indice n.57
LO SFONDO DELL'ATTUALE SITUAZIONE IN LIBIA (seconda PARTE)
Torino, 1 maggio: Il PD aggredisce lo spezzone contro la guerra
condanne di guerra nelle aula dei tribunali
Lettere dal carcere di Macomer (nuoro)
Lettere dal carcere di Vigevano (pv)
Rovereto: Sul processo per la solidarietà a Stefano
Muore a Viterbo il prigioniero comunista Luigi Fallico
bologna: Dalla Dozza un racconto sulla "vita" in carcere
Lettera dal carcere di Rebibbia (roma)
lettera dal carcere di opera (MI)
Lettera dal carcere di Floridia (sr)
comunicato dal carcere di rebibbia
Lettera del carcere di Carinola (Ce)
comunicato dal carcere di regina coeli (roma)
Lettera dal carcere di Imperia
lettera dal carcere di Cremona
Sulla mobilitazione in atto nelle carceri italiane
Cile: Dopo 60 giorni di sciopero della fame
25 giugno - 3 luglio: mobilitazione nazionale sulle carceri
Volantino distribuito davanti al carcere di Monza
l'aquila: Contro il carcere, l'articolo 41 bis e la differenziazione!
Firenze: nuova Operazione repressiva
Aosta: Perquisite case di due compagni
Sentenza “Brushwood”
berlino, 23 aprile: Un futuro senza armi atomiche e centrali nucleari
Svizzera: Comunicato sullo sciopero della fame
TAV E RIFIUTI HANNO IN COMUNE UN BUROCRATE E...
Napoli: Tre studenti accoltellati dai camerati di Casapound
genova: Attacco incendiario contro “Il Grimaldello”
monza: DA UNO SPAZIO ALL’ALTRO, MA ORA GUAI A CHI CI TOCCA
LO SFONDO DELL'ATTUALE SITUAZIONE IN LIBIA (seconda PARTE)
Libia: insurrezione popolare, guerra civile o aggressione militare?
Da tre settimane si contrappongono al colonnello Gheddafi truppe un tempo fedeli e
altre espressione delle forze d'opposizione locali. Gheddafi sarà, dopo Ben Ali e
Mubarak, il prossimo dittatore a cadere? Quel che si consuma in Libia è paragonabile
alle insurrezioni popolari in Tunisia e Egitto? Come sono da interpretare le trovate e le
trasformazioni del colonnello? Perché la NATO è preparata alla guerra? Come va capita
la differenza fra un arabo buono e uno cattivo?
Per rispondere a questi interrogativi Grégoire Lalieu e Michel Collon hanno intervistato
Mohamed Hassan. (Fonte francese: www.michelcollon.info)
Di seguito la prima parte dell'intervista che è stata realizzata prima dell'attacco NATO
sulla Libia i cui presupposti erano ben delineati già in anticipo…
Va bene, Gheddafi ha abbattuto la monarchia, nazionalizzato il petrolio si è posto contro le potenze imperialiste ed ha portato cambiamenti positivi. Ciononostante dopo 40 anni è un dittatore corrotto che reprime l'opposizione e torna ad aprire le porte alle società occidentali. Come si può spiegare questa trasformazione?
Gheddafi si è contrapposto alle grandi potenze coloniali e ha sostenuto con generosità diversi movimenti di liberazione. Trovo che sotto questo aspetto sia stato molto positivo. Per ragioni di completezza tuttavia si deve anche chiarire che il colonnello era un anticomunista. Nel 1971, per esempio, ordinò all'aviazione libica di deviare un aereo, che trasportava dissidenti comunisti sudanesi, proprio in direzione del Sudan, dove furono immediatamente uccisi dal regime allora presieduto da Nimeyri.
Per il vero Gheddafi non è mai stato uno dotato di grandi visioni. La sua rivoluzione è stata la rivoluzione di un nazionalista borghese; lui in Libia ha instaurato il capitalismo di stato. Per capire come e perché il suo regime sia andato alla deriva si deve esaminare il contesto, che non gli è stato favorevole, ma anche gli errori del colonnello.
Innanzitutto vediamo come il colonello sia emerso dal nulla.
Al tempo dell'abbattimento della monarchia1, la Libia era un paese arretrato. La gente non era istruita così come non esisteva una forte classe lavoratrice, la quale potesse sostenere la rivoluzione. La maggioranza della popolazione istruita, costituiva l'élite che aveva svenduto le ricchezze libiche alle potenze neocoloniali. Naturalmente questa élite non portò alcun aiuto alla rivoluzione, la gran parte lasciò il paese per organizzare l'opposizione all'estero.
Oltre a ciò, gli ufficiali libici che avevano abbattuto il re, erano molto influenzati da Nasser. Egitto e Libia si impegnarono ad avviare subito una collabrazione strategica. Ma la morte di Nasser (settembre 1970) fece cadere nell'acqua le buone intenzioni. L'Egitto divenne un paese controrivoluzionario orientato sull'occidente. Il nuovo presidente dell'Egitto, Anwar al-Sadat si avvicinò agli Stati Uniti, liberalizzò in misura crescente l'economia e si alleò con Israele. Nel 1977 fra i due paesi esplose persino un breve conflitto. Immaginatevi la situazione in venne a trovarsi Gheddafi: il paese da cui aveva tratto l'ispirazione e con il quale aveva concluso un'alleanza di grosso peso, all'improvviso era divenuto suo nemico!
Un altro elemento si ripercosse sfavorevolmente sulla rivoluzione libica: il notevole abbassamento del prezzo del petrolio nel corso degli anni ‘80. Nel 1973 I paesi produttore decisero - ciò in rapporto alla Guerra arabo-israeliana - un embargo. Il prezzo del petrolio schizzò immediatamente verso l'alto. Quell'embargo causò il primo grande trasferimento di ricchezza dal nord verso il sud. Negli anni ‘80 avvenne qualcosa che si potrebbe definire la controrivoluzione del petrolio, messa in scena da Reagan e dall'Arabia Saudita. Questo paese aumentò connsiderevolmente la propria produzione fino a farlo straripare sui mercati. Il prezzo del petrolio crollò in pochi mesi da 35 dollari il barile a 8.
In questo modo l'Arabia Saudita non si sparò da sola nelle gambe?
In effetti quella decisione ebbe conseguenze negative sull'economia saudita. Il petrolio, in ogni caso, non è quanto di più importante per quel paese. Il suo rapporto con gli Stati Uniti tiene conto di altro; è l'aiuto di Washington che rende possibile alla monarchia saudita di mantersi al potere.
Il terremoto del prezzo del petrolio produsse conseguenze catastrofiche in parecchi paesi produttori, fino a trasformarli in paesi debitori. Tutto questo si svolse appena dieci anni dopo la presa del potere da parte di Gheddafi. Il capo libico vide che con la caduta del prezzo del petrolio, l'unico mezzo a sua disposizione per costruire qualcosa nel futuro satava sciogiendosi come neve al sole. Considerate inoltre che questa controrivoluzione accelerò la caduta dell'Urss, allora coinvolta in Afghanistan. Con la scomparsa del blocco sovietico la Libia perse il suo sostegno politico principale e si trovò isolatissima sulla scena internazionale. L'isolamento divenne tanto più grande quando l'amministrazione Reagan inserì la Libia nella lista degli stati terroristi, infliggendole una lunga serie di sanzioni.
Questo ha qualcosa a che fare con gli errori cui è è andato incontro Gheddafi?
Come ho già detto, lui non era uno di grandi visioni. La teoria sviluppata nel suo Libro Verde è un miscuglio di antimperialismo, islamismo, nazionalismo, capitalismo di stato e di altre cose ancora. Data questa carente visione politica Gheddafi negli anni ‘70, quando ha attaccato il Ciad, è incorso in un grave errore. Il Ciad è il quinto più grande paese dell'Africa; il colonnello allora indubbiamente prese in considerazione che la Libia era troppo piccola per le sue ambizioni megalomani riguardanti l'annessione della striscia di Aozou2. E' storicamente vero che la Confraternita Senussi esercitava influenza in quel territorio. Nel 1935 il ministro degli esteri francese Pierre Laval voleva addolcire Mussolini, offrendogli la striscia di Aozou. Alla fine però Mussolini si avvicinò a Hitler e la bozza di accordo fra Italia e Francia rimase disattesa.
Nonostante questi precedenti - o proprio in virtù di questi - Gheddafi voleva annettere alla Libia quel territorio. Si aprì così una guerra con Parigi la cui posta in gioco era l'influenza in questa ex colonia francese.
Alla fine Stati Uniti, Francia, Egitto, il Sudan e altre forze reazionarie della regione hanno sostenuto l'esercito del Ciad e costretto al ritiro le truppe libiche. Migliaia di soldati assieme a significative quantità di armi divennero preda dei vincitori. Il presidente del Ciad, Hissein Habré, consegnò quei soldati all'amministrazione Reagan, utilizzati dalla Cia come mercenari in kenia e America Latina.
Il più grande errore della rivoluzione libica è consistito nell'aver riposto tutto sulle risorse petrolifere. In realtà sono esattamente le risorse umane la maggior ricchezza di un paese. Le risorse del petrolio possono non far trionfare una rivoluzione, quando non sviluppano l'armonia nazionale, la giustizia sociale e una ripartizione giusta della ricchezza.
Il colonnello non ha mai eliminato le discriminazioni ereditate. Come è possibile mobilitare la popolazione se non le viene dimostrato che tutti - indipendentemente dall'appartenenza ad un'etnìa o ad una tribù - sono uguali e possono assieme essere efficaci per il bene della nazione? La maggioranza della popolazione libica è araba, parla la stessa lingua e condivide la stessa religione. La molteplicità etnica non era molto significativa. Era possibile cancellare le discriminazioni e riuscire infine a mobilitare la popolazione.
Allo stesso modo Gheddafi non è stato capace di preparare la popolazione alle sfide della rivoluzione. Non ha elevato la coscienza politica dei suoi cittadini e non ha costruito un partito capace di sostenere la rivoluzione.
Immediatamente dopo la pubblicazione del Libro verde, nel 1975, però vennero fondati i Comitati popolari, un tipo di democrazia diretta.
Questo tentativo di democrazia diretta era influenzato dai concetti marxisti-leninisti. In Libia i Comitati Popolari tuttavia non si sostenevano su alcun tipo di analisi politica, su nessuna chiara concezione del mondo. Si trattava di un affondo a vuoto. Gheddafi in genere non ha costruito un partito politico per sostenere la rivoluzione. In definitiva lui si è impadronito del popolo. La rivoluzione libica si trasformò nei propositi di una sola persona. Tutto ruotava attorno a questo capo carismatico sganciato dalla realtà. E se la distanza fra un capo e il suo popolo si estende, colmano il vuoto le misure di sicurezza e la repressione. Gli eccessi si moltiplicarono, la corruzione si sviluppò in misura considerevole e le spaccature fra le tribù si cristallizzarono.
Oggi, nella crisi libica, queste spaccature ricompaiono. Naturalmente una parte dei giovani libici è nauseata dalla dittatura ed è invece influenzata da quanto avviene in Tunisia e Egitto. Questi sentimenti estesi vengono però strumentalizzati dall'opposizione attiva nell'est del paese che esige una fetta della torta. Presto verranno in luce le contraddizioni reali.
Per altro di questo movimento di opposizione si conosce molto poco. Per chi agisce? Qual è il suo programma? Se realmente vogliono portare avanti una rivoluzione democratica, perché hanno dissotterrato le bandiere di re Idriss, i simboli di un tempo quando la Cirenaica era la provincia dominante del paese? Avete chiesto ai libici che opinioni hanno su tutto ciò? Si può parlare di movimento democratico quando si massacrano i neri della regione? Se si è parte dell'opposizione di un paese, se si è patriottici e se si desidera sostenere il proprio governo allora poi si ricercano i modi e le maniere giuste. Non si può causare una guerra civile nel proprio paese e scivolare nel rischio di una balcanizzazione.
Secondo lei dalle contraddizioni fra i clan libici può infine esplodere una guerra civule?
Peggio. Fra le tribù esistono contraddizioni, ma non hanno mai assunto una simile dimensione. Ora vengono alimentate dagli Stati Uniti per poter intervenire militarmente in Libia. Sin dai primi momenti della sollevazione il ministro degli estri Hillary Clinton ha proposto di portare le armi ai rivoltosi. La potenza estera ha respinto ogni accusa di interferenza nell'opposizione organizzata dal Consiglio Nazionale solo perché sa che ciò discrediterebbe il movimento della sollevazione. Oggi ad ogni modo taluni personaggi dell'opposizione invocano l'intervento armato.
Quando è esploso il conflitto il presidente Obama ha detto che lui avrebbe preso in considerazione tutte le possibili opzioni ed inoltre il senato USA ha lanciato un appello alla comunità internazionale per imporre il divieto del transito aereo sopra il territorio libico. Un fatto che costituirebbe di per sé un reale atto di guerra. Oltre a ciò, la portaerei nucleare USS Enterprise è stata spostata dal Golfo di Aden, dove era impegnata nella guerra alla pirateria, sulla costa libica. Due navi anfibie, l'USS Kearsage e l'USS Ponce, che trasportano migliaia di marines e flotte di elicotteri combattimento, hanno anch'esse preso posizione nel Mediterraneo.
La scorsa settimana Louis Michel, ex Commissario dell'Unione Europea per lo Sviluppo e l'Aiuto Umanitario, ad una tribuna televisiva si è chiesto con enfasi, quale governo avrebbe il coraggio di difendere di fronte al proprio parlamento la necessità di un intervento armato in Libia. Ma Louis Michel non ha mai invocato un eguale intervento in Egitto o in Bahrain. Perché?
La repressione in Libia non è più violenta?
In Egitto la repressione è stata violentissima, eppure la NATO non ha disposto le navi da guerra lungo la costa egiziana per minacciare Mubarak. Si è fatto davvero poco per trovare una via d'uscita democratica!
Ciò che riguarda la Libia assieme alle informazioni che ci raggiungono, va trattato con le molle. Un giorno si parla di 2 mila morti, il giorno successivo il numero viene corretto e ridotto a 300. Dall'inizio della crisi è anche stato detto che Gheddafi stava bombardando il suo popolo, ma le forze armate russe, che hanno sotto gli occhi la situazione grazie ai satelliti, hanno ufficialmente smentito questa informazione. Se la NATO si prepara ad intervenire militarmente in Libia, possiamo essere sicuri che i media dominanti impiegheranno l'abituale propaganda di guerra.
Sta realmente accadendo quanto è già avvenuito con Ceausescu in Romania. La sera della vigilia del Natale 1989 il primo ministro belga, Wilfried Martens, tenne un discorso alla televisione. Disse che le forze di sicurezza di Ceausescu avevano appena ucciso 12 mila persone. Ciò era falso. Le foto delle famose fosse comuni di Timisoara in ogni caso fecero il giro del mondo. Esse dovevano dar prova della cieca violenza del presidente rumeno. Solo dopo venne fuori che il tutto era stata una messinscena: per influenzare i giornalisti, i cadaveri vennero presi all'obitorio e sistemati nelle fosse. E' stato anche detto che i comunisti avevano avvelenato l'acqua, che in Romania c'erano mercenari siriani e palestinesi, ed ancora, che Ceausescu aveva addestrato degli orfani per trarne una macchina di morte. Questa era pura propaganda per destabilizzare il sistema.
Alla fine Ceausescu e sua moglie sono stati uccisi dopo un processo apparente durato 55 minuti. Naturalmente il presidente rumeno, esattamente come Gheddafi, non era un chierichetto. Successivamente che cosa è accaduto? Che la Romania è diventata una semicolonia dell'Europa. Là la forza-lavoro viene sfruttata a basso prezzo. Numerosi servizi sono stati ceduti alle società occidentali a prezzi di favore e non sono più accessibili alla gran parte della popolazione. Adesso ogni anno masse di rumeni si portano sulla tomba di Ceasescu e piangono. La dittatura era una cosa terribile, ma dopo di allora l'economia del paese è stata distrutta, tutto è peggiorato!
Perché gli Stati Uniti desiderebbero uccidere Gheddafi? Da una decina di anni il colonnello prende parte a visite di stato in Libia e all'estero ed ha ceduto a prezzi di favore una gran parte dell'economia libica a società occidentali.
Tutti questi avvenimenti si devono analizzare alla luce dei nuovi rapporti di potere nel mondo. Le potenze imperialiste si trovano sulla via del tramonto mentre altre forze sono nella fase dello slancio più aperto. Di recente la Cina ha proposto di rilevare l'indebitamento del Portogallo! In Grecia la popolazione è sempre più ostile verso questa Unione Europea, che si nasconde dietro la maschera dell'imperialismo tedesco. Uguali sentimenti si nutrono negli altri paesi. Oltre a ciò, gli Stati Uniti hanno attaccato l'Irak per impadronirsi del petrolio, ma da questo intervento hanno tratto profitto soltanto poche società USA, mentre il resto viene sfruttato da società malesi e cinesi. In breve, l'imperialismo è in crisi.
Ed ancora, la rivoluzione tunisina ha molto sorpreso l'occidente. Il caso Mubarak ancora di più. Washington ha cercato di incanalare questi movimenti popolari in funzione dei propri scopi, ma ne ha perso il controllo. In Tunisia il primo ministro Mohamed Ghanouchi, un puro prodotto del dittatore Ben Alì, doveva garantire la transizione e comunicare l'illusione di un cambiamento. La risolutezza popolare lo ha costretto a dimettersi. In Egitto, gli Stati Uniti contavano sulle forze armate per salvaguardare un sistema ben accetto a loro. Le ultime informazioni confermano che i giovani ufficiali si organizzano numerosi in piena solidarietà con il popolo egiziano nei Comitati della Rivoluzione. Questi ufficiali avrebbero persino consentito l'arresto di taluni militari collegati al sistema di Mubarak.
La regione potrebbe sfuggire al controllo degli Stati Uniti. Intervenire in Libia per gli USA significherebbe avere la possibilità di spezzare e ostacolare questi movimenti rivoluzionari, in modo che non si estendano sul resto del mondo arabo e sull'Africa. Da una settimana sono entrati in rivolta i giovani del Burkina Faso, ma i media non ne parlano, così come tacciono delle manifestazioni in Irak.
L'altro pericolo per gli Stati Uniti consiste nel veder sorgere in Tunisia e Egitto governi antimperialisti. In questo caso Gheddafi non sarebbe più isolato e potrebbe ritornare sugli accordi conclusi con l'occidente. Libia, Egitto e Tunisia potrebbero unirsi e formare un blocco antimperialista. Potendo disporre di tutte le risorse dei rispettivi paesi, in particolare il significativo portafogli di riserve monetarie estere di Gheddafi, questi tre paesi potrebbero divenire una notevole potenza regionale. Verosimilmente essi sarebbero più influenti della Turchia.
Ma Gheddafi ha dato sostegno a Ben Alì, quando è stato cacciato dal popolo tunisino.
Questo dimostra quanto sia debole, isolato e tagliato fuori dalla realtà. Ma i rapporti di potere in modificazione nella regione potrebbero cambiare la situazione. Gheddafi potrebbe cambiare fronte, non sarebbe la prima volta.
Che sviluppi potrà avere la situazione in Libia?
Le potenze occidentali e questo cosiddetto movimento di opposizione hanno respinto la proposta di mediazione avanzata da Chavez. Questo segnala che essi non vogliono la soluzione pacifica del conflitto. Gli effetti di un intervento della NATO sarebbero catastrofici. Lo si è già visto nel Kossovo e in Afghanistan dove conduce un simile intervento.
Oltre a ciò un'aggressione militare potrebbe favorire, come in Libia, l'infiltrazione di gruppi islamici, che potrebbero impossersi sul posto di significativi arsenali. Al Qaida potrebbe inserirsi e fare della Libia un secondo Irak. Per altro, in Nigeria esistono già gruppi armati, i quali nessuno è capace di controllare. La loro influenza potrebbe estendersi su Libia, Ciad, Mali, Algeria… Per davvero, con la preparazione di un intervento militare l'imperialismo si prepara ad aprire le porte dell'inferno!
