indice n.63

Libia: La guerra civile davanti al secondo giro
tunisia: "La NATO ha spianato la strada alla sharia"
egitto: gli Islamisti celebrano ma i rivoluzionari non cedono
Siria: si' agli osservatori
cronache dai cie
Lettera dal carcere di torino
Un saluto da Carinola (CE)
Lettera dal carcere di Saluzzo (cn)
Lettera dal carcere di Imperia
Lettera da Brissogne (ao)
lettere dal carcere al collettivo dintorni reattivi di como
Lettera dal carcere di Cremona
lettera dal carcere di benevento
SULLE RITORSIONI NEL CARCERE DI VARESE
monza: FUOCO ALLE CARCERI? NO, PER ORA SOLO MOLTA ACQUA!
Dal collettivo che mette insieme, stampa e invia l'opuscolo
Obiettivo 41-bis all’ospedale s. paolo di milano
Una proposta da berlino
Sul processo a cuneo contro alcuni antifascisti
Firenze: omicidi fascisti
Sentenza per l’inchiesta del 10 giugno 2009
"Basta con il paragrafo 129a/b": manifestazione ad Amburgo
bologna, 12 DICEMBRE 2011: LO STATO PROCESSA GLI ANARCHICI
Comunicato sulla sentenza di Bergamo
Padova: Io occupo... E lo rivendico!
Milano: gli sgomberi di famiglie e non, si moltiplicano
8-11 dicembre 2011: giornate di mobilitazione in Val di Susa
milano: Sgomberano un presido ma non le Nostre idee!
FIAT POMIGLIANo: 3 GIORNI DI MOBILITAZIONE DEI LAVORATORI
napoli: dal Movimento di Lotta per il Lavoro Banchi Nuovi
napoli: MARCHIONNE, MONTI… I SACRIFICI FATELI VOI!


Libia: La guerra civile davanti al secondo giro
Quando il nuovo presidente del consiglio del governo di transizione libico, Abdurrahim Al-Keib, martedì scorso ha presentato il suo governo, ha messo tutti di fronte a una grossa sorpresa: la frazione islamica, che costituiva la quasi totalità delle forze combattenti del Consiglio di Transizione Nazionale (CTN), non era stata inserita nel nuovo governo. Ciò è conseguente alle pressioni delle potenze imperialiste occidentali, è così stato, per così dire, sparato il primo colpo del secondo tempo della guerra civile.
Il brusco capovolgimento non è un atto isolato, esso diventa chiaro se si tengono presenti le maniere fredde adoperate nei confronti dei circoli di Al Qaida, in particolare del leggendario comandante Abdulhakim Belaj. Lui ha fatto esperienza militare contro i soldati USA in parecchi conflitti; ha conosciuto per tanti anni nel lager di Guantanamo i pregi della democrazia USA, compresa la Waterboarding [forma di tortura, consistente nell'immobilizzare un individuo in modo che i piedi si trovino più in alto della testa, e versargli acqua sulla faccia. Si tratta di una forma di annegamento controllato, ndt]. Date le vittorie riportate dal suo gruppo nella guerra civile, era stata prevista dall'NTC la sua nomina a ministro della difesa del nuovo governo. La decisione-scelta ha causato parecchi mal di capo nei circoli dirigenti di Washington, Parigi e Londra, che, alla fine, hanno imposto non solo la sostituzione di Belhaj nel ministero della difesa, ma la sua estromissione dal governo. Il governo risulta così composto quasi esclusivamente da rinnegati di Gheddafi, sostenuti da un paio di antiche tribù.
C'è senz'altro da aspettarsi qualcosa dai gruppi combattenti islamici, che hanno avuto sulle spalle il carico principale della guerra civile, poi messi da parte con questo stratagemma. I conflitti nella nuova Libia sono già programmati. Sulla linea del fronte si scontreranno da una parte i ribelli islamici, dall'altra il governo dei seguaci, rinnegati, di Gheddafi, che, da soli, in una possibile guerra civile, non hanno nessuna possibilità di cavarsela. Con l'aiuto della NATO però la situazione potrà assumere un aspetto diverso. Il nuovo governo libico "legittimo" può invocare un solo aiuto fraterno, quello della NATO. E per nuovi bombardamenti la NATO non ha più bisogno di un mandato dell'ONU.
La "Comunità di valori" occidentale sta proprio tessendo un simile scenario.
Giovedì (24 novembre) il segretario generale dell'ONU, Ban Ki Moon, ha presentato un rapporto in cui gli islamici vengono accusati di crudeltà, crimini di guerra e delitti contro l'umanità. I dettagli crudeli non sono ancora stati girati ai media. E' in fase d'avvio la campagna per fare in modo che in occidente la gran parte della popolazione, in nome dei diritti umani e della democrazia, aderisca ad un nuovo bombardamento della NATO in Libia, anche se preparato assieme ad ex seguaci di Gheddafi.
Già adesso le agenzie stampa anglo-americane scrivono che gli ex ribelli (gli islamici) sarebbero stati criminali quanto le forze di sicurezza del colonello Gheddafi. I "libici buoni", invece, siedono nel nuovo governo a interim filo-occidentale.

