indice n.54

Sulle mobilitazioni a Milano contro Mubarak
FUGA FAME FINANZA: A PROPOSITO DI ESODI BIBLICI
Arriva in Sicilia l'Emergenza Migranti S.p.A.
aggiornamenti dalla lotta contro i c.i.e.
milano: Contro le speculazioni e i rastrellamenti
Joy, i Cie e le donne “perbene”
BRUXELLES: RIVOLTA E INCENDIO IN CENTRO PERMANENZA
tradate (va): incontro su FINMECCANICA
L'assalto a Finmeccanica del colonnello Gheddafi
Libia: genocidio in corso di Gheddafi made in Berlusconi
Fermiamo il nucleare: Lettera dal carcere di Thun (Svizzera)
SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI arrestati al presidio CONTRO LE SCORIE NUCLEARI
a Finmeccanica i centri informatici della Guantanamo afgana
lettere dal carcere di macomer (nu)
resoconto assemblea dei condannati per la manifestazione a L’aquila nel 2007
Lettera dal carcere di Siano (cz)
Lettere dal carcere di Prato
lettere dal carcere di Carinola (ce)
lettera dal carcere di Opera (Milano)
Lettera dal carcere di Cremona
carcere di Bassone (como): di male in peggio!
Cagliari: Trasferimento dopo proposta presidio
Lettera dal carcere di Noto (SC)
Chi umilia il suo simile e non se ne vergogna, prima di tutto umilia se stesso!
Palermo: Noureddine che si è dato fuoco
Sul processo per l'attacco alla caserma dei vigili di Parma
12 AVVISI ORALI NEL VARESOTTO
aggiornamenti dal processo del 10 giugno
napoli: quando la polizia non entrava nelle università…
novara: Sgombero alla casa occupata di via S. Bernardino
Presidio Antisfratto a Cologno (mi)
milano: IL PGT APPROVATO è UN ATTO DI ARROGANZA
berlino: La casa occupata Liebigstrasse 14 sotto tiro


“é più facile mandar via i fantasmi che far sparire Mubarak”
Sulle mobilitazioni a Milano contro Mubarak
A Milano, in solidarietà con la Rivolta scoppiata in egitto in modo non del tutto inaspettata, migliaia di egiziani
hanno manifestato sotto il loro Consolato per diversi giorni. Presenti oltre a loro, la CUB, i compagni antirazzisti e
molti di quelli che hanno partecipato a tutte le lotte che si sono sviluppate nella Metropoli. Quattro giorni dopo lo
scoppio della rivolta, il giorno dopo la grande manifestazione del venerdì al Cairo e dopo il discorso di Mubarak che
annunciava la sua volontà di non dimettersi, centinaia di persone si sono riunite davanti al consolato egiziano in viale
Porpora per manifestare con striscioni di condanna verso il governo egiziano, intimando Mubarak a lasciare il governo.

Il primo presidio (non autorizzato) si è visto il 29 gennaio, attorno alle 15.00 ed è durato meno di due ore,
organizzato spontaneamente da gente comune attraverso il passaparola, sms, e-mail, telefonate.
Alla protesta hanno partecipato le comunità dei palestinesi, dei marocchini, degli iracheni e dei tunisini. Tra i
manisfetanti non-arabi c'erano tedeschi, rumeni, sud-americani e una notevole presenza di italiani.
I manifestanti hanno espresso il loro appoggio alla rivoluzione del popolo egiziano finchè non verrà concretizzata la
richiesta di maggiore libertà e maggiore democrazia e hanno giurato che porteranno avanti la protesta ogni giorno fino
alla caduta del regime di Mubarak e le sue conseguenti sue dimissioni.
La manifestazione è stata molto rumorosa, con cori di insulti scanditi tutto il tempo contro il regime di Mubarak e in
solidarietà al popolo egiziano in rivolta, alla palestina e perfino alla Tunisia nonostante le incomprensioni che
esistono tra egiziani e le popolazioni maghrebine. Un presidio ordinato di circa 300 egiziani, sul marciapiede di fronte
al Consolato, con cartelli, striscioni, bandiere (egiziane, palestinesi, tunisine).
Le forze di polizia non hanno avuto tempo di organizzarsi, e la loro presenza è stata molto ridotta (quasi unicamente
DIGOS).
Questi gli slogan ripetuti a gran voce dai manifestanti: “ambasciatore, ambasciatore dì al tuo capo: non ti vogliamo non
ti vogliamo”, “via, via animale”, “oh, libertà dove sei, dove sei, la legge dello stato di emergenza è tra noi e la
libertà” (la legge in vigore dal 1981 concede poteri straordinari alle forze di polizia e militari), “il popolo è
insultato, il popolo è insultato”, “via, via via”, “Hosni Mubarak, Hosni Mubarak. Che discorso hai fatto ieri? Forse tu
non hai capito che sei tu che te ne devi andare, Hosni Mubarak, Hosni Mubarak. In 30 anni cosa hai fatto? Dove sono i
nostri soldi? Questa volta non ci fermi!
Noi vogliamo libertà. Via, via Hosni Mubarak".
Oltre agli slogan contro il governo, i manifestanti si sono rivolti direttamente al console chiedendogli di uscire e
incontrarli. Ma così come il regime non affronta le piazze in Egitto, anche il console non ha accettato di apparire,
rimanendo ben barricato nel consolato. Solo con difficoltà si poteva scorgere qualche fantasma spiare la manifestazione
dalle finestre, sguardi che sparivano quando il rumore della folla si faceva più forte.
“E' più facile mandar via i fantasmi che far sparire Mubarak”, ripete un egiziano.
Domenica 30 gennaio si è tenuto un presidio di circa un centinaio di egiziani sotto il Consolato. Il giorno dopo è
proseguita la rabbia degli egiziani con un altro presidio indetto per le 18 sotto il Consolato e trasformatosi poi in
una manifestazione spontanea (non autorizzata) per le strade del quartiere (viale Porpora, via Costa, Piazza Durante,
viale Lombardia, via Vallazze, via Pecchio e viale Abruzzi).
Presente la CUB con le sue inopportune bandiere (distribuite agli immigrati) e i compagni arabi e italiani, per un
totale di circa 1.500 persone, tra cui diverse donne arabe con bambini. Il gruppo ha tentato di raggiungere in corteo
viale Padova ma è stato fermato dalla polizia in viale Porpora.
I cori in arabo scanditi dicevano: "Il popolo vuole che cada il sistema di governo", “Ya amil amerikani (o traditori
americani), Mubarak assasino, con l'anima e con il sangue ci sacrifichiamo per i nostri martiri ya mubarak, ya gamal, ya
amil israil”, “Rivoluzione rivoluzione fino alla vittoria”, “Mussulmani, cristiani. Per l'egitto siamo quà”, “Basta
sangue, basta cadaveri”. Molti slogan in dialetto egiziano, difficili da tradurre ma in sostanza di sostegno alla
rivolta del popolo egiziano (“l'Egitto è nel cuore di tutti gli arabi”). Ai passanti italiani alcuni egiziani hanno
consegnato un volantino in cui c'era scritto: “Ci sentiamo ripetere spesso perché non ve ne tornate a casa vostra?
Adesso gli italiani vedono dalla tv qual è la sofferenza che abbiamo a casa nostra”.
Agli egiziani si sono uniti anche gli aderenti alla Confederazione unitaria di base (Cub) spiegando che “In questi
giorni il Governo egiziano compie massacri atroci contro i propri cittadini con la complicità dei governi occidentali” e
“lanciano un appello a tutti i lavoratori, immigrati e italiani a sostenere le mobilitazioni in Egitto”.
Martedì 1 febbraio un altro presidio sotto il Consolato, indetto alle 15, questa volta con molte meno persone, circa 300
tra compagni italiani e arabi, ma nonostante questo una manifestazione determinata e combattiva è partita per le strade
del quartiere finendo con un presidio di chiusura sotto il Consolato.
Venerdì 4 Febbraio l'ultima manifestazione tenuta a Milano sotto il Consolato. Migliaia in piazza di nuovo oramai
permanentemente sotto il consolato egiziano di via Porpora.
Il corteo si è mosso verso le 15 verso Piazza Duca D'Aosta (stazione Centrale). All’inizio della dimostrazione in
piazzale Loreto c’erano 300 persone ma via via il corteo si è ingrossato, con striscioni e intonando canzoni contro
Hosni Mubarak.
Nonostante Husni Mubarak sia ancora aggrappato alla poltrona presidenziale, sembra che gli egiziani siano convinti che
la sua fine è vicina, e che siano pronti a scegliere un nuovo presidente.

Milano, febbraio 2011


FUGA FAME FINANZA: A PROPOSITO DI ESODI BIBLICI
Festa Farina Forca, un tempo indicavano la politica dei governi reazionari. Oggi, le feste sono a pagamento e di farina
ce n'è sempre meno. Resta la Forca. Con la Fuga la Fame e la Finanza.

FUGA
Non ha precedenti nella storia l'espropriazione delle popolazioni rurali che, dalla metà del Novecento, ha colpito il
Terzo Mondo. Ogni anno, milioni di persone sono state costrette a lasciare le campagne e hanno cercato scampo nelle
città.
A causa di questo esodo, nel 2009, la popolazione urbana ha superato la popolazione rurale. Milioni di persone vivono
ammassate in sterminate periferie, dove sbarcano il lunario alla meno peggio. E questo avviene ai quattro angoli della
terra, in Cina come in Brasile, in India come in Sudafrica.
La maggior parte di loro costituisce un immenso esercito industriale di riserva, la cui sorte è strettamente legata ai
chiari di luna del modo di produzione capitalistico: basta poco per passare dalla povertà alla miseria e dalla miseria
alla fame [1]. E l'attuale momento storico non promette nulla di buono, per i proletari, che sempre più spesso e sempre
più massicciamente sono costretti a cercare fortuna nei Paesi "ricchi".
Un anno fa, si è parlato di un vero e proprio esodo biblico [2] che, nei prossimi anni, potrebbe coinvolgere circa 700
milioni di persone. Sono 700 milioni di persone in fuga dalla povertà e dalla miseria, dalla mancanza di prospettive e
dall'insicurezza personale, in Paesi spesso lacerati dalla guerra. Le recenti rivolte del Nord Africa e del Medio
Oriente stanno rendendo attuale la realtà degli esodi, verso l'Europa. Secondo il ministero degli Interni italiano, dal
15 gennaio, sulle coste della Sicilia sarebbero sbarcate oltre 5 mila persone, provenienti in gran parte dalla Tunisia.
Ed è subito emergenza! Maroni paventa oltre 80mila arrivi. Probabilmente il varesino gioca al rialzo e spara un numero a
casaccio, con lo scopo di battere cassa alla UE e aprire nuovi campi di concentramento, a vantaggio dei soliti
faccendieri del "cemento, del catering e della security". Ma la realtà potrebbe essere molto più inquietante, una vera
doccia fredda, di fronte a nuovi flussi migratori, provenienti da Libia, Mauritania, Niger e Sudan.

FAME
Recentemente, l'IFPRI (International Food Policy Research Institute) aveva avanzato preoccupazioni sulla situazione
della regione Sub Sahariana. Ma tutta l'Africa sta subendo pesantemente le conseguenze della crisi economica globale,
che rendono precaria la disponibilità alimentare. “Una miscela composta dall'aumento dei prezzi dei generi alimentari,
dalla difficoltà crescente per garantire prestiti internazionali, dal deterioramento delle esportazioni e dalla
riduzione del mercato del lavoro provocherà la fuga di cervelli, disordini sociali e conflitti. Tumulti e conflitti
aggraveranno la condizione dei diritti umani e il flusso di rifugiati. La migrazione di tutte le categorie da e dentro
l'Africa aumenterà fortemente nei prossimi anni” [3].
La Food And Agricultural Organization (FAO) ha lanciato un allarme sul galoppante aumento dei generi alimentari: nel
giro di un anno, l'indice S&P è passato da 300 a 550, ovvero è quasi raddoppiato.
“E l'agenzia dell'Onu avverte: la produzione cerealicola mondiale sembra avviarsi verso una contrazione annuale del 2%,
le quantità di cereali immagazzinate caleranno del 7%, quelle di mais del 12%, grano -10%, mentre l'orzo subirà un
crollo del 35%. [...] Inevitabili ulteriori aumenti di prezzi e quel che è peggio un miliardo di persone affamate, un
tragico traguardo in questa epoca moderna” secondo Jacques Diouf, direttore generale Fao" [4].
L'incubo della crisi alimentare taglia l'erba sotto i piedi a chi poneva le speranze di ripresa economica nei Paesi
emergenti, nella Cina e nell'India.
“In Cina per esempio dove ‘Zhang’, il carovita, trascinato dai prezzi dei generi alimentari, nel 2010 è cresciuto del
5,1% costringendo la People's Bank of China a rivedere al rialzo i tassi d'interesse, prima a ottobre, poi di un altro
quarto di punto a Natale. Risultato: le banche non si possono permettere di prestare denaro a meno del 5,81%, una brutta
notizia per un'economia che cresce al ritmo del 15% all'anno. Stesso discorso per l'India dove l'inflazione da generi
alimentari ha toccato il 18,3%. Sul banco degl'imputati i prezzi crescenti delle verdure: le cipolle rosse, alimento
base della cucina indiana, al mercato di Kotla a New Delhi, sono schizzate in una notte da 60 rupie (1,30 dollari) al
chilo a 80 a causa della scarsità delle scorte” [5].
Come abbiamo segnalato in un precedente articolo, per l'inizio dell'estate, in Cina, si profila una grande carestia [6].
Ma cosa c'è all'origine di queste catastrofi?
FINANZA
L'aumento dei prezzi alimentari verificatasi negli ultimi anni è legato soprattutto alla speculazione finanziaria. I
nuovi protagonisti del mercato dei prodotti agricoli, come banche di investimento, hedge fund, fondi pensione, hanno
esasperato la logica del massimo profitto, ovvero realizzare il maggiore guadagno dalla scommessa sulla variazione del
prezzo di una determinata commodity, cioè le materie prime, dal petrolio al mais [7].
“Secondo il Comitato per la Sicurezza Nazionale e gli Affari Governativi degli Stati Uniti, gli investimenti legati alle
materie prime erano passati dai 13 miliardi di dollari del 2003 ai 260 del 2008. Contemporaneamente il prezzo medio
delle 25 principali commodities era aumentato del 183%. Le scommesse fioccavano grazie anche al crescente successo di
fondi comuni d'investimento ad hoc, i celebri Exchange Traded Commodities (ETC), che attraevano una crescente clientela
di risparmiatori (molti dei quali in Italia, principale piazza europea degli ETC dopo quella del Regno Unito) in fuga
dai mercati tradizionali di azioni e obbligazioni. Nell'agosto del 2008, un rapporto della banca francese Credit
Agricole evidenziava come la posizione di mercato dei derivati scambiati sulla piazza di Chicago, il più grande mercato
azionario sulle commodities, ammontasse a un quarto dell'intera produzione mondiale di mais e soia e all'8% di quella
del frumento”. [8]
Nel dicembre 2010, le quotazioni delle commodity hanno raggiunto i livelli più alti degli ultimi vent'anni. L'indice di
sintesi di ben 55 materie prime ha toccato quota 214,7 punti: il 4,2% in più in un mese e il 24,5% in più dall'anno
scorso. E il picco non è ancora stato raggiunto. Per la popolazione di mezzo mondo, la crescita dei prezzi alimentari
significa una cosa sola: fame [9].
L'IFPRI calcola che per ogni aumento di un punto percentuale dei prezzi alimentari, 16 milioni di nuove persone avrebbe
sofferto la fame. La FAO stima intorno al 40% l'aumento del costo degli alimenti nei Paesi “poveri”, il quadruplo
rispetto al 2000. Se, in un Paese industrializzato (ricco), per una famiglia la spesa alimentare copre il 10-20% del
reddito, in un Paese povero la cifra è compresa tra il 60 e l'80%. Ricordiamoci che il 40% della popolazione mondiale
(più di due miliardi e mezzo di persone) vive con meno di due dollari al giorno.

