indice n.55

Rivoluzione in Tunisia: un fanale
Tunisia-Italia: Testimonianze sullo speronamento
Profughi, galere, affari
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
Lettere dal carcere di Cremona
Lettera daL carcere di Opera (MI)
Lettera dal carcere di Siano (CZ)
Lettera dal carcere di Catania
Lettere dal carcere di Prato
Lettere dal carcere di Poggioreale (na)
Lettere dal carcere di Nuoro
Cagliari: Aggiornamenti su Davide e Francesco
Lettere dalle carceri svizzere
milano: PRESIDIO ITINERANTE ATTORNO ALLE MURA DI SAN VITTORE
Bassone (co): di male in peggio!
BRESCIA: Presidio sotto il carcere di Canton Mombello
milano, 25 aprile: presidio sotto san vittore
Lettera aperta del collettivo
Sull'ammutinamento nelle carceri della Georgia
Riflessione sulla mobilitazione nelle carceri greche
Grecia: Lettera dichiarante l'astensione dal vitto carcerario nelle carceri
11/6/2011: Mobilitazione a L'Aquila
Assolto massimo papini
La repressione non ci ferma: Corteo a Saronno (va)
milano: a quanto pare la lotta paga
caorso (pc): CORTEO CONTRO IL NUCLEARE
Bologna: Nucleare e fascismo, nocività da distruggere
Monaco di Baviera: manifestazione contro l'energia nucleare
padova: SEQUESTRI E DEMOLIZIONI NON FERMERANNO LA LOTTA!
Occupazioni a Berlino
Grecia: 24 ore di sciopero generale, scontri al parlamento
logistica: UN ACCORDO BIDONE


Rivoluzione in Tunisia: un fanale
Da anni fa parte dell'abc politico di ogni cittadino della Repubblica Federale Tedesca (RFT), che si è guadagnato anche questo tratto distintivo, la convinzione massmediata secondo cui negli “stati canaglia” , così definiti appunto dalla propaganda imperialista, la democrazia, i diritti umani e tutte le persone, che li invocano, vengono calpestati. Ne segue la lista, cioè: Corea del Nord, Iran, Bielorussia, come pure - ma ad una certa distanza condizionata dall'economia e da altre considerazioni - Russia e Cina.
I politici del mondo libero che sono andati in missione nella capitale di uno di questi stati hanno annunciato che avrebbero espressamente mostrato ai rispettivi superiori che cosa è stato espressamente defraudato al popolo.
Per così dire, nel corso della notte dai politici governanti da Washington fino a Berlino sono giunte nuove conoscenze. Ora essi le comunicano ai loro popoli o nei comizi o attraverso i notiziari tv e radio o negli incontri-spettacolo televisivi, in cui fino ad ora proprio loro hanno parlato con visi indignati o sofferenti, sempre e soltanto di tre o cinque stati scelti. Adesso il discorso cade su stati situati lungo la costa sud del Mediterraneo, in particolare su stati arabi, retti da dittature, sui loro dominanti corrotti e sugli strati sociali alti depravati. Queste conclusioni non sono tratte da ricerche erudite, ma dai dimostranti politici di Tunisi, de Il Cairo, di Alessandria e di altre città (nella RFT prenderebbero il nome di cittadini coraggiosi). Così si estende la conoscenza di questo pezzo di mondo.
Queste chiarificazioni che appaiono nelle redazioni televisive e sui giornali - dai politici della RFT non vengono né attese né richieste…
Uno spettro si aggira - questa volta è il popolo nel mondo arabo. Ed è uno spettro completamente reale: magro, mezzo affamato, da decenni umiliato e scorticato.
L'insurrezione è iniziata in Tunisia, per estendersi all'Algeria, all'Egitto, allo Yemen.
In Giordania e Mauritania, come misura precauzionale, sono stati abbattuti i prezzi del pane, dell'olio e dello zucchero. Sarà sufficiente? I manifestanti di Algeri e de Il Cairo salutano con bandiere della Tunisia; contro i loro despoti lanciano gli stessi appelli lanciati in Tunisia: "Sparite!" E gli egiziani per l'appello alla lotta fanno riferimento alla parola d'ordine impiegata da Obama nella corsa alla Casa Bianca "Yes, we can!" Sembra che il popolo non abbia soltanto riconquistata la propria dignità, ma anche, per lo meno in Tunisia, la sovranità.
Tutto questo ha preso avvio esattamente dal quotidiano: in una piccola città della Tunisia occidentale si era dato fuoco un diplomato in informatica che non riusciva a trovare lavoro. Aveva trovato i mezzi per il proprio sostentamento nella vendita di frutta e verdura su una piccola bancarella. Per esercitare questa vendita aveva però bisogno di una licenza. Lui non ne era in possesso. La polizia voleva strappare un panino da una multa affibbiata a lui. In seguito a questa morte sono iniziate manifestazioni immediatamente estese a tutto il paese. La polizia ha sparato, ci sono stati dei morti, tutto il paese si è sollevato, finché il 14 gennaio il presidente onnipotente è fuggito vigliaccamente di notte come un ladro. E lui era un ladro. Assieme alla sua seconda moglie, Leila Trabelsi, ai suoi figli e alle sue figlie, Ben Alì, per tanti anni ha saccheggiato il paese e portato somme immense di denaro al sicuro, all'estero. "La parrucchiera", come la voce del popolo chiamava la presidentessa nome che le veniva dal suo primo lavoro, sarebbe fuggita con una quantità di oro pari a quella della riserva del paese, 1,5 tonnellate (valore: 45 milioni di euro).
Il mondo si strofinò gli occhi. La Tunisia era conosciuta come sicuro e simpatico paradiso delle vacanze; ciò poggiava sulla sua politica economica liberale, sulle lodi del Fondo Monetario Internazionale, sulla sua amicizia con il mondo occidentale e innanzitutto con gli USA nel condurre la "guerra contro il terrorismo" e venne anche lodata dalla potenza coloniale francese, da Chirac fino a Sarkozy - per la sua "stabilità" e per il progresso conosciuto dalla sicurezza dei diritti dell'uomo e dello stato di diritto. [* vedi nota in fondo sui rapporti Tunisia-Italia] Tutto questo sebbene non soltanto nei rapporti di Amnesty International, ma anche in quelli del ministero degli esteri USA è possibile leggere in dettaglio con quale arbitrarietà e bestialità il despota tormentasse il suo popolo.
Da tempo gli esperti di economia tunisini mettevano le mani avanti. I successi descritti nelle statistiche erano falsi; il FMI li faceva propri in maniera compiaciuta. Ma se la situazione non era rosea, in che cosa consisteva in fondo quel che i media raccontavano del "miracolo economico tunisino"? Sulla privatizzazione massiccia delle imprese di stato. Materia su cui decideva spesso il presidente stesso. Al vertice di quelle imprese venivano posti leccapiedi del clan dominante, spesso membri della famiglia Trabellsi. Le banche spuntavano come funghi, nei loro consigli di vigilanza sedevano gli stessi rappresentanti dei clan. La famiglia si impossessava di immobili privati, i cui abitanti, regolarmente, venivano spinti in strada dai reparti d'assalto della polizia…
La rivolta tunisina è stata possibile soltanto grazie al sostegno di tutta la popolazione, compresi gli ampi strati medi e grazie al rifiuto dei militari di sparare sulla popolazione. Quest'ultimo punto mostra che dispotismo e cleptocrazia (governo dei ladri) avevano creato una controidentità collettiva. Così, in generale, è stata resa possibile l'insurrezione.
Ciò che era iniziato come una protesta sociale è così terminato in una rivoluzione borghese - una pietra miliare sulla via dello sviluppo del mondo arabo, che, esattamente dai politici e dai pubblicisti occidentali sostenitori dei dittatori locali, da decenni gettavano allarmi sulla "incapacità alla democrazia" (dei popoli arabi).

[*] Questa nota è liberamente tratta dal mensile anarchico "Invece" nr 2 febbraio 2011:
Il capitale italiano e il suo stato hanno sempre sostenuto Ben Alì…
Nel 1987 il governo italiano, ministro degli esteri Giulio Andreotti, è parte attiva nella destituzione di Habib Bourghiba presidente-fondatore della Tunisia, messo da parte da un colpo di stato perché considerato "senile", cioè incapace di difendere gli interessi delle multinazionali. Fra queste l'italiana ENI interessata fortemente al progetto "Gasmed", un gasdotto per trasportare il gas algerino in Italia e Europa del nord, un cui tratto doveva attraversare anche il territorio tunisino.
Alla fine degli anni ‘90 le imprese italiane che si catapultano in Tunisia per trarre profitto dai vantaggi offerti dal governo tunisino, sono più di 800. Fra queste, nel settore tessile, Benetton, Miroglio-Gvb, Marzotto, Sergio Tacchini; ma anche l'auto, con Fiat (auto, camion, aerei); Mediaste; poi imprese per strade, dighe… quali Impregilo, Astaldi, Todini, Peirani; società agroalimentari come la Calatasi; alla costruzione del porto di Hammamet prendono parte imprese come Messina, Grimaldi, Lauro, Fagioli… la realizzazione di una centrale elettrica nello stesso porto è affidata ad Ansaldo Energia, che ha stipulato contratti per 240 milioni di euro; cifre piccole se confrontate con i 2 miliardi di euro previsti per il progetto Elmed, cioè, con la costruzione di una centrale elettrica sulla sponda tunisina, ad El Haouria e di un cavo marino di 170 km che congiungerà la Tunisia alla Sicilia; poi le banche: Monte dei Paschi, Banca Intesa, BNL, Gruppo Sanpaolo-IMI…
A Efhidaville, imprese edili italiane hanno hanno sventrato e infine costruito una zona industriale in cui si sono insediate imprese internazionali per la produzione di merci le più diverse: dalla plastica alla meccanica. Capofila di questa "urbanizzazione" è "Carta Isnardo Spa" impresa apertamente sostenuta dalla Confindustria di Vicenza.
"Carta Isnardo" nel propagandare la zona industriale allestita, su cui presto sorgerà anche un aeroporto civile, dà ovviamente grande rilevanza allo sfruttamento della forza-lavoro. La paga operaia mensile a Efhidaville non supera i 135 euro, quella dei tecnici sale fino a 300 euro. Ed inoltre qui i prezzi dell'energia sono dimezzati, la pressione fiscale quasi inesistente.

Werner Ruf, sozialistische Positionen, fine febbraio 2011
da www.sopos.org/aufsaetze/4d4d56b0a0aad/1.phtml


Tunisia-Italia: Testimonianze dello speronamento
subito da imbarcazione di migranti
CAIRO, 15 febbraio 2011 - Finalmente la verità sul naufragio di Zarzis. Parlano ai microfoni dell'autorevole Agence France Press otto dei passeggeri tunisini sopravvissuti all'incidente dello scorso 11 febbraio scorso sulla rotta per Lampedusa. E accusano senza mezzi termini la marina tunisina di avere deliberatamente speronato la loro imbarcazione. Oltre ai 5 cadaveri ripescati, la cui morte era sin da subito stata ammessa dalle autorità, ci sarebbero anche almeno 30 dispersi. Le famiglie delle vittime ora chiedono giustizia. Ma resta da capire chi ha dato l'ordine di speronare e in che punto del Canale si trovava il peschereccio. Visto che i testimoni hanno detto che stavano navigando da ormai 12 ore, c'è da immaginarsi che fossero vicini a Lampedusa, e infatti sul posto si sarebbe recato anche un elicottero italiano. Che ci faceva? Perchè nessuno ha fatto rapporto della strage? I dettagli, raccontati da 7 dei superstiti, nell'articolo di AFP.
"La barca era nuova, siamo partiti da una zona turistica, El Ogla, vicino a Zarzis, 500 km a sud di Tunisi, eravamo in 120 passeggeri. Ci siamo salvati in 85, i morti sono 5, e gli altri 30 sono ancora dispersi", ha raccontato Ziad Ben Abdaalah, 23 anni, scampato alla tragedia. E la sua versione dei fatti è confermata da altri 7 testimoni che erano sulla stessa barca. "Erano le 15,00. Faceva bello. Ci stavamo avvicinando all'Italia, ormai eravamo in mare da 12 ore, saremo stati a un'ora dall'Italia, quando una nave della Guardia costiera ci ha dato l'ordine di spegnere i motori. E abbiamo obbedito", continua Ziad. Si tratta secondo i testimoni, della motovedetta "Liberté 302".
"La motovedetta della guardia costiera, che sarà stata un 40 metri di lunghezza, prima si è affiancata alla nostra barca e poi si è allontanata di un 700 metri circa. Pensavamo che avrebbe ripreso la sua rotta, e invece d'un tratto ci è venuta addosso. Non abbiamo sentito le guardie dirci di abbassare la testa, e poi ci sono venuti addosso e hanno spezzato in due la nostra barca." In quel momento, racconta Ziad, arriva sulla scena un elicottero italiano e un altra unità della Guardia costiera tunisina. E iniziano i soccorsi, mentre l'imbarcazione spezzata in due affonda e la gente si ritrova in mare.
"Quando sono salito sulla motovedetta, uno dei guardacoste mi ha detto di tornare in acqua a salvare i miei amici. Ci hanno lasciato fradici sulla barca, dandoci giusto un tozzo di pane." E neanche a tutti, rincara la dose Fares Ben Yahyaten, un 21enne disoccupato, anche lui su quella barca, partito alla ricerca di un lavoro.Una volta a terra, è intervenuto l'esercito, che ha portato tutti alla base militare di Sfax, "dove ci hanno dato da mangiare e delle coperte ma ci hanno anche preso le impronte digitali, le foto e ci hanno fatto delle domande sulla Guardia costiera", spiega Aziz Bousetta, 26 anni, un altro superstite.
Dal canto suo, la Guardia costiera ha smentito all'AFP l'accaduto, stimando che la barca sia affondata perchè vecchia, senza aggiungere altro. Ma i parenti delle vittime chiedono giustizia. "Vogliamo sapere perchè la motovedetta tunisina ha rotto in due questa barca. Vogliamo che i responsabili siano processati perchè ci sono stati dei morti", dichiara Nabil Ragdal, che nell'incidente ha perso il fratello. "Andremo fino alla fine, devono essere condannati per omicidio" aggiunge, mostrando l'autorizzazione alla sepoltura del fratello Lasaad, il cui corpo è stato ripescato al largo di Sfax.
Lasaad non era un terrorista nè un criminale. Il fratello racconta che era diretto in Francia per ricongiungersi con la moglie che non aveva più rivisto dal 2004. "Se si è imbarcato è soltanto perchè l'ambasciata gli ha rifiutato più volte il visto". Sull'autorizzazione alla sepoltura, firmata dal responsabile del posto di frontiera della guardias nazionale di Sfax, c'è scritto che Lasaad è "morto annegato" e annuncia l'apertura di un'inchiesta per "omicidio premeditato". Sono già 11 le famiglie pronte a denunciare l'equipaggio della motovedetta "Liberté 302". Ashraf Beyahia, che ha appena seppellito il fratello, da parte sua aggiunge che sulla barca c'era anche "un adolescente di 14 anni" affermando con gli altri superstiti che nessun criminale si trovava sulla barca.