La conclusione è: il popolo libico merita qualcosa di meglio di questo movimento di opposizione, che sta cacciando il paese nel caos. C'è bisogno di un movimento democratico reale che prenda il posto del regime-Gheddafi e per costruire la giustizia sociale. In ogni caso, i libici non meritano alcuna aggressione militare. Le forze imperialiste esistenti, mentre si preparano ad un'offensiva controrivoluzionaria nel mondo arabo, sembrano sulla via del tramonto. Aggredire la Libia è la loro soluzione di ripiego. Le ricadrà in ogni caso sui piedi.
da de.indymedia.org/2011/03/303057.shtml
Note:
1. Il colpo di stato che abbatte la monarchia è compiuto il 1° settembre 1969, mentre re Idris si trova in Turchia. L'operazione condotta da alcuni giovani ufficiali, fra i quali Gheddafi, è incruenta pur se vi è convolta la popolazione delle città maggiori quali Bengasi - anche allora centro dell'insurrezione -, Tripoli, Tobruk… Il potere viene assunto dal "Comando della Rivoluzione", guidato da un Consiglio composto da dodici uomini, con a capo Gheddafi, che, appena ventisettenne diviene il più giovane Capo di Stato del mondo, Ndt.
2. Quella guerra per quel territorio situato fra il confine sud della Libia e il nord del Ciad, è un frutto bacato, come in tante regioni dell'Africa, ma non solo, del colonialismo. Fu il fascimo italiano, occupante della Libia, a voler porre dei confini al sud che finirono con l'inglobare anche la striscia di Aozou. Finita la guerra la Francia, occupante del Ciad, la rivolle indietro. La Libia governata da Gheddafi condusse una guerra decennale, dal 1978 al 1987, per strappare quel territorio al Ciad. Non Le riuscì di venirne a capo anche per l'intervento, favorevole al Ciad, di una "missione Onu", probabilmente ancora sul posto, Ndt.
Torino, 1 maggio: Il PD aggredisce lo spezzone contro la guerra
Il servizio d’ordine del PD ha tentato di fermare lo spezzone contro la guerra e il militarismo, promosso da Federazione Anarchica Torinese, Federazione Anarchica del Monferrato, Perla Nera, Zabriskie Point Novara, Collettivo Anarchico Studentesco Torinese. In piazza Vittorio, alla partenza del corteo, il servizio d’ordine degli squadristi democratici del PD ha assaltato il furgone d’apertura degli anarchici. Hanno frantumato il parabrezza e rubato le chiavi del mezzo. Quando gli antimilitaristi, dopo un lungo scontro con i democratici, sono riusciti a riprendersi le chiavi, le hanno trovate spezzate. Gli stalinisti poi, temendo di essere riconosciuti, hanno aggredito un manifestante che stava fotografando il corteo, spaccandogli a pugni la macchina fotografica. Nonostante la violenza incontrata, nonostante il furgone fuori uso, lo spezzone è partito lo stesso per terminare numeroso in piazza San Carlo.
Diffusa la notizia dell’aggressione, lo spezzone del PD è stato duramente contestato, insultato e anche schiaffeggiato dai manifestanti. Poi l’azione intimidatoria e repressiva del PD è continuata fuori dal corteo. Un compagno di Alessandria infatti, tornando alla propria auto, si è ritrovato chiodi e viti intorno alle ruote. Questi sono i mezzi adoperati da un partito ora all’opposizione, ma poco tempo fa al potere, che ha sostenuto e finanziato guerre in Afganistan, Iraq e nella ex Jugoslavia.
Metodi già utilizzati a Torino nel 1999, quando era presidente del consiglio Massimo D’Alema, per reprimere il dissenso di chi si opponeva ai bombardamenti. Oggi, 1 maggio 2011, non potendo disporre delle truppe dello Stato, hanno assoldato picchiatori prezzolati in divisa rossa e bianca. Dopo questa giornata, resta solo la miseria politica e morale di chi ha il coraggio di scendere in strada il 1 maggio, quando tutto l’anno difende i profitti dei padroni e le guerre degli stati.
Federazione Anarchica Torinese - FAI, Federazione Anarchica del Monferrato - FAI, laboratorio anarchico Perla Nera di Alessandria, circolo Zabriskie Point - Novara, Collettivo Anarchico Studentesco Torinese
condanne di guerra nelle aula dei tribunali
Si è concluso l’11 maggio il processo contro sette ragazzi tunisini che il 2 maggio scorso, insieme a tanti altri prigionieri, nel CIE di via Corelli hanno dato vita ad una rivolta in segno di protesta contro una detenzione affrontata per quello che è: un atto di guerra.
Carabinieri e polizia quel giorno sono entrati in gran numero nel CIE per cercare di mettere a tacere con i manganelli e i calci del disprezzo coloniale le ragioni dei prigionieri. Così in poche settimane, persone emigrate dalla Tunisia, uno dei primi paesi insorti nei mesi scorsi contro lo sfruttamento compiuto dalle multinazionali unite a loro servi locali, in un pugno di giorni sono passsate dalla libertà al CIE e infine a S.Vittore sotto il peso di una condanna definitiva. Il tribunale, infatti, in due brevi udienze ha dapprima accolto l'arresto "per violenza, resistenza…", poi con pressione sugli avvocati d'ufficio e sui prigionieri ha imposto il "patteggiamento della pena" concluso con una condanna a 10 mesi di carcere - da scontare e basta.
In questo modo, perfettamente capitalista-coloniale, sette persone che avrebbero dovuto "godere" di un permesso di soggiorno temporaneo e dirette in Francia, sono invece finite nelle maglie del "reato di clandestinità". Un cerchio maledetto che determina la vita di migliaia di immigrati, riducendoli in gran parte a forza-lavoro produttrice di un'ingente ricchezza intascata da capitalisti e proprietari di rendite d'ogni grado.
Va detto con forza: il comportamento aggressivo dello stato, accentuato dall'acuirsi dell'interventismo NATO proprio nei paesi arabi mediterranei, è reso possibile dalla fragilità dei rapporti fra compagni, rivoltosi immigrati e loro corrispettivi europei più o meno organizzati. In Italia, la generale ignoranza del meccanismo repressivo-sfruttatore, unita alla ridotta volontà di superarla nei fatti, fa il resto. In aula quel giorno non sono presenti, come pubblico, nemmeno 20 persone fra compagne e compagni. Alla sentenza di condanna emessa in fretta ma con molta chiarezza coloniale, i presenti levano proteste, inveiscono contro giudice e pm, ma è poco sotto tanti punti di vista, compreso l'accerchiamento disposto in aula svolto da carabinieri, guardie carcerarie e co. Tuttavia, anche questa presenza dimessa è riuscita a far capire ai rivoltosi che la loro determinazione (tutti e sette nella prima udienza avevano rivendicato in aula la rivolta) è stata raccolta. Trasformare questo sentire in prassi di lotta comune è il compito ineludibile da risolvere nell'immediato, a cominciare dalla ricostruzione dei contatti, dei rapporti con chi nei CIE e in ogni altro settore del sistema carcere resiste e lotta in difesa della propria dignità costantemente aggredita e, assieme, per la conquista della libertà.
Milano, 12 maggio 2011
***
Torino, 16 maggio 2011: presso il palazzo di giustizia Bruno Caccia di Torino, si é svolto il processo d'appello per i ragazzi accusati della rivolta del luglio 2010, al Cie torinese di corso Brunelleschi, in seguito alla quale si era verificato un incendio nell'area bianca. L'udienza si é svolta a porte chiuse, e ne sono scaturite nuove condanne, anche se le pene detentive da scontare risultano ridotte e mitigate rispetto a quelle pesantissime inflitte al processo di primo grado; infatti in appello sono state riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche del caso.
In aula era presente solo uno degli imputati, avendo un altro preferito rimanere al cie, dove é attualmente rinchiuso mentre un altro é stato trasferito dal carcere Le Vallette di Torino al carcere di Asti.
Per Hamed (accusato di resistenza a pubblico ufficiale e tentato incendio), la pena é stata abbassata da dieci ad otto mesi di reclusione; per Hassan, la pena é stata abbassata da un anno e sei mesi a dieci mesi di reclusione; per Khalid la condanna é passata da due anni ad un anno di reclusione.
Martedì 24 maggio, sempre presso il tribunale di Torino, si è tenuta invece l'udienza per il riesame per gli arrestati del 13 maggio scorso, Lotfi e Hamdi - due ragazzi tunisini, giunti a Lampedusa a gennaio e poi trasferiti al CIE torinese di corso Brunelleschi - accusati della sommossa del 28 febbraio 2011 nell'area gialla del cie di torino ed attualmente rinchiusi alle Vallette. Il giudice si era preso qualche giorno per decidere e dopo tre giorni purtroppo é giunta la notizia che sia Lotfi che Hamdi rimangono in carcere.
Per scrivere loro:
Lofti Babicha, Hamdi Farjallah
Casa Circondariale Lorusso e Cotugno, via Pianezza, 300 - 10151 Torino
lettera dal carcere di torino
Ciao, grazie mille per la tua lettera, mi ha fatto sentire benissimo moralmente, come se fossi uscito dal carcere, e anche che c'é qualcuno che non si é dimenticato di me e che é entrato nei miei problemi. Spero di uscire presto, questo mi ha detto il mio avvocato; e ti ringrazio per avermi chiesto per l'avvocato. Il mio avvocato é ..., se vuoi sapere di più puoi chiamare al suo numero (segue numero di telefono). Mi chiedi se ho bisogno di qualcosa? Veramente ho bisogno di tante cose! Come la Libertà! E voglio dirti che il carcere non é come il CIE. Qui nessuno mi aiuta e la polizia non mi ha portato niente, né i miei vestiti, né la mia roba, né i miei soldi. Qui in galera non mi aiuta nessuno, per una sigaretta o per un'asciugamano per la doccia, non lo so!
Se ho sbagliato con la polizia al CIE, non me ne frega niente; adesso chi ha sbagliato!!!? Ti ringrazio ancora un'altra volta e spero di vederti il più presto possibile fuori; a presto, al HURRIA. E mi dispiace se non scrivo bene l'italiano. Ciao. Lotfi.
Torino, 19 maggio 2011
Lettere dal carcere di Macomer (nuoro)
Ciao Olga, siamo due fratelli: Bouyahia Hamadi e Maher, detenuti nella C.C. di Macomer.
Ho conosciuto il vostro opuscolo nella partecipazione alle udienze del processo "Baear" a Milano. Voglio pubblicare questa storia sia nell'opuscolo che nel web.
Sono Hamadi, sono stato sorvegliato dall'anno 2000 da parte del "ROS" e della "Digos" reparto antiterrorismo. Mi hanno arrestato l'11 ottobre 2002; sono rimasto in carcere fino al 6 maggio 2005. Esco assolto perché il fatto del terrorismo internazionale non sussiste. Dopo appena sei giorni tornano ad arrestarmi con la stessa accusa e 20 giorni dopo il tribunale della libertà mi rimette fuori per non aver commesso il fatto. Successivamente a questa sentenza i pm falsificano le registrazioni ambientali avvenute tra me e Abu Omar ["l'imam di viale Jenner" di Milano, rapito in quel tempo dai servizi segreti e portato di forza in Egitto, NdC], per aprire di nuovo il caso del "processo Bazar". Nello stesso tempo vengo condannato a 3 anni di sorveglianza speciale. Ancor prima della scadenza di questa sorveglianza, nel 2006, aprono contro di me una nuova indagine, stavolta per "spaccio internazionale di droga".
Intanto mi arrestano e mi condannano a 6 mesi di carcere per non aver rispettato l'obbligo della firma. In carcere predispongono la registrazione dei colloqui tra me e mio fratello. I colloqui registrati avvengono tutti nel 2007. Queste registrazioni sono state manipolate e falsificate da parte del traduttore del pm e del tribunale. Le prove le avrebbero riscontrate nelle registrazioni, perché nelle indagini non hanno mai trovato né droga né armi. Ho chiesto di ascoltare le registrazioni dei colloqui; ho chiesto di mettere un tunisino che conoscesse il mio dialetto. Hanno detto sì, ma non lo hanno fatto!! Perché??? Hanno messo un asiatico del Medio Oriente aiutato da un tunisino del sud della Tunisia, di Gerba, che non aveva nessuna esperienza nella traduzione. La madre della falsificazione tuttavia è stata compiuta dalla Digos: ha cambiato la residenza per ascoltare la registrazione ambientale dalla casa dell'interprete alla sede della Digos, con la scusa che la polizia ha sistemi sofisticati di pulitira del nastro. Così, quando il traduttore è andato nella sede della Digos per ascoltare le registrazioni ambientali, queste erano state modificate e falsificate.
Nel primo grado mi hanno condannato a 13 anni perché l'interprete ha tradotto la parola "Barbara" (nome di un avvocatessa che lavora con Sandro Clementi) con il termine arabo "Gabra" (droga). La seconda prova contro di me si base su una registrazione del colloquio del 27 marzo 2007. Loro dicono che avrei detto a mio fratello "Maher": prendi a 8 e vendi a 10 o anche a 9,50 bianca e sporca… 24 sporca). Abbiamo chiesto il cd di questa registrazione, quel cd risulta vuoto, gli altri cd sono stati manipolati e falsificati.
Nel secondo grado il presidente della corte d'appello Suma conferma le registrazioni dei colloqui con mio fratello "Maher", a sua volta pedinato fuori, e conferma che a lui non è mai stato trovato nulla. In ogni caso, in quel hanno confermato la condanna a 13 anni contro di me e a 11 contro mio fratello "Maher".
Se avete interesse al mio caso, ci sono tutti i documenti che mostrano la nostra innocenza; e ci sono tutti i cd delle registrazioni ambientali tradotte da un interprete di fiducia, Mohsen Moualhi. Tutti questi documenti li ho io e i nostri avvocati dei quali riporto nomi, indirizzi e nr. di telefono:
Avv. Giusi Regina, via Fontana, 5 - 20122 Milano; tel. 02/45485124
Avv. Giuseppe De Cardo, via Corridoni, 8 - 20122 Milano, tel. 02/28510466
Voglio che la nostra storia o faccenda arrivi al ministero della giustizia per far crollare le falsificazioni del pm di primo grado, del traduttore e del pm dell'appello.
Distinti saluti a tutti gli amici dell'opuscolo da parte di Bouyahia Hamadi e Maher.
Macomer, 2 maggio 2011
Bouyahia Hamadi, via Melchiorre, 8 Loc.Bonu Trau - 08015 Macomer (Nuoro)
***
Ciao, spero che questa mia lettera ti trovi in ottima forma unitamente alla tua famiglia e ai tuoi compagni. Voglio comunicarti che mi é stata ridotta la pena da 7 anni a 5 anni e 4 mesi. Come sapevi il giorno 4 maggio 2011 c'é stata un'udienza al Tribunale di Bologna. Il dibattimento é stato il giorno 4 maggio, in cui ha parlato il pubblico ministero, e poi tutti gli avvocati; il giorno 5 maggio hanno parlato alcuni dei miei coimputati, poi ha replicato il PM. Il procuratore generale del tribunale di Bologna, veramente ha sorpreso tutti, ha parlato bene, sembrava un difensore. Ha chiesto lui la riduzione della pena applicando le attenuanti generiche. Così é stato, dopo 3 ore di Camera di Consiglio, la Corte d'Appello ha accolto la richiesta del PM. A tutti gli imputati é stata concessa la riduzione della pena, chi di 1 anno, chi di 1 anno e 4 mesi, e chi di 1 anno e 8 mesi.
Con questa vicenda giuridica é difficile avere una riduzione della pena, secondo me. In tutti i casi, ringrazio il Mio Dio su tutto. Mi é rimasto un anno e mezzo di carcere, Inshallah.
Durante la mia permanenza al carcere di Vigevano dal 2 maggio fino al 10 maggio 2011, per il processo, ho potuto vedere la mia famiglia per 4 ore. E ora sono di nuovo a Macomer. In attesa di una tua risposta, ti invio i miei più cari saluti. A presto, ciao.
Macomer, 20 maggio 2011
Chabchoub Mohamed
Lettere dal carcere di Vigevano (pv)
[...] il problema maggiore qui sono le guardie: per un nonnulla ti prendono di forza, ti portano in isolamento e ti picchiano. Poi, dopo 15 o 20 giorni trascorsi in isolamento, dove nessuno ti vede, quando sono andate via gonfiori, lividi delle botte ti riportano in sezione; sono all' ordine del giorno i soprusi, ti negano la socialità con gli altri detenuti, la doccia, il campo sportivo; per avere accesso all'ufficio matricole per nominare l' avvocato se va bene ci vogliono 15 giorni; le celle sono molto piccole, e si è in 3 per cella. Due dormono sulle brande, il terzo deve dormire per terra con il materasso; il vitto è immangiabile...
(lettera firmata)
aprile 2011
***
Ciao amici, sono detenuto in quella merda di carcere di Vigevano e vi scrivo per ringraziarvi della gradita visita [si riferisce al presidio sotto quel carcere di domenica 22 maggio].
Venendo al carcere di Vigevano la situazione è proprio allucinante. Voglio anche chiedervi se vi è possibile cercare in Internet il formulario del reclamo da inoltrare per lo spazio nelle celle a causa del sovraffollamento.
Qui non funziona niente. Bisogna anche stare attenti a reclamare, perché basta poco per trovarsi in isolamento con i secondini che ti picchiano e ti tengono là 15-20 giorni, finché ti passano i segni del pestaggio. Ci sono anche problemi con la corrispondenza, perché sparisce se è indirizzata ad autorità o avvocati. Ti tengono stretto in pugno.
Ne ho girati di carceri, ma quello che sto vivendo qui non l'ho mai visto.
Il magistrato di sorveglianza di Pavia si disinteressa totalmente, al pari della procura di Vigevano. Così non c'è tutela. Spero anche per questo motivo di avere da voi un sostegno e un aiuto per far sapere all'esterno quanto accade in questo carcere.
Ci sono problemi con il vitto dell'amministrazione, fornito da un'impresa esterna, è di scarto. I prezzi del sopravvitto sono molto più alti sia rispetto ad altre carceri sia rispetto a quelli dell'esterno - e sempre in riferimento agli stessi prodotti.
Le istanze di trasferimento vengono cestinate, così ti trattengono qui.
Se fosse possibile desidererei avere la possibilità di esporre a qualcuno le mie lamentele.
Vedete voi quel che è fattibile. Attendo vostre notizie.
Vi saluto tutti e vi ringrazio.
(lettera firmata)
25 maggio 2011
***
Buongiorno, sono un detenuto di Vigevano che vi ringrazia per la manifestazione che avete fatto idomenica 22 maggio. Mi avete chiesto come sto qui dentro. Sono stato condannato a 20 anni, ho preso il beneficio dell'indulto di 3 anni, un anno di libertà anticipata e sono dentro dal 20 giugno 2003. Ho girato 8 carceri.
Qui le guardie sono maleducate, provocatori, Se fai il bravo ti provocano per farti fare casino e per prendere rapporti "il che consiste, se ti comporti bene, che di ogni 6 mesi trascorsi dentro ti tolgono 45 giorni, cioè sono 45 giorni in meno di galera". Ma le guardie trovano qualsiasi pretesto per farti arrabbiare e comportarti male. Così ti fanno rapporto; poi arriva la squadretta, ti picchiano e ti mettono in isolamento - che sarebbe una cella senza vestiti, senza televisione e senza doccia, ti picchiano due volte al giorno.
Nessuna educatrice, nessun psicologo ti chiama per farti la sintesi di buon comportamento, cosi che, quando arrivi a metà pena potresti già usufruire dei permessi per andare a casa un paio di giorni. Purtroppo non è così. Ci sono detenuti ai quali mancano 3 mesi alla libertà e ciononostante non li mandano in permesso.
Qui chi entra per primo comanda e di quel che combinano non informano né il direttore né il comandante. Quando li informano dicono che stai facendo una protesta. Le guardie dicono bugie per farti avere torto e le dicono al magistrato e così prendi i rapporti.
Sono stato condannato a 20 anni più 5 anni di casa di cura, perché sono giudicato parzialmente incapace di intendere e volere; e sono lesionato civile al 75 percento. Mi hanno asportato una ciste dal cervello… chiedo di essere inviato in una struttura in cui riuscire a curarmi, qui non funziona nulla. Più chiedi più sei a rischio-rapporti.
