indice n.59

Libia: bombardementi della Nato e saccheggi dei suoi alleati libici
sulla situazione in siria
in egitto La lotta continua
Egitto: Con il Corano e Face Book
L’Egitto in fiamme acquista elicotteri made in Italy
sulle lotte dentro e contro i C.I.E.
Da una lettera dAl Cie di Ponte Galeria (13 luglio 2011)
no tav: Cronache dalla Maddalena occupata
volantino distribuito alla manifestazione a genova
Su una manifestazione a Berlino in ricordo della rivolta genovese
lettera dal carcere di opera (milano)
lettera dal carcere di macomer (nu)
Resoconto del presidio sotto il carcere di Prato
Lettere dal carcere di Prato
Lettere dal carcere di Vigevano
un’accenno alla discussione sull'amnistia
Lettera dal carcere di Aosta
lettera dal carcere di torino
Lettere dal carcere di Saluzzo (cn)
Lettera dal carcere di S. Remo
Lettera di Fabio da Savona
Lettera dalla "casa di lavoro" di Castelfranco Emilia (mo)
Lettera dal carcere di Catania
Detenuto muore nel carcere di Monza
Torino: Uscire cadavere da una caserma dei carabinieri
milano: Sulla morte di Michele, ucciso dalla polizia
Lettera dal carcere di Carinola (ce)
comunicato DaL CARCERE DI VARESE
sulla SETTIMANA DI MOBILITAZIONI CONTRO CARCERE, CIE ED OPG
Breve resoconto della settimana anticarceraria Como
resoconto del presidio sotto il carcere di opera (milano)
sulla settimana di mobilitazione per il processo in svizzera
Piacenza: La lotta degli operai nordafricani alla TNT
CASTIGLIONE-ANDRANO (LECCE): PRESIDIO DI SOLIDARIETà


Libia: bombardementi della Nato e saccheggi dei suoi alleati libici
Nella zona est di Tripoli, nella notte fra sabato 16 e domenica 17, si è potuta vedere una palla di fuoco alzarsi dal terreno, causata da un bombardammento aereo della Nato [cioè anche l'Italia]. Anche nel fine settimana la Nato, condotto nello stile di un'organizzazione terroristica, ha proseguito nei i attacchi aerei contro obiettivi civili e militari dentro e attorno alla capitale della Libia, Tripoli. Gli attacchi, secondo la BBC sono stati fra i più pesanti delle ultime settimane. La televisione della Libia ha informato che è stato colpita la zona di Tadschura (est della città); sono state uccise delle persone. Poco prima del raid aereo il capo di stato Muammar al Gheddafi aveva inviato un messaggio radiofonico ad una manifestazione in corso nella città d Sawija (ovest di Tripoli) in cui ha ripetuto che il suo paese non indietreggerà di fronte agli attacchi.
Venerdì 15 luglio ad Istanbul i membri del "Consiglio Nazionale di Transizione" (Cnt) ha festeggiato il riconoscimento riservatogli dai 30 paesi rappresentanti il cosiddetto "Gruppo di Contatto". In questo modo il Cnt è stato reso destinatario legittimo del denaro del governo libico, 34 miliardi di dollari, congelato all'estero.
Nella sera di sabato 16 i ribelli raccolti attorno al Cnt hanno nuovamente tentato di "liberare" Brega, un porto petrolifero strategico, ma, nonostante il sostegno degli elicotteri Nato, sono stati respinti. Nel corso di questi combattimenti, secondo fonti del Cnt, sarebbero stati uccisi dieci suoi combattenti mentre i feriti gravi sarebbero 170.
Di fronte ad una situazine non-pacificata, nella Nato non cresce soltanto la discordanza su modi e maniere in cui prosegure la guerra. Anche all'interno del movimento del Cnt si aprono rivalità nel frattempo risolte a colpi di fucile. Tutti i raggruppamenti pretendono di determinare la politica della Libia dopo la guerra. Fra questi gode di una particlare forza combattiva la formazione islamica "Brigata dei martiri del 17 febbraio". Il capo di un altro gruppo, Mohamed Musa al Maghrabi, che "vuole conquistare la città di Brega", in un'intervista al New York Times, ha affermato di vedere nel Cnt di Bengasi “una rappresentanza corrotta estranea”, chiedendosi “Perché dobiamo sostituire la dittatura di Gheddafi con la dittetura di Bengasi?” Alla Nato, scriveva negli stessi giorni il quotidiano canadese Globe, è chiaro che il Cnt non dispone di un forte sostegno all'interno del movimento ribelle.
Dietro la facciata dell'unità mostrata a Istanbul, così informava il giornale inglese Telegraph, nelle metropoli della Nato crescono nervosismo e impazienza. Le cause non sarebbero soltanto i diversi punti di vista su una guerra che si trascinerà ancora a lungo e le divisioni chiaramente visibili all'interno del movimento dei ribelli, ma anche sulle crescenti preoccupazioni nel caso di una vittoria dei ribelli. Avvenimenti concreti di questi timori sono accaduti, il 10 luglio, come mostra un articolo del New York Times accompagnato da foto, in cui i ribelli del fronte sud-occidentale, entrati nella città “liberata” di Kawalisch, l'abbiano invece saccheggiata e incendiata e portato via sistematicamente con dei camion il bottino. Per loro fortuna tutti gli abitanti di Kawalisch erano fuggiti prima della “liberazione”. Avvenimenti come questi potrebbero rafforzare ulteriormente la resistenza della popolazione contro i “combattenti della libertà” sostenuti dalla Nato, in particolare nella regione principale che attornia Tripoli in cui vivono due terzi dell'intera popolazione del paese.

18 luglio 2011
Rainer Rupp, junge welt; da www.jungewelt.de/2011/07-18/052.php


sulla situazione in siria
Il Comitato Centrale del Partito Comunista Siriano ha tenuto, il 25 marzo 2011, una riunione ordinaria, presieduta dal Segretario generale compagno Ammar Bagdache. Il compagno Wissal Farha Bagdash capo del partito ha preso parte all'incontro.
Durante la discussione sulla situazione politica, nel Comitato Centrale è emersa la considerazione dell'importanza della promozione dei movimenti di massa nei paesi arabi, che si sono manifestati con il rovesciamento dei due regimi mercenari dell'imperialismo in Tunisia ed Egitto, con l'estendersi di proteste di massa in molti paesi arabi contro i regimi legati all'imperialismo. Il movimento di liberazione nazionale arabo sta conoscendo un avanzamento importante e attualmente occupa un posto di rilievo nel quadro del movimento di liberazione antimperialista internazionale, come anticipato dal 11° Congresso del Partito Comunista Siriano.
Dopo le sconfitte sul terreno dell'imperialismo statunitense in Iraq e dell'attacco imperialista sionista contro il Libano nel 2006, le masse popolari hanno rovesciato i due simboli dell'imperialismo in Tunisia ed Egitto.
La rivoluzione in questi due paesi, nonostante le differenze e le diverse specificità, hanno fatto cadere due regimi del tutto fedeli all'imperialismo e strettamente legati al sionismo, due regimi fondati sulla tirannia, nonostante alcune loro esteriorità istituzionali. Inoltre, questi regimi hanno diligentemente applicato le disposizioni del liberismo economico dettate dai centri imperialisti, che sono il riflesso degli interessi di Washington, spalancando le porte all'azione del capitale monopolistico straniero, privatizzando i principali ambiti dell'economia e riducendo il ruolo sociale dello Stato, colpendo la produzione nazionale attraverso la revoca del sostegno statale, che ha portato a un drammatico peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, compresa la classe media tradizionale, ad una maggiore polarizzazione sociale e alla esasperazione del fenomeno della disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Questi dettami, che sono ostili agli interessi del popolo, sono stati applicati con il contributo importante della borghesia compradora, strettamente legata ai monopoli e all'imperialismo e attraverso i loro rappresentanti al potere e negli apparati dello Stato.
A causa di questi fattori, le rivoluzioni in Egitto e Tunisia hanno assunto un carattere nazionale liberale, uno democratico ed un carattere di classe. Il nostro partito fin dall'inizio si è sempre espresso a favore di queste rivoluzioni, in virtù della loro importanza come rivoluzioni liberali nazionali per rafforzare le posizioni del movimento antimperialista internazionale rivoluzionario, con in più il rilievo derivante dall'essere la prima espressione dei movimenti di massa più estesi verificatisi nel ventunesimo secolo.
Imperialismo internazionale, sionismo e reazionari locali cercano di contrattaccare per ostacolare l'escalation del movimento di liberazione nazionale arabo. Il pericolo maggiore nella nostra regione è la brutale aggressione imperialista della NATO contro la Libia, aggressione che utilizza la foglia di fico della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, di quelle della Lega Araba, e con il contributo simbolico a questa guerra di rapina imperialista dei regimi arabi reazionari. La condanna del nostro partito e del movimento comunista internazionale per questa incessante aggressione contro la Libia, non intende trascurare quanto commesso dal regime dittatoriale libico, che dall'inizio di questo secolo teneva buoni rapporti con l'imperialismo mondiale e stretti legami con i gruppi monopolistici più sordidi del campo imperialista. È del tutto evidente però che l'imperialismo e il sionismo, dietro giustificazioni inconsistenti come la "protezione dei civili", sono in Libia per il controllo di questo paese ricco di petrolio e lavorano per dividerlo in osservanza del progetto imperial-sionista di "nuovo Grande Medio Oriente", progetto che mira al completo asservimento dei popoli della regione. Così il mondo arabo e il mondo intero devono condannare questa brutale aggressione imperialista e combatterla con tutti i mezzi disponibili. Alla campagna multilaterale contro la resistenza nazionale libanese partecipano molte forze di vario genere, del tutto fedeli all'imperialismo, e lavorano nella stessa direzione le forze reazionarie arabe che cercano di infiammare le tendenze settarie, questa arma pericolosa che in definitiva serve solo all'imperialismo globale e a quella forza confessionale, razzista e reazionaria che è Israele sionista.
La cospirazione imperialista che con gli stessi fini si scaglia contro la Siria ha molte facce, tanti elementi dei regimi arabi reazionari con i loro mezzi di comunicazione in stretto rapporto con l'imperialismo. La Siria è uno dei maggiori ostacoli all'interno del mondo arabo al progetto di un nuovo Grande Medio Oriente. E' noto il ruolo specifico della Siria nel sostegno dell'antimperialismo e dei movimenti di resistenza anti-sionista nella regione.
Il Comitato Centrale ha fermato le manifestazioni e disordini che hanno avuto luogo in alcune città in Siria, in particolare gli sventurati incidenti nella città di Dara. Il 18 marzo, vi è stato uno scontro tra le forze di sicurezza e i cittadini che avanzavano slogan e richieste. In cima a queste richieste vi era il rilascio di alcuni ragazzi arrestati sotto la legge marziale e lo stato d'emergenza. A seguito del ricorso ad una forza eccessiva da parte delle autorità di sicurezza per disperdere la folla, vi sono state molte vittime e alcuni morti, creando un vasto malcontento aggravando così lo stato di grave tensione. I media ufficiali hanno riportate notizie circa la formazione di una commissione d'inchiesta su tali fatti e i giovani detenuti sono stati rilasciati.
Le forze reazionarie hanno provato e stanno cercando di usare il malcontento reale presente in questi avvenimenti per innescare disordini in tutto il paese, utilizzando un metodo perverso di accostamento di parole d'ordine corrette che attirano le masse e che riguardano l'ampliamento delle libertà democratiche, con slogan chiaramente reazionari e istanze oscurantiste a carattere settario e provocatorio, contro i principi laici e di tolleranza che storicamente contraddistinguono la società siriana.
I media dei centri imperialisti e dei media arabi reazionari stanno attuando una grande guerra mediatica contro la Siria, gonfiando gli eventi, distorcendo i fatti e pubblicando bugie provenienti da fonti equivoche che non hanno alcuna rilevanza per i cittadini siriani. Sfortunatamente, l'operato dei media ufficiali non è stato all'altezza di quanto richiesto da questi momenti critici. In tali circostanze si deve dire la verità e non abbellirla, cosa che farebbe aumentare la fiducia generale e rafforzerebbe la determinazione nel contrastare l'attuazione di questa complotto.
Il Comitato Centrale ha espresso il proprio sostegno alle decisioni e indicazioni della dirigenza del Partito Socialista Arabo Baath, che vedono innanzitutto, in campo politico, la revoca della legge marziale e l'invio della proposta di legge sui partiti alla discussione generale per la successiva approvazione, la modifica della legge sulla stampa, ecc...
Queste le richieste che il Partito Comunista Siriano ha tenacemente avanzato nei suoi documenti, fra i quali le risoluzioni dell'11° Congresso. Il nostro partito ritiene che un'accelerazione nell'applicazione di queste misure contribuirà a rafforzare la situazione interna in tempi brevi.
Il Comitato Centrale ha inoltre espresso la propria soddisfazione per la decisione di rettifica della legge 41 del 2004 inerente alle proprietà nelle zone di confine, nonché le decisioni relative all'aumento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici e dei pensionati varate per decreto.
Il Comitato Centrale ritiene indispensabile la revisione di quelle leggi e disposizioni di orientamento economico liberale, che hanno contribuito alla destabilizzazione della produzione nazionale e indebolito le posizioni del settore statale (pubblico) portando un peggioramento dei livelli di vita delle masse, e che in ultima analisi hanno fornito dei vantaggi ai gruppi sfruttatori, in particolare alla borghesia compradora.
Il Comitato Centrale considera necessario frenare questi orientamenti economici liberali, perché dannosi alla produzione nazionale e alle condizioni delle masse lavoratrici. Il governo deve quindi prendere decisioni per rinforzare la situazione economica del paese e soddisfare le esigenze di operai e contadini, delle fasce a basso reddito e dei dipendenti pubblici, che costituiscono il sostegno di massa della nazione siriana.
A questo proposito, il Comitato Centrale considera importante concentrarsi sulle aree produttive, ad esempio sostenendo l'agricoltura siriana per ristabilire e rafforzare la nostra sicurezza alimentare, sostenendo l'industria e la sua proprietà nazionale con particolare attenzione al mantenimento e allo sviluppo del settore pubblico. A questo proposito, dovrebbero essere modificate la legge sull'energia elettrica, ristabilendo il pieno monopolio statale su questo settore economico vitale, e la legge sulle telecomunicazioni per impedire in particolare l'ingresso del capitale monopolistico in questo settore. Anche le aziende pubbliche con investimenti privati dovrebbero passare a completa proprietà statale. E' inoltre necessario abbandonare l'approccio dannoso nella liberalizzazione dei prezzi e tornare ad un ruolo attivo dello Stato in questo campo, inclusa la riorganizzazione del Ministero delle finanze e del commercio.
Il Comitato Centrale ritiene importante altresì che vengano soddisfatte le capacità produttive nazionali attraverso l'aumento degli investimenti statali in quei settori, non affidandosi invece all'importazione di capitali esteri nel paese. In questo senso è importante tornare ad una politica di sfruttamento petrolifero nazionale (estrazione e commercializzazione). E' importante intensificare la campagna di lotta permanente alla corruzione, per tenere a freno la borghesia compradora che insieme alla sua alleata burocratica cercano di realizzare il saccheggio globale dello Stato e del popolo. A questo proposito, l'estensione delle libertà democratiche alle masse popolari svolge un ruolo importante, rendendo il lavoro contro la corruzione più efficace e completo.
Il Comitato Centrale è convinto che un tale approccio alle questioni in campo socio-economico garantisca la rimozione di quel risentimento che in esso cresce, andando a migliorare la degna tenacia della nazione e facendo si che il popolo formi il suo principale sostegno e impedimento alle congiure dei paesi nemici. Il Comitato Centrale sottolinea la disponibilità del Partito Comunista Siriano ad esercitare tutti gli sforzi per rafforzare gli elementi di fermezza nazionale, politicamente, socialmente, economicamente, e delle masse. Il nostro slogan era, e rimane: "La Siria non si inginocchierà!".
Riguardo la situazione internazionale, il Comitato Centrale ritiene che gli ultimi sviluppi indichino chiaramente la correttezza dell'analisi del nostro partito che indica come la fase di recessione seguita alla crisi economica ciclica globale sarà il terreno di un'escalation nello scontro di classe tra capitale e lavoro. Prova ne è l'ondata di scioperi e proteste di massa che si svolgono in molti paesi del mondo, inclusi gli stessi centri dell'imperialismo. Le economie di questi paesi, dove continuano ad essere applicate le prescrizioni economiche liberali, continuano ad affondare. Dopo la Grecia e l'Irlanda, è arrivato il momento del Portogallo. Il Comitato Centrale ritiene che in queste circostanze sia necessario aumentare gli sforzi per render più forti le relazioni di solidarietà internazionale dando seguito alla parola d'ordine: "Per un fronte internazionale contro l'imperialismo".

Damasco, 25/03/2011
Comitato Centrale del Partito Comunista Siriano, da www.resistenze.org
in egitto La lotta continua
Anche dopo la gigantesca manifestazione al Cairo di venerdì (8 luglio) la protesta va avanti. Diecimila persone si sono raccolte anche oggi, sabato, sulla piazza Tahir. Sulla stessa piazza sono ricomparse le tende, tante persone hanno trascorso qui la notte.
Manifestazioni e cortei vengono annunciati anche a Suez, Alessandria, Assiut, Aswan, Isailia, Port Said, Luxor, Mansoura, Sharl el Sheik. In una dichiarazione ampiamente divulgata, vien detto che le manifestazioni proseguiranno fino all'ottenimento delle seguenti richieste: liberazione di tutti i dimostranti condannati dai tribunali militari, basta con i processi contro i dimostranti condotti dai tribunali militari; deve essere costituito un tribunale speciale che allontani immediatamente dal servizio i poliziotti e gli ufficiali di polizia sospettati; dimissioni del ministro degli interni e consegna del ministero degli interni ad una direzione "civile"; dimissioni del procuratore generale, nomina per questo ufficio di una persona in genere stimata; messa sotto accusa di Mubarak e del suo clan per aver compiuto "crimini contro il popolo egiziano"; approvazione di un nuovo bilancio indirizzato alla povertà sociale; la sua discussione deve essere apertamente democratica; “trasparenza" sulla composizione del "Consiglio militare" e sui modi e le maniere in cui vengono prese le decisioni; il presidente del consiglio dei ministri deve avere il diritto di occupare e affidare incarichi indipendentemente dal Consiglio militare.