15 febbraio 2011
fortresseurope.blogspot.com


Profughi, galere, affari
Il tempo è galantuomo e, prima o poi, il conto lo si paga sempre. Oggi l'Europa si trova a fronteggiare un brusco aumento dei flussi migratori dai paesi del Nordafrica, ovvero quei paesi incendiati nelle ultime settimane da rivolte popolari inedite, contro il caro-vita, per la libertà, contro l'autoritarismo di regimi pluridecennali foraggiati
proprio dalle classi dirigenti occidentali. Tunisia ed Egitto, su tutti. Ma anche Algeria, Yemen, Bahrein, Libia.
Popoli incredibilmente giovani rispetto alle medie anagrafiche di un'Europa vecchia e malconcia, e altrettanto affamati di futuro. Dopo la caduta di Ben Alì in Tunisia e di Mubarak in Egitto, a tremare sono gli altri dittatori del Maghreb. Anche il colonnello Gheddafi, una vecchia conoscenza del governo italiano, comincia a sudare freddo e reagisce con la ferocia che lo contraddistingue.
Sono più di 10.000 gli immigrati, per lo più tunisini, approdati in Sicilia e nelle sue isole minori come Lampedusa e Pantelleria. Un esodo massiccio e abbastanza prevedibile dopo le rivolte dei giorni scorsi. In particolare, la situazione politica e sociale in Tunisia è in continuo mutamento: i sostenitori di Ben Alì non mollano ed è palpabile la sensazione che possano innescarsi meccanismi da guerra civile se la transizione non riuscirà a fare piazza pulita dei residui del vecchio regime. La gente comune è spaventata, e tenta il tutto per tutto. L'Italia rappresenta, oggi più di ieri, il primo passo per spiccare il volo verso il futuro in Europa. Come al solito, la risposta del governo italiano è in linea con la miseria dei suoi esponenti.
Il ministro dell'Interno Roberto Maroni parla di emergenza umanitaria, ma i dispositivi che si stanno predisponendo - con l'immarcescibile Protezione civile - fanno pensare a una gestione da internamento di massa davvero inquietante. Maroni parte dal presupposto che le migliaia di immigrati che stanno arrivando in Italia sono tutti "clandestini" e, in quanto tali, vanno trattati alla stregua dei criminali. Pertanto, il governo sta procedendo alla individuazione di strutture per la "accoglienza" di queste persone purché queste strutture siano controllabili, fuori dai centri abitati e impermeabili a tentativi di evasione.
Un concetto di accoglienza, quello di Maroni, che conosciamo benissimo. Per far fronte all'emergenza, è stato riaperto il Centro d'Identificazione ed Espulsione di Lampedusa. Poi sarà riaperto il CIE di Caltanissetta con annesso Centro per richiedenti asilo, una struttura che era stata praticamente messa fuori uso un anno e mezzo fa da una durissima rivolta di immigrati. Anche Trapani viene mobilitata con il suo piccolo, ma famigerato, lager - il CIE "Serraino Vulpitta" - con il più capiente centro per rifugiati di contrada Salinagrande, e con molte altre strutture sparse in provincia e saldamente controllate dalla Caritas.
Nel resto della Sicilia, saranno utilizzati conventi, strutture ecclesiastiche, alberghi in disuso. A Palermo si prevede l'impiego dell'area in cui sorgeva la Fiera del Mediterraneo: capannoni e edifici che un tempo ospitavano la famosa (e fallimentare) fiera campionaria, potrebbero contenere 200 persone. Ma è nella Sicilia orientale che il governo ha davvero superato se stesso. A parte l'ipotesi agghiacciante di allestire delle tendopoli nel ragusano e nel siracusano, in provincia di Catania il governo vorrebbe impiegare il Villaggio degli aranci, un complesso residenziale che ospitava i militari di stanza nella base Usa di Sigonella. Settemila posti in un'area rigorosamente militarizzata e facilmente controllabile. Settemila posti per altrettanti richiedenti asilo che vivono in tutta Italia e che verrebbero convogliati a Mineo, nella piana di Catania, sradicati dai territori in cui - a grande fatica - stanno rifacendosi una vita. Un'ipotesi davvero allucinante ma che rappresenterebbe un'occasione ghiotta per il proprietario del residence, l'azienda parmigiana Pizzarotti, che proprio non sapeva come fare per utilizzare quelle 404 villette dopo il rifiuto del governo Usa a rinnovare il canone d'affitto. Adesso pagherà il governo italiano, sicuramente con i soldi che Maroni ha chiesto, pestando i piedi, all'Unione europea.
Insomma, con l'aumento degli sbarchi aumentano anche le occasioni di profitto per chi lucra su un modello di gestione dei flussi migratori che non ha niente a che fare con l'accoglienza. Dopo aver investito tutto sulla repressione e sulla criminalizzazione dei migranti e del loro status di clandestini, il governo italiano deve fare i conti con migliaia di persone che avrebbero tutto il diritto di chiedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari alla luce delle condizioni sociali e politiche in cui versano i loro paesi di origine. Per loro, il trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione, e il successivo rimpatrio, sarebbero un abuso giuridico ancora più intollerabile, così come l'internamento coatto in qualunque altra struttura circondata e guardata a vista da poliziotti, preti e militari.
L’ex villaggio dei militari USA di Mineo (Catania), di proprietà privata, è in trasformazione in un grande centro detentivo per gli oltre 2.000 richiedenti asilo ospitati sino ad oggi nei CARA (Centri di accoglienza richiedenti asilo) sparsi sul territorio nazionale. Il “piano d’emergenza” varato dal ministro Maroni prevede che, negli ex CARA, vengano smistati i cittadini stranieri in fuga dalla Libia e che in caso di esodi massicci dal nord Africa i prefetti possano “requisire residence o altre strutture abitative” da convertire in “centri per migranti”. “Il potere di requisizione sarà in capo al Commissario straordinario per l’emergenza immigrati, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, ma si tratterà comunque di uno strumento provvisorio e limitato nel tempo”, riferiscono al Viminale. Ben altra durata avrà invece il supercentro di Mineo, eufemisticamente denominato “Villaggio della solidarietà”, che nelle intenzioni del governo farà da “modello di eccellenza in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo”.
Le deportazioni avverranno con “gradualità, in modo che non ci siano contraccolpi per il territorio”, come annunciato dal presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione (coordinatore regionale del Pdl), grande sostenitore del piano Mineo. “L’avvio del progetto – spiega Castiglione – sarà accompagnato da un Patto per la sicurezza sottoscritto da tutti i sindaci della zona e dal ministero dell’Interno per definire quali misure attuare non solo all’interno del villaggio, ma su tutto il territorio interessato, attraverso la realizzazione di sistemi integrati di videosorveglianza e il potenziamento dei mezzi, delle strutture e dei presidi esistenti e degli uomini delle forze dell’ordine”.
Il ministro della difesa La Russa non ha perso tempo e ha ordinato intanto il trasferimento nella provincia di Catania di 60 militari dell’Arma dei carabinieri per “incrementare la sicurezza nei comuni interessati dall’emergenza profughi”. I primi uomini, ovviamente, hanno raggiunto la locale stazione di Mineo comandata  dal maresciallo Domenico Polifrone.
Nonostante l’apparato securitario ordinato dal governo per presidiare il nuovo villaggio-prigione, il presidente Castiglione enfatizza le offerte “d’integrazione sociale” che saranno avviate a Mineo: “Secondo il progetto del ministro Maroni, il Centro prevederà al suo interno assistenza sanitaria e attività di formazione e mediazione linguistica, nella scommessa di renderlo una realtà pilota e d’avanguardia. Tutto ciò con il coinvolgimento delle cooperative sociali del territorio e dell’indotto locale”. In verità, l’intenzione sarebbe quella di affidare la gestione alla Croce Rossa Italiana, con trattativa d’urgenza e senza l’indizione di una gara come invece fatto in passato nei CARA. Un business, quello dell’“accoglienza”, che sta suscitando appetiti a destra e manca.
Conti alla mano, i 45-50 euro al giorno in budget per ogni richiedente asilo, moltiplicati per i 2.000 “ospiti” di Mineo comporteranno introiti per circa 3 milioni di euro al mese, più il canone che il governo verserà alla Pizzarotti S.p.A., la società di Parma proprietaria del villaggio, che dal Dipartimento della difesa statunitense riceveva per l’affitto delle 404 villette, 8,5 milioni di dollari all’anno. Nel piccolo centro siciliano è già sorto il Comitato “Pro – Residence della Solidarietà”, promosso dalla locale sezione UIL e dalla cooperativa sociale Sol.Calatino S.C.S.. “Nel residence saranno impiegati almeno 300 operatori sociali per le attività di accoglienza ed integrazione e le imprese locali troveranno spazio nella fornitura dei beni dei servizi, con una evidente ricaduta positiva sull’economia locale”, annunciano in un manifesto affisso in città. “A tal proposito chiediamo all’amministrazione comunale di sostenere la sperimentazione del progetto istitutivo del CARA, legandolo alla programmazione sociale del territorio attraverso il Patto territoriale dell’economia sociale del Calatino Sud - Simeto, favorendo l’inserimento lavorativo dei cittadini di Mineo”. Il Patto territoriale - finanziato dall’Unione europea - vede come una degli attori proprio Sol. Calatino, filiazione locale del potentissimo consorzio Sol.Co di Catania, uno dei più grandi di tutta la Sicilia con 140 cooperative, che dopo la decisione di Washington di abbandonare Mineo aveva espresso l’interesse a insediare nel residence “un’agenzia di inclusione sociale in cui poter accogliere le persone che si trovano in un momento difficile”. I rifugiati, appunto.
Nonostante l’appello della coop, solo 10 sindaci del comprensorio su 15 si sono dichiarati favorevoli al piano di confino dei richiedenti asilo. I comuni di Castel di Iudica, Caltagirone, Grammichele, Ramacca e Mineo hanno invece ribadito la loro avversione con una lettera inviata al ministro Maroni. “Il modello Mineo – scrivono i 5 sindaci - non risponde all’idea che abbiamo consapevolmente maturato, sulla scorta dell’esperienza di effettiva integrazione portata avanti nelle nostre comunità. Non ci piace che almeno duemila persone vengano deportate in un luogo senza i necessari presidi e senza vere opportunità di inclusione, in una condizione di segregazione che potrebbe preludere da un lato a rivolte sociali, dall’altro indurre alcuni di loro, a fronte di una stragrande maggioranza pacifica e ispirata alle migliori intenzioni, a mettere a dura prova le condizioni di sicurezza del territorio”.
Sulle funzioni decisamente detentive che saranno assunte dal centro di Mineo è intervenuto il giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di Palermo. “Se fosse un vero centro di accoglienza non ci sarebbe bisogno dello schieramento militare e dei cordoni di polizia”, spiega il docente. “Appare evidente che il governo vuole sfruttare questa ennesima emergenza per trasformare il regime del trattamento dei richiedenti asilo, che in base alle direttive comunitarie ed al nostro ordinamento interno, non possono essere trattenuti in un centro chiuso. Inoltre è alto il rischio che il governo deporti da un centro all’altro, per tutta l’Italia, coloro che sono già in regime di accoglienza e che questo spezzi i legami di integrazione già costruiti ed abbatta le possibilità di presentare ricorsi contro i dinieghi di status”. Per Fulvio Vassallo Paleologo si dovrebbe invece applicare a coloro che fuggono dal Maghreb gli istituti della protezione umanitaria previsti dall’ordinamento e la normativa sull’accoglienza dei profughi nel caso di afflussi di massa, “in base all’art. 20 del T.U. 286 del 1998 sull’immigrazione”. Norme inapplicate così come non è mai stata attivata fino ad oggi la direttiva 2001/55 dell’Unione europea sulla “protezione temporanea”. Come rilevato da Michele Cercone, portavoce della Commissaria europea per gli affari interni, Cecilia Malmstrom, la direttiva “prevede la concessione, su proposta della Commissione e con approvazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio, dello status di rifugiato per un periodo di tempo limitato a persone che fuggono da paesi in cui la loro vita sarebbe a repentaglio in caso di ritorno”.

marzo 2011
fonti: senzafrontiere.noblogs.org - www.peacelink.it


aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i c.i.e.
A febbraio, dentro al Cie di Torino, mentre le guardie erano impegnate a scortare fuori un ragazzo che si era tagliato i polsi, un gruppo di prigionieri ha tentato la fuga. Solo uno, però, è riuscito a scavalcare la prima recinzione ed è stato subito preso e riempito di botte. Per protesta, la mattina successiva, altri due reclusi si sono tagliati.
Nello stesso mese, un incendio è divampato nell’area gialla sempre nel del CIE di corso Brunelleschi. In quest’area sono concentrati parecchi immigrati sbarcati a Lampedusa dalla Tunisia. Sino alle dieci e mezza c’è stato un gran via vai di vigili del fuoco e auto della polizia. Dopo la mezzanotte i compagni accorsi al CIE trovano tutto tranquillo. L'incendio è stato spento, piove a dirotto.
A Bari, stando a quanto afferma un quotidiano on-line, c’è stato un tentativo d’evasione andato male. Due reclusi, alla fine, sarebbero stati arrestati per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.
A Gradisca d'Isonzo le rivolte si sono susseguite dal 24 febbraio, data in cui secondo l’agenzia stampa Adnkronos le stanze interessate dagli incendi sarebbero state addirittura sette. Di queste, tre sarebbero adesso completamente inagibili, di altre tre è crollato l’intonaco dal soffitto per il calore. Insomma, soltanto una è immediatamente utilizzabile. Sempre l’Adnkronos pubblica l’immagine di un Vigile del Fuoco che gira tra le macerie di una stanza smozzicata e bruciacchiata: non sappiamo se quella foto sia stata scattata davvero a Gradisca questa mattina o sia una immagine d’archivio, ma riflette molto bene la situazione. Qui il CIE è ormai inagibile da giorni: le rivolte e gli
incendi delle scorse settimana hanno distrutto quasi tutto. Restano in piedi le aree comuni e una stanza da soli otto letti, per i cento immigrati.
Maroni non sa più che pesci prendere: i CIE sono stracolmi e non c’è più posto da nessuna parte. Ammettere il fallimento nelle politiche repressive verso i “clandestini” sarebbe uno smacco troppo grande per un Ministro dell’Interno leghista, che sulla “durezza” verso gli immigrati ha costruito gran parte delle proprie fortune. Per questo, infischiandosene allegramente delle condizioni di vita dei reclusi, Maroni fa finta che nulla sia capitato. Maroni deve anche fare i conti con la Questura goriziana, che da tempo vuole che il CIE sia chiuso durante i lavori di ristrutturazione e mal tollera la scelta di mantenere comunque aperta la struttura.
Viene il dubbio che la scarsa solerzia dimostrata durante l’ultima rivolta - gli stessi reclusi davano per spariti i poliziotti – non sia stata del tutto casuale. Alla fine di febbraio i poliziotti dell’UGL faranno un presidio alla prefettura di Gorizia per protestare contro il mancato intervento del Viminale. Naturalmente agli uomini e alle donne in divisa non importa nulla degli immigrati: vorrebbero solo più personale, per evitare che tocchi a loro occuparsi di “questa tipologia di persone”. Una tipologia con spiccata attitudine alla resistenza, alla rivolta, alla libertà.
Sono passati cinque anni dal giorno che il primo “ospite” venne spinto tra le mura dell’ex caserma Polonio dalle truppe dello stato. Fuori vi furono cariche, manganellate e lacrimogeni. L’avevano progettato con cura, il lager isontino: letti e tavoli imbullonati, poche suppellettili, mura e sorveglianza. Speravano di prevenire fughe e rivolte. Si sbagliavano e di grosso. Non si contano più le fughe, le rivolte, le proteste, spesso finite tra botte e deportazioni. Oggi del CIE non resta quasi più nulla. Gli incendi appiccati dai reclusi a fine febbraio hanno mandato in fumo le ultime camerate rimaste. Nonostante ciò il ministero dell’Interno mantiene aperta la struttura: dentro i reclusi sono in terra, senza materassi, con un solo bagno, privati dei cellulari.
Il 12 marzo un imponente schieramento di polizia attende gli antirazzisti, che hanno risposto all’appello del Coordinamento Libertario contro i CIE, per una giornata di lotta e solidarietà. Tutti gli antirazzisti che arrivano per la manifestazione vengono fermati e controllati a lungo. Nonostante ciò oltre duecento compagni e compagne si ritrovano davanti al lager. Sulla recinzione i richiedenti asilo del CARA hanno appeso un cartello “CIE=CARA”. Oggi gli ospiti del CARA sono prigionieri: li hanno chiusi dentro nonostante sia loro riconosciuto il diritto di uscire durante il giorno. 150 sequestri di persona decisi dalla questura per impedire ai ragazzi del CARA di partecipare alla manifestazione. Ma loro si fanno sentire lo stesso: chiamano gli antirazzisti, dicendo loro che il “bombardamento sonoro” è perfettamente riuscito. Sentono la musica e i tanti interventi solidali e gridano forte la loro rabbia. Dal CIE non esce nulla. Probabilmente, dopo la protesta sul tetto del lunedì precedente, il cortile è loro nuovamente interdetto. Sono dentro circondati dalla celere di Padova.
In barba ai numerosi divieti della questura i manifestanti piazzano banchetti, cibo, amplificatori e presto la manifestazione deborda in strada: la provinciale viene bloccata per oltre tre ore. I settori più moderati vorrebbero che una delegazione entrasse nel CIE, ma, dopo un lungo tergiversare, arriva, secco, il no della questura. La situazione dentro deve essere anche peggiore di quella mostrata dalle foto filtrate fuori dal CIE prima del sequestro dei telefonini. Nessuno deve vedere, nessuno deve raccontare la vergogna che si cela dietro quelle mura. Le mura di un lager democratico.

marzo 2011
fonti: senzafrontiere.noblogs.org - www.autistici.org/macerie

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Rivolta nel carcere d'espulsione di Bruxelles
Nel carcere d'espulsione Steenokkerzeel di Bruxelles una manifestazione interna di solidarietà nei confronti di un prigioniero preso a botte dalle guardie è sfociata in una rivolta. Dapprima i prigionieri hanno dichiarato di entrare in sciopero della fame, poi sono scesi in rivolta: ogni oggetto presente nelle sezioni è stato divelto, le celle sono state completamente distrutte e incendiate; alcuni prigionieri sono infine saliti sui tetti del carcere, a uno è riuscito persino ad evadere.
Come è andata. Il 15 febbraio un giovane viene ammanettato e picchiato dalle guardie. Riporta ferite visibili. "Mi hanno ammanettato e mi sono saltati addosso in 4. Nel colpirmi mi dicevano: non ritornare mai più in Belgio. Mi hanno bloccato con i ferri i polsi e le caviglie, poi mi hanno colpito. Ho delle ferite anche alla testa".
In risposta a questo pestaggio tutti i prigionieri sono entrati in sciopero della fame: "Oggi avviamo uno sciopero della fame per protestare contro le azioni inumane adoperate contro un giovane prigioniero. Questa tortura è stata compiuta dalle guardie. Facciamo lo sciopero della fame, ma teniamo per noi la possibilità di compiere altre azioni."
Domenica 20 febbraio si è svolta davanti allo stesso carcere una manifestazione di solidarietà con i prigionieri a cui hanno preso parte circa 50 persone. Le parole d'ordine lanciate in quest'occasione sono state: "solidarité, liberté", "no border no nation", "freedom for all", "diritti umani in pericolo". Ad alcuni manifestanti è riuscito lo scavalco della prima recinzione e così a comunicare più direttamente con i prigionieri. In questi momenti le parola d'ordine lanciate sono state "abbattiamo le carceri d'espulsione" , "ridurre il filo spinato in stuzzicadenti"…

22 febbraio 2011
da “no borders no nations”, bxl.indymedia.org/articles/1081

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Dopo una settimana di continue notizie sulla situazione interna al Centro chiuso per clandestini - un tentativo di evasione, il pestaggio di molti prigionieri e uno sciopero della fame collettivo - una quarantina di persone si sono radunate davanti al Centro. Durante la manifestazione, i prigionieri hanno cominciato a rompere i vetri, a incendiare le celle e a salire sul tetto. A quel punto sono arrivati parecchi rinforzi di polizia e di pompieri ma, nel caos generalizzato, un detenuto è riuscito ad evadere.Alla sera, quando oramai i manifestanti erano rientrati, la sommossa è di nuovo scoppiata. Due delle tre ali del Centro sono state devastata dagli insorti: danneggiamenti, incendi e sabotaggi dei circuiti elettrici e degli impianti sanitari. Queste due ali sono state dichiarate “inagibili” e i prigionieri sono stati trasferiti nei Centri di Vottem, Merksplas e Bruges. Steenokkerzeel, adesso come adesso, è in buona parte in rovina.