Rainer Rupp, 25 novembre 2011
da www.jungewelt.de/2011/11-25/027.php


tunisia: "La NATO ha spianato la strada alla sharia"
Segue una conversazione con Radia Nasraoui, sulla vittoria elettorale di Ennahda, sulle speranze delle donne e sulle debolezze della sinistra in Tunisia. L'intervista è condotta a Tunisi da Gitta Düperthal.
Radia Nasraoui è avvocatessa a Tunisi. Nel 2003 è stata co-fondatrice dell'organizzazione tunisina dei diritti umani, l' "Associazione per la lotta contro la tortura".
Dopo la vittoria elettorale per l'Assemblea costituente svoltesi il 23 ottobre, il partito islamista Ennahada ha dato inizio agli incontri per la formazione di un governo di transizione. Il Partito del Congresso per la Repubblica (CPR) e Ettakatol hanno già avuto le prime conversazioni con gli islamisti. Ennahda alle elezioni ha ottenuto il 41,5 % dei voti e nell'Assemblea costituente le toccano 90 seggi dei 217 in palio.
Hamadi Jebali, al secondo posto nella scala gerarchica del partito, sarà il nuovo capo del governo. Il CPR, la seconda maggiore forza, ha conquistato 30 seggi, è immediatamente seguito da Ettakatol con 21 seggi. Il partito della Petizione per la Giustizia e lo Sviluppo ne ha conquistati 19, sei dei suoi candidati, di cui uno nella città di Sidi Bouzid, sono stati esclusi a causa di irregolarità. I deputati devono elaborare una nuova costituzione e votare il nuovo presidente della repubblica, che, a sua volta, deve nominare il capo del governo di transizione. Ghannouchi, capo di Ennahda, ha lanciato un appello alla calma agli abitanti di Sidi Bouzid, dove nei giorni scorsi erano esplose proteste contro il suo partito ed ha annunciato la "costruzione di un sistema democratico". Nella stessa occasione ha sottolineato di adoperarsi per il ruolo delle donne "nel processo della decisione politica" e di non retrocedere rispetto alle conquiste esistenti. Nell'Assemblea costituente i seggi presi dalle donne sono 49, di cui 41 elette fra le fila di Ennahda. Ghannouchi ha inoltre annunciato di formare il governo provvisorio di transizione entro un mese.

Domanda: Il 14 gennaio 2011 i giovani rivoluzionari tunisini hanno cacciato il dittatore Zine El Abidine Ben Alì. Sulle strade di Tunisi e altrove nel paese ha dominato prima delle elezioni del 23 ottobre un'atmosfera di nuovo inizio. Adesso, dopo la vittoria elettorale di Rachid Ghannouchi del partito islamico Ennahda, ottenuta con oltre il 41% di voti per l'Assemblea costituente, si è estesa nel paese una pesante rigidità. Come è potuto accadere?
Risposta: Abbiamo avuto le prime elezioni libere dopo oltre due decenni di dittatura. La coscienza politica delle tunisine e dei tunisini ha una formazione ancora debole. Il 23 ottobre fino al momento di entrare nel seggio elettorale, tanti non sapevano per davvero a chi dare il voto. Alle elezioni si erano presentate più di 100 liste. Alcune di queste erano state messe in piedi nel Rassemblement Constitutionnel Démocratique (RCD) direttamente dai vecchi membri del regime di Ben Alì, per creare confusione e diffidenza. Il Partito comunista (POCT) si è presentato come "L'Alternativa Rivoluzionaria", ma il mio nome, conosciuto come esponente dei Diritti Umani e attivista contro la tortura, non è stato menzionato nella documentazione elettorale. Ghannouchi, per contro, è stato sponsorizzato dai media - non c'è stata nessuna tribuna elettorale televisiva e nessun articolo di giornale che non ne abbia fattao menzione o anche solo nominato. Tante persone dubbiose hanno finito con il votare Ennahda, perché temevano altrimenti, magari per sbaglio, di dare il voto alle vecchie forze della dittatura.

