorso sabato 30 ottobre nelle adiacenze della nostra sede, luogo in cui si sono verificate due vili aggressioni fasciste con il conseguente tentato omicidio di un nostro compagno.
Era in corso un’iniziativa pubblica per la presentazione di una rivista di controinformazione. Intorno alle 21.30 abbiamo notato dalla finestra un gruppetto di fascisti che ha iniziato a provocarci con cori, insulti e minacce. Alle nostre rimostranze verbali il gruppetto fascista ha iniziato ad avvicinarsi, scagliando un mattone verso una finestra, dietro la quale si trovavano due ragazze facilmente visibili dall’esterno, rompendone pericolosamente i vetri. L’aggressione è continuata con il tentativo, fallito, di assaltare i locali della nostra sede. Nonostante l’accaduto, una volta dileguatisi i fascisti, si è deciso di portare a termine l’iniziativa prevista.
Trascorse circa un paio d’ore però, abbiamo notato che nuovamente, il gruppo di fascisti, questa volta più numeroso, si stava avvicinando minacciosamente all’ingresso della nostra sede. Siamo usciti dicendo loro di allontanarsi anche per non arrecare ulteriore disturbo alle famiglie del vicinato. Al che è seguita una nuova aggressione nel corso della quale uno dei componenti del gruppo ha estratto dalla tasca un coltello e con estrema lucidità e determinazione ha colpito il nostro compagno con due fendenti alla schiena. Quanto verificatosi è stato tanto repentino quanto premeditato, tant’è che subito dopo il vile gesto, il gruppo, ricompattatosi, ha iniziato immediatamente ad allontanarsi. Abbiamo subito portato il nostro compagno al pronto soccorso. Una volta giunti li siamo stati tempestati dalle domande da parte di agenti della polizia, che anziché identificare gli aggressori, ha identificato gli aggrediti! Dopodiché, la stessa polizia, ha deciso di perquisire la nostra sede alla ricerca di “armi ed esplosivi”, perquisizione che si è conclusa con il sequestro di una vecchia piccola falce ormai arrugginita, da noi conservata in quanto simbolo della tradizione e delle lotte del movimento operaio e contadino. E anche in questo caso, anziché ricercare altrove la lama che aveva ferito il nostro compagno, la loro attenzione si è concentrata su quel vecchio attrezzo agricolo, per il quale siamo stati denunciati per “detenzione illegale di arma bianca”. La perquisizione è durata circa due ore. Subito dopo siamo stati forzatamente trasferiti in questura per un “interrogatorio”, o meglio per rendere sommarie informazioni, durato quasi fino alle 8 del mattino.
Il nostro compagno accoltellato è stato operato d’urgenza per le gravi ferite riportate, ferite che, solo per un fortuito caso, non hanno avuto conseguenze irreversibili.
Non è più ammissibile che simili episodi possano essere considerati semplici risse del sabato sera o guerre fra bande. Ricordiamo che i fascisti in città hanno già provocato numerose aggressioni nel corso degli ultimi anni, sfociate in episodi di violenza e intolleranza razziale e politica, rimasti a tutt’oggi impuniti anche per il silenzio delle istituzioni. Invitiamo pertanto la cittadinanza tutta a vigilare e a mobilitarsi per impedire che simili spregevoli e gravi fatti non abbiano più a ripetersi.

31 ottobre 2010
Collettivo Riscossa - Catanzaro
da calabria.indymedia.org

***
catanzaro: MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA
Nella notte dello scorso 30 Ottobre si è verificata, in pieno centro cittadino, una terribile aggressione ai danni dei ragazzi del Collettivo Riscossa, che solo per un colpo di fortuna non ha avuto esiti tragici. Un ragazzo di 27 anni, colpito da due fendenti alla schiena è finito in ospedale rischiando di perdere la vita.
Vorremmo scrivere che si tratta di un avvenimento isolato e inspiegabile, e invece è solo l'ultimo atto di una lunga scia di violenze neofasciste che ha condotto alla devastazione delle sedi del Pdci e del PRC, ad atti di spregio nei confronti della rappresentanza diplomatica del Marocco, all'aggressione feroce e indiscriminata nei confronti dei pacifici cittadini che festeggiavano il 25 aprile, alla deturpazione con una svastica della targa in ricordo di Malacaria e a una miriade di piccoli atti di intimidazione.
L'incrocio tra teppismo di strada, neofascismo e la volontà di uccidere che si cela dietro la coltellata sferrata contro un giovane colpevole solo delle proprie idee determina una salto di qualità che deve preoccupare l'intera città, a prescindere da qualsiasi appartenenza politica. Sono in gioco, come è evidente, le condizioni minime del vivere democratico, la sicurezza dei cittadini, i valori irrinunciabili della tolleranza, del dialogo, della libertà di esprimere il proprio pensiero.
Per questo chiediamo a tutta la cittadinanza di non sottovalutare quello che è accaduto, nel recente passato, e di nuovo sabato 30 Ottobre e di reagire alla prepotenza di chi pretende di imporre le proprie idee a colpi di spranghe, coltelli e minacce. Manifestiamo in ogni forma possibile il rifiuto della violenza fascista e la solidarietà agli aggrediti.
In questi giorni abbiamo voluto realizzare una serie di iniziative volte a tenere alta l'attenzione della politica, delle istituzioni, dei cittadini, della società civile, per ribadire con forza il valore costituzionale dell'antifascismo.
Se è in gioco la libertà e la democrazia non si possono avere tentennamenti e non si può avere paura.
Con questa finalità nasce il Coordinamento Catanzaro Antifascista, che tra le tante iniziative volte a sensibilizzare la cittadinanza tutta sui gravi fatti avvenuti, ora, annuncia per Sabato 20 Novembre una manifestazione antifascista nella città di Catanzaro. Sono variegate le forze politiche e sociali, le associazioni, esponenti della società civile, liberi cittadini che hanno già pubblicamente aderito alla Manifestazione del prossimo 20 Novembre.
Per non vivere in una città dove si rischia la vita per le proprie idee,
per non continuare a subire soprusi e minacce,
per non rinunciare alla libertà,
per dire no alla violenza neofascista,
per dire no al fascismo.
Aderisci anche tu. SABATO 20 NOVEMBRE 2010
MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA

Coordinamento Catanzaro Antifascista
riscossa_cz@hotmail.com


brescia: NESSUNA PERSONA E' ILLEGALE!
DATECI IL PERMESSO DI SOGGIORNO O RIDATECI I NOSTRI SOLDI!
Nel settembre 2009 a Brescia come in tutta Italia migliaia di immigrati hanno fatto domanda di regolarizzazione attraverso la sanatoria colf e badanti, la prima e la sola che il governo abbia aperto da tantissimo tempo. Oggi, dopo più di un anno, delle 11.300 richieste di permesso di soggiorno presentate a Brescia oltre mille sono state respinte dalla questura, altre 4 mila rischiano di fare la stessa fine. Questo soprattutto perché molte fra le persone che hanno fatto la domanda di sanatoria, negli anni precedenti, pur non avendo commesso alcun reato, avevano subito una condanna per clandestinità in seguito ad un normale controllo di polizia dal quale erano risultati privi di permesso di soggiorno.
Al momento della presentazione delle domande (settembre 2009) il ministero degli interni aveva comunicato che tale condanna non impediva di regolarizzarsi. Ma poi, mesi dopo (marzo 2010), lo stesso ministero ha cambiato idea ed ha ordinato a questure e prefetture di respingere le domande di chi aveva condanne anche solo per clandestinità. Come dire: chi è irregolare non può ottenere la sanatoria. Anche se questa serve proprio a regolarizzare gli irregolari! Un evidente controsenso! Ma non solo: se si tiene conto che il presentare le domande di sanatoria è stato molto costoso per i richiedenti e molto conveniente per le casse dello Stato (fra tasse e contributi Inps centinaia di milioni di euro sono passati dalle tasche dei migranti alle casse dello Stato) e che l'assurdo cambio delle regole della sanatoria è avvenuto quando le domande erano già state presentate, è chiaro che siamo di fronte a una vera e propria truffa, fatta dallo Stato e dal governo a danno dei più deboli fra gli ultimi: gli immigrati cosiddetti clandestini.
Da più di venti giorni a Brescia gli immigrati che stanno ricevendo risposta negativa alla loro richiesta di regolarizzazione hanno scelto di cominciare a lottare, con manifestazioni e un presidio permanente davanti alla Prefettura (in via lupi di Toscana), presidio che sta proseguendo nonostante un tentativo di sgombero fatto dalla polizia. Oggi il presidio si trova sotto la costante minaccia di sgombero da parte dell'amministrazione comunale nonostante una regolare richiesta di occupazione di suolo pubblico. La minaccia di sgombero è un fatto gravissimo, la giunta Paroli-Rolfi nega gli spazi democratici, di libertà e di espressione; vuole impedire ai lavoratori migranti di protestare per i loro diritti: è come se si impedisse il presidio dei lavoratori dell'Ideal Standard, della Federal Mogul o di altre fabbriche in crisi. Difendere il presidio significa difendere principi di libertà da una giunta autoritaria.
Vogliono ottenere rispetto e giustizia. Vogliono ottenere il permesso di soggiorno. Per non essere condannati ad un destino di clandestinità e di ricatti. Per la sicurezza, loro e di tutti i cittadini. Una lotta che da Brescia ora comincia ad estendersi ad altre città italiane.
I migranti senza diritti e senza permesso di soggiorno sono anzitutto manodopera a bassissimo costo da sfruttare nel lavoro, a discapito loro e di tutti. La negazione dei diritti dei migranti è solo uno strumento e una parte dell'attacco in atto contro i diritti di tutti i cittadini, i lavoratori, gli studenti, gli uomini e le donne italiani e immigrati.
Insieme a industriali, banche, grandi speculatori - coloro che dopo aver guadagnato per decenni enormi profitti hanno causato la gravissima crisi economica e sociale tuttora in corso - i governanti stanno usando proprio la crisi come ricatto per imporre la legge del più forte, per annullare i diritti sociali e del lavoro, per smantellare servizi e beni comuni fondamentali come la
scuola, l'università, la sanità, impadronendosene e privatizzandoli. Precarietà, perdita del lavoro, sfratti stanno diventando anche a Brescia la realtà di vita di migliaia di persone e famiglie. LA CRISI SE LA PAGHI CHI L'HA PROVOCATA!
Lavoratori e cittadini italiani e migranti, regolari e irregolari, hanno da condividere lo stesso fronte di lotta, contro la precarietà e per i diritti.
MANIFESTAZIONE SABATO 30 OTTOBRE dalle ore 15 - Piazza Loggia