24 febbraio 2011
da www.autistici.org/macerie

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Vincennes (Francia): Incendi, botte e sciopero della fame
Nel Centro di detenzione amministrativa – CRA – diVincennes (Francia) gli immigrati sono stati in sciopero della fame per circa una settimana. Erano in lotta contro le espulsioni e le condizioni di vita. Il comandante della struttura “il baffo” ha cercato di calmare gli scioperanti, rispondendo ad un recluso che chiedeva di poter esporre le proprie ragioni ai giornalisti “tieni la bocca chiusa! Una sera c’è stato un principio d’incendio in una camera della prima sezione e poi anche nella seconda sezione. L’intera struttura resta al buio mentre gli elicotteri sorvolavano il Centro. Impossibile mettersi in contatto con la prima sezione: il telefono risultava irraggiungibile. Un prigioniero, immobilizzato per la gola, è stato pestato e poi gettato con violenza a terra da poliziotti incappucciati. Non risulta sia stato portato all’ospedale.
Sabato 26 febbraio, un prigioniero ha dettato al telefono il comunicato redatto dagli immigrati di Vincennes. “Noi, algerini, tunisini, egiziani, libici, marocchini, e di tutti gli altri paesi, continuiamo lo sciopero della fame cominciato quattro giorni fa nel centro di detenzione di Vincennes. Uno sciopero della fame sino alla morte.
Tra di noi ci sono persone che sono in Francia, 'integrate' da 15 o 20 anni, tutta la loro famiglia è in Francia e ora la Francia li espelle”.

febbraio 2011
fonte: senzafrontiere.noblogs.org


Lettere dal carcere di Cremona
Cari compagni/e in giro per tutte le carceri d'Italia, purtroppo dopo qualche mese di domiciliari mi trovo ancora detenuto… sapete benissimo come funziona quando non si sta simpatici ai magistrati…
Nell'arco della precedente carcerazione ho girato diversi carceri: Opera, Pavia, Reggio Emilia ecc., ma penso di non essermi mai trovato in uno stato di degrado come mi trovo qui a Cremona, carcere che definisco con una sola parola "triste".
Qui non funziona nulla, e parliamo delle cose di base per qualsiasi detenuto. Qui, dire mi faccio una doccia è un eufemismo; infatti, se c'è tanta acqua vuol dire che è ghiacciata, quando è calda, al contrario ne esce talmente poca che si impazzisce per trovare la posizione giusta e riuscire infine a lavarsi.
Del magiare non ne parliamo. Vi dico che in 5 mesi che sono qua non ho mai avuto il coraggio di toccare il carrello; però penso anche agli altri ragazzi che non sono fortunati come me e non hanno la possibilità di fare spesa tutte le settimane e sono costretti a mangiare la "merda" che passa sia a pranzo che a cena.
Parlando della spesa, vi dico che io in questi 10 anni di carcere non ho mai visto dei prezzi così alti. Penso che rubare alle persone che già si trovano in una situazione così estrema, come può essere una detenzione, sia la più grossa delle "infamità".
Non parliamo poi di quello che spetta di diritto. Ormai qua, quando la sera passano a chiedere se abbiamo bisogno della matricola o dell'infermeria , mi faccio una grossa risata. Sono arrivato a segnarmi anche dieci volte consecutive per l'infermeria senza mai essere chiamato. Uno schifo vero. Pensate che appena arrivato mi sono rotto un braccio. Mi hanno portato in ospedale per l'ingessatura, beh sapete com'è finita? Dopo 40 giorni il gesso l'ho dovuto togliere da me sotto la doccia, perché nessuno si degnava di trovare un cazzo di scorta per portarmi in ospedale.
Poi ci dicono di stare tranquilli, quando la dignità umana viene calpestata da persone che nella vita possono solo andare a chiudere una porta!
So che verso la fine di questo mese manifesterete fuori dal muro di cinta, grazie, perché sono queste cose che ci fanno sentire vivi e non-dimenticati. Anche noi da qua cercheremo di organizzare qualcosa… Un abbraccio.

carcere di Cremona, 17 febbraio 2011
(lettera firmata)
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Carissimi amici, mi chiamo Mario ho 47 anni, sono originario di Napoli e ora mi trovo ospite nel carcere di Cremona, tutto spesato a gratis. Ho avuto ilo vostro indirizzo e mi è stato spiegato chi siete, cosa fate, perché, che siete dei compagni.
Io non so bene che significhi essere compagni, però sono affascinato anche perché qui ho trovato chi mi fa una testa tanto sulla politica e sui compagni. Me ne sto interessando perché domenica venite qui. Farò la mia parte.
Prima mi trovavo a Volterra (Pisa). Sono stato trasferito per punizione: non ero capace di sopportare le ingiustizie che l'amministrazione del carcere faceva a tutti i detenuti. Così ho scritto una lettera ad Alfano, il ministro, ma mi sa tanto che è peggio degli stessi che volevo denunciare e solo ora riesco ad intuire cosa significhi essere di destra o di sinistra.
Qua ho iniziato a studiare per passione chimica, fisica e biologia. Sono solo all'inizio, ma ci metto un sacco di impegno. Ho scoperto che è bello studiare, che è possibile conoscere e acquisire tutto ciò che ci desta e illumina, che ci fa uscire dal torpore della quotidianità imposta. Forse un giorno potrete aiutarmi con dei libri usati, come mi è stato detto recuperati in giro. Ma per questo c'è ancora tempo, devo ancora scontare un anno e mezzo di carcere. Poi non so cosa farò, perché sono solo al mondo e quindi mi lascio un po' trascinare dagli eventi senza farmi coinvolgere in storie di malavita perché non è il mio mondo.
Certo che viviamo in una società veramente classista e clientelare. Solo chi appartiene a determinati ceti ha il sostegno e la referenza dei suoi simili. Chi, come me, è fuori da certi ambiti, è escluso, è già una chimera procurarsi di che sfamarsi. Spero di sentirvi, di comunicare con voi anche se dovessi essere trasferito…
Saluto affettuosamente tutti/e, vi abbraccio Mario

21 febbraio 2011
Mario Fiengo, via Palosca, 2 - 26100 Cremona

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Cari compagni di Ampi Orizzonti, sono Angelo e vi scrivo per farvi sapere che il vostro intervento di ieri (domenica 27 febbraio) è stato veramente grande e apprezzato da tutto il carcere, come da programma, con la battitura di tutte le sezioni.
Io personalmente vi invito a continuare a lottare per i nostri diritti che qui vengono soppressi. Sono qui da 9 mesi e mezzo e ancora non mi hanno chiuso la sintesi. Non funziona proprio nulla in questo maledetto carcere.
Spero che continuiamo assieme a portare avanti la lotta.
Un caro saluto Angelo

28 febbraio 2011
Angelo Margiotto, v. Palosca, 2 - 26100 Cremona

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Cari compagni/e di Ampi Orizzonti, vi scrivo da Cà del Ferro (Cremona), innanzitutto un caro saluto a tutti voi che con il vostro sostegno morale e di lotta non ci lasciate mai soli; e un sincero saluto anche a tutti i famigliari dei detenuti che con voi il giorno 27 marzo terranno la riunione in centro per il coordinamento. E vari aggiornamenti. Questa è una cosa che personalmente ritengo fondamentale.
Qui le cose vanno sempre peggio, in ambito di "educatori" in primis. Vi spiego meglio. Sono 10 mesi che mi trovo rinchiuso tra queste fatiscenti mura, senza contare i mesi che avevo trascorso ai domiciliari prima che mi venissero revocati. In questi 10 mesi non mi è stata ancora chiusa (sono definitivo) la sintesi, che è fondamentale per le agevolazioni previste dalla legge, tra cui quella varata il 26 novembre 2010 sulla detenzione domiciliare - per chi si trova a dover scontare pene al di sotto di 1 anno. Potrei usufruirne, ma non è possibile proprio perché non mi è stata chiusa la sintesi da parte dell'educatore. Faccio presente che per chiedere una sintesi ci vogliono 6 mesi. Praticamente mi tocca restare in carcere per una persona "incompetente e alcolizzata"…
Un altro grande problema è il vitto, non tanto perché non arriva alle ultime celle, ma perché, si può proprio dire, non ce ne danno. A mezzogiorno ci viene servita la solita pasta o riso scotti, insapori, che onestamente rifiuterebbero anche i cani; per quanto riguarda la "cena", tre volte alla settimana ci vengono date soltanto due uova sode ciascuno, gli altri giorni ci passano un pacchetto di 4 wurstel a testa o una confezione di ricotta da 100 gr.
Ci siamo lamentati, facendo ritornare il carrello nelle cucine senza che nessuno prendesse nulla. Come risposta abbiamo ottenuto la solita "mancano i fondi" (con la seguente argomentazione)… "visti anche i gravi problemi recenti dell'immigrazione dei clandestini verso il nostro paese"… quindi non dobbiamo lamentarci e mangiare quello che ci passano.
Purtroppo questa è l'attuale situazione che peggiora sempre più, lacune che non dovrebbero esistere, mancano sempre le domandine per le varie richieste. L'intera sezione ne rimane sprovvista per giorni e giorni senza così poter fare richieste per le visite mediche o altro.
Cari compagni, vi mando un caro saluto e vi prego di continuare costantemente nella lotta contro queste istituzioni fasciste, guidate da un premier pedofilo.

21 marzo 2011
Stefano Margiotto, v. Palosca , 2 - 26100 Cremona


Lettera daL carcere di Opera (MI)
Esprimo la mia solidarietà a tutti coloro che scrivono nell'opuscolo, in particolare ai miei compagni politici che lottano e resistono in qualunque luogo si trovino; ma ci tengo ad esprimere solidarietà e ad accogliere con un abbraccio caloroso tutti i compagni prigionieri che con onestà, dignità e spirito ribelle si avvicinano all'ideologia anarchica. Anarchia, in una sola parola, significa libertà!
Sono onorato di conoscere tramite l'opuscolo i compagni del carcere di Prato: Davide e Domenico, i quali descrivono bene le situazioni incresciose che accadono nella prigione dove li tengono rinchiusi; e poi ancora , i compagni che scrivono dal carcere di Cremona, Siracusa, ecc. Dietro i vostri scritti, alle vostre parole ci sono sofferenze, emozioni, sfogo, lotte, solidarietà, affetto e voglia di libertà! E quindi dietro le vostre parole ci sono i fatti! Quante volte parlando con gli altri vi siete sentiti dire: “e che minchia significa anarchia?”, “sul serio pensate di cambiare le cose, scrivendo ciò che accade sull'opuscolo?”
Lasciateli perdere! La coscienza della lotta nasce attraverso la lotta stessa! Tanti hanno il cervello pieno di cazzate: le partite di calcio, il grande fratello, la moda, i soldi, ecc. quindi coloro che scoprono di avere uno SPIRITO ribelle e che si espongono con coraggio si ritengano fortunati, per lo meno avranno vissuto con uno spirito libero, senza gabbie mentali!!!!
Saluti ribelli a tutti/e, l'anarchico William
3 marzo 2011
William Pilato, v. Camporgnago , 40 - 20090 Opera (Milano)


Lettera dal carcere di Siano (CZ)
Cari compagni, ho letto che a giugno si protesterà contro il 41-bis. Siccome ho scritto qualcosa su questo infame regime, ve lo invio.
Sono stato in regime di 41-bis dal 1992 al 1996 nell'isola dell'Asinara; in certi momenti tra di noi ci dicevamo: non ci crederanno quando lo racconteremo. Mi è capitato che anche dei detenuti non credevano a quale grado di perversione era arrivato e continua a perseverare lo stato italiano. Ho il presentimento che la società non immagina a quale abbrutimento sia scesa la crudeltà della repressione del regime del 41-bis.
Sono 20 anni che "La colonna infame" esercita con spietata crudeltà sulla vita dei detenuti delo regime di tortura del 41-bis.
Purtroppo il "circolo antimafia" di questa tortura ne ha fatto un icona, e chiunque si permette di contestarlo viene demolito dall'enorme potere mediatico, giudiziario, politico e intellettuale di cui dispongono. Ormai sono così potenti da sembrare uno stato nello stato. Comprendo che è una realtà nascosta, ma chi la subisce la conosce.
Vi saluto con un abbraccio solidale, ciao Pasquale
2 marzo 2011
Pasquale De Feo, v. Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (Catanzaro)


Lettera dal carcere di Catania
Ciao a tutti, In tanti abbiamo ricevuto l'opuscolo nr. 54 e come sempre le storie sono sempre le stesse o assonanti. Tutte le lettere pubblicate, immancabilmente testimoniano crudeltà e disumanità, abusi, soprusi, maltrattamenti fisici e psicologici, sono il male minore a cui giornalmente siamo sottoposti. I nostri politici hanno criticato prima Saddam e ora Gheddafi per i loro crimini, ma non guardano mai dentro il loro armadio, dove gli scheletri fanno fatica ad entrarvi. Non voglio essere monotono nel ripetere il mio concetto, ma spero che il mio pensiero possa essere recepito e magari trovi consensi da coloro che hanno determinate possibilità.
I responsabili di ciò che si verifica all'interno delle carceri, non sono guardie e direttori con le loro barbarie, ma bensì coloro che lo permettono, assicurando le dovute coperture. Mi riferisco alla magistratura nostro vero cancro. Che non ha mai inteso mettere fine a tutto ciò, anzi non perde occasione per aumentare e infliggere ulteriori pene e sofferenze, ponendo in essere veri crimini nei confronti dell'umanità.
Molto pochi sono quei magistrati che svolgono onestamente il proprio lavoro, e quasi certamente, vengono dai disonesti emarginati, non hanno notorietà e non faranno mai carriera. Purtroppo ormai le nostre testimonianze servono a poco, le nostre denunce non sono accolte da nessuno, tutto continua come sempre, più di sempre, grazie a solide complicità. Penso pertanto, che i tempi siano più che maturi per trovare altre soluzioni, tenendo conto che nelle carceri si continua a morire e i nostri compagni non riescono più a sopportare.
Questi magistrati non pagheranno mai per le loro malefatte. Introdurre una legge sulla responsabilità non servirà a nulla, perché a giudicare saranno altri magistrati e, da che mondo è mondo, cane non mangia cane.
Nelle prossime lettere ognuno di noi dovrebbe elencare i nomi dei magistrati da cui ha subito angherie e abusi nell'applicazione delle leggi.
Sarebbe necessario iniziare dai magistrati di sorveglianza di Napoli, che ormai da anni hanno monopolizzato il loro status con accanimento giustizialista e pregiudizievole, applicando la legge a loro modo e piacimento, violando qualsiasi norma relativa ai diritti umani. Prova ne è la letterea di Antonio Faro che ci narra del compagno al quale, morta la madre, è stato negato il diritto, soprattutto umano, di vederla.
Nelle prossime lettere citiamo i nomi di questa gentaglia disonesta, andiamo dove lavorano…
Un saluto fraterno a tutti

marzo 2011
(lettera firmata)


Lettere dal carcere di Prato
Ciao Olga, spero di trovarvi in buone condizioni di salute.
Il piano criminale che citate nella vostra lettera (a proposito della morte di Antonino nelle celle d'isolamento di Prato), risulta aspramente diretto alle persone più deboli sulle quali hanno più possibilità di concludere il loro intento, e, purtroppo, a volte riescono ad abbattere il muro oltre il quale la citata debolezza porta a gesti estremi.
Noi confidiamo nel vostro sostegno e personalmente la vostra presenza fortifica molto; e son sicuro che è così anche per tanti altri detenuti.
Come sapete la CC di S.Vittore tende a smistare subito i detenuti subito dopo il processo. Ho saputo che tantissimi sono ora dirottati al CIE e che il carcere si è "svuotato", che chi sta combattendo ha preso molti rapporti disciplinari….
Un abbraccio a tutti/e voi

14 marzo 2011
(lettera firmata)

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Un carissimo saluto, […] ho notato che avete messo la notizia (dell'uccisione-morte di un prigioniero a Prato) sul vostro libro così più persone sapranno che succede: ma dobbiamo far veramente qualcosa! In tutti i carceri d'Italia. Come sappiamo non bastano i nostri scritti e lamentele, per avere veramente l'attenzione di questi illustri politici. Tocca fare come in Venezuela, allora sì che mettiamo in ginocchio tutti i carceri, "bruciare" i carceri e via dicendo. Posso garantire che a Prato potremmo farlo, ma chi ci viene appresso! Cioè, dovremo innescare tutti i carceri questo stesso mese! Non trovate?
Con vera stima Domenico

3 marzo 2011
Domenico Gabelli, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato

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Ciao Olga, confido di trovarti in buone condizioni di salute. Ti scrivo a nome di tutti coloro che hanno ricevuto i libri e ne stanno giovando nella lettura. Ti esorto se possibile a rinviarci la lista dei testi.
Non abbiamo sviluppi per quanto riguarda Antonino e la sua impiccagione. Sappiamo che la cella è stata isolata per qualche giorno e che è stata analizzata dalla scientifica, nulla ci più.
Qui a Prato ci manca la presenza dei vostri presidi. Ieri ho incontrato tra i passeggi un ragazzo che era presente a un vostro presidio sotto le mura di S. Vittore e ripensandoci e parlandone con altri detenuti e cancellini ci chiedevamo se questa sensazione di isolamento dal resto della città, se questo silenzio potrà essere interrotto dalla vostra carica e dalle vostre melodie che ci portiamo dentro.