D. Immediatamente dopo le elezioni si erano messi in moto movimenti di protesta a cui, chi vi prendeva parte gridava la parola d'ordine "Ennahda - 30 dinari". Che cosa significa?
R. La vittoria di Ghannouchi è stata ottenuta con denaro politico. Miliardi sono arrivati sul tavolo per comprare i voti degli elettori. La gente di Ennahda ha battuto l'intera Tunisia dove ha distribuito a piene mani: alimentari, schede telefoniche o denaro per la loro ricarica e semplice contante per acquistare di tutto. Nelle zone socialmente deboli, proprio lì, Ennahda ha tratto vantaggio dalla povertà delle persone e dalla carenza di beni importanti. Mi è capitato di sentire un caso in cui gli islamici hanno offerto un agnello per la ricorrenza islamica dell'Aid, quest'anno iniziata il 6 novembre. Nello stesso giorno delle votazioni, Ennahda ha offerto, in particolare alle famiglie povere, grossi pezzi di carne. Questa non si può più chiamare campagna elettorale, è un modo d'agire corrotto.

D. Ci sono prove?
R. Non ci sono filmati che provino la corruzione, ma esistono tante testimonianze.

D. Ennahda ha insomma tratto vantaggio dall'impiego corrotto di denaro. In tante città tunisine il partito islamico nella fase calda della lotta elettorale ha occupato di volta in volta le piazze più grandi e festeggiato su schermi giganteschi, ancor prima del voto, la vittoria del suo capo, Ghannouchi celebrato come star, mentre altre persone si raccoglievano nei centri giovanili delle città più piccole. Da chi prende il denaro Ennahda?
R. Ce lo chiediamo anche noi. Senz'altro dall'Arabia Saudita. E' pensabile che là siano interessati, in ogni caso, ad installare in Tunisia un sistema islamico, poiché questo paese ha assunto per altri stati arabi un tipo di posizione precorritrice. Il denaro che il partito ha gettato sul tavolo è una questione; il peggio è che alla vigilia delle elezioni è stata fatta pressione sui potenziali elettori. Una compagna mi ha raccontato di aver ricevuto più visite da agitatori aggressivi di Ennahda e di essere stata assediata finché le hanno strappato la promessa del voto.

D. A Tunisi sull'avenue Burghiba dopo la vittoria elettorale degli islamici, sempre si incontrano persone giovani che con ironia si definiscono "diplomati-disoccupati". In gran parte questi giovani hanno terminato l'università ed attendono invano da anni un posto di lavoro. Dicono che con la vittoria di Ennahda la rivoluzione è stata tradita e di nutrire timori per il proprio futuro. Loro, che esigevano le libertà borghesi, adesso devono condurre discussioni arretrate: le donne devono indossare il velo? La sharia troverà posto nella Costituzione - la poligamia vale solo per gli uomini? Ogni speranza è persa?
R. Ennahda è un partito orientato a destra, l'uscita dalla dittatura, l'avvio democratico, favorisce brutalmente il ritorno nel medioevo. Se Ennahda manifesta di essere bloccata e invia un segnale chiaro in direzione dell'arretramento, allora bisogna fare affidamento soltanto sulla pressione della strada. Non appena questa diminuisce, gli islamici lasceranno cadere la maschera liberale. Ma lei crede seriamente che le donne tunisine informate, emancipate, si lascino di nuovo sottoporre alle costrizioni? Per parte mia preferirei morire piuttosto che indossare un Niqab (il velo sul viso sotto cui restano scoperti soltanto gli occhi). Loro non riusciranno a cambiare tutto, si scontreranno con la lotta che noi continueremo a portare avanti. Fra un anno ci sono di nuovo le elezioni.