Ora sono in sciopero della fame perché vorrei andarmene da qui. Ho fatto l'istanza di trasferimento, ma la bloccano oppure la spediscono accompagnandola da una loro nota sul tuo comportamento non buono; ora che sono in sciopero della fame mi minacciano in tutti i modi. Se fai il leccaculo ti odiano gli altri detenuti, se fai l'infame sei odiato da tutti.
La posta: se sono lettere ai famigliari le spediscono, se sono lettere ai magistrati o a magistrati del dipartimento trasferimenti o associazioni come la vostra, allora le buttano, così se scrivi ai giornalisti.
Se mi scrivete io rispondo. E se mi scrivete il cognome di Stefania, trasferita qui, le scriverò. Ora aspetto una vostra risposta e spero mi scriviate per un'amicizia. E se un domani volete fare colloqui con me ditemelo…
(lettera firmata)
23 maggio 2011
Rovereto: Sul processo per la solidarietà a Stefano
Giovedì 5 maggio, si è svolto a Rovereto il processo contro 21 compagni per il corteo spontaneo dopo la morte di Stefano Frapporti, avvenuta il 21 luglio del 2009. Le accuse erano manifestazione non autorizzata, interruzione di pubblico servizio (per il blocco ferroviario) e danneggiamento di un'auto dei carabinieri.
Il PM De Angelis (lo stesso che aveva convalidato l'arresto di Stefano e poi archiviato la sua morte) si è fatto sostituire...
Mentre all'esterno del tribunale si svolgeva un nutrito presidio, indetto e partecipato dall'assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano, gli imputati hanno letto una dichiarazione e sono usciti dall'aula urlando "Stefano vive" e "Noi non scordiamo".
Il PM aveva chiesto da 2 mesi a 1 anno senza condizionale. Alla fine i compagni sono stati condannati a 4 mesi tramutati in 5.000 euro di multa, in 2 mesi tramutati in circa 1.000 euro e in 20 giorni tramutati in circa 700 euro. La mobilitazione per Stefano e contro le morti di Stato, che in città continua tutt'ora, ha di sicuro giocato la sua parte.
Di seguito la dichiarazione letta dai compagni.
Ai signori della corte.
Il 21 luglio del 2009, a Rovereto, Stefano Frapporti, muratore di 49 anni, viene fermato in bicicletta dai carabinieri Lanzalotto e Incandela. Una manciata d'ore più tardi Stefano viene trovato impiccato nella cella numero 5 del carcere di via Prati.
Nonostante le menzogne, le omissioni e le contraddizioni contenute nei vari verbali, la morte di Stefano sarà poi archiviata.
Lo stesso magistrato che ha convalidato quell'arresto e poi archiviato il caso, il PM De Angelis, oggi ci processa per aver urlato la nostra rabbia, il 29 luglio 2009, contro la morte di Stefano.
Le morti di Lonzi, Bianzino, Aldrovandi, Cucchi, Uva, Mastrogiovanni e tanti altri dimostrano che gli omicidi di Stato non sono casi isolati.
Che avessimo ragione a non riporre alcuna fiducia nei tribunali è dimostrato proprio da questo processo: si archiviano le morti di Stato, si reprime chi protesta.
Quello che abbiamo fatto la settimana dopo la morte di Stefano – i cosiddetti reati per cui oggi siamo qui – era il minimo che si potesse fare, e ce lo rivendichiamo a testa alta. Facendo finta di niente, ci saremmo sentiti complici.
Quella nostra rabbia è stata solo l'inizio di una mobilitazione per non scordare Stefano che dura tutt'ora e che ha coinvolto centinaia di persone in questa città. Siamo orgogliosi di aver dato il nostro contributo.
Spesso non presenziamo nemmeno ai nostri processi. Oggi siamo qui, invece, perché vogliamo guardare in faccia chi ha archiviato la morte di Stefano e per dire chiaro e tondo: noi non scordiamo, noi non archiviamo.
Oggi non siamo qui per difenderci.
Siamo noi che attacchiamo voi.
Le vostre sentenze non spostano di un millimetro le nostre convinzioni.
Rovereto, 5 maggio 2011
i processati
da informa-azione.info
Muore a Viterbo il prigioniero comunista Luigi Fallico
Il compagno Gigi è morto.
Gigi è stato arrestato il 10 giugno 2009 con l'accusa di associazione sovversiva ed era da allora detenuto, senza che nessuna sentenza fosse ancora stata emessa.
È stato trovato cadavere questa mattina dalle guardie, all'apertura della cella, a causa di un infarto.
Erano almeno cinque giorni che accusava forti dolori al petto ed aveva la pressione sanguigna alle stelle, 190 su 110.
Tutto quello che hanno saputo fare dall'infermeria del carcere è stato somministrargli dei diuretici, mentre aveva bisogno di un ricovero. Nemmeno l'accortezza di monitorarlo, anziché abbandonarlo solo per lunghe ore notturne.
Aveva 59 anni ed era forte, orgoglioso, schietto, divertente, generoso e sempre pronto a partire. Non gli piaceva lamentarsi tanto che, anche negli ultimi giorni, minimizzava la sofferenza: sono stati i compagni di prigionia a costringerlo a fare richiesta di una visita specialistica, che sarebbe arrivata solo domani.
Non si conoscono ancora i dettagli, ma c'è poco da chiarire: è stato lasciato morire!
È deceduto per qualcosa che, normalmente, si tiene sotto controllo con una pastiglietta al pronto soccorso.
A titolo di cronaca, si tratta della terza morte del mese al Mammagialla di Viterbo.
Recentemente era stato operato per un polipo alle corde vocali e ci scriveva di come le guardie fossero rimaste fino all'ultimo dentro la sala operatoria, prima che l'anestesia lo addormentasse, incappucciati di bianco come profilattici e, nonostante tutto, con le mitragliette puntate contro il detenuto ormai incosciente. Ce lo scriveva con la sua solita ironia, beffandosi di tanta bestialità.
Le intercettazioni agli atti del processo in corso ci riportano il suo pensiero: un rivoluzionario non può riconoscersi in questo Stato e deve continuare la lotta fino a quando non muore. O sei dentro l'arco e riconosci questo Stato o invece dici: "No, questo Stato non mi sta bene, lo voglio totalmente abbattere".
Noi lo ricordiamo semplicemente come uno di noi che ci è stato tolto dalla repressione.
È morto in attesa di giudizio, detenuto preventivamente da due anni, e senza potersi curare. Ora più che mai, anche per Gigi, fino alla vittoria!
23 maggio 2011
Assemblea contro il Carcere e la Repressione
Per dettagli sull'inchiesta: www.ondarossa.info/newsredazione/morto-detenuto-vittima-del-processo-farsa-sulle-nuove-br
bologna: Dalla Dozza un racconto sulla "vita" in carcere
Mi rendo conto che la mia attenzione è prepotentemente richiamata verso la “vita” all’interno del carcere. L’interesse per ciò che accade fuori queste mura è vivo e vigile ma la mia tensione spinge verso l’osservazione partecipata di quanto si muove in questo mondo perverso in cui sono stata buttata.
Le analisi, le considerazioni sull’operazione repressiva che ci ha colpiti emergono da quanto vi scrivo (sempre che vi arrivi) e una più articolata definizione la lascio a voi fuori e ai miei coimputati in carcere. Martino e Robert, con i loro differenti orizzonti, lo hanno già fatto egregiamente. Cosa aggiungere? Che reprimono, reprimono, reprimono e non sanno far altro?
Viviamo in un’epoca in cui chi determina le regole del gioco si è appropriato di tutto non lasciando margine alcuno da offrire ai propri sudditi in cambio della sottomissione. Arraffano, con ansiosa ingordigia, quel che resta di un pianeta spolpato e tentano con ogni mezzo di soffocare, nel sangue o nelle galere, la spaventosa minaccia di veder attaccati i loro forzieri da parte di “orde barbariche”. Il nemico interno va stroncato e spazzato via nella pattumiera della storia. Forse mai come in questo caso, intendo di Bologna a cui ha fatto seguito Firenze, l’intenzione di colpire per eliminare un pensiero e una pratica che inquietano i tenutari del sistema capitalistico, si è palesata. È stata chiusa, messa sotto sequestro una sede. Questo è un passo oltre gli arresti e i provvedimenti restrittivi.
Grave, talmente grave da dover perlomeno produrre un allarmato e generalizzato sussulto. Ma, da quanto ho letto nelle vostre lettere, ciò non è propriamente avvenuto. La solidarietà è forte ma proviene dallo stesso ambito di compagni e compagne da tempo vicini. E nemmeno di solidarietà si dovrebbe parlare quanto piuttosto di diretto coinvolgimento in un attacco che toglie spazio al Fuoriluogo ora ma che manifesta un minaccioso segnale per chiunque abbia ancora intenzione di dare battaglia, in modo più o meno adeguato, all’ordine costituito. E, infatti, dopo meno di un mese è toccato ai compagni e alle compagne di Firenze il secondo tempo dell’operazione repressiva.
Dentro il carcere si vedono applicate in forme specifiche ed estreme le stesse misure adottate per piegare e sottomettere chi, fuori, deve prestarsi a obbedire lavorando senza “pretese” o morendo di stenti in ossequioso silenzio.
Qui vige un rigido regolamento carcerario, fuori un regime (che si dilata e muta ogni giorno a seconda dei venti) che norma i comportamenti socialmente consentiti.
Qui c’è il sadismo umiliante delle guardie, fuori la spietatezza dei padroni e dei servi a protezione del mercato dei profitti.
Qui sei minacciato dalle squadrette punitive, fuori le città militarizzate soffocano chi le abita.
Qui la libertà è imprigionata con sbarre materiali, fuori è incarcerata a cielo aperto.
Qui i ricchi non entrano, fuori comandano loro.
Qui i “colpevoli” proletari, diseredati sono sequestrati dallo stato, fuori gli stati bombardano, occupano, colonizzano i territori da predare e conformare.
Solidarietà ai compagni e alle compagne colpite dalla repressione a Firenze.
Bologna, maggio 2011
Stefania Carolei, via Gravellona 240 - 27029 Vigevano (PV)
***
Dei 5 compagni arrestati il 6 Aprile durante l'operazione "Outlaw", 4 sono stati trasferiti e non sono più alla Dozza di Bologna. Gli indirizzi per scrivere e sostenerli sono i seguenti:
Anna Maria Pistolesi, Via Carlo Poma 3 - 46100 Mantova
Martino Trevisan, Via del Rollone 19 - 13100 Vercelli
Stefania Carolei, via Gravellona 240 - 27029 Vigevano (PV)
Nicusor Roman, Via Bassano 11 - 22100 Como
Robert Ferro, via del Gomito 2 - 40127 bologna
Madda che aveva l'obbligo di dimora a Roma in seguito alla medesima operazione repressiva, è stata arrestata nella capitale il 12 maggio in seguito ad un ordine di custodia cautelare emesso dall'autorità giudiziaria bolognese. Attualmente si trova a Rebibbia.
Chi ha modo e voglia di sostenere economicamente i compagni colpiti dalla repressione a Bologna può versare il suo contributo sul seguente conto Postepay:
Anna Morena - 4023 6006 0259 8221
maggio 2011
da informa-azione.info
Lettera dal carcere di Rebibbia (roma)
Carissime e carissimi, vi informo che da oggi, lunedì 23 fino a mercoledì 25 maggio, la sezione di alta sicurezza A1 e A2, inizierà uno sciopero del carrello e della spesa in solidarietà alle altre carceri italiane, che già lo hanno iniziato da un po', per denunciare il sovraffollamento e la situazione interna a cui le carceri devono far fronte ogni giorno.
Questa richiesta è venuta dal partito politico dei radicali, che, come ogni partito politico, non ha di certo reale interesse a mettere in evidenza il problema del carcere in sé, come struttura e istituzione, ma cerca di ammortizzare la situazione esplosiva interna, frutto di un sistema sociale malato.
Sapete già il mio punto di vista riguardo a questa mobilitazione… di certo non credo che uno sciopero, partito poi da un gruppo di politicanti di merda come quello dei radicali, possa risolvere i problemi interni al carcere (proprio perché - essendo il problema, la struttura e ciò che la mantiene - questi il carcere lo vogliono) semmai ci vorrebbe, a mio parere, un tipo di lotta differente, più incisivo e dannoso per la struttura, una lotta, poi, che dovrebbe nascere dai/dalle detenut* stess*.
Comunque la sezione ha voluto dare il suo contributo, in maniera simbolica, con questi tre giorni, attraverso un metodo che ancora lega varie carceri italiane, che fa da filo conduttore tra reclusi e recluse.
In ogni caso sappiate che le detenute della sezione comuni hanno apprezzato assai la vostra presenza sotto questo fottutissimo penitenziario! Quelle urla di supporto morale (mi è giunta voce) hanno scaldato il cuore, gli animi, rafforzando la mobilitazione partita oggi.
Peccato invece che in questo bunker di cemento in cui stiamo noi della massima sicurezza non sia arrivato il suono della vostra voce. Queste sezioni sono veramente la riproduzione del modello attuale di controllo che c'è fuori! Pur essendoci lasciato "campo libero", per via delle celle aperte dalle 8 alle 20, con spazi come la saletta per la socialità, la biblioteca (ben fornita grazie alla gestione della compà Rita), la palestra (che comunque è sprovvista di strumenti funzionanti… bah!) e l'aria decorata con giardino e alberi… vige un levassimo studio e controllo d'ogni nostro movimento! Ci stanno telecamere ad ogni angolo, in ogni sala almeno 2, solo all'aria se ne contano 7! Vedete voi! Ogni cazzo di nostra abitudine, spostamento è monitorato da questo occhio elettronico! Non c'è un minimo angolo di intimità… o sei guardata o ascoltata… Nelle celle - almeno quelle dell'A2 - sicuro ci sono microfoni… Certo il carcere è questo, si è nella tana del lupo.
D'altronde! Chiaro il motivo! Come fuori anche dentro si cerca e si vuole prevenire ogni forma di ribellione e/o "disagio interno"… diciamo che questo è proprio l'esempio più vicino e lampante (rispetto alle detenzioni passate) del sistema sociale che attualmente c'è fuori. Ognuna diviene controllore di se stessa, sapendo di essere controllata ad ogni minima mossa, il tutto poi rafforzato dal fatto che ti concedono certe "comodità" come contentino per zittire ed evitare che possa nascere anche un solo barlume di ribellione interna. Il capo-posto della sua mischia della saletta monitor, osserva in tempo reale ogni spostamento e abitudine di ognuna. Per questo le sbirre in sezione non si vedono quasi mai; la loro presenza serve poco o niente (anzi, il fatto che queste non le vedi aiuta ad evitare possibili conflitti con il "nemico più vicino"!).
All'inizio, vedendo le celle aperte mi sentivo più "libera", (non mi era mai capitato!), ma dopo soli due giorni ti rendi conto del motivo di tutto questo! Il gioco non vale la candela. I pochi metri in cui ti concedono di circolare stufano subito! Questo è un carcere dentro al carcere. Per chi conosce i penitenziari sa bene che le sale in comune: quella dell'avvocato, quella dei colloqui, la matricola e via discorrendo, per raggiungerle sei tu detenut* a doverti spostare; qui invece no: avvocato, colloqui, infermeria sono tutte all'interno di queste due piccole sezioni (in tutto le celle sono 8, contando pure le nostre 3 dell'A2) da questo spazio non ti muovi! Pure la matricola se deve notificarti qualcosa è la guardia a venire da te e non tu ad andare al suo cazzo d'ufficio! Insomma, veramente un mini carcere dentro al carcere!
La sezione spesso viene mostrata a consiglieri regionali e minchioni vari; da sbirri e giornali è presentata quale esempio di inserimento e integrazione del detenuto; quale sezione modello per il fatto che dimostra come il carcere serva, funzioni, appunto, a reinserire… perché in effetti è quello che ti fa tornare un buon ingranaggio (grazie all'accettazione conscia o inconscia della routine carceraria).
Vabbè ragà, quello che volevo fare era descrivere la sezione della massima sicurezza qui a Rebibbia, dato che io, come molte altre persone fuori, ne sapevo ben poco.
Per il momento vi saluto anche perché ora come ora sono in una posizione abbastanza "scomoda" per poter continuare a scrivere, no no, non se puede eheheheheheh.
Vi abbraccio con il cuore empre per la completa libertà!
Saluto tutti e tutte e /le miei/e compas trasferiti ultimamente in altre carceri del nord! A parte la distanza quello che ci loega è ben più forte.
Abbraccio i e la compas detenuti in Svizzera e chiunque fuori continua la lotta contro uno stato di mega controllo sociale, che è appunto lo stato capitalista. Forte nell'animo e nel cuore! Con tutti e tutte i/le detenute/i in lotta! Madda.
Rebibbia, 23 maggio 2011
Maddalena Calore v. Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma
lettera dal carcere di opera (MI)
Ciao a tutte/i, mi trovo ancora nel reparto isolamento del carcere di Opera, siamo in pochi ad avere il blindo aperto. Di fronte a me c'è un ragazzo, Gennaro, sottoposto a regime AS3 e, come me, non è in punizione ma vuole solo partire da questo lager; stessa cosa anche per Gabriele però in regime AS1. Tutti gli altri sono sottoposti a 14-bis, isolamento punitivo; oppure nuovi giunti e anche detenuti ai quali è stata tolta la semilibertà.
Qui comincia a fare caldo e molti, soprattutto quelli del 14-bis, hanno il blindo chiuso, ne soffrono anche perché non gli vengono garantite le 2 ore d'aria consenite dal DAP; li mandano all'aria solo un'ora al giorno. Ho conosciuto queste situazioni quando scontavo il 14-bis nel carcere di Parma; quando passo davanti alle loro celle e li saluto dallo spioncino, mi lacrimano gli occhi (sono tutti ragazzi!). A me è stato consentito di tenere la tv in cella perché non sono in punizione, però la tengo spenta per solidarietà, l'accendo solo per guardare il telegiornale. Ho fatto casino e così ottenuto il vitto vegetariano, la compagna Daniela di Radio Black Out sarà contenta di questa notizia.
Insomma mi tengono buono in attesa che il DAP risponda alla mia istanza di trasferimento. Ogni tanto mi istigano, come per esempio l'ufficio posta e censura, per farmi applicare il 14-bis ma resisto perché voglio partire. Proprio in questi giorni compio allo stesso tempo 33 anni di età e 12 di prigione. Ho ricevuto una lettera dalla Biblioteca Popolare Rebeldes di Cuneo, bene, mi è stata trattenuta dal magistrato perché, dice il suo provvedimento: "il contenuto della lettera mette a rischio l'ordine e la sicurezza del carcere. Invito coloro che mi scrivono, a farlo senza inserire termini che possono peggiorare le mie condizioni di prigioniero, grazie!
Un saluto al compagno Mike e alla compagna Evelyne.
E con le lacrime agli occhi che spalmo la mia sofferenza su questo foglio di carta, esprimendo tutta la mia solidarietà a tutti i compagni e le compagne che in giro per il mondo si trovano in prigione per aver protestato contro il nucleare. Resistete! Saluti ribelli!
Con l'anarchia sempre nel cuore, l'anarchico William.
Opera, 11 aprile 2011
***
Segue un altro "contributo di valutazione e di suggerimento dal carcere di Opera", spedito sempre da William il 28 aprile 2011, su cui è stato posto il timbro "Visto Censura Sulla Corrispondenza".
Faccio i miei complimenti a tutti i compagni e le compagne che hanno lavorato alla realizzazione del libro che contiene la rassegna di scritti sul processo politico. Trovo sia stato fatto un ottimo lavoro anche di ricostruzione storica, e che il tutto sia efficace per lo sviluppo di un percorso di lotta contro l'istituzione carceraria.
Nell'occasione suggerisco di intensificare le lotte contro la costruzione degli F35 non per un tentativo di bloccare la produzione bellica, cosa che da soli non riusciamo a fare, ma per informare e sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo la costruzione di questi giocattoli di morte che presto verranno distribuiti in tutto il mondo.