2 marzo 2011
Davide Puricelli


Lettere dal carcere di Poggioreale (na)
Cari compagni/compagne, se qualcuno sente dire che nelle carceri lager di Poggioreale c'è un detenuto che sta male, sicuramente ognuno dirà: li stanno tutti male.
Avete ragione, lo dico anch'io. Il fatto è che a Poggioreale c'è davvero una persona che sta male, si chiama Antonio Caliendo, ha 37 anni, è malato di AIDS (conclamato) e fin da piccolo soffre di disturbi mentali.
Il suo reato non è così grave, anzi direi proprio il contrario.
Scrivo questo articolo per un fatto umanitario, perché se Antonio si sarebbe potuto permettere un buon avvocato, sicuramente, come minimo sarebbe agli arresti domiciliari, alla detenzione domiciliare ecc.
Antonio davvero sta male e davvero la sua vita è in pericolo.
Ha bisogno di cure. Lui scrive ai suoi famigliari che non viene curato bene e non è la prima volta che un detenuto rischia la vita dietro le sbarre.
Che i signori magistrati si accertino delle condizioni di salute di Antonio. I diritti umani sono di tutti. Nessuno può negare qualcosa del genere.
Spero solo che lo mandino a casa oppure in una struttura sanitaria.
Risvegliamo le nostre coscienze e stiamo vicino a chi invece forza non ne ha più.
La libertà non è un frutto proibito! Giuseppe

Lager di Poggioreale, 5 febbraio 2011

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Ciao compagni e compagne, senza alcun dubbio ciò che vi dirò, oltre ad essere singolare e paradossale ha dell'incredibile - circa tre settimane addietro sono venuto a diverbio con il lavorante portavitto di colore, il quale più volte era stato da me invitato a non svegliarmi all'ora di cena (ore 16,15 circa) qualora stessi dormendo, urlando il "si mangia" davanti al cancelletto. Purtroppo il mio invito per l'ennesima non è stato recepito, quindi aspramente e solo con qualche parola di "troppo", mi sono rivolto al lavorante per porre fine a questa situazione.
Lo stesso, per risposta tentava di aggredirmi, infilando mani e braccia tra le sbarre del cancello nel tentativo di colpirmi. Ad una mia reazione lo stesso ritraeva repentinamente le braccia strusciando un braccio nelle sbarre, procurandosi una lievissima , quasi invisibile abrasione, escoriazione. Dopo circa 40 minuti una delle guardie di turno mi chiedeva cosa fosse accaduto con il lavorante. Rispondevo che c'era stato solo un battibecco e null'altro.
Trascorsa altra ora, apprendevo che il lavorante aveva dichiarato falsamente di avere ricevuto da parte mia un colto di bastone (manico della scopa) sul braccio.
Ma ciò che ha dell'assurdo è che una delle due guardie di turno confermava di avere assistito alla scena, quando invece era del tutto assente al piano, essendo un padiglione piccolo a due piani.
Intorno alle 19 il lavorante veniva portato al pronto soccorso e medicato per l'abrasione al braccio. La stessa sera, intorno alle 21, l'altra guardia, (il capoposto) di turno si recava nella cella del lavorante e in presenza del compagno di cella, gli chiedeva se era certo di aver ricevuto un colpo di bastone.
Tale richiesta, in modo evidente, non era necessaria se fosse stato vero che l'altra guardia aveva assistito alla scena. Pertanto mi sono trovato accusato falsamente dal lavorante e, ancor più grave, dalla guardia che ha redatto un falso rapporto. Per quanto accaduto, il giorno dopo il consiglio di disciplina mi infliggeva 7 giorni di isolamento. Tutti potete immaginare cosa siano 7 giorni di isolamento a Poggioreale lager d'élite in Italia.
C'è però qualcosa che non sapete e che nemmeno io avrei immaginato, specie dopo ani di carcerazione. Le celle di isolamento, oltre che dalle guardie, sono gestite da un'orda di lavoranti tutti di colore, incredibilmente addestrati alla qualsiasi. Appena giunto, uno di loro, dopo aver indossato dei guanti di lattice, mi intimava con protervia, di spogliarmi, perché doveva perquisirmi. Immediatamente ho opposto il mio rifiuto, notando in lui un atteggiamento quasi di minaccia, che non mi ha certo intimorito.
Incredibile la padronanza di azione, supportata dall'arrivo della guardia che mi diceva che quelli erano gli usi dell'isolamento di Poggioreale - praticamente detenuti di colore in supporto alle guardie.
Durante la permanenza ho dovuto dipendere da questi lavoranti trasformati in guardie, anche per avere una sigaretta, senza "replicare" agli atteggiamenti provocatori degli stessi che, se contrariati, chiudevano il blindato - cosa a me successa.
Ho visto con i miei occhi uno di questi aggredire un altro detenuto nella cella di fronte e, ancor peggio, ho appreso che vengono utilizzati per i pestaggi. Ebbene compagni/e, questo è Poggioreale. Praticamente uno schifo dove regna l'illegalità.
La libertà non è un frutto proibito!
Sempre per una piena libertà!

marzo 2001
Giuseppe Trombini, v. Nuova Poggioreale 177 - 80143 Napoli


Lettere dal carcere di Nuoro
Ciao carissimi, […] vorrei aprire una parentesi su questo istituto. Adesso riesco a vedere i problemi che ci sono, giorno dopo giorno iniziano a uscire.
Iniziamo dalla posta che al sabato non la vanno a prendere e non ce la danno.
Per i pacchi c'è sempre ritardo e così vengono mandati indietro.
Poi le celle fanno veramente schifo, in quanto il bagno è in mezzo alla stanza in cui bisogna vivere in cinque-sei. Questo non si chiama reinserimento dei detenuti, ma imbastardirli ancora di più... Spero di leggervi al più presto.
Un abbraccio a tutti voi da oltre mare

13 marzo 2011
Gianluca Di Giovanni, v. Badu 'e Carros 1 - 08100 Nuoro
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Ciao compagni, sono un detenuto albanese, mi trovo nel carcere costruito da Dalla Chiesa negli anni ‘70, il supercarcere di Badu ‘e Carros (Nuoro).
Spesso mi faccio una domanda, se vale la pena di scrivere l'istanza di trasferimento. Hanno delle copie già stampate per dirti no o per motivi di sicurezza o per il sovraffollamento. Se chiedi la minima cosa ti puniscono. Peggio di una dittatura. In Albania il comunismo è durato 45 anni, ma questa falsa democrazia è peggio del comunismo. Nel comunismo se sbagli sai a cosa vai incontro. Invece oggi se sei figlio di Berlusconi o parente di Di Pietro non rimani in carcere, se sei un povero cittadino, preparati la borsa con dei vestiti per tanti anni.
La Lega Nord ha raccolto voti, parlando di emigrazione, ma l'Italia è piena di emigranti e nessuno può sconfiggere l'emigrazione, perché il giorno che tutto il mondo è ricco finirà tutto. Hanno fatto la richiesta per fare il test antidroga per i parlamentari (deputati), ma non lo vogliono fare perché metà sono drogati. Usano la droga e fanno le leggi contro chi la vende, gli danno 30 anni e da scontare in un carcere di massima sicurezza. Se vendi droga prendi 30 anni e sei pericoloso, se violenti un bambino ti danno 3 anni, ti fanno lavorare e sei sempre in giro…
Saluto i miei amici, li stimo tutti, Ben Kepecon ristretto in Sicilia ad Augusta, Luciano e Carmine, Tommaso ristretti a Piacenza…
Una presta libertà per tutti, Marku

3 marzo 2011
Marku Bardhok, via Badu 'Carros, 1 - 08100 Nuoro


Cagliari: Aggiornamenti su Davide e Francesco
Verso i primi giorni di Febbraio è stato ritrovato uno spago che partiva da una cella del carcere di Buoncammino, lanciato fino all'esterno delle mura con l'aiuto di una patata.
In conseguenza del ritrovamento di esso (accusando i detenuti di voler con questo mezzo di comunicazione portare dentro il carcere delle armi) perquisiscono (ben 3 volte dalla sera tarda alla mattina) la cella di Davide, rendendo tal cella inutilizzabile (avendo rotto persino i cavi elettrici nel vano tentativo di ritrovamento di questa fottuta e inesistente arma). Vengono sequestrati solo libri e corrispondenza di Davide (in cella erano 6).
Tutti i detenuti della cella vengono trasferiti. Tutti rimangono nel braccio sinistro, l'unico trasferito al braccio destro (nello stesso corridoio dell' A.S.) è Davide.
Viene fatta una ulteriore perquisizione nella cella accanto, cosa non chiara, dato che questo filo-spago non partiva dalla stessa cella: quella di Francesco.
Ovviamente non hanno trovato niente.
La mattina di due giorni dopo la perquisizione a Francesco gli dicono di raccattare la sua roba, e con l'illussione che gli avessero accettato gli arresti domiciliari si ritrova nuovamente trasferito in un altro carcere sardo: quello di Lanusei (a 150 Km da Cagliari, praticamente nell'entro terra), noto carcere che fino a poco tempo fa ospitava solo pedofili e stupratori, oramai diventato luogo di detenzione per reati comuni, ciò non toglie che i secondini sono sempre gli stessi, abituati ad avere un trattamento di merda e da infami con i ragazzi.
Francesco è in sciopero della fame dal 14 di sto mese. Le motivazioni sono il trasferimento stesso e il blocco della corrispondenza.
Questa mattina (21-02) sotto il lager di Buoncammino si è svolto un volantinaggio informativo da diverse individualità in solidarietà dei due compagni e degli altri detenuti.
Ribadiamo la nostra solidarietà con chiunque sia detenuto per mano dello stato!!

Francesco Domingo, viale Europa, 10 - 08045 Lanusei (Ogliastra) Sardegna
Davide Delogu, viale Buoncammino, 19 - 09127 Cagliari Sardegna

25 febbraio 2011
da lombardia.indymedia.org


Lettere dalle carceri svizzere
Cari compas! …riallego il bollo e… altro cambio di indirizzo (Marco in quei giorni era appena stato ritrasferito, stavolta da Bochuz, Svizzera francese, a Lenzburg, Svizzera tedesca). Giocano la strategia dell'annientamento in questa "repubblica delle banane", dove con ogni cambio di galera cambi paese imperialista… Un giorno prima hanno ritrasferito anche Billy e Costa, di nuovo "in croce" alle relative galere di prima (ora gli indirizzi dei compagni infatti sono:
Luca Bernasconi, Regionalgefaengnis Thun, Allmendstr. 3, 3600 Thun;
Costantino Ragusa, Regionalgefaengnis Bern, Genfergasse 22, 3001 Bern;
Silvia è sempre nel Regionalgefaengnis Biel, Spitalstr. 20, 2502 Biel/Bienne
anche noi li abbracciamo forte.
Cosa faranno al loro processo? Magari questi miseri terroristelli di stato dichiareranno l'emergenza intergalattica?
Caramente Marco

Lenzburg, 27 gennaio 2011
Marco Camenisch, Justizvollzugsanstalt Lenzburg, Postfach 75 - 5600 Lenzburg (Svizzera)

***
Carissime/i compagne/i, vi confermo l'arrivo dell'opuscolo… ancora una volta ci hanno fatto fare il girotondo: io di nuovo a Berna, Billy a Thun e Marco a Lenzburg e Silvia invece è rimasta a Biel.
In questi giorni hanno chiuso le indagini, a breve formuleranno l'accusa e ci rinvieranno a giudizio. Per il processo potrebbero volerci pochi mesi come molti di più… Sembra che la restrizione della corrispondenza tra coimputati sia caduta e, all'ultimo interrogatorio in procura hanno acconsentito qualche minuto di colloquio con Silvia.
Adesso gli avvocati si stanno informando per sapere se ci sono novità anche rispetto alle altre restrizioni. Mando un forte abbraccio a tutte/i voi, Costa

Bern, 10 febbraio 2011
Costantino Ragusa, Regionalgefaengnis Bern, Genferstr. 22 - 3001 Bern (Svizzera)


milano: PRESIDIO ITINERANTE ATTORNO ALLE MURA DI SAN VITTORE
Sabato 19 febbraio h. 17
In questi tempi, come non si vedeva da anni all'interno del sistema carcere è nata, si è sviluppata, è cresciuta una connessione di resistenze, di ribellioni, di proteste e di solidarietà tra i prigionieri. Questa proliferazione di rivolta si estende. La sua causa va ricercata nella determinazione delle istituzioni a voler tenere in una posizione di sottomissione ognuno di noi, sia dentro che fuori le mura. La realtà oltrepassa la nostra immaginazione…
“In questo carcere fa veramente tutto schifo, siamo in 20 mtq in 7 persone; la settima branda scompare d'incanto solo quando arriva un politico, un vescovo e così via. Personalmente mi sono rotto i coglioni”.
(Lettera di xxxxxxxxxxxx dal carcere di Chiavari, 9 gennaio 2011)
“L'illuminazione nelle celle non è garantita, quando si fulmina la lampadina sei costretto a comprartela alla spesa al costo di 1,70 euro e se fai casino chiedendo spiegazioni all'amministrazione penitenziaria, ti fanno rapporto disciplinare”.
(Lettera di xxxxxxx yyyyyy dal carcere di Opera, 25 gennaio 2011)
“Ovviamente, la polizia di fronte a questa situazione cade continuamente nella paranoia, che questa ondata di ribellione rompa gli argini e prova quotidianamente a frustrare ogni tentativo di attacco, da parte dei detenuti, al sistema che li vuole umiliati, sottomessi, divisi. Vi scrivo piccoli aneddoti quotidiani: test dell'urina, acqua fredda (doccia), luce (illuminazione) pressoché inesistente, in poche parole non funziona niente. Abbiamo chiesto il trasferimento per motivi famigliari, ma nessuna risposta ancora. Vorremmo scontare la nostra pena innanzitutto con gente come noi, perché di vedere detenuti che per un cazzo di stipendio si umiliano, diventando così molto più pericolosi degli sbirri secondini, non ne possiamo piu. Vediamo se e cosa ci rispondono…”
(Lettera di xxxxxxxxxxx dal carcere di Chiavari, 9 gennaio 2011)
“Educatori e assistenti sociali latitano parecchio, molto più che a Milano: ti chiamano quando sei 'nuovo giunto' e poi chi si è visto si è visto. Il campo di calcio è assegnato alle sezioni in modo scriteriato, a noi, per esempio, negli ultimi sei mesi è toccato tre volte. Insomma non funziona un c…”
(Lettera di xxxxxx dal crcere di Prato, 3 febbraio 2011)
La serenità nel riconoscere la possibilità per ognuno di noi di finire carcerati non intacca la nostra fermezza nell'affermare che siamo disposti a tutto per proseguire e vincere questa lotta comune.
Invitiamo pertanto tutti coloro cui questo foglio giungerà ad unirsi al presidio itinerante sotto le mura di San Vittore il pomeriggio di sabato 19 febbraio.
A rivederci presto.

Per scrivere: ASS. AMPI ORIZZONTI C.P. 10241 - 20110 MILANO
MAIL: captivi@autistici.org

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Prenderci gli spazi per lottare contro l'esistente…
contro gli sgomberi… contro la criminalizzazione e il carcere
Milano sabato 19 febbraio 2011, 300 persone, in gran parte studenti, giovani lavoratrici-lavoratori si sono presi la strada per oltre quattro ore per manifestare la loro determinata contrarietà nei confronti degli sgomberi in generale, dello sgombero della "Stamperia" (edificio situato nei pressi dell'Arena, occupato il 14 ottobre scorso) in particolare, compiuto da polizia e carabinieri all'alba di lunedì 13 febbraio; per esprimere solidarietà attiva verso chi in carcere lotta e resiste.
Come si vede un appuntamento articolato, insolito, reso attuale dall'iniziativa violenta e decisa messa in campo dallo stato in questi ultimi mesi contro il movimento di lotta degli studenti, contro lo sfruttamento, in particolare delle persone immigrate, delle quali, allo stesso tempo, viene limitata la libertà di espressione e di movimento; una manifestazione contro gli arresti per intimidire, per tentare di disperdere la coesione delle lotte tutte.
Ci siamo trovati davanti, dentro il mercato di Sinigaglia in zona ticinese (qui di sabato decine di bancarelle vendono vestiario e tant'altro, anche usato) frequentato soprattutto da giovani, da immigrati. Questa scelta ha consentito un volantinaggio precedente l'avvio del corteo, in cui è stata possibile una comunicazione reciproca, poiché compiuta con persone che tirano avanti nel marasma di un affitto o di un mutuo che prosciuga un ampio 70% del salario, di un posto di lavoro che oggi c'è, domani forse e anche no, con il costo della vita che accumula dietro di sé disperazione su disperazione, con l'invenzione di fonti reddito che spesso si concludono nella carcerazione.
Il corteo è passato in mezzo ad incroci come quelli di Porta Genova e del mercato di viale Papiniano, attraversati da parecchie persone che hanno ascoltato con severità le nostre ragioni - seppur talvolta esposte in modo generico e poco determinato.
Nonostante le pressioni e lo schieramento di polizia e carabinieri, via via che ci si avvicinava a S. Vittore, il corteo è rimasto sostanzialmente compatto. Ha camminato attorno alle mura del carcere su cui sono state fatte delle scritte se pur ostacolate dalla polizia; il corteo è riuscito a comunicare direttamente con i prigionieri per far uscire dalla ghettizzazione, dal silenzio le uccisioni, l'isolamento, i pestaggi, l'aumento delle pene, la censura sempre più intensa e mirata, che sostanziano l'aberrazione carcere.
La comunicazione ancora una volta è riuscita: chi oggi è prigioniero, come è stato detto nelle pur brevi frasi lanciate da dentro, negli interventi urlati fuori, sa di poter contare su un sostegno sempre più cosciente; chi invece è fuori saprà affrontare l'arresto e la prigionia come parte e continuazione cosciente della lotta contro l'esistente capitalistico.
La giornata di lotta senza neanche troppe metafore, si è conclusa attorno alle 20, concretizzando le parole d'ordine sentite dal corteo: "Prendiamoci gli spazi fuori dal capitale, per l'autodeterminazione", "Basta con gli sgomberi". A quell'ora oltre 60 compas sono riusciti ad entrare nella piscina comunale "Caimi" di via Botta (nei pressi di Porta Romana), tolta per decreto più di 4 anni fa alla gente del quartiere (abitato in larga parte da famiglie borghesi) e così farla cadere, assieme alla grande area di cui è parte da circa 70 anni, negli artigli della potentissima speculazione edile. Occupata e abitata la piscina, calata la notte, sulle sue mura sono apparse le scritte "Ci prendete le case - Vi prendiamo le piscine", per comunicare direttamente il senso dell'occupazione. Un sentire ribadito, seppur in modo confuso, nell'assemblea aperta di domenica (20) sera a cui hanno preso parte diversi abitanti del quartiere interessati a riprendersi e autogestirsi, fuori e contro chi, facendosi beffe proprio della gente del quartiere, ha già condannato a morte uno spazio socialmente vissuto per di più attrezzato e circondato in maniera irripetibile da un prato. Un'assemblea pressata dallo scalpettio dei gendarmi tutti, dominata dal "pessimismo della ragione ottimismo della volontà" (brano da una lettera (1929) di Gramsci). Si vedrà.