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Dopo giorni di calma nel pomeriggio di domenica 10 luglio a Suez, l'esercito ha attaccato i dimostranti, dopo che avrebbero minacciato di occupare il canale (di Suez). In una piazza centrale di questa città, come in piazza Tahrir al Cairo, in questi mesi è stato eretto un grosso attendamento.
Nella notte sono scoppiati scontri violenti, in cui sono state uccise tre persone.
Nei media di lingua tedesca, ma del resto anche in quelli di lingua inglese [figurarsi quelli italiani], non c'è alcuna specie di resoconto su quanto sta accadendo.
Già prima di questi scontri erano avvenute proteste di massa, numerose strade centrali sono da tempo bloccate, la "vita pubblica" è quasi completamente ferma.
I portuali di Suez, in lotta da tre settimane, si sono uniti alla protesta assieme a parecchi operai delle fabbriche, anche loro attualmente in sciopero.
Suez, già durante la "prima rivoluzione" di inizio anno è stata teatro di scontri accaniti fra insorti e forze di sicurezza, ancor più violenti di quelli scoppiati al Cairo. Nella città è presente una classe lavoratrice ben organizzata, che prende attivamente parte alle proteste. L'attuale ondata di proteste (la "seconda rivoluzione", come la chiamano in Egitto) a Suez è iniziata una settimana fa, quando i manifestanti inferociti hanno attaccato il quartier generale della polizia e del tribunale in seguito al rilascio di numerosi poliziotti, che, con ogni probabilità, avevano partecipato ai massacri nel corso delle manifestazioni di inizio anno. Al Cairo, piazza Tahrir è sempre occupata da diecimila persone; anche nella notte di oggi c'è stata discussione, musica, sono state scandite parole d'ordine…

recherchegruppe, luglio 2011
da de.indymedia.org

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Manifestazione di solidarietà a Berlino
Martedì 19 luglio davanti all'ambasciata dell'Egitto è stato organizzato un presidio di protesta e solidarietà. Di seguito il volantino che lo convoca.
Gli ultimi mesi in Egitto, come anche in altri paesi arabi, sono stati molto tesi. Da anni, il movimento operaio, molto attivo, ha dimostrato di essere pronto a non tollerare più la corruzione e le miserevoli condizioni di lavoro e di vita. I problemi continuano ad accumularsi. Adesso il governo di transizione cerca di arginare le iniziative di lavoratori/lavoratrici. Noi vogliamo mostrare la nostra solidarietà con le operaie, gli operai dell'Egitto! E' sicuro che negli ultimi mesi abbiamo seguito con ansia gli sviluppi in Egitto. I movimenti sociali sulle strade e nelle fabbriche, negli uffici e negli ospedali e nelle uiversità ci hanno colmati di gioia e speranza. Le lotte operaie e sindacali sono un successo della popolazione dell'Egitto! Oltre mezzo milione di lavoratrici/lavoratori si sono organizzati in oltre 150 sindacati indipendenti. Esempi ne sono i due scioperi nazionali dei medici, la neonata federazione dei contadini e la lotta per salari giusti condotta per oltre un mese dai portuali del canale di Suez.
In questi momenti si sono rafforzati i tentativi del governo militare di transizione di sotterrare i diritti di lavoratrici/lavoratori. A fine marzo, ad esempio, è stata promulgata una legge antisciopero, contro cui si è indirizzata la protesta operaia. In seguito a ciò sono stati compiuti arresti e processi contro diversi manifestanti. La motivazione di voler così impedire danni economici, testimonia che il governo di transisione non ha capito nulla della democrazia, in quanto i danni economici, spesso, sono l'ultimo e solo mezzo per causare la pressione necessaria affinché muti qualcosa nelle insopportabili condizioni di vita e di lavoro. Noi chiediamo che venga messa immediatamente fine alla criminalizzazione di lavoratori/lavoratrici; chiediamo la piena libertà di fondare i sindacati e la libertà di sciopero. Questa lotta è una lotta internazionale; essa unisce le lavoratrici e i lavoratori di tutto il mondo. Anche noi nella "democratica" Germania dobbiamo lottare contro il monopolio di una centrale sindacale, le limitazioni della libertà sindacale e del diritto di sciopero. Chiediamo la soppressione della legge anti-sciopero in Egitto e l'archiviazione di tutti i processi collegati ad essa! Basta con i tribunali militari! Per sindacati liberi e combattivi ovunque!

12 luglio 2011
www.fau.org/ortsgruppen/berlin/


Egitto: Con il Corano e Face Book
Il 1° Maggio 2011, da 54 anni a oggi, è la prima volta che la classe operaia egiziana ha potuto celebrare la propria festa libera dalla tutela statale. 100 000 persone si sono raccolte sulla piazza Tahir del Cairo per conferire un accento alla loro richiesta di riorganizzazione sociale. Hanno seguito l'appello della Federazione dei Sindacati Indipendenti Egiziani (FSIE), fondata, nonostante il governo di transizione, nelle settimane precedenti. Mentre i manifestanti della piazza Tahir chiedevano di sciogliere i vecchi sindacati (non indipendenti, FSE) e di portare in tribunale i loro dirigenti corrotti, completamente al servizio del regime di Mubarak, la manifestazione (ufficiale) è stata condotta assieme ai membri del governo di transizione e del consiglio militare - in assenza di Hussein Mugawa, presidente della FSIE, tuttora in carcere, uno degli organizzatori della sollevazione del 2 febbraio scorso.
"In questo 1° Maggio facciamo gli auguri a tutti i lavoratori egiziani", ha scritto in un appello il leggendario partito comunista dell'Egitto fuorilegge dalla metà degli anni '70. "Questo è il vostro giorno. Diamo il benvenuto alla vostra lotta per l'indipendenza e per la libertà."
La sollevazione popolare è stata sin dall'inizio sostenuta dai lavoratori. Dapprima hanno agito in modo individuale, poi collettivamente. Quando l'8 febbraio 2011 diecimila lavoratori entrarono decisi in piazza Tahir, il rapporto delle forze in campo era completamente favorevole alle masse. I lavoratori egiziani non hanno soltanto assestato il colpo mortale al regime di Mubarak; si sono trovati all'inizio di un movimento culminato nelle sollevazioni di gennaio/febbraio e che ha causato la caduta del despota.
Fra il 1998 e il 2011 due milioni di operai-e, soprattutto dell'industria tessile concentrata nel Delta del Nilo, hanno preso parte a manifestazioni, scioperi e ad altre forme di resistenza sociale. Così sono riusciti a conseguire successi parziali considerevoli come l'aumento dei salari, i miglioramenti nelle condizioni di lavoro e talvolta anche la destituzione dei dirigenti d'azienda corrotti. Già allora esistevano stretti contatti fra operai-e e movimento studentesco, tutti comparsi sulla piazza Tahir come "rivoluzionari-Facebook". All'inizio dell'aprile 2008 ci fu il tentativo, via Facebook, di dare inizio ad uno sciopero generale. Si concluse in un naufragio. Il regime non era più pronto ad affrontare gli avvenimenti con la mediazione politica gli avvenimenti; gli riuscì perciò soltanto di metter mano alla repressione. All'inasprimento della repressione e ad altre ansie emerse dal panico di fronte al crollo evidente, fecero seguito misure come i massicci brogli elettorali in occasione delle elezioni parlamentari del 2010, con cui Mubarak e co. si scavarono la fossa.

Amministratori fedeli o carnefici?
L'Ancien Régime tuttavia non è stato tolto di mezzo con la caduta del suo capo. Il vecchio apparato dello stato - esercito, servizi di sicurezza, polizia - è rimasto ampiamente intatto. Il "partito nazional-democratico" di Mubarak non è mai stato sciolto e i suoi quadri costituiscono ancor oggi la riserva più estrema della controrivoluzione. Il Consiglio militare, attualmente il più alto organo di potere, si è comportato come amministratore della rivoluzione, di cui potrebbe anche divenirne il carnefice.
Abdelhalim Kandil, giornalista e esponente del movimento Kifaja ("Basta"), un'alleanza di nazionalisti, socialisti e della sinistra liberale, intervistato da junge Welt parla di una rivoluzione senza un'adeguata direzione, un ruolo che dovrebbe assumere proprio quell'alleanza, togliendolo al Consiglio dei militari. La questione è capire quel che percepiscono i generali. Le indicazioni volgono a destra. Sicuramente le forze armate non pensano ad un proseguimento e approfondimento del processo rivoluzionario. Non sono proprio i "rivoluzionari dei garofani" del Portogallo nel 1974. Del resto il primo decreto del Consiglio dei militari era puntato sulla criminalizzazione delle lotte operaie. Gli scioperi che non disturbano il "normale corso delle attività" e che non recano danni all'economia, non sono fondamentalmente vietati. Però, dice Kandil, il paese conosce un grandioso sviluppo delle attività sindacali, scioperi sono tuttora in corso, ed il Consiglio dei militari non sarebbe nella condizione di imporre leggi antisciopero.
In Egitto la direzione provvisoria dello stato vede il suo compito principale esaurirsi nel dare garanzie alla "transizione ordinata" espressamente desiderata dal governo di Obama e dall'Ue. Questo significa impedire che l'insurrezione contro la dittatura conservi una dimensione sociale, mediante cui anche la questione della democrazia si porrebbe in una connessione riferita all'emancipazione sociale degli strati più bassi. Da qui la fretta con cui l'élite militare vuole condurre il capovolgimento ad una conclusione borghese-democratica (più borghese che democratica).


Democrazia sociale o oligarchia?
Libertà e democrazia sarebbero postulati astratti se non venissero poste in collegamento con la giustizia sociale, dice Gamal Ald el Fattah, dirigente del Comitato popolare - un organo della democrazia partecipativa, emerso spontaneamente dal movimento insurrezionale. Attualmente i Comitati popolari si sono prima di tutto dati da fare sul piano locale, con la finalità di determinare l'immediata valorizzazione degli interessi degli strati non-privilegiati.
Mentre Kandil nel Consiglio dei militari vede rappresentate forze diverse, le une patriottiche, le altre filo-imperialiste, le une vicine al popolo, le altre elitarie, el Fattah considera questa istituzione essenzialmente come uno strumento della controrivoluizione per dare continuità al vecchio regime dietro una facciata formalmente democratica.
La fondazione di un partito, spiega Kandil, oggi è più difficile che sotto Mubarak. Dopo le più recenti leggi sui partiti, è necessaria alla loro fondazione, la firma di 5 000 membri, i cui nomi devono venir pubblicati sui maggiori quotidiani, ciò non consente insomma la costruzione di partiti al di fuori della cerchia del business. Nei fatti la questione della democrazia si acutizza. Dalla sollevazione popolare egiziana verrà avanti una democrazia sociale orientata agli interessi delle classi popolari oppure la nuova vecchia oligarchia si servirà di una forma democratica - solo nel nome -, per garantire il dominio della minoranza?
Di "unità rivoluzionaria" fra esercito e popolo non è proprio il caso di parlare. Però il nasseriano Kandil non concede neppure il contrario. Per lui l'esercito non rappresenta il problema, poiché in tutto l'arco di tempo in cui Mubarak è stato al potere, l'esercito sarebbe stata la sola istituzione rispettata in tutto il paese e, inoltre, nella sua storia recente non si è mai diretto contro il popolo; il problema è invece la frazione della CIA presente nel Consiglio militare.
L'esercito egiziano poggia sulla leva militare obbligatoria, perciò in esso si raccolgono, espresso in maniera patetica, i "figli del popolo" - o li dovrebbe raccogliere; nonostante la sua "vicinanza al popolo", l'esercito negli anni di Mubarak è finito in misura crescente sotto il comando di Washington. Nel ricevere aiuto militare dagli Usa, l'Egitto è secondo solo ad Israele. I generali pensavano ai privilegi economici, frutto della loro lealtà alla cricca truffaldina di Mubarak, piuttosto che servire gli interessi nazionali. Ha così messo le gambe un impero economico dominato dalle forze armate. In questo modo le alte sfere delle forze armate si sono trasformate da "figli del popolo" in parte costitutiva portante del modello di capitalismo specificatamente statal-burocratico, i cui tratti caratteristici si erano formati già nell'era di Nasser. A questa sua posizione di forza la nomenklatura militare di sua volontà non rinuncerà mai. Di fronte a sé si eleva la disponibilità incessante alla lotta e la nuova coscienza delle forze del popolo esplose nella rivolta, che non vogliono farsi strappare dal Consiglio militare la loro rivoluzione. Si è di fronte ad un reciproco annusarsi.

Pane zuccherato e frusta
Quando il 9 aprile scorso ancora una volta si raccolsero in centomila in piazza Tahir, lo stato portò in strada i carri armati. Dei 25 ufficiali che in divisa avevano partecipato alla manifestazione, tre vennero uccisi sul posto, gli altri sono scomparsi senza lasciare traccia.
Se con pane zuccherato o con la frusta, l'iniziativa si trova comunque nelle mani dei detentori del potere militare. Direzione e ritmo del processo riformista vengono stabiliti da loro. Mentre le forze rivoluzionarie erano impegnate a convocare un'assemblea costituente da affermare solo sulla base di nuove elezioni del parlamento e del presidente, la giunta militare previde una procedura rovesciata, la Roadmap [in pratica, una rilevazione delle forze in campo per portarle ad accordarsi sulla transizione, le elezioni…, NdT] eseguita da essa stessa. In marzo, in effetti si svolsero delle votazioni per portare alcune modifiche alla costituzione. Servirono a mettere per iscritto più, che ad abolirli, rapporti non-democratici. Per settembre (2011) sono previste le elezioni parlamentari, successivamente un'ampia riforma della costituzione attraverso la nuova rappresentanza popolare. Poi avranno luogo le elezioni presidenziali. Con le modifiche alla costituzione, che accordano al presidente e quindi all'esecutivo maggiore importanza che agli organi della democrazia rappresentativa, è già stato prefissato un importante scambio in direzione della certezza della continuità del potere. Nelle elezioni del parlamento sono favoriti i partiti del blocco dominante - le forze del vecchio regime raggruppate attorno al Consiglio militare, i partiti formati e rispettivamente finanziati dal grande business, i Fratelli musulmani (ufficialmente pur sempre fuorilegge) e le formazioni dell'opposizione liberale classica. (…)
La chiara sconfitta che gli attivisti di piazza Tahir hanno dovuto sopportare nel referendum sulle modifiche alla costituzione, (tre quarti dei votanti ha votato contro la riforma), lascia presumere che sugli assassinii eseguiti all'inizio della sollevazione, gennaio-febbraio, molto probabilmente calerà il sipario. (…)

Werner Pirker, 9 giugno 2011
estratti da www.jungewelt.de/2011/06-09/041.php


L’Egitto in fiamme acquista elicotteri made in Italy
Nuovi affari in Egitto per i piazzisti d’armi mentre le forze armate continuano a reprimere brutalmente le manifestazioni per il pane, la libertà e la democrazia. Due elicotteri AW139 in configurazione ricerca e soccorso SAR della società AgustaWestland (gruppo Finmeccanica) saranno trasferiti all’aeronautica militare egiziana via Stati Uniti d’America. Il contratto, per un valore di 37,8 milioni di dollari, è stato sottoscritto dall’azienda italiana con U.S. Army Aviation and Missile Command (AMCOM), il comando aereo e missilistico dell’esercito USA che poi girerà all’Egitto i due mezzi attraverso il programma Foreign Military Sales (FMS). Una triangolazione per certi versi incomprensibile (e dunque sospetta) che ricalca quanto avvenuto un paio di anni fa con il trasferimento all’aeronautica militare afghana di 20 aerei da trasporto C-27A “Spartan” prodotti da Alenia Aeronautica (altra società Finmeccanica) e venduti in prima battuta all’US Air Force. Sempre Alenia Aeronautica aveva tentato inutilmente di ricorrere alle forze armate statunitensi per trasferire altri cargo “Spartan” a Ghana e Taiwan. [...] Il contratto prevede anche l’addestramento dei piloti e del personale di terra e la fornitura delle attrezzature e dei ricambi necessari per la messa in servizio e la manutenzione dei velivoli.
L’Egitto è il maggiore recettore al mondo degli aiuti militari USA dopo Israele. Nel 2010 il valore delle armi fornite da Washington è stato di 1,3 miliardi di dollari (più 250 milioni in non meglio specificati “aiuti economici”). Il bilancio di previsione dell’anno fiscale 2011 assegna all’Egitto un identico apporto finanziario in armamenti e apparecchiature strategiche. Tra le principali forniture di sistemi d’arma spicca in particolare quella di 20 cacciabombardieri F-16 (16 nella versione C e 4 in quella D) e di 10 elicotteri d’attacco “Apache”. E tra le beneficiarie dei principali contratti sottoscritti dal Pentagono negli ultimi due anni a favore del paese nordafricano compaiono proprio due aziende italiane del gruppo Finmeccanica: DRS C3 and Aviation Company (sede a Horsham, Pennsylvania) che nel dicembre 2010 ha venduto all’U.S. Army Communications and Electronics Command veicoli, hardware e servizi per la “sorveglianza delle frontiere egiziane” (valore della commessa 65,7 milioni di dollari); e AgustaWestland North America che nel novembre 2009 è stata chiamata da US Navy a riparare e potenziare le apparecchiature di tre elicotteri Mk-2 “Sea King” in dotazione al 7° squadrone dell’aeronautica militare di stanza a Borg El Arab (valore 17,35 milioni di dollari). [...].
Per il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs, la grave crisi politica e sociale scoppiata quest’anno in Egitto non comporterà alcuna riduzione negli aiuti militari USA. Non sembrano impensierire l’amministrazione Obama e i contractor statunitensi e internazionali le sempre più numerose denunce sulle violazioni dei diritti umani commesse dalla polizia e dai militari egiziani nel “nuovo corso” post-Mubarak. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, dallo scoppio delle proteste di massa contro l’ex presidente ad oggi “le forze armate egiziane congiuntamente ai servizi d’intelligence hanno detenuto segretamente centinaia e forse migliaia di oppositori e molti di essi sono stati pure torturati”. Le organizzazioni non goverantive hanno documentato l’uso di scariche elettriche su alcuni dei detenuti, mentre Hossam Bahgat, direttore dell’Egyptian Initiative for Personal Rights del Cairo, denuncia la “sparizione” di decine di arrestati dopo il loro trasferimento in alcune strutture militari del paese. “Capita sempre più spesso – aggiunge Bahgat - che i partecipanti alle proteste in piazza Tahrir vengano condotti con la forza all’interno del vicino Museo dell’Antico Egitto e sottoposti ad abusi fisici da parte dei soldati che li accusano di essere agenti di gruppi o potenze stranieri come Hamas ed Israele”. [...]
In un recente report sulle conseguenze della repressione contro il movimento popolare di Piazza Tahir, Amnesty International stima in 840 le persone rimaste uccise durante le rivolte, oltre a migliaia di feriti. “Molti civili sarebbero stati arrestati durante le proteste e processati da tribunali militari, una pratica che viola i diritti fondamentali della persona, primo fra tutto quello a ricevere un giusto ed equo processo”. Tra le pratiche più efferate quella di sottoporre le giovani donne arrestate a “test di verginità”. “Li abbiamo effettuati per proteggere l’esercito da possibili denunce di stupro”, l’allucinante ammissione del generale dell’esercito Abdel Fattah al-Sisi di fronte ai delegati di Amnesty International.
Nel tentativo di mitigare le accuse delle organizzazioni non governative, l’esecutivo egiziano ha deciso l’allontanamento o il pre-pensionamento di 699 tra funzionari di polizia e militari (compresi 505 generali). Secondo la tv di stato, 37 di essi sarebbero direttamente implicati nella morte di alcuni dei manifestanti di piazza Tahir. Per Magda Boutros, una delle attiviste del forum che ha lanciato la campagna per la riforma democratica dei corpi di polizia, si tratta però di una misura meramente simbolica. “Il nostro gruppo stima che siano almeno 200 gli ufficiali responsabili dei massacri di manifestanti”, spiega Boutros. “E comunque non basta rimuoverli dai loro incarichi se essi non vengono poi processati”.

15 luglio 2011
da www.stopwar.altervista.org


sulle lotte dentro e contro i C.I.E.
Bologna, 20 luglio 2011
Suppellettili date alle fiamme e alcune stanze inagibili. La protesta ha avuto come principali protagoniste le donne trattenute nel CIE di via Mattei, e solo in un secondo momento si sono uniti anche alcuni degli immigrati del reparto maschile. Non ci sono stati feriti, ma oltre alle forze dell'ordine sono dovuti intervenire i vigili del fuoco, per spegnere gli incendi di mobili e materassi appiccati in diverse stanze. Almeno sei, tutte nel settore femminile, sono state dichiarate inagibili.