Con l'anarchia sempre nel cuore! William
William Pilato, v. Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)
Lettera dal carcere di Floridia (sr)
Carissim* compagn*, come già sapete sono stato trasferito dal carcere di Lanusei (Nuoro) a quello siciliano di Siracusa. Da una parte quest'ultimo trasferimento fu a "mio favore", essendo siculo ho più possibilità di svolgere i colloqui con la mia famiglia, dall'altra sembriamo, è meglio dire siamo, sepolti vivi.
In una stanza di 20 mtq viviamo in 11 persone e tutti i letti sono a castello - fino alla terza branda attaccata al tetto; la sanità non funziona per niente, come non funziona l'area educativa ecc…
Dopo 10 anni di detenzione ininterrotta e dopo aver girato più di 20 istituti penitenziari, arrivai qui e a tutt'oggi ho ancora le telefonate bloccate (e non ne conosco il motivo)!!!. Mi venne riferito che sono in attesa di ricevere notizie dall'istituto di provenienza, ma è una gran cazzata! Quando veniamo trasferiti, ad ognuno di noi vengono portati al seguito i fascicoli personali e lì c'è tutta la documentazione (rapporti disciplinari, telefonate, cartella clinica ecc…); fatto sta che quando arrivai qui i rapporti disciplinari e la sottoposizione a regime di sorveglianza particolare (art. 14-bis), gli risultò subito. Le telefonate invece no!!! Ma sappiamo bene che è un loro gioco per far pesare la carcerazione ai detenuti. Se domani non mi sbloccano (quello che mi spetta), intraprenderò lo sciopero della fame e con l'appoggio dei compagn* di fuori vedremo come si metteranno le cose.
L'altra problematica essenziale è che la corrispondenza non mi sta giungendo e quelle poche lettere che mi arrivano ritardano di 15-20 giorni. Come ben sappiamo non si tratta di ritardo postale, ma bensì di una massa di cornuti che la loro fottuta vita la devono trascorrere a leggere i cazzi degli altri.
Carissim* compagn*, per oggi termino qui, inviandovi un forte e caloroso abbraccio e sempre per la libertà completa!
15 maggio 2011
Francesco Domingo, Strada Cavadonna - 96014 Floridia (Siracusa)
comunicato dal carcere di rebibbia
Circa 1.000 detenuti del Nuovo Complesso di Rebibbia hanno iniziato da lunedì 23 maggio lo sciopero della fame ( di questi 300 hanno firmato la dichiarazione di sciopero ), rimandando indietro i pasti forniti dall'amministrazione penitenziaria e non acquistando generi alimentari dalle imprese interne ( ad eccezione di the, caffè, zucchero, camomilla e tabacchi).
Si ricorda che proprio da Rebibbia, che 'ospita' circa 1.700 persone e dove, al momento, sono impegnate nello sciopero tre sezioni, sono state spedite da tempo lettere al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, per esporre i gravi problemi legati al sovraffollamento (e non solo), senza che ad oggi sia stata data ancora alcuna risposta.
Tale protesta non violenta vuole sottolineare le invivibili condizioni nelle quali si trovano i detenuti di Rebibbia e della maggior parte degli istituti penitenziari italiani, soprattutto a causa del sovraffollamento e delle precarie condizioni igienico-sanitarie. Lo sciopero della fame è iniziato a Latina (dove i detenuti sono costretti a dormire con i materassi per terra per mancanza di brande e spazio dove metterle), si è diffusa ben presto in numerose carceri italiane e a Roma sta coinvolgendo anche le detenute del Femminile. Si calcola che almeno 3.000 siano i detenuti interessati alla lotta e 600 i familiari che si sono associati allo sciopero della fame; inoltre, in alcuni istituti penitenziari della Toscana e della Sardegna persino i Direttori hanno adottato proprie forme di protesta per le ormai strutturali carenze di organico sia degli agenti penitenziari che del personale dell'area educativa. Ciò sottolinea in maniera ancora più marcata il problema dell'insostenibilità delle condizioni di vita dei detenuti, che non si ha difficoltà a definire ' indegne' per qualunque paese civile.
Quanto accade oggi nel sistema carcerario italiano rivela la totale la mancanza di rispetto per l'individuo ed è un vero e proprio insulto alla dignità della persona.
La forma di protesta, fanno sapere i detenuti, durerà a tempo indeterminato e si propone:
- Di ottenere migliori condizioni di vita all'interno delle strutture penitenziarie (con l'applicazione della normativa europea che prevede 7mq a persona come spazio minimo previsto per la vivibilità interna alle celle)
- Di diffondere la cultura del rispetto della dignità dei detenuti
- Di raggiungere la realizzazione di politiche sociali a sostegno degli individui e delle famiglie
Alcuni Detenuti di Rebibbia in sciopero della fame
Roma, 25 maggio 2011
Lettera del carcere di Carinola (Ce)
Apprendo da una lettera pervenutami che le detenute/i dal 15 maggio 2011 hanno proclamato lo sciopero della fame ad oltranza con il rifiuto dei pacchi famigliari, la chiusura di tutti i lavoranti (portavitto, cucinieri, scrivani…). La richiesta di questa protesta è la riforma del codice penale e di procedura penale, della riforma della giustizia e dell'amnistia generalizzata.
Però leggo anche che farebbero questo sciopero anche a tutela degli interessi degli agenti della polizia penitenziaria, in quanto sarebbero carenti nell'organico.
Per prima cosa, se le motivazioni di questo sciopero sono quelle presentate le trovo più che legittime e quindi potrei anche condividerle, ma però non condivido di fare gli scioperi per gli interessi degli agenti della polizia penitenziaria, visto che per lo stato siamo un numero. Che vuoi gliene importi alla polizia penitenziaria di salvaguardare l'incolumità dei detenuti, anzi, più si uccidono e più muoiono per carenze sanitarie, più risolvono il problema. Così, lo stato non dovrà tirare fuori milioni di euro.
Allego la lettera delle detenute/i di Regina Coeli, chidendo che venga pubblicata assieme a questa mia. Un saluto affettuoso, un caloroso abbraccio comunista anarchico, Mauro.
17 maggio 2011
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Cari amici, un compagno mi ha fatto leggere "Ampi Orizzonti" nr. 56. Ho potuto leggere la pubblicazione della mia lettera inviatavi dal carcere di Prato il 30 aprile 2011.
Ho voluto scrivervi questa lettera per farvi sapere che ci sarebbe stato un errore nella pubblicazione delle mie lettere, dove, ricordo bene di non avere scritto che nel carcere di Prato ci sia una sezione del 41-bis, un'altra per i pentiti e un'altra ancora per i pedofili. Quindi credo che abbiate fatto un po' di casino, forse con un'altra lettera di qualche altro detenuto. Vi chiedo di correggere.
3 maggio 2011
Mauro Rossetti Busa , via S.Biagio, 6 - 81030 Carinola (Caserta)
In effetti è andata proprio come scrive il compagno Mauro, abbiamo unito due lettere in una, così che a lui è risultata attribuita una descrizione non sua del carcere di Prato. Ce ne scusiamo. Un forte abbraccio a Mauro da noi tutte e tutti.
comunicato dal carcere di regina coeli (roma)
In riferimento alla recente visita dell’On. Marco Pannella avvenuta presso quest’istituto il 24 aprile 2011, a seguito delle rimostranze per il “non rispetto” dei diritti fondamentali dell’Uomo all’interno del carcere per cause connesse al sovraffollamento e dipendenti anche dalla mancanza di strutture idonee a garantire il proposito Costituzionale (artt. 2 - 27 - 32), i detenuti del carcere di Regina Coeli hanno deciso a maggioranza di adottare le seguenti misure.
Sciopero della fame generale, ad esclusione delle persone affette da patologie a rischio (diabetici e/o con problemi di pressione bassa, etc.) con conseguente rifiuto del vitto governativo e dei pacchi familiari ad esclusione dei panni intimi e personali.
Chiusura dei lavoranti, scopini, portavitto, cucina e scrivani.
Spesa limitata ai soli acquisti di sigarette, tabacco, cartine, thè, caffè, camomilla, gas.
Lo sciopero proseguirà ad oltranza sino all’ottenimento di quello che è già previsto dalla Costituzione, che per renderlo effettivo occorrerà una riforma del Codice Penale e di Procedura Penale, riforma della Giustizia, amnistia generalizzata ad esclusione dei reati di pedofilia e di quelli inerenti alla violenza sessuale.
Si dovrà ridurre la popolazione detenuta almeno del 50% considerando, in primo luogo, i detenuti “non definitivi” e, per i “definitivi” chiediamo che l’indulto concesso nel 2006 non venga revocato ed anzi venga adeguato alle altre Nazioni Europee nelle quali la “concessione” dell’indulto è avvenuta scontando le pene di 5 anni.
Tali richieste sono formulate in quanto: nessun detenuto ha avuto il “beneficio” previsto dall’art. 27 Cost.; nessun detenuto ha 7 mq come previsto dal Codice Penale; nessun detenuto, una volta scontata la pena, ha avuto una riabilitazione tale da consentirgli il cambiamento sostanziale per non reiterare il reato commesso.
La rieducazione, la riabilitazione non sono affatto sufficienti in quanto “uscendo” non ci sono possibilità di lavoro (art. 1 Cost.) e di reinserimento mentre “all’interno” si alimenta l’ira e l’odio verso le Istituzioni che non fanno né concedono nulla di positivo anzi, in alcuni casi “tolgono” quel che di positivo ci può essere nelle persone detenute non curandosi minimamente di analizzarle e di capire le differenze che possono esser differenti da individuo ad individuo. La “persona” umana non deve essere trattata come un numero; ognuno di noi ha bisogni differenti che devono essere analizzati attentamente per poter rieducare e riabilitare, altrimenti non viene soddisfatto il principio enunciato negli artt. 1- 2 - 27 - 32 della Costituzione... ai principi devono concretizzarsi gli atti che producono “effetti” positivi sulla persona umana, per far in modo che “uscendo” ci sia un animo diverso dall’odio verso le Istituzioni, un animo che si avvicini alla fiducia verso le stesse e verso il “Bel Paese” dove viviamo.
Tutto questo lo facciamo anche a tutela degli interessi degli stessi Agenti di Polizia Penitenziaria che sono carenti nell’organico previsto, ed è inammissibile che se un detenuto ha un malore al 1° piano e nello stesso momento un altro detenuto ha un malore al 3° piano, l’Agente di Polizia Penitenziaria può intervenire per una persona soltanto! Carenze dei Servizi Sanitari che non riescono a far fronte alla mole di lavoro che hanno per il sovraffollamento. Per tali motivazioni inizieremo lo sciopero della fame a partire da 15 maggio 2011.
I detenuti del carcere di Regina Coeli Sezione II
Notizie Radicali, 4 maggio 2011
Lettera dal carcere di Imperia
Ciao ragazzi… volevo informarvi della nostra iniziativa come carcere di Imperia ad aderire allo sciopero della fame che inizierà il 15 maggio e terminerà il 22 maggio 2011, per essere solidali con gli altri istituti penitenziari.
Così facendo speriamo che la nostra voce arrivi alle orecchie di chi fa finta di non sentire, e che il ministro Angiolino Alfano si renda conto che noi siamo al collasso, che smetta la su attività di burattino di Berlusconi ed inizi ad occuparsi veramente del nostro problema. Vi chiedo di farci sapere se i carceri della Lombardia aderiscono allo sciopero.
Un abbraccio a tutti voi, con stima.
15 maggio 2011
(lettera firmata)
lettera dal carcere di Cremona
Carissime/i compagne/i, vi scrivo solo per comunicarvi che dal 14 al 21 giugno, tutti i
detenuti del carcere effettueranno uno sciopero della spesa contro il continuo rialzo dei prezzi soprattutto, e per avere i frigoriferi in sezione, oramai non è possibile acquistare le vivande fresche a causa del rapido deterioramento.
Prendo questo come un rodaggio in attesa di sviluppare qualcosa di più serio per l'Amnistia ecc ecc..
Io non vi sento perché dormo, ma i detenuti mi riferiscono che la sera venite a lanciare slogan e ad incitarci. La miccia sembra accesa, non mollate!
Se vengo trasferito vi comunicherò dove. Un abbraccio a tutte/i voi. Andrea
22 maggio 2011
Andrea Orlando, v. Palosca 2 - 26100 Cremona
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25 maggio: presidio SOTTO AL CARCERE DI CA' DEL FERRO - CREMONA
In concomitanza con lo sciopero della fame attuato nell'ultima settimana dai detenuti del carcere di Cà del Ferro, in Cremona, per protestare contro la situazione di estremo disagio, abbiamo deciso di portare la nostra solidarietà mercoledì 25 maggio alle ore 18:30, attraverso un presidio comunicativo per far sentire la vicinanza alla disobbedienza attuata dai prigionieri dentro al carcere e alla repressione che ha colpito indistintamente le compagne/i di Bologna e di Firenze.
Si invitano tutte le cittadine/i a partecipare!
Solidali di Crema e Cremona
Sulla mobilitazione in atto nelle carceri italiane
“È opportuno ricordare che questa notte hanno dormito nelle nostre carceri più di 67 mila detenuti con un significativo incremento di stranieri. Stiamo cioè gestendo il più alto numero di detenuti della storia repubblicana e lo stiamo facendo grazie allo sforzo e alla dedizione al dovere di ciascuno di voi. Stiamo gestendo un così alto numero di detenuti per due motivi: perché funziona meglio il sistema di sicurezza e repressione dello Stato nei confronti della piccola e della grande criminalità e perché non abbiamo fatto amnistie o indulti. È giusto che tutti abbiano coscienza che il sistema penitenziario è il punto di approdo sia del sistema di sicurezza che del sistema processuale e penale del nostro Paese”. (Ministro Angelino Alfano nel corso del 194° compleanno della Pol.pen.)
Da domenica scorsa, 15 maggio 2011, si è innescata a partire dal carcere romano di Regina Coeli, una protesta contro le condizioni detentive a cui sono sottoposte le persone segregate dall'apparato carcerario italiano. La mobilitazione, come si sperava, si è rapidamente diffusa a molte altre città.
Un lotta caratterizzata nella sua attuazione da sciopero della fame, battiture, blocco degli acquisti allo spaccio carcerario, nonché dal blocco di tutte le funzioni svolte dai detenuti lavoranti (e quindi mansioni di pulizia, cucina, raccolta domande per la spesa, ecc.). La particolarità di questa iniziativa, rispetto agli altri sporadici focolai di rivolta contro le condizioni detentive, deriva principalmente dalle richieste: nessun interesse rivolto a specifici miglioramenti nel carcere in cui sono rinchiusi i promotori (Regina Coeli), bensì un vero e proprio "piano carceri" alternativo a quello del governo. E se appunto quello partorito dal ministro Alfano e dai suoi collaboratori si concentra prioritariamente sull'ampliamento degli spazi detentivi, e quindi su interventi di edilizia volti ad aumentare il numero di posti-gabbia da riempire (e a come spartire gli oltre 600 milioni di euro stanziati), quello proposto dai detenuti di Regina Coeli, e sostenuto dalla protesta che si è estesa a diverse carceri, si basa all'opposto su un'urgente deflazione del numero delle persone recluse attraverso la richiesta di un'amnistia (esclusi reati di pedofilia e stupro), la richiesta di un minor ricorso dell'apparato giudiziario-repressivo alla custodia cautelare, misure alternative e tutta una serie di proposte concrete volte a riportare l'apparato carcerario italiano alla mera legalità... Impossibile non notare quanto sia paradossale che la richiesta di un carcere legale e costituzionale arrivi dai detenuti e non dalle istituzioni. Forse perché i detenuti si accorgono sulla propria pelle del fatto che, se si provano a pressare circa 68.000 detenuti in gabbie progettate per contenerne 45.000, più che una condizione di illegalità si concretizza una condizione di tortura. Da notare, a rigor di cronaca, come la "costituzionalità dell'esecuzione della pena" sia stata l'istanza primaria di tutte le recenti ondate di protesta scatenatesi nelle carceri elleniche.
Sarebbe inoltre difficile immaginare che una concreta lotta contro l'esistenza del carcere, e non contro suoi aspetti parziali, scaturisca esclusivamente dall'interno di questi luoghi: se da un lato l'apparato detentivo è un pilastro delle democrazie autoritarie, dall'altro il suo abbattimento non può prescindere da conquiste su altri fronti come sistema produttivo, scolastico, concentrazione delle ricchezze e via dicendo.
I detenuti di molte carceri italiane stanno lottando per un parziale svuotamento dell'apparato detentivo, mentre il ministero e il DAP, che osservano le cifre a debita distanza, possono tranquillamente alzare e correggere le soglie di tollerabilità, e quindi progettare come contenere e concentrare sempre di più il disagio socio-economico e tutte le eccedenze umane ridotte a “questione di criminalità”, in questi spazi che rappresentano la progressiva sostituzione dello “stato sociale” con le “discariche sociali”.
Si tratta evidentemente di proposte che pur non rimandando a intenti di particolare radicalità o sperimentalità, e rimanendo anzi all'interno degli strumenti già adottati in passato dallo Stato italiano, si scontreranno sicuramente con gli imperativi securitari e la propaganda della Paura che restano gli ultimi leganti di questo governo.
Passiamo ad osservare come si sta diffondendo questo momento di lotta nelle carceri italiane. Ovviamente le informazioni alle quali possiamo attingere sono molto limitate sia a causa delle fonti (visto che si tratta di fonti indirette come cronache locali o veline della polizia penitenziaria), sia per la censura quasi totale operata dagli organi di informazione di regime.
Il primo aggiornamento arriva proprio dal carcere da cui è partita la mobilitazione, e quindi Regina Coeli a Roma, dove si stanno maggiormente concentrando le mediazioni istituzionali: quelle operate dal garante dei detenuti del Lazio, Angelo Marroni, insieme alle concertazioni con gli esponenti del partito Radicale, che hanno portato, in questo carcere, all'interruzione dello sciopero della fame dopo 3 giorni, mentre continuano le altre forme di protesta (quindi battiture, blocco del lavoro e degli acquisti).
Come sempre, quando scatta una mobilitazione nelle carceri, repentinamente si manifestano le operazioni politiche di partiti, associazioni o figure istituzionali di vario genere.
Scontato è che, nella quasi totalità dei casi, si tratta di interventi finalizzati a controllare le lotte, dettarne i tempi, i metodi, e quindi di fatto anteporre la propria visibilità e il proprio ritorno politico e di immagine, alle potenzialità e alle richieste delle lotte dei detenuti. Dall'altra sponda, molto spesso i reclusi, una volta raggiunta l'attenzione di figure in grado di amplificarne le richieste, sono disposti a cedere le redini e la conduzione della mobilitazione. Di fatto, a Regina Coeli, quello che era partito nelle dichiarazioni come uno sciopero della fame “a oltranza”, si è interrotto dopo 3 giorni, quando il Garante dei detenuti ha annunciato che avrebbe consegnato il documento della protesta dei detenuti a diversi esponenti dello Stato.
La notizia positiva è invece che, in molte altre carceri italiane a cui l'annuncio della mobilitazione è giunto senza mediazioni para-istituzionali, la lotta continua ad estendersi, almeno per ora in modo autonomo. Oltre ai detenuti, anche centinaia di loro parenti e familiari stanno intraprendendo lo sciopero della fame.
In sintesi: sciopero della fame, del lavoro e battiture a Rieti, Fuorni, Poggioreale, Catania Piazza Lanza, Sassari San Sebastiano, Agrigento, Cagliari Buon Cammino, Vercelli, Velletri, di Opera e San Vittore a Milano, Imperia, Ancona, Prato, Ariano Irpino, Venezia, Alessandria, Lanciano e Marassi. E probabilmente altri di cui non abbiamo notizia.
A Verona invece dello sciopero della fame, oltre alle battiture, i detenuti hanno iniziato dalla scorsa settimana a dare fuoco a lenzuola e bombolette del gas.
In questa conta non rientrano per esempio le battiture di Bolzano, iniziate qualche giorno prima rispetto al 15 maggio, ma in ogni caso, anche nei limiti di quel che ci è dato per ora conoscere, è una mobilitazione che ha penetrato e contagiato gli spazi detentivi di diverse città.