Milano, febbraio 2011


Bassone (co): di male in peggio!
E' da oltre un anno che solidarizziamo con i/le detenuti/e del Bassone e sosteniamo le loro lotte. Dobbiamo amaramente constatare che la situazione non è per nulla cambiata, anzi, se possibile, è peggiorata. Gli interventi della direttrice del carcere, Maria Grazia Bregoli, non hanno fatto altro che rendere ancora più un inferno la vita dei prigionieri ed ancora più difficile il sostegno da parte dei familiari ai loro cari.
Conoscete ormai tutti le famigerate restrizioni imposte dalla direttrice riguardo l'ingresso di qualsiasi tipo di alimento ed i prezzi assurdi del mercato interno, l'unico al quale possono accedere direttamente i detenuti. Inoltre, recentemente è apparso un articolo su “La Provincia” di Como che lascia presagire una situazione sanitaria a dir poco allarmante. Ci riferiamo alla protesta dei medici, dipendenti dell'ospedale S. Anna, in servizio all'interno del carcere che parlano di un ambulatorio dai muri scrostati, quindi totalmente anti-igienici, di visite ed interventi eseguiti con giacca e guanti, poiché il riscaldamento non consente una temperatura superiore ai 15 gradi, e di una continua carenza di personale che obbliga i pochi medici presenti a turni che compromettono il loro operato e a mansioni di non loro competenza.
Queste condizioni li hanno portati a minacciare il licenziamento di massa, con conseguenze che possiamo, ma non vogliamo immaginare. Al di là delle proteste dei medici a preoccuparci di più è la vita dei detenuti e sappiamo che le condizioni del sistema sanitario interno, ora venute alla luce, rispecchino il degrado dell'intera struttura. Sempre da un articolo de “La provincia” (13 gennaio pag. 20) si è appreso di un'altra grave inefficienza avvenuta tra quelle “quattro mura”. Un problema tecnico sull'armadio di trasformazione da media a bassa tensione ha imposto un blackout totale di alcune ore alla struttura, rimediato solo in parte da tecnici Enel che hanno riattivato una piccola fornitura che ha ristabilito l'uso dell'illuminazione esterna e delle telecamere di sorveglianza, lasciando la caldaia e la corrente nelle celle inattive per oltre 24 ore. I tecnici hanno stabilito che la mancanza di manutenzione, che è a carico del Bassone, è la causa del guasto. Tutto questo ha scatenato una battitura che si è protratta per alcune ore. Noi pensiamo che in questa occasione i detenuti abbiano individuato il modo giusto per intervenire contro il degrado della situazione in cui si trovano al di là della pratica utilizzata: la lotta in prima persona.
La direzione del carcere conosce bene la pericolosità delle lotte portate avanti dai prigionieri e teme anche che queste vengano diffuse all'esterno se non addirittura sostenute. A questo risponde con un sempre maggiore isolamento, fatto anche dal blocco delle comunicazioni postali con quelle realtà che mettono in discussione la legittimità stessa della struttura carceraria. Dal giugno dell'anno scorso prosegue, nonostante le nostre pressioni, il blocco della casella di posta attraverso la quale abbiamo comunicato con diversi detenuti, che oltre a raccontarci la loro spesso orribile esperienza hanno espresso in più di un'occasione la voglia e la necessità di unirsi e lottare per un cambiamento radicale.
Il segretario nazionale della u.i.l. si è recentemente espresso sulla situazione delle carceri italiane “sperando che qualche politico si attivi per trovare qualche soluzione”. Angeletti sa perfettamente che le condizioni di vita nelle galere non sono casuali, ma sono uno degli elementi che permettono l'esistenza stessa delle carceri ed è quindi interesse dello Stato che esse non vengano modificate.
Sperare non serve a nulla! Uniamoci dentro e fuori!
SABATO 26 FEBBRAIO DALLE H. 9.00 ALLE H.12.00
PRESIDIO CON MUSICA E INTERVENTI FUORI DAL CARCERE BASSONE
Microfono aperto, vieni a fare un saluto!

Collettivo Dintorni Reattivi
Associazione oltrelesbarre cp 86 22077 Olgiate Comasco (Como)
dintornireattivi@autistici.org - la-testata.noblogs.org
BRESCIA: Presidio sotto il carcere di Canton Mombello
Giovedì 10 marzo dalle ore 17
I detenuti della casa Circondariale di Brescia (Canton Monbello) hanno deciso di mettere in atto uno sciopero generale del vitto lunedì 7 marzo fino a giovedì 17 con battitura sui blindati dalle ore 8.00 alle 8.30, dalle ore 12.00 alle ore 12.30, e dalle ore 17.30 alle ore 18.00, questo dovuto al sovraffollamento e soprattutto alla mancata concessione di pene alternative da parte delle autorità competenti.
E’ necessaria la nostra solidarietà.
- Contro le disumane condizioni carcerarie;
- per dire no ad ogni forma di repressione;
- per la dignità di ogni persona e ribadire che il carcere non è la soluzione;
- per l’applicazione di misure aternative.
Portiamo pentole e coperchi per una “caserolada” e per amplificare la loro e la nostra protesta.

marzo 2011
Siamo tutti/e detenuti/e
da fuochidiresistenza.noblogs.org


milano, 25 aprile: presidio sotto san vittore
non c'è liberazione se non vanno in fiamme!
Il 25 aprile è il giorno che ricorda l'atto finale della resistenza vittoriosa contro il fascismo. In quelle giornate di liberazione parecchie carceri andarono in fiamme e i loro portoni vennero aperti.
Fu, però, una breve primavera! Negli anni a seguire il sistema carcerario, così come lo conosciamo oggi, venne ripristinato. Per questo vogliamo dar voce a chi oggi dentro le carceri quotidianamente resiste, per respingere gli attacchi alla propria dignità, alla propria vita.
Proprio il 25 aprile, a partire dalle 18 fino a mezzanotte ci troveremo in piazza Aquileia, per comunicare direttamente con i prigionieri attraverso i pensieri, le parole, uniti alla musica. Chiamiamo tutte e tutti. Interveniamo numerosi, determinati come sempre.
Questo richiede la situazione concreta, vissuta dai prigionieri, come si capisce dall'appello lanciato da una recente lettera di Domenico, che fa riferimento al "suicidio" di un ragazzo nel carcere di Prato: "...dobbiamo fare veramente qualcosa! in tutti i carceri d'Italia. Come sappiamo non bastano i nostri scritti e lamentele, per avere veramente l'attenzione di questi illustri politici. Tocca fare come in Venezuela, allora sì che mettiamo in ginocchio tutti i carceri, bruciare i carceri e via dicendo...".
Il governo, con i recenti provvedimenti, dimostra la chiara volontà di consolidare il carcere e, soprattutto, la sua funzione terrorizzante e intimidatrice, contro chi si contrappone ai suoi programmi. Vanno in questo senso: la costruzione di nuove carceri e di nuove sezioni in quelle già esistenti, a danno di spazi di vitale importanza come i campi sportivi; l'aumento generalizzato delle pene e l'ipocrisia di un provvedimento truffa, che avrebbe dovuto risolvere, in parte, il problema del sovraffollamento, mettendo agli arresti domiciliari sette mila persone, quando in realtà ne sono uscite, a fatica, settecento; la censura e i trasferimenti, per tentare di spezzare la comunicazione con l'esterno e le proteste individuali e collettive all'interno; l'estensione a tutte le carceri delle restrizioni prese direttamente dal 41bis, delle punizioni, dei pestaggi, dell'isolamento, che sempre più spesso finiscono con la morte di chi li subisce.
Lo stato e il suo governo hanno un chiodo fisso in testa: consolidare il sistema penale, di cui il carcere è il perno, per inibire qualsiasi resistenza e tentativo di ribellione al peggioramento delle condizioni di lavoro, all'accrescimento dei tagli alla sanità e all'istruzione, per aumentare, invece, le spese militari.
Anche per questo la resistenza e la lotta di chi oggi è dentro ci appartengono. Con forza lo affermano i detenuti, come in questa lettera di un ragazzo, trasferito mesi fa da san Vittore: " Qui ci manca la presenza dei vostri presidi. Ieri ho incontrato tra i passeggi un ragazzo che era presente a un vostro presidio sotto le mura di san Vittore e, ripensandoci e parlandone con altri detenuti e concellini, ci chiedevamo, se questa sensazione di isolamento dal resto della città, se questo silenzio potrà essere interrotto dalla vostra carica e dalle vostre melodie che ci portiamo dentro."
Il 25 aprile scendiamo in piazza…
contro l'isolamento, le uccisioni combinate dal sistema penale
contro i pestaggi e gli abusi delle guardie
contro lo smantellamento della sanità penitenziaria
contro la censura e i trasferimenti preventivi
contro il 41bis
contro la società che le galere crea e riempie.
Lunedì 25 aprile, ore 18, piazzale Aquileia, presidio-concerto

Per info e contatti:
associazione “ampi orizzonti”, C.P. 10241, 20122 Milano
captivi@autistici.org


Lettera aperta del collettivo che materialmente fa l'opuscolo e lo diffonde a tutti coloro che agiscono contro il carcere e la società che lo crea e lo utilizza.
Innanzitutto un caldo saluto a tutti i prigionieri, a tutte le prigioniere che giorno dopo giorno, notte dopo notte, resistono all'attacco dello stato che si adopera per tentare di ridurli in suoi giocattoli, in oggetti da scagliare contro se stessi e allo stesso tempo nella società per tentare di diffondere rassegnazione, disarmo e così sopprimere sul nascere la lotta contro l'esistente. Il carcere deve esercitare terrorismo, ammonimento nei confronti dell'intera società, per dare certezza ai capitalisti e alla loro società.
Abbiamo maturato la necessità di questa lettera, riflettendo sugli ultimi numeri dell'opuscolo, in particolare sulle lettere pubblicate e no che giungono dalle carceri. Tutte descrivono le diverse forme di quotidianità che lo stato cerca di imporre con ogni mezzo: dall'aumento delle pene all'ampliamento delle punizioni, cioè dell'isolamento e dei pestaggi; dalle carenze, anche assenze, di ogni genere di igiene al cibo sempre più leggero e schifoso; dalle gravi carenze delle cure mediche le cui spese sono in gran parte sulle spalle dei prigionieri e delle loro famiglie o del valium e simili bastoni chimici, al restringimento degli spazi di socialità.
Per raggiungere i suoi malefici scopi il carcere colpisce i gesti di solidarietà fra prigionieri, a cominciare dal divieto di salutare, aiutare il vicino di cella. L'istituzione pilastro dell' "ordine" non scherza colpisce e cerca di intimorire con la violenza selettiva, individualizzata, con la censura unita al blocco dei colloqui, con il trasferimento ed anche con l'uccisione cui solo l'isolamento in esso incorporato è capace.
Nelle lettere, si discute poco di questo; si accenna appena alle azioni di protesta, alle lotte collettive, individuali (fermate all'aria, battiture, scioperi della fame…) portate avanti dai prigionieri.
Per dare consistenza a queste azioni pensiamo sia necessario ragionare assieme sulle loro origini e sui loro scopi, in modo da costruire comunicazione solidale attiva fra interno e esterno, contro il carcere, per la liberazione.
Crediamo sia necessario discutere e confrontarci affinché l'opuscolo non diventi unicamente un "ricettacolo di lamentele" ma sia sempre più strumento di comunicazione, sostegno e diffusione della resistenza interna cosicché anche le iniziative fuori come i presidi possano diventare più che generici gesti di solidarietà.
Oggi, per dare forza alla resistenza quotidiana dei prigionieri è prioritario riuscire a far conoscere fuori, nel modo più diretto, reale e ampio possibile quel che avviene nelle carceri. Ad accrescere la sensibilità, unita al timore della "gente" verso il carcere ci pensano in parte l'attuale società e il suo stato, in quanto a un numero crescente di popolazione non possono dare alcuna certezza di lavoro, di reddito…; ma può garantire loro solo controllo, repressione e infine galera.
Le carceri o altri padiglioni ricavati in quelle già esistenti - costruite a danno degli spazi di socialità - aumentano inesorabilmente insieme ai "reati" e alle pene. Questo accade oggettivamente. Il resto tocca a noi farlo accadere, a chi oggi è dentro e a chi oggi è fuori.