D. Che cosa teme rispetto aciò che Ennahda potrà scrivere nella Costituzione?
R. Innanzitutto non sono per davvero tranquilla, in quanto l'opposizione non è preparata ad opporre resistenza, nel caso in cui vengano tagliate le libertà; non ho nessuna fiducia nei confronti di Ennahda. Verso l'esterno si presenta gioviale, gentile tollerante - ma con metodo suggestivo discredita incessantemente le forze progressiste. Ad esempio, dai circoli islamici recentemente è stata divulgata l'idea di far lavorare le donne soltanto mezza giornata. Ciò significa espropriarle della base economica, dato che con il salario di una mezza giornata non riesce a vivere nessuna persona. Il portavoce di Ennahda, Aimi Lourimi, ha detto che sarà comunque una disposizione innocua. Noi dobbiamo tenere gli occhi ben aperti ed ascoltare attentamente quel che hanno in mente.

D. Quali diritti delle donne adesso potranno essere cancellati o smorzati?
R. Noi siamo andate avanti. Ora, nella Primavera araba, siamo avanzate a grandi passi per conquistare più diritti. Per questo le forze reazionarie sono comparse molto subdole. Per esempio, Ghannouchi con molta serietà ha affermato: gli uomini sono disoccupati perché le donne si ostinano a lavorare. Con argomenti apparentemente popolari mette gli uomi contro le donne e viceversa. Questo sta accadendo.

D. Nel quotidiano sta già crescendo la pressione sulle donne?
R. Sì, le donne libere vengono attaccate sotto l'aspetto morale. Ad esempio, gli islamici hanno esposto davanti alla moschea, alcune foto che ritraevano Bouchra Belhaj Hamida, l'ex presidentessa della grande organizzazione liberale delle donne "L'Associazione Tunisina delle Donne Democratiche", mentre beve un bicchiere di vino; un atto adoperato da Ennahda per discreditarla e presentarla, per così dire, come bevitrice e prostituta.

D. Perché il PCOT è uscito così malconcio dalle elezioni, dove ha preso soltanto l'1,5%?
R. Non avevamo le stesse chances degli altri partiti. Diversamente che con Ennahda, i media ci hanno semplicemente dimenticato. Siamo stati fra i più critici e radicali dei critici del governo - diversamente dal grosso partito islamico, che ha agito con toni delicati. Non sono stata invitata in nessuna tribuna elettorale televisiva. In quell'ambito avrei potuto chiarire quali obiettivi ha il PCOT. Mio marito, Hamma Hammani, segretario generale del PCOT, è stato presentato come non-credente (ateo), per suggerire alle persone: adesso dovete decidervi, o per la religione o per il PCOT - condotto da un ateo. E' chiaro ciò che le persone poi faranno. In questo modo loro hanno tentato di discreditare Hamma, mettendolo sotto una cattiva luce. Nei media la lotta elettorale è stata avviata e continuata come se in gioco ci fosse unicamente da decidere se qualcuno è o non è religioso, e non invece la politica. Si è abusato del dibattito sull'islam per creare un'atmosfera contraria a noi. Non abbiamo così avuto più nessuna chance di avviare una discussione sul significato della democrazia e sul come devono essere rispettati i diritti umani e delle donne.

D. Che cosa ha danneggiato il PCOT?
R. In primo luogo, anche i partiti liberali, come il Partito Democratico Progressista (PDP), il Partito Democratico del Progresso, si sono comportati esattamente come un tempo l'RCD di Ben Alì. L'alleanza "Polo Democratico Modernista" ha screditato gli altri partiti secolari. Hanno disseminato paure, esprimendosi contro la religione in un modo che le persone vissute fino a oggi sotto una dittatura, hanno finito con il credere che votando i partiti laici sarebbero ritornate la persecuzione e l'oppressione. La gente ha temuto possibili impedimenti e divieti nel praticare la propria religione. L'unione di diversi partiti laici era inoltre sospetta a tunisine e tunisini, anche perché dava da intendere di riferirsi esplicitamente agli stati capitalisti dell'Europa e degli USA. La gente perciò è stata presa dalla paura di un aumento rapido dei prezzi. Il PCOT si è allora staccato dal Blocco Democratico Modernista, ponendosi chiaramente come L'Alternativa Rivoluzionaria ed è così entrato nell'arena elettorale; passo che però non è stato accolto favorevolmente da gran parte della gente. Adesso dobbiamo lavorare sodo per comunicare alle persone i nostri scopi politici di un comunismo democratico. Per giunta il simbolo del PCOT non si riusciva proprio a vederlo sulla scheda di voto. Persino le persone che ci conoscono personalmente e sono andate a votare, non sono riuscite ad individuare la nostra fra altre 100 e oltre liste. Siccome né il nome di Hamma né il mio erano messi in evidenza e soltanto noi eravamo specificati come "L'Alternativa Rivoluzionaria", non è stato semplice distinguerci.