Insomma, sembrerebbero essere almeno una ventina le carceri contemporaneamente coinvolte da questa ondata di protesta. Nei prossimi giorni potremo osservare quali delle forze in campo avrà la meglio; e quindi se la cappa di cemento della censura di regime riuscirà a silenziare e far rientrare questa protesta, se partiti-partitini e mediatori vari riusciranno a rendere vani gli sforzi e la volontà dei detenuti in lotta, o se invece la pressione dentro, e auspicabilmente anche fuori le carceri, darà qualche forma di risultato.
Poi c'è il caldo estivo che incombe come minaccia ulteriore alla già compromessa possibilità di sopportare la privazione della libertà e i modi in cui viene somministrata. E il calore, come ogni estate, potrebbe aumentare la pressione.
24 maggio 2010
fonte: bello come una prigione che brucia [trasmissione di Radio Blackout]
da informa-azione.info
Cile: Dopo 60 giorni di sciopero della fame
dei prigionieri del "Caso Bombas"
Giovedì 21 aprile si compiono 60 gg dello sciopero della fame sostenuto dai nostri cari. Due mesi in cui il campo di battaglia è stato il loro proprio corpo, che giorno dopo giorno si vede consumato, con una perdita di peso di mediamente 13kg.
Visto che lo stato di salute fisico e mentale dei nostri compagni sta peggiorando considerabilmente, contro la carente informazione su questo sciopero nella maggior parte dei mezzi d'informazione e la costante repressione che viviamo noi come individualità solidari nelle nostre manifestazioni di strada, lanciamo un appello a unirsi alla campagna informativa e di denuncia, inviando e-mail, fax, ecc.a a tutti i mezzi d'informazione possibili (radio, tv, internet, quotidiani), a enti governativi, alla gendarmeria cilena, a ambasciate e/o consolati del cile all'estero, organizzazioni di diritti umani, o qualsiasi ente che possa essere pertinente.
L'informazione che suggeriamo è la seguente:
Il giorno 21 aprile si compiono 60 giorni di sciopero della fame di carattere indefinito mantenuta da 10 sequestrati dallo stato cileno nel contesto del montatura politica chiamata Caso Bombas.
Denunciamo la farsa che mantiene rinchiusi i nostri cari, amici e familiari, senza prove valide e mediante la legge antiterrorista, la quale mantiene vizi di tempi della dittatura di Pinochet, perpetuati grazie ad anni di governo concertativo e migliorati dall' attuale governo di Piñera, quali: testimoni “senza volto”; voto unanime per ottenere la libertà condizionale.
Informiamo e denunciamo che il mediatico "caso bombas" è una montatura politica, la cui unica finalità è rinchiudere la dissidenza, quelli che pensano diversamente, quelli che hanno il coraggio di costruire nuove forme di relazioni antiautoritarie e anarchiche in opposizione al potere, criminalizzando i legami di amicizia alla stessa maniera dei centri sociali e delle biblioteche occupate.
Le richieste dei prigionieri in sciopero della fame sono:
- libertà immediata;
- rifiuto di essere processati secondo la legge antiterrorista;
- modifica delle misure cautelari contro i compagni (fine della detenzione preventiva);
- abrogazione della legge antiterrorista e dei suoi testimoni “senza volto”;
- abrogazione dell’art. 7 comma 19 della costituzione (voto unanime per ottenere la libertà condizionale);
- rivendicazione dei diritti carcerari.
Infine facciamo un appello a solidarizzare, diffondere e creare nuovi spazi di denuncia e informazione.
Perché il “caso Bombas” è una montatura politica!
Libertà immediata ai sequestrati dello stato cileno!
Rompiamo il silenzio dei mezzi di informazione!
Qui di seguito alcuni indirizzi ... a orecchie sorde, parole insistenti!
webmaster@gendarmeria.cl, mjirkal@interior.gov.cl, rcastro@interior.gov.cl, jcampos@minjusticia.cl, osobral@sernam.cl, ngamboa@minsegpres.gov.cl, miguel.sanchez@msgg.gov.cl, info@amnistia.cl, informaciones@inmaculadaconcepcion.cl, rrpp@canal13.cl, recepcion@chilevision.cl, rrpp@redtv.cl, mpandolf@lared.cl, rpena@lared.cl, rrpp@tvn.cl, tvngprog@tvn.cl, estonotienenombre@tvn.cl, podriaserpeor@laradio.cl, radio@adnradio.cl, latercera@latercera.cl, contacto@lacuarta.cl, cmunoz@mercurio.cl, mcifuentes@mercurio.cl, ralvarez@mercurio.cl
21 aprile 2011
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Il, 26 aprile, le compagne ed i compagni, sequestrati per la montatura "Caso Bombas", hanno deciso di abbandonare lo sciopero della fame che portavano avanti da 65 giorni, dal 21 febbraio di quest'anno. Sulla decisione presa, aspettiamo che siano essi/e stessi/e a pronunciarsi, perché nessuna notizia ci farà sapere come si sentono e perché l'hanno
deciso, a meno che non esca dalla loro bocca. Comunque sia, la lotta affinché riacquistino la libertà continua e adesso dobbiamo sostenerli nel recupero dal lungo digiuno, non solo a livello materiale ma anche morale, com'è avvenuto fino ad ora. Che la solidarietà non si fermi. La nostra forza per essi/e.
da informa-azione.info
IL CARCERE NON È LA SOLUZIONE MA PARTE DEL PROBLEMA
Di fronte alla gravità delle condizioni detentive nelle galere italiane, proponiamo una settimana di mobilitazioni a sostegno delle proteste nelle carceri, nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e negli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).
Al cosiddetto sovraffollamento che costringe molti a dormire per terra, in condizioni igieniche precarie e a stare stipati come sardine in scatola, si è aggiunta la carenza cronica di acqua, riscaldamento, cibo, in quantità e qualità, di assistenza e di cure mediche adeguate.
Tali problemi, da sempre presenti negli istituti di pena, sono stati aggravati dai pesanti tagli alla spesa pubblica che hanno investito trasversalmente tutta la società (scuole, università, servizi sociali, sanità e trasporti) ai quali la crisi economica ha fornito un ottimo pretesto, favorendo al contempo processi di privatizzazione.
Le molte lettere che sono giunte in questi ultimi mesi sono esaustive in tal senso.
Il "piano carceri" approntato dal governo consiste in un programma di potenziamento delle strutture detentive che serve a garantire profitti in tempo di crisi ai grandi costruttori edili e clientele al maggiore partito di governo attraverso una legislazione speciale che concentra il potere decisionale, ad esempio in materia di appalti pubblici, nelle mani di commissari straordinari, diretta emanazione del Consiglio dei Ministri.
Così, da L'Aquila ai rifiuti in Campania, dal sovraffollamento carcerario agli immigrati in fuga dall'Africa, di emergenza in emergenza, l'eccezione diventa la norma; ed è una norma che ben risponde alle esigenze dei padroni e del loro stato, soprattutto ora che è in guerra ed hanno necessità di reprimere con maggior forza chi, in un modo o nell'altro, intralcia gli interessi della macchina da guerra, fino anche il dissenso. Hanno necessità anche di ingabbiare crudelmente nei CIE buona parte di coloro che scappano dalla miseria, dallo sfruttamento e dalle bombe che essi stessi scaricano. Non solo, quando giustamente gli immigrati protestano, passano da questi "moderni" campi d'internamento al carcere vero e proprio, come mostra la recente vicenda dei tunisini a Milano: provenienti da Lampedusa e relegati nel CIE di via Corelli, sono finiti a San Vittore in seguito alle lotte scoppiate all'interno.
Teniamo presente che il 37% dei detenuti all'interno delle carceri italiane sono immigrati da altri paesi e il 41% è ancora in attesa di giudizio definitivo.
Lo stato di emergenza nelle carceri, dichiarato nel gennaio 2010, serve soltanto questi interessi. Come interpretare altrimenti l'inutilità della legge "svuotacarceri" (legge n. 199 del 26/11/2010) che ha posto agli arresti domiciliari poco più di 1.000 dei 70 mila detenuti che crescono con un ritmo di 700-800 ogni mese? Che l'emergenza non riguardi le condizioni di vita di migliaia di detenuti lo dimostra anche il fatto che i nuovi padiglioni, all'interno di carceri già esistenti, vengano costruiti sui campi sportivi e nelle aree verdi, sacrificando i già miseri spazi aperti e di socialità. Oppure che i soldi della Cassa delle Ammende, destinati a progetti di "reinserimento sociale" dei detenuti, siano stati utilizzati per l'edilizia penitenziaria.
Attraverso la costruzione di nuove strutture carcerarie e paracarcerarie e con una legislazione sempre più di stampo emergenziale e "bipartisan" (pacchetti sicurezza), questa nuova democrazia autoritaria si prepara a gestire il contesto di crisi economica globale: non solo per imporre i sacrifici ai proletari (cassintegrazione, disoccupazione, precarietà, carovita) ma anche per impedire che la crisi economica possa tramutarsi in crisi politica.
Quindi, da una parte carceri di "media sicurezza" in strutture prefabbricate finanziate e gestite da capitale misto pubblico-privato unitamente allo sviluppo del circuito paracarcerario ma ad esso integrato dei CIE e dei nuovi campi di internamento che sorgono un po' dappertutto nel paese, come ad esempio il CAI (Centro di Accoglienza e Identificazione) di Manduria (Ta) destinato a rinchiudere fino a 4.000 persone.
Dall'altra, carceri di "alta sicurezza" ulteriormente suddivise da sezioni detentive speciali (Alta Sicurezza: AS1, AS2, AS3; art. 14-bis) che attingono sempre più in termini di privazioni e isolamento dall'art. 41-bis.
Tutto ciò prospetta un sistema di elevata differenziazione e deterrenza, regolato in modo tanto più discrezionale quanto più è marcata l'emergenza del momento, destinato a rinchiudere, nelle medesime condizioni di oggi, se non peggiori, 100 mila persone.
Il governo, con i recenti provvedimenti, dimostra altresì la chiara volontà di consolidare il carcere e, soprattutto, la sua funzione terrorizzante ed intimidatrice contro chi si contrappone ai suoi programmi. In specifico aggravando ed estendendo costantemente sia le pene che la carcerazione preventiva (sono quasi 15 mila i detenuti in attesa di primo giudizio), molto lunga in particolare per i reati associativi che permettono tra l'altro di ingabbiare molte persone contemporaneamente.
Le innumerevoli associazioni "sovversive" e "a delinquere", appioppate in tutta Italia, sono evidentemente finalizzate ad imprigionare e ad intimidire chi si oppone alle violenze imposte dal mercato, dai fascisti, dai padroni e dal loro stato.
Con la stessa intensità vengono caricati, denunciati e processati gli occupanti di case, gli studenti contro la "riforma" Gelmini, chi si oppone alle discariche e alle nocività in genere, i terremotati de L'Aquila, i lavoratori che si ribellano e lottano contro il peggioramento delle già misere condizioni lavorative in cui versano.
Da sempre e con maggior solerzia negli ultimi anni - da Genova in poi, passando per la "guerra infinita contro il terrorismo" - il tentativo dello stato è quello di controllare e reprimere coloro che lottano e si ribellano alle condizioni di miseria in cui vivono e coloro che vogliono un sistema sociale senza sfruttamento disuguaglianze e guerre.
Di fronte a questo scenario già in atto crediamo che tali questioni debbano essere poste a livello nazionale, in termini politici e complessivi e non soltanto umanitari e "settoriali" al fine di incoraggiare le lotte all'interno delle carceri e stimolare una maggiore dialettica fra interno ed esterno.
Proponiamo pertanto di intraprendere un percorso per dare sostegno concreto alle lotte dentro e fuori i luoghi di detenzione, su tutto il territorio nazionale, con i collettivi e le esperienze che già agiscono su questo terreno.
Come primo momento il nostro intento è quello di costruire, ognuno a partire dalla propria specificità, un'incisiva mobilitazione in tutto il paese, nell'arco di una settimana, davanti a carceri, CIE e OPG, dal 25 giugno al 2 luglio 2011.
Ovviamente tale proposta, che verrà fatta circolare anche nelle carceri, ha inoltre l'obiettivo di rendere noto il più possibile le proteste e le lotte - spesso purtroppo solo individuali - che ci sono quotidianamente all'interno, per poterle sostenere e, come scrivono dal carcere, "renderle collettive, generalizzate e incisive. Ciascuno, da entrambi i lati del muro, può rilanciare la lotta contro carcere e repressione".
Invitiamo tutti/e a comunicare all'indirizzo cordatesa@autistici.org la propria adesione inviando proposte, comunicati e programmi delle iniziative in modo da raccogliere e rendere disponibile i contributi e il calendario aggiornato delle mobilitazioni sul sito cordatesa.noblogs.org
Milano, maggio 2011
Assemblea regionale contro carcere e CIE - Lombardia
Dal dentro al fuori
Volantino distribuito davanti al carcere di Monza
La situazione carceraria attuale volge sempre più all'isolamento e alla repressione del detenuto; il sovraffollamento delle case circondariali, problema esistente anche nel carcere monzese, non allevia la condizione del detenuto, che oltre alla privazione della libertà, vive un disagio fisico e psichico. Non esiste alcuna forma di contatto con l'esterno, e anche per gli stessi familiari interagire con l'interno è difficoltoso, quando non impossibile.
Creare canali differenti rispetto agli attuali, riconosciuti dal sistema giudiziario, è un'operazione possibile che assicura un contatto reale col detenuto.
Se avete un parente o siete un detenuto e volete raccontare la vostra storia, descrivere la vostra situazione o semplicemente riportare opinioni scriveteci all'indirizzo:
CordaTesa, via Casati 31 - 20043 - Arcore (MB)
Oppure alla casella e-mail: cordatesa@autistici.org
Se foste interessati a ricevere materiale inerente al carcere bsta richiederlo. Per i familiari e i detenuti il materiale e gratuito (spesa di spedizione inclusa).
Monza, 21 maggio 2011
***
CORDA TESA
Corda tesa è un gruppo nato dalla volontà di alcune persone facenti parte del collettivo della FOA Boccaccio di lavorare in maniera seria e documentata, basandosi su testimonianze, dati e ricerche sulle realtà concentrazionarie, luoghi in cui la presenza dello stato nella vita di una persona si manifesta in maniera totalizzante, le cosidette istituzioni totali: carceri, psichiatria, ospedali ma anche CIE, vera e propria aberrazione della reclusione, in cui questa avviene soltanto in base alla propria nazionalità.
E' in questi luoghi, che si manifesta in maniera completa la perdita dell'autonomia dell'individuo, che vede la propria esistenza regolata dalla legge che ne scandisce i ritmi dell'esistenza, rendendo anche evidente quanto l'ordine sociale sia basato su codici e regole che non possono tollerare devianza alcuna per la propria realizzazione. Il nostro obiettivo non è soltanto quello di rendere note informazioni spesso nascoste o ignorate, ma anche di riuscire in qualche modo ad interagire con queste realtà tramite il contatto con chi queste realtà le vive quotidianamente sulla propria pelle. Ovviamente il nostro sguardo nei confronti di queste realtà non può che essere critico e vicino a idee tendenti alla propria abolizione, consci che in questi luoghi il potere rinchiude chi è più indifeso e maggiormente esposto alle ripercussioni della legge perchè non in grado di difendersi. E' attraverso questi luoghi che passa la mutazione dallo stato liberale allo stato carcerario che si manifesta aumentando il numero degli atti perseguibili legalmente, estendendo le categorie da colpire e su cui applicare la legge, nella trasformazione della società che rende ognuno di noi potenziali poliziotti o comunque dalla parte della legge e per la legalità. Le case farmaceutiche uccidono, le banche rubano, la legge non è uguale per tutti. Queste parole qualunquiste fanno parte del sentire comune di chiunque ma non riescono a creare indignazione, volontà di ribellarsi, anzi vengono accettati come dati di fatto inevitabili. La tolleranza zero diventa così l'unico modo, l'unico cavallo di battaglia di una società deideologizzata che crea continuamente nuove paure, nuovi nemici.
In questo è bravo anche il dominio, che rende impossibile che in questi luoghi nascano pratiche di consapevolezza a riguardo della propria condizione, creando soltanto luoghi di disperazione e punizione, dove spariscono le regole della dignità umana.
Abbiamo scelto il nome Corda Tesa perché si presta a svariati interpretazioni esignificati:
Corda tesa come una corda lanciata verso l'abbandono e la solitudine che abitano e animano questi luoghi, spezzando l'isolamento verso quell'umanità che viene dimenticata quando delle sbarre gli si richiudono alle spalle.
Corda tesa come una corda di uno strumento musicale che ad ogni giro della chiavetta si tende sempre più fino a giungere ad un punto di rottura e a spezzarsi, perchè la tensione è arrivata al massimo tollerabile.
Corda tesa come la corda su cui tutti noi, inconsci acrobati, ci troviamo a camminare sperando di non precipitare o che non ci si spezzi sotto i piedi.
Contro il carcere, l'articolo 41 bis e la differenziazione!
Sabato 18 giugno 2011 ore 10.00 piazza Fontana Luminosa (L'Aquila)
Mobilitazione a L'Aquila e presidio davanti al carcere di Costarelle di Preturo (L'Aquila) in solidarietà ai compagni sotto processo!
Contro il carcere, l'articolo 41 bis e la differenziazione!
In sostegno ai prigionieri rivoluzionari e alle lotte di tutti i detenuti!
In solidarietà a chi porta avanti pratiche di resistenza nel territorio!
La crisi economica pesa ogni giorni di più sulle tasche della gente e gli scenari di guerra si allargano, anche sul fronte interno. Di fronte all'aumentare della repressione negli ultimi mesi, in cui numerosi compagni sono stati perquisiti, indagati e arrestati, rilanciamo con maggiore forza la partecipazione alla mobilitazione del 18 giugno, perché contro la repressione non si tace e si deve lottare fianco a fianco!
Non facciamo passare in silenzio le 22 condanne emesse dal tribunale di L'Aquila
Trasformiamo il processo alle lotte in un processo di lotta:
Torniamo con più forza a L'Aquila! Mobilitiamoci tutti, uniamo le lotte!
La mobilitazione dell'11 giugno a L'Aquila, week end in cui si terrà il referendum abrogativo per l'acqua e in cui vige ancora il "silenzio elettorale", è stata spostata al sabato 18 giugno. Invitiamo tutti i compagni a diffondere il più possibile la variazione dell'appuntamento.
Assemblea per la giornata di lotta dell'11 giugno
aquila11giugno@autistici.org
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Di ritorno da L'Aquila, 10 maggio 2011
Nelle giornate dello scorso fine settimana e di inizio della presente alcune compagne e compagni hanno viaggiato verso L'Aquila per portare avanti rapporti e preparativi in vista della mobilitazione prevista per sabato 11 giugno 2011.
Questo viaggio diversamente da quello del marzo scorso è avvenuto in un momento in cui la piccola parte del centro-città rimasta percorribile (sulla base della stretta militarizzazione imposta sin dai primi giorni dal terremoto esploso il 6 aprile 2009) è stata vivacizzata da manifestazioni molteplici promosse da "L'Aquiladonne". Il carattere dell'appello al femminile era così espresso nel volantino della chiamata: "Il comitato "Donne terre-mutate" lancia un incontro nazionale a L'Aquila per il 7 e l'8 maggio 2011. Per portare le donne di tutta Italia a vedere L'Aquila come è. A sentirne gli odori, a toccare le spaccature e a stringere mani. Per accompagnarle a visitare la "zona rossa" ancora militarizzata, ad entrare nelle C.A.S.E. dove (non) si vive bene, a camminare nei quartieri vuoti e abbandonati, a passeggiare nel centro dopo le undici di sera (prima che chiudano i cancelli)."