Note:
1. Vedi CLAUDIO IELMINI, Les damnés de la civilisation, "Les cahiers du quotidien des sans-papiers", n. 1, avril 2008
quotidiensanspapiers.free.fr/w/IMG/pdf/Les_damnes_A3.pdf
2. MOISÉS NAIM, 700 milioni la migrazione del secolo, "Il Sole 24 Ore", 23 febbraio 2010
3. ARNO TANNER, Recessione globale e migrazioni africane, traduzione a cura dell'Ufficio Cooperazione della Provincia di
Ferrara, 2009 www.provincia.fe.it
4. ANTONIA JACCHIA, La grande corsa di cereali e zucchero Allarmi e speculazione sullo "choc del cibo", "Corriere della
Sera", 23 gennaio 2011, p. 25
5. ANTONIA JACCHIA, cit.
6. FRANCESCO SISCI, Se una farfalla in Cina scatena il ciclone materie prime, "Il Sole 24Ore, 10 feb- braio 2011, in
Tunisia, Egitto e poi? La Cina?
7. vedi: ELLEN BROWN, Come le banche e gli investitori stanno facendo morire di fame il terzo mondo, in
www.comedonchisciotte.org
8. The great hunger lottery: How banking speculation causes food crises, in www.wdm.org.uk
9. vedi: ANTONIO PAGLIARONE, Mad Max Economy. Dalla fame di speculazione alla speculazione della fame, Sedizioni,
Milano, 2008

18 febbraio 2009
da www.operaicontro.it
Arriva in Sicilia l'Emergenza Migranti S.p.A.
Sulla strada statale Catania-Gela ci sono decine di cartelloni pubblicitari che ritraggono il "Mineo Residence" di
proprietà della società Pizzarotti Parma [1].
"Offriamo dal 1° aprile 2011 appartamenti confortevoli a 900 euro", riportano le scritte rigorosamente in lingua
inglese. Il prezzo è ottimo, davvero, si tratta di villette unifamiliari di 160 metri quadri di superficie, più giardino
e barbecue, all'interno di un complesso residenziale di 25 ettari con tanto di campi da tennis, baseball e parco giochi
per bambini. Sino allo scorso mese di dicembre il villaggio ospitava una parte del personale militare USA di stanza
nella base aeronavale di Sigonella.
Il Dipartimento della difesa ha deciso però di non rinnovare il contratto di leasing e pur di non chiudere il villaggio,
Pizzarotti S.p.A. ha provato di affittare le 404 unità direttamente ai militari a canoni semi-stracciati, offrendo
incluso un servizio navetta gratuito sino alla base. Conti alla mano, piazzando tutte le villette, dopo un anno
sarebbero entrati in cassa poco meno di 4 milioni di dollari, un bel gruzzolo, ma meno della metà di quanto la società
di Parma aveva strappato in passato al Pentagono. Gli americani a Mineo però non ci vogliono più stare e la super-
offerta viene disertata. Mai disperare, però.
Con l'"emergenza" sbarchi migranti ecco l'occasione per nuovi lucrosi affari. Quello che sino a ieri era il "Residence
degli Aranci" viene ribattezzato "Villaggio della solidarietà" e il duo Berlusconi-Maroni concorda con Pizzarotti la
conversione della struttura in "centro a quattro stelle" per immigrati-clandestini-richiedenti asilo, ecc. ecc.. Il
battesimo è per domani 23 febbraio quando si avvierà la deportazione a Mineo di molti dei migranti che hanno raggiunto
Lampedusa nei giorni scorsi e - nelle intenzioni del governo - finanche dei rifugiati e dei richiedenti asilo ospiti nei
centri di prima accoglienza di tutta Italia.
Con un'ordinanza di protezione civile firmata dal presidente del Consiglio, il prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, è
stato nominato commissario straordinario per l'emergenza immigrazione: potrà contare su 200 militari delle forze armate
da impiegare sino al 30 giugno per la "vigilanza e la sicurezza" anti-migranti e su un milione di euro in cash per
"l'avvio dei primi interventi" nel centro di Mineo. Un'impresa privata è già stata contatta per rafforzare i sistemi di
controllo all'ingresso dell'ex "Villaggio degli Aranci".
In barba alle normative, non è stato esposto alcun cartello ad indicare la tipologia dell'opere, l'importo e il
committente. Gli operai, debitamente sforniti di caschi, hanno lavorato pure per tutta la giornata di domenica, guardati
a vista da quattro Marines USA e da una pattuglia della Military Police.
È ai militari statunitensi che è affidata ancora la vigilanza del residence. "La Marina lascerà il complesso di Mineo
utilizzato dalle truppe di stanza a Sigonella, il prossimo 31 marzo, data in cui scadrà il contratto d'affitto", spiega
il portavoce regionale di US Navy, Timothy Hawkins. […]
Diversi tentativi di ottenere informazioni da parte del ministro degli Interni e da Pizzarotti & Co. sono rimasti senza
risposta. Sebbene gli alloggi di Mineo siano stati svuotati, la polizia militare continuerà a controllare gli ingressi
del complesso sino alla cessazione del contratto. […] Sino a fine marzo, dunque, a controllare i deportati di Mineo,
oltre alle forze dell'ordine e all'esercito italiano, ci penseranno pure i marines USA.
"Ancora una volta è l'opzione militare a governare tragedie e dinamiche sociali internazionali a cui l'Italia
contribuisce con le proprie scelte economiche dissennate", è il commento della Rete Antirazzista Catanese. "Alla ri-
trasformazione di Lampedusa in una fortezza-prigione, all'invio di nuovi reparti militari lì come a Pantelleria, al
rafforzamento dei dispositivi navali e di pattugliamento aereo si aggiunge adesso la "conversione" dei villaggi
residenziali a centri di massima vigilanza. E se ciò non bastasse, spuntano come i funghi in Sicilia le stazioni radar
fisse e mobili della Guardia di finanza in funzione anti-sbarco. Acquistati con fondi dell'Unione europea dalle aziende
chiave del complesso militare industriale israeliano, i radar vengono installati all'interno di riserve e parchi marini,
come è successo ad esempio a Capo Murro di Porco, Siracusa. Anche la proliferazione degli aerei senza pilota a
Sigonella, a partire dai famigerati "Global Hawk", risponde in parte alle logiche di repressione dei flussi di migranti
nel Mediterraneo".
Tra i tanti "meriti" del governo anche quello di avere bypassato le comunità e gli amministratori interessati al piano
"accoglienza". […]
Secondo il sindaco di Mineo, a Roma ci sarebbe l'intenzione ad apportare modifiche strutturali all'interno del
residence, in modo da ricavare 2.000 abitazioni ed ospitare fino a 7.000 persone. "Una situazione insostenibile, se si
considera che il nostro Comune conta appena 5.000 abitanti", aggiunge Castania. "Nel villaggio è possibile insediare
invece fino ad un massimo di 1.938 abitanti, in rispetto delle norme sui volumi previsti dal piano d'insediamento". […]
Da registrare infine l'ennesimo giro di valzer del governatore Raffaele Lombardo. Dopo il "sì" e il "nì" al "piano
Mineo", nelle ultime ore è giunto un "no" deciso. "Migranti e richiedenti asilo vanno ospitati in un territorio e in un
ambiente nel quale ci sono opportunità di lavoro. Come la Lombardia o il Veneto", afferma Lombardo. "Maroni mi ha
comunque parzialmente rassicurato, confermandomi che al villaggio di Mineo non saranno destinati gli immigrati giunti
nelle ultime settimane sulle sponde siciliane. Si prevede, invece, di ospitare i richiedenti asilo, per il tempo
necessario alla valutazione dell'istruttoria. Nel residence non ci saranno militari, ma la Caritas e la Croce Rossa".
L'ennesimo gioco delle parti. Con la bugia, enorme, che a presidiare i richiedenti-detenuti ci saranno i volontari e non
le forze armate.
Mentre buona parte dell'associazionismo siciliano pro-migranti assiste in silenzio agli osceni sviluppi della vicenda,
dal Friuli Venezia Giulia è giunta la dura posizione della Tenda della pace e dei Diritti. "Il residence di Mineo sorge
in un'area isolata e si pone quindi come perfetta congiunzione nella guerra globale, dal sostegno ai conflitti, alla
gestione dei flussi migratori attraverso politiche di detenzione e ghettizzazione", scrive l'organizzazione. "Si tratta
di un enorme business creato ad arte sulla pelle, la vita e la morte delle persone. Ancora una volta il governo potrebbe
cogliere l'occasione di sfruttare lo "stato di emergenza" per perseguire i propri fini. La costruzione dei CpT ora
Centri di identificazione ed espulsione (CIE) ha eluso le normali procedure di realizzazione di opere pubbliche
riferendosi ad una legge sullo stato di emergenza. Forse riferendosi all'orda dei tunisini che ci stanno invadendo il
governo riuscirà ad ottenere con tempi rapidi l'apertura di nuovi CIE, basterà girare la chiave alle porte dei CARA, i
Centri di accoglienza rifugiati e richiedenti asilo". […]

[1] La Pizzarotti S.p.A. è una delle più importanti società di costruzioni ed è impegnata nella realizzazione di grandi
opere infrastrutturali e centri abitativi in Italia e all'estero. In Sicilia ha ottenuto dall'ANAS lo status di general
contractor per i lavori della nuova autostrada Catania-Siracusa, una commessa di 473,6 milioni di euro.
Ma la S.p.A. di Parma è soprattutto una delle aziende di fiducia delle forze armate USA. Nell'ultimo decennio ha
fatturato per conto del Dipartimento della difesa qualcosa come 134 milioni di dollari.

febbraio 2011
estratti da www.dazebaonews.it
aggiornamenti dalla lotta contro i c.i.e.
"C'è tensione al Cie modenese. Hanno tentato atti di autolesionismo ieri sera cinque dei tunisini traferiti negli ultimi
giorni da Lampedusa a Modena. Due, invece, sono riusciti a fuggire. Lo fa sapere Daniele Giovanardi, il responsabile
della Misericordia, l'Ente che gestisce il Cie modenese. "So che uno è stato ritrovato oggi verso le 17, ma il problema
è che hanno imparato che se si fanno male possono provare a scappare. Così si stanno diffondendo comportamenti
emulatativi".
I cinque immigrati si sono autolesionati sfregato i polsi contro le ringhiere dei letti e sono poi stati portati per
essere medicati all'ospedale. A quanto si è potuto apprendere le loro condizioni non erano gravi.
I trasferimenti dei 50 uomini, tra i 20 e i 35 anni, al Cie modenese sono iniziati alla fine di gennaio. Nessuno di loro
è in gravi condizioni fisiche. L'ultimo gruppo, da 25 persone, è arrivato sabato sera. Chi ha tentato gli atti di
autolesionismo per protesta però non fa parte del gruppo arrivato sabato.
"Se un'operazione umanitaria è organizzata male, poi iniziano processi degenerativi come le autolesioni e le fughe".
Così il sindaco di Modena, Giorgio Pighi, commenta la notizia che due dei 50 tunisini accolti nel Cie della propria
città sono riusciti a fuggire dopo essersi provocati delle ferite. "Non sono reazioni giustificabili - mette in chiaro -
ma l'operazione non è stata organizzata nel migliore dei modi". Secondo Pighi, infatti, "l'errore iniziale è stato
quello di chiudere il centro di assistenza di Lampedusa, e di utilizzare i Centri di identificazione e di espulsione
(CIE)". Ora, ragiona il sindaco, "si è creata una situazione di sofferenza. Non vorrei che iniziasse un periodo di
inerzia, e passati i 60 giorni li lascino liberi"." (fonte: www.ilrestodelcarlino.it)

da macerie @ Febbraio 16, 2011

***
Tre ragazzi tunisini sono stati arrestati a metà pomeriggio dentro al Cie di Restinco, a Brindisi, in seguito ad un
tentativo di fuga avvenuto in mattinata. C'è chi dice che a provare ad evadere siano stati una decina, e chi soltanto in
cinque. Quello che è sicuro è che almeno uno di loro è riuscito nell'intento ed ora è finalmente libero, mentre i tre
arrestati sono stati picchiati dai soldati che li hanno placcati nella fuga.
Il Cie di Restinco è diventato ultimamente il più turbolento d'Italia con sommosse e fughe continue, tanto che
addirittura i sindacati di Polizia ne hanno ripetutamente chiesto la chiusura, "prima che ci scappi il morto". In più,
da quando hanno cominciato ad arrivare i tunisini sbarcati a Lampedusa il Centro è strapieno, con gente costretta a
dormire per terra, e questo non contribuisce a placare gli animi così come non contribuisce a placare gli animi il fatto
che le mura del Centro siano fatte di blocchi di tufo: facili da divellere per aprire varchi e buoni da tirare contro
gli inseguitori. La libertà sembra a portata di mano, ed è normale che se ne approfitti.
Per provare a rompere i legami tra i prigionieri e riprendere il controllo della situazione, la settimana passata
l'amministrazione ha ordinato il trasferimento di una trentina di reclusi di Restinco verso il Centro di Bari-Palese e
di altrettanti reclusi di Bari verso Restinco. Ma i risultati di questa mossa, come dimostrano i fatti di questa
mattina, sono ancora nulli.

da macerie @ Febbraio 18, 2011

***
Rivolta a Gradisca, sciopero della fame a Torino
Dopo un periodo di relativa calma la rabbia degli immigrati torna a esplodere nella struttura gradiscana.
Non sappiamo quando sia iniziata la rivolta. Un'attivista antirazzista che passava di lì riferisce che intorno alle 20
al di là delle mura si vedeva un gran fumo. Poi sono arrivati i vigili del fuoco e un'ambulanza.
L'onda lunga delle proteste che investono da giorni numerosi CIE, da Bari a Restinco, da Modena a Torino, è arrivata
anche a Gradisca.
Proprio ieri, trasferiti con un volo speciale da Lampedusa, erano arrivati 50 tunisini. Trenta richiedenti asilo sono
stati portati al CARA, gli altri sono stati rinchiusi nel CIE. La situazione potrebbe diventare ancora più
incandescente, perchè le migliaia di tunisini approdati in pochi giorni in Italia potrebbero essere l'avanguardia di un
esodo molto più ampio.
Dai giornali si apprende che la rivolta del 14 febbraio è iniziata nella sezione rossa con l'incendio di alcuni
materassi da parte di alcuni degli immigrati appena portati lì da Lampedusa. La situazione dentro il Cie è considerata
ad alto rischio anche a causa dell'imminente cambio di gestione e dei lavori di ammodernamento appena iniziati. Infatti
secondo i piani della Prefettura la struttura avrebbe dovuto ridurre ancora di più la capienza fino ad un minimo di 60-
70 reclusi per permettere i lavori.
I nuovi sbarchi di massa a Lampedusa mettono a rischio questa strategia e parlano di nuovo di una polveriera pronta ad
esplodere. Nel frattempo sono in cantiere nuove iniziative degli antirazzisti.

Al CIE di Torino gli immigrati sono in sciopero della fame da sabato sera.
La maggior parte di loro viene dalla Tunisia. Sono preoccupati per le famiglie, non riescono a mettersi in contatto e
temono per la loro sorte. Tutti sentono il vento di libertà che viene dal nordafrica. La sezione delle donne è stata
svuotata per far posto agli immigrati approdati a Lampedusa.
Domenica notte un gruppetto di antirazzisti ha fatto un veloce saluto ai reclusi: petardi, battitura di ferri, slogan.
Da dentro si è levato un gran fragore.
Il 15 febbraio, dopo un incontro con i responsabili del centro ai quali hanno chiesto miglioramenti nelle cure sanitarie
e più velocità nell'esaminare la pratiche, i reclusi hanno interrotto lo sciopero della fame iniziato il sabato
precedente.
Il 16 febbraio una quarantina di antirazzisti si sono ritrovati davanti al CIE per un presidio solidale. Numerosi e
molto aggressivi digos, carabinieri e antisommossa.
Partiti con samba e battiture per un giro intorno a Centro, subito dopo la svolta in via Mazzarello, gli antirazzisti
sono stati circondati dalla polizia che ha impedito loro di proseguire. Il pretesto per l'azione repressiva? Un compagno
si è arrampicato sul muro ed ha acceso un fumogeno per salutare i ragazzi dentro.
Giovedì 17 febbraio il quotidiano Cronacaqui diffonde la notizia che un recluso è in isolamento perchè affetto da
scabbia. La situazione, anche sanitaria, è sempre più critica: l'ondata di sbarchi di profughi e migranti dalla Tunisia
sta portando al collasso le strutture. A Torino ci sono 170 reclusi per 120 posti.

***
Contestazione alla gara d’appalto per il CIE di Gradisca
Gorizia, 1 febbraio. L'apertura delle buste per la nuova gara d'appalto per il CIE e il CARA di Gradisca era in
programma questa mattina. Non potevano mancare gli antirazzisti.
Nei giorni precedenti erano girate molte voci sui candidati al ruolo di aguzzini, pronti ad incassare 15 milioni di euro
in tre anni. Una torta ricca grossa.
C'era chi sosteneva che gli attuali gestori, quelli del consorzio Connecting People, non si sarebbero ripresentati. Ben
otto le offerte arrivate in prefettura, compresi quelli di Connecting People, la Cooperativa Minerva, l’ordine di Malta
e l'associazione culturale Aquarinto di Agrigento.
L'apertura delle buste avrebbe dovuto essere pubblica, ma ogni regola ha la sua eccezione. Dopo il rituale controllo dei
documenti, la presidente della Commissione esaminatrice, tale Gloria Allegretto, ha sostenuto che la sala era piccola e
potevano starci solo quelli che avevano un interesse soggettivo. Un interesse da 15 milioni di euro.
Gli antirazzisti, il cui interesse è invece oggettivo, ossia la libertà di chi ha la colpa di essere povero e senza
carte, dovevano stare fuori. Un'imposizione che non potevano certo accettare: così in quella sala troppo piccola hanno
trovato posto cartelli con le immagini ingombranti ed eccessive dei prigionieri del CIE con le bocche cucite con ago e
filo.
Prima di togliere il disturbo i compagni hanno gridato a gran voce "vergogna!", "andate a fare un lavoro dignitoso
invece di diventare aguzzini", "tanto gli immigrati ve lo sfasciano di nuovo quel lager". Una buona occasione per
ribadire che i CIE sono lager, chiunque li gestisca.

febbraio 2011
da senzafrontiere.noblogs.org


milano: Contro le speculazioni e i rastrellamenti
Per l’autodifesa e il diritto alla casa
Tutti i politici si sciacquano la bocca parlando di democrazia, società civile e diritti umani.
Ma quando sono in ballo i loro interessi allora mostrano il loro vero volto.
Questo spiega quello che è successo questa mattina in via Cavezzali 11, quando decine tra poliziotti, militari, digos e
polizia locale hanno dato vita ad un vero e proprio rastrellamento nei 170 appartamenti dello stabile.
Nel mirino gli immigrati “clandestini”, gli abitanti sprovvisti di un contratto di affitto (perché la proprietà
preferisce affittare in nero a molti degli inquilini, per arricchirsi di più e ricattare meglio) e, più in generale
contro tutti gli abitanti sui quali pende la minaccia di chiusura dello stabile per inagibilità a causa dell’impianto
elettrico non a norma.
Risultato: 6 immigrati, tra cui una donna incinta prelevati e, con tutta probabilità, trasferiti al CIE di via Corelli.
Dopo i tentativi di sfratto dei mesi scorsi (andati a vuoto per l’autodifesa del comitato inquilini che si è costituito
negli ultimi mesi) e l'ordinanza della giunta Moratti contro il degrado (la campagna elettorale inizia così, come
sempre, sulla pelle dei più deboli), l’operazione militare di questa mattina indica chiaramente la strada scelta dallo
stato.
Quali che siano i giochi politici che stanno dietro questa operazione (che poco importano) la situazione appare
piuttosto chiara: da una parte i palazzinari che fanno soldi a palate sfruttando il cosiddetto “libero mercato”, i
politici che ne difendono gli interessi e spesso coincidono con essi, e le istituzioni dello stato che intervengono
militarmente per mantenere l’ordine dei potenti; dall’altra le famiglie proletarie, italiane e non, costrette ad affitti
esorbitanti e condizioni abitative inaccettabili (se degrado c’è questo è frutto dello stato di abbandono voluto da
proprietà e amministrazione), e che da mesi si sono organizzate per denunciare una situazione vergognosa.
Non resta quindi che proseguire sulla strada iniziata a giugno del 2010, in seguito alle mobilitazioni contro il
coprifuoco in quartiere, difendendosi dagli sfratti, denunciando i soprusi e gli illeciti della proprietà, contrastando
i rastrellamenti razzisti e anti-popolari perpetuati dallo stato, organizzando la resistenza dell’intero palazzo.
In risposta a quanto accaduto questa mattina, e per rafforzare il percorso di autorganizzazione e autodifesa, il
comitato inquilini organizzerà quindi nei prossimi giorni un’assemblea generale degli abitanti.