D. Che rapporto personale ha con la religione?
R. Ci sono due modi per mettere in pratica la religione: o gettarsi cinque volte al giorno sul tappeto e credere per questo di essere un buon musulmano - non cambia nulla se si è criminali, se si ruba ad altre persone o se si mente, questo è tutto compatibile; oppure si crede all'ideale del bene nella persona e si rifiuta che altri soffrano la povertà, che vada loro peggio. Questi sono due modi completamente diversi di avvicinarsi al problema. Un partito politico ad ogni modo non ha nulla a che fare con la chiesa e non è competente sulle questioni del Credo. Ogni persona deve credere quel che vuole. Chi vuole portare il velo, lo deve fare, chi non lo vuole, non lo deve indossare. La questione diviene problematica soltanto se della religione viene abusato in relazione alle votazioni, per fare politica. Ennahda lo ha fatto. Essa suggerisce che soltanto loro (gli islamici) possono fare la politica per chi crede. Adesso giungerà ad informare le persone che religione e politica non hanno nulla a che fare l'una con l'altra e che pertanto non devono essere poste in nessuna specie di correlazione l'una verso l'altra.

D. In Algeria le forze armate corrotte ammettono coscientemente il terrorismo dei sobillatori islamici e il regime lo utilizza contro la popolazione civile per intimidirla, per causare il caos, per ampliare e consolidare il proprio potere. Quanto è grande il pericolo che un'eguale situazione gradualmente si imponga anche in Tunisia?
R. Spero non si arrivi a tanto. Anche in Tunisia ci sono giovani donne che non si lasciano convincere che la poligamia è un loro bene e che un uomo può avere quattro donne. Qui il punto è che le persone non escono dai 23 anni di dittatura di Ben Alì, esiste sempre il pericolo che venga di nuovo eretto un dominio violento. Noi faremo attenzione, non distoglieremo gli occhi dai propagandisti. E' peggio quanto sta avvenendo in Libia dove viene introdotta la sharia in luogo di una legislazione democratica. La NATO si è fatta strada con i bombardamenti. I governi dei paesi capitalistici occidentali non sono proprio interessati sul come se la passino le persone in Tunisia e se mai avranno le libertà borghesi. Essi portano avanti il loro gioco senza battere ciglio. In passato hanno sostenuto i dittatori, senza interessarsi se fossero rispettati o no i diritti umani. Quei governi manterranno al potere anche dominanti autoritari religiosi - sotto un'unica condizione: che non contrastino i loro interessi economici.

D. Che valutazione date della politica del presidente degli USA Obama?
R. Con il suo presunto islamismo soffice, Obama ha sostenuto Ennahda. Lui non ha nulla in contrario. Ennahda non procurerà problemi agli stati capitalisti. Questo partito si lascerà incartare esattamente quanto e come Ben Alì, del quale difende le stesse posizioni: si apre ai mercati e si facilita la loro estensione.

D. Quale ruolo giocano le forze armate e la polizia dopo la caduta di Ben Alì?
R. Le forze armate farebbero bene a ritirarsi di nuovo nelle caserme. La platea politica non perderebbe nulla. Per quel che riguarda la polizia fino ad ora non è cambiato niente. Tutto procede come sempre. Anche dopo la "Rvoluzione del gelsomino" del 14 gennaio 2011 nei commissariati si continua a praticare la tortura. L'organizzazione dei diritti umani, di cui sono un'attivista, recentemente ha pubblicato un rapporto in cui abbiamo accertato che sempre viene adoperato il metodo del "poulet roti" (girarrosto): legano una persona ad una stanga fissata su due cavalletti su cui è possibile farla ruotare; la rotazione viene portata avanti fino a quando la persona legata perde i sensi, allora viene bastonata… Verosimilmente l'ingresso del governo Ennahda non cambierà nulla. Le vecchie forze del regime troveranno conforto. Già nella lotta elettorale gli islamici hanno mostrato quanto sono corrotti. Impiegheranno le stesse pratiche di Ben Alì - il presidente degli USA e il presidente della Francia Nicolas Sarkozy non vogliono nulla di diverso. Entrambi hanno sostenuto in modo determinante la dittatura di Ben Alì, perché mai dovrebbero rifiutare la loro simpatia nei confronti di un regime religioso?