Milano, marzo 2011


Stati Uniti: Sull'ammutinamento nelle carceri della Georgia
La mobilitazione dello scorso dicembre nelle carceri dello stato nordamericano della Georgia rappresenta una protesta dal valore storico nel contesto del complesso industriale carcerario americano.
Per comprendere l'origine e l'importanza di questo ammutinamento bisogna conoscere il contesto in cui si è sviluppato, ovvero il programma di speculazione capitalista sulla privazione della libertà attuato negli Stati Uniti d'America, e non solo. Negli USA ci sono le carceri fabbrica (amministrate da privati o dagli stati), gestite da aguzzini-manager come aziende. I detenuti vengono costretti a lavorare in diversi ambiti produttivi, dall'industria pesante all'agricoltura, come veri e propri schiavi, con paghe da 17 cents ai 50 cents l'ora, senza indennizzi, contributi, ferie e senza ovviamente diritto allo sciopero. Negli USA c'è una forza lavoro detenuta che si aggira tra i 600.000 e il milione di individui letteralmente schiavizzati. Quindi ci sono le lobby della carcerazione, di quella pubblica ma soprattutto di quella privata (gruppi di pressione politica ed economica alimentati con i dollari delle multinazionali della carcerazione quotate a Wall Street) che influenzano i legislatori, e quindi chi formula le leggi, affinché fette sempre più ampie di popolazione vengano inghiottite dal carcere (e per periodi sempre più lunghi) e finiscano a lavorare a paghe più basse di quelle delle industrie messicane.
Quindi, da un lato, carceri che diventano fabbriche produttivamente concorrenziali, luoghi in cui l'unico diritto riconosciuto è quello al lavoro coatto, dall'altro, tutto un'insieme di leggi e trasformazioni politiche e sociali tese a garantire un costante e crescente approvvigionamento di schiavi. Ti trovano con un po' di droga, schiavo per due anni, ti trovano con più droga, schiavo per 12 anni, rubi una macchina, schiavo per 6 e via dicendo.
L'altro fattore da tenere in considerazione per capire la portata di questa mobilitazione è quello delle divisioni tra comunità di detenuti: divisioni etniche, religiose o dettate da rivalità tra gang.
Conclusa questa premessa, andiamo a descrivere quanto accaduto nelle carceri della Georgia.
Il 9 dicembre 2010, qualche migliaio di persone detenute, che prima si scannavano perché uno era dei Crips, uno dei Bloods, uno della fratellanza ariana, uno dei fratelli mussulmani, uno di una delle decine di gang di latinos... ebbene il 9 dicembre questa eterogenea comunità ha deciso di unirsi per affrontare un nemico comune, ovvero il complesso industriale carcerario.
E quindi è scattata "Lockdown for liberty" - "Chiusura per la libertà", e nelle carceri della Georgia, comprese le principali di Augusta, Baldwin, Hancock, Hays, Macon, Smith e Telfair, i detenuti, con un'adesione quasi totale, si sono rifiutati di uscire dalle proprie celle per le attività lavorative e di altro genere. In molti hanno anche intrapreso uno sciopero della fame di massa. Quindi una protesta passiva e non violenta, ma assolutamente paralizzante per un sistema carcerario fondato sullo sfruttamento schiavista del lavoro coatto. Così pericolosa da venire categoricamente censurata da tutti i media mainstream americani, e della quale si è avuto modo di venire a conoscenza solo grazie ai gruppi di supporto, nonostante abbia riguardato migliaia di detenuti.
Non è chiaro come si siano organizzati, coordinati, né chi siano stati i promotori della protesta; il DOC, departement of corrections, l'equivalente del DAP nostrano, sostiene che il passaparola sia avvenuto attraverso telefoni cellulari illegalmente in possesso dei detenuti, e ha cercato con perquisizioni e prelievi selettivi di reclusi dalle proprie celle, di trovare i mezzi di comunicazione e i promotori della mobilitazione, e quindi di smorzare l'ammutinamento.
Ma vediamo intanto le richieste sintetizzate e diffuse dai detenuti, successivamente vedremo le rappresaglie dei carcerieri:
1) RETRIBUZIONE IN CAMBIO DEL LAVORO: In violazione del 13° emendamento che proibisce la schiavitù e la servitù non volontaria il dipartimento penitenziario richiede ai detenuti di lavorare gratis. [E infatti se come abbiamo visto in altri stati americani le paghe tra carceri pubbliche e private si aggirano su qualche decina di centesimi l'ora, in Georgia neanche quelli. NdR]
2) POSSIBILITA' DI EDUCAZIONE E FORMAZIONE: Il DOC nega alla grande maggioranza dei prigionieri l'accesso a livelli di istruzione successivi al GED [diploma di educazione generale, all'incirca l'equivalente della nostra terza media .NdR], a discapito dei benefici per i detenuti e per la società.
3) ASSISTENZA SANITARIA DECENTE: In violazione dell’8° emendamento contro le punizioni crudeli e irregolari (che tra parentesi è lo stesso che stabilisce quali farmaci possano essere utilizzati per sopprimere i detenuti), il DOC nega adeguate cure mediche ai prigioieri, li carica di costi spropositati per le più irrilevanti prestazioni sanitarie ed è responsabile di indicibili sofferenze.
4) PORRE FINE A PUNIZIONI CRUDELI E INUSUALI: Violando ulteriormente l'8° emendamento il DOC è responsabile di punizioni crudeli per minime infrazioni dell'ordinamento carcerario.
5) DECENTI CONDIZIONI DI VIVIBILITA': I detenuti della Georgia sono confinati in condizioni degradanti e di sovraffollamento, con riscaldamento minimo d'inverno e caldo opprimente d'estate.
6) PASTI NUTRIENTI: Nelle strutture del DOC c'é un approvvigionamento carente di frutta e verdura, mentre abbondano amidi e cibi grassi.
7) OPPORTUNITA' DI SVILUPPARE I PORPRI INTERESSI E LA CRESCITA INDIVIDUALE:
Il Doc ha eliminato dalle proprie strutture ogni possibilità di accrescere le proprie abilità, la crescita personale e l'esercizio fisico.
8) CONTATTI CON LE FAMIGLIE: Il DOC ha separato migliaia di prigionieri dalle proprie famiglie imponendo assurde tariffe telefoniche e innumerevoli ostacoli alle visite. [Da ricordare che negli USA esistono aziende specializzate nella gestione dei "comfort" carcerari: dalle cabine telefoniche, alle postazioni di download di mp3, ai cibi preconfezionati, all'abbigliamento, ai dispositivi elettronici. Del resto una popolazione detenuta di oltre 2 milioni di individui senza alternative è un ottimo bacino commerciale. NdR].
9) CORRETTO ACCESSO ALLE MISURE ALTERNATIVE: L'ufficio della libertà condizionale (libertà sulla parola) nega regolarmente e arbitrariamente l'accesso alle misure alternative alla maggior parte dei detenuti anche in presenza di evidenti prove di idoneità.
Questi sono i 9 punti, le nove istanze alla base di questa mobilitazione. Niente di rivoluzionario, o estremamente radicale, ma la radicalità e la forza di questa rivolta carceraria non-violenta consiste nell'aver individuato scientificamente i punti cardine della macchina carceraria, in questo caso il lavoro non retribuito e la gestione delle masse come mandrie di schiavi, e di aver trovato degli strumenti di lotta efficaci, replicabili senza una preparazione militare, e in grado di inceppare gli ingranaggi del sistema carcerario e di veicolare allo stesso tempo messaggi di critica più complessi sul sistema detentivo e repressivo.
Segue uno dei messaggi circolati nel corso della mobilitazione: "Lunedì mattina, quando le porte si apriranno, chiudetele, Non andate a lavorare. Non possono farci nulla che non ci abbiano già fatto altre volte. Fratelli, non fermiamoci. Facciamoli scendere a trattare. Dobbiamo essere forti, non produciamo più denaro per lo Stato che lo utilizza per mantenerci in schivitù".
Vediamo ora le rappresaglie degli aguzzini.
Vista la natura non violenta della rivolta e la sua diffusione capillare nelle carceri dello stato della Georgia, la strategia del DOC è stata quella di provocare violentemente i detenuti al fine di trasformarla in una sommossa carceraria standard, meglio gestibile in ambito repressivo e politico.
I prigionieri del carcere di Augusta hanno dichiarato che diversi detenuti sono stati prelevati dalle proprie celle e pestati dai secondini del CERT [le squadre di risposta alle emergenze carcerarie, una sorta di GOM nostrani], alcuni riportati in cella con le costole rotte.
Nel carcere di Telfair le squadre tattiche dei secondini hanno immobilizzato i detenuti mentre distruggevano tutti i loro effetti personali. Nelle carceri di Macon e di Hays, hanno minacciato per giorni i detenuti, prelevandone alcuni destinati al cosiddetto "buco" e chiudendo nelle sezioni l'accesso ad acqua calda e riscaldamento. In altre carceri hanno provato a sfruttare la strategia della divisione negando fino a notte inoltrata il cibo ai detenuti che non operavano lo sciopero della fame.
Nonostante tutte queste manovre di rappresaglia non sono riusciti a sedare la protesta che si è interrotta autonomamente, offrendo una tregua in attesa di risposte, dopo più di una settimana di paralisi della carceri locali, e soprattutto del sistema produttivo di quelle carceri, con un danno economico notevole per il complesso industriale carcerario, e soprattutto avendo inaugurato uno strumento di lotta unitario, in grado di superare le divisioni tra le comunità di detenuti. Possiamo ipotizzare che i tecnocrati della privazione della libertà temano il replicarsi di simili rivolte molto più di sporadici episodi anche più violenti.
3 febbraio 2011
Tratto da "Bello come una prigione che brucia" - trasmissione di Radio Blackout
da informa-azione.info
Riflessione di 3 prigionieri
sulla mobilitazione nelle carceri greche
11 gennaio 2010: tre prigionieri espongono il proprio punto di vista sulla mobilitazione attraverso sciopero del vitto e sciopero della fame attuata nelle carceri greche a partire da novembre 2010.

La recente astensione dal vitto e lo sciopero della fame di migliaia di prigionieri attualmente stipati come animali nelle carceri greche, ha per quanto possibile sottolineato le criticità e le nostre richieste - da molti anni - per una vita decente e per la libertà.
Uno dei nodi cruciali che le persone imprigionate affrontano costantemente, è come rivendicare un po' di quella libertà che gli è stata lasciata, richiedendo una riduzione delle condanne giuridiche predatrici [le sanzioni penali che riempiono le carceri NdT], una riduzione del periodo massimo di carcerazione, di quello per le condanne a vita [nonostante in Grecia non esista l'ergastolo ostativo NdT], l'accesso alle sospensioni della pena e ai permessi di uscita dove permesso dalla legge, la possibilità di scarcerazione anitcipata quando siano stati scontati i 2/7 e i 2/5 della condanna (rispettivamente per condanne brevi o prolungate), l'abolizione di vendicative condizioni speciali di detenzione e delle leggi fasciste sul terrorismo (celle sotterranee, isolamento a vita dei prigionieri politici), abolizione del sistema disciplinare che funge da ostacolo per il ritorno alla libertà, abolizione delle carceri minorili, il miglioramento delle condizioni detentive - per quanto possibile all'interno di mura disumane - rispetto a dignità, salute, igiene, attività sportive e lavorative, nel mentre denunciamo torture fisiche e psicologiche contro di noi. Tutto ciò, ovviamente, potrebbe essere sintetizzato in una nostra richiesta di base: l'applicazione della costituzione greca e delle leggi correlate alla presunta "riforma" delle prigioni in Grecia; la nostra principale richiesta è quindi un mero compromesso.
La nostra richiesta assoluta, come quella di chiunque nel mondo, è la libertà di definire noi stessi le nostre esistenze, lontani dalla miseria, dalla disperazione, dalla povertà, dalle dipendenze, dalle malattie, dalle menzogne, dall'ingiustizia e dalla corsa senza sosta per la sopravvivenza. In ogni caso, per il momento, la seppelliamo dentro noi... Abbiamo semplicemente richiesto quanto sopra al ministro della "Giustizia", senza ulteriori ritardi. Le iniziali e menzognere dichiarazioni del ministro della "Giustizia" in cui si sostiene che le nostre richieste non sono realizzabili sono un paradosso, visto che tutto è possibile in ambito legislativo, emendamenti e modifiche, potere e carceri, quando esiste la volontà politica; soprattutto nel momento in cui quello che chiediamo a voi al potere è di applicare le leggi esistenti, la cui creazione è governata da voi, mentre la loro applicazione è discrezionale ai vostri interessi! Dall'altra parte, sembra praticamente che questo ministro si rimangi le proprie parole annunciando pubblicamente tali progressi nella legislazione penitenziaria da superare le nostre speranza e le nostre richieste. Quanto di ciò è vero? Siamo noi ad avere troppa immaginazione o siete voi a raccontare storie sempre e comunque?
Di certo il ministro ha colto l'opportunità - fornitagli da pochi sciocchi - di parlare di incitamenti esterni alla lotta dei detenuti, dipinta invece come irreale e già risolta. Invece la lotta è stata reale eccome, visto che i detenuti hanno rifiutato il vitto e sono entrati in sciopero della fame (nel primo caso, l'astensione dal vitto ha significato praticamente il digiuno visto che molti partecipanti non potevano permettersi di comprare cibo), attendendo con ansia che le suddette richieste, giuste e realizzabili, venissero accolte.
Ma alcuni detenuti sono ritenuti personalmente responsabili: alcuni hanno fatto qualunque cosa gli passasse per la testa, diffondendo false notizie sulla lotta, stringendo falsi accordi che hanno causato caos e fraintendimenti... Persone intrise di vanità, che all'oscuro dei compagni di detenzione, si sono appropriati di 14 richieste, le hanno diffuse per proprio conto e usato senza criterio scritti di affinità politica - come ci è stato riferito - al fine di instaurare una finta leadership e di soddisfare il proprio ego disperato.
Il sedicentemente eletto Comitato di Gestione (della lotta) dei Prigionieri è stata la cigliegina sulla torta! Alla fine, niente di quanto volevamo è stato ottenuto, e i detenuti non sono stati informati correttamente; questa organizzazione e coordinamento ci hanno portato ad una partecipazione passiva invece di concentrarci sul contenuto della lotta che ancora ci riguarda tutti quanti.
Dichiarazioni del suddetto comitato eletto sulla presunta vittoria dei prigionieri, derivata dalla recente mobilitazione, ci offende e tende a creare illusioni distorcendo la realtà, aiutando invece il ministro, ancora una volta, ad essere bene e gratuitamente pubblicizzato e a prodigarsi in meschine considerazioni! Se pensate che questa mobilitazione sia stata vittoriosa, allora non conoscete il significato di "richieste irremovibili", mentre entrano in gioco istanze cruciali per le nostre vite.
Tutto ciò non è inteso come un tragico bilancio, ma sottolinea che nulla è stato prodotto di quanto tutti gli imprigionati desideravano. La mobilitazione dei detenuti è stata sospesa per gennaio - come avevamo deciso - ma ci si pone davanti il corso prestabilito degli eventi. In ogni caso, la forza e la passione per la libertà dei detenuti sopraffarrà presto ogni ego, e si manifesterà come deve: una lotta di massa, collettiva e, una volta per tutte, senza guardiani o leadership. I prigionieri hanno la capacità di organizzarsi, lottare e resistere. Per questo la solidarietà di tutti coloro che la esprimono onestamente, è la nostra arma e ne abbiamo bisogno!
LA PASSIONE PER LA LIBERTA' E' PIU' FORTE DI QUALUNQUE CELLA!

Dan Carabulea, Elias Karadouman, Spyros Stratoulis - Greek prison inmates

31 gennaio 2011
fonte: indymedia Athens - trad. informa-azione.info


Grecia: Lettera dichiarante l'astensione dal vitto carcerario nelle carceri
Lo sappiamo da prima mano. Centinaia di sentieri conducono alla libertà e centinaia di disaccordi possono esserci tra coloro che lottano. Anche ogni individualità, ogni gruppo, ogni organizzazione rappresenta un'altra tendenza della comunità rivoluzionaria, tuttavia…
Quando chiudiamo i nostri occhi nelle nostre menti appaiono sempre le stesse figure. Quando prendiamo le nostre decisioni lo stesso sorriso prende forma sulle nostre facce. Quando andiamo all'attacco i battiti dei nostri cuori sono gli stessi e quando cadiamo nelle mani del nemico sviluppiamo e diffondiamo la stessa forza. E condividiamo lo stesso orgoglio, la stessa stranezza, lo stesso cielo…
Colpire uno di noi, è colpire noi tutti. E la lotta di uno di noi, è la lotta di tutti noi. Le torture, i processi, le accuse di una generazione di guerriglieri, rivoluzionari, anarchici possono mirare a diverse cose, ma loro avranno sempre contro tutti noi.
Nella guerra che accentiamo con coscienza e che non ha fine, nessun rivoluzionario sarà solo.
L'aumento qualitativo e quantitativo delle ostilità, gli ostaggi di una guerra che si è sprigionata, sono e saranno trattati con una repressione proporzionata e aggiornata.
Soprattutto con locali, misure di sicurezza potenziate, il controllo di quelli che assistono ai processi, saranno inclusi nel progetto dell'opera teatrale della vendetta del governo.
L'urlo di guerra dei membri e degli accusati dell'organizzazione rivoluzionaria Cospirazione delle Cellule di Fuoco inaugura nuove battaglie che da ora in poi si svolgeranno sul campo del nemico.
Ciò ci mostra che questa guerra non termina con l'arresto del combattente e continua sotto ogni condizione.
Dalle strade con barricate in fiamme, alle fughe attente nei vicoli delle metropoli, dal cortile di ogni prigione alle aule piene di "ekamites" (forze speciali), noi ci ergeremo al fine di difendere il nostro onore, libertà, lotta e rivoluzione.
Inoltre iniziamo l'astensione dal cibo da oggi giovedì 27 gennaio (mentre nella prigione di Avlona abbiamo iniziato giorno 26) come segno d'amicizia, rispetto e solidarietà rivoluzionaria alla lotta dei membri e degli accusati della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, che da un esempio luminoso di comportamento dignitoso e orgoglioso, opponendo l'intolleranza rivoluzionaria all'intolleranza dei loro accusatori e alla giustizia di stato.

Dimitris Fessas, Babis Tsilianidis, Dimitris Dimtsiadis (Prigione di Koridallos)
Socratis Tzifkas, Gianni Skouloudis, Panagiotis Anastasiadis, Stelios Anastasiadis (Prigione di Avlona)

P.S. Sappiamo che l'astensione dal cibo in prigione come mezzo di lotta ha le caratteristiche di un reclamo e ha uno scopo limitati, tuttavia lo facciamo in quanto aspetto dello spettro di possibilità a nostra disposizione e per supportare completamente come da noi deciso in queste condizioni particolari.
3 febbraio 2011
da culmine.noblogs.org


11/6/2011: Mobilitazione a L'Aquila e presidio davanti al carcere
in solidarietà ai compagni sotto processo
Contro il carcere, l'articolo 41 bis e la differenziazione.
In sostegno dei prigionieri rivoluzionari e delle lotte di tutti i detenuti.
In solidarietà a chi porta avanti pratiche di resistenza nel territorio.
3 giugno 2007: manifestazione e presidio sotto al carcere di L'Aquila, in solidarietà ai detenuti e contro la sezione di 41 bis, in cui è rinchiusa la militante rivoluzionaria Nadia Lioce. 24 compagni processati: 11 condanne a 2 anni per aver urlato lo slogan "la fabbrica ci uccide, lo stato ci imprigiona, che cosa ce ne frega di Biagi e di D'Antona"; 10 condanne a 7 mesi per danneggiamento e invasione di terreno. Criminalizzano alcuni per intimidire tutti e attaccare il movimento di solidarietà e di lotta.
6 aprile 2009: un devastante terremoto colpisce L'Aquila con centinaia di morti, feriti ed evacuati. La casa dello studente crolla: 20 morti, il carcere di massima sicurezza resta in piedi! Una ricostruzione che non è mai iniziata, vane promesse, manganellate e repressione a chi ha deciso di resistere e non rimanere nel silenzio.
È la loro giustizia: i processi contro gli speculatori assassini sono fermi, quelli contro le lotte invece procedono veloci.
Non facciamo passare in silenzio queste condanne, trasformiamo il processo alle lotte in un processo di lotta: Torniamo con più forza a L'Aquila! Mobilitiamoci tutti, uniamo le lotte! L'unica sicurezza è la lotta contro questo sistema!