Presidio permanente di via Lupi di Toscana

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Brescia: giù dalla gru. L'assedio, la trattativa, la deportazione, la dignità
Arun, Sajad, Jimi e Rachid decidono di scendere dalla gru dove erano saliti dal 30 ottobre. Sono le otto e mezza di lunedì 15 novembre: la pioggia, impietosa, scroscia da ore. Le prime parole di Arun sono per gli egiziani deportati quello stesso giorno: "non abbiamo fatto nulla per loro, abbiamo fallito". Dignità e forza nelle parole di un uomo rimasto su quella gru per 17 giorni, mentre l'assedio si stringeva, sotto la pioggia, al freddo, per 48 ore senza cibo né acqua. Facciamo un passo indietro.
Sabato 13 novembre. L'indiano Kuldip Singh, il primo dei sei immigrati a scendere dalla gru, processato per direttissima e condannato a sei mesi perché "clandestino", inizialmente scomparso, "riemerge" e fa pubblica abiura, chiedendo agli altri di cessare la protesta. Seduto a fianco del questore, Singh recita la parte che gli viene richiesta. In cambio avrà il rinvio dell'espulsione per motivi di "giustizia". Il ministero dell'Interno non si accontenta di botte, denunce e deportazioni, vuole mettere in ginocchio chi resiste perché non sia d'esempio ai tanti lavoratori immigrati piegati dalla schiavitù legale imposta dal nostro ordinamento. Quello stesso giorno il corteo degli antifascisti, giunto sotto la gru, viene caricato dopo aver cercato di forzare il blocco che impediva il passaggio di cibo e viveri ai ragazzi sotto assedio.
Brescia, domenica 14 novembre. Si stringe il cerchio intorno ai quattro sulla gru. La questura prova a fiaccarne la resistenza, alternando lusinghe e minacce, cercando di prenderli per fame e per sete. Cgil, Cisl, Curia e IDV costituiscono un tavolo di mediazione per convincerli a scendere. I quattro accettano di trattare ma ammoniscono "Non portate via i ragazzi rinchiusi nei Cie altrimenti ci arrabbiamo". Solo in tarda serata, dopo lunga trattativa, finisce la tortura: roba da bere e da mangiare sale sulla gru.
Torino, lunedì 15 novembre. Sei egiziani, rastrellati dalla polizia durante le cariche dell'8 novembre sotto la gru e poi rinchiusi nel CIE di corso Brunelleschi a Torino, vengono condotti all'aeroporto di Malpensa e deportati in Egitto con un volo Egypt Air. Stessa sorte capita a quelli rinchiusi nel Centro di via Corelli a Milano. Per ore si susseguono false notizie sulla deportazione degli egiziani, più volte confermata e smentita. Un gruppo di antirazzisti monitora l'ingresso del CIE di Torino per l'intera mattinata.
Milano, lunedì 15 novembre. Intorno a mezzogiorno antirazzisti ed immigrati protestano davanti al consolato egiziano, perché il governo di quel paese ha dato il nulla osta alle deportazioni, dichiarando che gli immigrati in lotta a Brescia erano "una vergogna ed un disonore per il paese".
Due attivisti bresciani diretti in prefettura a Milano per tentare di impedire la deportazione degli egiziani vengono fermati e condotti in questura. Uno dei due, Mohamed detto "Mimmo", viene trattenuto e forse rinchiuso nel CIE: la sua domanda di regolarizzazione è stata respinta.
Brescia, lunedì 15 novembre. La trattativa va avanti per l'intera giornata: i ragazzi non si fidano e, anche se sono stremati, discutono tutto il giorno. Scendono tra gli applausi della gente del presidio intorno alle otto e mezza di sera. Accanto a loro non vogliono che gli avvocati e chi li ha appoggiati in questo lungo novembre. Politici e mediatori sono tenuti a distanza. Rachid finisce in osservazione in ospedale perché disidratato: di acqua lassù non è mai arrivata a sufficienza. In questura Jimi e Arun vengono identificati e poi rilasciati: per loro si prospetta un permesso per motivi di "giustizia". Ancora non sappiamo se la questura rispetterà gli impegni liberando anche Sajad e Rachid.
Termina così la lunga resistenza sulla gru.
Il governo ha caricato, arrestato, picchiato, deportato i migranti in lotta e chi li ha sostenuti. Chi si batte per la dignità e la libertà fa paura. Fa paura lo schiavo che alza la testa, che dice no, che resiste per se e per tutti. Non finisce qui: da ogni dove arrivano segnali di lotta. Non è che l'inizio.

17 novembre 2010
da senzafrontiere.noblogs.org

Giovedì 18 novembre Mimmo verrà prelevato dal CIE di via Corelli e deportato in Egitto con un volo della compagnia di bandiera egiziana; in Egitto verrà rinchiuso in carcere e trattenuto prigioniero fino a domenica 21 novembre, ora finalmente Mimmo è libero, a lui e a tutti gli altri deportati va tutta la nostra solidarietà.