Mentre la "zona rossa", il centro della città, è stato reso un deserto che lentamente (ma neanche tanto) tuttavia inesorabilmente sta scivolando nelle mani della speculazione, la gran parte della popolazione (circa 20mila persone) tira avanti nei 19 insediamenti abitativi costruiti in modo sconnesso e provvisorio nel vasto territorio del comune aquilano. Siamo andati a vedere da vicino qualcuno di questi insediamenti, abbiamo parlato con persone che li abitano. Ci si è trovati di fronte a centri abitati spettrali, dove chi s'ammala non ha dove esser curato, dove non ci sono scuole, campi sportivi, biblioteche, osterie, laboratori, dove gli abitanti hanno una vaga conoscenza del vicino e ancor meno del territorio circostante…
Alle poche centinaia di persone che si muovevano fra i luoghi dove si svolgevano le iniziative di "Aquiladonne" o che passeggiavano lungo il corso cittadino centrale, dove sono aperti pochissimi locali, abbiamo distribuito il nostro appello alla mobilitazione per l'11 giugno. Qui abbiamo constatato una buona disposizione ad ascoltarci, a capire le nostre intenzioni. Ci siamo trovati di fronte ad un interesse verso il volantinaggio e soprattutto ad un'attenzione ai contenuti del volantino certamente meno superficiali dell'atteggiamento incontrato nella preparazione della manifestazione del 3 giugno 2007. Si vede che lo scossone della militarizzazione, della repressione, del coprifuoco e della tenaglia della speculazione immobiliare ha lavorato nel profondo delle coscienze della popolazione. Abbiamo anche osservato, ascoltando alcuni dibattiti organizzati, che diverse donne del luogo associano facilmente la propria città a quelle distrutte dalle guerre o dalle occupazioni, come la Palestina, tema spesso ricorrente.
Si può insomma constatare che esiste un clima favorevole nei confronti della giornata di lotta che stiamo promuovendo, di cui occorre tener ben conto nei temi da sviluppare negli interventi da qui a quel giorno, in particolare durante il corteo in città. Ci si riferisce soprattutto al legame fra repressione-carcere-41bis, alla funzione in tutto ciò del carcere come del tribunale di L'Aquila corresponsabile in ciò che avviene in quel carcere, da qui la solerzia dimostrata nel colpire compagne e compagni; allo stesso tempo corresponsabile dell'estensione delle "mani sulla città" attuata dalla combriccola multinazionale immobiliare. Su questi punti alcuni compagni incontrati in città, che conoscono senz'altro più profondamente di noi la questione, si sono detti disponibili ad intervenire durante il corteo. Vedremo.
Lunedì mattina siamo andati a volantinare ai famigliari che si recavano al colloquio. Solo tre famiglie nel corso della mattinata sono arrivate. Nello scambio di parole con queste persone abbiamo avuto conferma che ora l'intero carcere è sottoposto al regime del 41bis (circa 150 prigionieri); che negli ultimi tempi i colloqui sono stati dimezzati: da due di un'ora ciascuno a uno solo di un'ora; che l'aria giornaliera è stata ridotta ad appena un'ora e che la censura è minuziosa e volutamente ritardataria per mesi, a volte anni, nella consegna della posta. Contro questo andazzo i prigionieri qua e la protestano con battiture…
Infine ci si è recati in questura per consegnare il fax per annunciare alla polizia il corteo in città e il presidio sotto il carcere. Il funzionario di turno ci ha semplicemente detto che nella giornata di sabato 11 giugno non era possibile alcuna manifestazione politica perché in quel giorno sarebbe ancora stato in vigore il "silenzio elettorale", in questo caso relativo ai referendum sull'acqua… per i quali si vota il 12 giugno. Dopo un breve scambio di battute ci si è trovati concordi nel spostare la mobilitazione di una settimana, a sabato 18 giugno, in modo da non disperdere in nessun caso, soprattutto, l'opera di tessitura fin qui messa in piedi.
Per la precisione nel fax abbiamo scritto, che il 18 giugno 2011 terremo un corteo in città (da Fontana Luminosa alla Villa Comunale di via Crispi compresa) dalle ore 10 del mattino alle 14 ed un presidio sotto il carcere di Costarelle di Preturo dalle 14,30 alle 18,30. Non si arriverà in corteo al tribunale, come pensato, poiché questo è stato attualmente ricostruito in un paesino limitrofo a L'Aquila.
fonte: cccpsri1@gmail.com
Firenze: nuova Operazione repressiva
Intorno alle 6 del mattino le abitazioni di diversi compagni e compagne attivi a Firenze sono state invase dagli operatori della repressione per mettere in atto una nuova tappa nell'attacco alle realtà conflittuali, antiautoritarie e anarchiche. Come recentemente avvenuto a Bologna, anche in questo caso, lo strumento utilizzato per colpire e arrestare dei compagni, è il reato di associazione a delinquere. Da quanto possiamo apprendere dalle veline diffuse dai media di regime, questa volta avrebbe assunto una nuova declinazione: se per i compagni bolognesi l'accusa era inizialmente di "associazione a delinquere con finalità eversive", questa volta si tratterebbe, con uno strano avvitamento, di "associazione a delinquere finalizzata all'istigazione a delinquere", sostenuta da reati specifici quali occupazione abusiva di edifici pubblici, danneggiamento, deturpamento e imbrattamento di beni immobili, resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio e violenza privata.
Da notare come questo attacco al movimento anarchico e studentesco fiorentino, oltre ad avere evidenti promotori nell'amministrazione locale, abbia coinvolto gli apparati centrali della repressione italiana come esplicitato in questo estratto: "I provvedimenti sono stati eseguiti dalla Digos e coordinati dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione (Ucigos). [...] All'indagine hanno contribuito anche i servizi segreti (Aisi) con il loro supporto informativo." [Ansa.it]
Sommare reati specifici di scarsa rilevanza penale e riunirli sotto il cappello del reato associativo, sembra essere una strategia da somministrare a livello nazionale, coinvolgendo direttamente i centri nevralgici della repressione, per scardinare le realtà di conflitto, dissenso e controinformazione presenti nelle diverse città.
Attacchi di questo tipo denotano la paura che si instilla nel Potere Democratico, nell'osservare come certe pratiche e certe relazioni, riproducibili e moltiplicabili, possano disturbare i riti e le maschere con i quali cerca di celare una realtà di oppressione e violenza.
4 maggio 2011
Solidali con i compagni di Firenze
informa-azione
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LIBERTA’ PER TUTTI!
Bilancio dell’operazione del 4 maggio: 5 arresti domiciliari, 17 obblighi di firma, 22 perquisizioni in abitazioni private, perquisizione allo Spazio Liberato 400Colpi (con massicci sequestri e danneggiamenti). Accusa: associazione a delinquere. I fatti contestati sono per lo più gli episodi di conflitto che hanno scaldato l’ultimo autunno, ma non solo. Manifestazioni non autorizzate, occupazioni, danneggiamenti di banche, blocchi stradali e ferroviari, i tafferugli a Novoli per cacciare la ministra Santanchè dalla facoltà, presidi di solidarietà al Tribunale dei Minori durante i processi ai compagni.
LIBERTA’ PER PIETRO LUCA MASSI DANI E VITTORIO!
Un abbraccio di cuore a i compagni di ogni dove che in queste ore hanno saputo dimostrarci una solidarietà emozionante.
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Nessun arresto fermerà questa nuova primavera…
“Associazione a delinquere”, dicono loro. Noi diciamo autonomia, conflitto, azione diretta. La definiscono “smantellata”. Noi ridiamo pensando alla loro illusione.
Che l’operazione sia il frutto dell’ennesima montatura giuridica è cosa ovvia, e non abbiamo nessuna voglia di sprecare parola in merito.
Non ci stupisce il fatto che a subire obblighi di firma e perquisizioni siano stati anche diversi compagni che non partecipano alle assemblee dello Spazio Liberato 400Colpi. Sono i compagni con cui abbiamo condiviso percorsi di lotta, sono le amicizie politiche che, aldilà dei confini geopolitici classici, ci siamo sempre proposti di coltivare. Dei legami che sono stati capaci di produrre conflitto e che ci hanno fatto respirare aria nuova in una Firenze pacificata.
“Bliz contro gli anarchici”, dicono loro. Noi diciamo operazione anti-insurrezionale contro tutti quelli che hanno deciso di abbandonare il feticismo dell’identità per costruire una prospettiva rivoluzionare reale dell’oggi. Contro chi, al di là di parrocchie e liturgie, ha avuto il coraggio di abitare con determinazione quei piccoli spazi di conflitto che negli ultimi mesi hanno creato crepe all’interno del dispositivo metropolitano senza portarsi dietro bandiere nè dogmi, ma confrontandosi con umiltà con un reale da conoscere e sovvertire. Contro quel movimento reale che dai tempi dell’ “onda” ha iniziato ad emergere dalle sabbie mobili del rivendicazionismo studentista e della “protesta civile”, e fottendosene contemporaneamento di cristallizzare la propria identità all’interno di una delle “aree militanti”.
Giornali e TV potranno dipingerci quanto vogliono come una setta anarcoide isolata. Sappiamo che lì fuori, nelle scuole, nelle università, nei quartieri, ci sono tanti compagni che ci conoscono e riconoscono come compagni. Fratelli con cui abbiamo condiviso materialmente e non tutti gli episodi “delittuosi” di cui ci incolpano: dall’occupazione di scuole e facoltà, dai picchetti antisfratto ai blocchi dei flussi metropolitani passando per i cortei selvaggi. Siamo sicuri che queste amicizie politiche si dimostreranno più forti di ogni operazione sbirresca.
Lo sciopero irreversibile avanza, crea sempre più crepe, preoccupa il Partito dell’Ordine partendo dal ministero dell’interno fino ad arrivare al funzionario Digos locale. Una mobilitazione studentesca più piccante del solito, una Piazza del Popolo in rivolta, una insieme di piccoli gesti scioperanti e di nuovi legami. Il bisogno di espandere ed organizzare questo movimento reale a Firenze come in altre città ha già iniziato a farsi programma. Difficile, ambizioso, pericoloso, certo. Ma nulla potrà fermare questa nuova primavera.
LIBERTA’ PER TUTTI I COMPAGNI.
A TESTA ALTA PER IL CONFLITTO SOCIALE
Spazio Liberato 400Colpi
per l’autonomia diffusa
Aosta: Perquisite case di due compagni
La mattina dell’8 maggio, intorno alle sette, la Questura di Aosta ha autorizzato a due gruppi di agenti della DIGOS la perquisizione delle abitazioni di due compagni dell'area “antagonista” valdostana. Il motivo? Secondo il questore, i due compagni potevano essere gli artefici dell'attacco con lancio di bottiglie molotov verificatosi poche ore prime (intorno alle 4:30 del mattino) contro la filiale della banca Unicredit in corso Padre Lorenzo ad Aosta.
Queste perquisizioni ai nostri occhi hanno un significato molto chiaro: quello di reprimere sul nascere il giovane movimento antagonista valdostano, che dal mese di marzo ha iniziato a prendere forma nella Valle con manifestazioni e iniziative legate soprattutto al tema dell'immigrazione e delle libertà negate (nel mondo del lavoro, in quello della scuola, nella società tutta). Intimidazioni che ovviamente non ci faranno desistere dal nostro obiettivo, che resta sempre lo stesso: aprire nella barriera delle costrizioni, dei pregiudizi e dell'immobilismo sociale e culturale di questa terra una breccia, uno spiraglio di libertà.
Antagoniste/i della Valle d'Aosta
fonte: indymedia piemonte
Sentenza “Brushwood”:
La prima associazione sovversiva a due nel mondo
Il minimo della pena è sempre troppo! La Corte d’Assise di Terni condanna per 3 anni e 8 mesi Michele Fabiani e 2 anni e 6 Andrea Dinucci per un reato, l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo, che ne prevede minimo 7 massimo 15. La metà del minimo della pena: pochissimo si dirà, se poi si considera che ne erano stati chiesti 9… un’ enormità invece. Un’enormità se si considera che si tratta di una presunta associazione composta da soli due membri. Un’enormità se si considera che in un rivendicazione è stata trovata un’impronta che non è di nessuno degli imputati. Un’enormità se si considera che Michele era in Puglia quando è partita la lettera di minacce alla Lorenzetti. 12 mesi sono stati dati a Dario Polinori e anche a Damiano Corrias, colpevole secondo le stesse accuse di aver fatto una scritta su un muro. Ma pochissimo, ribadiamo, meno della metà del minimo della pena, se fossero dei veri eversori. Come mai così “poco”? Evidentemente i giudici sanno che questi ragazzi sono innocenti, non hanno voluto calcare la mano, ma hanno dovuto confermare il teorema: l’associazione senza reati, quasi tutti finiti con delle assoluzioni; un’associazione senza membri, un anarchico e il suo amico.
In questo momento Michele e Andrea sono gli unici due condannati in primo grado per aver fatto parte della Federazione Anarchica Informale: gli unici due nel mondo. Anche fossero vere le accuse – e non lo sono – in questi 10 anni di “guerra” fra lo Stato e gli anarchici insurrezionalisti ben miseri risultati hanno raggiunto gli apparati di polizia. Che sia così è stato confermato dal PM Manuela Comodi che nell’udienza di ieri, 10 maggio, ha dichiarato: “so che nessuno è mai stato condannato per essere membro della Federazione Anarchica Informale, sono certa che questa sarà la prima volta”. Insomma serviva un precedente per i ROS del Generalissimo Ganzer, il leader dei Carabinieri condannato a 14 anni per spaccio solo pochi mesi fa.
Alcune domande: quando lo scorso anno il Giudice Socci domandò ad uno dei massimi esponenti del ROS “quali sono le armi, dove è il covo, dove sono le fonti di finanziamento?” trovò solo un imbarazzante silenzio. E lì borbottò dicendo “ma qui si parla di reato associativo!!!”. Oggi vorremmo sapere cosa è cambiato oltre al giudice Lanzillotto ?
L’enormità di una sentenza di una associazione sovversiva a 2, è tale che torneremo tra poche ore con un comunicato per chiarire nel modo migliore possibile quanto clamorosa sia questa sentenza politica.
11 maggio 2011
COMITATO 23 OTTOBRE
da anarchaos.org
23 Aprile, Ostermarsch (Manifestazione della Pasqua) a Berlino
Un futuro senza armi atomiche e centrali nucleari - spegnere le centrali nucleari! - sbarazzarsi delle armi nucleari!
Quest'anno il movimento pacifista e antinucleare con un appello comune a prendere parte all'Ostmarsch della capitale, hanno dato a questa un impulso forte e visibile.
Lo scenario persistente della catastrofe di Fukushima in queste settimane non ha soltanto riportato alla mente i cattivi ricordi di Cernobyl: di nuovo tanta gente, come i 4 mila dimostranti di ieri a Berlino, ha deciso di scendere in strada, di non farsi ninnare, come dopo Cernobyl, dalle campagne mediatiche delle lobby nucleari bramose di profitto e dalla marmaglia irresponsabile dei politicanti.
Verso le 11,45 cento persone con bandiere, cartelli, striscioni si sono ritrovate davanti alla Vattenfall-Haus sulla Chausseestr. angolo Zinnowitzerstr. In breve tempo tutte queste strade sono state bloccate al traffico e percorse dal corteo, la cui parola d'ordine più ripetuta è stata: SPEGNERE - SPEGNERE - SPEGNERE.
Manifesti e striscioni mettevano in risalto l'incontrollabilità della tecnica nucleare; nei fatti è ormai chiaro che rispetto al pericolo non esiste assolutamente nessuna differenza fra un presunto "buon" utilizzo civile e un "cattivo" utilizzo militare; questo perché l'impiego civile e militare sono molto vicini, mentre rimane in ogni caso irrisolta e nebulosa la questione dello stoccaggio delle scorie nucleari. Le forze armate si sbarazzano in maniera perversa e criminale delle scorie radioattive impiegate in munizioni che frantumano il cemento e un carro armato; munizioni tuttavia i cui rivestimenti vengono mischiati all'uranio arricchito. Ciò rende il loro guscio estremamente duro al punto da riuscire a trapassare come fosse burro il cemento più robusto e la corazza vieppiù consistente di un carro armato. L'esplosione di queste bombe libera pericolosamente nell'aria particelle di uranio temprato; a causa di questo materiale molte persone e per diverse generazioni continueranno a contrarre il cancro. In particolare su questo terreno si sono distinte le forze amate USA e della NATO nei Balcani, in Irak, in Afghanistan, ed ora presumibilmente anche in Libia. Anche Israele, ad ogni modo, è stato accusato di aver adoperato munizioni fabbricate con uranio arricchito.
Così ieri accanto alla richiesta dell'immediata chiusura di tutte le centrali nucleari (nella RFT, dove ne esistono ben 19, ndc) e di destare l'attenzione internazionale sulla tecnologia nucleare è stata ribadita anche la richiesta di mettere immediatamente fine a tutte le guerre di aggressione condotte nel mondo dagli USA e dalla NATO per assicurare risorse a buon mercato all'economia occidentale. Nella manifestazione è stata fra l'altro criticata duramente la doppia morale degli aggressori, che, contemporaneamente, lanciano bombe per la presumibile sicurezza della popolazione e della Libia, ma restano indifferenti di fronte al fatto che nei loro stati amici quali Jemen, Bahrain e in altri paesi "alleati", centinaia di pacifici dimostranti sono presi a fucilate, migliaia imprigionati e torturati - in Bahrain addirittura con l'aiuto incalzante dell'esercito saudita. Attualmente in Siria e in Egitto sta accadendo di peggio. Questo era scritto su striscioni e volantini.
Nell'Ostmarsch di ieri, in conclusione, c'è stato consenso sul fatto che le guerre d'aggressione per quanto abbellite non possono aver nulla di umanitario e che l'impiego nucleare è comunque un pericolo, anzi, che entrambi gli utilizzi sono criminali e indegni dell'homo sapiens. "BOMBARDARE PER LA PACE E' COME SCOPARE PER LA VERGINITA'", come dice una vecchia parola d'ordine anarchica.
Bernd Kudanek alias bjk, 24 aprile 2011
da de.indymedia.org/2011/04/305671.shtml
Svizzera: Comunicato sullo sciopero della fame
Dal 1 al 28 maggio intraprendiamo un nuovo sciopero dei pasti a staffetta di 7 giorni ciascuna, come nuova iniziativa collettiva per dare continuità ai legami e rapporti già intrecciati con altri scioperi e molte iniziative solidali e di lotta fuori dal carcere, e anche come risposta ai tentativi della procura federale svizzera e della repressione internazionale di denigrare, isolare e stroncare le lotte.
Tentativi che rimarranno sempre vani davanti alla nostra determinazione di non spezzare quel filo che ci unisce a voi compagni/e fuori ma di invece continuare a tesserlo insieme, come parte del movimento rivoluzionario, del movimento di Liberazione Animale e della Terra.
Un anno fa, l'inizio dell'enorme catastrofe BP-Deep Water-Horizon conferma il principio della società tecnoindustriale che i suoi rimedi tecnologici alle catastrofi della tecnologia saranno sempre peggiori del male che pretendono di curare, aggiungendo invece a ogni distruzione un'altra e più grande distruzione. In questo caso con l'agente chimico a composizione nanotech e segreta dalle conseguenze ignote irrorato in modo sperimentale in quantità enormi nell'ambiente marino.
A composizione segreta come il composto chimico immesso ad alta pressione insieme a sabbia ed acqua nelle profondità del sottosuolo, per, grazie a nuove tecnologie, la perforazione-estrazione del gas sciste, vale a dire non più del gas naturale in grandi bolle in via di esaurimento, ma del gas contenuto in miriadi di bollicine racchiuse negli strati scistosi come l'argilla. Con ben immaginabili conseguenze disastrose come i terremoti e l'ulteriore inquinamento chimico in superficie e delle falde acquifere. Emblematico è la proliferazione nei media corporativi delle pubblicità del gas come energia verde che con Fukushima ha soppiantato quelle per l'energia nucleare come energia pulita...
E le immagini del nord del Giappone sono entrate nelle nostre case e celle con tutta la loro forza impressionante di un evento difficile da immaginarsi.
L' indomabilità degli elementi naturali mette a nudo tutta la presunzione antropocentrista del progresso tecno-scientifico e, insieme alla vita di migliaia di persone, spazzano via in un pomeriggio tutte le certezze di una società urbana.
Tutt'intorno a noi scienza, economia e governi hanno modellato l'esistente ponendoci tutti in sospeso su di un'impalcatura autoreggente artificiale tutt'altro che solida: appunto la società tecnologica e industriale.