Roma, 30 luglio 2011
È da poco passata la mezzanotte al Cie di Roma quando quattro algerini detenuti tentano la fuga; la polizia li trova e li massacra di botte. Scoppia la rivolta. I detenuti rifiutano di rientrare nelle camerate fino a quando non avranno visto in che condizioni hanno ridotto i quattro, che si trovano ancora isolati nella stanza dove sono stati picchiati.
La polizia in tenuta antisommossa fuori dalla gabbia minaccia di sfondare. Un gruppo di reclusi riesce a rompere due ferri della gabbia e ad aprirsi un varco per raggiungere un terreno vicino al muro di cinta dove prendere delle pietre con cui armarsi per difendersi nel caso in cui i trenta agenti in tenuta antisommossa dovessero entrare con la forza e picchiare i reclusi. Intanto uno dei detenuti si è tagliato con un ferro il braccio e la caviglia. Dentro danno alle fiamme alcuni materassi. Intanto da fuori un gruppo di solidali seguono per tutta la notte gli sviluppi della rivolta.
Si tratta di quattro algerini sbarcati a Lampedusa nelle settimane scorse e provenienti dalla Libia. Alla protesta partecipano anche gli egiziani presi dalla polizia durante la retata del 27 luglio ai mercati generali agroalimentari di Roma, a Guidonia-Montecelio, che ha portato alla reclusione di 16 lavoratori egiziani senza contratto.
Alla protesta partecipano inoltre sei albanesi, stranamente reclusi da ormai 40 giorni, pur essendo regolarmente entrati in Italia con il nuovo passaporto biometrico, che dal dicembre scorso consente la libera circolazione dei cittadini albanesi nell'Unione europea senza bisogno di visto. Intanto una ventina di reclusi sono saliti per protesta sul tetto delle celle. Non partecipano invece, per evidenti ragioni, i due reclusi ancora rinchiusi in isolamento, ormai da più di un mese, uno dei quali in sciopero della fame dal 22 luglio scorso.
Alla base della rivolta in corso al Cie di Roma, oltre al pestaggio dei quattro algerini di stasera, ci sarebbe una violenta espulsione avvenuta questa mattina. Si tratta di un cittadino tunisino, Monji, residente a Milano da 20 anni, con la moglie e due bambini, preso di forza dal letto mentre ancora dormiva questa mattina all'alba e portato via legato con lo scotch dopo che opponeva resistenza. Il signore in questione aveva già scontato nel Cie di Roma 5 mesi e 25 giorni di reclusione e sarebbe dovuto uscire dopo cinque giorni.
A notte fonda, grazie all'utilizzo di un idrante, la squadra di agenti in tenuta antisommossa riesce a disperdere le decine di reclusi davanti al cancello e ad entrare nella gabbia. A forza di manganellate gli agenti riescono a costringere parte dei reclusi a rientare nelle celle, ci sarebbero almeno otto feriti tra i detenuti. Un gruppetto di reclusi è ancora fuori dalle celle e cerca di difendersi dal pestaggio lanciando sassi e altri oggetti fino a quando tutti i reclusi, compresi i quattro algerini picchiati, vengono ricondotti e rinchiusi dentro le celle. Poco dopo le quattro di mattina scatta la perquisizione nelle celle. Una squadra di 8 agenti conta i reclusi, cella per cella. All'appello mancano tre persone che durante il caos degli scontri sono riusciti a nascondersi sui tetti. Si tratta di tre algerini, due dei quali sono stati ritrovati e ricondotti in cella, apparentemente senza violenza. Il terzo invece è riuscito a fuggire dalla gabbia ed è di nuovo in libertà. Per capire di chi si tratti, la polizia fa una seconda conta, cella per cella, stavolta però con i registri e le foto. Un gruppo di agenti in borghese fotografano i danni della struttura. Un pannello di plexiglass sfondanto all'ingresso della gabbia, 7 materassi bruciati, 2 telecamere distrutte e due ferri spezzati sul retro della gabbia, che vengono prontamente saldati, sotto la sorveglianza di tre agenti di polizia. Nessuno invece fotografa i detenuti feriti. Per punizione, le celle sono ancora chiuse con le catene e i reclusi non possono uscire nel cortile della gabbia grande. Per tutta la notte, la direzione del Cie ha tenuto accese le luci nelle celle per impedire ai reclusi di riposare. Alle dieci di mattina il personale dell'ente gestore Auxilium porta la colazione, ma i reclusi rifiutano di essere serviti attraverso la gabbia, come se fossero animali, costretti a rimanere rinchiusi nelle celle e proclamano lo sciopero della fame.
Per ritorsione, anche lo spaccio delle sigarette oggi resta chiuso. Alle 13.30 una ventina di agenti tra polizia e guardia di finanza entrano, armati di manganelli, cella per cella e prelevano 8 persone e non si capisce se si tratti dei reclusi che saranno arrestati per la rivolta o se invece si tratti di un'espulsione collettiva in corso.

Elmas, 30 luglio 2011
Due algerini, rinchiusi nel Centro di Cagliari-Elmas, sono ricoverati in ospedale per le lesioni riportate dopo essersi lanciati dal secondo piano nella tromba delle scale della palazzina all'interno dell'aeroporto militare"Mario Mameli". Il più grave è stato trasportato dall'ospedale Brotzu, dove è ricoverato in prognosi riservata. Ha riportato un trauma cranico e lesioni in varie parti del corpo. L'altro uomo, invece, è ricoverato al Santissima Trinità di Cagliari. Il fatto è avvenuto nel primo pomeriggio durante un trasferimento all'interno della struttura, i due si sarebbero lanciati nel vuoto per evitare il rimpatrio.

Bari, 1 agosto 2011
E' guerriglia a Bari. Violenta protesta degli immigrati ospiti del Cara di Bari, che lamentano i ritardi nel riconoscimento dello status di rifugiati: si sono riversati sulla tangenziale di Bari e sulla linea ferroviaria, paralizzando di fatto la città. Lanci di pietre e polizia in assetto antisommossa, con un pullman dell'Amtab assaltato dai manifestanti.
Nel centro intervengono i vigili del fuoco per spegnere le fiamme appiccate ad alcune suppellettili. Polizia, guardia di finanza e carabinieri tentano di far rientrare la situazione. Le pietre lanciate danneggiano decine e decine di automobili. Il traffico rimane bloccato verso Nord sulla statale 16 dalle 6.30 mentre la circolazione ferroviaria è sospesa dalle 6.10 della mattina sulla linea Bari-Foggia, tra le fermate di Bari Zona Industriale e Bari Palese, per l'occupazione dei binari da parte dei manifestanti. La situazione sulla statale è precipitata dopo due ore, quando il traffico si è intensificato. Gli agenti della questura hanno caricato gli immigrati riuscendo a liberare la corsia nord, facendo passare 200 auto. Tutte le pattuglie della polizia municipale sono impiegate a trovare percorsi alternativi per consentire l'arrivo e l'uscita dalla città. In particolare, per giungere a Bari, migliaia di autovetture si sono riversate nella zona dell'aeroporto, dove il traffico è andato in tilt.
Milano, luglio 2011

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Sulla Rivolta di Bari
Dopo mesi di attesa, dopo numerose manifestazioni gli immigrati richiedenti asilo rinchiusi nel “Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo” (CARA) di Bari hanno dato vita ad una grande rivolta che ha paralizzato strade, ferrovie, resistito e messo in scacco la polizia, imposto una trattativa. La struttura di Bari può contenere 900 persone ma da mesi ce ne stanno 1.400; nel CARA vi si dovrebbe stare 35 giorni e invece ci si sta da mesi; agli immigrati è stata fatta ripetutamente la promessa che la loro richiesta sarebbe stata accolta, che la risposta vi sarebbe stata a breve. Invece da mesi non c'è né accoglienza né risposte.
[…] Dietro il problema dei tempi c'è il razzismo di Stato, la politica dei respingimenti e delle espulsioni; di fatto i CIE sono lager e i CARA sono nuovi CIE; il diritto d'asilo è violato. Governo, Stato, polizia, con la complicità dell'Alto Commissariato per i rifugiati negano i diritti a quella parte dei dannati della terra che riempiono queste strutture.
La rivolta di Bari ha messo a nudo tutto questo, ha mostrato la forza, il coraggio, la dignità degli immigrati e lanciato un appello, un segnale agli immigrati di tutto il paese, prontamente raccolto a Isola di Capo Rizzuto, ha dato forza e visibilità alle numerose e sorde battaglie che si sono combattute in questi ultimi mesi, da Mineo a Torino.
Per questo la rivolta va sostenuta dai proletari e da tutto il movimento antirazzista.
Per questo bisogna fronteggiare la repressione e la rappresaglia, vera risposta del governo con la complicità dell'opposizione parlamentare e delle amministrazioni di centrodestra come di centrosinistra, in Puglia di centrosinistra. Per questo bisogna contrastare la furiosa, oscena, incivile campagna razzista di organi di stampa che vogliono strumentalizzare i disagi della rivolta per scatenare la canea anti immigrati, la xenofobia di massa che in città come Bari hanno una presenza storica, materiale nella cultura di destra e in una opinione pubblica, oltre che istituzionale, che ha sempre chiuso gli occhi sullo schiavismo nelle campagne pugliese, altra faccia della detenzione e delle espulsioni. Ed è straordinario che mentre scoppia la rivolta a Bari, scoppia a Nardò (LE) anche il più forte sciopero dei braccianti immigrati che si ricordi in Puglia che fa venire alla mente le grandi lotte bracciantili che hanno fatto la storia proletaria di questa Regione.
[...] la rivolta non è come la raccontano, e soprattutto come la vogliono dipingere non solo Mantovano, uno dei principali responsabili della situazione, ma anche ignobili demagoghi come il sindaco Emiliano di Bari e veri complici del governo, come la portavoce dell'Alto Commissariato dell'Onu, Laura Boldrini, che strillano alla violenza, incitano alla repressione, solidarizzano con le forze dell'ordine e incitano il governo a trovare soluzioni che sono perfino peggiori dell'attuale situazione.
La verità della rivolta è raccontata da Kwame, un giovane Ghanese. Volevamo farci vedere, volevamo parlare con qualche italiano. Nel campo i giornalisti non entrano più. La polizia ci ha detto di lasciare i binari altrimenti non saremmo più rientrati nel campo. Ci siamo avvicinati e chiesto di parlare e loro hanno cominciato a sparare lacrimogeni di tipo CS irritanti, utilizzati contro i No Tav alcuni giorni fa, considerati dal centro studi per la pace come armi chimiche, quindi pericolose, capaci di creare lesioni anatomico funzionali e vietati dalle convenzioni internazionali. A quel punto abbiamo cominciato a lanciare sassi. Se la rivolta è cresciuta è dipeso anche dalla durezza, pesantezza della repressione, altro che povere forze dell'ordine vittime della furia degli immigrati!
Così il blocco di un autobus, di macchine è stato interno ad una battaglia, altrimenti gli immigrati sarebbero stati massacrati e arrestati. E sono stati loro, certo, e non le forze dell'ordine a pretendere una trattativa condotta da Fratoianni e sancita da una carta scritta del vice prefetto. Ma i patti non sono stati mantenuti, gli immigrati sono potuti, certo, rientrare nel Cara ma 29 di essi sono stati arrestati e ora rischiano di essere il “capro espiatorio” di una rivolta che ha visto protagonisti 300 immigrati col sostegno di tutti 1400. Sempre Kwame racconta: nessuno si è tirato indietro, perché questa situazione colpisce tutti.

tratto da Proletari Comunisti, 2 agosto 2011
Da una lettera dAl Cie di Ponte Galeria (13 luglio 2011)
Scrivo a nome di cinque persone che sono detenute qua nel centro di Ponte Galeria a Roma. Siamo quasi 200 uomini e 50 donne detenuti al centro di Ponte Galeria. Qua siamo detenuti come colpevoli, come persone che hanno commesso un reato. Perché sei mesi? è un periodo troppo lungo. E ora vogliono aumentare a diciotto mesi. […]
Io sono tunisino e sono scappato da una situazione disumana. Dopo la caduta del nostro presidente Ben Alì non è cambiato niente, tutti i giorni ci sono manifestazioni e la gente muore per strada. […] Abbiamo sentito che Maroni ha fatto un accordo col nuovo governo della Tunisia e rimandano lì la gente che arriva in Italia. Ma nei nostri paesi c'è la guerra civile e i rifugiati che arrivano dalla Libia sono tutti qui. Lì per noi non c'è niente da mangiare. […] Noi veniamo perché sognamo la libertà, come voi una volta sognavate l'America. E' il nostro sogno e invece veniamo qua e troviamo un centro come questo a Ponte Galeria. Perché? noi non abbiamo commesso niente. Ti dicono che dopo sei mesi esci, ma io sono venuto qua per migliorare, per cambiare, per guadagnare qualcosa per i nostri figli e per le nostre famiglie perché nel nostro paese c'è la povertà. E invece una mattina ti svegliano alle sei del mattino e entrano 20 persone coi guanti, ti portano in una stanza e ti tolgono tutta la tua roba e ti rimandano a casa. […]
Qua c'è gente che dell'Italia non ha visto niente, solo questo centro, e non parla nemmeno una parola d'italiano e la rimandano al paese suo senza il telefono e senza le sue cose.
Noi siamo detenuti qua, in una situazione proprio disumana: otto persone in una stanza di quattro metri per quattro. Viviamo uno attaccato al letto dell'altro. Chi si alza dopo le otto del mattino non prende la sua colazione. Chi arriva ultimo per la fila non arriva a prendere il pranzo e la cena perché noi facciamo la fila in 200 persone per prendere il nostro mangiare. Chi arriva ultimo non arriva a prendere il suo pasto. Ti danno un buono di 3 euro e 50 al giorno per comprare sigarette, shampoo, merendine, però non bastano, è troppo poco. Anche per fare la doccia, l'acqua non c'è tutti giorni e nemmeno shampoo, asciugamano e dentifricio. La gente scappata dalla morte non ha portato lo shampoo e la roba per fare la doccia dal suo paese. […] Anche le pulizie non le fanno abbastanza perché i dipendenti della Auxilium si lamentano che li pagano poco e che il loro stipendio è basso.
Quelli della Auxilium ti ridono in faccia e ti accoltellano alle spalle, buttano le pietre e nascondono la mano. Li chiami e non viene nessuno, sono troppo furbi. Dei poliziotti non ne parliamo proprio, se dici "buongiorno" non ti rispondono. Quando rimandano le persone al loro paese le legano come un pacco postale, legano mani e piedi e mettono una fascia sulla bocca per non farle gridare, per non farle sentire al pilota. Ti fanno salire per ultimo così nessuno ti vede. I poliziotti sono pronti per intervenire e dare botte come in un mattatoio. I detenuti spesso si sentono male, hanno fatto il viaggio in mare, vengono dal loro paese e non sanno parlare, nessuno li capisce e la polizia li mena per farli calmare, così quelli dormono e basta. […]
Un altro problema: la gente è venuta dal mare, fanno viaggi della morte per arrivare qua. Quando arrivano sentono sei mesi e gridano tutta la notte, non hanno la testa normale e chiedono al medico tranquillanti perché hanno solo paura del domani, non dormono la notte e cercano un modo nelle medicine. Gli infermieri ti danno le terapie per drogati e la gente dorme tutto il giorno, hanno la faccia gonfia come drogati e la notte urlano e gridano, sono disperati. Prendono le gocce e se il giorno dopo devi partire te ne danno di più, così quando ti vengono a prendere non capisci nulla, è per evitare che ti ribelli alla deportazione. Le nostre richieste sono: vogliamo che tutti i cittadini italiani sentano la nostra voce, che vicino a Roma ci sono 250 persone che soffrono di brutto, tutti giovani, donne e uomini, gente che è venuta qua in Italia perché sogna la libertà, la democrazia. […]
Noi soffriamo già 6 mesi, figurati 18 mesi. Se passa la legge* qui c'è gente che fa la corda perché già così, con i sei mesi, c'è gente che si è tagliata le mani, figurati con diciotto mesi, la gente si ammazza, la gente esce fuori di testa. Chiediamo che la gente là fuori, tutti, anche i partiti politici, faccia di tutto per non far passare quella legge. Chiediamo che la gente fuori, ogni giovedì mattina, vada a vedere a Fiumicino le persone portate via con la forza, che vada a fermare il massacro.

13 luglio 2011
da informa-azione.info

* 3 Agosto, 2011 [ndr] Il Senato ha approvato con 151 voti favorevoli e 129 contrari il decreto legge con il quale il governo ha attuato le normative Ue sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e sul rimpatrio degli extracomunitari irregolari. L'aula di Palazzo Madama converte il decreto in legge perché già approvato dalla Camera; tra le misure principali il testo prevede l'espulsione immediata degli immigrati irregolari considerati "pericolosi" e allunga la permanenza nei CIE da 6 a 18 mesi.


no tav: Cronache dalla Maddalena occupata
Domenica 3 luglio. Le comunità resistenti d’Italia si raccolte a Chiomonte per assediare le gabbie di acciaio erette alla Maddalena. Chi se la sente scende dai sentieri, gli altri scelgono la strada: ma la giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione, attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei
manifestanti. Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No Tav.
Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita – trasformata in ospedale da campo - i feriti sono accolti da applausi e urla di sostegno; dai curvoni che salgono a Chiomonte la gente grida forte quando arriva la notizia che una rete è saltata. La gente dei boschi e quella della strada è la stessa gente, le stesse facce, la stessa storia fatta delle mille storie di ciascuno di noi.
Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e il perché hanno dato i loro frutti. [...]

Venerdì 8 luglio. Nonostante le ambiguità del testo di indizione, gli oltre ventimila partecipanti alla marcia hanno dimostrato di avere le idee chiare, di non essere disposti a dividere chi resiste all’invasione in buoni e cattivi. [...]
[Dopo la fiaccolata una sessantina di solidali provenienti anche da fuori città, due camionette e due pattuglie a sorvegliare il concentramento. Il gruppo si è poi spostato in una via laterale raggiungendo a piedi una delle recinzioni e facendo una mezz'ora abbondante di "gran casino", con battiture, urla, petardi e fuochi artificiali. Buona risposta dall'interno].

Domenica 10 luglio. Circa 300 persone hanno animato un lungo presidio al carcere delle Vallette, presenti tutte le realtà antagoniste torinesi e molte persone solitamente estranee a questo tipo di iniziative. Impianto audio molto potente, saluti solidali, battiture e slogan, scarsa la presenza dei cani da guardia dello stato, immancabili invece una quindicina di ceffi della digos.

Venerdì 22 luglio. Al presidio della centrale, dopo il ponte sulla Dora, è il giorno dell’accerchiamento. Zaini, limoni, bottigliette di acqua e malox, maschere antigas di tutte le fogge spuntano da ogni parte. Da una settimana la polizia asserragliata dietro i due sbarramenti che chiudono l’accesso alla strada dell’Avanà, spara lacrimogeni ai No Tav che cingono d’assedio il fortino messo su dallo Stato alla Maddalena occupata.
Basta un battitura più intensa, un pezzo di rete tagliata per scatenare la rappresaglia con idranti e gas nocivi. Ma i No Tav hanno la testa dura. [...]

Sabato 23 luglio, Baita Clarea. I No Tav della rete “torino&cintura sarà dura” si sono dati appuntamento per una giornata antimilitarista. Prima di pranzo facciamo un giro alle gabbie e raccogliamo due borsate di bossoli di lacrimogeni. Incrociamo forestali e poliziotti che stanno facendo lo stesso lavoro, per far sparire le tracce della notte precedente. Insistono per vedere le nostre carte di identità e poi si allontanano.
Intorno alle gabbie hanno sbancato con le ruspe per rendere più difficile avvicinarsi: all’interno stazionano all’ombra dell’autostrada una cinquantina di poliziotti e finanzieri. Un cingolato sposta qualche jersey.
Gli alpini della Taurinense, gli ultimi arrivati nel fortino della Maddalena, se ne stanno lontani dalle reti. Il governo, dopo lungo tergiversare, ha deciso di impiegare l’esercito in Val Susa. Ospitare in albergo poliziotti, carabinieri, finanzieri e forestali costa troppo: gli alpini dormono in caserma. Dopo la guerra in Afganistan, nei CIE della penisola o nelle periferie delle nostre città sono pronti per la Maddalena. [...]
I No Tav che hanno fatto l’alpino sono tanti in Valsusa: hanno partecipato alla difesa della Maddalena e sono presenti all’assedio, veri “alpini del popolo”. Come gli ex arditi della prima guerra mondiale, che scelsero di opporsi al fascismo, hanno deciso di schierarsi contro l’occupazione militare della loro valle. [...]

Domenica 24 luglio. Sul primo dei due cancelli che serrano la strada dell’Avanà comincia la battitura. Un pezzo di cancello viene giù. La reazione dei poliziotti è immediata: sparano centinaia di cartucce di gas CS, incuranti dei bambini, degli anziani, della folla domenicale che mangia e beve. La gente reagisce con composta calma. I genitori portano i bimbi lontano lungo il fiume: ne vedo uno sui sei sette anni, il fazzolettino davanti alla bocca, che guarda con occhi larghi il fumo denso ed acre, che poco a poco raggiunge l’area del presidio, si insinua tra le tende, invade la cucina. Chi l’ha indossa la maschera antigas, prende un fazzoletto bagnato, afferra un limone. Nessuno scappa.
I ragazzi corrono, afferrano i lacrimogeni e li buttano nella Dora o nelle bacinelle sempre pronte al presidio. Qualcuno va sulla statale e blocca il traffico.
Un No Tav si avvicina al cancello per scattare qualche foto: gli sparano un candelotto in faccia rompendogli il naso e la mandibola, tagliandogli labbra e palato. Lo soccorre un medico No Tav, poi va all’ospedale di Susa dove lo ricuciono.
Il giorno dopo La Stampa oserà scrivere che i No Tav hanno usato i bambini come scudi umani. Dell’uomo con la faccia spaccata non farà parola.