8 febbraio 2011
Comitato inquilini – via Cavezzali 11
fonte: info@antirazzistimilano.org


Joy, i Cie e le donne “perbene”
Il 2 febbraio, il tribunale di Milano, paladino della democrazia (!?!), ha assolto l’ispettore di PS Vittorio Addesso
dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di Joy.
Lo Stato si è autoassolto. La sentenza ha ribadito l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta
queste agiscano violenza, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine”
hanno come contropartita dei loro servigi. Ma non è solo questo: la sentenza è una modalità del controllo sociale.
Il sistema intende rimarcare l’inutilità e l’impossibilità della ribellione da parte degli oppressi e renderne evidenti
i rischi che questi ultimi corrono nel rivendicare giustizia. Su Joy e Hellen pende una denuncia per calunnia e questa
sentenza apre scenari preoccupanti.
Ma la sentenza apre anche ad una serie di considerazioni estremamente attuali.
Le donne rinchiuse nei Cie sono prostitute, prostitute vittime di tratta e lavoratrici migranti di altro tipo che hanno
perso il lavoro o sono diventate irregolari per qualche motivo, ma, lì dentro, perdono ogni identità e diventano tutte
“puttane”, nel senso preciso che questa società patriarcale attribuisce al termine.
Sono bottino di guerra e, come vinte, come nuove schiave, devono essere disponibili ad ogni tipo di richiesta di
prestazione sessuale esercitata da chi è preposto al controllo e alla gestione di quei luoghi e, quindi, nella veste
ufficiale di rappresentante delle istituzioni.
Perché le” prestazioni sessuali” che le donne e le trans rinchiuse nei Cie devono fornire, in una condizione di
ricattabilità e di soggezione, per ogni più piccola necessità, non scandalizzano le donne “perbene” della così detta
sinistra?
Perché non c’è una mobilitazione con appelli sui giornali e dichiarazioni di fuoco, dato che un rappresentante delle
istituzioni, accusato di violenza sessuale è stato, guarda caso, assolto, nonostante l’incidente probatorio dell’8
giugno ed il rinvio a giudizio con rito abbreviato?
Perché nessuna di queste si indigna per l’uso del corpo delle donne nei Cie, donne soggette ad un inestricabile e
preciso intreccio di oppressioni di razza, genere e classe e per le violenze che su di loro vengono quotidianamente
perpetrate?
Azzardo qualche ipotesi?
Perché i Cie sono stati istituiti dal centro-sinistra come Cpt, “migliorati” e supportati con la legge sul reato di
immigrazione clandestina dal centro-destra ed entrambi gli schieramenti sono in assoluta sintonia sui principi che li
informano, da quello della detenzione per condizione, a quello di strumento di controllo del mercato del lavoro,
passando attraverso le guerre neocoloniali, dirette ed indirette, che provocano l’esodo di massa delle popolazioni del
terzo mondo.
Perché non c’è nessun ritorno politico. Come possono i partiti e i partitini della così detta sinistra usare la violenza
di genere nei Cie come arma di ricatto verso il primo ministro ed il suo governo, se ne sono corresponsabili?
Allora perchè questo sdegno per i comportamenti sessuali del premier e l’uso del corpo delle donne e nessuno sdegno per
i ricatti sessuali all’interno dei Cie verso donne, oltre tutto, non libere, ma costrette?
Perché sui Cie non è possibile nessuna strumentalizzazione politica.
E, allora, è palese che l’indignazione per l’uso del corpo delle donne che viene portata in piazza il 13, è solo
strumentale.
Ma sarebbe niente. E’ che questo è veramente dannoso per tutte le donne, per la nostra dignità e per le nostre lotte.

Elisabetta
fonte: kinesis.tradate@gmail.com


BRUXELLES: RIVOLTA E INCENDIO IN CENTRO PERMANENZA
In Belgio una protesta è scoppiata in un centro di permanenza per richiedenti asilo, che hanno appiccato un incendio, e
alcuni dei quali minacciano di impiccarsi in segno di protesta per le condizioni di detenzione e per presunti soprusi
delle guardie da loro denunciati.
L'incendio si è sviluppato in un'ala del centro di permanenza di Steenokkerzeel, vicino all'aeroporto di Bruxelles.
Alcuni degli ospiti del centro sono stati evacuati e condotti verso altre strutture simili, mentre altri sono saliti sul
tetto.
“Un'ala alla quale è stato dato fuoco - ha dichiarato il sindaco di Steenokkerzeel, Karel Servranckx - è ora
inutilizzabile. Le famiglie con bambini possono restare. Noi stiamo cercando di evacuare le persone che sono salite sul
tetto. Non si sa ancora quante di queste persone debbano essere evacuate”, ha aggiunto. Alcuni dei richiedenti asilo
hanno minacciato di impiccarsi alle sbarre delle loro celle. Da giorni denunciano maltrattamenti, fisici e psicologici,
anche pestaggi, da parte dei guardiani e condizioni di detenzione dure. Alcuni hanno avviato da qualche giorno uno
sciopero della fame.

21 febbraio 2011
da www.ondarossa.info


tradate (va): incontro su FINMECCANICA
Armi di distruzione di massa, tecnologie nucleari, collaborazioni con le più spietate dittature, muri della vergogna,
controllo sociale, repressione, treni ad alta velocità… con i curatori del dossier: “Una Piovra Tecnologica” “Rompere le
Righe” edizioni.
Finmeccanica è il più grosso produttore italiano di armi (il 5° a livello mondiale), oltre che nella fabbricazione di
armamenti, è implicato nel nucleare, nel controllo dei migranti (suo è il progetto di un muro elettronico nel deserto
libico, suoi sono gli strumenti di sorveglianza usati dalla polizia nordamericana al confine con il Messico) e del
territorio urbano attraverso al costruzione e la fornitura di armi leggere, telecamere o cittadelle telematiche per le
forze dell’ordine.
In provincia di Varese, fiore all’occhiello del made in Italy nel mondo, Finmeccanica è presente con AgustaWestland (a
Cascina Costa di Samarate, dove ne troviamo il cuore operativo, e a Vergiate); con Alenia Aermacchi a Venegono Inferiore
e con numerose ditte terziste.
Il dominio della scienza e della tecnica è scienza e tecnica del dominio, per difendere una società ogni giorno più
precaria, razzista, irregimentata. Il confine fra uso civile e militare dell’apparato scientifico, come risulta lampante
nel caso di Finmeccanica, è labile, incerto, revocabile in qualsiasi momento.
INCONTRO PUBBLICO, venerdì 18 febbraio, ore 21 - Al Kinesis di Tradate

via carducci 3, tel/fax 0331 811662, kinesis.tradate@gmail.com
Antimilitaristi della provincia di Varese


L'assalto a Finmeccanica del colonnello Gheddafi
Cento milioni di euro per incamerare il 2% del pacchetto azionario di Finmeccanica, la holding che controlla le
principali industrie del comparto militare, aeronautico e spaziale italiano. Li ha sborsati la Lybian Investment
Authority (LIA), l'autorità governativa libica che gestisce i fondi d'investimento in numerosi settori, da quello
immobiliare, petrolifero ed industriale alle grandi infrastrutture, al turismo e all'agricoltura, in Libia come
all'estero. Ma la vera partita si giocherà nei prossimi mesi quando la LIA tenterà di acquisire perlomeno il 3% del
capitale di Finmeccanica per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni degli uomini più fidati del colonnello
Gheddafi. Attualmente la soglia del 3% è superata solo dal nostro Ministero dell'Economia (la partecipazione è del
32,5%), ma dopo che il 21 gennaio 2011 la Capital Research and Management Company di Los Angeles ha ridotto la propria
presenza dal 4,88 all'1,85%, l'authority libica è divenuta la seconda azionista di Finmeccanica, prima di Mediobanca che
con l'1% circa del capitale controlla un terzo dei componenti del Cda.
L'ingresso di Tripoli nella holding segue di un anno l'accordo tra i general manager Finmennica e Libya Africa
Investment Portfolio (LAP), l'entità finanziaria controllata dalla Lybian Investment Authority, che ha dato vita ad una
joint venture paritetica "per una cooperazione strategica nel settore militare ed aerospaziale, delle telecomunicazioni,
dei trasporti, dell'elettronica e dell'energia" in grado di operare in Libia, nel resto del continente africano e in
Medioriente. Ancora prima, nel 2006, era stata creata la Libyan Italian Advanced Technology Company - LIATEC, società
per azioni con sede a Tripoli controllata al 50% dalla Libyan Company for Aviation Industry e per il restante 50% da
Finmeccanica e dalla controllata AgustaWestland.
"LIATEC opera quale fornitore delle agenzie libiche preposte agli approvvigionamenti per la fornitura di elicotteri,
aerei medi e leggeri, sistemi elettronici di sicurezza e infrastrutture terrestri", spiega Finmeccanica in un
comunicato. "La società beneficia di diritti commerciali per la vendita in un certo numero di Paesi del continente
africano di mezzi assemblati localmente. I due azionisti italiani forniscono know-how, addestramento, tecnologie e
attrezzature, mentre il socio libico investe principalmente in infrastrutture, impianti e attività di marketing locale".
[…]
A dar forza all'alleanza tra l'industria militare italiana e il governo di Tripoli ha contribuito in particolare il
"Trattato di amicizia e cooperazione italo-libico" sottoscritto il 30 agosto 2008 da Silvio Berlusconi e dal colonnello
Gheddafi. All'articolo 20 esso prevede infatti "un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e
delle industrie militari", nonché lo sviluppo della "collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze
Armate, mediante lo scambio di missioni di esperti e l'espletamento di manovre congiunte".
Ancora più esplicito l'articolo 19 del Trattato che auspica un'"intensa" collaborazione tra Italia e Libia "nella lotta
al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all'immigrazione clandestina", e impegna le
due parti alla "realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società
italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche".
Sono ovviamente le aziende Finmeccanica ad essere impegnate nel rinnovamento del sistema libico di controllo dei confini
e di contrasto anti-migranti.
Tramite Selex Sistemi Integrati (azienda leader nella produzione di sensori navali e terrestri e nel controllo del
traffico aereo) è stato firmato un accordo del valore di 300 milioni di euro per la realizzazione di un sistema di
sorveglianza radar delle coste libiche e delle frontiere con Niger, Ciad e Sudan. […] Selex avrà inoltre la
responsabilità dell'addestramento degli operatori e dei manutentori libici e assicurerà l'esecuzione delle opere civili
necessarie. […]

30 gennaio 2010
da www.peacelink.it


Libia: genocidio in corso di Gheddafi made in Berlusconi
Una buona notizia e una cattiva. La cattiva è che in Libia è in corso un genocidio.
Perpetrato anche con il supporto del governo italiano (mezzi militari made in Italy e mercenari italiani inviati,
secondo accreditati analisti arabi, dietro permesso di Berlusconi, per massacrare i manifestanti). Gheddafi sta
bombardando i manifestanti a Tripoli con forze aree, caccia ed elicotteri, anche italiani.
La buona notizia è che ufficiali dell’esercito libico stanno abbandonando le armi per unirsi ai contestatori. Da La
Valletta (Malta) giunge ora la notizia dell’atterraggio di due caccia e un elicottero libici. Gli ufficiali che avevano
l’ordine di sparare sui manifestanti hanno disertato.
In particolare il confine con l'Egitto è sgombro di forze armate, l'esercito si è ritirato o unito nelle rivolte.
Militari egiziani hanno messo in piedi ospedali da campo per accoglieri i molti feriti da arma da fuoco libici.
Anche a Bengasi, città della Libia nord-orientale, il capitano di caccia libico appena atterrato si è unito alla folla
che manifesta contro il regime sanguinario di Gheddafi.
Fiumi di sangue stanno scorrendo in Libia, nella lotta civile di un popolo contro il suo tiranno. Restiamo Umani

*fonti: Al Jazeera (in arabo), Al Arabya, e il prezioso network fra attivisti libici e palestinesi di qui.
Aggiornamenti costanti: www.facebook.com/pages/Vittorio-Arrigoni/290463280451

22 febbraio 2011
Vik da Gaza city, fonte: guerrillaingaza@gmail.com


Fermiamo il nucleare
Lettera-documento dal carcere di Thun (Svizzera)
Una nuova nel disastro del nucleare è alle porte, l'illusione che tale minacci fosse stata scongiurata dalla lotte
antinucleari degli anni '70/'80 si è infranta di fronte a brame di profitto e di iperproduzione energetica, spacciate
come necessità e interesse strategico per il rilancio dell'economia del Paese. Il rilancio nucleare è affidato a ditte
come ENEL e Andando, con la collaborazione di numerose altre aziende e centri universitari.
In realtà, anche nell'Italia "denuclearizzata" degli ultimi venti anni, i tentacoli della nocività atomica non hanno mai
smesso di estendersi sulle nostre vite e sull'ambiente: depositi di scorie e di armi atomiche, centri di ricerca e
reattori sperimentali, energia nucleare importata dall'estero, centrali attive anche senza produrre energie, vista
l'impossibilità di spegnerle. Il nucleare è una scelta irreversibile, è un punto di non ritorno. Sono stati decenni in
cui la radioattività ha progressivamente esteso la sua contaminazione attraverso terre, acque, venti e ci siamo abituati
a tumori quasi come fossero un naturale frutto del nostro invecchiare.
L'assurdità, la pericolosità, l'incremento di nocività che vecchi e nuovi programmi atomici comportano per il vivente
sul pianeta sono sotto gli occhi di tutti, e ci danno le ragioni per non dover aspettare la costruzione delle nuove
centrali per rilanciare l'opposizione al nucleare. Il nucleare torna di prepotenza sulla scena italiana come fonte
indispensabile, in un periodo di crisi energetica dettata sostanzialmente dalla crisi del settore petrolifero. Nella
ricerca di nuove fonti per alimentare il sistema industriale, il nucleare viene dipinto come un'energia verde, data la
sua immissione diretta di gas serra.
NON può esistere un nucleare pulito, né tantomeno sicuro. Ricordiamoci inoltre che il nucleare è una questione prima di
tutto militare, oltre che energetica: essendo stata inventata per scopi bellici, il materiale nucleare delle centrali è
utilissimo per armi, materiale da guerra e quant'altro.
Sarebbe il caso di iniziare a domandarsi il PERCHE' di questo bisogno di energia, a CHI serve e COSA alimenta. Iniziamo
a domandarci se il problema non fosse la fonte di energia, ma il suo ruolo chiave nel mondo industriale, iniziamo a
domandarci quali siano le cause del continuo incremento delle richieste di energia. A chi propone energie alternative,
rispondiamo che cambia solo la forma ma non la sostanza: l'energia, che sia nucleare, eolica, solare o idroelettrica,
serve sempre ad alimenare un sistema che si rivela nocivo al di là del tipo di fonte di approvvigionamento e le sue
strutture comportano sempre gravi conseguenze sulla terra e sulle popolazioni (mediante centrali, linee elettriche,
dighe, parchi eolici, geotermici e solari, estrazione e lavorazione di materie prime).
Non attendiamo che il rilancio del nucleare possa ancora avanzare: non permettiamo che la mafia dell'atomo rinnovi i
suoi progetti di devastazione irreversibile del pianeta.

dicembre 2010
Costantino Ragusa, Regionalgefaengnis Thun, Allmendstr. 3 - 3600 Thun (Svizzera)

***
Gli indirizzi attuali dei compagni e della compagna sono:
Costantino Ragusa, Regionalgefängnis Bern, Genfergasse 22 - 3001 Bern, Switzerland
Silvia Guerini, Regionalgefängnis Biel, Spitalstrasse 20 - 2502 Biel/Bienne, Switzerland
Luca Bernasconi, Regionalgefängnis Thun, Allmendstr. 34 - 3600 Thun, Switzerland

***
Marco Camenisch è stato trasferito di nuovo
Il prigioniere anarchico Marco Camenisch è stato trasferito per la seconda volta in sei mesi. Questa volta lo hanno
messo nel Prigione di Lenzburgo in Argovia. Non si sa ancora perché. Ma è chiaro che ogni trasferimento è un grande
stress per ogni prigioniere. Una nuova situazione, un nuovo regime, nuove vessazioni. Marco ha bisogno della nostra
solidarietà! Da quasi 20 anni sta in galera come prigioniere politico.
Mandate le vostre lettere di solidarietà. Per una società senza galere!

Marco Camenisch
Justizvollzugsanstalt Lenzburg, Postfach 75 - 5600 Lenzburg (Svizzera)

Amici/che e sostegnatori/trici di Marco Camensich, gennaio 2011
knast-soli@riseup.net


SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI PROTAGONISTI DEL PRESIDIO
CONTRO LE SCORIE NUCLEARI
Nella notte tra il 7 e l’8 febbraio alcuni compagni hanno dato vita, a partire dalla mezzanotte, ad un presidio alla
stazione di Chiusa Condove in Val Susa che aveva l’obiettivo di impedire il passaggio di un treno Caster che stava
attraversando il Piemonte in direzione Francia: il treno trasportava scorie nucleari.
I compagni che componevano il presidio sono stati completamente circondati da agenti in assetto antisommossa a dalla
Digos e al passaggio dei convogli, nonostante l’inferiorità numerica, hanno comunque tentato di bloccare i binari: sono
stati immediatamente caricati. Alla fine le scorie nucleari sono arrivate a destinazione con circa 4 ore di ritardo
congestionando il traffico ferroviario perché costretti a fermarsi poco dopo il passaggio in stazione a causa di due
blocchi di materiale incendiario sui binari.
I compagni che invece si sono resi protagonisti del presidio sono stati trattenuti per ore in stazione e due di loro
sono stati arrestati.
Nella giornata del 10 febbraio il giudice si è espresso convalidando gli arresti.
Vogliamo esprimere la nostra solidarietà nei confronti dei compagni caricati dalla polizia anche in considerazione del
fatto che la loro azione ha sicuramente dimostrato quanto il nucleare sia ancora presente sui nostri territori.
Vogliamo esprimere la nostra solidarietà ai compagni arrestati Arturo e Guido, con il quale come Rete degli EHL italiani
stiamo condividendo l’organizzazione delle iniziative in programma per la V Settimana di Solidarietà Internazionale con
il Popolo Basco.
Ci impegniamo sin da ora a dare la massima informazione su quanto accaduto durante le iniziative in programma in tutta
Italia dal 7 al 20 febbraio esprimendo la disponibilità a contribuire alle spese legali per la difesa dei due compagni.
I due compagni rimarranno sicuramente in carcere fino al 18, 19 o 20 febbraio, giorni nei quali è ancora da fissare in
modo più preciso il riesame. Non si trovano in isolamento e possono ricevere lettere. Pertanto per chi volesse scrivere
ai compagni questi sono i loro indirizzi:

Guido Mantelli, Arturo Fazio
C.C. Lo Russo e Cotugno, via Pianezza 300 - 10151 Torino

ARTURO E GUIDO ASKATU!