***
brescia: LA POLIZIA CARICA IL CORTEO, NOVE IMMIGRATI SALGONO SU UNA GRU
Cariche di polizia e carabinieri contro il corteo degli immigrati e degli antirazzisti in Via S Faustino per impedire alla manifestazione di raggiungere piazza Cesare Battisti dove 9 immigrati sono saliti sulla gru del cantiere della
metropolitana. La giunta comunale aveva vietato la manifestazione con una decisione liberticida utilizzando come pretesto una adunata degli alpini che si svolgeva in un'altra zona del centro storico. Oltre un migliaio di persone, nonostante una pesantissima militarizzazione dell'intera zona, si sono concentrate in piazza Rovetta e verso le 15,45 si sono dirette verso piazza cesare battisti. All'altezza di via S. faustino uno schieramento di carabinieri e celerini del reparto di Padova ha bloccato la strada: qui sono avvenuti gli scontri, una decina di compagni e immigrati sono rimasti contusi e Sauro, un compagno di Sinistra Critica e collaboratore di radio onda d'urto, é stato arrestato; un compagno del coordinamento immigrati CGIL ha dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso. A Sauro é stato confermato l'arresto ma é stato rilasciato dopo forti pressioni dei manifestanti: sarà processato per direttissima martedì mattina. I 9 immigrati sulla gru, rappresentanti delle comunità egiziana, senegalese, indiana, pachistana e marocchina, hanno dichiarato che non scenderanno se non sarà aperta una trattativa a livello nazionale per la regolarizzazione di tutte le persone che hanno fatto domanda di sanatoria colf e badanti e se non sarà consentito il ripristino del presidio permanente; durante le cariche, infatti, il vicesindaco leghista Rolfi ha inviato le ruspe a distruggere proditoriamente il presidio di via lupi di Toscana davanti all'ufficio della prefettura; la baracca, i letti, gli effetti personali dei presidianti sono stati completamente distrutti. Ora un centinaio di immigrati ha trovato posto per questa notte in locali accanto alla gru messi a disposizione dal parroco di S. Faustino Don Nolli. Da Brescia viene lanciato un appello a livello nazionale di cominciare o rilanciare immediatamente la mobilitazione per sanatoria: non lasciamo soli i nostri 9 fratelli sulla gru!!! Domani daremo le indicazioni di lotta che si stanno discutendo in questo momento nelle assemblee. Tutti martedì al processo di Sauro.

30 ottobre 2010
da senzafrontiere.noblogs.org


Resistete, avete ragione
Dagli operai della INNSE di Milano agli extracomunitari sulla gru a Brescia
Resistete, avete ragione. Da noi tutti solidarietà e pieno sostegno.
Siamo operai e delegati della INNSE, gli stessi che ad Agosto del 2009 salirono sulla gru per bloccare lo smontaggio delle macchine e impedire la chiusura della fabbrica, sappiamo cosa vuol dire resistere su una gru per giorni e giorni al freddo ed alla pioggia e voi siete veramente degni di ammirazione.
Davanti alla vostra protesta si devono vergognare i rappresentanti delle istituzioni, gli esponenti politici e sindacali che vi criticano, sono loro che vi hanno spinto a questo gesto truffandovi e respingendo le domande di sanatoria.
Non fatevi impressionare da quei sindacalisti e dagli esponenti politici che vi criticano (fanno di tutto per mettere operai contro operai) e vi attaccano come extracomunitari.
Gli operai che lottano per difendersi tutti i giorni dallo sfruttamento e contro i soprusi stanno con voi, dovete esserne certi. Gli stessi sindacalisti che vi accusano di impedire ad altri di lavorare, firmano la chiusura di intere fabbriche e buttano gli operai alla miseria della cassa integrazione.
Gli stessi politici che vi vogliono piegare con la fame, negandovi il permesso di soggiorno che aspettate da anni, non hanno niente da dire su altri permessi di soggiorno concessi dalla sera alla mattina, su pressione di qualcuno. Dovrebbero vergognarsi.
Resistete, siete nel giusto, gli operai sono con voi.

4 novembre 2010
RSU e Operai della INNSE Milano


Milano: sulla torre contro la sanatoria truffa
Segue un resoconto dall'assemblea di domenica 14 ottobre 2010 svoltasi al presidio organizzato da lavoratori e lavoratrici immigrati sotto la ciminiera occupata "contro la truffa della sanatoria" in via Imbonati a Milano.