Lunedì 25 luglio, presidio No Tav alla centrale. Una serata fredda e calma. La notizia del giorno è l’attacco subito dalla Italcoge la notte precedente: un camion distrutto, altri danneggiati. Naturalmente i giornali puntano subito il dito sui No Tav, dimenticando che spesso le ditte bollite come quella segusina subiscono attentati, che, grazie alle assicurazioni, garantiscono loro denaro liquido.
Il giorno dopo è previsto un presidio davanti all’Italcoge: se qualcuno spera che i No Tav rinuncino si sbaglia. Di grosso. L’assemblea del presidio conferma l’iniziativa. Nella notte i carabinieri sono schierati come statuine del presepe sull’alto muraglione accanto agli sbarramenti. Chi prova a passare sul ponte rischia una sassata: i militari ammazzano il
tempo giocando con le pietre. Niente di speciale, solo sassolini. Chi ha l’auto al di là del ponte lo attraversa di corsa.

Martedì 26 luglio, viale Couvert, Susa. Dalle sei del mattino circa duecento No Tav salutano in ingresso e in uscita i mezzi dell’Italcoge, una delle ditte che dal 27 giugno collabora con le forze del disordine statale nel costruire il fortino della Maddalena. Slogan, bandiere, un tappo della benzina che parte e poi torna. Su tutto una cantilena orecchiabile che diventa subito contagiosa. “Come mai, come mai, vi chiamate operai? Siete servi degli sbirri e non vi lamentate mai!”. Una sorta di forca caudina dove camion ed auto sono obbligate a passare, senza tuttavia che vi sia un blocco delle partenze.
Chi collabora con gli occupanti la deve trovare dura. Una bandiera No Tav viene issata sul pennone che svetta all’ingresso del piazzale dell’Italcoge.
La mattinata prosegue con un presidio informativo nella limitrofa piazza del mercato. Su un banchetto piazzato sotto lo striscione “prodotti del Tav” vengono esposti centinaia di bossoli di gas CS. Volantini e brevi comizi informano chi passa. Una goccia nel mare dell’informazione al servizio del Si Tav. Una goccia corrosiva. [...]

Mercoledì 27 luglio. Sarebbero 21 le denunce ancora da notificare per le resistenze che il movimento no tav ha praticato durante la libera repubblica della Maddalena fino ad oggi a Chiomonte. Contro l’occupazione militare dal 27 giugno la valle di Susa resiste, resiste da sempre e da sempre la magistratura svolge il suo bieco lavoro. Negli ultimi giorni i nervi iniziano a cedere e il dispositivo militare di occupazione tentenna. L’on. Agostino Ghiglia, noto destroide reazionario torinese ha iniziato così una campagna di pressione contro il movimento no tav, da lui sempre odiato. Dopo interrogazioni parlamentari e proclami ecco allora la questura di Torino che risponde con 21 denunce e qualche foglio di via, rispolverando il bau bau del black bclok e delle frange violente. Denunce tutte pronte nel cassetto che non sono certo frutto di notti insonni in commissariato ma che vogliono essere un facile capro espiatorio o meglio contentino per gli onorevoli in agitazione. Un modo come un altro per portare a casa lo stipendio e cercare di accontentare un po’ tutti.

Venerdì 29 luglio. Dopo un'intensa notte di resistenza contro il cantiere Tav, apprendiamo dai media di regime che nelle prime ore di oggi, venerdì 29 luglio, la digos ha perquisito una quindicina di abitazioni tra Torino, la Valsusa e il Canavese. L'altro ieri erano state inoltre sequestrate diverse maschere antigas trovate nell'un auto di un compagno. L'operazione repressiva di oggi potrebbe essere un tentativo di intimorire il fronte No Tav in vista della grande manifestazione di sabato 30 luglio o una rappresaglia per gli scontri della scorsa notte come indicherebbero le veline diffuse dalla questura.

Mercoledì 3 agosto. Questa mattina mercoledì 3 agosto i comitati no tav della bassa val Susa e val Sangone hanno organizzato un presidio sonoro all’hotel ninfa di avigliana dove alloggia la polizia e i reparti che operano presso il sito di Chiomonte. L’iniziativa come si vede dal video si è svolta in maniera tranquilla e ha di fatto disturbato le truppe intente a riposare dopo il turno alle reti del fortino si tav di Chiomonte. Una sesantina di attivisti hanno partecipato con bandiere e striscioni denunciando la violenza e l’arroganza delle truppe che ogni giorno operano in val di Susa con l’intento di occupare e distruggere questo territorio. Dopo circa un’oretta mentre i no tav della valle si stavano allontanando la polizia è intervenuta selezionando accuratamente i ragazzi provenienti da fuori valle che ancora campeggiano a Chiomonte fermandone una quindicina. Con la scusa dell’identificazione sono stati trattenuti e in questo momento trasportati in questura. L’unico intento di quest’operazione è ancora una volta dividere e proseguire con la mistificazione dei no tav black bloc venuti dall’esterno. La polizia così cerca di mostrare il suo livello di attenzione al tema garantendosi un sicuro stipendio e rispondendo prontamente alle urla rabbiose di Merlo, Ghiglia ed Esposito che si vedono sfumare e mettere in difficoltà il loro appalto tav a Chiomonte. Dopo il duro colpo di ieri martedì 2 agosto con la sentenza di fallimento ITALCOGE oggi è il giorno delle risposte, tutte mediatiche, tutte da ufficio politico di chi sotto il sole di agosto perde il timone e la rotta di una barca ogni giorno sempre più in difficoltà. Da tutori dell’ordine a tutori della tav si sa il passo è brevissimo e di fatto già solcato.

Estratti dai report a cura della Federazione Anarchica Torinese
e da www.notav.info, www.informa-azione.info
fai_to@inrete.it, 338 6594361


volantino distribuito alla manifestazione a genova
GENOVA 2001: IN 10 PAGANO IL CONTO
PER L'UNITÀ E LA SOLIDARIETÀ, CONTRO LA CRIMINALIZZAZIONE DELLE LOTTE
LA NO TAV INSEGNA
In questi ultimi 10 anni che ci separano dal luglio 2001 a Genova molte cose sono cambiate. Per certi versi quelle giornate - e quelle che ne sono seguite - hanno rappresentato un vero e proprio spartiacque. L'inedito livello di repressione che ne è sortito ha senz'altro dato un duro colpo alle illusioni di una possibile mediazione pacifica fra le istanze di cambiamento dal basso e gli interessi statali e padronali. Una presa di coscienza però inquinata dal democraticismo borghese di una "sinistra radicale" che ha finito poi col pagare amaramente la propria sostanziale e indubbia subalternità al "riformismo" di stampo padronale, sparendo dall'arco parlamentare. Forse non poteva andare altrimenti nel contesto di generale arretramento che il movimento "no global" ha percorso all'indomani delle giornate di luglio. L'aver permesso che il terreno del dibattito fosse monopolizzato dalla critica della "violenza", indistintamente dei manifestanti e delle forze di polizia, ha consentito l'opera di criminalizzazione e desolidarizzazione nelle fila del movimento. Un terreno scelto dallo stato, minato di tentativi di compatibilizzazione e manovre repressive, nel quale viene bandita persino l'idea di una trasformazione rivoluzionaria della società.
Le importanti testimonianze di solidarietà attiva nel corso delle numerose inchieste giudiziarie a carico di compagni, susseguitesi un po' dappertutto in Italia, non sono tuttavia riuscite ad arginare una sorta di "si salvi chi può" malcelato dietro una rinnovata fiducia verso gli esiti processuali delle inchieste aperte a carico delle guardie responsabili delle più squallide condotte.
Nella vasta e importante opera di ricostruzione storica di quelle giornate non è vi è quasi traccia dell'ammissione di una sconfitta politica ancor più che "militare".
Il contesto odierno, così profondamente segnato dalla crisi e dalla guerra, saprà fornire l'occasione per metabolizzare quella sconfitta. Esempi come il 14 dicembre a Roma, le recenti "battaglie" in val Susa, passando per le lotte contro le discariche e gli inceneritori in Campania, stanno dimostrando una capacità ma soprattutto la volontà di tenuta di fronte all'opera di criminalizzazione e desolidarizzazione condotta dagli apparati dello stato. Complice, sicuramente, la capacità di resistenza all'aggressione imperialista nei paesi teatro di guerre oramai decennali, i moti di rivolta diffusa in paesi del Nord Africa ma anche dell'Europa, l'esplosione a macchia di leopardo di lotte rivendicative partecipate e radicali che alimentano l'immaginario di un altro mondo possibile, alternativo all'alternativa di governo.
10 anni è anche il tempo che c'è voluto per celebrare due gradi di giudizio per 25 imputati, di cui 10 con condanne che vanno dai 6 ai 15 anni di galera; l'ultimo grado di giudizio è atteso per quest'anno.
Il carcere e la repressione sono da sempre gli strumenti utilizzati per isolare e dividere le lotte e chi lotta. L'unità e la solidarietà sono le nostre armi.
La memoria serve anche a questo, a capire come fare per riscattarsi dalle sconfitte.

Milano, 23 luglio 2011
OLGa - olga2005@autistici.org


Su una manifestazione a Berlino in ricordo della rivolta genovese
Se in Italia si continua a dibattere sulle giornate genovesi del 2001 e avvoltoi di oggi e di ieri cercano imperterriti di recuperare quei tre giorni di rivolta, in Germania si rivendicano in toto quelle giornate che per molti continuano a rappresentare un momento in cui abbiamo vissuto.
Per il 16 di luglio 2010 alcuni compagn@ berlinesi hanno deciso di sfruttare il decennale di quelle giornate per riappropriarsi di alcuni spazi sottrattici dalla polizia nel corso degli anni e ricordare Carlo attraverso un momento di lotta legato alla situazione in cui ci si trova in città - quindi non un ricordo “vuoto” e distaccato fine a stesso che avrebbe rischiato di dar vita all'ennesima cerimonia di movimento (quale, poi?...), ma piuttosto un'occasione per rilanciare alcune pratiche e contenuti per continuare la nostra offensiva contro l'esistente.
Attraverso una manifestazione dal messaggio chiaro si é voluto dare un segno, dieci anni dopo, su come noi non abbiamo dimenticato - e che l' odio che ci portiamo verso questa sistema é ben lungi dall'essere sopito - o recuperato.
Per questo é stata scelta la forma di una manifestazione non autorizzata ma organizzata in maniera pubblica per le strade di Kreuzberg, dove da alcuni mesi si trova un grosso murales per Carlo in un parco del quartiere che é stato ribattezzato “Parco Carlo Giuliani”. Grazie ad una mobilitazione organizzata in maniera assolutamente decentralizzata ed autonoma, fatta di centinaia di manifesti differenti, volantini, graffiti, scritte e così via che hanno inondato diversi quartieri della città, coordinata in maniera informale attraverso un blog che ha ospitato anche discussioni e critiche tra i vari partecipanti, più di mille compagn@ si sono presi le strade di Kreuzberg in un caldo sabato sera di Luglio.
Con chiarezza si é espresso il bisogno di ritrovare la pratica delle manifestazioni non autorizzate che vadano aldilà di una mobilitazione fatta in maniera “clandestina” a cui si ritrovano a partecipare poche dozzine di persone - a parte alcune eccezioni - e che esprimi il nostro rifiuto di sottoporci all'umiliazione di contrattare percorso e tempi di una manifestazione.
Da subito é stato messo in chiaro come una tale mobilitazione possa funzionare solamente grazie alla partecipazione attiva di tutt@ quell@ che sentano la necessità di rispondere a tale chiamata, quindi cercando di combattere atteggiamenti passivo/consumistici con cui ci deve scontrare di quando in quando e optando per una rinnovata responsabilizzazione di tutt@ quell@ che scelgono di scendere in strada per esprimere la propria insofferenza verso lo stato di cose presenti.
Né spettatori neé spettatrici, solo complici attivi.
Grazie alla puntualità ed agilità dei partecipanti si é presa di sorpresa la polizia - presente ovviamente in maniera massiccia nella piazza di incontro e nelle strade adiacenti - che ha dovuto subire lo smacco di vedere camminare una manifestazione “illegale” - un sacrilegio punito duramente e brutalmente in Germania, dove organizzare una manifestazione non autorizzata e quindi potenzialmente “incontrollabile” é paradossalmente spesso più difficile e rischioso che organizzare un riot.
Più di duecento compagn@ si sono incontrati in un parco adiacente alla piazza - pieno di abitanti del quartiere e turisti impegnati a godersi un barbecue o una birra - e si sono mossi compatti verso il punto di incontro.
Nonostante si trattasse di un “black bloc” (quindi trattasi del babau per la maggior parte degli italiani) in cui tutt@ avevano il passamontagna e camminavano incordonat@, i presenti hanno letteralmente strappato i volantini di mano a chi era impegnato a distribuirli, mostrando una chiara simpatia per i manifestanti.
Usciti dal parco si é bloccata la strada e raccolto gli altri partecipanti, arrivando a formare un blocco nero di più di mille compagn@.
Veloci, compatti, con vari striscioni rinforzati e legati con della corda robusta per proteggersi dagli attacchi della polizia, ci si é mossi per le strade, cantando cori contro le guardie, in ricordo di Carlo e della rivolta genovese, accendendo fumogeni e tirando petardi. Quest'ultima si é messa a rincorrere la manifestazione bloccandola all'altezza di una delle strade principali del quartiere e riuscendo a spezzarla in due tronconi - occasione questa per un primo scambio “emozionale” con le truppe di assalto, dato che mentre il primo troncone della manifestazione é riuscito a passare il blocco, i restanti hanno iniziato a lanciare pietre, bottiglie e fumogeni contro i robocops. Dopodiché si é creata una situazione di caos dove gruppi di centinaia di persone sono rimaste in movimento per il quartiere, non lasciandosi intimidire dai robocop e anzi ottenendo la solidarietà di molti degli astanti che si sono spontaneamente accodati ai vari gruppi.
Il cosiddetto piano B - il ritrovarsi in un punto concordato nel caso che la manifestazione venisse attaccata e dispersa - ha funzionato, dando la possibilità ad alcune centinaia di persone di ritrovarsi in un altro parco e portare avanti alcuni massicci attacchi coordinati contro la polizia a suon di san pietrini, fionde e qualche molotow. Per tutta la notte si sono susseguiti attacchi contro la polizia e i loro mezzi, molti i blindati e le macchine danneggiate come anche il cannone ad acqua che si é dovuto ritirare in seguito agli attacchi, alcune barricate sono state erette, molti poi i momenti di affinità “pratica” con turisti e ragazzi turchi e arabi che, come si diceva, hanno partecipato con gioia e trasporto ad alcuni di questi momenti, tutti uniti cantando “tutta Berlino odia la polizia” o “Odio come non mai - all cops are bastards”, due dei cori più gettonati della serata.
Un'auto della Digos che stazionava nelle vicinanze della Köpi - storica ex-occupazione della città - é stata attaccata con delle fionde come anche alcuni dei blindati parcheggiati lì vicino. Alcuni di essi, che provocatoriamente sono passati di fronte alla Köpi, sono stati attaccati con pietre ed eventuali, provocando l'uscita di un gruppo di sbirri audaci che hanno provato a fare irruzione dentro il posto - dovendosi però allontanare piuttosto velocemente in seguito ad una difesa decisa tramite sbarre di ferro e spray al pepe.
Trenta gli arresti della nottata, perlopiù turisti e ragazzi del quartiere che purtroppo hanno offerto un bersaglio facile alla polizia (un po' come durante il Primo Maggio), tutti rilasciati con accuse pendenti.
Come si é potuto leggere nei media ufficiali, mani ignote hanno scelto di ricordare Carlo attraverso un altro momento di attacco - nello specifico, una delle sedi della polizia criminale berlinese che é stata attaccata con dispositivi incendiari all'inizio della settimana, mentre una scritta “Per Carlo, 20.7.2001, R.I.P.” ed una “A” cerchiata sono state tracciate sui muri nel caso ci fosse stato qualche dubbio sul senso dell' azione.
Altre manifestazioni e azioni hanno avuto luogo in diverse città della Germania, come una manifestazione non autorizzata a Dortmund o un attacco contro una stazione di polizia a Mannheim.
Come ultimo smacco tattico, sul blog della manifestazione é stato pubblicato il protocollo dei movimenti e delle tattiche della polizia durante tutta la nottata - ottenuto grazie all'ascolto delle sue radio ed importante per evincere informazioni sui loro movimenti, tattiche ed impressioni - know your enemy!
I giorni seguenti alla manifestazione hanno visto un intervento di vari compagn@ nel quartiere, in particolare sono stati affissi dei manifesti firmati con una “A” cerchiata che ringraziavano gli abitanti per la solidarietà dimostrata nonché la partecipazione attiva durante la nottata, spiegando la ragione degli attacchi contro le forze dell' ordine ed il motivo della manifestazione. [Seguono alcuni link relativi a foto e alcuni video].

25 luglio 2011
da informa-azione.info


Lettera dal carcere di Opera (milano)
Ciao a tutti/e, vi informo che il carcere di Opera trema, battiture e urla di sfogo tutte le sere. Esprimo solidarietà a tutti i detenuti e a tutte le detenute in lotta, non importa se questo governo neofascista non ci darà niente, ciò che conta è lottare!
20 luglio 2011 è il decennale della morte di Carlo Giuliani. Da lui abbiamo imparato ad andare avanti a testa alta anche davanti a uno schieramento di carabinieri armati.
Monarchia, nazismo e fascismo, tutti gli imperi sono crollati, così crollerà anche l'impero democratico. Questa è l'era della libertà, è l'era dell'anarchia!
Restiamo uniti, saluti ribelli! Con l'anarchia sempre nel cuore, l'anarchico William.

7 luglio 2011
William Pilato, via Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)
lettera dal carcere di macomer (nu)
Ciao, sono Amine e mi ha fatto molto piacere la tua lettera e spero che stai in buona salute e felice momento. Riguardo la mia espulsione, sarà il 3 luglio 2011, dopo questa condanna ingiusta; il Governo Fascista che comanda in Italia, il cui unico problema sono gli immigrati, anche se questi immigrati sono regolari (3 milioni) e pagano le tasse, però questi fascisti sempre parlano male di questi poveri immigrati!
Ieri in matricola mi hanno consegnato la notifica dell'espulsione e gli infami di questo carcere hanno scritto nella Pagina 3, anche delle mie lettere che scrivo ad OLGA (corrispondenza con noti esponenti dell'area antagonista nazionale); è veramente incredibile questo Regime Fascista che si trova in Europa e poi parlano della democrazia e della libertà di parola, e allora dove é finito "SANTORO"?, che fa solo il suo lavoro.
Veramente sono senza parole per tutto l'aiuto e per la vostra solidarietà. Ai cari compagni di OLGA voglio scrivere grazie mille a tutti voi e Inshallah, vi scriverò da ALGERI.