11 febbraio 2011
Organizzazione Internazionalista Basca Askapena
Rete italiana dei Comitati di Amicizia con il Paese Basco
***
Questa notte c'è stato un presidio di protesta contro il passaggio di un treno che trasportava scorie nucleari
(riportiamo il comunicato integrale).

E' stato indetto un presidio alla stazione di Condove Chiusa San Michele a partire dalle ore 24,00 di oggi. L'obbiettivo
è non lasciar passare in silenzio questo ennesimo trasporto di materiale pericolosissimo senza opportune misure di
sicurezza (ricordiamo che il protocollo di legge prevede che la popolazione venga avvisata x tempo e venga predisposto
un piano di sicurezza) Sembra poi che si tratti di un trasporto di scorie liquide ancor più pericolose delle barre
solide di uranio.
(Comunicato pubblicato da xxxx il giorno domenica 6 febbraio 2011 alle ore 20.43)

Il presidio è stato indetto per tentare di bloccare il treno carico di scorie nucleari proveniente da Vercelli, che in
gran segreto cercava di raggiungere La Hague in Francia.
Il treno partito alle 2 doveva passare per Torino e la Valsusa, era preceduto da un treno apripista pieno di sbirri. Il
bilancio è di 30 identificati e tre fermi, uno rilasciato.
In solidarietà ad Arturo e Guido arrestati mentre partecipavano a questo presidio, inoltriamo il comunicato di Nunatak.

Arturo e Guido, due dei compagni che animano la redazione di Nunatak-rivista di storie, culture, lotte della montagna,
sono stati arrestati questa notte mentre partecipavano al presidio che a Condove (Valle Susa) cercava di fermare un
treno Castor carico di scorie nucleari liquide provenienti dal reattore di Garigliano.
La presenza di poche decine di persone ha permesso di fermare questo treno della morte, ma non di riportare a casa sani
e salvi tutti i presidianti. Loro hanno fatto qualcosa per tutti noi, ora sta a noi fare qualcosa per loro.
Arturo e Guido liberi! Fermiamo il nucleare!
I vostri compagni e compagne di Nunatak.

7 febbraio 2011
fonte: fermiamoilnucleare@gmail.com

***
Aspettando l'udienza di venerdì mattina, per ora sappiamo che stanno bene e sù di morale, hanno avuto modo di vedere i
familiari e posso ricevere e inviare la posta. Sono nella stessa cella, in "buone" condizioni. Questo che segue è quanto
hanno dichiarato pubblicamente il 10 febbraio 2011 dal carcere Lo Russo e Cotugno (Vallette) di Torino.

Siamo stati arrestati nella notte dello scorso lunedì 7 Febbraio con le accuse, per quanto ci è dato fino ad ora sapere,
di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e attentato a trasporto su via pubblica (o qualcosa di simile) nel corso di
un presidio contro il passaggio di un treno di scorie nucleari a Condove, Valsusa.
Sul passaggio di questi treni si è sempre mantenuto il massimo riserbo, per far sì che le popolazioni esposte ai rischi
che comporta il trasporto di tonnellate di residui radioattivi non potessero manifestare le proprie preoccupazioni ed
eventuali forme di protesta.
Di certo richiamare l'attenzione su questa minaccia fatta passare sotto silenzio e opporsi al transito di questi treni
della morte è un passo essenziale nella lotta contro il mostro nucleare, come testimoniano le mobilitazioni che da
decenni vedono protagoniste, soprattutto nel nord Europa, migliaia di persone coscienti della tragedia che l'industria
dell'atomo rappresenta per il presente ed il futuro del pianeta.
Per chi lotta contro le nocività causate dall'assurdità produttiva che alimenta la malata società del progresso, il
nucleare non può che essere un'ulteriore occasione per esprimere il proprio rifiuto e la propria rabbia.
Al di là dei reati che ci vengono contestati e dell'andamento dell'iter giudiziario, siamo fieri di aver partecipato a
quello che speriamo sia solo un primo momento del rilancio di un'ampia e determinata mobilitazione che sappia esprimere,
con le forme ed i metodi consoni a ciascuno, dignità e forza nel rifiutare e combattere ogni nocività.
Un saluto ribelle a tutti coloro che lottando, dentro e fuori le galere, alimentano il fuoco del desiderio di un mondo
libero da sfruttamento e autorità.
Presi bene raga!

Arturo Fazio, Guido Mantelli

Apprendiamo con gioia della scarcerazione di Arturo e Guido, arrestati durante un presidio contro il passaggio di un
treno Castor carico di scorie radioattive (20 febbraio).


a Finmeccanica i centri informatici della Guantanamo afgana
DRS Technologies, azienda con sede negli Stati Uniti d'America interamente controllata dalla holding italiana
Finmeccanica, si è aggiudicata un contratto del valore di 23 milioni e mezzo di dollari per la fornitura dei servizi di
supporto informatico della base aerea di Bagram, la principale infrastruttura delle forze armate USA nel nord
Afghanistan. […]
Con questo nuovo contratto, DRS continuerà a fornire la tecnologia d'intelligence indispensabile per le operazioni delle
forze armate statunitensi nell'Asia sud-occidentale.
Un lavoro svolto da anni per il Joint NETOPS Control Center in Iraq e che adesso si trasferisce senza soluzione di
continuità al Joint NETOPS Control Center afgano". Per i non addetti ai lavori, il Joint NETOPS Control Center è il
network di comando e controllo dove viene definito ed elaborato il "quadro delle operazioni" e dove il comandante
dell'US Strategic Command, congiuntamente al Dipartimento della difesa e alle altre strutture militari USA "è impegnato
a gestire e difendere la Rete Globale d'Intelligence che assicura la superiorità informativa degli Stati Uniti". Un
elemento strategico di primo livello, dunque, per la proliferazione delle guerre globali e permanenti del XXI secolo.
Bagram, ad una decina di chilometri dalla città di Charikar (provincia di Parwan), è oggi un'inesauribile macchina da
guerra e, secondo alcuni congressisti USA, è la candidata più autorevole per essere trasformata nella maggiore delle
basi operative che le forze armate degli Stati Uniti insedieranno in Afghanistan prima del loro parziale "ritiro" dal
paese. […]
A seguito dell'occupazione alleata dell'Afghanistan, a Bagram sono state realizzate multimilionarie infrastrutture:
decine di caserme per il personale militare, numerosi edifici per uffici e centri di comando, tre enormi hangar per il
ricovero dei mezzi, depositi munizioni, due piste aeree lunghe oltre 3.000 metri, rampe e aree di parcheggio per oltre
130.000 mq, un ospedale con 50 posti letto, centri ricreativi, campi sportivi e gli immancabili ristoranti e fast food.
[…]
Nel 2007, proprio mentre era in corso la visita alla base dell'allora vicepresidente Dick Cheney, un attacco suicida ad
uno dei cancelli d'ingresso causò la morte di 23 persone (un militare e un contractor USA, un soldato sud-coreano e 20
operai afgani). Il 4 marzo 2009 fu invece fatta esplodere un'autobomba fuori del perimetro dell'aeroporto che causò la
morte di altri tre lavoratori afgani. Quattordici mesi dopo una dozzina di insorgenti filo-Talibani sferrò un attacco
armato contro la base, causando la morte di un contractor e il ferimento di 9 militari statunitensi.
Non è tuttavia agli attentati che Bagram deve la sua fama sinistra a livello internazionale. La base è infatti nota come
la "Guantanamo afgana" perchè sede del maggiore centro di detenzione USA di "combattenti" o semplici cittadini afgani
sospettati di "terrorismo". Secondo i dati forniti dal Pentagono a Bagram si troverebbero "all'incirca 565" detenuti.
Quasi nulla si conosce della loro identità, delle circostanze del loro arresto e delle condizioni di detenzione. Nessuno
dei prigionieri ha però avuto accesso all'assistenza legale o a un giudice. Oltre al personale d'intelligence
statunitense, solo i rappresentanti della Croce Rosa Internazionale hanno diritto di accesso al centro di detenzione
ogni 15 giorni. Nel maggio dello scorso anno, la Croce Rossa ha tuttavia rivelato di essere venuta a conoscenza
dell'esistenza di una "seconda prigione dove i detenuti sono tenuti in isolamento e non hanno mai potuto incontrare il
nostro personale che invece attende periodicamente gli altri detenuti".
La Bagram Theater Internment Facility è stata al centro d'innumerevoli denunce per gravi violazioni dei diritti umani,
trattamenti disumani e abusi sui prigionieri. Alcuni ex prigionieri in periodi di tempo diversi tra il 2002 e il 2008,
intervistati dall'emittente britannica Bbc, hanno riferito di essere stati sottoposti da parte del personale USA a
torture, pestaggi, denudamenti, privazione del sonno, minacce di morte. Il New York Times, in un'inchiesta pubblicata il
20 maggio 2005, ha documentato che "prigionieri ritenuti importanti o pericolosi sono stati ammanettati e incatenati ai
soffitti e alle porte delle celle, spesso per lunghi periodi". Torture e violenze fisiche e psicologiche sarebbero state
praticate con frequenza durante gli "interrogatori" dagli specialisti del 519th Military Intelligence Battalion e dei
riservisti della 377th Military Police Company di stanza a Cincinnati.
Agli abusi all'interno del centro di detenzione di Bagram è stato dedicato il film "Taxi to the Dark Side", vincitore
del Premio Oscar 2008 come migliore documentario. Il film di Alex Gibney descrive la vicenda umana di un ventiduenne
taxista afgano, Dilawar, arrestato ingiustamente con l'accusa di essere filo-Al Qaeda e morto nel dicembre 2002 a
seguito delle torture ricevute durante gli interrogatori. È invece riuscito a sopravvivere all'ingiusta detenzione Jawed
Ahmad, un giornalista della televisione nazionale canadese, che ha poi raccontato di essere stato sottoposto ad oltre
100 interrogatori in meno di un anno (dall'ottobre 2007 al settembre 2008). "Hanno iniziato a torturarmi subito dopo il
mio arrivo a Bagram", ha raccontato Ahmad. "Mi bastonavano duramente e m'impedivano di dormire per giorni. Mi hanno
costretto a stare a lungo al gelo. Mi facevano stare a piedi nudi sulla neve per sei ore e poi in isolamento per 18
giorni consecutivi". […]
È dunque in questo inferno afgano che fornirà propri servizi e proprio personale la società leader di Finmeccanica nel
settore dei "prodotti elettronici integrati per la difesa e il supporto alle forze militari". […]
"La straordinaria crescita di DRS nel corso degli ultimi cinque anni e il premio ottenuto dall'operazione costituiscono
un ottimo risultato per i nostri azionisti", si legge nel comunicato emesso il 13 maggio 2008 dagli amministratori di
Finmeccanica e DRS Technologies. Sì, proprio un grande affare, per speculatori, banche e signori delle armi e delle
guerre.
***
Un anno e mezzo fa erano circa 180 i militari e civili assegnati al Comando di US Army Africa a Vicenza. Adesso lo staff
della componente terrestre di AFRICOM, l’organismo militare che sovrintende alle operazioni statunitensi nel continente
africano, supera già le 400 unità.
Pensare che alla sua costituzione, nel dicembre 2008, nella città più militarizzata d’Italia, il ministro Frattini ebbe
l’ardire di affermare che con US Army Africa “non ci saranno truppe da combattimento americane assegnate su base
permanente a Vicenza, ma solo componenti civili che opereranno nel quadro della NATO”.
Di Alleanza atlantica, in verità, nelle missioni africane dei reparti USA non c’è l’ombra; tutto viene pianificato dagli
alti comandi AFRICOM di Stoccarda nel rispetto delle linee guida e degli interessi strategici del Dipartimento di Stato
e della Difesa.
Ad US Army Africa Vicenza (ex Setaf - Southern european task force) il compito di potenziare le capacità di penetrazione
delle forze terrestri nei complessi scenari africani e di accrescere la partnership USA con gli eserciti del continente,
senza indagare più di tanto sulle pratiche repressive dei regimi o sui passati stragisti e criminali di capi di stato e
militari. [...]

gennaio/febbraio 2011
estratti da www.peacelink.it


lettere dal carcere di macomer (nu)
Nella lettera che segue Amine parla dell'amico Ben Mabrouk Adel che giunto in italia dopo 8 anni di villeggiatura
nell'incubo di Guantanamo, ha avuto un'udienza a Milano il 07 febbraio 2011 dove il pm Spataro, gli infligge una pena di
due anni, e lo rimette, grazie alla sospensione condizionale della pena, immediatamente in libertà. Dalla lettera si
capisce che la sua "liberta'' è finita ben presto ed è stato deportato a Roma al CIE di Ponte Galeria.
Ben Mabrouk faceva il barbiere nella moschea milanese di viale Jenner e finisce nel giro d'inchiesta sui fiancheggiatori
di AlQaeda a Milano. Nel novembre 2001, viene catturato dagli americani fra l'Afghanistan e il Pakistan ed inviato nel
2002 a Guantanamo. Nel novembre 2009 è rinviato in Italia dove sconta un anno di detenzione al carcere di Macomer.

Ciao, sono Amine. Sono stato molto contento di ricevere la tua lettera e grazie mille per la fotocopia del giornale che
parla del nostro compagno Ben Mabrouk Adel; l'ho fatto vedere a Chabchoub Mohamed ed agli altri compagni, e sono stati
tutti molto felici per questa notizia. Il nostro compagno Ben Mabrouk che ha sofferto 9 anni a Guantanamo, finalmente è
stato liberato. Chabchoub ha ricevuto una lettera questa settimana da Ben Mabrouk Adel dal centro di espulsione di Roma,
da dove ha chiesto l'estradizione in Tunisia. Se puoi farmi un favore, di spedirmi una copia del giornale "le monde
diplomatique" di questo mese. Un caro saluto a te e alla tua famiglia. A presto.
P.s. ti chiedo di fare avere ai compagni di Olga questa lettera che ti spedisco; racconta la storia di un compagno che
sta in carcere ingiustamente. Lui ha chiesto a me di scrivere la sua storia, perchè lui non conosce la lingua italiana.
Grazie mille.

Macomer, 18 febbraio 2011
Amine Bouhrama, Località Bonu Trau, n. 19 - 08015 Macomer (Nuoro)
***
Un caro saluto a tutti voi, voglio raccontare a tutti i compagni la mia strana storia.
Sono egiziano, nato il 29 aprile 1977, vivo in Italia da 14 anni, ho la carta di soggiorno valida 10 anni, sono
sposato, ho 3 figlie femmine, e sono residente a Milano.
Il 28 ottobre 2010, sono arrivato a casa dal lavoro nel pomeriggio e sono rimasto sorpreso dalla Presenza dei
Carabinieri, che mi aspettavano vicino a casa mia e subito mi hanno perquisito, poi sono saliti con me a casa ed hanno
perquisito tutta la casa spaventando mia moglie e le mie figlie; quando hanno finito, hanno portato me con loro in
Questura a Milano, mi hanno fatto le fotografie e le impronte, e mi hanno dato un verbale dove è scritto che i Servizi
Segreti Egiziani stanno indagando su di me, perchè secondo loro, ho aiutato dei "terroristi" in Egitto 3 anni fa.
Sono rimasto molto sorpreso da questa bugia!Ho detto loro che sono pronto ad andare subito in Egitto per chiarire tutto
davanti alla Magistratura Egiziana. Dopo 10 giorni sono stato trasferito al carcere di Macomer, lontano dalla mia
famiglia; mia moglie non riceve le mie lettere da 4 mesi.
Dopo 3 mesi in carcere ho chiesto alla Direzione di parlare col Magistrato di Sorveglianza, e quando ho parlato con lui,
ho spiegato che sono pulito e sono pronto ad andare in Egitto, perchè mia moglie e le mie figlie stanno soffrendo
Ingiustamente. All'inizio di questo mese ho cominciato ad essere nervoso a causa dello stress di una ingiusta
detenzione, ho minacciato la Direzione che se in questo mese non fanno qualcosa, comincio lo sciopero della fame fino
alla morte e faccio un gran casino; dopo due giorni hanno portato una notifica dove è scritto che è stata fissata
un'udienza in tribunale a Milano il 24 febbraio 2011, e speriamo che vada bene e venga fuori la verità, Inshallah. Un
caro saluto a tutti voi e grazie per la vostra disponibilità, a presto.
Da "Un Sequestro di Persona Bianco".

Macomer, 18 febbraio 2011
Abdelmaksoud Hani, Località Bonu Trau, 19 - 08015 Macomer (Nuoro)

[...] Le condizioni del carcere di Macomer sono pessime. La porta blindata della cella è ancora chiusa. Si apre solo per
i tre mesi dell'estate e questo abuso non esiste in nessun carcere d'italia, solo al 41-bis e a Macomer. Non abbiamo una
biblioteca per prestare libri da leggere.
Per il trattamento è cambiato molto dopo la nostra grande lotta che abbiamo fatto contro la direzione e la guardie che
ci hanno trattato molto male il 4 aprile 2009, e siamo molto grati per l'aiuto dei nostri compagni (Olga, Senza Censura,
Solidarietà), degli avvocati e di altri compagni.
Dopo 5 anni di carcere solo l'anno scorso mi hanno autorizzato a telefonare alla mia famiglia e al mio avvocato. Per
l'attività scolastica c'è solo il corso di terza media.
Il cibo qui fa veramente schifo, ho fatto tre istanze per il trasferimento e non ho avuto nessuna risposta. Ho scritto
tre lettere ai compagni di Olga per spedirmi qualche libro, però non ho ricevuto nessuna risposta da loro. Forse non
hanno ricevuto le mie lettere?
L'anno scorso mi hanno spedito tanti libri.
Se puoi farmi un favore di salutarmi i compagni di Olga e dire loro che non ho ricevuto la loro rivista per due mesi
(novembre, dicembre) e se puoi spedirmi qualche libro (Enciclopedia 2010, Geografia, Letteratura, Scienze, Psicologia,
Medicina, Mitologia, Italiano, l'Atlante). Grazie mille. Per le altre associazioni (Senza Censura, E' ora di liberarsi
delle carceri, Solidarietà) da molto tempo non ricevo le loro lettere e le loro riviste. Spero che ci risentiamo presto,
Inshallah.
Ciao, Amine.