Da millenni di civilizzazione ora condensata nella sua espressione più totale e globale che è il Capitale multinazionale, siamo forzati/e tutti/e ad affidare le nostre vite alle sue nocività e illusioni. Con la stupida arroganza che lungo tutta la storia ha caratterizzato ogni dominante, il potere non può permettersi una messa in discussione di sè e del presente in cui ci ha costretto. Disposto ai ritocchi, comunque sempre false soluzioni, solo se possono rafforzare la sua legittimità, non può però che continuare a riprodursi in una spirale continua i cui cerchi asfissianti vanno sempre più restringendosi attorno a noi. Dove le bio- e nanotecnologie interne a questa spirale nociva che è il sistema in sè, non sono affatto semplici ed ulteriori sviluppi tecnologici tra i tanti, ma sono invece la tecnologia chiave con cui tutta l'impalcatura su cui siamo deportati/e lontani/e dal nostro mondo naturale si sta restaurando e, all'interno della spirale tecno-industriale, rappresentano quell'anello di catena che va a chiudere il cerchio d'acciaio del dominio delle nostre vite e su tutto l'esistente.
Dove a preoccupare i profitti dei padroni e delle loro multinazionali non sono più tanto quelle masse divenute succube del progresso materiale, bensì i "limiti" stessi di questo pianeta. Nasce l'esigenza allora di ottenere nuove materie prime, nuovi materiali e sostanze con nuove proprietà, nuove forme di produrre energia, nuove specie vegetali e animali “migliorate”, nuove applicazioni alimentari, industriali e mediche ottenute con la manipolazione del vivente e della materia.
Innovazioni che, come d'altronde tutte le cruciali innovazioni tecnologiche della civilizzazione, nascono dalle esigenze militari per la guerra imperialista verso l'esterno e l'interno per la trinità conquista, controllo e sfruttamento.
Guerra, che oggi più che mai trascende l'ambito militare e ha allargato il suo fronte, appunto, a ogni espressione del vivente e della materia sia nano sia macro e supera finanche il pianeta terra per sé.
Così ogni settore produttivo investe in queste tecnologie, ma non accontentandosi più della ristrettezza dei laboratori di ricerca ma trasformando, dopo averlo trasformato finanche insieme allo spazio in un unica discarica mortifera e nauseabonda, l'intero pianeta in un laboratorio, un nuovo mondo vivente, o meglio agonizzante, ingegnerizzato.
Non per - come vogliono far credere le grandi campagne di “green-washing” del terrorismo mediatico e statale delle corporazioni - risolvere i disastri sociale e ambientali originati dal sistema, ma per poter continuare sempre e ancora a riprodurre questo sistema di dominio e di sfruttamento fino a chiudere definitivamente l'accerchiamento tecno-industriale.
Attraverso questa iniziativa vogliamo trasmettere uno specifico sentire rivoluzionario anarchico ecologista, che ci porta a contrastare con una priorità d'intervento le biotecnologie, le nanotecnologie e la ricerca nucleare poiché nocività pilastro su cui il sistema và ricombinandosi. Ecco perchè cogliamo l'occasione anche e soprattutto per un appello al rilancio della lotta all'ingegneria genetica e in particolare alla continua diffusione, articolata dall' EFSA a Parma come passaggio obbligatorio, degli OGM in Europa sostenuta dalle multinazionali chimiche e agro-alimentari, che puntano ad una liberalizzazione delle sementi OGM. Anche questo è parte, e parte cruciale, del tentativo d'estendere il controllo e dominio totale e assoluto in tutti i processi biologici (come per quelli sociali ed economici con la nanotecnologia/tecnologia informatica) riducendo l'essere vivente ad un mero aggregato di geni da plasmare a convenienza della produzione.
Lotta che non passa delegando ad esperti/e o politici/he sempre complici ma organizzando iniziative ed agendo diffusamente per fermare queste necrologie.
Con questo sciopero ribadiamo la nostra volontà di rimanere soggetti attivi in un più vasto percorso di lotta a lungo termine, abbattendo muri, sbarre e frontiere del potere e rinnovando complicità attiva a tutti/e coloro che lottano contro l'oppressione dell'uomo sull'uomo, sulla donna, sugli altri animali e sulla terra tutta!
Complicità e solidarietà incondizionata ai ribelli che il 7 febbraio si sono opposti a un trasporto della morte in Val Susa!
Complicità e solidarietà incondizionata ai/alle 5 compagni/e sequestrati/e il 6 aprile 2011 e a tutti/e colpiti/e da questa ennesima repressione basata sui fascistissimi articoli associativi d'Italia!
Solidarietà ai/alle compagni/e della guerriglia sociale ostaggi in Grecia, in Cile, in Argentina, in Messico, e dappertutto nel mondo!
Solidarietà ai/alle compagni/e della montatura “caso bombas” ed ai quattro prigionieri politici Mapuche, tutti/e in sciopero della fame e ostaggi dello stato fascista in Cile!
Nonché a tutti/e i/le prigionieri/e rivoluzionari/e ostaggi della guerra sociale qui in Europa come nelle Americhe e ovunque nel mondo!
E non per ultimo, un caloroso saluto rivoluzionario a voi compas riuniti/e in questo 1. Maggio qui a Zurigo e nel resto della Svizzera, dove nella convergenza delle vostre specificità ci sappiamo vivamente presenti, dove, come prigionieri/e rivoluzionari/e, ci sappiamo vivamente presenti anche nella forte mobilitazione e partecipazione internazionale contro la repressione e per la liberazione di noi prigionieri/e rivoluzionari/e !
Con la solidarietà in movimento, la repressione non fermerà le nostre lotte! La passione per la libertà è più forte di ogni autorità!
Inizio maggio, dal carcere svizzero
Silvia, Costa, Marco, Billy
Luca Bernasconi, Regionalgefaengnis Thun, Allmendstr. 3 - 3600 Thun
Costantino Ragusa, Regionalgefaengnis Bern, Genfergasse 22 - 3001 Bern
Silvia Guerini, Regionalgefaengnis Biel, Spitalstr. 20 - 2502 Biel/Bienne
Marco Camenisch, Justizvollzugsanstalt Lenzburg, Postfach 75 - 5600 Lenzburg
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In una sua lettera Costantino ci invita a precisare che il documento “Fermiamo il nucleare” pubblicato nell’opuscolo n.54 non è stato scritto da lui ma probabilmente ad un collettivo di Genova.
TAV E RIFIUTI HANNO IN COMUNE UN BUROCRATE E...
11 maggio 2011: Rivoli. L’affollatissimo Consiglio Comunale aperto di Rivoli è stato chiuso alle ore 1,00 da Paolo Foietta che, indispettito dalle osservazioni del pubblico, di fronte alla serietà e all’impegno di coloro che evidenziano le criticità enormi del progetto, ha invitato il pubblico ed i NO TAV a “smettere di giocare”.
Il pubblico ha vivacemente e rumorosamente risposto a questo insulto.
Carlo Gottero (ex Presidente della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Torino) a quel punto si è avvicinato al funzionario chiedendo ragione di questo pubblico insulto. Paolo Foietta (alle ore 1 e 3’ del 12 maggio) lo ha pubblicamente schiaffeggiato sulla guancia sinistra.
Sono intervenuti i Vigili Urbani, i Carabinieri, il digos di turno, il Sindaco di Rivoli e altri per cercare di placare la situazione, mentre il pubblico vociava e scandiva: vergogna !
A questo punto è probabilmente utile una spiegazione: Chi è Paolo Foietta, da anni impegnato a difendere i progetti TAV come se fossero i suoi?
È un cumianese, politico di lungo corso (PCI, PDS, DS e PD), burocrate provinciale, ex presidente della comunità montana Pinerolese Pedemontano, presidente dell’ATO-R (Associazione d’Ambito Torinese per il Governo dei Rifiuti); dirigente della Provincia di Torino in qualità di: Coordinatore Interarea, Direttore dell’Area Territorio e Trasporti, Dirigente del Servizio Gestione delle Informazioni Territoriali, Ambientali e Cartografiche,Dirigente dei servizi Amministrazione e Controllo delle aree, Sviluppo Sostenibile Pianificazione Ambientale e Risorse Idriche e Qualità dell’Aria. Questo dipendente pubblico, come è possibile verificare sui siti ufficiali, soltanto per l’incarico di dirigente provinciale percepisce oltre 147.000 euro annui.
Lo stesso funzionario provinciale si occupa di TAV e di rifiuti. Che cos'altro hanno in comune oltre a Foietta TAV e rifiuti? Un luogo, un punto sulla cartina geografica, centro di interesse comune di TAV e rifiuti è infatti lo scalo merci di Orbassano, localizzato a circa 500 metri dall’inceneritore, altra opera colossale in cui è coinvolto Foietta. Non a caso lo scalo merci di Orbassano col suo fascio di 70 binari è collegato direttamente, sempre con binari dedicati all'inceneritore, pardon, temovalorizzatore. Dopo le balle del TAV arriveranno le ECO BALLE di Napoli?
Insomma: Foietta è un nostro dipendente, dovrebbe occuparsi di territorio, avere rapporti costruttivi e rispetto dei coltivatori diretti… invece va a Rivoli e prende a schiaffi proprio l’ex presidente della Coldiretti Carlo Gottero. Complimenti! Chissà se dopo questa bella prova di sé in provincia non troveranno qualcuno più educato da mettere su quella seggiola. Se fosse un nostro dipendente (e lo è) comineremmo a cercare qualcuno meno avvezzo a menar le mani.
12 maggio 2011
Ambientevalsusa - info@ambientevalsusa.it
Napoli: Tre studenti accoltellati dai camerati di Casapound
Inoltriamo il comunicato dei compagni della Federico II di Napoli sugli eventi accaduti nella loro città, venerdì 29 aprile, e sullo scontro avvenuto prima con i cani fascisti di casapound e in seguito con gli sbirri a protezione di quest'ultimi. Nell'attuale fase di crisi economica capitalista fomentare, finanziare, proteggere e coprire organizzazioni neofasciste, è funzionale allo stato borghese per mantenere dominanti i valori quali il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, proseguendo nella mobilitazione reazionaria e nella conseguente guerra tra poveri. Ed è anche funzionale nel colpire i compagni e coloro che si organizzano nella lotta e nel conflitto a questo sistema di barbarie. Per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà militante ai compagni e alle compagne di Napoli che in Italia rappresentano un esempio per determinazione e militanza antifascista, sempre a testa alta di fronte ai fascisti e a chi li manovra, così come nelle lotte proletarie nel loro teritorio.
Ricordiamo che negli stessi giorni si sono verificate delle aggressioni fasciste anche a Roma a danno di alcuni giovani compagni con protagonisti sempre i servi di casapound, mentre sabato 30 aggressioni neofasciste sono accadute a Milano. Anche a loro va tutta la nostra solidarietà.
www.cpogramigna.org
Il 28 Aprile, in serata, compaiono alcune scritte fasciste sui muri della facoltà di Lettere, luogo in cui studiamo e in cui passiamo le nostre giornate: svastiche, croci celtiche, minacce di vario tipo, tra cui la scritta “antifa vi buchiamo”. Alla luce di quello che succederà la mattinata seguente, valutiamo questa frase come un chiaro segnale circa la premeditazione e la provocazione dell’agire dei fascisti.
In mattinata, ci ritroviamo all’ingresso della facoltà di Lettere per ripulire i muri alla luce del sole, come sempre, davanti a tutti: studenti, professori e passanti, perché la facoltà è nostra e non abbiamo bisogno di strisciare di notte per non farci vedere. Come sempre, ribadiamo a testa alta ed in ogni istante il nostro essere antifascisti, nei nostri quartieri, nelle nostre strade e nelle facoltà, ribadendo che mai permetteremo un passo avanti di qualsivoglia gruppo neofascista o neonazista, che si chiami CasaPound o Stupor Mundi.
In mattinata un noto fascista di Torre del Greco, responsabile delle scritte della sera precedente, inizia una lunga serie di provocazioni che terminano con ripetute minacce, coltello alla mano, di far venire i suoi “amici” ad ammazzarci; senza nessun passo indietro, viene allontanato con determinazione.
Mentre l’opera di pulizia prende avvio, viene notato un gruppo di tre ragazzi che passa in mezzo a noi, non ci basta il tempo di mettere a fuoco le loro facce e riconoscerli in quanto esponenti della nota Casapound, che questi tirano fuori i coltelli. Lo scontro è inevitabile. Senza paura delle lame, con decisione e forza, i fascisti vengono allontanati.
Non gli sarà permesso, né ieri né mai, di diffondere odio e razzismo nella nostra città.
I nostri compagni, con evidenti e gravi ferite da taglio, vengono portati in ospedale per essere medicati; saranno necessari diversi punti di sutura e per uno sarà programmato un intervento chirurgico alla mano, trapassata quasi da parte a parte, recidendo dei nervi. Solo la sua prontezza di riflessi ha evitato che la coltellata gli perforasse la gola. Era un colpo inferto per uccidere. Senza neanche dare il tempo ai compagni di ricevere le cure mediche che la DIGOS è già sopraggiunta all’ospedale per costringere i nostri compagni a presentarsi in Questura per essere sentiti sui fatti.
Come sempre non denunceremo i nostri aggressori, ben consapevoli che invece pioveranno denunce su di noi. Fiducia nella giustizia non ne abbiamo mai avuta e non saranno delle coltellate a farci cambiare idea; la storia ci insegna che i fascisti sono funzionali alla conservazione di questo sistema di potere e come tali li combatteremo sempre, senza implorare l’intervento della polizia di uno stato in cui non crediamo.
I compagni usciranno dalla Questura diverse ore dopo con un’indagine per rissa aggravata sulle spalle.
La risposta che la città riesce a dare è rabbiosa e immediata: appena i compagni vengono rilasciati, parte un corteo per le strade del centro storico, reagendo così in maniera determinata all’aggressione della mattina, denunciando la responsabilità e la connivenza del pdl e di Lettieri con i neofascisti di Casapound,candidati nelle loro liste alle prossime elezioni. Uno su tutti Enrico Tarantino, candidato nella lista “liberi per lettieri”, protagonista dell’aggressione in seguito alla quale riporta una decina di punti in testa (lo stesso che qualche giorno fa sul suo profilo facebook aveva espresso la propria stima per Hitler).
Il corteo cercherà di raggiungere la sede del PdL in Piazza Dante per esprimere il proprio sdegno, ma diverse cariche della polizia con manganelli e lacrimogeni lo impedirà.
Se il nostro odio ricade sui candidati che permettono la candidatura di questi personaggi, ne conserviamo d’uguale misura per tutti gli esponenti del panorama politico che ora si affannano a pubblicare messaggi di solidarietà a Lettieri.
Non esiste, per quanto ci riguarda, esponente che ci possa rappresentare; l’antifascismo non lo deleghiamo ad alcun partito. Non appoggiamo nessun programma e nessun candidato concorrente alle prossime elezioni. Siamo certi che solo la lotta nelle strade, nelle piazze e nelle assemblee dal basso sia in grado di costruire una vera alternativa a questo sistema.
La nostra autonomia è la nostra forza, quello che abbiamo lo abbiamo conquistato con la lotta e con il sacrificio quotidiano. Tra queste, le aule occupate nelle università, luoghi in cui svolgiamo la nostra attività politica; consideriamo altresì pietoso l’opportunista comunicato di Casapound, in seguito ai fatti di ieri, in cui non si esita ad invocare l’intervento della polizia contro i luoghi di reale protagonismo studentesco.
Consideriamo ancora più grave la possibilità e lo spazio che viene concesso a dei nazisti assassini dai giornali e dalle televisioni che, compiacenti, avallano la tesi di una guerra tra bande, finendo per mettere sullo stesso piano chi parla di superiorità della razza e chi di solidarietà e uguaglianza. E’ inutile ricordare gli eventi di Piazza Navona 2008, le centinaia di aggressioni ogni anno e gli incalcolabili agguati impuniti di cui Cp o l’estrema destra in generale, si sono resi protagonisti. A tal proposito, citiamo gli eventi di Roma di questa settimana e l’episodio di ieri qui a Napoli, già esplicativi di per sè.
La responsabilità degli organi di stampa per le ripercussioni di questi eventi non passeranno, per quanto ci riguarda in secondo piano e non le sottovaluteremo in nessun modo. In conclusione ringraziamo infinitamente tutti i ragazzi e i compagni che ci sono stati vicino. Non un passo indietro. TONINO LIBERO
29 aprile 2011
Studenti Federico II, da studentifedericosecondo.org
genova: Attacco incendiario contro lo Spazio di documentazione “Il Grimaldello”
Nella notte del 18 maggio, intorno alle 03:00, “ignoti” hanno compiuto un attacco incendiario contro lo Spazio di documentazione “Il Grimaldello” in via Della Maddalena 81/r nel cuore del centro storico di Genova.
Per sgomberare il campo da ipotesi fuorvianti precisiamo che in cinque anni esatti di attività “Il Grimaldello” non ha mai avuto problemi di vicinato di nessun tipo. Seppur all’interno di quello che è considerato un “territorio difficile”, l’attività dello spazio di documentazione ha sempre raccolto solidarietà, rispetto, spesso complicità da parte degli abitanti della zona.
Le modalità dell’attacco rimandano a qualcosa che a Genova non si vedeva da anni: l’incendio è stato provocato da una fiammata che ha distrutto le vetrate d’ingresso, la libreria e vari oggetti e arredi circostanti. L’arrivo dei pompieri – che tutt’ora non sappiamo chi ha avvertito – ha impedito all’incendio di propagarsi.
Sottolineiamo che i quattro piani sovrastanti “Il Grimaldello” sono tutti abitati e solo la fortuna ha impedito che l’intero palazzo prendesse fuoco. Gli autori dell’attentato hanno a tutti gli effetti rischiato di assassinare delle persone che a quell’ora stavano tranquillamente dormendo nelle loro case.
Né la polizia né i pompieri accorsi si sono presi la briga di avvertire dell’accaduto gli affittuari e la proprietà del circolo: l’attentato ci è stato raccontato dagli organi di informazione il mattino seguente, dopo che la Digos era giunta – e ripartita – dal locale (a quanto pare sequestrando “qualcosa”).
Meno di un mese fa tre sconosciuti a volto coperto avevano infranto la vetrata del circolo e tentato di colpire con delle pietre due compagni che si erano attardati all’interno dello spazio dopo un’iniziativa. Oggi dalle pietre sono passati al fuoco: non sappiamo chi siano gli autori materiali dell’attentato, ma ci sono pochi dubbi su chi siano i veri responsabili di un atto che poteva causare dei morti: chi soffia sul fuoco dell’odio razziale, chi finanzia e protegge gruppi e atti fascisti, le camicie verdi che guidano il paese… e in finale chi si sente esaltato da quest’atmosfera e, di conseguenza, non sopporta che qualcuno continui a opporsi a tutto ciò.
Nel nostro piccolo abbiamo tentato in questi anni di lottare contro il razzismo, la militarizzazione delle strade, l’alienazione sociale e culturale, e quant’altro contribuisce a questo sistema al collasso. Continueremo a farlo.
Lunedì 23 alle 17 ci troviamo davanti alla chiesa di san siro ASSEMBLEA PUBBLICA su vivibilità e dinamiche dei quartieri in cui viviamo, presidio itinerante per il centro storico.
da spazio-di-documentazione-il-grimaldello.noblogs.org
monza: DA UNO SPAZIO ALL’ALTRO, MA ORA GUAI A CHI CI TOCCA
I segnali lanciati con i cortei contro lo sgombero di via Aspromonte 12 (quello pomeridiano studentesco e quello serale) e la successiva rioccupazione di via Durini 19 sono stati molto chiari. Indietro non si torna: lo spazio sociale a Monza, la sua esistenza, sono dati di fatto che diamo per consolidati.
Tutto il resto sono chiacchere di un talk show a cui non abbiamo interesse a partecipare, ma che guardiamo dall’esterno, negli intervalli del nostro lavoro quotidiano.
Vediamo come in consiglio comunale la compagine di Mariani cerca di destreggiarsi maldestramente di fronte alla forza messa in campo dalla F.O.A. Boccaccio, rifugiandosi nelle solite argomentazioni di carattere legalitario e nelle fandonie di presunti alfieri della sicurezza cittadina.
Il dato politico che emerge chiaro da settimane di mobilitazione è uno solo: la forza propulsiva delle idee e le energie che scaturiscono dalla nostra determinazione nel perseguire gli obiettivi sono aumentate e divenute capaci di abbattere gli ostacoli che questa Amministrazione ha cercato di porre sulla nostra strada.