Macomer, 26 luglio 2011
Amine Bouhrama, Località Bonu Trau, 19 - 08015 Macomer (Nuoro)


Resoconto del presidio sotto il carcere di Prato
Sabato 11 luglio una quarantina di compagn* di Prato, Fi e Mi, in gran parte giovani e alla loro prima esperienza di questo genere, si sono incontrat*, seppure a distanza, con le persone chiuse nel carcere di Prato - il cui indirizzo è:
Via La Montagnola, 76 - 59100 Prato.
Più che un presidio, il tempo trascorso, dalle 18 fino alle 23 inoltrate, in un prato antistante una fiancata del muro di cinta, nei fatti è stato un parlarsi, un costruire assieme il tempo lì trascorso. Ne è nata una stretta comunicazione che ha spaziato dall'informazione su quanto sta avvenendo in Val di Susa alla scelta dei brani musicali da inserire nell'impianto sonorizzante, dai cori contro galera e secondini a quelli per la libertà, dalle informazioni dalle altre carceri all'ondata repressiva che si è abbattuta su diverse città - Firenze compresa… E, del resto, l'idea del presidio è nata e si è sviluppata dopo il trasferimento in quel carcere di un compagno arrestato all'inizio di giugno assieme ad altri, nell'ambito di un'inchiesta gigantesca contro il movimento studentesco fiorentino.
Dalle sbarre delle finestre sono uscite bandiere "No Tav", inneggianti alla libertà, albanesi, senegalesi… assieme ad oggetti incendiati, comunicanti con le torce rozze accese e agitate fuori; il tutto mischiato a brevi considerazioni sul carcere e sul proseguimento della lotta… ai saluti. I temi comunque ritornanti sono stati quelli dello sciopero della fame e del cibo da trasformare in sciopero della spesa, della lotta per l'amnistia per renderla generale… Ci si è lasciat* con un sicuro arrivederci, con l'invito a scriversi...

Milano, luglio 2011


Lettere dal carcere di Prato
Salve ragazzi, sono uno dei detenuti del carcere di Prato e vi scrivo per ringraziarvi della vostra "visita". Considero inutile spiegarvi e raccontarvi la nostra routine, che, a sorpresa, ieri è stata interrotta dalla vostra gradita visita. Vi dico solo che, in solidarietà a Pannella e alle altre realtà carcerarie (qui, ancora per poco si sopravvive) abbiamo fatto lo sciopero dei lavoranti, della fame e la battitura per 3 giorni. Durante questi e giorni abbiamo avuto scontri verbali con le guardie, ma è finita lì, hanno visto che non avevano la situazione sotto controllo e perciò, diciamo, hanno "agevolato" la nostra protesta, che comunque non ha mai oltrepassato la soglia della protesta pacifica.
Ieri invece siete giunti a sorpresa, il vostro compagno Sid, aveva detto a qualcuno di noi che sareste venuti per una simile "visita", ma non tutti lo sapevamo e non ci speravamo, perché purtroppo il pianeta carcere è abbandonato a se stesso e se qualcuno ci dice che verranno delle persone in nostro sostegno, ci crediamo poco.
La vostra "visita" ha soprattutto ricolmato una giornata che per la routine doveva essere come le altre: triste e inutile!
Grazie a voi ieri i nostri cuori battevano più forte e la consapevolezza che non siamo soli ha vinto la tristezza dell'abbandono.
Eppure le guardie hanno voluto scoraggiarci riguardo alla vostra visita, alle vostre motivazioni di essere qui vicino al carcere e quant'altro. Ma la vostra musica, le vostre parole e la vostra sincerità, ci hanno coinvolto e ci hanno portato a credere che non siete venuti solo per un vostro compagno, ma che siete venuti qui per la campagna di tutti coloro che vivono senza stato, senza servi e senza padroni. Insomma, siete venuti qui per incontrare la libertà, la compagna della vita di tutti coloro che si ribellano ai ricchi e alle loro forze, alle loro, leggi, alla loro ipocrisia. Gente che si nasconde dietro alla divisa, forze che agiscono, facendo proprio il diritto di attaccare e distruggere persone che nella vita hanno sempre sudato per sopravvivere. Gente che nel cuore non ha altro che gelo; finti sorrisi invadono le loro facce, sporchi ipocriti, senza onore e senza dignità: avvolti nell'infamia che per loro è gloria!
Ieri sera le guardie sono arrivate con le loro minacce psicologiche, volevano fermare le nostre grida di gioia, per fermare il fuoco che usciva dalle finestre delle celle. A me, da un po' di tempo mi hanno preso di mira, sono venuti perché ho acceso la bomboletta mentre voi avevate acceso i fuochi. Sono una loro vecchia conoscenza, sono 9 anni e mezzo che sono dentro e gli stò un po' sul culo, perché hanno sempre trovato il muro nei momenti che hanno avuto scontri verbali con me.
Un brigadiere che tempo fa mi denunciò al comando perché a suo dire gli avevo detto di aprire il blindato per risolvere la discussione da uomini, ieri, mentre comunicavo con voi dalla finestra, è tornato e mi ha provocato di nuovo. Beh, sicuramente mi chiameranno di nuovo al comando, e mi devo tutelare nei confronti di codesto, se no rischio che gli faccio male per davvero e poi mi allungano la galera.
Comunque, questi coglioni sono rimasti male ieri sera, per 6 ore c'è stata comunicazione fra voi e noi, e la musica ci ha fatto provare le stesse emozioni nonostante queste maledette mura.
Personalmente sono stato felice; altrettanto felici ho visto altri detenuti qui dentro. E spero che ritorniate, perché in questa società non manca la libertà, ma uomini liberi. Mancano coloro che in Val di Susa gli hanno rotto il culo ai boia di questo stato; mancano gli uomini liberi. Manchiamo noi, mancate voi, mancano gli uomini liberi.
Qui chiudo la mia lettera, vi mando un abbraccio a tutti ed un grande in bocca al lupo per la vostra giusta causa.
Hasta la victoria siempre!

P.S. Sono interessato a sapere di più sulla vostra associazione, se potete, fatemi sapere. Ho 34 anni, dieci dei quali passati in galera. Me ne rimangono altri 4 per finire tutta la condanna. Provengo dal paese dell'aquile (Albania).
VIVA LA LIBERTA', LUNGA VITA AGLI UOMINI E ALLE DONNE LIBERE
Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi, e noi lo siamo!
Nella Valle di Susa c'è stato uno scontro. Nonostante mal attrezzati e mal addestrati, hanno avuto la meglio coloro che non hanno il diritto di uccidere!
Hanno avuto la meglio gli uomini liberi!
Con stima, Mirgen Krepi

10 luglio 2011
Krepi Mirgen, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato

***
Dieci anni in galera, convivo con gli abusi di potere, con la cattiveria che lo scempio umano che mi circonda e mi osserva, ci mette nel suo operato. Il tempo che devo stare ancora qui dentro, non è indeterminato, ma ciò non significa che mi sono arreso, attendendo la fine di questa inutile prevaricazione che uno stato, che si riconosce di diritto, esegue sugli esseri umani.
Nel 2004 giunse la richiesta di scioperare per 3 giorni a favore dell'abolizione della "pena a vita". Poi, un anno dopo, la mobilitazione sull'indulto che i papponi (i funzionari dello stato) concessero solo nel 2006, per poi accusarlo (l'indulto) dei suoi "gravi effetti".
Da allora sono passati5 anni. Da quello che gli aguzzini permettono si viene a sapere che la situazione carceraria è al collasso, mentre i papponi statali assicurano, rammentando la capienza allargata dei lager italiani.
Il contesto con le sue brutalità, contraddicendosi, ci chiede il ravvedimento generale attraverso la rivisitazione critica del passato da Corazzata Potiemkim.
La Gozzini, che in realtà è uno strumento per sfornare carabinieri anziché uomini migliori, viene applicata su figli e figliastri, collaboratori interni e esterni, pecore travestite da lupi che pascolavano prati verdi.
E noi, figli di nessuno, rifiuti di una foresta sempre più fitta, che qualcuno chiama civiltà, siamo tenuti in ostaggio da uno stato crudele e senza scrupoli, in luoghi, che a loro dire, ci dovrebbero insegnare la legalità e la giustizia, magari guidati da preti che ci dovrebbero insegnare la morale e l'amore per il prossimo: ma noi, i prossimi di chi siamo? direbbe Adriano Sofri.
E mentre intorno a questo pianeta, avvoltoi travestiti da comunisti, liberali, socialisti e chi più ne ha più ne metta, volano bassi alla ricerca di qualche cadavere putrefatto per sfamarsi, i servi dello stato vigilano attenti per contenere e soffocare la rabbia che cresce e che si sviluppa di giorno in giorno.
L'ipocrisia dei buonisti cerca di farla da padrone e il menefreghismo dei papponi logora l'esistenza umana e le mura che lo circondano.
Ma la domanda che mi pongo è una sola: fin dove vorranno arrivare?
Io credo sia arrivato il momento di far sentire il nostro peso!
Un saluto a tutti coloro che lottano. A testa alta fino alla fine.

21 luglio 2011
Mirgen Krepi, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato

***
Ciao cari ragazzi… io mi definisco anarchico, sono contro questo tipo di leggi e contro questo stato di merda, perché pensano solo a loro mentre il popolo si trova veramente in crisi; la gente non ce la fa ad arrivare a fine mese, perciò lo stato non deve occuparsi delle cose inutili ma dei problemi seri che il popolo ha. Ragazzi, dal profondo del mio cuore vi ringrazio per avermi fatto sentire quella sera un uomo libero, perché 'sti sbirri rusicavano quando vedevano mettere fuoco alle maglie e non potevano toccarci con le mani. Ragazzi, voi per me siete stati la mia famiglia che ho perso con il mio arresto, mi dovevo sposare… ora sono solo con le mie sofferenze… così ho più tempo degli altri per vedere le ingiustizie e come sempre ci rimetto nel prendere le parti dei più deboli. Ma ne sono contento perché così non possono pensare che nessun detenuto prenda le parti di un altro detenuto. Continuerò sempre con la lotta contro le ingiustizie, perché sono un combattente nato e non creato. Sarei molto felice di rimanere in contatto con voi, se lo volete e se non mi respingete (come ha fatto la società). Ora vi lascio con la penna ma non con il cuore e la mente. A tutti voi mando un sincero bacio e abbraccio caloroso.

24 luglio 2011

***
[…] Allora, per prima cosa grazie di cuore da parte di tutti i detenuti della 3' sezione, che mi hanno espressamente chiesto di portarvi i loro ringraziamenti e la loro gratitudine. Sono certo anche gli altri delle altre sezioni con cui non ho contatti, compresi quelli in alta sicurezza (A.S.) erano contenti. Veramente è stata una cosa magnifica, sicuramente il presidio anticarcerario più bello a cui abbia mai partecipato. Mi sono sgolato, ho sbandierato, acceso fuochi.. mi hanno fatto desistere dal fare qualche fuoco artificiale.. erano in tantissimi a sbandierare, a battere, a gridare, vi si sentiva benissimo e dalle altre celle vi vedevano pure. Molto calore umano, molto gioia, poca comprensione.
Ho provato a spiegarlo ai tanti che nei giorni successivi mi chiedevano o mi stringevano la mano. Però, per le prossime volte, bisogna essere più comunicativi, parlare di più e con un impianto più potente, che non va messo a ridosso delle muro. Bisogna spiegare in maniera elementare il perchè, come se si parlasse a dei bambini.. tenete conto che la media della popolazione detenuta è semianalfabeta, moltissimi gli stranieri e che l'unico mezzo di informazione è la tv, perciò quello che non passa in tv è per molti sconosciuto. aggiungete che c'è gente che magari è in galera da 5, 10, 15 anni e non ha la più pallida idea di quello che ci sia fuori.
Ottima cosa le musiche etniche, però ci vuole molto speakeraggio, molto molto di più.
questo vorrei che venisse trasmesso ai compagni dell'anticarceraria: la lotta per l'abolizione del carcere è la cosa più obsoleta, inutile, controproducente, e se mi permettete idiota che si possa venire a fare sotto le mura di una prigione, e questo è il pensiero di tutti i detenuti; dai più colti, ai più ignoranti, dai rapinatori anarchici inconsapevoli, ai mafiosi. […]
Parola magica... amnistia, comunque sì, l'amnistia è obiettivo pratico immediatamente comprensibile a tutti, detenuti compresi, battaglia che si può vincere, per le condizioni oggettive e soprattutto ha un altissimo valore strategico, per i compagni più che per chiunque. Un'amnistia generalizzata di 5 anche di tre anni, ottenuta da una mobilitazione diffusa dei detenuti e da un appoggio (mediatico e non solo) che arriva da fuori. Ora, sfruttando le condizioni favorevoli, cioè le carceri che esplodono di gente da quanto sono piene e 5.000.000 di processi, tra cui i nostri, arenati. […]
A presto, un abbraccio forte Sid

luglio 2011
Valerio Ferrandi, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato
***
Mentre stiamo chiudendo l’ouscolo di questo mese abbiamo appreso che Valerio è stato scarcerato e adesso si trova detenuto ai domiciliari. Era stato arrestato in giugno sugli sviluppi dell’inchiesta per “associazione a delinquere” che poco tempo prima aveva colpito alcuni compagni di Firenze e, ancora prima, secondo il medesimo copione, altri a Bologna, con alcuni arresti e il sequestro del centro sociale “Fuoriluogo”.
A proposito di quest’ultima inchiesta, venerdì 15 luglio sono stati scarcerati le/i comp. arrestati a bologna il 6 aprile. Sono cadute le imputazioni più pesanti ("associazione a delinquere finalizzata all'eversione dell'ordine democratico"). Restano in piedi altre accuse (ossia di "aver promosso, organizzato e diretto una organizzazione finalizzata al compimento di violenze, lesioni, danneggiamenti e manifestazioni non organizzate"). Ragion per cui Stefania Carolei, Nicusor Roman, Anna Maria Pistolesi, Martino Trevisan e Robert Ferro sono sottoposti agli arresti domiciliari. A tutte e tutti un abbraccio, con l’augurio che anche le ultime accuse cadano.
Il 30 luglio anche Madda, un’altra delle compagne indagata nell inchiesta "Outlow" di Bologna, è stata scarcerata dal carcere romano di Rebibbia con obbligo di dimora nel comune di residenza piu la restrizione di non allontanarsi dalla propria abitazione dalle 22 alle 6.


Lettere dal carcere di Vigevano (pv)
Ciao compagni/e di olga, un saluto a voi e a tutti/e coloro che lottano, insorgono e non si piegano al dilagante fatalismo dei nostri tempi.
Il 24, 25, 26 giugno una forte mobilitazione contro la tortura e le odierne condizioni detentive e a sostegno dell'amnistia ha coinvolto molti detenuti rinchiusi in varie carceri, fra cui quello di Vigevano, nel quale mi trovo attualmente prigioniero.
Qui tutte le sezioni hanno fatto lo sciopero del carrello e la battitura alle sbarre.
Ritengo che sia necessario porre l'accento sull'importanza che hanno questo tipo di proteste in quanto creano la prospettiva in sempre più detenuti che solo rompendo il silenzio sia possibile affermare le proprie rivendicazioni, rifiutando di vivere nell'eterna attesa dei cambiamenti a noi esterni.
I detenuti sperano vivamente nell'amnistia e, difatti, questo è l'argomento più dibattuto in carcere e che ha principalmente caratterizzato la mobilitazione appena trascorsa. Per quanto l'amnistia sia, dal mio punto di vista rivoluzionario, un concetto criticabile in quanto diritto costituzionale la cui applicazione reale spetta solo a chi ci governa, è incontrovertibile che per qualsiasi detenuto è un obiettivo non da poco, anzi il massimo che si potrebbe ottenere nell'ordine presente delle cose. Infatti, se l'amnistia venisse concessa migliaia di prigionieri verrebbero scarcerati e il problema del sovraffollamento sarebbe alleggerito per un po' di tempo.
Le considerazioni critiche che mi sento di fare non vertono tanto sull'obiettivo che i detenuti si sono prefissi, ma più che altro sulla superficialità dei metodi utilizzati nella recente mobilitazione. Innanzitutto, credo che se si voglia porre un aut aut al sistema amministrativo penitenziario sia indispensabile farlo entrare in crisi per metterlo alle corde. Rifiutare di prendere il vitto dal carrello, come è avvenuto, ma continuare a far funzionare il carcere in perfetta tranquillità, di sicuro non potrà mai impensierire coloro che ci rinchiudono. Il carcere funziona quasi interamente grazie al lavoro dei detenuti, mentre le guardie si limitano a piccole mansioni e a controllare che niente e nessuno possa turbare il loro ordine. Essendo consapevole del fatto che sia svanita quella mentalità che in anni passati portò ad aperte rivolte e atti distruttivi non indifferenti, potrebbe essere un punto di partenza attuare uno sciopero generale, che, se realizzato, bloccherebbe nell'immediato il normale andamento del carcere.
Mi limito a scrivere queste poche parole come contributo per maturare ulteriori riflessioni sulle lotte in carcere. Un saluto e un abbraccio.

30 giugno 2011
Mattia Petit, via Gravellona 240 frazione Piccolini - 27029 Vigevano (PV)

Nel frattempo Mattia è uscito, lo abbiamo abbracciato felicemente fuori, assieme a Fede, suo "coimputato", scarcerato nello stesso giorno. I due erano stati arrestati a giugno a Milano con l’accusa di porto di materiale incendiario.

***
Ciao a tutti i detenuti e detenute e non, qui nel carcere le cose non cambiano per niente, anzi peggiorano; e poi ci si mette anche il comandante a prenderti in giro… abbiamo sbagliato e abbiamo commesso i reati, allora paghiamo con la testa alta "ci pieghiamo ma non ci spezziamo" e non ci facciamo sottomettere. Dobbiamo stare uniti, tutte le sezioni del carcere, se vogliamo ottenere qualcosa in questo posto di merda, dove ci siamo dentro tutti fino al collo "che vogliamo o non vogliamo", siamo dentro!
Ma se tutte le sezioni di Vigevano stanno unite, ma proprio tutte, allora anche qui finisce la condizione dei soldatini in divisa e incominciano ad avere paura loro di noi detenuti. Se siete d'accordo, ma tutte le sezioni, fatelo sapere quando c'è qualche problema con le guardie o con la direzione… facciamo una raccolta di firme in tutto il carcere per mandare via comandante e direttore… Grazie anticipatamente da uno scrivano che soffre straziato in questo carcere.