Macomer, 17 gennaio 2011


resoconto assemblea dei condannati per la manifestazione
contro il carcere e il 41-bis del 2007 a L’aquila
Si è tenuta sabato 5 febbraio al CPO Gramigna di Padova l'assemblea lanciata dagli imputati dei due processi in corso a
L'Aquila con l'obiettivo di rilanciare un percorso per sviluppare la solidarietà agli imputati. L'assemblea è stata
partecipata da circa 80 compagni da diverse città da tutta Italia.
Dopo la manifestazione del 3 giugno 2007 a L'Aquila, 24 compagni vengono denunciati. Il processo viene diviso in due
tronconi a seconda dei capi di imputazione, 11 compagni sono accusati di apologia di reato per aver urlato lo slogans
"la fabbrica ci uccide, lo stato ci imprigiona, che cazzo ce ne frega di biagi e di d'antona" e vengono condannati a due
anni ciascuno in primo grado, altri 11 compagni sono accusati di aver danneggiato la rete di recinzione del carcere e
di aver invaso il terreno circostante, 10 vengono condannati a 7 mesi e 1000 euro di multa ciascuno.
L'assemblea è cominciata sviluppando alcune riflessioni riguardo il processo.
Le denunce e le condanne in generale rappresentano un chiaro attacco alla solidarietà di classe e alla lotta contro il
carcere e il 41-bis. I compagni condannati a due anni (di fronte ad una richiesta da parte del PM di 5 anni per
ciascuno) sono stati colpiti esclusivamente per aver espresso solidarietà alla resistenza in carcere della militante
rivoluzionaria Nadia Lioce, detenuta in regime di 41 bis proprio a L'Aquila, e ai compagni arrestati pochi mesi prima
con l'operazione Tramonto.
Il processo si è svolto in modo differenziato. La suddivisione in due tronconi distinti del processo è un tentativo per
dividere gli imputati per area di appartenenza politica, tra compagni comunisti e compagni anarchici, con l'obiettivo di
rompere l'unità e depotenziare la difesa dentro e fuori l'aula.
La logica della differenziazione è la stessa che permea all'interno del sistema carcerario e che vede oggi i compagni
detenuti in sezioni specifiche a seconda dell'area politica di appartenenza. 23 condanne su 300 manifestanti diventano
esemplari e servono come monito per tutti gli altri.
Si è tentato così di creare il cosiddetto "mostro", al fine di demonizzare e svuotare dei suoi contenuti originali
l'intero corteo, nel vano tentativo di nascondere la funzione del carcere e del 41-bis, che applicato ai rivoluzionari è
la massima espressione dell'annientamento fisico e politico dei prigionieri, e perché dà fastidio che ci sia chi ne
denuncia la reale natura repressiva e controrivoluzionaria. Diversi interventi hanno sottolineato come il 41 bis sia la
punta più alta di tutto il sistema carcerario.
Citando le parole di un compagno: "Un'altra cosa che voglio dire, è che il 41 bis non è solo per chi lo prende, che è
già un fatto gravissimo, ma è un fatto così: è come in una fabbrica nel reparto x aumentano il cottimo a 100 mentre
prima era 80. Se non lo fermi, si estende a tutta la fabbrica la condizione di cottimo che pongono a quel reparto la.
Quindi gli operai partono e vanno a cercare di fermarlo, se non ci riescono, la condizione si estende".
L'assemblea si è dimostrata solidale nei confronti degli imputati e rivendica l'unità e la compattezza (nei contenuti di
classe, negli slogans e nel corteo) del percorso che ha portato alla manifestazione a L'Aquila nel giugno 2007.
L'assemblea ha condiviso la necessità di rispondere con forza e unità al processo, rilanciando la lotta contro il 41
bis, il carcere e la repressione, scendendo nuovamente a manifestare l'11 giugno 2011 a L'Aquila. La proposta condivisa
è quella di ritornare con un corteo nella città e un presidio sotto al carcere. L'assemblea ritiene anche importante
sviluppare un percorso concreto con tutte le realtà presenti per arrivare a questa mobilitazione. In assemblea si è
anche proposto di produrre alcuni materiali di controinformazione, tra cui un manifesto e un testo che rivendica il
senso dello slogan incriminato e che cerca di spiegarne la valenza che ha per molte persone e non per "pochi
denunciati".
La centralità e l'importanza di queste lotte è dimostrata dall'incremento dell'uso della repressione davanti allo
sviluppo delle lotte attuali. Ragione per cui si ritiene importante cercare di collegare il contenuto del processo a
quello delle mobilitazioni di studenti, lavoratori e in difesa del territorio. L'assemblea ritiene principalmente
importante provare a consolidare una rete di rapporti e di reciproca solidarietà con gli abitanti di L'Aquila. Questo
perché nel frattempo la città è stata stravolta dal terremoto.
È stata un occasione per le speculazioni e l'arricchimento di imprenditori e capitalisti (ricordiamo le grosse risate di
Anemone la sera del terremoto, rallegrato dall'odore di facile profitto), è stata laboratorio di sperimentazione del
controllo sociale e della gestione militare delle cosiddette "situazioni emergenziali", proibendo le esperienze di
autorganizzazione e di socialità dal basso, lasciando spazio, invece, all'organizzazione di gruppi neofascisti.
L'assemblea naturalmente allarga la proposta di costruire questo percorso anche ai compagni e le realtà non presenti e
comunque interessate e rilancia anche la produzione di materiali (documenti, testi, video ecc.) relativi a questi
contenuti.
L'assemblea ha convocato un primo incontro tecnico-organizzativo per domenica 13 febbraio alle ore 15 presso l'Iqbal
Masih via della Barca, 24 Bologna.

Padova, sabato 5 febbraio 2011
Assemblea per la giornata di lotta dell'11 giugno 2011


Lettera dal carcere di Siano (cz)
Ciao compagni, vi scrivo per spedirvi questo stampato di nostra iniziativa. Vogliamo aiutare Battisti e solidarizzare
con il presidente Lula per la decisione presa, e cogliere l'occasione per far conoscere al mondo e principalmente al
Brasile la realtà delle carceri e della giustizia in Italia.

Al ministro della giustizia del Brasile
Ambasciata del Brasile, P.zza Navona 14 - 00186 Roma
Con la sottoscrizione esprimiamo sostegno al Presidente Lula, confermando il regime illiberale e persecutorio vigente in
Italia. Regime nel quale la repressione del dissenso politico-sociale nel mondo operaio, studentesco, ambientalista,
raggiunge aspetti radicali (da tortura) in occasione di rivendicazioni di autogoverno nel Sud, mascherandola come
intervento di orine pubblico. A dimostrazione le "leggi emergenziali-permanenti", pene pesantissime e condizioni inumane
nell'esecuzione delle pene:
a) 73.000 detenuti in carceri che possono contenerne 42.000, con le conseguenze immaginabili.
b) 1.400 ergastolani (1.300 meridionali destinati a morire in carcere se non accusano altri politici e cittadini).
c) 800 ricorsi contro le condanne all'ergastolo innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo.
d) Innumerevoli condanne dell'Italia da parte della Corte Europea di Strasburgo per violazione dei diritti civili.
e) 700 detenuti al regime ex 41-bis l.n. 353/1975 (legge penitenziaria) dichiarato inumano da una Corte d'appello
U.S.A., che rifiutò l'estradizione di un cittadino italiano richiesto dall'Italia.
Caso Battisti a parte, che si cita al solo fine di esemplificare le conseguenze al caso concreto, se venisse estradato
sarebbe destinato a morire in carcere nel regime ex art. 41-bis (per effetto del combinato disposto dall'art. 22 Codice
Penale e art. 4-bis l.n. 354/1975) nel caso rifiutasse di denunciare tutti coloro che hanno favorito la sua latitanza in
Italia, Francia e Brasile.
All'ambasciatore brasiliano chiediamo di informare anche le diplomazie francesi e inglesi. Alle stesse si chiede un
intervento (come già avvenne nel 1865) per moderare la repressione dello Stato italiano nei confronti dei cittadini
(meridionali in particolare) e ristabilire il rispetto dei diritti umani, civili e politici.

25 gennaio 2011
Pasquale De Feo, v. Tre Fontane 28 - 88100 Siano (Catanzaro)


Lettere dal carcere di Prato
[…] Qui a Prato il carcere è di 700-800 detenuti, con una capienza massima di 500.
In questo mese e mezzo ho riscontrato parecchie sinergie con S. Vittore, nel senso che tante cose non funzionano a
partire dall'assistenza sanitaria. In questo lasso di tempo ci sono state solo due visite mediche, due sole mattinate in
45 giorni per 75 detenuti, tanti quanti siamo in questa sezione, la terza. In questo padiglione ci sono otto sezioni, da
75 detenuti ciascuna più altre due sezioni, AS e 41-bis in un altro padiglione.
Il vitto è immangiabile, per quanto riguarda i secondi, mentre la pasta a volte si può mangiare. Pochi giorni fa con il
mio compagno di cella abbiamo scritto una petizione poi firmata da tutti proprio riguardo al vitto che spesso non basta
per tutti e per la sua scarsa qualità. Le docce sono più o meno funzionanti, ma il loro locale ha le pareti ammuffite è
privo di attaccapanni e le cipolle sono rotte. Educatori e assistenti sociali latitano parecchio, molto più che a
Milano: ti chiamano quando sei “nuovo giunto” e poi chi si è visto si è visto. Il campo di calcio è assegnato alle
sezioni in modo scriteriato, a noi, per esempio, negli ultimi sei mesi è toccato tre volte. Insomma non funziona un c…
Nota lieta invece, la splendida amicizia che in poco tempo ho instaurato con un mio concellino che vuole conoscervi e
scrivervi. Di seguito vi elenchiamo alcuni testi di libri che hanno suscitato l'attenzione di alcuni detenuti […]
Un abbraccio e un saluto da tutti noi, Davide.

Prato, 3 febbraio 2011
Davide Puricelli, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato

***
Cari amici, tramite un compagno incontrato qui ho il piacere di esprimere le mie idee sull'opuscolo che, come ho potuto
notare, trovo molto interessanti.
Sono di Civitavecchia. Sono stato trasferito prima nel carcere di Frosinone poi qui a Prato. A Frosinone è stata alzata
una gru, perché stanno costruendo un'altra ala.
Il 4 giugno 2010 sono scappato alla scorta e mi sono arrampicato in cima alla gru. Sono arrivati giornalisti, giudici,
pompieri ecc. ecc. Sono rimasto su 56 ore. Non mi sono lamentato per me, l'ho fatto per tutti. Mi posso giudicare molto
vivace.
Sono passati 12 anni dall'ultima mia carcerazione. Mi accusano di estorsioni che non ho mai commesso. Gli avvocati hanno
chiesto l'assoluzione, ma mi hanno condannato a 7 anni e 6 mesi. Sono stato processato con il rito ordinario in quanto
non ho chiesto né il patteggiamento né il rito abbreviato. Ora spero che si chiarisca in appello.
Nel carcere di Civitavecchia ho avuto un incidente in palestra il 1° giugno 2009. Un bilanciere mi è caduto sulla gola.
Sono 20 mesi che non parlo. TAC, risonanze, ho fatto di tutto; sono stato colpito da una trombosi alla mugolare
sinistra; prendo due pasticche al giorno di "Cumadin". Non sono mai stato tossico e non ne faccio uso di niente dalla
nascita.
Voglio raccontarvi un fatto più importante accaduto qui a Prato. Vedete, sono qui dal 20 agosto 2010. Ho visto
abbastanza. Ho fatto petizioni a destra e sinistra; ho scritto alla procura di Prato per denunciare il dirigente del
carcere. Non ho mai avuto risposta.
Sto alla 3° sezione (A), siamo in 73, c'è una sola guardia. Pensate come si può stare.
Il fatto più grave è che i detenuti non hanno le palle, pensano al mangiare o protestano per una cavolata, ma a questo
morto non han fatto manco una messa.
Questo ragazzo si chiamava Montalto Antonino, aveva 20-21 anni, stava qui in 3° sezione e mi aveva chiesto se poteva
venire in cella dove sto io. Gli ho risposto ok. Lui aveva problemi psichici, si menava da solo, certe volte calciava la
porta e parlava da solo. Si vedeva lontano un miglio che aveva problemi. In più era tossico, ma si poteva salvare.
Aveva la madre in carcere, il padre e il fratello non so dove. Una mattina prendono lui e altri due e li portano
all'isolamento per una presunta scabbia. Dopo tre giorni lo incontro con tutta la zampogna (le sue cose), gli chiedo
"dove ti portano?", mi dice che lo stanno portando alla 1° sezione. Immaginate, una sezione tutta di stranieri. Lui già
era debole per sé, vedendosi con tutti quegli stranieri che non lo conoscevano, che non sapevano che era un po' toccato.
Un giorno mentre giocava a dama con un ragazzo, si è alzato e gli ha dato uno schiaffo. Subito gli ha chiesto scusa per
il gesto. Tutti hanno notato che non ci stava con la testa. Le guardie lo hanno portato all'isolamento, senza consiglio
disciplinare.
Antonino era alto 1,65, pesava si e no 55 kg. All'isolamento ci sono stato 45 giorni e sò di preciso che la guardia non
passa mai. La guardia delle celle se la chiami non ti sente. Il ragazzo doveva essere sentito dal dottore se poteva
stare in isolamento. Non credo che il dottore avrebbe detto di sì. Fatto sta che si è impiccato alla porta della cella
ad un'altezza di 1,20 mt. Come è possibile? La guardia dov'era?
Per conto mio si è attaccato ad una delle due finestre della cella blindata, lo hanno spostato di lì così hanno potuto
dire di essere passati e di non aver visto nessuno che si stava impiccando alla finestra! Dicendo invece che era
attaccato al blindo, possono dire di non averlo visto. Sti pezzenti, si stanno parando il culo .
Spero sia chiaro quello che ho detto, di me non preoccupatevi, l'importante è che un compagno non sia morto per nulla.
Con grande stima, vi saluto Domenico

Prato, 16 febbraio 2011
Domenico Gabelli, v. La Montagnola, 76 - 59100 Prato

lettere dal carcere di Carinola (ce)
Ciao compagni, compagne, qui procedono i lavori per il nuovo padiglione di 5 piani (costruito in larga parte sul terreno
del campo sportivo), tra non molto tempo lo utilizzeranno sicuramente, lo riempiranno come tanti altri carceri nuovi e
vecchi.
Vi saluto con un abbraccio e sempre avanti

30 gennaio 2011

***
Carissimi compagni, […] qui la direzione ha un atteggiamento del tutto refrattario alle nostre richieste. Non c'è aria
educativa e quindi non viene mai fatta una relazione che possa migliorare la vita dei prigionieri. Oltre a ciò, il
magistrato di sorveglianza è assoggettato a quel che le comunica la direzione, quindi tutte le istanze e reclami vengono
rigettati.
In questo campo di concentramento, perché questo è il carcere di Carinola, hanno concentrato 160 ergastolani; per chi
arriva in questo carcere questo diventa come l'ultima deriva - senza uscita e speranza.
La settimana scorsa è venuta a mancare la mamma ad un compagno che si trova qui con noi. Umanamente sono momenti
difficili e pieni di dolore, soprattutto per chi si trova dentro e non può essere vicino alla propria famiglia. Il
compagno ha presentato istanza per andare a vedere la mamma per l'ultima volta, ma gli è stata rifiutata sia dalla
direzione che dal magistrato di sorveglianza. Eppoi parlano di umanizzare le carceri, di migliorare la vita in questi
posti di sofferenza. Non può cambiare mai nulla, perché il più grande nemico degli uomini e del bene umano è l'ipocrisia
di chi governa… Una volta quando si parlava di "virtù!", di dignità morale era chiaro cosa si intendeva dire. Una
persona era onesta e leale, rispettabile; oggi la parola "virtù" ha lasciato il posto alla parola "valori", ma questo
termine presenta un problema. I valori possono includere convinzioni, opinioni, atteggiamenti, sentimenti, abitudini,
consuetudini e pregiudizi, persino stravaganze. Oggi, nella società liberalizzata ognuno si sente giustificato a
scegliere i propri valori, come facesse la spesa al supermercato. Quando succede questo però, cosa accade alla vera
virtù e alla vera moralità?
Purtroppo oggi tanti hanno perso la visualità della vita. Questo è stato un fatto ricorrente nella storia. Ciò è dovuto
al dato che non si sa discernere il giusto dallo sbagliato. Per esempio, non si sa scegliere la solidarietà e
l'altruismo nei confronti di tutti quelli che hanno bisogno e lottano per sopravvivere. Con questo vi saluto, un
abbraccio a tutti e tutte, Antonino (Qui vi salutano tutti i compagni)

Antonino Faro v. S.Biagio, 6 - 81030 Carinola (Caserta)

***
[…] Con questa mia lettera vengo ad aggiornarvi della protesta che sto portando avanti silenziosamente per i seguenti
motivi: l'8 ottobre 2010 iniziai a fare delle punture di Interferone; la cura doveva proseguire per 48 settimane. Quella
cura di iniezioni mi era stata assegnata a causa di malanni al fegato. In breve, sono sieropositivo di epatopatia HCV
venale e pancreatica, ed inoltre, sono sieropositivo di HIV.
Nei mesi di ottobre e novembre le iniezioni prescritte mi sono state fatte; all'inizio di dicembre, invece, sono state
interrotte perché "è venuto a mancare il farmaco".
Per attirare l'attenzione del medico dirigente responsabile, il 4 dicembre ho comunicato a guardie e infermieri che
iniziavo uno sciopero della fame di 5 giorni. Il 6 dicembre mi comunicano l'arrivo di due confezioni di Interferone. Lo
stesso giorno mi viene fatta una prima iniezione, la seconda il 13 dicembre. Il giorno 20 la cura viene interrotta
poiché ancora una volta mancano le iniezioni. Solo verso le 22 si presenta davanti alla cella l'infermiere per farmi
l'iniezione, che doveva essere stata compiuta in mattinata. Il rispetto dei tempi non è una mia invenzione, ma una
precisa prescrizione indicata dal medico dell'ospedale Cutugno di Napoli, accompagnata dalla prescrizione del farmaco
Trivizir (contro l'HIV).
Così il mattino successivo comunico alla responsabile delle cure contro le infezioni virali che non intendevo recarmi
alle visite ospedaliere né ai prelievi del sangue, rifiutando di conseguenza la cura dell'Interferone.
In un colloquio con il dirigente sanitario e la responsabile delle cure contro le malattie virali, apprendo che loro
avrebbero richiesto al DAP il mio trasferimento in un centro clinico adeguato al mio caso, perché nella sezione Alta
Sorveglianza 2, dove mi trovo, è dimostrato dall'assenza dei farmaci e altro ancora, le cure continuate e monitorate non
sono proprio possibili.
Da qui la mia decisione di continuare la protesta fino ad ottenere una risposta scritta dal DAP. Questo il motivo della
mia protesta. Un saluto anarchico, Mauro.