D. Quale sostegno vi aspettate dalle reti sociali internazionali e dai movimenti?
R. La solidarietà internazionale alle tunisine e ai tunisini è enormemente importante. Ci aiuterebbe molto, se i movimenti sociali all'estero investissero di proteste i propri governi, mostrando così loro la perdita di ogni stima nel sostegno di un regime che non presta attenzione ai diritti umani né alla libertà di religione e neppure agli altri diritti democratici.

da www.jungewelt.de/2011/11-05/001.php


egitto: gli Islamisti celebrano ma i rivoluzionari non cedono
Il 28 Novembre hanno avuto inizio le elezioni in Egitto, una lunghissima “road-map”, quasi una maratona, sfiancante e demotivante, con un finale abbastanza scontato sin dall’inizio: la vittoria dei “Fratelli Musulmani” e quindi il successo della strategia di sfiancamento della rivoluzione e di futura divisione di potere messa in atto dall’asse “Fratelli Musulmani”-Esercito, o meglio dei suoi vertici oggi al potere, il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Supreme Council of Armed Forcess-SCAF), presieduto da un fedele ex-collaboratore storico di Mubarak, Federmaresciallo Tantawi. I primi risultati che arrivano dalla prima tornata elettorale che comprendeva anche Alessandria e il Cairo (La capitale però è stata divisa in due parti: Cairo e Giza, la seconda voterà alla prossima tornata) confermano le previsioni.
I primi parziali risultati sembrano in linea con sondaggi e previsioni della vigilia, il partito dei Fratelli Musulmani, “Freedom and Justice Party” (FJP) risulta il primo partito, i salafiti riuniti nell’ “Alleanza Islamica” e guidati dal “Hizb an-Nur” (Partito della Luce) secondi. Pertanto un’affermazione aldilà di ogni aspettativa dei salafiti riuniti sotto le bandiere dell’”Hizb an-Nur”. Solo terzo il principale avversario di queste due formazioni islamiste, il raggruppamento laico con gli ex-comunisti del “Tajammu’”, il partito copto finanziato dal miliardario Naguib Sawiris.
Anche se sul breve periodo i risultati elettorali non sembrano diversi dal previsto e potrebbero indurre a frettolose pessimistiche considerazioni, la recente occupazione di Piazza Tahrir con le sue continue manifestazioni che vedono riunirsi milioni di persone , ha smosso la paludosa situazione politica che era stata scientemente creata dalla “contro-rivoluzione”, la strategia di lento “svuotamento” dei valori della rivoluzione, di disordine voluto e creato per lungo tempo tramite una fine quanto evidente strategia. La rioccupazione di Piazza Tahrir, e le manifestazioni da milioni di persone che i rivoluzionari organizzano almeno ogni venerdì, stanno riportando speranza di un reale cambiamento, che non avverrà certo con queste elezioni, ma che anzi, solo la nuova occupazione della piazza ha rimesso in moto. [...]
Manifestazioni molto intense e partecipate sono avvenute e continuano ad avvenire oltre che al Cairo, anche ad Alessandria, a Suez e altre città dell’Egitto. Le piazze chiedono le dimissioni del “Mushir” Tantawi, a capo dello SCAF (Supreme Council of Armed Forces), cioè i vertici militari, la fine dello SCAF come organo di governo ed il passaggio dei poteri ad un “Governo di Salvezza Nazionale” che dovrebbe portare il Paese a elezioni Presidenziali al massimo entro Aprile 2012. Altre richieste fondamentali sono processi immediati e veloci ai responsabili delle morti e dei feriti civili, senza riguardi per livello e gradi, lo smantellamento delle forze poliziesche addette alla repressione e una loro totale ricostruzione.