24 luglio 2011
Giovanni Gambino via Gravellona, 240 - 27029 Vigevano (PV)


un’accenno alla discussione sull'amnistia
Il fatto che nei presidi come nella corrispondenza la richiesta dell'amnistia esca con forza dalle carceri ci spinge a discutere i contributi che arrivano da dentro, per capire il problema e come affrontarlo. Sul punto ritorneremo senz'altro in modo più articolato, per il momento ci affidiamo a una considerazione generale che esponiamo di seguito.
Dagli anni 70 a oggi le amnistie varate dai vari governi che si sono succeduti hanno portato fuori dalle carceri ben pochi prigionieri, questo perché l'amnistia ha sempre coperto solo i cosiddetti "reati minori". Per fare un esempio l'art. 624 (furto) se accompagnato dall' art. 625 e cioè l'aggravante specifica non rientrava nell'amnistia. Nessun reato più grave del furto semplice è stato mai integrato nei provvedimenti di amnistia.
Questo provvedimento di "clemenza" è sempre servito, o almeno così dicevano, a sfoltire l'enorme mole di processi pendenti nei tribunali da sempre intasati. Con le leggi attualmente in vigore e con tutte le aggravanti inserite negli ultimi anni (tipo il comma 99, il 4 bis ecc.) anche se venisse proposta e accettata un'amnistia ad uscire dalle carceri per effetto di essa sarebbero davvero pochissimi detenuti. Attenzione, non facciamoci illusioni, un provvedimento del genere serve solo a cancellare dei processi dove sono coinvolti facoltosi faccendieri, ricchi industriali, amministratori disinvolti, politici ladri ecc. ecc. Insomma serve a quelli che in galera non ci finiscono mai. Il beneficio che ne possiamo trarre noi è che forse ci toglierebbe un po' di quelle multe che i tribunali non lesinano a infliggerci, ma di essere scarcerati per effetto di un'amnistia non se ne parla… non se ne è mai parlato. Ciò che negli anni passati ha portato una percentuale di detenuti fuori dalle carceri è stato l'indulto, che di solito viene associato all'amnistia. Non bisogna credere a quegli avvocati che parlano di amnistia, stanno dando false speranze facendo il gioco degli sbirri e dei giudici.
L'amnistia nella sua dimensione di scopo da raggiugere non può che essere un risultato dell'elaborazione e dell'iniziativa pratica di chi e per chi essa è un bisogno. Proprio come gli operai in sciopero non si fanno dire dai padroni l'entità degli aumenti salariali e delle riduzioni dei carichi e dell'orario di lavoro, così, a nostro parere, non può essere affidata al parlamento la definizione dell'amnistia ma piuttosto essere risultato della discussione fra prigionier*.
Milano, luglio 2011


Lettera dal carcere di Aosta
Carissimi/e compagni/e di Ampi Orizzonti, vi scrivo per la prima volta, sebbene già da un bel po' di tempo ricevo il vostro opuscolo, perché un giorno mentre ero al carcere di Biella ho saputo da un amico della vostra associazione dalla quale possiamo chiedere i libri, cosicché vi avevo solo chiesto alcuni libri. Trovandomi chiuso in questo stipo passo spesso il tempo leggendo i libri e ne ho anche scritto uno…
Comunque, sono un ragazzo bosniaco, ho 24 anni, mi trovo per la prima volta in galera e, sebbene non sia chiaroveggente, so che questa è l'ultima mia reclusione, poiché trovandomi chiuso qua dentro, quasi da due anni, ho capito che questa è una vita regalata, la quale non vale zero e che è meglio non vivere. Dicono che finché c'è la vita c'è speranza; é forse solo per tale motivo che sono ancora vivo. Un giorno, quando uscirò fuori di qua, spero di mettermi a posto, spero di trovarmi una donna giusta con la quale costruirmi una famiglia; spero di trovarmi un lavoro e di vivere onestamente come vivono tutti gli altri. Si! spero, ma chissà?! Infatti, sono venuto in Italia con quella speranza, ma dopo parecchi cambiamenti di lavoro, dopo dieci mesi mi sono trovato sulla strada, licenziato per mancanza di permesso di soggiorno.
Dopo invane ricerche di un altro lavoro non sapevo più come campare, così sono andato a fare i furti con alcuni ragazzi della ex Jugoslavia. Neanche venti giorni dopo sono stato arrestato e, per di più, imputato e condannato a 5 anni e mezzo anche per furti che non avevo mai commesso. Gli avvocati al processo non sapevano neanche scrivere nella forma giusta il mio nome e cognome.
Ma cosa posso dire, adesso, dopo tutto?! Questa mia reclusione sarà per me una scolarizzazione, perché, appositamente, qui ho imparato tante cose, come, ad esempio, apprezzare il denaro, in quanto non avendo nessun reddito vivo del lavoro che mi danno e dell'aiuto del prete, cosicché sto imparando ad apprezzare i centesimi, mentre quando ero fuori i soldi per me avevano un diverso valore.
Per giunta, questo è un posto di meditazione, dove si pensa più che in qualsiasi altro luogo, quindi è ovvio che un giorno, quando uscirò fuori di qua, sarò completamente diverso da prima. Un abbraccio a tutti e speriamo in qualche amnistia. Ciao

18 luglio 2011
Glamocic Mirnes, Località Les Iles, 14 - 11020 Brissogne (Aosta)
lettera dal carcere di torino
Un personaggio disse: "il grado di civiltà di una nazione si misura dalle sue carceri". Se questo è il monito della situazione, solo una cosa viene da pensare: "siamo allo sfascio"!
Più o meno disse così nel suo viaggio nelle Americhe non ricordo chi, ma non è importante. Siamo un manipolo di persone che provano a spiegare ciò che oggi il carcere "offre", ma crediamo di poter esprimere un sentimento condiviso dalla "popolazione detenuta". La sensazione che si ha è quella di entrare nella stiva di una nave e di trovare a destra e a sinistra, stipati in una cella di 3 metri per 2, bestie, animali rinchiusi, razze di ogni genere che nulla hanno di umano o di concepibile per chi è all'esterno. Criminali di ogni genere, accalcati l'uno sull'altro, strutture fatiscenti e posti inadeguati per pensare e/o sperare in un reinserimento sociale. Questo è il carcere oggi.
Il dolore, la frustrazione, l'irrealtà sono all'ordine del giorno. Guardi un detenuto negli occhi e ci vedi dentro rabbia, dolore, tutto e l'opposto di tutto, niente è più reale, niente ha più senso, niente ti aiuta a pensare al futuro! Vivi giorno per giorno nella speranza di un fine-pena che sia il più vicino possibile, perché sai bene che poi nessuno sarà disposto a darti una mano, sei un uomo finito, non hai futuro, non ci sono strutture che possano realmente aiutarti... e le istituzioni che fanno?
Sono apolitico e fondamentalmente laico, ma una cosa la capisco: al governo è tutto così drammatico che giorno dopo giorno, per chi si illude ancora, ti rendi conto di essere abbandonato, tradito e soprattutto non aiutato.
Cosa c'è di più lugubre di essere sotterrato in qualche metro di cemento armato e avere la sensazione che per lo Stato sei un morto vivente?
Ho sentito parlare di carceri modello, carceri che aiutano a reinserirsi, carceri che aprono i cancelli all'esterno... in questi anni ne ho sentite di tutti i colori, ma la verità, almeno la mia, sta in un angolo buio, invisibile a chi non respira l'aria delle sezioni, a chi non si sente addosso lo squallore che siamo costretti a vivere.
Ogni tanto vedo al telegiornale immagini di carceri, servizi su questo o quel posto dove sembra tutto vivibile, delegazioni che vengono portate nei luoghi resi agibili per l'occasione, con una pianta qua e l'altra là, vediamo riprese di un posto che, a un occhio inesperto, potrebbe sembrare un paradiso, ma se si sposta una foglia di quell'arbusto messo lì a nascondere, dando uno sguardo più attento, ci si rende conto della disgregazione dell'uomo, dei diritti eliminati, della dignità del singolo annullata. Io non capisco perché il carcere, ancora oggi debba essere un luogo esclusivamente afflittivo e non si voglia dare gli strumenti e le risorse umane e materiali affinché si possa parlare seriamente di futuro, presente e passato.
Credo che ci si debba prendere delle responsabilità e si debba "pagare" per ciò che si fa contro le regole, il conto è già elevato per chi subisce la privazione della libertà, perché accanirsi nel cercare di annullare la natura umana, i sentimenti, la dignità a tutti i costi? Perché portare le persone al suicidio quando con poca attenzione in più, si potrebbero aiutare persone in difficoltà? Perché questa crudeltà inaudita? Perché veniamo trattati come scorie nucleari da sotterrare visto che lo smaltimento delle stesse costerebbe troppo? Altro che reinserimento, non c'è scuola del crimine migliore e non c'è nulla di peggio che eliminare le emozioni, soffocando, mettendo a tacere, incatenando e possibilmente sperando che questo possa insegnare qualcosa di positivo.
Mi vengono in mente i combattimenti fra cani, e soprattutto la loro preparazione: dopo averli costretti e privati di tutto, qual è il risultato? In pochissimo tempo quel tenero cagnolino sarà pronto ad azzannare al collo qualsiasi cosa gli passi davanti.
Ecco cosa fa il carcere all'uomo, lo rende bestia, per giustificare il sotterramento con l'ipocrita consapevolezza dello scandalo mediatico.
I problemi sono molti, forse non li conosciamo tutti, ma sappiamo cosa stiamo vivendo nel nostro presente e vediamo purtroppo il futuro non perché non vogliamo più vivere, ma perché non ci è concesso da un'entità che si erge onnipotente e infernale.
Non riesco a entrare nei particolari della convivenza forzata con ratti e scarafaggi (nel vero senso della parola) e di mille altre cose che non funzionano e non voglio perdermi in denunce specifiche che rendano nullo il valore morale dello scritto ma semplicemente trasmettere questa disperazione al mondo esterno e far attraversare quella linea marcata che c'è tra Via Pianezza 300 e il resto del mondo. L'iniziativa del carcere Lorusso e Cotugno prova a mettere in risalto ciò che l'onorevole Marco Pannella da anni sostiene. Quindi con un abbraccio simbolico mi unisco e ci uniamo a lui, non solo emotivamente ma anche materialmente, facendo battitura dei blindi dalle 15.00 alle 15.30 e da mezzanotte a mezzanotte e mezza.
Seguiranno scioperi della fame (scaglionati) dal carrello con il vitto e l'eliminazione del sopravvitto (spesa settimanale) esclusi valori bollati, tabacchi, acqua e quotidiani.
Questo appoggio è dovuto, ed è un diritto di noi esseri umani che non vogliamo trasformarci in animale da cortile da esporre a esose organizzazioni criminali travestite da europarlamentari come la moda oggi vuole. Grazie.

26 giugno 2011
Gaetano Clemente, via Pianezza, 300 - 10151 Torino


Lettere dal carcere di Saluzzo (cn)
Ciao, spedisco questa lettera per farvi avere mie notizie. In questo carcere le cose vanno sempre a peggiorare. Non c'é nessuna vivibilità. Da circa un mese ho visto un altro carcere nuovo al posto del campo sportivo, subito hanno fatto un'altra struttura. Ma in Italia é tutto così breve? Processo breve, soltanto la galera é lunga.
Sono da 3 anni e 7 mesi in carcere. Non ho mai avuto i diritti di un essere umano. Al carcere di Saluzzo il problema non é il sovraffollamento; il problema é che non funziona niente. Gli educatori sono scomparsi, la fornitura non c'é più, si trovano soltanto i farmaci per calmare i detenuti. Una cosa che mi fa piangere il cuore. Il mio personale
parere é che tutte le carceri devono essere distrutte e che gli uomini devono vivere liberi. Si parla di civiltà, ma in una società civile, il carcere si dovrebbe concepire come momento per il recupero e il reinserimento della persona. Ciò non può avvenire in una società che non mette coscienza sulle proprie radici; la società é piena di ingiustizia, non sa guardare il suo lato migliore. Quello della gente che lotta per sopravvivere con dignità. La giustizia richiede obiettività, imparzialità, una visione universale. Gli orgogliosi hanno cura dei propri interessi personali, vivono alla giornata; chi lotta per i propri diritti costruisce e partecipa al dolore e alle sofferenze degli altri.
Se nella tua mente c'é attenzione non puoi che ricevere rispetto ed attenzione.
Voglio dare il mio appoggio per la solidarietà a tutti quelli che si mobilitano, che resistono e lottano contro tutte le ingiustizie; un saluto particolare ai compagni.
Qui salutano tutti. Ciao, ciao e a presto.
Maazouni Aymene

Saluzzo, 26 maggio 2011

***
Cari compagni, care compagne, sono Maazouni Aymene vi scrivo queste due righe per dirvi che qui l'educatrice non chiama mai gli extracomunitari.
La mia preoccupazione è che quando uscirò sarò diventato un'altra persona, più cattiva di prima. Ne ho viste di tutti i colori. Ho visto ragazzi giovani che si sono tagliati dalla testa fino ai piedi, perché non sono capiti o perché non riescono a comunicare o perché sono senza aiuto e appoggio da parte dell'assistente sociale.
Ho chiesto di tornare a casa mia, ma non me lo hanno concesso senza dirmi il perché. Personalmente sono stanco, addolorato, soprattutto a causa di questo trattamento; non mi sento più una persona come le altre. Sto facendo la galera per niente, per reati minori che accumulati sono diventati una condanna definitiva di 8 anni, di cui ne ho scontati la metà.. Ho tanta voglia di raccontare quello che ho visto nei cinque carceri che ho girato in questo tempo… Cordiali saluti
Maazouni

13 luglio 2011
Maazouni Aymene, via Regioni Bronda 19/b località Cascina Felicina - 12037 Saluzzo (CN)


Lettera dal carcere di S. Remo
[…] dopo 9 mei di carcerazione a Savona mi ritrovo nel carcere di S. Remo...
Sono stato condannato a 2 anni e mezzo…
Un paio di giorni fa sono stato di transito nel carcere di Savona, lì ho avuto la fortuna di leggere il vostro libricino; Ampi Orizzonti, dove erano scritte lettere di diversi detenuti nelle carceri italiane e svizzere. Riscontravo che gli abusi da me letti si rispecchiavano con i miei: sovraffollamento fuori da ogni limite, celle da una persona riempite da tre persone, celle da quattro riempite con otto persone.
L'entrata negli istituti di pena italiani è priva di controlli dermatologici e dentistici, quindi è un convivere difficile. I prezzi della spesa interna sono maggiorati; sembra di andare a fare la spesa da Arrow in Inghilterra, per quei fortunati che possono acquistare l'indispensabile, perché la maggior parte dei detenuti non ha soldi neanche per acquistare il tabacco. E non parliamo di come lavorano educatori, assistenti sociali, psicologhi ecc. ecc., aspettano solo il 27.
E' inutile che vi parli di quei ragazzi che vengono scarcerati, che non sanno dove andare a dormire e mangiare, come succederà a me quando uscirò. Distinti saluti…
Adriano
17 luglio 2011
Adriano Levratto via Valle Ormea, 144 - 18038 S. Remo (Imperia)


Lettera di Fabio da Savona
Cari compagni, vi scrivo dal carcere "sant'Agostino" di Savona.
Qui è diventato invivibile. Siamo in 8 o 9 persone in celle di 3 mq, il servizio sanitario non funziona, se stai male ti danno solo delle supposte e non parliamo del carrello: è immangiabile; la spesa continua ad aumentare i prezzi…
E' da più di un mese che chiedo udienza dal comandante per essere trasferito, ma qua nessuno ti chiama. Capisco che abbiamo commesso dei reati e dobbiamo pagare, però così è troppo.
L'ora d'aria al pomeriggio viene sempre sospesa perché manca il personale. Vi mando un articolo di giornale così potrete vedere in che condizioni viviamo…[nell'articolo, fra l'altro, si dice che nel carcere di Savona la "capienza massima" sarebbe di 40 persone, mentre oggi ce ne sono 80-90, NdC].
Mi farebbe piacere ricevere il vostro opuscolo. Vorrei anche che pubblicaste la mia lettera, così che la gente sappia come viviamo qua a Savona.
Qua ci sono ragazzi che hanno cercato di impiccarsi e le guardie se ne fregano.
Compagni non mi resta che salutarvi, un abbraccio a tutti.
Ciao compagni, Fabio

10 luglio 2011
Fabio Parodi, p.za Ponticello, 4 - 17100 Savona


Lettera dalla "casa di lavoro" di Castelfranco Emilia (mo)
Cari compagni-amici, beh, la condizione in cui viviamo all'interno delle strutture carcerarie di questo non-stato liberale e libertario, in una democrazia, al contrario, oppressiva e incivile, in una situazione di torturati e certo non-rieducati, senza progetti seri di reinserimento, con tutti quei "buoni esempi" che si ascoltano in tv… non è cambiata, o meglio, peggiora sempre di più.
Io vivo in una situazione a se stessa, particolare, quella del mondo degli internati, condizione di cui purtroppo nessuno si occupa, nessuno ne parla, è l'ergastolo bianco che non ha mai fine. Senza colpo ferire in stato di detenzione a scontare una pena non inflitta da nessun tribunale. Una condizione di sequestrati di cui è colpevole lo stato sequestratore e criminale che, per soggetti ritenuti socialmente pericolosi in un periodo risalente a 20-25-30 anni fa, che hanno abbandonato quel tipo di vita, perché maturati o perché con diversi interessi e/o progetti, che si sono dedicati alla propria famiglia, che da tempo cercano una nuova serenità, che non intendono ripercorrere vecchie esperienze…
Soggetti che, per convinzione di un magistrato che basa le sue valutazioni su relazioni comportamentali sottoscritte da operatori che non hanno mai conosciuto la persona di cui parlano o scrivono se non per un colloquio di cinque minuti, durante un anno, in cui hanno chiesto solo le generalità… continuano ad essere ritenuti socialmente pericolosi.
Le assurdità e/o le considerazioni da argomentare sono tantissime, tutte, alla fine, incomprensibili e che non giustificano la condizioni in cui quei soggetti sono costretti.
Se ci trovassimo anche d'accordo sul fatto che un tal soggetto 15-25 anni fa era ritenuto pericoloso per quella società, perché aveva messo in essere comportamenti ritenuti illegali… come può oggi essere ritenuto ancora tale solo perché ha sputato per terra o ha salutato un vecchio conoscente non-incensurato, o non ha l'appoggio di famigliari??? Allora in Italia dovrebbero incarcerare milioni di persone. Ma è mai possibile?
E ancora, viene preteso che un internato si procuri un domicilio, un lavoro, degli affetti… nelle attuali difficoltà dovute alla crisi, alla disperazione, alla concorrenza di milioni di extracomunitari che accettano di lavorare a meno di un terzo di quanto previsto da accordi statali e senza costi contributivi. Tra l'altro, all'internato viene chiesto di trovare occupazione e domicilio in tempi brevissimi, con licenze giornaliere di poche ore o pochi giorni, senza considerare, ad esempio, che per sottoscrivere un contratto per un domicilio ci vogliono denari per la caparra, certamente non inferiori a qualche migliaio di euro. E parliamo di soggetti che non hanno reddito da anni; che da anni sono sfruttati quando ammessi a lavorare all'interno degli istituti, con stipendi di 50-100-150 euro mensili.
E gli affetti?! Come si possono instaurare, mantenere, forse con un'ora di colloquio alla settimana? O con un permesso di due giorni al mese? (ammesso che li concedano!).
Uno fatto che schiavizza, che non offre che ragioni per essere sempre più pieni di rabbia, immersi in condizioni di disagio psicologico economico e sociale. Uno stato che ha pretese e non offre occasioni per una riabilitazione per un dignitoso reinserimento. Un gruppo dirigente che guadagna stipendi da sogno, che viaggia in auto lussuose, come fosse scritto che un parlamentare non possa usare un'utilitaria (con minori spese per i cittadini) e con tutte le agevolazioni possibili, pure la palestra, gli dobbiamo pagare!
Siamo ormai a un punto di non ritorno. E' tutto da cambiare e … non c'è che un modo per farlo!!! Riflettete gente comune, riflettete!!!

14 luglio 2011
Falbo Orlando, via Forte Urbano, 1 - 41013 Castelfranco Emilia (Modena)


Lettera dal carcere di Catania
Compagni e compagne, ormai in questi ultimi tempi, i problemi più gravi che ogni giorno tengono sempre più banco, all'interno delle carceri, sono quelli della sanità, delle continue torture a cui i detenuti sono sottoposti.
La situazione ormai ha raggiunto i massimi livelli di guardia e di intollerabilità, si è superato anche il limite di sopportazione, quel limite a cui molti ormai hanno ovviato con il gesto estremo del suicidio.
In questi ultimi giorni varie trasmissioni televisive si stanno occupando del problema carceri, ma nessun conduttore, nessun giornalista ha avuto il coraggio di toccare argomenti più importanti. Tutti parlano di condizioni carcerarie indecenti, di sanità inefficiente, di strutture fatiscenti, alla faccia di quell'opinione pubblica che non sa nemmeno minimamente di cosa si stia parlando.
In molte circostanze qualche giornalista si è spinto a evidenziare le torture a cui vengono sottoposti i detenuti. Una circostanza più volte menzionata e mai approfondita, mai discussa, che definisco con il classico esempio di “tirare la pietra e nascondere la mano”. Una domanda a cui nessuno ha mai risposto, una domanda a cui i politici, tra i quali Maria Elisabetta Alberti Casellati, in numerosissime trasmissioni, nel più totale imbarazzo, ha sempre dribblato, facendo intendere che quando si parla di tortura ci si riferisce a cause quali il sovraffollamento, il caldo ecc…
Ma quando si parla di torture è necessario far capire all'opinione pubblica che si parla del comportamento della guardie carcerarie, di tutto ciò che i detenuti subiscono ad opera di questi signori (sevizie, pestaggi, umiliazioni), che godono senza ombra di dubbio delle infamanti coperture del governo e, ancor più grave, della magistratura, che risulta ormai essere un vero cancro per l'Italia e la società intera.
Organo che ha messo in ginocchio l'Italia. Non c'è più lavoro, non ci sono più sbocchi per i giovani, perché ovunque loro mettono becco, ovunque trovano l'illecito e, nel caso in cui non ci dovesse essere, provvedono loro a crearlo, pur di distruggere piccole e grandi aziende, ditte di ogni genere, togliendo il pane a tanta povera gente.
Molte trasmissioni televisive, oltre ad elencare i suicidi in carcere di molti nostri compagni dall'inizio dell'anno, a questi, hanno inteso accostare anche i suicidi da parte di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria, che sono stati considerati dei martiri, perché sembrerebbe morti a causa del sistema. Se così è, perché loro sono martiri e i detenuti, in numero nettamente superiore, sono niente e nessuno?
A mio parere le morti degli agenti nulla hanno a che vedere con il sistema, loro non vivono la situazione di un detenuto e, soprattutto, non sono sottoposti a nessuna sevizia o tortura; le vere cause sono qui da ricercare nella loro sfera famigliare, per cui sarebbe meglio scindere le due cose.
Chi sta fuori ha libero accesso a tutto, soprattutto ha la possibilità di potersi curare. In alcune carceri c'è chi non riesce nemmeno a mangiare perché non ha i denti, perché non c'è il dentista nemmeno per le semplici carie o perché non ha i soldi per potersi permettere una dentiera. In carcere si muore soprattutto per disperazione, chi si suicida lo fa per non subire più, sperando di trovare in un altro mondo sollievo alle sofferenze inflitte.
A tutto questo i politici sono totalmente insensibili, loro non hanno mai provato la galera e, se dovesse accadere, sono loro riservate celle con tutti i confort e trattamenti particolari. Il nostra caro Berlusconi se ne fotte, perché ormai, pur se condannato, sa che non vedrà mai una cella, dato che i suoi 77 anni lo rendono non compatibile al regime carcerario (se non per reati di mafia).
Mi chiedo solo, per il futuro, a chi si dovrà affidare il nostro destino?
Colgo l'occasione per dare solidarietà al compagno Trombini rinchiuso nel lager Poggioreale, la peggiore struttura che ci possa essere in Europa, dove lerciume, indecenza, ingiustizia e illegalità la fanno da padrone, con il benestare di governanti e magistrati.
P.S. Ciao Pippo spero tu abbia avuto tutto, dammi solo un cenno positivo o negativo nel tuo prossimo articolo. Un caro saluto fraterno a tutti. L.Q.P.