L'occupazione della ciminiera - il solo residuo della fabbrica farmaceutica "Carlo Erba" un tempo attiva in questo quartiere situato a nord di Milano - è avvenuta il 5 novembre scorso. Quel giorno cinque lavoratori immigrati si sono arrampicati per oltre 30 mt lungo le scale esterne della ciminiera fino a raggiungere una piattaforma dove si sono accampati, trasformandola in baluardo di lotta. Hanno appeso striscioni in cui comunicano immediatamente le ragioni dell'occupazione; su tutto campeggia la scritta "Sanatoria per tutti". Da lassù sin dai primi momenti hanno ribadito che l'azione era in aperto sostegno all'occupazione - compiuta il 30 ottobre da quattro lavoratori immigrati - di una gru installata nei cantieri della metropolitana di Brescia, issando uno striscione con la scritta "Sanatoria".
Come a Brescia, immediatamente il luogo dell'occupazione, dove sono stati aperti dei gazebo in cui trovano ristoro anche delle vedette notturne, è diventato punto di incontro per il sostegno completo alle ragioni dell'occupazione, ai bisogni d'ogni genere di chi si trova lassù. La determinazione degli occupanti è così espressa sin dai primi momenti dalla ciminiera: "Sappiamo di trovarci davanti a un muro di gomma ma noi non ci fermiamo. E non scenderemo. Anzi, stiamo pensando a come addobbare la torre per Natale, perché senza risposte noi da qui non scendiamo". Tutto il giorno, soprattutto la sera, sotto la ciminiera passano, si fermano, discutono, aiutano centinaia di persone, perlopiù immigrate. Tutte le realtà attive nella lotta, dai comitati per la casa, contro il razzismo, ma soprattutto gruppi e singoli lavoratori-lavoratrici immigrati, convergono nello spiazzo sottostante la ciminiera. L'occupazione funziona come una calamita interetnica, di classe, che crea chiarezza e forza in tutte e tutti. L'assemblea è stata una chiamata a raccolta di tante realtà organizzate di lavoratrici e lavoratori immigrati allo scopo di sostenere con mobilitazioni in tutta Italia la lotta iniziata a Brescia.
Nel corso delle oltre tre ore di assemblea, in quel luogo, sono passate e fermate almeno seicento persone, la gran maggioranza immigrate. L'assemblea è stata aperta con gli interventi delle delegazioni provenienti da fuori Milano. Si sono così succeduti interventi di compagne e compagni provenienti da decine di città del nord, e anche da Roma.
Il contenuto degli interventi, in particolare di un compagno di Brescia, è stato espresso in maniera inequivocabile: il governo con la sanatoria ci riduce ad animali, e peggio, perché rende sempre più volatili le possibilità reali di avere la certezza del "permesso di soggiorno" e dei "diritti" che ne conseguono, ci indebolisce di fronte ai padroni, ci divide al nostro interno, ci crea ostacoli nel rapporto con lavoratori-lavoratrici italiani; di fronte a queste scelte criminali bisogna mettere in guardia proprio queste persone perché quanto accade oggi a noi, tanto peggio accadrà a tutti domani. Gli interventi si sono incentrati sull'appello all'"unità di classe", alla "lotta dura senza paura" di tutte e tutte le persone che lavorano, contro il governo, contro le leggi dello stato che sanciscono condizioni di sfruttamento schiaviste. In diversi interventi è stato attaccato il governo per aver espulso nove immigrati arrestati a Brescia durante una manifestazione di solidarietà con gli occupanti della gru.
Sabato 20 novembre un grande corteo ha invaso alcune strade di Milano per dimostrare che la lotta prosegue e che in tanti continueremo a sostenere chi da oltre due settimane è arrampicato sulla ciminiera.
A Milano il presidio permanente continua, ogni giorno diverse realtà sostengono la lotta con spettacoli teatrali, concerti, scuola d'italiano in piazza e anche dall'alto della ciminiera la lotta non si arresta.

Milano, novembre 2010
VARESE PROVINCIA IN FERMENTO!
Ieri a Gallarate c’è stato un corteo in difesa degli spazi sociali e contro lo sgombero dell’Edera occupata di Cardano. Nel frattempo uno stabile a Varese veniva occupato da un gruppo di ragazzi con l’idea di sperimentare nuove forme di autogestione al di fuori delle logiche affaristiche e di potere, la repressione non ha tardato a farsi sentire e lo spazio è stato sgomberato.
Questa è la più chiara dimostrazione che la repressione non ci abbatte, ci moltiplica! Se a Cardano sgomberano l’Edera a Varese nasce la Selva, nel frattempo a Gallarate si muove un corteo partecipato e determinato.
Noi ci dichiariamo complici del collettivo di autogestione della Selva che ha occupato l’ex discoteca in via Valganna a Varese, e ribadiremo sempre che occupare è una pratica giusta e necessaria, per non dover subire la violenza degli affitti o dei mutui delle banche, per non dover elemosinare ai comuni e alle istituzioni spazi che non rispecchiano le nostre idee, per riprenderci senza paura ciò che ci spetta.
E non saranno gli sgomberi o le denunce a fermarci o intimorirci; la provincia di Varese è ora in fermento, e quelli che hanno paura non siamo noi: noi siamo qui, decisi e determinati.

24 ottobre 2010
da ultimimohicanivarese.wordpress.com


di tetto in tetto...
Comunicato in solidariatà con i compagni torinesi
Ieri a Torino, dopo due giorni di resistenza, è stato sgomberato un palazzo da poco occupato a Porta Palazzo.
Un'occupazione in grande stile, maturata da un'intenzione ostile, inaugurata nel segno della lotta contro i Cie e le espulsioni, nel pieno di in un quartiere che ben conosce la guerra ai poveri e i suoi esecutori in divisa.
Anche questa volta, come a Milano due settimane fa, gli occupanti hanno scelto di resistere. Nessuna mediazione possibile, nessuna facile resa.
In otto salgono sul tetto, altri per strada, accorrono in solidarietà. Da Radioblackout si apprende di alcuni blocchi in giro per la città.
Ma gli sbirri hanno atteso la notte per agire indisturbati e distribuire equamente quella violenza che sono soliti dispensare quotidianamente nelle strade, nei mercati "abusivi" di Porta Palazzo, nei locali della Questura, nei Centri per immigrati.
Caricano, inseguono, vogliono prendere qualcuno. Alcune barricate improvvisate tentano di rallentare l'inseguimento. Parte la caccia all'uomo: alcuni bar e cortili della zona vengono rastrellati, un compagno viene raggiunto a casa, gli sfondano la porta per arrestarlo. Altri vengono fermati per strada e tradotti in Questura. In tre finiscono in carcere alle Vallette.
La guerra alle classi pericolose si estende ad ogni complice potenziale o effettivo che sia.
Il messaggio di polizia è chiaro e non rappresenta novità alcuna.
E' un leit motiv a cui molti si sono tristemente abituati negli anni.
Il segnale forte che ci arriva da Torino è un altro.
E' un segnale che inizia a rimbalzare qua e là e a trovare sponde sempre nuove.
C'è un bisogno diffuso di altezza.
Un'esigenza pressante che invita a sollevarsi da terra per alzare il tiro.
Per guardare la città dall'alto e trovare nuovi punti di vista: da cui osservare l'orizzonte, organizzare la resistenza e dare indicazioni pratiche al proprio contrattacco.
Assesteremo colpi e insieme ne incasseremo.
Ogni battaglia vinta ci mostra la forza di ciò che già abbiamo.
Ogni battaglia persa ci mostra l'assenza di quello che ancora ci manca.
Ma l'intelligenza e le passioni che si sviluppano, di volta in volta, accrescono un patrimonio collettivo da cui tutti potranno attingere.
Da via Savona a Porta Palazzo, da Gallarate a Terzigno.
Un omaggio a chi resiste.
Di tetto in tetto, di strada in strada.