Assemblea per la giornata di lotta dell’11 giugno 2011
aquila11giugno@autistici.org

***
Resoconto della riunione di sabato 19 marzo presso l'Iqbal di Bologna
I compagni che sono scesi a Roma hanno fatto una breve relazione dell'incontro che vi è stato con i compagni con cui hanno preso contatti, i quali si sono dati comunque disponibili a sostenere la mobilitazione dell'11 giugno ed eventualmente a ospitare una assemblea preparatoria a Roma.
I compagni che sono scesi a L'aquila il week end del 12/13 marzo hanno fatto un resoconto. Nel complesso la trasferta è stata valutata positiva e utile dai compagni. È stato importante scendere sia per conoscere le situazioni che si muovono a livello locale e territoriale (comitati nati dopo il terremoto, spazi occupati ecc.), sia per vedere di persona com'è stata distrutta e profondamente mutata la città abruzzese dopo il 6 aprile del 2009.
- Abbiamo incontrato l'avvocato. Questa ci ha informato di un progetto che stanno portando avanti alcune donne a L'Aquila. Qui è nato un nuovo comitato, laquiladonne (www.laquiladonne.com), che sta lavorando ad un percorso per valorizzare e mettere a confronto l'esperienze e il contributo che le donne hanno dato in situazioni di lotte legate al territorio (dalla Val di Susa per il No Tav a Napoli contro le discariche). Hanno lanciato un appuntamento per il 7/8 maggio, una due giorni di attività e dibattito e per il sabato 7/05 una manifestazione nazionale a L'Aquila.
Questa data è molto utile per rilanciare la mobilitazione dell'11 giugno, farne veicolare i contenuti e prendere nuovi contatti. Si ritiene quindi utile scendere in questa occasione.
Può essere un'ulteriore spunto per poter sviluppare delle iniziative che vadano comunque a rafforzare poi la partecipazione alla mobilitazione di giugno.
Si è, inoltre, pensato di scrivere un volantino specifico, che abbia come referente principale gli abitanti della città di L'Aquila, da diffondere non solo in occasione del corteo di maggio, ma se si riesce anche davanti le scuole e fuori dal carcere durante i giorni di colloquio (e in ogni altro luogo in cui possa essere utile).
L'Avvocato ci ha anche ha segnalato un opuscolo prodotto dalla protezione civile in cui è scientificamente scritto come vanno gestite le situazioni di "emergenza". Questo opuscolo si chiama Metodo Augustus e si può scaricare da internet. Può essere un materiale utile per eventuali iniziative di controinformazione.
- Abbiamo incontrato un compagno dell'Arci, il quale si è dimostrato disponibile ad ascoltare le nostre proposte e a riparlarne con il circolo Arci dell'Aquila. Dobbiamo risentirci per sapere se è possibile concordare un incontro con l'Arci giù a L'Aquila.
- Siamo stati all'Asilo occupato.
Abbiamo compreso che non vi era alcuna disponibilità da parte di questa situazione nel provare a costruire insieme un eventuale percorso mirato all'11 giugno, per profonde diversità di posizioni politiche. È stato comunque utile averci un confronto di persona.
- Come imputati e compagni presenti all'assemblea di sabato abbiamo comunque valutato di proseguire determinati sul percorso da noi lanciato. Di scendere comunque l'11 giugno a L'Aquila, di organizzare un momento di mobilitazione nella città (corteo o presidio da valutare) e poi di spostarci sotto al carcere. Abbiamo anche ribadito la centralità dei contenuti iniziali della manifestazione, la solidarietà ai compagni sotto processo, la lotta contro il regime di 41 bis e contro il carcere, la solidarietà ai rivoluzionari prigionieri.
Abbiamo valutato molto importante continuare a spostarci per favorire il contato diretto con le realtà da coinvolgere (Torino, Genova, Roma, Napoli). I compagni torneranno giù in Abruzzo/Lazio alla metà di aprile, per rafforzare i contatti che si hanno in quella zona (data la scarsa disponibilità di alcune situazione aquilane), e torneranno giù in occasione della mobilitazione di maggio delle donne a L'Aquila. È altrettanto importante continuare a stimolare e organizzare iniziative nelle varie città per cominciare a raccogliere la partecipazione per l'11 giugno.
- sono stati raccolti alcuni materiali fotografico, video e audio.
- La prossima riunione tra imputati sarà sabato 30 aprile a Milano. Ora e luogo da definire.

I presenti alla riunione
Bologna 19/03/11


Assolto massimo papini
Oggi, la Prima Corte d’Assise del Tribunale di Roma ha assolto Massimo Papini con formula piena, ordinandone l’immediata scarcerazione. E’ dunque giunta ad un esito positivo l’odissea iniziata il 1 ottobre 2009, con l’arresto ed il successivo avvio del processo per partecipazione ad associazione eversiva costituitasi in banda armata Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente.
Il carattere inequivocabile della sentenza non fa che confermare quanto dal principio hanno sostenuto i familiari, gli amici, i colleghi di lavoro ed i compagni di Massimo, che si sono impegnati per non lasciarlo solo in questi 18 mesi di prigionia, vissuti spesso in regime di isolamento. Si è voluto criminalizzare il suo rapporto personale con Diana Blefari Melazzi, la preoccupazione manifestata verso le condizioni psichiche di un’amica in carcere, denunciate anche dal Garante dei detenuti del Lazio e confermate dal suicidio il 30 ottobre 2009. Dunque, stiamo parlando di una vicenda che ha tutti i crismi dell’esemplarità. Certo, la normativa vigente sui reati associativi – che ha il suo perno nell’articolo 270bis - consentendo di sottoporre le persone a processo senza basarsi su dati concreti è da sempre fonte di orrori giudiziari.
Nel caso in questione, però, all’assenza totale di prove fattuali o indiziarie, all’accanimento contro gli affetti personali, si è affiancato un ulteriore elemento. Il teorema elaborato dai Pm Erminio Amelio e Luca Tescaroli e rigettato nettamente dalla Corte presieduta dalla Giudice Anna Argento, ha rivelato un’incredibile farraginosità ed inconseguenzialità anche sul piano puramente logico.
Lo conferma il carattere “magmatico” – come è stato definito dagli avvocati di Massimo – dell’accusa nei suoi confronti. Di udienza in udienza, il presunto ruolo di Massimo all’interno dell’organizzazione eversiva non ha fatto che fluttuare e oscillare dal livello più basso a quello più alto, dalla figura di “apprendista brigatista” a quella di “grande vecchio”. Ciò, sulla base di pure e semplici “suggestioni”, che spesso hanno portato il processo a rasentare il grottesco.
Per questo, anche in un momento di festa come l’attuale, non possiamo fare a meno di accennare a due motivi di riflessione. Il primo concerne l’istituto della custodia cautelare, erede della vecchia carcerazione preventiva, che consente di tenere una persona in carcere prima che essa sia giudicata, anche sulla base di un impianto probatorio evanescente. Il secondo rimanda agli effetti nefasti del persistere, in Italia, di quell’articolo 270bis (introdotto negli anni ’70) che è una derivazione ed un approfondimento del delitto di associazione sovversiva definito dal Codice Rocco in piena era fascista. Tale articolo non solo non è venuto meno – in un paese che professa in continuazione la sua natura di faro della libertà – ma negli ultimi anni ha avuto delle filiazioni.
Su questi temi, evidentemente, torneremo in un secondo momento, magari collocandoli nel bilancio d’una vicenda giudiziaria che ci ha coinvolto sotto ogni aspetto, ben al di là dei suoi risvolti politici e giuridici.
Adesso è il momento di festeggiare, di dare il bentornato alla libertà ad un amico che ha saputo affrontare con grande dignità una prova estremamente difficile.

Roma, 23 marzo 2011
Comitato Massimo Papini Libero


La repressione non ci ferma: Corteo a Saronno (va)
In Febbraio la Questura di Varese consegna a 12 ragazze e ragazzi della provincia altrettanti Avvisi Orali, vere e proprie minacce intimidatorie, che invitano a ricondurre la propria condotta su binari tracciati, pena la fascistissima Sorveglianza Speciale, provvedimento che tra le altre cose prevede: l’impedimento ad uscir di casa tra le 21 e le 7 di mattina, la revoca di patente e passaporto, l’impossibilità di frequentare assemblee e iniziative pubbliche, l’impossibilità di stare con pregiudicati o con più di un certo numero di persone contemporaneamente – e tutto senza il bisogno di una sola condanna.
Questa non è che una delle numerose azioni di repressione preventiva che si va perfettamente ad inserire nel clima creato da chi ogni giorno si dà da fare affinché ogni dissenso venga spento sul nascere, affinché nessuno si arrischi a mettere in dubbio che questa sia l'unica, nonché la migliore, delle realtà possibili, affinché questa società sempre più alla deriva sia mantenuta pacificata.
Questo provvedimento è ovviamente la diretta conseguenza delle lotte intraprese nel corso degli ultimi anni. Lotte contro la speculazione edilizia, che devasta un territorio al collasso, lasciando comunque molte persone e famiglie nell'impossibilità di potersi permettere un tetto sulla testa; lotte contro il razzismo dilagante, legittimato da partiti interessati sempre più solo alla cadrega, al costo di conquistarsela sulla vita di chi ha spesso la sola colpa di essere “straniero”; lotte per gli spazi sociali, inesistenti nel varesotto, e per l'autogestione, unica vera alternativa alle ingiustizie di ogni governo; lotte contro il folle ritorno del nucleare in Italia, ennesima catastrofe nel delirio dei Potenti.
Non siamo però così ingenui da credere che siano solo i ribelli ad essere il bersaglio del controllo e della repressione che sempre più caratterizzano la nostra società: per lo Stato siamo tutti potenzialmente pericolosi e potenzialmente sovversivi, e lo dimostrano le misure messe in atte da chi ci governa: telecamere ad ogni angolo, militari nelle strade, ordinanze orwelliane che impediscono, ad esempio, di bere per strada o di trovarsi nei parchi in più di tre persone contemporaneamente, utilizzo sempre più massiccio di psicofarmaci, somministrati fin dalla giovanissima età, criminalizzazione degli immigrati (considerati pericolosi in quanto tali) e costruzione di lager (gli ex CPT, ora chiamati CIE) dove rinchiudere una parte degli indesiderati... E' ovvio che si è instaurato un clima di guerra interna permanente, ed ognuno di noi è chiamato ad essere mobilitato costantemente con l'illusione di poter infine superare questa situazione di crisi.
E' chiaro che lo Stato, ogni Stato, ha imparato a considerare ciascun "suddito" come un potenziale pericoloso nemico, ed è per questo che si affanna nel cercare mille e più modi per spiarlo costantemente ed eventualmente reprimerne ogni espressione di ribellione, dissenso, o anche solo "diversità", per assicurarsi il potere su chiunque, anche chi non accetta o non può diventare un utile strumento del controllo e della repressione.
Ognuno di noi deve lavorare per la piovra statale, rendendosi uno dei suoi tentacoli, per permettergli di arrivare sempre ovunque.
Da quanto non siamo più liberi di dire ciò che pensiamo, di andare dove vogliamo o solamente di vivere come vogliamo? Noi ci siamo accorti a nostre spese di cosa voglia dire abitare in questo sistema in costante crisi e pericolo, e non abbiamo intenzione di sacrificarci per la perpetuazione del suo sistema di dominio ed ingiustizie.
Se è in conseguenza delle nostre lotte quotidiane che ci hanno denunciato e che cercano di intimidirci, noi vogliamo affermare che è la nostra stessa esistenza ad essere incompatibile con la realtà che ci vogliono costringere ad accettare.
E' quindi per rilanciare tutte le lotte che giornalmente intraprendiamo, e per dare un avviso anche noi, avviso che non ci faremo intimidire, che indiciamo un corteo per le vie di Saronno.
Sabato 19 Marzo Corteo
Concentramento alle 15:00 - P.za San Francesco – Saronno (VA)

***
Il 19 nel corteo concentratosi alle 15, erano presenti circa 400 compagni che con determinazione portano avanti le lotte nella provincia di Varese (anti nucleare, contro i C.I.E e le deportazioni di immigrati, contro sgomberi, repressione, militarizzazione dei quartieri, contro la guerra, il carcere,i palazzinari, la TAV, i fascisti locali, per l'autogestione, etc), e a supportarli c'eran tutti coloro che sono passati attraverso queste lotte.
Il corteo non è stato così piccolo per una cittadina come Saronno e infatti l’enorme quantità di mezzi e uomini delle forze dell’ordine lo ha dimostrato in pieno.
La manifestazione, molto rumorosa, con cartelli e striscioni, si è svolta sotto un temporale che, a parte i primi dieci minuti, non ha smesso più di scrosciare ma nonostante ciò non si è dispersa e sono continuate le scritte, gli interventi e le azioni contro le banche e agenzie di lavoro interinale, gli attacchinaggi di manifesti, oscurata qualche telecamera, etc. Sotto la pioggia si è deciso di accorciare il corteo modificando il percorso e passando per il centro della città (corteo non autorizzato). Mentre la DIGOS, fradicia, autorizzava il nuovo percorso, inaspettatamente, a freddo, partiva una prima carica dei carabinieri e della polizia alle spalle. Fortunatamente, con i bastoni dei cartelli e le bottiglie trovate, i compagni sono riusciti ad arginare questo primo attacco (non senza subirne i colpi, dato che alcune teste sono state aperte), scongiurando scenari di caccia all’uomo per tutta la città. Il corteo è poi poi proseguito, ma in via Garibaldi, vicino alla stazione, è avvenuta una seconda carica a cui è stata data data una seconda risposta. A questo punto si palesa l’incapacità dei funzionari di piazza a contenere gli stessi celerini che dovrebbero controllare. Purtroppo durante la seconda carica, scattata dopo uno scontro avvenuto con un fotografo della DIGOS, apprendiamo che un compagno di Milano è stato arrestato e condotto al carcere di Busto Arsizio. Si tratta di Oscar, un compagno di Euskadi da tempo a Milano, accusato di lesioni e resistenza. L'arresto è stato confermato dalla pm Roberta Colangelo del tribunale di Busto.

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Oscar condannato a 8 mesi. Noi lo vogliamo libero subito!
Stamattina si è tenuta al tribunale di Busto Arsizio l’udienza per Oscar, compagno basco residente in italia, arrestato sabato 19 marzo a saronno al termine del corteo contro la repressione in provincia di Varese.
L’udienza si è svolta con rito abbreviato, scelto dall’avvocato e da Oscar, perchè ritenuto al momento la miglior cosa da fare, viste le poche e inconsistenti prove dell accusa (foto incompatibili con la figura di Oscar e atti approssimativi). Nonostante ciò, Oscar è stato condannato a un anno di galera, diventati 8 mesi con il rito abbreviato, per resistenza, lesioni e travisamento.
E’ stato evidentemente un processo politico, come sempre accade ai compagni, con l’intento di reprimere e punire le forme di libera espressione e di lotta. In questo caso specifico l’obiettivo è stato colpire un movimento in crescita sul territorio della provincia di Varese e che ha saputo reagire con un corteo partecipato ai tentativi recenti di repressione (avvisi orali, perquisizioni, sgomberi a Varese e Gallarate).
Oscar ha nuovamente, tramite l’avvocato, dichiarato la sua estraneità rispetto ai fatti a lui contestati e a fine sentenza ha salutato i numerosi compagni in aula e gridato “Viva l’anarchia!”. Vi aggiorneremo sui prossimi passi che l’avvocato tenterà per la sua scarcerazione.

26 marzo 2011
Assemblea delle realtà delle provincie di Como e Varese

Mentre mandiamo in stampa questo numero dell’opuscolo apprendiamo che Oscar è stato scarcerato.


milano: a quanto pare la lotta paga
Durante le ultime settimane, studenti di scienze politiche e di altre facoltà si sono mobilitati contro l'istituzione di una commissione disciplinare, nominata dal senato accademico su mandato del preside Daniele Checchi. Obiettivo della commissione, giudicare e sospendere alcuni studenti, "colpevoli" di essersi riappropriati di uno spazio inutilizzato presso il dipartimento di storia di via Livorno, gli stessi studenti sempre attivi nelle mobilitazioni che negli unni anni hanno attraversato l'intero mondo della formazione.
Per ora, l'opposizione a questa commissione disciplinare è riuscita a ricostruire un legame fra le varie realtà in lotta dentro l'università, impegnando studenti e lavoratori in varie assemblee e iniziative, culminate nei 2 giorni di presidi contro la riunione del senato accademico il 15 marzo, e contro la commissione disciplinare, che si sarebbe dovuta riunire il 16 marzo e rinviata invece "a data da destinarsi".
Dopo essere stati informati di tale rinvio, abbiamo comunque deciso di presentarci dai nostri "inquisitori", per ribadire il fatto che l'avvio di questo procedimento disciplinare è una precisa scelta politica, compiuta dalle autorità baronali, contro quegli studenti che nella pratica cercano di contrastare la deriva aziendalista dell'università. Quindi, nessun rinvio potrà fermare la nostra mobilitazione. Dai "colloqui" con il preside Checchi, reale mandante dell'inquisizione contro gli studenti, e con il preside Albisetti, presidente della suddetta commissione, si è più che mai palesato l'impianto assolutamente strumentale di questo procedimento, basato, per giunta, su mere falsità. Checchi, come una finta vittima, si è mostrato disposto a dichiarare il falso, di fronte a polizia e giornali, in un tentativo disperato di giustificare il suo assurdo operato, che ha visto gestire l'occupazione di via Livorno come un problema di ordine pubblico, delegando alla digos lo sgombero dell'aula per ben 3 volte, con denuncie e identificazioni annesse. La motivazione data dallo sceriffo Checchi per giustificare la richiesta di una commissione disciplinare è stata, infatti, quella di una presunta aggressione nei suoi confronti, aggressione che nella realtà non è mai avvenuta!
Questa motivazione, insieme all'efficacia della mobilitazione messa in atto dagli studenti, ha fatto emergere tutte le contraddizioni di questo impianto accusatorio, costringendo i baroni stessi a rinviare la commissione. Per noi è già una vittoria, che ci dimostra come queste manovre repressive siano efficacemente contrastabili da una campagna informativa capillare, e soprattutto da un lavoro politico quotidiano tra gli studenti.
Altro importante elemento emerso, risulta essere la dubbia provenienza della lista di nomi degli studenti da processare. Infatti, durante la nostra "visita" alla presidenza di scienze politiche , lo stesso Checchi, prima afferma di aver stilato lui stesso la lista, per poi successivamente contraddirsi chiedendo a un dottorando, inquisito nonostante sia iscritto ad un'altra università, il motivo della sua presenza. Quando gli è stato risposto che anche lui faceva parte degli studenti "commissionati", Checchi, con imbarazzo, non ha saputo dare spiegazioni. Ciò fa emergere il dubbio che la lista dei nomi non sia stata realmente compilata dall'università, ma che sia stata, invece, fornita dalla digos, per poi essere firmata in bianco dal senato accademico. Questa è un'ulteriore dimostrazione di come le istituzioni accademiche vadano a braccetto con la questura, quando si tratta di reprimere quegli studenti che protestano quotidianamente contro la mercificazione dell'università. La presenza costante della questura ci dimostra, fuor da ogni dubbio, che la questione è politica.
Siamo perciò più che mai convinti che la mobilitazione nata attorno a questa vicenda non debba fermarsi, in quanto inserita in un percorso di lotta più ampio. L'applicazione della riforma Gelmini passerà infatti dalla modifica degli statuti degli atenei, che consentiranno l'ingresso dei privati nei Consigli d'Amministrazione. Ribadiamo quindi che sia gli studenti che i lavoratori tecnico-amministrativi si opporranno a questa svendita dell'ateneo, e che qualsiasi minaccia di ritorsione nella forma di provvedimenti disciplinari e non, sarà respinta nel modo più deciso possibile.
Infine, ringraziamo tutti coloro che hanno espresso solidarietà e hanno partecipato alle iniziative, ai presidi e alle assemblee, e ribadiamo che la nostra lotta contro qualsiasi tentativo di repressione degli studenti andrà avanti fino al totale ritiro della commissione e delle sanzioni disciplinari. Essendo il problema degli spazi una questione che di certo non si risolve con l'istituzione di commissioni, riteniamo essenziale continuare la nostra lotta su questo campo, insieme a tutti coloro che abbiamo incrociato in queste settimane, riprendendo l'iniziativa e la mobilitazione contro i tagli all'università, i licenziamenti nei luoghi di lavoro, e la precarietà ovunque.