Occorre sottolineare che finora tutto è avvenuto senza alcun turbamento dell’ordine pubblico, incidente, o disagio per la città, ma solo attraverso una strategia ben pianificata, frutto dell’intelligenza collettiva di centinaia di persone (studenti, lavoratori, disoccupati) che individuano pratiche e linguaggi in funzione degli obiettivi che ci si pone.
Però la rabbia accumulata in otto anni di repressione e sgomberi, di progetti mutilati sul nascere o dopo anni di consolidata validità, di trattative affossate, avrebbe legittimamente potuto declinarsi in altra maniera.
E’ chiaro che se qualcuno proverà ancora, in preda al delirio legalitario, ad affrontare “manu militari” le problematiche che solleviamo, che sono di natura sociale, culturale, politica, la risposta della piazza potrebbe essere diversa, calibrata su un accanimento inaccettabile nei nostri confronti.
L’ottavo sgombero non sarà tollerato: da via Durini ce ne andiamo solo se un nuovo spazio sarà pronto ad accogliere le nostre attività.
Dateci l’Apollo, dateci i magazzini di via Aspromonte 12, dateci uno spazio comunale qualsiasi (e ce ne sono tanti) così non dovrete preoccuparvi della nostra “incolumità” nell’attuale sede del Boccaccio, da alcuni definita “fatiscente”. Ci siamo stancati di proprietari che si ricordano dell’esistenza di questi spazi solo se qualcuno prova a recuperarli, per poi rivolerli indietro e lasciarli ancora a marcire (sorte destinata a tutti gli spazi che abbiamo toccato). Alla fatiscenza facciamo fronte col nostro lavoro quotidiano di recupero, perché noi questi luoghi li facciamo rivivere, non li danneggiamo, come l’ass. Villa ha affermato recentemente. Si vada a fare un giro in via Boccaccio 6 per verificare qual è lo stato dello stabile da quando è stato sgomberato.
Comunque per ora siamo in via Durini 19 e continuiamo nei nostri percorsi: il Boccaccio c’è e continua a operare, esprimendo contenuti e parole d’ordine chiare. Oggi, 6 maggio 2011, giornata di un controverso sciopero generale parliamo di lavoro e lo facciamo a modo nostro, sottolineando in primis la necessità di trovare nuove forme di sciopero che tornino a far male a chi ci ha reso precari, sfruttati, incarcerati nella dinamica di un’esistenza priva di prospettiva di reddito e diritti. La critical mass che abbiamo organizzato e che ha attraversato in maniera creativa la città, toccando alcuni luoghi simbolo di quelli che chiamiamo “assi della precarietà” (lavoro, casa, affetti, saperi, mobilità), è una piccola prova di “sciopero precario”, un esperimento per testimoniare che con fantasia e capacità di comunicazione si possono superare strumenti di lotta ormai incapaci di ridefinire i rapporti di forza tra chi produce ricchezza e non ne gode (noi) e chi invece la accumula sfruttandoci.
In questa giornata abbiamo anche deciso di inaugurare un nuovo spazio pubblico all’interno della F.O.A. Boccaccio: il Cafè Precario (boccaccio.noblogs.org/post/2011/05/05/inagurazione-cafe-precario).
Vogliamo che sia luogo di transito e di confronto tra tutti coloro che non si riconoscono nella Monza che viviamo oggi e in generale nel regime esistenziale a cui troppi si stanno abituando. Servono luoghi di conflitto, laboratori per studiare forme di lotta e ambiti di condivisione di saperi, conoscenze, esperienze. Servono luoghi collettivi, dove organizzarsi e pensare come utilizzare il nuovo spazio, facendo ripartire i percorsi nati in tre settimane di occupazione all’interno dello stabile di via Aspromonte 12. Speriamo dunque che questo Cafè sia un luogo di questo tipo.
F.O.A. Boccaccio 003
Via Durini 19, Monza
boccaccio.noblogs.org
racconto della resistenza ad uno sgombero a Milano
"L'acqua è fuori dalle trattative"
La lotta per sottrarre spazi e tempo alla mercificazione, anche a Milano non conosce sosta. Domenica 15 maggio di primo mattino, le compagne e i compagni sgomberati alcune settimane prima dalla piscina Caimi, tornano ad occupare per costruire un nuovo spazio liberato, aperto alla costruzione e organizzazione della lotta contro la società del capitale fondata sull'odio tra i popoli, sulle guerre di rapina, sullo sfruttamento; contro i sanguisuga della rendita edilizia, tra i quali un posto di primo piano e del tutto particolare è detenuto dall'Aler (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale, l'ente che gestisce a favore delle società private l'intero patrimonio edile pubblico della Lombardia). Quella domenica il gruppo occupa due villette, entrambe fino a qualche mese prima ospitavano uffici dell'Aler; i due edifici sono situati tra p.za Asperi e via del Sarto (zona piazzale Susa). Si trovano su un'area assieme ad una quindicina di edifici simili, villette inglesi con relativo giardino, destinate ad ospitare capi d'azienda e gentaglia simile, in occasione dell'Expo 2015. Per questo motivo sono state quasi tutte sgomberate; agli affittuari non è stato rinnovato il contratto, proponendo loro soluzioni abitative in altre zone della città, nonostante abitassero lì da decenni, alcuni dal 1946. Una villa, la sola già ristrutturata, situata accanto a quella occupata dai compas, sicuramente continuerà ad essere abitata dall'inquilina attuale, Livia Pomodoro, presidente del tribunale a Milano. Quest'ultima presenza unita al binomio speculativo Aler-Expo 2015 sarà determinante nella decisione subitanea dello sgombero e della conseguente resistenza. L'ingresso alla chetichella dei compas alla villetta, riesce senza difficoltà. Per l'intera giornata di domenica, si tira avanti a finestre e porte chiuse, mentre vengono predisposte le barricate.
Lunedì 16 l'occupazione diventa un fatto pubblico, anche senza i soliti annunci. La scorta della giudice, i funzionari dell'Aler chiamati da qualche loro collaboratore, fanno giungere sul luogo la digos con un seguito più folto del solito. La sera arrivano altri compas, si tiene assemblea, in cui viene precisato lo scopo dell'occupazione insieme alla determinazione a difenderla e così ad affermare che la resistenza è possibile, che gli spazi per organizzarla e rafforzarla si prendono, che solo con la lotta è possibile sottrarsi al controllo, al massacro della concorrenza e dell'alienazione. Martedì 17 la giornata trascorre tranquilla con i lavori di sistemazione abitativa e di difesa.
Mercoledì 18 scatta l'operazione sgombero, risultato della stretta collaborazione tra Aler, prefettura, questura e carabinieri. Dopo l'uscita dalla villetta di alcuni compagni che si recano al lavoro, attorno alle 9 nuguli di sbirri, uscendo dai giardini laterali, si catapultano sulle porte e le finestre delle villette occupate. Le fortificazioni tengono, così 10 compas riescono a trovare il tempo di salire sul tetto, portando con sé coperte, acqua, cellulari e poco altro. Lo spazio per resistere è preso. Nell'immediato arriva il sostegno di altri compas. Prende corpo una sorta di cordinamento tra tetto e piazza. Come prima mossa il gruppo della piazza, decide di bloccare la strada su cui transita la linea del tram, con un nastro. La digos lo strappa e dispone l'accerchiamento. Sul tetto si riesce a scrivere su un lembo di lenzuolo "Aler, A2A, Expo, sbirri. Merde". Al gruppo iniziale continuano ad aggiungersi altre persone. Gli sbirri per circa mezz'ora tengono il gruppo accerchiato, come in ostaggio. Con la protesta e la pressione verbale viene ottenuta una stretta via di uscita. Il gruppo si allontana: tenendosi al centro della strada, raggiunge la vicina sede centrale dell'Aler, dove viene fatta la battitura sulle inferriate dell'enorme edificio, mentre gli accessi ad esso vengono bloccati dalla digos. Viste le difficoltà il gruppo decide di dirigersi verso un'altra sede dell'Aler. Durante il percorso vengono strappati manifesti elettorali, gettati in mezzo alla stada materiali della segnaletica stradale; il gruppo viene costantemente inseguito dalla digos. Giunti alla sede dell'Aler vengono urlati slogan, poi, per sottrarsi allo stretto controllo della digos, viene deciso di prendere un bus, l'inseguimento della polizia viene affidato alle volanti; quando dopo qualche fermata il gruppo scende dal bus si trova accerchiato da due volanti della polizia e dal solito nutrito nucleo della digos.
Alcuni riescono a scappare, otto rimangono chiusi nella morsa, perquisiti e trasportati in questura. Qui avviene l'identificazione unita alle foto e al rilevamento delle impronte digitali ed infine la denuncia per "manifestazione non autorizzata… danneggiamento… detenzione di oggetti pericolosi". Tutto questo si protrae dalle 12.30 fino alle 19, facendo così saltare il corteo lanciato per le 18. Quando i fermati ritornano in piazza i compas presenti sono una ventina; il clima è buono, la comunicazione tra tetto e piazza funziona a voce, con il lancio di messaggi nelle bottiglie e telefonicamente. Si urlano slogan, si canta e si scherza insieme. La digos non smetterà mai di infastidire i compagni sul tetto, invitandoli a desistere. Dal tetto diviene pressante la richiesta di acqua e cibo, mentre viene comunicata l'esigenza di far scendere due compagni colpiti da un'insolazione. Verso le 22 la presenza in piazza è salita ad oltre 50 persone La trattativa con la digos non è affatto semplice, viene comunque raggiunto l'obiettivo di far scendere i compagni tramite i vigili del fuoco per essere consegnati immediatamente ai presidianti. Durante l'attesa della salita dei vigili del fuoco, si riesce ad immettere nella loro gru acqua e cibarie, che riescono ad arrivare a destinazione. Poco dopo un compagno riesce ad agganciare un sacchetto di acqua e cibarie ad una corda ricavata da pezze di lenzuola, tesa dal tetto, gli sbirri si accorgono, si attaccano al sacchetto e pur di non farlo salire tirano la corda fino a quasi far cadere il compagno sul tetto; è un chiaro tentato omicidio. I compas storditi dal sole scendono accolti in un clima gioioso e di forte comune sentire. Si decide di trattare con la digos la consegna dell'acqua e cibo, ma la risposta è assolutamente negativa: "L'acqua è fuori dalla trattativa", quindi potrà arrivare sul tetto solo con l'azione diretta.
Pur in un territorio ormai fortemente sotto controllo degli sbirri, viene compiuto uno spostamento dei compas in modo da confondere ed allentare quella morsa, per rendere così possibile il lancio da due posizioni diverse. Dopo qualche attimo di sorpresa gli sbirri si schierano e attaccano: un compagno viene colpito alla testa e sanguina, un altro all'occhio con conseguente rottura degli occhiali, altri ancora vengono colpiti alle spalle e sulle braccia. Ciò non impedisce, anzi, di far arrivare acqua e cibarie sul tetto. Questa azione è stata sostenuta dal tetto sia verbalmente dal tetto con parole quali: "Ma che cosa state facendo? Negate l'acqua, ci volete morti? Sono cose che non avvengono nemmeno in guerra!" che con il lancio di calcinacci sugli sbirri. In tutte le persone presenti c'è la coscienza di aver concluso una giornata di lotta densa di significati positivi. Sono già le 4 del mattino. Nella piazza rimane un presidio di circa 15 persone.
Il mattino di giovedì 19 viene trattata un'altra discesa dal tetto, cercando di ripeterla nella forma della notte precedente. La digos oppone un netto rifiuto, perché, dice: "Chi vuole scendere non sta male". Il compagno dovrà scendere, passando per le scale; non sarà così possibile far arrivare gli alimenti come è stato fatto la sera precedente. La piazza comincia a prendere le sembianze di un presidio permanente, vengono appesi striscioni con le scritte: "Se odi De Corato suona il clacson" (De Corato è il vicesindaco responsabile della sicurezza) - "Welcome to Place Tahir", "Speculazione edilizia, sgomberi non fermano la lotta".
Vengono distribuiti ai passanti, nei vicini bar volantini di informazione e sostegno della lotta. Si fa avanti la prospettiva di tenere una festa in serata. Dal tetto vengono lanciati messaggi in bottiglia sulla continuità della resistenza e sulla necessità di far scendere una compagna scossa dalle vertigini. Tutto questo, mentre gli accessi alla piazza e di ogni sua via laterale, vengono piantonati da polizia, carabinieri e vigili. I vigili del fuoco, intimoriti dagli sbirri, questa volta non si prestano a portare i generi di prima necessità. L'ordine dello stato è chiaro, tener fuori da ogni trattativa l'acqua, se necessario fino all'estreme conseguenze, per ottenere al più presto possibile la discesa dal tetto. Gli sbirri cercano di impedire ai compas della piazza di avvicinarsi alla gru per accogliere la compagna; lei rifiuta a scendere in quelle condizioni, la gru scende a terra vuota. Riparte la trattativa, la polizia rallenta la morsa e la compagna riesce a scendere e viene accolta immediatamente dalla piazza. Tra gli ostacoli posti dagli sbirri si aggiunge il divieto di far arrivare l'impianto di sonorizzazione, così a tutti i furgoni viene impedito l'accesso nella piazza. Si cena in un clima di buona intesa con il tetto: utilizzando un megafono si canta e si lanciano parole d'ordine assieme. Tre compagni entrati in un bar di piazzale Susa vengono minacciati ed aggrediti da un manipolo di tamarri nazi. Una decina di compagni si stacca dal presidio per prendere visione del pericolo, ma alla vista di un rafforzamento dei nazi armati di coltelli, decide di ritornare al presidio e di comunicare a tutti i presidianti di muoversi con cautela ed in gruppo.
Venerdì 20 il presidio prosegue con la palla al piede del diktat dello stato. Sul tetto ormai l'acqua ed il cibo sono ridotti al lumicino. Verso le 14.30\15.00 il presidio composto da una quindicina di compas decide di rompere i divieti. Seguendo più o meno lo schema della notte precedente, si riesce a far piovere sul tetto due mele e due bottigliette d'acqua. Gli sbirri, superati alcuni istanti di sorpresa, si scagliano contro i compas, ne immobilizzano due e tutti gli altri vengono accerchiati. Un compagno verrà denunciato sul posto per danneggiamento (ad uno sbirro si sono rotti gli occhiali). Una compagna reagisce con durezza allo spintonamento di uno sbirro, si crea un clima di tensione poi superato dalla pronta reazione dei compagni. In piazza si cercano strade differenti di trattative. Si pensa di far salire una dottoressa solidale per verificare lo stato di salute di chi sta sul tetto, la digos rifiuta la proposta condizionando la salita della dottoressa alla presenza del 118 (emergenza sanitaria); la consegna dell'acqua può essere compiuta solamente con la dichiarazione favorevole della dottoressa del 118 fatta arrivare sul posto dalla digos e, inoltre, soltanto "se i parametri vitali sono in pericolo". I compas, sentendo la dichiarazione della dottoressa : "La polizia non fa arrivare l'acqua neanche sul tetto di casa mia", mettono fine ad ogni trattativa.
Verso le 18 la piazza conquista il permesso di installare l'impianto sonoro entro orari che verranno ampiamente superati. Di fronte all'impossibilità di far salire sul tetto i generi di prima necessità, l'assemblea della piazza, propone a quelli sul tetto di scendere, ma a determinate condizioni, cioè, che i compagni scendano e siano immediatamente cosegnati ai presidianti. Un compagno portavoce ed un avvocato salgono, attorniati dalla digos percomunicare a quelli del tetto le decisioni prese. Mentre la serata prosegue con musica ed interventi, dal tetto arriva la comunicazione della disponibilità a scendere, con la coscienza che anche in caso di rifiuto, sul tetto si può resistere ancora un giorno. La risposta della digos arriva dopo mezz'ora: accetta le condizioni poste.
La discesa avviene in un clima sentito e festoso al canto di: "Noi non vi lasceremo mai… per sempre noi staremo qui !".
Queste giornate hanno insegnato a tutti e tutte che alla repressione dello stato, ai suoi tentativi di dividerci, la compattezza non si sottomette ma reagisce, la lotta va avanti!
Milano, maggio 2011
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CI VUOLE ALTEZZA O Qualche battuta di una tintarella che dura da più di 32 ore.
Se stiamo su questo tetto da ormai molto tempo non e’ ne per protesta ne perché ci illudiamo di tenere questa casa ma piuttosto perché pensiamo agli sgomberi passati e a quelli futuri.
Gli sbirri devono capire, ed era stato dimenticato negli ultimi recenti sgomberi, che cacciare via della gente dal proprio posto, dalla propria casa non e’ ne un lavoro veloce ne tanto meno facile. Speriamo di farli sudare sangue il più possibile e ci auguriamo che molti altri lo facciano con noi.
L’occupazione ha per noi un ruolo centrale all’interno di un movimento rivoluzionario
Di questi tempi la questione dell’abitare e di come ci rapportiamo ai luoghi della nostra vita è importantissima. Le occupazioni sono per noi sia mezzi che fini. Solo negli spazi comuni dove il privato è convertito in comune, dove la circolazione e la condivisione sono al loro punto più alto, solo in questi luoghi si può progettare e costruire la fine di questo assurdo mondo.
Anche il pubblico, o ciò che ne resta, va restituito al comune. Per questo pratiche di occupazione e pratiche di piazza vanno assieme.
Come la plebe romana decidiamo di fare una secessione ed andare sul nostro colle Aventino: il tetto. Non siamo qui per rivolgerci a questa mortifera città, ai suoi sbirri, alla sua noiosissima campagna elettorale. Le pratiche dell’ALER, della questura, del comune sono di un livello di noia, ignoranza e di etica talmente bassa che non vogliamo neanche denunciarle. Si sta meglio qui al sole dove l’aria è fresca e i pennuti ci fanno compagnia.
Questa casa era una barca per fuggire da questa Milano e scoprirne una nuova. E’ stata purtroppo prematuramente affondata dalla marina poliziesca/mercantile. Adesso, indomiti marinai su una zattera che batte bandiera da naufraghi, speriamo solo che il vento ci porti lontano dall’eterna ripetizione dello “stesso”: ennesimo sgombero, solite teste di mischia che cercano di mediare, di trovare una soluzione, tutti che ti vogliono fotografare e la DIGOS che con piacenti sorrisi cerca di convincerti che ti vuole aiutare.
Continuiamo a remare perché le pratiche di complicità e fratellanza della piazza sottosante ci appaiono ogni giorno di più come la terra ferma su cui approdare.
Considerazioni sulla nottata passata:
• Grazie all’autorganizzazione e alla costruzione di un rapporto di forze favorevole, ieri sera, con un pò di umorismo e senza prendersi troppo sul serio, i compagni sono riusciti a portare e a lanciare sul tetto sia del cibo che dell’acqua.
Memento: La mediazione non paga.
• Senza troppo vittimismo è giusto far sapere che la questura di Milano stava per ammazzare una persona per niente. Trovandosi in una situazione non prevista, la polizia ha deciso di tirare con forza una fune legata ad un compagno sul tetto che era stata calata per permettere di attaccare del cibo alla fine di essa.
• L’assurdità della situazione è vedere che ci sono delle persone che per quattro soldi sono disposte ad impedire degli esseri umani di portare acqua e cibo a degli altri esseri umani che ne necessitano. Non riusciamo ad immaginare nessuna circostanza, nessun contesto dove tale pratica possa essere giustificabile. Un essere umano che agisce in questo modo nei confronti di un suo simile ha rinunciato ormai da tempo all’appartenere alla sua specie.
Poco a poco, dal “pacchetto sicurezza” passando per la “minaccia terrorista”, ci siamo abituati a tal punto a queste situazioni da vedere più niente, di non rendersi conto che il capitale ha formato una nuova umanità, che le persone non sono più che variabili prodotte per attuare la logica di un astrazione. Per questi motivi abbiamo perso un po’ del nostro sonno ieri sera ma fottendocene della polizia sappiamo che stanno emergendo mille forme di vita contro le quali questa umanità omogeneizzata non può nulla.
21 maggio 2011
da lombardia.indymedia.org