La piazza rivoluzionaria è stata convocata dalla Revolutionary Youth Coalition (RYC) assieme ai giovani del “Movimento 6 Aprile”, gli stessi che lanciarono la Rivoluzione il 25 Gennaio, e subito gran parte del popolo egiziano ha risposto alla loro chiamata. La “Revolutionary Youth Coalition” fà parte della “Revolution Continues Alliance” coalizione di sinistra rivoluzionaria, legata profondamente alla storia e alle vicende della rivoluzione, infatti i partiti che ne fanno parte sono nati tutti solo dopo il 25 Gennaio 2011, e con programmi fortemente basati sulla redistribuzione delle ricchezze, in alcuni casi movimenti di base più che partiti. Per le elezioni si sono messi assieme per formare una coalizione elettorale che desse rappresentanza a chi la rivoluzione l’ha pensata e voluta per anni, ci ha lavorato dal 2006 creando l’alleanza rivoluzionaria tra studenti-giovani sottoproletari, operai dei distretti tessili e industriali, sindacalismo di base, insegnanti, operatori sociali e vasti segmenti della società egiziana.
In Piazza Tahrir, ad Alessandria, Suez gli attori politici e sociali sono sempre questi: i primi rivoluzionari della Rivoluzione del 25 Gennaio, gli attivisti poi riuniti nella RCA che hanno saputo mobilitare ancora una volta in maniera eccezionale il meglio del popolo egiziano. Come sottolineato, uno dei risultati più importanti di questa mobilitazione è quello di aver svelato all’opinione pubblica egiziana l’ipocrisia, la doppia agenda, la poca affidabilità e trasparenza dei “Fratelli Musulmani”, che unica formazione politica, ha preso le distanze dai manifestanti. Usando le colorite e un po’ epiche espressioni della Piazza, ma anche di molti mass-media laici e della strada egiziana, si dice che l’organizzazione dei “Fratelli Musulmani” «ha tradito la Rivoluzione»”, «si è collusa tramite il suo silenzio, con i repressori in divisa» e soprattutto «si è messa contro i nostri giovani». Giovani che tendenzialmente trovano supporto in ogni famiglia, tenendo a mente che circa il 70% degli egiziani è sotto i 30 anni e le famiglie sono ancora molto allargate, con nonni, padri e madri e figli-nipoti che spesso condividono lo stesso tetto e magari con ancor ulteriori parenti.
[...] E’ molto significativo ricordare che durante uno dei giorni più caldi dell’attuale protesta,, uno dei principali leader del braccio politico della Fratellanza (Freedom and Justice Party), il dott. Mohammd al Beltagi è stato allontanato a gran voce da Piazza Tahrir, sotto una selva di ingiurie e lo slogan: «it’s too late» (E’ troppo tardi). Si è rivelato agli egiziani tutti il patto che i vertici dei “Fratelli Musulmani” avevano sigillato sin dai giorni seguenti la Rivoluzione, un patto segreto con lo SCAF, l’organismo militare che aveva teoricamente il compito di traghettare l’Egitto alla democrazia. [...]
Era comunque inevitabile si arrivasse a questo punto, l’Esercito egiziano è anche una grande corporazione con tutta una serie di attività extra, che portano introiti e garantiscono un benessere esagerato ai militari di carriera, ora l’ultima goccia è stata la pretesa dei militari di influire sulla Costituzione, nella cornice dei “principi pre-costituzionali”, con cui l’Esercito punta a mettere nero su bianco il suo ruolo di “tutore” del Paese. Attraverso i ““principi pre-costituzionali” i militari pretendono l’autonomia di fissare e gestire il budget militare in totale solitudine e in modo totalmente slegato dal parlamento e dalla politica, e allo stesso tempo si auto-conferiscono l’autorità di scegliere del tutto arbitrariamente la maggior parte della composizione della Commissione che dovrà decidere della Nuova Costituzione, una commissione in cui gli attori politici usciti dalle elezioni saranno solo una piccola parte dell’organismo, in gran parte appunto nominato da loro, per redigere la Costituzione. Lo SCAF è l’espressione di un esercito spregiudicato, disposto a tutto pur di non cedere quell’enorme potere accumulato, che gli ha consentito di esprimere i primi tre presidenti dopo la caduta della monarchia nel 1952 e di accentrare potere e privilegi, ed è proprio l’opposto dei quell’esercito amico del popolo descritto nella retorica nazionalista egiziana. [...]
4 dicembre 2011
da nena-news.globalist.it