Scritto nella "Stamperia in sciopero irreversibile" di via giannone 8 – weng zhou - China
sul finire di ottobre dell'anno duemiladieci


padova: LA MIGLIORE SOLIDARIETÀ CON UN’OCCUPAZIONE
È FARNE UN’ALTRA!
Venerdì 29 ottobre siamo rientrati per la terza volta all’interno dell’ex scuola Zanella-Davila nel quartiere Torre. Dopo qualche ora polizia e carabinieri hanno tentato di forzare il cancello per sgomberare, ma si sono scontrati con la resistenza dei compagni i quali, asserragliati all’interno, hanno respinto l’entrata delle “forze dell’ordine” utilizzando degli estintori mentre 5 compagni si barricavano sul tetto di uno dei 2 edifici occupati. Possiamo proprio dire che stavolta gli sbirri “se la sono dovuta mangiare”. A quel punto gli sbirri hanno abbandonato il campo. Nei prossimi giorni lo spazio sarà riempito con diverse iniziative e invitiamo tutti a partecipare, a tenere alta l’attenzione e a portare solidarietà.
Nei giorni precedenti il secondo sgombero del Centro Popolare Occupato Gramigna, avvenuto il 25 ottobre, il quartiere di Torre ha ricoperto una parte della cronaca padovana per l’inaugurazione di alcuni spazi pubblici da parte della giunta Zanonato.
Non ci sembra una casualità che mentre il Gramigna, da un mese a questa parte, continua a denunciare la speculazione edilizia sull’ex scuola Zanella-Davila e dello stato di abbandono dell’enorme quantità di materiale scolastico nuovo presente nell’adiacente prefabbricato, la giunta in un mese organizza più di un’inaugurazione proprio sulla tematica degli spazi e dei servizi in quartiere.
Non è sempre oro quello che luccica!
Anche se gli spazi inaugurati a Torre sono divulgati come pubblici, sappiamo che questi, in realtà, sono sistematicamente negati a chiunque non si riconosca nelle logiche della giunta padovana e nel partito che la rappresenta: il Pd. La gestione di tali spazi nel concreto risulta privata, come sono privati gli enti a cui è stata alienata la Zanella-Davila. Se il comune ha bisogno di soldi, prima di spendere milioni di euro (come scritto nei giornali) per nuove strutture, farebbe meglio a recuperare quelle che ha chiuso e lasciato abbandonate! Da questi esempi sembra proprio che sia una gestione clientelare che muova la conduzione degli spazi pubblici in città e gli affari attorno a loro.
Per questo motivo crediamo nell’autogestione della politica e della socialità, autorganizzandosi dal basso insieme a coloro che condividono le nostre stesse necessità, senza chiedere gli spazi ai politici di turno, ma riprendendoceli tramite la pratica dell’occupazione per riaprirli realmente alla collettività.
Alla giunta diciamo solo che le sedie, i banchi, gli armadietti, le lavagne, i computer che sono all’interno della Zanella-Davila devono essere recuperati e offerti agli istituti scolastici che ne necessitano, come hanno fatto emergere alcuni residenti di Torre tramite i questionari che abbiamo diffuso e raccolto nei giorni scorsi.
Agli abitanti di Torre, con cui da più di un mese ci confrontiamo e dai quali abbiamo raccolto richieste e proposte concrete, diciamo che sono i ben venuti alla Zanella-Davila occupata per vedere con i loro occhi e testimoniare tutto lo spreco di materiale scolastico, e non solo, presente all’interno. Invitiamo gli abitanti, gli studenti, i lavoratori, e tutte le persone interessate, a partecipare all’assemblea cittadina di lunedì pomeriggio e a portare macchine fotografiche, telecamere e quant’altro, affinché questa contraddizione sia resa pubblica il più possibile e non nascosta dai mattoni.