Carinola 1° febbraio 2011
Mauro Rossetti Busa, v. S.Biagio 6 - 81030 Carinola (Caserta)


lettera dal carcere di Opera (Milano)
Ciao! Dopo le torture psicologiche subite nel carcere di Parma, dove sono stato messo sotto l'isolamento del 14-bis, a
causa della tentata evasione dal carcere di Alessandria-S. Michele, dopo ulteriori 6 mesi di osservazione più la posta
censurata, sono riuscito ad ottenere un trasferimento. A seguito di petizioni scritte da me e lettere inviate ai
giornali per vie traverse, il DAP decide di accontentarmi con il trasferimento dalla prigione di massima sicurezza di
Parma alla prigione di massima sicurezza di Opera.
La prigione di Opera è enorme, contiene tutti i tipi di regime. L'illuminazione nelle celle non è garantita, quando si
fulmina la lampadina sei costretto a compratela alla spesa al costo di 1,70 euro e se fai casino chiedendo spiegazioni
all'amministrazione penitenziaria, ti fanno rapporto disciplinare. Io, ogni volta, di rapporti ne chiedo due, uno
disciplinare e uno possibilmente orale!
Già al mio ingresso a Opera ho dichiarato di rifiutare la liberazione anticipata.
Alcuni farmaci (che distribuiscono) sono scaduti; cuscini e materassi hanno fatto la muffa talmente che (anch'essi) sono
scaduti; le docce sono buone, ma tutti i giorni viene interrotta l'acqua calda e rimaniamo in mutande sotto la doccia a
prendere freddo.
Ho scritto alcune petizioni e le ho fatte firmare a tutti i detenuti: non ci ha chiamati nessuno. In 12 anni di
prigionia non mi era mai accaduto. Solitamente l'infame di sezione va a cantarsela, indicando i "capi promotori" e
subito ci sono le conseguenze. Qui ad Opera, invece, direzione e secondini se ne fottono, perché ricattano con facilità
molti detenuti ai quali propongono un lavoro. E in questo carcere di attività lavorative ce ne sono tante. Se ad alcuni
gli chiedi di protestare ti dicono di no! Se gli chiedi di fare a cazzotti ti dicono di sì! Infatti le sezioni
dell'isolamento sono piene di prigionieri che scontano il 14-bis. C'è troppa ignoranza, non si ha la coscienza della
lotta.
Ciao Mario, sono onorato del fatto che tu abbia risposto alla mia lettera inviata dal carcere di Parma. Accetto la tua
critica perché sono intelligente, so bene che serve a stimolare quei ragazzi che subiscono, ma in qualità di fratello,
amico e compagno anarchico, ci tengo a dirti di non mettere mai più in dubbio la mia parola.
Ricambio riabbraccio solidale, saluti ribelli a tutti/e, l'anarchico William.

Opera, 25 gennaio 2011
William Pilato, via Camporgnago 40 - 20090 Opera (Milano)


Lettera dal carcere di Cremona
Cari compagni/e, vi scrivo dal carcere di Cremona, un saluto particolare a tutti quelli che come me si trovano ancora
rinchiusi nei lager delle prigioni italiane.
Qui a Cremona la situazione è inverosimile, basti pensare che da qualche giorno è stato messo in bacheca il prezzo di
una caffettiera da una tazza al modico prezzo di 17,00 euro. Ciò vuol dire, cari compagni, che per bere il primo caffè
bisogna spendere, con l'aggiunta del caffè e dello zucchero, ben 20 euro. Poi si vedono persone che vengono a lavorare
qui dentro con i BMW o le Porsche Cajenne.
Per noi invece c'è poco cibo e la frutta ci viene data marcia. Questo non fa parte di un regime carcerario, ma di un
regime filorazzista come ad Auschwitz. Le guardie, devo essere sincero, sono abbastanza comprensibili, ma è la direzione
che è assente.
Purtroppo per me le cose non stanno andando per niente bene, per problemi legati al matrimonio. Questo proprio non ci
voleva. Mia moglie è stata sfrattata da casa ed è dovuta andare dai miei suoceri che le stanno mettendo in testa chissà
che cosa. Ho molti pensieri negativi, anche per quando uscirò; non ho più una casa, sicuramente finirò in mezzo a una
strada.
Cerco di non pensare, leggendo i libri che mi mandate, anche se è difficile non soffrire. Comunque non ho ricevuto il
libro "L'antologia della poesia italiana", chissà dove è finito. Inviatemi degli altri sullo stesso tema, a me
direttamente.
Un caro saluto a tutti voi compagni e compagne; sappiate che ho la massima solidarietà con tutti voi.

(lettera firmata)


carcere di Bassone (como): di male in peggio!
E' da oltre un anno che solidarizziamo con i/le detenuti/e del Bassone e sosteniamo le loro lotte. Dobbiamo amaramente
constatare che la situazione non è per nulla cambiata, anzi, se possibile, è peggiorata. Gli interventi della direttrice
del carcere, Maria Grazia Bregoli, non hanno fatto altro che rendere ancora più un inferno la vita dei prigionieri ed
ancora più difficile il sostegno da parte dei familiari ai loro cari. Conoscete ormai tutti le famigerate restrizioni
imposte dalla direttrice riguardo l'ingresso di qualsiasi tipo di alimento ed i prezzi assurdi del mercato interno,
l'unico al quale possono accedere direttamente i detenuti. Inoltre, recentemente è apparso un articolo su “La Provincia”
di Como che lascia presagire una situazione sanitaria a dir poco allarmante. Ci riferiamo alla protesta dei medici,
dipendenti dell'ospedale S.Anna, in servizio all'interno del carcere che parlano di un ambulatorio dai muri scrostati,
quindi totalmente anti-igienici, di visite ed interventi eseguiti con giacca e guanti, poiché il riscaldamento non
consente una temperatura superiore ai 15 gradi, e di una continua carenza di personale che obbliga i pochi medici
presenti a turni che compromettono il loro operato e a mansioni di non loro competenza. Queste condizioni li hanno
portati a minacciare il licenziamento di massa, con conseguenze che possiamo, ma non vogliamo immaginare. Al di là delle
proteste dei medici a preoccuparci di più è la vita dei detenuti e sappiamo che le condizioni del sistema sanitario
interno, ora venute alla luce, rispecchino il degrado dell'intera struttura. Sempre da un articolo de “La provincia” (13
gennaio pag. 20) si è appreso di un'altra grave inefficienza avvenuta tra quelle “quattro mura”. Un problema tecnico
sull'armadio di trasformazione da media a bassa tensione ha imposto un blackout totale di alcune ore alla struttura,
rimediato solo in parte da tecnici Enel che hanno riattivato una piccola fornitura che ha ristabilito l'uso
dell'illuminazione esterna e delle telecamere di sorveglianza, lasciando la caldaia e la corrente nelle celle inattive
per oltre 24 ore. I tecnici hanno stabilito che la mancanza di manutenzione, che è a carico del Bassone, è la causa del
guasto. Tutto questo ha scatenato una battitura che si è protratta per alcune ore. Noi pensiamo che in questa occasione
i detenuti abbiano individuato il modo giusto per intervenire contro il degrado della situazione in cui si trovano al di
là della pratica utilizzata: la lotta in prima persona. La direzione del carcere conosce bene la pericolosità delle
lotte portate avanti dai prigionieri e teme anche che queste vengano diffuse all'esterno se non addirittura sostenute. A
questo risponde con un sempre maggiore isolamento, fatto anche dal blocco delle comunicazioni postali con quelle realtà
che mettono in discussione la legittimità stessa della struttura carceraria. Dal giugno dell'anno scorso prosegue,
nonostante le nostre pressioni, il blocco della casella di posta attraverso la quale abbiamo comunicato con diversi
detenuti, che oltre a raccontarci la loro spesso orribile esperienza hanno espresso in più di un'occasione la voglia e
la necessità di unirsi e lottare per un cambiamento radicale.
Il segretario nazionale della u.i.l. si è recentemente espresso sulla situazione delle carceri italiane “sperando che
qualche politico si attivi per trovare qualche soluzione”. Angeletti sa perfettamente che le condizioni di vita nelle
galere non sono casuali, ma sono uno degli elementi che permettono l'esistenza stessa delle carceri ed è quindi
interesse dello Stato che esse non vengano modificate.
Sperare non serve a nulla! Uniamoci dentro e fuori!
SABATO 29 GENNAIO DALLE H. 9.00 ALLE H.12.00
PRESIDIO CON MUSICA E INTERVENTI FUORI DAL CARCERE BASSONE
Microfono aperto, vieni a fare un saluto!

Collettivo Dintorni Reattivi
Associazione oltrelesbarre cp 86 22077 Olgiate Comasco (Como)
dintornireattivi@autistici.org; la-testata.noblogs.org


Cagliari: Trasferimento dopo proposta presidio
Francesco Domingo, uno dei due compagni che poco tempo fa pubblicarono la richiesta di presidio sotto al lager di
buoncammino (in seguito al pestaggio di un detenuto e alle condizioni detentive) è stato trasferito per l'ennesima volta
al carcere sardo di Lanusei.
La storia di Francesco è segnata da innumerevoli trasferimenti dovuti a tentativi di evasione (così dicono ogni volta le
guardie) e a comportamenti "istigatori, non corretti" nei confronti dell amministrazione penitenziaria. Se sia vero o no
che un detenuto dopo 9 anni di carcere abbia tentato la fuga al di là di quelle maledette mura, non ci interessa! Anzi,
se così fosse (o se solo fosse il suo carattere combattivo, quello di non chinare mai la testa di fronte alle meschinità
alle infamità del carcere) allora siamo doppiamente con lui! con tutt* quei e quelle detenut* che mantengono la dignità
ferrea e non si arrendono, non si abbattono, pur venendo continuamente repressi!
Per supportare e scrivere a Francesco:

Domingo Francesco
Casa Circondariale di Lanusei, Viale Europa, 10 - 08045 Lanusei (OG)

4 febbraio 2011
da informa-azione.info


Lettera dal carcere di Noto (SC)
Ciao ragazzi/e, "Nulla può sfuggire al destino"" e io rimango sempre con voi, perché siete una riunione e l'unione fa la
forza. Da tanto tempo non vedo la mia famiglia, però per me siete una famiglia.
In Senegal ho una moglie, una figlia di 11 anni e due figli uno di 8 anni e l'altro di 6. Da cinque anni non vedo
nessuno per colpa di questa legge Bossi-Fini. Però gli voglio sempre bene e li penso sempre, perché io sono uscito da
una famiglia e per forza devo trovare una famiglia e ho trovato "voi".
Fra un po' esco, non vengo a Milano, preferisco fermarmi a Roma. Se conoscete qualcuno al quale potermi rivolgere, ve ne
sarei grato. Voglio guarire e trovare la mia famiglia. Vi auguro un felice anno nuovo e tanti obiettivi positivi, vi
saluto tutti, lunga vita, vostro amico per sempre Lamp.

13 gennaio 2011
Samb Lamp, via Garibaldi 8 - 97017 Noto (Siracusa)


Chi umilia il suo simile e non se ne vergogna,
prima di tutto umilia se stesso!
"Danneggiamenti, devastazione", sottrazione della libertà e delle cose: lo stato italiano, anche lui, in azione. La
storia del compagno Joe Ortiz arrivato giovanissimo in Italia dalla Sierra Leone, bracciante nelle serre della Campania,
prigioniero per anni in tante carceri, compreso il CIE di via Corelli a Milano… il 15 luglio 2010.

Egregio pubblico ministero (Platé),
questa settimana sono venuto in procura tre volte con la speranza di riuscire a parlare con lei, ma mi sono reso conto
che si fa prima a parlare con Dio che con lei; spero almeno di raggiungerla attraverso la presente.
Sono in Italia dal 26 agosto 1984, cioè quando avevo quasi 17 anni; da allora ho iniziato a contribuire, nel mio
piccolo, alla crescita economica, al benessere di questo paese; a partire dalla raccolta di pomodori, frutta ecc.; anche
quando ero studente ho sempre lavorato. Ero nel ghetto di Villa Literno quando Jerry Masslow fu ucciso durante una
rapina. I dolori, come ferite, possono guarire, ma i ricordi come cicatrici rimangono. Quella notte, quei due ragazzi
italiani entrarono nel nostro ghetto per rapinarci i nostri risparmi; alcuni di noi gli consegnarono i soldi - gli
spiccioli -, Jerry difese a costo della sua vita i suoi spiccioli (duemila lire, cioè poco più di un euro),
all'improvviso lo vedemmo cadere a terra e sbattersi come un pesce fuori dall'acqua, poi si fermò… era morto! Noi lì
presenti per paura fuggimmo ma ognuno portando con sé il trauma dell'accaduto.
L'aspetto più disumano, doloroso, in ogni caso vergognoso, è stato, dopo l'uccisione a sangue freddo di Jerry, che le
forze dell'ordine per disperderci e mandarci via da quel luogo, non esitarono ad arrestarci, noi (rimasti in 25), "per
detenzione di sostanze stupefacenti"; sostenevano di aver trovato nelle vicinanze del ghetto tre grammi di eroina.
Nessuno di noi arrestati ebbe modo di vedere la sostanza di cui eravamo accusati di possedere. Il processo si concluse
con la nostra condanna a 20 mesi di reclusione - con la sospensione della pena per tutti. Mi soffermo qui un attimo. Se
veramente fossimo stati spacciatori, avremmo potuto prendere in affitto un appartamento in cui abitare, dato che gli
uomini, come gli uccelli, non amano le gabbie. Può anche darsi che qualcuno di noi sia stato responsabile di tale gesto,
sicuramente non tutti noi. In un paese civile, la giurisprudenza stabilisce che è meglio lasciare dieci "colpevoli" in
libertà che chiudere un innocente in carcere. In Italia per chi è stato in carcere una sola volta è facile incolparlo e
renderlo colpevole anche per un "reato" mai commesso, anzi inventato.
Mi perdoni la franchezza: ecco come sono diventato pregiudicato (recidivo). Nonostante l'ingiustizia subita ho sempre
creduto di trovarmi in un paese democratico civile, dove la giustizia non cammina su due binari, l'uno per i potenti
l'altro per i più deboli. Quello che mi sta succedendo rivela il contrario.
In vita mia ho sempre lavorato, come a Piacenza nel Cantiere Nautico di Gobbi. Lavoravo dalle 8 del mattino fino alle
17,30; riprendevo alle 22 a lavorare come facchino presso la ditta Executive (Montale) fino alle 6 del mattino. Condussi
questo tipo di vita per 19 mesi! Quando smisi di fare il facchino, la giornata lavorativa in cantiere aumentò fino a 10
ore effettive: dalle ore 6 alle 18.
La vita umana è fatua, quanto breve! Se riflettiamo su questo ci si accorge che tutto quello che abbiamo avuto e creato
è destinato a perdersi nel nulla! Nonostante ciò bisogna estendere la propria nozione ad un altro campo di conoscenza.
Da operaio divenni imprenditore (olivettiano). Con i risparmi guadagnati con sudore in un duro lavoro, riuscii ad aprire
un negozio di generi alimentari stranieri e di abbigliamento hip-hop. Ad un certo punto dovetti lasciare l'appartamento
da me preso in affitto in modo da avere indietro la caparra per investirla successivamente nel negozio. Dormivo nelle
stazioni, mi cibavo solo di pane e mortadella, un tipo di alimentazione che per me divenne un incubo, al punto che nel
sonno avevo paura di svegliarmi al pensiero del solito maledetto "pasto" che mi attendeva.
Felicità, una parola che sentivo pronunciare dagli altri, è una condizione che non ho mai conosciuta né provata! Non ho
mai festeggiato nemmeno un compleanno; sono comunque sempre state le sofferenze a farmi ricordare il trascorre degli
anni. Ho sofferto molto, ma sembra che per Dio non sia abbastanza, come le fatiche di Giobbe. Le mie sofferenze
continuano ininterrottamente.
Il 15 luglio 2010 ho denunciato alla procura i soprusi, i maltrattamenti, i pestaggi che mi hanno inflitto il nucleo di
carabinieri (in particolare fra loro Giuseppe Noto) di Piacenza, che vennero a perquisire la mia abitazione.
Prima di proseguire faccio una premessa: avevo un amico napoletano, si chiamava Gennaro, soprannominato "Gennarì"; era
simpatico, umano con il senso innato dell'altruismo. Ogni volta che mi vedeva triste, mi raccontava qualcosa per tirarmi
su il morale. Ne racconto di seguito una: Gennaro un giorno si travestì da carabiniere, andò in banca, si mise in fila
mentre i suoi complici entrarono e rapinarono la banca; i soldi trovati nei cassetti erano così tanti che non fu loro
necessario far aprire le casseforti. Riuscirono ad abbandonare tranquillamente la banca. Il direttore della banca gridò:
"qualcuno faccia qualcosa", rivolgendosi ovviamente a Gennaro, finto carabiniere, che a sua volta rispose al direttore
"stia calmo, faccio il mio dovere", subito si mise a correre dietro i suoi complici. Così pure lui se ne andò. Il povero
direttore non si rese conto che da chi si aspettava aiuto in realtà era uno dei rapinatori.
Nel fare la denuncia alla procura della repubblica pensavo di essere riscattato dagli abusi subiti, invece mi sono
trovato nella stessa condizione del direttore della banca, vittima della sua ingenuità.
Quattro giorni dopo la mia denuncia sono stato prelevato stavolta dalla polizia, mi hanno perquisito di nuovo la casa,
portato in ospedale dove, senza alcun mandato mi hanno sottoposto a radiografia perché a loro dire, qualcuno gli aveva
confidato, che io avevo della droga nello stomaco. Il risultato della radiografia fu negativo. I poliziotti non erano
soddisfatti. Mi portarono in questura e qui mi chiusero in una cella chiamata "acquario", sorvegliata 24 su 24; lì
dentro non c'era nessun letto, ho camminato tutta la notte. Mi consegnarono addirittura una bacinella in cui deporre le
mie feci da sottoporre a successivo controllo. Il giorno dopo, non avendo trovato nessun appiglio contro di me,
conclusero di arrestarmi in base al "reato di clandestinità". Venni processato per direttissima, nonostante la
documentazione presentata dal mio avvocato in cui è giustificata la mia permanenza in Italia, nonostante inoltre
l'attività commerciale da me gestita direttamente, mi hanno condannato a 8 mesi di reclusione.
Dopo un mese nel carcere di Reggio Emilia si sono presentati due poliziotti della questura di Piacenza con un'ordinanza
firmata da lei signor pubblico ministero, per portarmi via il cellulare perché gli era necessario alle indagini
riguardanti la mia denuncia contro i carabinieri; in realtà volevano trovare qualcosa contro di me. Ho saputo che hanno
telefonato a tutti i nomi trovati sul cellulare per chiedere a ciascuno se avesse comprato droga da me. E' chiaro che in
questo modo hanno cercato di coprire i misfatti combinati contro di me dalla polizia e dai carabinieri. Così ho capito
che in questo paese ci sono alcuni organi dello stato che sono al di sopra della legge.
Quando sono uscito dal carcere, il giorno 3 febbraio 2011, sono andato dall'agenzia che mi aveva affittato la casa,
perché ho trovato le serrature cambiate. Quelli dell'agenzia mi hanno detto che la polizia nel frattempo aveva portato
via dalla casa tutti i miei effetti personali, gli oggetti di valore e il denaro. Tutto ciò senza informare né me né il
mio legale. L'agenzia mi ha detto che la polizia ha sgomberato la casa perché io non avrei avuto i documenti per
affittarla.
Preciso che: il contratto d'affitto è stato fatto a nome di un mio conoscente, il quale a sua volta, su suggerimento
dell'agenzia, dichiarò che io sarei andato ad abitare in quella casa; inoltre, l'agenzia sapeva che abitavo lì perché
ero io che pagavo regolarmente l'affitto.
Le chiedo la restituzione del cellulare e di tutti gli oggetti di valore e il denaro portati via dalla mia abitazione.
Uscito dal carcere sono finito sulla strada, senza dimora, come un vagabondo, espropriato della casa, dei miei beni.
Date queste condizioni non riesco a pagare l'affitto del negozio, la mia attività economica è fallita. "Gli uomini si
consumano, logorandosi come una materia con data di scadenza" (Il grande riscatto, Ricardo Palma Salamanca). Le chiedo:
se si fosse trovata nei miei panni, non si sentirebbe logorata e consumata?
"La vita è fatta di attimi come quello che stiamo vivendo - scrisse Romano Battaglia - tutto passa, il presente è solo
un soffio che subito diventa passato, mentre poco prima era futuro. Noi tutti scriviamo attimo per attimo le nostre cose
di vita e ciò che scriviamo a differenza del tempo rimane per sempre".
Questa mia lettera è "filia temporis", è la verità che testimonierà contro tutti coloro che hanno avuto un ruolo nelle
mie disgrazie di oggi e future; testimonierà contro coloro che hanno avuto l'autorità di intervenire a favore della
giustizia, ma evitano di farlo solo perché sono un "clandestino" indifeso e debole e non esitano ad usare la legge
contro di me come un pesticida, l'arresto e il carcere come strumenti di sterminio anche quando io non ci sarò più.