18 luglio 2011


Detenuto muore nel carcere di Monza
Una persona da me assistita che si trovava nel carcere di Monza in custodia cautelare, il sig. Redouane Messaoudi, nato nel 1974 in Algeria, è stato trovato privo di vita la mattina di sabato 16 luglio. Ieri mattina è stata effettuata l’autopsia (alla quale peraltro non ho potuto partecipare né direttamente né tramite medicolegale non avendo titolo perché non sono riuscito a contattare l’unico familiare con cui avevo parlato, un fratello che vive in Grecia).
Il sig. Messaoudi era in quel momento nel reparto di psichiatria del carcere. Affetto da diabete insulinodipendente, epilettico e con diagnosi di disturbo borderline, dopo un periodo di osservazione nell’Opg di Reggio Emilia era rientrato nel normale circuito penitenziario. Prima di andare a Monza, dove si trovava da circa due settimane, era stato a Voghera, Era stato arrestato ad aprile per un’ipotesi di cessione di stupefacenti (una dose) e resistenza.
L’udienza preliminare, già fissata dieci giorni fa, era stata rinviata a ieri data l’impossibilità in quell’occasione per il sig. Messaoudi a comparire (era in ospedale e i medici non avevano dato nulla osta). Ieri era previsto che il giudice incaricasse uno psichiatra di svolgere perizia. Nella comunicazione del carcere sulla possibile causa del decesso si fa riferimento al reiterato rifiuto del sig. Messaoudi di assumere l’insulina. Per somministrargliela forzatamente era stato ricoverato in ospedale in due occasioni. Il giorno precedente al decesso non gli sarebbe stata somministrata per due volte l’insulina perché rifiutata.

Davide Mosso (Avvocato)
Fonte: Ristretti Orizzonti
Torino: Uscire cadavere da una caserma dei carabinieri
Dalla cronaca dei quotidiani locali del 28 giugno 2011, apprendiamo che un uomo di 36 anni, di origine marocchina, è morto nelle camere di sicurezza della caserma dei carabinieri di via Guido Reni. La versione diffusa dai media di regime, racconta di un suicidio dalle dinamiche inverosimili: "A sorvegliarlo c'era un militare di guardia. L'uomo si è messo a letto, sotto una coperta. Così nascosto, ha sfilato un pezzo della tuta e se l'è avvolta intorno al collo, legando l'estremità alla rete del letto. [...] Quando il militare si è avvicinato per controllarlo, lo ha trovato privo si sensi. Lo ha subito liberato e chiamato i soccorsi. Ma è stato tutto inutile."
Non sappiamo come siano realmente trascorse le ore antecedenti alla sua morte; la dinamica descritta dai carabinieri è assurda, ma difficilmente qualcuno cercherà di fare emergere la verità. Del resto, in casi analoghi, i tentativi messi in atto da parenti o comitati hanno sortito il mero approdo alle aule di tribunale, e la conseguente autoassoluzione da parte dello Stato.
Le camere di sicurezza sono un limbo in cui si è in balia delle forze dell'ordine, dopo essre stati fermati in flagranza di reato. A differenza del carcere, non ci sono nemmeno quelle garanzie pro-forma come il presidio medico o lo sguardo dei compagni di detenzione che comunque, come noto, raramente riescono ad evitare le condanne a morte somministrate a discrezione delle divise di turno. A Torino è in corso l'ampliamento di quelle di un commissariato di Polizia, voluto dall'ex sindaco Chiamparino, trasformate in mini-carcere dove attendere la convalida degli arresti: una strategia per estendere gli spazi detentivi e gravare meno sul sovraffollato carcere delle Vallette.
La speranza è che la piaga degli omicidi di Stato venga affrontata e riportata nell'unico luogo in cui può essere contrastata: fuori dalle sterili e conniventi aule di tribunale, fuori dalla giustizia penale, nelle strade e negli occhi iniettati di rabbia, nella giustizia sociale. A questo proposito si ricorda la mobilitazione in corso contro carceri, cie e opg.

da "bello come una prigione che brucia" - trasmissione di radio blackout
da www.informa-azione.info, 29 giugno 2011


milano: Sulla morte di Michele, "uno di noi", ucciso dalla polizia
Nella notte di giovedì 30 giugno 2011 in via Varsavia, nei dintorni dell'Ortomercato di Milano, a pochi passi dalle case popolari del quartiere Ponti, Michele Ferrulli, di anni 51, è morto mentre era in stato di fermo a seguito di un intervento della Polizia.
Michele abitava in un alloggio del quartiere Ponti che aveva occupato con la sua famiglia nel 1991, in condizioni di gravi necessità. Era da sempre attivo in quartiere, dove era da tutti conosciuto per la sua militanza nei movimenti di lotta per la casa.
Giovedì notte Michele ascoltava in strada musica con amici: la polizia, intervenuta per la segnalazione di "schiamazzi", si è accanita contro di lui fino ad ucciderlo. Nei giorni successivi il vice questore a Milano rivendica in pieno l'azione delle sue pattuglie: "L'intervento operato dagli agenti di polizia in via Varsavia dopo il quale è deceduto Michele Ferrulli è stato assolutamente in linea con le procedure necessarie in una tale circostanza", mentre cerca inutilmente di comprare almeno il silenzio della famiglia di Michele.
La sera di venerdì 8 luglio nelle strade interne del quartiere dove Michele aveva vissuto da sempre ha luogo una fiaccolata a cui prendono parte comitati di lotta per la casa di altri quartieri, ma soprattutto centinaia di persone abitanti del quartiere di via Calvairate, che conoscevano e stimavano Michele, che assieme a lui hanno lottato per decenni. Il sentimento di appartenenza misto a rabbia e odio era ben espresso in alcuni striscioni nelle parole scandite dal corteo: "Michele uno di noi", "Ucciso dalla polizia", come nella stampa di un avviso funebre attacchinato ai muri del quartiere, riportante le parole di una canzone di De André "Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte mi cercarono l'anima a forze di botte. Michele Ferrulli ucciso dallo stato la notte del 30 giugno".

Milano luglio 2011


Lettera dal carcere di Carinola (ce)
Carissimi compagni, vi inviamo questa lettera per informarvi che tutti prigionieri della sezione AS1 di Carinola aderiscono in solidarietà con tutti i carcerati allo sciopero della fame per l'abolizione dell'ergastolo e per la poco vivibilità delle carceri. L'ergastolo è una forma di tortura che punta ad annientare la personalità e l'identità del prigioniero.
La repressione e l'isolamento vogliono colpire la resistenza di tutti quei carcerati che lottano contro tutte le ingiustizie e in difesa della propria dignità umana, quindi siamo d'accordo a continuare la mobilitazione per abolire questa pena ingiusta e crudele.
L'ergastolo è una tortura velata, contraddice i principi umani e della costituzione, soprattutto la finalità rieducativi della pena. In particolare, tanti carcerati condannati all'ergastolo sono fortemente esclusi anche da quelle possibilità giuridiche che permettono l'uscita dal carcere dopo un tempo determinato. Un solo giorno trascorso qui dietro le sbarre è un giorno di troppo. Perché gli uomini tutti devono vivere liberi - quindi è un oltraggio alla libertà e dignità umana, la cui difesa esige l'intervento attivo di tutti. Per questo la solidarietà ci fa sentire liberi. La libertà è fatta di legami e sostegno agli altri. Mai nessuno è libero da solo; non ci si libera da soli. La libertà è legame. Bisogna intendere che il grado della nostra libertà si misura dalla qualità dei nostri legami. Ci sono legami che ci costringono, che ci dannano, immobilizzano, castigano, impediscono, ostacolano. Ci sono invece legami che ci rendono liberi.
Tuttavia non si tratta di un dato di fatto, oggettivo - la qualità dei nostri legami è data dal grado di libertà che sappiamo salvaguardare. Il nostro legame con le persone che ci sostengono e sono solidali con noi ci rende certamente liberi. Tutte le lotte sono validissime e vanno sostenute da ognuno secondo le proprie convinzioni e con le modalità che ognuno ritiene opportune. La ricchezza collettiva ci fa crescere e maturare, ogni giorno fa un passo avanti verso la propria emancipazione. Vogliamo dare la nostra solidarietà a tutti i proletari che lottano per salvaguardare i loro diritti.
Un mondo senza galere è un mondo di uomini liberi.
Saluti a tutti Antonino e Mario, qui salutano tutti gli altri compagni

21 giugno 2011
Antonino Faro, v. S.Biagio, 6 - 81030 Carinola (Caserta)

***
[...] in alcuni reparti i prigionieri si sono astenuti per tre settimane dall'acquisto di alimentari dall'impresa fornitrice, in quanto i prezzi dei prodotti sono alti; mentre in altri reparti ci sono state battiture per tre giorni, forse per lo stesso problema.

luglio 2011
comunicato DaL CARCERE DI VARESE
I detenuti del carcere di Varese sono solidali con l'iniziativa dei radicali e del loro leader On. Marco Pannella e con la sua protesta pacifica volta ad evidenziare lo stato di drammaticità della carceri italiane, per il rispetto dei valori, di civiltà e umanità di cui anche i detenuti hanno diritto in quanto uomini.
A questo proposito vogliamo citare l'Articolo 1 dell'Ordinamento Penitenziario
(L. 26 luglio 1975 n° 354 capo 1 – Principi direttivi)
“Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”
A questa protesta hanno già aderito oltre 18.000 detenuti e circa 300 tra Parlamentari e uomini di cultura.
DICHIARIAMO: “che è in atto una protesta pacifica per sensibilizzare gli organi preposti e i media riguardo la situazione delle carceri italiane”.
EFFETTUEREMO LO SCIOPERO DELLA FAME A TEMPO INDETERMINATO!
Questa nostra adesione avrà le seguenti modalità: lo sciopero verrà effettuato alternativamente da ogni piano dell'istituto penitenziario per la durata giorni 3. (Da questa iniziativa saranno esentati tutti coloro che per motivi di salute assumono farmaci o terapie in modo da non gravare sulle loro condizioni fisiche)

I detenuti della Casa Circondariale di Varese

[Seguono tabella dei “turni” dello sciopero e firme di 85 detenuti].


sulla SETTIMANA DI MOBILITAZIONI CONTRO CARCERE, CIE ED OPG
Di fronte alla gravità delle condizioni detentive nelle galere italiane dal 25/06 al 02/07 si è svolta una settimana di mobilitazioni a sostegno delle proteste nelle carceri, nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e negli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).

In tutta Italia si sono svolti presidi a sostegno delle lotte dei/delle prigionieri/e, nello specifico di fronte alle carceri di Bolzano, Mantova, Roma, Como, Bologna, Parma, Milano, Cremona, Vercelli, Teramo, Cuneo, Prato e Vigevano. Si è infatti pensato che concentrare le iniziative nello stesso periodo, caldo anche dal punto di vista climatico, avrebbe dato loro maggiore incisività ed efficacia. Inoltre recenti operazioni repressive hanno portato all'arresto di numerosi compagni e compagne, in particolar modo delle realtà bolognesi e fiorentine. Per questo motivo i presidi a Como, Mantova, Vercelli, Vigevano, Cuneo e Prato, dove si trovano alcuni compagni e compagne, sono stati un momento di unione della lotta contro l'istituzione carcerararia e quella per la liberazione dei/delle compagni/e che pagano con il carcere le loro istanze di libertà. Le mobilitazioni svoltesi durante la settimana in questione sono state ben recepite all'interno delle carceri: il sostegno dei solidali ha infatti dato ulteriore forza alle diverse lotte portate avanti dai detenuti, che in quei giorni si sono manifestate con più determinazione.
La preparazione della settimana è stato un momento di confronto anche con realtà che non svolgono abitualmente attività anticarceraria, alcune delle quali si sono mostrate interessate ad intraprendere questa lotta, nonostante spesso venga considerata da "addetti ai lavori". Speriamo che le relazioni intessute portino a scardinare questa concezione e a rendere ancor più capillari ed incisive le future mobilitazioni.
Nel portare avanti questo percorso si entra in contatto sia con realtà e associazioni che con rivendicazioni dei detenuti spesso lontane dalla critica radicale al carcere. Pensiamo a chi si muove per ottenere un miglioramento delle condizioni detentive senza mettere in discussione la legittimità stessa dell'istituzione carcerararia o a chi insegue il miraggio di fantomatici decreti "svuota carceri".
Il carcere è un tassello fondamentale di questa società basata sullo sfruttamento, come il mondo del lavoro o l'istruzione e così come in questi ambiti le mobilitazioni sono sempre più generalizzate il carcere non deve rimanere una questione per pochi. Per fare questo sta a noi sviluppare la capacità di uscire dall' "isolamento" in cui a volte tendiamo a metterci, al fine di estendere e rendere dunque più efficace la lotta al carcere.
Le ultime mobilitazioni contro il TAV in Val di Susa sono un ottimo esempio di lotta generalizzata, in cui diverse modalità ed approcci si sono uniti dimostrando grande determinazione per il conseguimento di un obiettivo comune. Anche i detenuti, nonostante l'isolamento impostogli, hanno fatto propria la campagna "No tav" manifestando la loro contrarietà tramite comunicati (vedi il documento redatto dai detenuti del carcere di Spoleto) ed altre forme di espressione. Il fatto che i detenuti esprimano il proprio sostegno a lotte condotte all'esterno del carcere riafferma e rafforza la solidarietà tra sfruttati e conferma che le lotte dentro e fuori le mura, per essere vittoriose, non debbano e non possano prescindere le une dalle altre.
Come detto in precedenza questa mobilitazione non è stata né la partenza né l'arrivo di un percorso, ma un momento di confronto e coordinazione che vorremmo fungesse da stimolo alla diffusione e al rafforzamento della lotta contro le galere.

luglio 2011
Assemblea regionale contro carcere e C.I.E. - Lombardia


Breve resoconto della settimana anticarceraria Como
A Como le iniziative per la settimana anticarceraria sono iniziate mercoledì sera con un presidio al Bassone. Fin dal nostro arrivo i/le detenuti/e hanno iniziato ad urlare nel tentativo di comunicare coi solidali, improvvisando battiture che si sono susseguite per tutte le 2 ore del presidio, scrivendo cartelli e striscioni contro la direttrice del carcere e inneggianti alla libertà. La musica ha spesso lasciato spazio alla comunicazione tra il dentro ed il fuori ed in vari momenti solidali e detenuti hanno scandito gli slogan assieme, abbiamo sentito chiaramente anche le donne detenute poi una voce che siamo riusciti a distinguere chiaramente ha detto che avrebbero iniziato lo sciopero della fame e che noi saremmo dovuti tornare il giorno seguente per sostenerli. Così è avvenuto e la protesta ha assunto toni ancor più determinati. Non siamo riusciti ad avere informazioni sullo sciopero della fame in corso per il rumore assordante che proveniva dall'interno (a tratti sembrava veramente che stessero demolendo il carcere) e per le urla dei detenuti che si sovrapponevano l'un l'altra, ma in ogni caso uno degli obiettivi della mobilitazione, rompere l'isolamento tra dentro e fuori, riteniamo sia stato assolutamente raggiunto. Un momento particolarmente forte è stato quando, all'avvicinarsi al presidio di due macchine nella polizia, tutta la sezione con cui comunicavamo ha iniziato a scandire lo slogan "sbirri di merda". Il presidio di sabato mattina era, come di consueto maggiormente rivolto ai familiari quindi posizionato nel parcheggio di fronte al carcere: una ragazza si è avvicinata per salutare la sorella detenuta, poi è rimasta al presidio
raccontandoci la sua storia. La madre di un altro detenuto ci ha detto che anche venerdì sera, nonostante non fossimo presenti, i detenuti "hanno fatto un gran casino", e comunque, tra un brano musicale ed un altro, si sentivano le urla e le battiture all'interno. I riscontri estremamente positivi della mobilitazione ci hanno spinto ad intensificare la nostra azione e riproporremo il presidio serale giovedì 14 luglio.

8 luglio 2011
Collettivo Dintorni reattivi


resoconto del presidio sotto il carcere di opera (milano)
Sabato 30 luglio si è tenuto un presidio davanti al carcere di Opera (Milano) per sostenere la protesta dei prigionieri. A Opera dove c'è una presenza di circa 1.300 persone, molto più alta di quella considerata ufficialmente"sostenibile", due anni fa è stata inaugurata, là dove c'era il femminile, una sezione 41bis fra le più grandi, 100 posti, dopo il carcere di L'Aquila. Da quel momento, passo dopo passo, con l'arrivo alla direzione di Giacinto Siciliano, la già pesante conduzione ha conosciuto un costante aggravamento. Oltre al taglio degli spazi di socialità, delle buste paga di chi lavora, della lista delle cose che possono entrare attraverso i colloqui, per es., di recente a chi è punito dal 14bis (qui c'è una sezione di isolamento specifica in cui sono rinchiuse continuamente oltre dieci persone), le ore d'aria sono state portate da quattro a due, come nella sezione 41bis.
Anche a Opera nelle scorse settimane c'è stato fermento con battiture, scioperi della fame, del carrello… in favore dell'amnistia, contro le restrizioni accennate e altre, quali la scarsezza dell'acqua quindi delle docce, che, unita alla mancata consegna di saponi, disinfettanti, alle lungaggini nel cambio lenzuola, alle carenze mediche, ha abbassato notevolmente il livello igienico-sanitario.
Sabato scorso dunque un gruppo di venti compas, pur tenendo conto della contemporanea chiamata internazionale in val di Susa, è andato a Opera con l'obiettivo di spezzare l'isolamento in cui lo stato cerca di confinare la mobilitazione attuale nelle carceri. Una presenza voluta per far sentire ai prigionieri che non sono certamente soli, per portare fuori la protesta, per unirla alle lotte per la casa e contro la devastazione dell'ambiente, agli scioperi operai…
Lungo le tre ore del presidio si sono verificati momenti di perfetta comunicazione, nonostante la distanza, fra prigionieri - senz'altro tormentati dalle guardie - e interventi fuori al microfono. In questi sono state riportate le informazioni su quanto sta avvenendo nelle carceri, anche attraverso la lettura di lettere, dove dallo sciopero della fame si è passati al più incisivo sciopero articolato della spesa. Ci si è soffermati sul dato che la situazione nelle carceri, l'aggravamento delle pene (per es., i 18 mesi inflitti alle persone immigrate senza permesso di soggiorno) le hanno volute e le mantengono governo e parlamento, che quindi nulla di buono c'è da aspettarsi dallo stato, men che meno un'amnistia su tutti i "reati"; più probabile un indulto, che per essere generale richiede una lotta difficile, ma non impossibile, contro l'indirizzo del parlamento e del governo. Ci si è soffermati sulle forme di lotta, sulla necessità di costruire l'unità più ampia possibile dentro, da unire alla solidarietà fuori contro chi specula sulla salute dei prigionieri, contro chi trae profitto economico dalle forniture alle carceri e dalla loro costruzione.
Per questo il momento del saluto è diventato un chiaro arrivederci a presto unito all'urlo all'unisono di "libertà", "libere tutte, liberi tutti".