25 marzo 2011
Assemblea studenti contro la commissione
Assemblea studenti Scienze Politiche, Collettivo Città Studi, Collettivo FuoriControllo, Demos U.C.


caorso (pc): CORTEO CONTRO IL NUCLEARE
SABATO 23 APRILE 2011, ORE 15 - PIAZZA DELLA ROCCA
Il governo italiano ha deciso di riportare l’Italia dentro l’incubo nucleare che inizierà da Caorso. Accettare il nucleare significa scegliere di:
- compromettere irreversibilmente la nostra salute e quella delle prossime 6.000 generazioni;
- vivere respirando continuamente le emissioni radioattive del normale funzionamento delle centrali;
- vivere quotidianamente nel grave e contingente pericolo di un incidente nucleare;
- inquinare ulteriormente l’acqua dei nostri fiumi e dei nostri mari.
- vivere sotto il continuo controllo militare necessario a proteggere gli impianti;
- accettare, ed esserne complici, che anche l’Italia diventi una potenza militare munita di armi nucleari e di distruzione di massa (le stesse aziende implicate nell’affare nucleare sono produttrici di armi atomiche);
CAORSO È CENTRALE PER IL PROGETTO NUCLEARE ITALIANO, che venga riattivata la vecchia centrale, costruita una nuova vicino al vecchio sito, o che diventi uno dei centri di stoccaggio delle scorie radioattive. Perciò è da Caorso che vogliono far partire la follia nucleare italiana, in cambio di una manciata di spiccioli chiamati “compensazioni” con cui il governo pensa di comprare i cittadini.
E’ QUINDI DA CAORSO CHE DEVE PARTIRE UN CHIARO E NETTO NO AL NUCLEARE. Nel 25° anniversario della catastrofe di Chernobyl, che tanta distruzione e morte ha portato e continua a portare, scendiamo in strada per dimostrare che la nostra vita e quella delle future generazioni non è in vendita! Nessun Referendum ci garantirà ciò che la lotta in prima persona può fare. Ogni Referendum recupera, e affossa, le lotte e le contraddizioni esistenti nella società.
Scendiamo in piazza per dimostrare che 25 anni di negazionismo della catastrofe, di menzogne sulle conseguenze che sta avendo l'inquinamento radioattivo, di "progetti umanitari" per migliorare la qualità della vita delle popolazioni colpite non hanno raggiunto il loro obiettivo, perchè il "popolo di Chernobyl" sta morendo (tra tumori e malformazioni). Chernobyl non appartiene al passato, Chernobyl è adesso!
SCENDEREMO IN PIAZZA SENZA SIMBOLI E BANDIERE DI PARTITO (che comunque non saranno gradite, così come non tollereremo la presenza di fascisti e xenofobi) perché scegliamo di non delegare la salute, il nostro futuro e delle future generazioni a nessun altro se non a noi stessi!
Non c’è più tempo da perdere, uniamoci per un netto NO AL NUCLEARE Né A CAORSO Né ALTROVE

Coordinamento Una volta per tutte contro il nucleare
www.autistici.org/controilnucleare


Bologna: Nucleare e fascismo, nocività da distruggere
Oggi, sabato 26 febbraio, qui a Bologna, l'organizzazione neofascista Casapound organizza una conferenza pro-nucleare nella sala comunale del Baraccano.
In Italia la ricerca in campo nucleare non si è mai fermata (a Bologna, nei laboratori di Montecuccolino, è ancora attivo un reattore per motivi di studio) e, nonostante da oltre un ventennio sul territorio nazionale non se ne produca più, la concreta ipotesi che si possa tornare a costruire centrali la ha rapidamente rilanciata, anche in campo universitario. Sempre a Bologna, infatti, è stato attivato ormai da tre anni il master in Progettazione e Gestione dei Sistemi Nucleare Avanzati.
Questa forma di energia ci viene spacciata come pulita, sicura e necessaria. In realtà non è altro che uno strumento devastante, funzionale ad un mondo che necessita sempre più energia per produrre sempre più cose, cose inutili che riempono la nostra vita ma che di fatto la rendono piatta, monotona, vuota. Le centrali sono delle strutture enormi e complesse, la loro gestione implica un'organizzazione gerarchica e autoritaria; il controllo dell'energia rimane sempre in mano a pochi. I siti in cui vengono realizzate sono sottratti ai loro abitanti e affidati al controllo dei militari.
La produzione di energia nucleare, anche quella per il cosiddetto uso civile, è poi indissolubilmente legata all'industria bellica e militare, permettendo la realizzazione di nuove armi sempre più potenti e letali.
Casapound è un organizzazione neofascista. I suoi membri si nascondono dietro ad una facciata di ribellismo e populismo, cercano di confondere le idee e ammantarsi di un'aurea di presentabilità, tentando di attrarre chi ingenuamente non individua immediatamente i valori di merda cui questi fanno riferimento e il loro asservimento ad un sistema che a parole dicono di avversare.
A Bologna questi figuri non hanno mai avuto vita facile: dalle contestazioni in piazza, a quelle durante le iniziative culturali, agli attacchi anonimi contro loro spazi e sedi come in porta Castiglione e alla Stazioncina S. Vitale che ne hanno determinato la chiusura. Recentemente hanno cercato di rialzare la testa, provando ad aprire una sede in via Guerrazzi. La determinazione di chi ritiene che questa gente non debba trovare spazio neanche nelle fogne, figurarsi in pieno centro cittadino, ha portato all'annullamento dell'inaugurazione e ha contribuito alla rescissione del contratto d'affitto da parte del proprietario del locale.
Oggi organizzano una conferenza pro-nucleare. Sono così ribelli e avulsi dal sistema politico vigente che tra i relatori figura un ex assessore del Pdl.
Vi vedono la possibilità del rafforzamento del ruolo delle grandi imprese e multinazionali italiane, o della parziale indipendenza energetica da altri paesi. Dicono di contrastare il capitalismo e le storture della società attuale, in realtà a loro questo mondo va benissimo, basta che gli sfruttatori siano un po' più italiani.
Anche i cosiddetti fascisti del terzo millennio, come si definiscono, al pari del nucleare, sono una nocività. Sono un cancro che si sviluppa e si diffonde progressivamente se non viene contrastato. Entrambi concorrono a riprodurre e a mantenere in piedi questo marcio esistente. Il nucleare contribuisce alla corsa alla produzione di energia e di tecnologia militare, seminando morte nei territori e tra le popolazioni ove vengono costruite le centrali e stoccate le scorie.
I neofascisti difendono, di fatto, gli interessi di chi queste centrali le gestisce e oltretutto, attraverso la loro ambiguità, contribuiscono a incanalare verso altri obiettivi, gli stranieri ad esempio, la rabbia di chi ne è quotidianamente sfruttato.
Non possiamo pertanto esimerci dal contrastarli con tutto il nostro impegno e la nostra determinazione, scendendo in strada direttamente e senza deleghe, rilanciando l'opposizione al nucleare, al sistema che lo necessita, ed ai suoi servi.
Esprimiamo anche tutta la nostra solidarietà e complicità a Guido e Arturo, compagni anarchici arrestati, e fortunatamente ora liberi, per aver partecipato al blocco di un treno carico di scorie radioattive in transito in Val Susa lo scorso 7 febbraio.

26 febbraio 2011
Antinuclearisti contro il fascismo


Monaco di Baviera: manifestazione contro l'energia nucleare
La sera di lunedì 21 marzo a Monaco da una manifestazione ufficiale organizzata dal partito dei Verdi (Gruenen), è nata una manifestazione spontanea in centro città davanti, alla sede centrale della Siemens; vi hanno preso parte 1.500 persone. Qui sono state lanciate tante parole d'ordine e grida anticapitaliste e i partiti parlamentari sono stati messi in disparte.
Mentre la rete radiofonica bavarese nei suoi notiziari non ha fatto parola della manifestazione, la gente si è ripresa la strada per richiamare l'attenzione sul nucleare.
La manifestazione ufficiale, tenuta sulla centralissima Karlsplatz/Stachus è stata lanciata da uno spettro colorato composto da diversi gruppi politici, dagli Jusos (Giovani socialisti) a Greenpeace, dai Falchi allo SDAJ, ai radicali liberi e tante gente con manifesti colorati e scritti da sé, trombette, striscioni e fischietti.
Dopo 40 minuti di sermoni e di propaganda elettorale dei Gruenen, anch'esso un partito della guerra, si è finalmente formato in strada un corteo spontaneo, che si è subito diretto alla sede centrale della Siemens, distante appena circa 200 metri. Le parole d'ordine lanciate davanti alla multinazionale, in particolare, sono state: "Spezzare il potere delle banche e delle grandi imprese", "Viva la solidarietà internazionale", "Dietro la radiazione nucleare c'è il capitale, la lotta per la liberazione è internazionale", "Scioperare contro l'industria atomica"… Verso la fine della manifestazione è stata richiamata l'attenzione sulla società Siemens EON che, per il suo impegno nel nucleare, la manifestazione ne ha invocato la chiusura.
La manifestazione si è sciolta invitando tutti alla manifestazione nazionale di sabato 26 marzo e di lunedì 28, entrambe contro il nucleare.
(Negli stessi giorni uguali manifestazioni si sono svolte in diverse città della RFT, Berlino, Amburgo, Gottinga. Nella RFT sono attive 19 centrali nucleari).
marzo 2011
da de.indymedia.org/2011/03/303119.shtml


padova: SEQUESTRI E DEMOLIZIONI NON FERMERANNO LA LOTTA!
La mattina del 23 marzo DIGOS, polizia e carabinieri hanno sgomberato il C.P.O. Gramigna eseguendo l'ordinanza di sgombero del comune di Padova e della sua giunta di corrotti e mafiosi come il sindaco palazzinaro Zanonato. I locali e il giardino sono stati posti sotto sequestro e lo stabile dove una volta c'era la scuola elementare è stato demolito.
In più 6 compagni/e sono stati denunciati per occupazione abusiva e resistenza a pubblico ufficiale. Non è un caso che il C.P.O. Gramigna sia stato sgomberato.
A livello locale faceva scomodo un posto politico non configurato con le logiche istituzionali e faceva paura il radicamento del centro popolare nel quartiere, che da sempre è base elettorale del PD (attuale giunta). Inoltre, hanno eseguito lo sgombero proprio ora che il Gramigna stava diventando un punto di ritrovo aggregativo. In questi mesi si sono instaurati dei contatti con numerose realtà cittadine, anche non militanti, come gli abitanti del quartiere o le comunità di stranieri con le quali si voleva creare un percorso di condivisione degli spazi e di socialità.
Considerando l'evolversi della situazione a livello nazionale e internazionale questo sgombero si colloca all'interno di una logica di controllo e repressione, proprio perchè in questa fase il Gramigna potrebbe rappresentare un luogo di critica, confronto e organizzazione della lotta.
Le rivolte dei paesi arabi sono troppo vicine e la possibilità della loro “contaminazione” fa paura a tutti gli speculatori, i padroni, i palazzinari e alle istituzioni. Le città sono sempre più militarizzate, non c'è strada senza pattuglia di militari o di polizia a controllare e a far finta di proteggere i bravi e onesti cittadini.
I politicanti si riempiono la bocca di belle parole come “democrazia”, “libertà”, “solidarietà ai popoli” in rivolta, “giustizia”, ma sono cose che possono dire solamente alle persone sfruttate, configurate e succubi del sistema stesso.
Questa è la medesima pratica che, da quando esiste l'esperienza del Gramigna (1987), le giunte comunali di destra o di sinistra hanno sempre portato avanti. Il degrado regna ancora dal centro alle periferie, come dimostrano i numerosi stabili da cui siamo stati sgomberati e tutt'ora abbandonati a se stessi.
Di fronte alla speculazione edilizia, alle logiche del profitto e alla repressione non si può che rispondere con la lotta e la ri-apertura di spazi di socialità!
L'ERBA CATTIVA NON MUORE MAI!

marzo 2011
Centro Popolare occupato Gramigna
www.cpogramigna.org – info@cpogramigna.org

"Oggi siamo tanti, non vi ascoltiamo!": Occupazioni a Berlino
Sabato pomeriggio (26 febbraio) durante una grande iniziativa preparata ad Amburgo e riferita agli sgomberi di Liebigstrasse 14 e Schenkladen/Checkpoint a Berlino, in questa stessa città sono state occupate simbolicamente altre 4 case.
Quanto a lungo rimane vuota una casa già stata occupata. Liebigstr. 14 stessa è stata rioccupata appena un mese dopo lo sgombero. Così è accaduto al progetto-casa avviato sempre a Berlino in Scharni 29. Mentre veniva deciso l'ennesimo sgombero di Liebigstr., a Berlino e in altre città hanno avuto luogo molteplici iniziative e occupazioni, azioni dirette e altre azioni di solidarietà.
"Contro l'arbitrio degli investitori privati! per la conquista di spazi di libertà! Qui e ovunque!"

26 febbraio 2011
da de.indymedia.org/2011/02/301291.shtml


Grecia: 24 ore di sciopero generale, scontri al parlamento
Mercoledì 23 febbraio, decine di migliaia di manifestanti hanno marciato per le strade di Atene contro le misure di austerità, volte a far ricadere sulla popolazione le responsabilità della speculazione finanziaria e dei bilanci falsati dalla classe dirigente. Cortei anche a Patrasso, Tessalonica e altri centri urbani. Ad Atene, durante la gornata di sciopero caratterizzata da 24 ore di blocco del settore pubblico e privato, il corteo (diviso in segmenti da cariche e lacrimogeni) ha raggiunto il Parlamento con slogan comuni a diverse proteste di questo genere, come "Noi non paghiamo" e "No ai sacrifici per le Plutocrazie".
Diversi i momenti di scontro lungo tutta la giornata e in diverse parti della città, inaspritisi in piazza Syntagma (davanti al Parlamento), con fitti lanci di molotov da parte di gruppi di manifestanti, e lacrimogeni e granate stordenti da parte delle squadre antisommossa. Per diverse ore i manifestanti hanno tenuto la piazza fino a quando, verso le 18:30, violente cariche hanno disperso la folla che, nel frattempo, aveva appiccato un rogo di panchine.
In mattinata, ancor prima che partisse il corteo, si sono registrati fermi preventivi di esponenti dei sindacati di base e di manifestanti con borse sospette. In serata si è svolto un presidio davanti alla stazione di polizia dove sono trattenuti i 23 fermati al termine della giornata, di cui 9 in stato di arresto.
Per maggiori info in lingua inglese-francese-spagnola: www.occupiedlondon.org

24 febbraio 2011
da informa-azione.info
logistica: UN ACCORDO BIDONE
DEFINIRE CHE È UNA FREGATURA È UN COMPLIMENTO!
Ancora una volta, va purtroppo registrato il tentativo di scaricare sulle spalle dei lavoratori le conseguenze della crisi economica. L’accordo firmato a gennaio non solo non permette ai lavoratori del settore di recuperare economicamente quanto è stato perso negli ultimi anni, ma peggiora significativamente le condizioni di lavoro di tutti.
L’unica novità rispetto al passato è che i sindacati firmatari (CGIL, CISL e UIL) si erano impegnati a consultare i lavoratori entro il mese di febbraio prima di apporre una firma definitiva all’accordo, ma ancora una volta hanno tradito le loro promesse.
- Se il nuovo contratto andrà a regime, l’aumento salariale previsto sarà di 122 € lorde in 4 anni e mezzo, scaglionati in 4 tranche. L’aumento è quindi di circa 5 € mensili, più una una tantum di 150 € a copertura dei circa 30 mesi passati senza il contratto (una miseria) e questi dovrebbero essere pagati in “due rate di pari entità di cui la prima entro gennaio 2011 e la seconda entro marzo 2011”.
- Nei festivi, nella quattordicesima e negli straordinari non verranno conteggiati gli aumenti.
- L’accordo andrà soggetto a revisione fra le parti nel gennaio 2012, mettendo così a rischio le ultime due tranche dell’aumento.
- Crescerà in maniera esponenziale un doppio regime salariale: l’apprendistato, i contratti a termine, i salari dei neoassunti saranno più bassi. Per favorire tutto questo ci sarà una nuova classificazione del personale, che favorirà le cooperative (i nostri padroni), ma farà perdere migliaia di euro ai nuovi operai.
- Per quanto riguarda la parte normativa, a conti fatti aumenterà lo sfruttamento e verranno perse le 39 ore settimanali. Aumenterà la flessibilità d’orario senza contrattazione e verranno aggravate le sanzioni disciplinari. Per 7 mesi, durante la discussione per il rinnovo del CCNL, vigerà il divieto di scioperare. Sarà obbligatoria l’adesione alla sanità integrativa,sottraendo risorse agli aumenti salariali e accelerando il processo di privatizzazione della sanità pubblica.
L’accordo era da bocciare, ma non ce l’hanno nemmeno sottoposto nelle assemblee.
Come sempre le Confederazioni sindacali sono al servizio delle cooperative e tutto avviene sopra le teste dei lavoratori e vista la situazione di debolezza che esiste tra i lavoratori e che le Confederazioni CGIL, CISL e UIL hanno contribuito a creare, dobbiamo organizzarci, per ottenere questi miseri spiccioli, mettendo in campo le lotte: per un recupero salariale ed imporre condizioni normative degne di questo nome.

Milano, 10 marzo 2011
Sindacato Intercategoriale S.I. COBAS, Lavoratori Autorganizzati