Il prigioniero Ortiz Joe

(Accludo alla presente innumerevoli mie buste-paga, a conferma di quanto scritto da me nella presnte).
Piacenza addì 10 febbraio 2011


Palermo: Noureddine che si è dato fuoco
Noureddine Adnane ha 27 anni ed è nato in Marocco. Vive in Italia dal 2002 e si guadagna da vivere facendo l'ambulante.
Lo conoscono tutti nel quartiere, e tutti gli vogliono bene, al punto che i palermitani lo chiamano "Franco". Noureddine
riesce a portare a casa una ventina di euro al giorno. Mette i soldi da parte, con ostinazione e speranza, perché vuol
far venire in Italia sua moglie e la loro bambina di due anni.
Ma a Palermo i venditori ambulanti, specialmente immigrati, devono fare i conti con la polizia municipale: retate nei
mercatini, ispezioni, multe, sequestri della merce, intimidazioni. Noureddine non è un abusivo, ma riceve la visita dei
vigili urbani per cinque volte in una settimana: davvero troppo per chi deve sbarcare il lunario tra mille difficoltà.
Così di fronte all’ennesimo controllo, alla minaccia di sequestro della merce, Noureddine si è sentito solo e in preda
al panico, ha preso la benzina, se l'è versata addosso, e s'è dato fuoco. Il vigile urbano che stava redigendo il
verbale cerca di coprire le fiamme col giubbotto, mentre gli avventori di un bar tentano di spegnere con l'acqua delle
bottiglie quella torcia umana. Il corpo di Noureddine è tutto ustionato, e viene ricoverato d'urgenza all'ospedale
Civico dove sta lottando contro la morte.
Questo è il prodotto dell'esasperazione che nasce dalla repressione dilagante nei confronti degli immigrati, dei poveri,
dei senza-carte, anche a Palermo.
L'anno scorso le forze dell'ordine si sono scatenate più volte a piazzale Giotto: pistole spianate ed elicottero che
volteggiava sul mercatino settimanale. Un incredibile spiegamento di uomini e mezzi per dar la caccia a chi vende
cinture o borse a buon mercato. Per non parlare della persecuzione nei confronti dei lavavetri ai semafori, con retate
in grande stile contro "pericolosi clandestini" armati di secchio e tergicristallo.
A Palermo è in vigore dall'anno scorso la famigerata ordinanza per il "decoro urbano", uno dei tanti provvedimenti con
cui – in tutta Italia – i sindaci hanno applicato le direttive del pacchetto-sicurezza. La legalità si svela per ciò che
è realmente: l'esercizio del potere per schiacciare i più deboli.
Nella Sicilia vessata dal potere mafioso e dal malaffare politico, la "sicurezza" viene garantita perseguitando i
soggetti più vulnerabili, come se in questa terra il problema fossero i lavavetri ai semafori o gli ambulanti che
vendono la roba sui marciapiedi.
Noureddine voleva solo lavorare in pace e il suo gesto è un urlo assordante contro l'ingiustizia e la criminalità del
potere.

18 febbraio 2011
da senzafrontiere.noblogs.org
Due anni per due petardi
Sul processo per l'attacco alla caserma dei vigili di Parma
"La legge è forte, ma è più forte la necessità" (Johann Wolfgang von Goethe)
A due anni di distanza lo Stato, con i suoi lunghi tentacoli repressivi, torna ad interferire con la vita di chi ha
ritenuto necessaria la pratica dell'azione diretta per esprimere il proprio rifiuto verso l'istituzione, nel caso
specifico una caserma dei vigili urbani di Parma. Proprio quei vigili saliti alla ribalta della cronaca per aver
picchiato selvaggiamente Emmanuel Bonsu, giovane immigrato ghanese, dopo averlo visto mentre leggeva seduto su un prato.
Adesso la repressione torna ad alitare sul collo di Peppe, il quale, senza scendere a patti col nemico, ha deciso di
rifiutare la strada del patteggiamento e adesso sono due gli anni di pena comminatigli dalla Corte d'Assise, nella
figura dei magistrati Eleonora Fiengo e Gennaro Mastroberardino.
Al fianco di questi due diligenti esponenti della magistratura nostrana non mancano sei cittadini, rappresentanti di una
giuria popolare dal sapore statunitense, escamotage tornato in auge grazie alla fervida mente del premier Berlusconi, al
fine di avvicinare il cittadino alle istituzioni ovverosia rendendolo partecipe del meccanismo repressivo con il ruolo
di boia, come se quelli togati non bastassero. Chissà poi chi avrà provato questo "pubblico timore in orario notturno",
visto che nella piazza dove sono esplosi dei banalissimi petardi (materiale esplodente o ordigno sono parole che, dette
da un giornalista, hanno sicuramente un impatto più incisivo nei confronti di uomini ormai relegati alla
lobotomizzazione mediatica), sicuramente non gli occupanti della caserma stessa, edificio che distava diversi metri dal
luogo dello scoppio. Tutto ciò è costato agli accusati mesi di carcere, di isolamento e regimi di sorveglianza speciale,
almeno il saperli tutti fuori ci conforta. Lo sappiamo bene, vi sono leggi ed aggravanti per tutto e il diritto, per sua
stessa natura, mira alla perpetuazione dello status quo, non può certo concordare con un gesto solidale e dimostrativo
finalizzato ad esprimere vicinanza con la vittima del pestaggio e odio verso i repressori. A questi, Peppe non ha voluto
elemosinare nulla, nemmeno durante i mesi di prigionia, dove ha sempre fatto sentire la propria voce e ha mantenuto una
condotta fiera, nonostante tutto. Come anarchico non ha sentito il bisogno di cercare attenuanti o cavilli legali per
alterare la sua posizione, rivendicando apertamente quanto fatto. E se la legge è sì forte, lo è di più la necessità,
quella di non scendere a compromessi con i propri aguzzini e soprattutto di combatterli senza sosta.

4 febbraio 2011
Alcuni anarchici catanesi
da informa-azione.info


12 AVVISI ORALI NEL VARESOTTO
Tra il 2 e il 4 di Febbraio la Questura di Varese ha consegnato 12 AVVISI ORALI ad altrettanti ragazzi e ragazze, scelti
un po' a caso tra chi, nella provincia e non solo, negli ultimi anni ha deciso di smettere di accettare passivamente lo
stato di cose, ed ha iniziato a lottare.
L'Avviso Orale, per chi non lo sapesse, è una sorta di minaccia intimidatoria, che invita a ricondurre la propria
condotta su binari tracciati, a non trasgredire la legge, a ritornare nel gregge, in altre parole, a non rompere
ulteriormente i coglioni. Pena per chi non dovesse chinare la testa è la fascistissima Sorveglianza Speciale,
provvedimento che tra le altre cose prevede: l'impedimento ad uscire di casa tra le 21 e le 7 di mattina, la revoca di
patente e passaporto, l'impossibilità di frequentare assemblee e iniziative pubbliche, l'impossibilità di stare con
pregiudicati o con più di un certo numero di persone contemporaneamente, non frequentare “bettole ed osterie”. Entrambi
queste misure preventive vengono emesse anche in mancanza di condanne (nessuno dei 12 ha infatti precedenti penali).
Questo provvedimento attuato nei nostri confronti si inserisce in un clima di repressione generale, repressione
tutt'altro che inaspettata: in tempo di crisi il Potere deve affilare ancor di più i propri artigli per poter afferrare
meglio la preda che cerca di divincolarsi. E in tempo di crisi ci troviamo noi: crisi sociale, economica, culturale.
Ed è proprio adesso, tra il diffondersi delle proteste, in Italia, nel Mediterraneo e in mezza Europa, mentre i potenti
sentono traballare il terreno sotto i loro piedi, che noi con più forza vogliamo gridare la nostra rabbia, contro ogni
Stato ed ogni Legge. Legge che non è altro che il primo strumento del dominio dell'uomo sull'uomo, lo strumento tramite
cui ogni sfruttamento, sopruso, tortura, omicidio viene legittimato, a patto che sia lo Stato ad approvarlo.
12 ragazzi/e si sono trovati in mano un foglio in cui venivano informati di essere considerati socialmente pericolosi.
Ma in pericolo per le nostre azioni, questo non viene però sottolineato, non si troverebbero di certo gli abitanti delle
nostre città, né tanto meno gli altri animali che le abitano, o la poca natura che ancora vi rimane.
Invece “pericolose” sono le persone che lottano per la propria e l'altrui libertà, che provano a decidere da sé senza
delegare a nessuno nemmeno una parte della propria esistenza, che si schierano apertamente contro il razzismo, contro i
lager che democraticamente sono stati costruiti e riempiti nel nostro Bel Paese, che provano e sperimentano forme di
vita altra, forme di autogestione, di rapporti liberi e non gerarchici. Ebbene, lo ammettiamo, siamo responsabili e
complici con tutte queste azioni, e sì, tentiamo ogni giorno di attaccare i privilegi e la violenza di chi sfrutta
uomini ed ambiente, di chi imprigiona tortura e uccide, di chi difende questo stato di cose.
12 ragazzi/e attivi/e nelle lotte del proprio territorio - il varesotto, un vero e proprio laboratorio totalitario del
controllo e della repressione - sono stati raggiunti da questo provvedimento con la speranza di limitarne la gioia di
vivere, con la speranza di isolarli, perchè fungano da monito per chiunque tenti di alzare la testa: “Hai visto cos'è
successo a chi ha provato a ribellarsi? Meglio non rischiare!”.
Per quanto riguarda la gioia di vivere questo è un tentativo destinato a fallire in partenza. La nostra vita che brucia
sarà sempre pronta a scottare i freddi cuori di chi produce, consuma, crepa; la nostra gioia si tramuterà sempre in
sabbia per i loro ingranaggi, saremo sempre alla ricerca di complici e solidali con cui rincorrere il nostro sogno di
libertà.
Per quanto concerne il tentativo d'isolamento saranno i frutti di quello che abbiamo seminato in questi anni di lotte a
parlare. Noi, dal canto nostro, siamo convinti di aver tessuto relazioni e rapporti reali - abbiamo stretto legami che
già esistevano e ne abbiamo creati altri, con chiunque sia stufo degli abusi di potere, con chiunque sia deciso ad
autorganizzarsi per ribaltare la situazione, con chiunque abbia un pensier ribelle in cuor; non saranno certo le loro
minacce a fermare chi, come noi, ha una reale urgenza di rivolta.

9 febbraio 2011
Insuscettibili di ravvedimento
da indymedia



aggiornamenti dal processo del 10 giugno
La prima parte della nona udienza si è consumata nelle richieste da parte dei pm di far entrare nel procedimento “nuovo”
materiale probatorio su cui la corte si è riservata di decidere.
Il meccanismo che prevale viene spiegato bene da un avvocato della difesa: questo è un processo in progress ovvero ogni
volta che ai pm Erminio Amelio e Luca Tescaroli viene in mente di utilizzare un nuovo elemento che avalli la loro linea,
lo presentano in aula e, in un modo o nell’altro, cercano e riescono a farlo entrare nel dibattimento. Ciò a discapito
delle regole di procedura a cui si richiamano solo quando non giovano loro e di qualsiasi ragionamento lineare
sull’accertamento dei fatti.
Peraltro, anche questa volta, molti dei materiali presentati aggiungono elementi non tanto probatori quanto
pregiudiziali, come un documento ritrovato in possesso di Morandi firmato dagli Organismi Rivoluzionari Combattenti
oppure la richiesta di una ulteriore perizia sulle armi. Quando la difesa smonta le idee portate avanti dalla accusa,
ecco che l’accusa presenta nuove prove a suo favore. Questo meccanismo potrà avere fine solo alla fine del processo.
In seguito si sono avvicendanti come testimoni gli uomini della digos di Genova: La Rosa, Benedetti e Basile.
I testi hanno riferito sui pedinamenti che hanno eseguito nei confronti di alcuni imputati, senza esimersi dal fare
commenti sulla condotta politica di questi stessi imputati, e, sempre e come al solito, descrivendo un viaggio, un
pranzo, una vacanza con la famiglia, le frequentazioni e anche alcuni gesti che riguardano la sfera personale dei
compagni come parte di un disegno più complesso di intrighi e di cospirazione, come se la mera descrizione di un fatto
non fosse sufficiente a giustificare la linea dell’accusa. Sembra essere necessario aggiungere elementi che esulano
dall’inchiesta, ma che forniscono il quadro su cui l’inchiesta stessa si fonda.
L’ispettore Provenza della digos di Roma ha invece riferito sul materiale informatico, rimarcando, per l’ennesima volta,
come elemento probante della pericolosità degli imputati il possesso di alcuni programmi come PGP o Winrar, anche se mai
installati o utilizzati. E la situazione peggiora se per caso i computer risultano poco utilizzati. Insomma dal momento
che i controllori sanno cosa trovare, il dato o la sua assenza vengono sempre inquadrati nel pieno rispetto delle loro
aspettative.
Tuttavia alcuni elementi interessanti sono emersi dalle arroganti parole dei digos e dai quali diventa sempre più
evidente l’atteggiamento della legge al di sopra della legge stessa. In una testimonianza si è fatto riferimento
all’esistenza di intercettazioni preventive, cosa che ha fatto impallidire la corte, presieduta da Anna Argento, che si
è resa immediatamente conto dell’insostenibilità di un’affermazione di quel tipo dentro ad un tribunale ed è corsa ai
ripari fornendo una giustificazione al testimone sbadato.
E ancora, gli avvocati difensori si sono accorti che fino a quel momento alcuni agenti, testi dell’accusa, per poter
rispondere alle domande loro rivolte, hanno fatto ampiamente uso di informative di cui non sono estensori (la cosa non
sarebbe consentita in quanto il testimone può attingere solo alla sua esperienza e non alle notizie rielaborate da
altri); di contro, i reali estensori non sono stati sottoposti ad un interrogatorio specifico sulle informazioni da loro
riportate perché solo i pm erano a conoscenza del fatto che la firma in calce ai documenti della digos non
corrispondesse effettivamente all’autore. La corte si è espressa a favore dell’accusa.
L’udienza si è quindi conclusa con un’estenuante dissertazione su PGP, ammantando questo programma freeware e
scaricabile da internet di un alone di pericolosità e di mistero che è davvero difficile da credere.
La prossima seduta è fissata per il 17 febbraio e, nonostante il breve tempo di attesa, i compagni detenuti sono stati
trasferiti da Viterbo a Siano nei primi giorni del mese.