Padova 29 ottobre 2010
Collettivo Politico Gramigna - www.cpogramigna.org


napoli: ecco la nostra risposta alla loro violenza
Abbiamo iniziato per non fermarci!
Mercoledì 20 ottobre, 5.000 studenti medi ed universitari insieme ai movimenti sociali e politici della città, hanno sfilato da P.zza del Gesù fino al Palazzo della Regione a Santa Lucia dove stati ricevuti in delegazione dal capo staf dell'Assesore all'Istruzione.
Dietro lo striscione "I DIRITTI NON SI ARRESTANO... ARRESTIAMO LA RIFORMA!" gli studenti sono tornati in piazza per manifestare, ancora una volta, contro la Riforma di scuole ed università e contro i tagli al diritto allo studio.
Un corteo contro la Riforma, ma anche una risposta forte ed unitaria alla gestione dell'ordine pubblico (mai come in questo caso "disordine pubblico") messa in atto dalla Questura di Napoli durante il corteo di studenti medi, universitari e precari della scuola dello scorso 15 ottobre.
Come ormai noto in città, la DIGOS quel giorno ha scatenato una vera e propria caccia all'uomo nelle strade adiacenti alla Questura, tra l'indignazione di passanti e commercianti, colpendo ripetutamente gli studenti con calci, pugni e manganelli, sequestrando per mezz'ora due studenti nel portone di un palazzo e arrivando a procedere all'arresto di un giovane precario della ricerca.
Una vicenda che doveva concludersi con una "sentenza esemplare", come anticipato sulle pagine di un noto quotidiano della città dal nuovo Questore Giuffrè, e che invece si è risolta con un nulla di fatto in Tribunale: “Carenza di prove”, “assoluta contraddittorietà da parte della pubblica accusa”, “dichiarazioni degli ispettori della DIGOS non riscontrabili nei fatti”, questa la pronuncia del giudice sulle accuse di lesioni, resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale rivolte a Salvatore.
A chi vuole studenti e lavoratori ridotti al silenzio e chiusi in casa, abbiamo risposto riempiendo di nuovo le strade della città, ribandendo che vogliamo il blocco di questa Riforma e la riapertura dei finanziamenti ai servizi che garantiscono il diritto allo studio per tutti (mense, borse universitarie, residenze, libri e trasporti gratuiti per gli studenti).
Ora lo sa anche l'Assessorato regionale all'Istruzione, gli studenti riscalderanno ancora l'autunno insieme a lavoratori, lavoratori precari, disoccupati e sfruttati della nostra città.
THE FUTURE IS UNWRITTEN! IL FUTURO E' TUTTO DA SCRIVERE!

Studenti medi ed universitari napoletani
fonte: coll.autorg.universitario@gmail.com

Terzigno (na), oltre diecimila persone
Non è stata di certo "una festa", ma noi lo sapevamo bene! Ben quattro cortei con almeno diecimila persone (il più grande forse da Boscoreale, ma anche tantissima gente da Terzigno, da Boscotrecase e da Torre Annunziata) hanno riempito in successione e all'inverosimile la rotonda di via Panoramica per dire che vogliamo immediatamente anche la chiusura definitiva della discarica in Cava Sari e che pretendiamo subito la bonifica, perchè questo sversatoio ci avvelena da decenni e distrugge il parco nazionale del Vesuvio, prima con la gestione di prestanome della camorra e poi con la gestione di prestanome dello Stato...
Le "analisi" sono una presa in giro perchè ne esistono a volontà a certificare il disastro già compiuto, a partire dall'inquinamento delle falde acquifere!
Un risultato straordinario, dopo che media e sindaci avevano battuto la grancassa sul "successo" della "mediazione" fatta sulla nostra salute... E invece tantissima gente dei nostri territori è venuta per urlare che nessun sindaco può firmare un "accordo" a nome nostro, che siamo tutti consapevoli che i risultati ottenuti finora (la rinuncia alla cava Vitiello che però deve diventare formale) sono il frutto dell'ampissima protesta popolare e che proprio per questo la mobilitazione continua! Il "Bunga bunga antidiscarica" cantato dalle mamme vulcaniche (bunga bunga a me, bunga bunga a te, Berlusconi la discarica prentditela te ) per la chiusura della Sari, voleva proprio ricordare che se qualcuno cercava bagni di folla per far dimenticare gli scandali suoi ha nettamente sbagliato valutazione e che anzi ci dispiace che il premier non sia venuto, perchè avrebbe sentito il nostro vero "umore" dopo settimane di cariche e di militarizzazione del territorio. Ci sono stati decine di comitati, associazioni, gruppi, moviment oggi in piazza. Questa storia è stata davvero un risveglio della democrazia reale, delle lotte e della partecipazione e non permetteremo a nessuno di ipnotizzarci ancora: stiamo difendendo la salute e il futuro!
Con noi a manifestare anche movimenti e comitati da altre parti della Campania: giovedì prossimo giornata regionale di iniziative diffuse contro questo piano rifiuti, perchè le alternative al ciclo megadiscariche-inceneritori esistono e sono necessarie, perchè dobbiamo fermare questa "tombola della devastazione" che oggi ha portato a nuove cariche e soprusi a Giugliano.
Chiudere la Sari senza se e senza ma! Bonifica subito!