Milano, 3 agosto 2011

sulla settimana di mobilitazione per il processo in svizzera
Nell’aprile 2010 Silvia, Costa e Billy, compagni anarchici, vengono arrestati nei pressi di Zurigo con l’accusa di voler attaccare con esplosivo il centro di nanotecnologia dell’IBM a Rueschlikon. Da allora sono in carcere e sono stati processati dal 18 al 22 luglio 2011 nel tribunale penale federale di Bellinzona.

Le multinazionali della filiera della bio-nanotecnologia hanno chiesto vendetta, lo stato svizzero con il tribunale di Bellinzona esegue, sentenziando una pena superiore a 3 anni (rispettivamente 3 anni e 8 mesi a Costa, 3 anni e mezzo a Billy, 3 anni e 2 mesi a Silvia) ancor più grave di quella invocata dal procuratore federale.
Il processo alla compagna e ai compagni si è svolto in due udienze, l'una, martedì 19 dedicata all'accusa sostenuta dal pm, l'altra venerdì 22 imperniata sulla sentenza emessa dal tribunale federale presieduto da Walter Wuethrich.
Queste giornate cruciali non solo per Silvia, Billy e Costa, in carcere in Svizzera dall'aprile 2010, sono seguite da un centinaio di compas provenienti da diversi paesi. Per l'occasione è stato allestito un campeggio (con mensa collettiva) e si è provveduto a striscioni, volantini, megafon. La città è di piccole dimensioni ed è controllata con discrezione, la zona del tribunale invece è completamente blindata con qualche centinaio di poliziotti "antisommossa", elicottero, transenne… Il pubblico è ammesso in aula, ma solo nel numero non superiore a 15 persone. Si è così riusciti a vedere, scambiare qualche parola da vicino con l' "imputata", gli "imputati" la cui condizione ferma e serena è racchiusa, si può dire, nel documento complessivo esposto da loro stessi in aula "Dichiarazione davanti al tribunale penale federale di Bellinzona" (*). In essa è ripercorsa l'analisi sulle connessioni fra multinazionali, stati, scienza per la pianificazione consolidamento del dominio del capitale assieme alle ragioni e al posto delle "lotte ecologiste radicali" contro tale dominio.
Giovedì 21 alla sera si è svolta un'assemblea centrata sul tema della solidarietà, dove si è potuto ascoltare un bel saluto di Marco Camenisch all'assemblea, pieno d'augurio alla lotta. La lunga discussione, alla cui base c'è il tentativo riuscito di tener vivo, in tutti i modi possibili, il rapporto con Silvia, Billy e Costa, si pone l'obiettivo di ripetere, rafforzandolo, quanto sviluppato in quest'ultimo anno. Questo anche in vista di un processo contro militanti di Aufbau, che si terrà proprio a Bellinzona nel settembre prossimo.
Il significato del processo è spiegato in un documento diffuso per l'occasione "Invertire l'attacco della giustizia - processare il capitalismo!" (**)
Venerdì 22 nei pressi della stazione attorno alle 13 si forma un corteo di un centinaio di persone che con gli striscioni, il volantinaggio, il megafono rivendicano la liberazione di Costa, Billy e Silvia, la lotta alla scienza bio-nanotecnologica che sta trasformandoci in cavie, in automi controllati, telediretti, che si è di fronte allo "sviluppo" della scienza dedicata allo sfruttamento, alla violenza, alle guerre per imporlo, al dominio del capitale.
Per tutta la durata dell'udienza, circa un'ora, dalla strada adiacente il tribunale si è entrati in aula con urla di saluto in più lingue. Le parole d'ordine ripetute e sentite sono "Le vostre sentenze non ci fermeranno, lotta e rabbia aumenteranno", "Costa libero, Billy libero, Silvia libera, Marco (Caminisch) libero…tutti liberi, tutte libere", "Eco-terrorista è lo stato". Poi l'elicottero, gli sbirri antisommossa, il furgone dei prigionieri, scortato, sono schizzati fuori dal tribunale. Dopo un primo momento di smarrimento il presidio si è ricomposto in corteo ed ha attraversato la città, comunicando alla città il significato della sentenza ed esprimendo chiaramente la propria vicinanza alla compagna e ai compagni in carcere. Una volta raggiunto, l'atrio della stazione ferroviaria è stato avvolto dai nostri striscioni. In tutte e tutti i manifestanti era presente la coscienza che la forza della solidarietà, come di altre espressioni collettive della lotta di classe, è nascosta nella continuità.

Milano, luglio 2011

Per ora gli indirizzi sono gli stessi:
Silvia Guerini, Regionalgefängnis Biel Spitalstrasse 20 - 2502 Biel/Bienne, Switzerland
Luca Bernasconi, Regionalgefängnis Thun, Allmendstr. 34 - 3600 Thun, Switzerland
Costantino Ragusa, Regionalgefängnis Bern, Genfergasse 22 - 3001 Bern, Switzerland

(*) (**) Entrambi questi documenti sono disponibili a chi li richieda.


Piacenza: La lotta degli operai nordafricani alla TNT
25 giugno: la prima assemblea coi lavoratori
Incontriamo per la prima volta gli operai della TNT di Piacenza sabato 25 giugno. L'incontro si svolge all'aperto con la presenza di una quarantina di operai, tutti nordafricani. L'argomento della discussione è sempre lo stesso: come organizzarsi, come far partire la lotta per porre fine a un'indicibile situazione di sfruttamento, lavoro nero, vessazioni, assenza totale di diritti. Anche in questo caso il contatto proviene da altri operai, in questo caso di Cortemaggiore (PC), che lavorano per la Ceva logistica, freschi di una battaglia sindacale vittoriosa. La loro presenza accelera la discussione e si fissa la data dello sciopero per venerdì 8 luglio.

8 luglio: Inizia lo sciopero
Alle ore 18, come previsto, parte lo sciopero. Gli operai sono raggruppati nel parcheggio antistante e appena giunge la delegazione del S.I. Cobas di Milano si muovono in corteo e vanno direttamente a bloccare i cancelli. Per tre ore i camion sono bloccati fino a che i dirigenti del consorzio Gesco Nord decidono di accettare l'incontro il S.I. Cobas da cui ne sortisce un ulteriore appuntamento per definire i termini più precisi di un accordo sindacale. La piattaforma generale è molto semplice, rispetto integrale del CCNL: basta con le truffe in busta paga, fine del lavoro a chiamata, rispetto dell'orario di lavoro, pagamento delle maggiorazioni, riconoscimento dei livelli di inquadramento e via i caporali vessatori! Gli operai decidono quindi di entrare al lavoro in attesa dell'incontro fissato per il lunedì successivo.

11 luglio: Trattativa farsa
Come era lecito attendersi i dirigenti del Consorzio fanno i finti tonti e dichiarano che, aldilà di qualche errore, la Gesco Nord applica e rispetta il contratto addossando alla flessibilità oggettiva, prevista da quel tipo di lavoro, tutte le responsabilità del malumore operaio. Si dichiarano disponibili ad affrontare i problemi insieme ai loro soci-dipendenti a patto che scompaia il S.I. Cobas. Ma gli operai non ci stanno a farsi (mal)trattare da semplici soci. Vogliono i loro diritti sindacali ben sapendo che sono l'unica garanzia di evitare ritorsioni aziendali. Si prepara un nuovo sciopero.

14 luglio: secondo sciopero, gli operai cambiano tattica
All'ultimo momento cambia l'orario dell'appuntamento. Bisogna colpirli in modo nuovo, dicono gli operai. E così l'appuntamento viene fissato per le 20.30, nel pieno del ciclo produttivo, con tutti i camion già in movimento e non più dirottabili altrove. Ad un preciso segnale dei delegati, oltre 100 operai mollano i macchinari, escono gridando slogan e si recano nuovamente a bloccare i cancelli. Sopraggiungono delegazioni da altre cooperative, compagni della sinistra piacentina (fra cui il Prc locale) e del ccordinamento di sostegno milanese e così ben presto il presidio supera le 200 unità. E' un ulteriore duro colpo alla Gesco Nord e alla TNT. Solo dopo quattro ore la situazione si sblocca senza che i padroni abbiano trovato il varco giusto per fare intervenire la forza pubblica. Si va ad una nuova trattativa, questa volta in Prefettura, fissata per il venerdì successivo con la presenza del sottosegretario al ministero dei Trasporti Giachino (ex-dirigente della TNT). I camion cominciano a muoversi ma la coda è interminabile: un intero turno di lavoro è ormai saltato.

15 luglio: l'azienda attacca, i lavoratori rispondono con forza
Come al solito i lavoratori si presentano ai cancelli per lavorare ma si trovano di fronte ad un'amara sorpresa: agli iscritti al sindacato viene impedito l'ingresso; il lavoro a chiamata si ripropone, ma questa volta in chiave di ritorsione di massa selettiva. Subito intervengono le autorità locali e la Digos ai quali l'azienda comunica che solo sulla base dell'incontro del venerdì successivo sarebbero stati riammessi al lavoro e comunque non più a Piacenza. Un'esplicita volontà di licenziamento che non fa altro che aumentare la rabbia operaia. Ricostituite le fila, un breve comizio è sufficiente a far partire la lotta nuovamente. Solita scena: corteo verso i cancelli e nuovamente tutto bloccato. A nulla valgono i tentativi della polizia di dissuaderli, consigliando loro una semplice azione dimostrativa. Alla fine sono costretti a cedere: il picchetto diventa permanente ed una trentina di camion restano bloccati sulle ribalte. Lunedì alle 14.30, anticipando i tempi, si svolgerà l'incontro in prefettura. Su giornali e TV è da giorni la lotta degli operai è di gran lunga la notizia più importante.

18 luglio: l'azienda comincia a piegarsi
Ci sono proprio tutti: Prefettura e questura, i sindacati confederali, la Gesco Nord e la TNT, il sindaco, le forze politiche locali, la provincia, e perfino il console egiziano, oltre al cobas ovviamente. E' evidente che tutti puntano ad un unico obiettivo: sbloccare i cancelli, dove nel frattempo si è creato il solito presidio di 200 persone. L'azienda fa di tutto per resistere e cercare di dimostrare che il contratto è già applicato e che gli scioperanti non possono più trovare posto nel sito piacentino a causa di gravi dissidi con gli altri operai. Bugie dalle gambe corte che costringono persino i confederali a schierarsi con gli operai. Il cobas in ogni caso non molla e si strappa una prima parziale vittoria: l'azienda si impegna a interrompere la serrata e ad arrivare ad un accordo che porti alla piena applicazione del contratto. I lavoratori decidono comunque di mantenere il presidio davanti ai cancelli in forma permanente, pur consentendo il transito delle merci.


25 luglio: lo sciopero si sposta a Massalengo
Non si erano perso un picchetto gli operai della AF di Massalengo e anch'essi intenzionati a suonarle alla propria azienda. Sempre in prima fila ed assidui frequentatori delle serate davanti ai cancelli avevano semplicemente stretto relazioni solidali con gli operai della TNT. E la riconoscenza attiva non ha tardato ad arrivare. Dopo due assemblee interne alla AF, è stato proprio alla TNT che si sono decise data e modalità dell'azione. E così alle 4.30 di lunedì mattina i padroni si ritrovano la sorpresa di un picchetto con più di 100 persone di cui 30 giunte da Piacenza. L'azienda crolla dopo due ore e concede (almeno sulla carta) tutte le rivendicazioni degli operai. Davanti ai cancelli si balla: il vento di rivolta nordafricano è giunto fino a noi.

27 luglio: si sigla l'accordo
Ci sono volute sei ore di tediosa discussione per giungere alla firma congiunta su un accordo che prevede una serie di conquiste sostanziali per gli operai nel rispetto del CCNL, ed un'altra serie di punti che rimangono aperti e verranno affrontati nei prossimi mesi verso un ulteriore incontro di verifica fissato per ottobre 8. La discussione più accesa si è avuta sul riconoscimento dei diritti sindacali del S.I. Cobas e dei suoi affiliati. In realtà su questo terreno tutti hanno mostrato un estremo imbarazzo e il documento stesso non contiene riferimenti espliciti al Cobas. Ma la decisione dei delegati è quella di firmare comunque, consapevoli che gli operai in lotta hanno bisogno di sentire concretizzati dei risultati e che la forza reale del sindacato non è soprattutto nel riconoscimento che l'azienda concede.

1 agosto: i lavoratori in assemblea ratificano l'accordo
Si tiene l'assemblea dentro gli stabilimenti per ratificare l'accordo. La discussione sulla rappresentatività si ripropone, ma con toni più accesi perché gli operai rivendicano con forza la loro appartenenza al Cobas. Il voto favorevole arriverà solo dopo che i funzionari di CGIL e CISL hanno garantito che il CCNL conferisce diritti sindacali a tutte le organizzazioni sindacali firmatarie di accordi anche a livello territoriale. Ma su questo si starà a vedere, anzi a vigilare. A partire dal primo riscontro utile di quanto definito in sede di trattativa: la busta paga di agosto, ormai imminente. Possiamo starne certi, la lotta continuerà.

***
GRUPPO GESCO, GESCONET E GESCO NORD
I collaboratori del gruppo Gesco sono stati anche interpellati sulla proprietà della società e se Gesco Nord non fosse nient'altro che una diramazione di Gesconet, nei guai giudiziari da Torino a Padova e dalla brianza a Napoli per truffa e traffico di immigrati clandestini. "Niente affatto, Gesco Nord è un consorzio nato all'inizio del 2011". Ma la dichiarazione della Barbati viene smentita poche ore dopo da un dirigente della TNT: "Gesconet è dentro la TNT da anni e all'inizio dell'anno ha scorporato il consorzio in Gesco Nord e Gesco Sud. Le persone all'interno e la dirigenza - assicura - sono le stesse".
Questo perché sono gli stessi colossi della logistica a creare questi consorzi cooperativi, come Gesconet appunto, che ciclicamente cambiano nome e luogo ma che mantengono al suo interno lo stesso organigramma. E il problema che in questi giorni tocca Piacenza è solo l'ultimo tassello di un più grande mosaico di schiavismo camuffato a cooperativismo visto che dal 2007 a questa parte, il gruppo Gesco incappa sempre nello stesso errore: schiavizza i lavoratori, ricattandoli e pagandoli in nero.

Milano, agosto 2011

***
Comunicato su sciopero alla AF Logistics di Massalengo (lodi)
In data 25 luglio 2011, più di un centinaio di operai e autisti di AF Logistics e una quarantina di lavoratori delle cooperative giunti in solidarietà con la lotta (soprattutto i compagni della TNT giunti da Piacenza) dalle ore 04.00 sono entrati in sciopero davanti ai cancelli della logistica di Massalengo (LO). Decine e decine di mezzi pesanti in entrata e in uscita dal deposito non hanno potuto circolare. La AF Logistics opera per Carrefour e per essi lavorano il “fresco”, quindi il blocco di questa tipologia di merce ha , nel giro di due ore e mezza, creato grande danno alla cooperativa e alla committenza e portato ad un accordo sulle richieste di parte sindacale. Alle ore 06.30 è stato tolto lo sciopero a fronte alla stipula di un accordo sindacale tra il consorzio AF Alta Fedeltà (in riferimento alle cooperative Freccia e A.T Alta Tensione), il SI Cobas e i rappresentanti sindacali aziendali SI Cobas per AF Logistics di Massalengo (LO) e Soresina (CR). Nell'accordo sindacale si rimarca il fatto che ai lavoratori va applicato integralmente il CCNL trasporto logistica e facchinaggio, soprattutto in riferimento all'organizzazione del lavoro che deve essere in conformità a quanto disposto da norme di legge e da accordi sindacali precedentemente sottoscritti con l'O.S. SI Cobas.
Un sistema di timbratura con un cedolino allegato in busta paga dove siano chiare le ore effettivamente lavorate e in che giorno per tutti i lavoratori (facchini e autisti): di conseguenza la busta paga dovrà essere regolare in merito a tutti gli istituti contrattuali e normativi. Allontanamento immediato dei responsabili delle cooperative che intimidiscano, minaccino, utilizzino linguaggio scurrile, diffamatorio, oppure allontanino i lavoratori prima della conclusione del proprio orario di lavoro.
Infine nessuna ritorsione verrà attuata a danno dei lavoratori che hanno aderito agli scioperi, esercitando un diritto di libertà. Nell’accordo si sottolinea che l’applicazione è rivolta a tutti i lavoratori delle cooperative operanti presso AF logistics di Massalengo e Soresina (CR).
Appena tolto il blocco delle merci, e dopo che abbiamo spiegato ai lavoratori, in assemblea sul piazzale antistante AF Logistics, i termini dell’accordo, un capetto della cooperativa all’interno del magazzino, senza tener conto di ciò che era avvenuto poco prima, comunicava ad alcuni lavoratori che dovevano andare a casa, e che li avrebbe avvisati poi quando dovevano riprendere il lavoro.
Ciò ha portato ad un’immediata ripresa dello sciopero per il tempo necessario a far riprendere il capetto da parte del consorzio AF portandolo a più miti consigli.
I lavoratori stanchi di subire le angherie dei capetti da questo momento in poi, ad ogni sopruso sul posto di lavoro, chiederanno l’allontanamento di capi e se le direzioni delle cooperative non lo faranno, essi riprenderanno la lotta: “uomo avvisato, mezzo salvato”!

26 luglio 2011
Sindacato Intercategoriale Cobas
www.sicobas.org



CASTIGLIONE-ANDRANO (LECCE): PRESIDIO DI SOLIDARIETà
Lunedì 8 agosto, Piazza Castello, dalle ore 19.00 in poi.
La reclusione dei migranti nelle diverse strutture/lagher (pensate, realizzate ed organizzate dal centro destra oggi come dal centro sinistra ieri), il caporalato, lo sfruttamento e il lavoro schiavistico legalizzato sono anche qui nel salento una realtà che si mostra ormai in tutto il suo squallore grazie SOPRATTUTTO alle denunce, alle proteste ed agli scioperi degli stessi migranti.
Anche qui, a Castiglione, i migranti, come al CARA (Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo) di Bari o di Crotone o, ancora, come nella baraccopoli di Boncuri / Nardò, hanno smascherato con le loro giuste lotte e denunce il vero volto della cosiddetta "assistenza" e della detenzione forzata degli immigrati dai CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) alle varie masserie o baraccopoli dove sono reclusi o alloggiati!!! La funzione di questi apparati coercitivi è quella di perpetrare un continuo ricatto su tutti i lavoratori immigrati: da coloro che vivono alla giornata - quando riescono -, nascondendosi al carcere ed alla deportazione, a coloro che sonno costretti ad accettare condizioni di lavoro umilianti pur di non perdere il permesso di soggiorno.
Tenere in queste condizioni una fetta sempre più consistente della classe lavoratrice è condizione essenziale per gli interessi della classe dominante, la borghesia ed il suo sistema di potere: il capitalismo.
Il 22 Luglio, a Castiglione, dopo 2 mesi dal loro arrivo forzato da Lampedusa, 100 migranti ,"ospitati", dietro indicazione della prefettura leccese, in una struttura privata che ne può contenere al max 50, hanno manifestato per le strade del paese la loro rabbia contro le condizioni disumane in cui li si costringe a vivere: dai pasti indecenti, (pasta asciutta al mattino e riso la sera), al diritto negato circa l'accoglienza della domanda del diritto d'asilo; dalla mancanza di cambio vestiti alla mancata consegna di tutti quei lievissimi sostegni economici previsti, per ognuno di loro per legge (dalla carta telefonica ai 2 euro e cinquanta al giorno, etc !). [...]

luglio 2011
solidali antirazzisti con i migranti in lotta