25 gennaio 2011
fonte: assembleacontrolarepressione@gmail.com


napoli, Prima di ieri:
quando la polizia non entrava nelle università…
Se di una cosa fino a ieri eravamo se non convinti, quasi, era che l’Università fosse un luogo di confronto, dal quale
potessero partire le lotte sia degli studenti che degli altri soggetti che agitano le nostra città. Ma i palazzi che
ospitano le nostre facoltà sono anche sempre stati il luogo in cui rivedersi dopo momenti “concitati”, facendo leva sul
fatto che i rettori, garanti (in teoria) della democraticità e della libera espressione, quasi mai danno
l’autorizzazione alle forze dell’ordine ad entrare; è successo in momenti bui della storia, ad esempio durante la
dittatura militare in Grecia, il 17 novembre, quando l’esercito entrò nell’Università di Atene.
Nell’Italia di oggi eventi del genere accadono, e sempre più spesso, creando precedenti sempre più pericolosi per un
paese e un’Università che amano definirsi “democratici”, e il margine di discrezionalità del potere militare si sposta
sempre più in avanti. Recentemente è successo all’università di Reggio Calabria, dove gli studenti hanno trovato uno
schieramento di polizia in antisommossa all’ingresso dell’Aula Magna, e qui a Napoli, dove ieri, 31 gennaio, la Rettrice
Lida Viganoni ha autorizzato la polizia ad entrare a Palazzo Giusso per sgomberare lo Z.E.R.O.(81), spazio occupato
nella ex-mensa dell’Orientale: un gesto sconsiderato, che militarizza le relazioni fra studenti e organi accademici, a
scapito di un confronto sempre più frequentemente bypassato.
Per chiedere spiegazioni di questa gravissima azione repressiva nei confronti di chi lotta ogni giorno per un futuro
migliore - o semplicemente un futuro – e di rifiuto di qualsiasi forma di dialogo, siamo andati, pochi minuti dopo
l’irruzione della celere, dalla Rettrice, che intanto apriva un’“interessantissima” conferenza sul commercio dei
diamanti.
La domanda che le abbiamo posto è stata chiara e concisa: ci interessava sapere se fosse consapevole e se, in qualche
modo, rivendicasse l’azione delle forze dell’ordine nell’Università. La risposta ricevuta è stata altrettanto secca:
“era necessario ristabilire la legalità”. Insomma, nulla più che “ordinaria amministrazione”, in nome di una legalità
che ha tanto l’aspetto di un dito dietro il quale nascondersi per evitare di affrontare seriamente i problemi politici
posti da noi studenti.
Incassata la risposta, ci siamo riuniti in più di duecento per partire in corteo per le strade del centro, per
denunciare, ancora una volta con forza, il vergognoso atto repressivo messo in atto dai vertici dell’università. Il
corteo è terminato a Largo Banchi Nuovi, piazza in cui c’erano sia lo Z.E.R.O.(81) che lo Spazio Occupato Fanon,
recuperato grazie al lavoro degli occupanti dal degrado dovuto a 30 anni di abbandono e, nonostante questo, anch’esso
sgomberato.
Il corteo, dopo che la polizia si è ritirata, in un primo momento, nella ex-mensa, è stato caricato più volte e i lanci
di lacrimogeni sono seguiti fino all’ingresso di Palazzo Giusso, arrivando a colpire i balconi dell’Aula Magna (foto 1 2
3) e ad entrare nelle aule studio, sfondando una finestra e una vetrina (foto 1 2 3) e spaventando chi stava
semplicemente studiando. Una studentessa è rimasta ferita da un lacrimogeno così come altri ragazzi sono rimasti feriti
da lacrimogeni lanciati ad altezza uomo.
Dell’operato delle forze dell’ordine non ci stupiamo più di tanto. Ciò che oggi invece necessita di una riflessione è
l’azione del Rettore. Forse la ristrutturazione in senso autoritario della governance universitaria voluta dal ministro
Gelmini e da Confindustria non è solo uno scenario futuribile: evidentemente qualche rettore vuole dimostrarsi già da
oggi pronto a usare il pugno di ferro che la “legge Gelmini” gli concede.
Per noi si tratta di un motivo in più per combattere contro le riforme dell’istruzione e contro la deriva autoritaria
dello stato in tutte le sue articolazioni.

1 febbraio 2011
Collettivo Autorganizzato Universitario - Spazio Occupato Fanon


novara: Sgombero alla casa occupata di via S. Bernardino
Nella mattinata di oggi lunedì 24 gennaio le forze dell'ordine hanno proceduto allo sgombero della palazzina di via S.
Bernardino da Siena 2 che venerdi 21 era stata occupata da alcune famiglie sfrattate. Spropositato l'uso di mezzi e di
uomini. Oltre 150 sbirri in assetto antisommossa per sgomberare e fermare ben 5 padri e madri di famiglia.
Fortunatamente i minori (i figli di queste madri e padri) erano stati ricoverati in altro luogo, visto il freddo di
questi giorni e l'agibilità ancora scarsa (in termini di riscaldamento, gas, ecc.) della palazzina stessa.
Come al solito alla richiesta di giustizia sociale, al grido di disperazione di chi è in condizioni precarie nella vita
come nel lavoro, il potere risponde con gli uomini armati fino ai denti, con la violenza delle istituzioni, con
l'esibizione muscolare, perchè chi è in condizioni di povertà per loro non ha che l'alternativa di annullare se ed i
suoi cari.
Mentre chi porta la rabbia in piazza e si ribella alla violenza dello Stato è invece considerato un facinoroso, un
violento (magari pure terrorista), un provocatore che "approfitta dello sdegno popolare". BASTA CON QUESTE STRONZATE!!!!
I livelli di povertà stanno pericolasamente alzandosi, sempre più famiglie faticano ad arrivare a metà mese (la fine
resta una chimera) e costoro, gli "eroi in divisa", i "prodi difensori della presunta democrazia" non sanno fare di
meglio che usare il pugno duro con delle famiglie disperate. E' questo il loro modo di sfogare i loro istinti violenti e
repressi, il vero pericolo per la gente sono loro ed i loro burattinai (tutti i burattinai!!!).
Ma ormai la gente comincia ad averne le tasche piene ed azioni come l'occupazione di case, di spazi sociali, di spazi di
vita si moltiplicherà. Il nemico è avvisato! Nel frattempo terremo informati tutti sugli sviluppi del fermo dei padri e
madri di famiglia.

Novara, 24 gennaio 2011
Comitato "SalvaNovara", Circolo "Banditi d'Isarno", Comitato "Abitare Novara"


Presidio Antisfratto a Cologno (mi)
UNITI CONTRO GLI SFRATTI!
Annunciamo per Mercoledì 23 Febbraio dalle ore 8.00 un ennesimo "Picchetto di Sicurezza" per stare al fianco di una
famiglia che a Cologno Monzese rischia lo sfratto. Si tratta della famiglia di Abelina composta da padre, madre e due
figlie, di cui una minorenne. Convochiamo tutti e tutte, uniti contro gli sfratti e per il diritto alla casa, a Cologno
Monzese in via Papa Giovanni n. 25, con l'obiettivo di rinviare lo sfratto per il tempo necessario a trovare una nuova
abitazione e permettere il passaggio da casa a casa evitando inutili traumi.
La storia è sempre la stessa, si ripete. Le famiglie perdono il lavoro, non riescono a trovarne un altro e cominciano ad
accumulare affitti non pagati. Automatica arriva la richiesta di sfratto.
C'è la crisi, lo sanno tutti. Però questa crisi, causata da coloro che in maniera spregiudicata hanno giocato con la
finanza, facendo superprofitti, lascia intatte le ricchezze e si accanisce contro chi da sempre riesce a malapena a
soddisfare i propri bisogni essenziali come la casa.
Molte sono le case sfitte anche nel nostro territorio e mentre aumentano gli sfratti per morosità, i proprietari
preferiscono tenere le case vuote piuttosto che proporre canoni d'affitto adeguati al tempo di crisi. C'è qualcosa che
non va.
C'è la crisi e la povertà avanza. E chi, nella giunta del sindaco Soldano si dovrebbe occupare di questi problemi? Forse
l'assessorato alla casa ci viene da pensare, insieme ai servizi sociali. Invece agli incontri con le istituzioni capita
che ci sentiamo dire “se non ci sono case, cosa ci possiamo fare?". Questa è la politica abitativa del comune, lo
denunciamo da tempo, nessuna strategia per risolvere il problema e delegare ai privati una questione sociale così
importante come quella abitativa, strettamente legata al diritto ad una vita dignitosa.
I privati fanno ovviamente quello che vogliono, ma se succede che una famiglia oltre a subire la crisi, subire uno
sfratto, si trova anche di fronte all'impossibilità di trovare qualcuno che gli affitti una casa? Magari perché non si
affitta a stranieri?
Veramente, qualcosa non va!
Abelina e la sua famiglia purtroppo rientrano nella statistica di chi a un certo punto, dopo anni di canone pagato
regolarmente, non ha più potuto permettersi l'affitto.
Ma Abelina, come tutti gli altri, non è un dato statistico. È una persona con la sua storia, la sua vita, figli da
crescere bene, sogni e desideri. E questi non sono numeri. Sono diritti da difendere!
PER il blocco immediato degli sfratti, la requisizione delle case private sfitte, case popolari per tutti.

23 Febbraio 2011
Gruppo Territoriale Autorganizzato, Unione Inquilini Nord-Est


milano: IL PGT APPROVATO è UN ATTO DI ARROGANZA
Il Piano di Governo del Territorio (PGT, il vecchio Piano Regolatore) approvato dalla Giunta di centrodestra, guarda ai
poteri forti cementificando la città, abbandona la periferia al proprio destino e lascia tutte le questioni che
riguardano le case per i meno abbienti (il cosiddetto “housing sociale”) solo alla sensibilità degli operatori privati.
[...]
In breve:
1) cementificazione selvaggia. Questo PGT è scritto dai soggetti a cui si rivolge: grandi proprietari di terreni e
immobili, costruttori ed erogatori privati di attività, che determineranno assetti futuri del territorio all’interno di
cieche logiche di mercato, senza vincoli e liberi di approfittarsi di ogni risorsa messa a gentile disposizione da parte
di questa Amministrazione. [...] il PGT porterà a costruire addirittura 35 milioni di metri cubi di case, l'equivalente
di 340 pirelloni, che potrebbero ospitare 400 mila nuovi abitanti, quando Milano in 30 anni ha perso 500mila persone e
da qui al 2030 crescerà soltanto di 60 mila abitanti (lo dice lo stesso Comune). Una follia che sarà accolta benissimo
dagli imprenditori del mattone ma che per i milanesi porterà cemento e aumento della densità di popolazione da 7mila a
12mila per chilometro quadrato.
Già adesso stanno costruendo ovunque: c'è l'Expo, c'è City Life alla ex Fiera dove Ligresti costruisce 3 grattacieli in
quella zona che doveva diventare il Central Park di Milano. Poi c'è il mega-insediamento contaminato di Santa Giulia
bloccato dalla Magistratura, c'è Porta Garibaldi, la sede della Regione, il Pir (un'altra realizzazione di Salvatore
Ligrestri) il progetto dell'isola, la Città della moda alle Varesine.
A tutto ciò si aggiungeranno gli ambiti di trasformazione per cinque caserme del demanio, alcune zone di proprietà
comunale (Porto di Mare) o privata (via Stephenson), e sette scali ferroviari chiusi di proprietà delle Ferrovie, sui
quali non vi sono certezze che vengano vincolate le Ferrovie dello Stato e gli investimenti dei proventi verso le
infrastrutture del trasporto pubblico.
2) Abolizione delle "destinazioni d'uso", che è quella formula che viene utilizzata per fare sì che la pianificazione
del territorio sia lasciata agli Enti pubblici, che si decida dove si abita, dove si produce, dove andranno gli
alberghi: è lo strumento con cui il pubblico può decidere e stabilire lo sviluppo ordinato della città. Abolirla
trasformerà la città in una specie di far west urbanistico, cancellando ogni regola sui limiti massimi di edificazione e
sulla dotazione minima di servizi e di verde.
3) Con 30 mila appartamenti in 30 anni l’housing sociale (le case per i meno abbienti a prezzi calmierati) non viene
soddisfatto affatto, anche perché viene lasciato all’operatore privato il compito di decidere quali interventi fare.
L’housing sociale ipotizzato dalla Moratti riduce gli affitti solo del 5% mentre andrebbero ristrutturate 5.000 case
popolari inutilizzate. Il 20% delle costruzioni sarà affidato alle cooperative bianche e rosse: quelle bianche della
Compagnia delle Opere hanno l'appoggio di Comunione e Liberazione, e godono dell’appoggio dell’assessore ciellino
all'urbanistica Carlo Massaroli. Il grande regalo alle cooperative è nel “Piano dei servizi”, scuole, strutture
sanitarie, che passeranno ai privati.
4) Con la perequazione, i diritti edificatori possono “volare” da una parte all’altra della città. Il Parco sud in un
primo momento è stato dichiarato edificabile, pur essendo una zona vincolata. In un secondo tempo, invece, gli indici di
edificabilità che Salvatore Ligrestri e altri proprietari hanno maturato in quella zona in quanto proprietari, vengono
trasferiti in città.
Se andiamo a vedere i consigli di amministrazione delle società di Ligrestri troveremo mezza famiglia di Ignazio La
Russa.
5) Critiche da ASL, Arpa e Soprintendenza: c’è nel P.G.T un atteggiamento passivo nei confronti delle politiche di
riduzione delle smog; non sono riportate le valutazioni degli effetti dell'aumento della popolazione sulla mobilità in
termini di traffico e inquinamento atmosferico e acustico, così come non è tutelato a sufficienza l’impatto dei nuovi
ambiti di trasformazione urbana sul paesaggio e gli edifici di architettura moderna.
Il PGT inoltre non riconosce a nessun livello la mobilità ciclistica come elemento della mobilità urbana.
Inoltre il PGT non ingloba il Piano di azione per l’energia sostenibile del clima che contiene le misure per la
riduzione del CO2 del 20%, obbligando quindi a una costosa e inutile integrazione successiva.

febbraio 2011
estratti da www.cittademocratica.it
berlino: La casa occupata Liebigstrasse 14 sotto tiro
Berlino: per il progetto della casa occupata Liebigstr. 14 nel quartiere Friedrichshain di Berlino è stato richiesto lo
sgombero; è così iniziato il conto alla rovescia.
Dopo le sentenze del tribunale emesse nel novembre 2009 e le successive snervanti quanto inutili trattative con i
politici, all'inizio di gennaio è stata decisa come data dello sgombero il 2 febbraio prossimo. Cioè, in quel giorno gli
sbirri cercheranno di gettare in strada gli abitanti della casa assieme alle loro cose. Quel che conta adesso sono la
solidarietà e l'iniziativa più decisa. Questo è un appello indirizzato ai gruppi occupanti radicali e alle persone
singole, poiché in gioco non c'è soltanto la casa Liebigstr. 14, ma, prima di tutto, le idee che stanno dietro questo
progetto. Vi esponiamo un possibile piano di lotta e il suo contenuto.

Decentrato e incontrollabile
Non facciamo riferimento ad iniziative (azioni) annunciate, ma ad azioni spontanee, incontrollabili, affidate
all'impegno. Il nostro piano antisgombero si chiama: azioni decentrate. Le manifestazioni annunciate vengono isolate
dagli sbirri, dai controlli anticipati e dalle telecamere, non ostacolano lo sgombero. Noi facciamo le nostre azioni
quando, dove e come vogliamo, di notte, con la nebbia o spontaneamente le facciamo in strada…
La ricerca del dialogo, le trattative e la disponibilità al compromesso, non hanno portato a niente. Ci sono rimaste la
solidarietà e i piani di azione.
I responsabili di quanto sta accadendo sono i proprietari di case Edwin Thoene, Suibert Beulker, l'apparto della
giustizia, il Senato della Città di Berlino e gli sbirri.
Lo sgombero minacciato lo vediamo innanzitutto come conseguenza dell'idea folle di "Gentrification", rivalutazione delle
città secondo la logica della valorizzazione capitalistica. Pensiamo di ostacolare in più modi, anche mettendo sassi
sulla strada, questo movimento ordinario del capitale. All'inizio di febbraio non vogliamo scatenare la rivoluzione, ma
mettere in mostra la discrepanza fra il "diritto sociale" propagato da tante parti (per es, dal Senato rosso-verde della
città di Berlino) e la realtà, o anche la discrepanza fra il "diritto all'abitazione" e il prezzo che ne deve essere
pagato. Queste sono le contraddizioni a cui ci richiamiamo, che vogliamo rendere visibili e superare…
Ciò che riguarda una gran parte degli abitanti della città (di Berlino), nella sostanza, adesso tocca da vicino gli
abitanti di Liebigstr. 14. Rivalutazione della casa ecc. attraverso il risanamento e la modernizzazione che ne
costituiscono i primi passi, quando in gioco c'è la possibilità di trarre dall'abitazione un profitto possibilmente
maggiore. Aumento degli affitti e spostamento delle persone, che non possono permettersi la nuova situazione. Contro
tutto questo comunque si intravedono segni di vita, è visibile la resistenza nelle forme più diverse…
Siccome il processo della "Gentrification" è possibile soltanto nelle società in cui la soddisfazione dei bisogni viene
organizzata attraverso il mercato e i meccanismi della concorrenza, una critica completa della stessa "Gentrification"
non può iniziare dall'espulsione delle persone a causa dell'aumento degli affitti, ma deve aggredire l'ordine sociale
capitalistico in sé. Il concetto di "Gentrification" tuttavia è adatto per criticare le basi della società capitalistica
a partire da un problema concreto che riguarda tutti, cioè, il pagamento degli affitti. […]
Da tempo non ci facciamo più illusioni su questo stato e la sua repressione, nemmeno ci illudiamo più della concorrenza
e delle promesse neoliberali. Uno sgombero di Liebigstr. 14 in generale per noi non è in questione. Perciò è importante
rendere pubblico il tema e chiarire che "le case" sono di chi le abita e che uno sgombero può diventare una faccenda
maledettamente cara.

Il conto alla rovescia va avanti…
i gruppi autonomi dicono: [noi restiamo tutti]

Wir bleiben alle (restiamo tutti), 22 gennaio 2011
da de.indymedia.org/2011/01/298313.shtml

***
Il 31 gennaio 2011 la Corte d'Appello di Berlino respinge la proposta di sospensione dello sgombero (in breve, fondata
sulla domanda di abitazione della casa presentata formalmente dall'associazione degli abitanti della casa occupata di
Liebigstr. 14).
Il 2 febbraio di primo mattino duemila sbirri bloccano l'intero quartiere di Friedrichshain (Berlino) dove si trova la
casa occupata, penetrano dentro e la sgomberano. Compagne e compagni occupanti, hanno tenuto testa all'assalto della
polizia con barricate e altro per oltre otto ore; fra loro si contano circa venti arresti.
Contemporaneamente nelle strade vicine centinaia di manifestanti hanno impegnato la polizia. Alle 19 sempre in
Friedrichshain è partita una manifestazione le cui parole d'ordine sono state: "Le case sono di chi le abita", "stiamo
uniti, agiamo assieme", "nessuna pace alla città, nessuna pace ai rapporti di sfruttamento".
Nei giorni successivi in decine di città della RFT, ma anche in Danimarca, Austria e Olanda, si sono svolte
manifestazioni di aperta solidarietà con la lotta per la casa occupata Liebigstr.14, contro lo sgombero.