31 ottobre 2010
movimento difesa del territorio area vesuviana
da www.studentifedericosecondo.org

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La mobilitazione fa paura ma sempre più forte è la puzza di imbroglio!
Misteri della fede: Nell'incontro cui abbiamo presenziato ieri, Bertolaso e il Prefetto di Napoli ci dicevano che dovevamo accettare "l'inevitabile"... nel documento in sei punti di oggi ci dicono che i "tecnici verificheranno" la situazione della Cava Sari (in soli 3 giorni..) prima di riprendere eventuali sversamenti e che la cava Vitiello verrebbe "congelata" (con una definizione formale molto vaga)...
Questo passo indietro è sicuramente un risultato dell'enorme mobilitazione, sempre più larga, che in questi giorni ha coinvolto tutta la popolazione e ha reso ingestibili nell'immediato i loro piani di scempio del territorio, ma noi sentiamo fortissima la puzza di bruciato! Non c'è bisogno di "verifiche tecniche" per dichiarare che la discarica Sari è illegale e pericolosa e ha creato già enormi scempi al territorio ed è quasi offensivo che ci voglia una rivolta popolare per effettuare delle "verifiche tecniche" che sarebbero obbligatorie per legge. Quella discarica, anzi quel buco, va chiuso immediatamente e va avviata un'indispensabile e complessa opera di bonifica per tutelare le popolazioni. E la cava Vitiello sarà al sicuro solo quando sarà ufficialmente tolta da una legge che per altro sarebbe integralmente da abolire.
Finchè queste due condizioni non saranno verificate noi riteniamo che la mobilitazione deve rimanere alta ed è questa la posizione che porteremo al confronto con gli altri cittadini dei nostri territori, perchè è forte il rischio di un imbroglio finalizzato solo a prendere tempo, in quanto non c'è nessun cambio di rotta rispetto a un piano rifiuti disastroso! Tanto che in questi cinque giorni si sverserà in condizioni altrettanto indecenti nel Cdr di Tufino e nella stessa discarica di Chiaiano!
Ed è sulle reali alternative, su un piano di raccolta differenziata vera, sul riciclo e sul trattamento meccanico biologico "a freddo", che devono mobilitarsi tutte le popolazioni campane, sapendo che non è più solo una questione fondamentale di salute e di ambiente ma anche di democrazia. E anche i sindaci, che come i comitati sono chiamati a dare una risposta al documento della prefettura, cerchino di non tradire ancora una volta le aspettative della popolazione.

24 ottobre 2010
Movimento difesa del territorio area Vesuviana
da napoli.indymedia.org


Buenos Aires: Scontri tra lavoratori autorganizzati
e sindacato delle ferrovie: tre feriti e un morto!
Lavoratori precari della impresa ferroviaria Ferrocarril Roca stavano manifestando per la re-incorporazione di alcuni licenziati. Sono stati brutalmente attaccati a colpi d'arma da fuoco da una squadraccia guidata dalla burocrazia sindacale della Unión Ferroviaria ed appoggiata dagli ultras. Il saldo di quest'attacco: 3 manifestanti feriti ed 1, Mariano Ferreira 23enne, ammazzato. Mariano era un militante del Partito Obrero.
La polizia presente sul posto, ha fatto passare la squadraccia in modo che potesse aggredire i manifestanti.
Lavoratori della filiale argentina dell'impresa statunitense Kraft, insieme con movimenti politico e sociali hanno bloccato l'autostrada Panamericana per varie ore, al nord della città di Buenos Aires, per l'assassinio di Mariano. Lavoratori delle ferrovie hanno invece bloccato le vie delle linee di treni Belgrano Nord nella stazione di Boulogne, sempre nella zona nord della Gran Buenos Aires.
I blocchi e le manifestazioni violente si sono svolte all'interno della convocazione di una giornata di protesta e sciopero convocata dal CTA per la morte del giovane Mariano Ferreyra durante uno scontro tra lavoratori terziarizzati di un impresa ferroviaria e una fazione sindacale dell'Unión Ferroviaria nel quartiere portuale di Barracas. Altre due persone risultano gravemente feride, tra loro una donna di 56 in pericolo di vita con un proiettile nella testa.

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Assassini!
Come se ad essi non bastasse vivere del sangue e del sudore dei lavoratori, un morto e dei feriti gravi sono il saldo dell'azione di una patota sindacale, stavolta della Unión Ferroviaria, assieme alle barrabravas. Mariano Ferreyra assassinato da un proiettile ed Elsa Rodríguez con un pallottola in testa che si dibatte tra la vita e la morte ed altri manifestanti feriti. Protetti dalla Policía Federal e dal governo di turno, che sicuramente verrà a dirci che unirà le forze per "trovare il colpevole", ovvero qualche capro espiatorio per lavarsi la faccia e continuare come se nulla fosse. Questa è sempre stata la loro politica, questa è la politica!
Come se non bastasse, mercoledì 20 ottobre a Buenos Aires è divenuto evidente quel che è questo tessuto di morte che chiamano società, lo stesso che assassina con il metodo del "grilletto facile" nei quartieri, lo stesso che permette ed alimenta la tratta delle persone, lo stesso che ammazza di fame e di disperazione e sui luoghi di lavoro.
Questi avvenimenti non sono straordinari, né sono il frutto della demenza di qualche personaggio del sindacato, della politica o della polizia. Queste sono le logiche conseguenze di questo sistema che attenta contro la vita, assassinando Mariano, o due anni fa Dario e Maxi, Carlos Fuentealba e tutti i "senza nome" che muoiono giorno per giorno, come il muratore schiacciato da una parete nella zona sud di Rosario questo stesso mercoledì. Sempre più spinti a scegliere tra seguire quest'immondizia o lottare per cambiare tutto.

Grupo Anarquistas Rosario, ottobre 2010
Tratto da IMC Argentina, 20.10.10 [tradotto da culmine]
da informa-azione.info
21 ottobre 2010