Siria: si' agli osservatori
La Siria accetta la richiesta della Lega Araba e apre la porta di casa agli osservatori internazionali. Sabato il comitato ministeriale della Lega aveva concesso a Damasco altre 24 ore per permettere l’ingresso nel Paese di osservatori internazionali. Le 24 ore erano trascorse senza che il presidente Bashar al-Assad non avesse dato alcuna risposta.
Risposta che è giunta oggi per bocca del ministro degli Esteri siriano, Walid al-Moallem. In una lettera indirizzata a Nabil Elaraby, presidente della Lega Araba, Damasco dice di "rispondere positivamente" alla richiesta dell'organizzazione.
Il regime alawita di al-Assad potrebbe così evitare le nuove sanzioni economiche e finanziarie minacciate e che si aggiungeranno alle misure che il mondo arabo, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno fatto piovere nelle scorse settimane sopra il regime alawita, accusato di reprimere nel sangue le proteste di piazza: secondo l’ultimo report delle Nazioni Unite, sarebbero almeno 4mila i manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza governative. Uno scudo, quello della difesa dei diritti umani, che Occidente e Paesi del Golfo stanno utilizzando nell’obiettivo di far cadere il regime di Bashar e aprire la strada ai Fratelli Musulmani, nuovi partner di Stati Uniti e Unione Europea.
Ieri un funzionario del governo del Qatar aveva fatto sapere che la Siria aveva chiesto alla Lega Araba “nuovi chiarimenti e ulteriori modifiche al protocollo proposto per il dispiegamento della missione degli osservatori”. Una richiesta rigettata dai ministri dei Paesi membri della Lega, che come risposta hanno concesso soltanto un estensione dell’ultimatum.
Le nuove sanzioni che la Lega Araba ha minacciato di imporre a Damasco prevedono l’embargo nella vendita di armi da parte dei Paesi arabi al presidente al-Assad e il taglio della metà dei voli di compagnie arabe da e per la Siria a partire dal 15 dicembre. Inoltre, è stata redatta una lista nera di 19 ufficiali siriani a cui sarà proibito l’ingresso nei Paesi della Lega: tra loro il generale Maher al-Assad, fratello del presidente Bashar e capo della Quarta Divisione Corazzata, e Rami Makhluf, cugino e noto magnate delle telecomunicazioni. Nella lista anche i capi militari e dell’intelligence siriana e i ministri della Difesa e degli Interni.
A questi la Lega starebbe pensando di aggiungere anche uomini di affari e imprenditori, di modo da fare pressioni a livello economico: “Questo è un messaggio ai businessman rimasti in silenzio – ha detto Najib Ghadban, membro del Consiglio Nazionale Siriano, partito di opposizione – così sceglieranno da quale parte stare”. Una pressione economica che la Lega aveva avviato alla fine di novembre con la prima ondata di sanzioni (congelamento immediato delle transazioni con la Banca Centrale di Damasco e degli accordi economici in atto tra i Paesi arabi e la Siria) e che solo qualche giorno fa era stata rafforzata dalla Turchia, ex alleato del presidente Bashar: Ankara ha stabilito sanzioni finanziarie ed economiche particolarmente dure, nell’obiettivo di cavalcare la situazione e sostituire la Siria nel suo ruolo di leadership del mondo arabo.
E proprio ieri, la Turchia ha aggiunto la sua voce a quella statunitense: Washington e Ankara si sono detti pronti ad aiutare il popolo siriano nel momento in cui Bashar dovesse cadere, senza pensare ad alcuna operazione militare contro il regime alawita. La missione degli osservatori rappresenterebbe “un modo pacifico per tentare di fermare questo ciclo di violenza in cui Assad ha coinvolto la Siria”, ha detto ieri Jeffrey Feltman, assistente del Segretario di Stato Usa per gli affari del Vicino Oriente. Aggiungendo che Damasco ha trovato nell’alleato iraniano il supporto necessario alla repressione della spinta democratica del popolo siriano.
Il timore americano e turco è quello di infiammare ulteriormente un mondo arabo in rivoluzione, soprattutto in vista dalla prossima partenza delle 20mila truppe americane dall’Iraq. John Biden, in un’intervista, si è detto sereno: il collasso del regime di al-Assad non provocherebbe necessariamente un contagio del conflitto settario in atto in Siria, tra maggioranza sunnita e minoranza alawita-sciita.
Ma la caduta di Bashar permetterebbe ai poteri occidentali e alla Lega Araba di spezzare lo stretto legame tra Hezbollah, Siria e Iran, asse sciita che in particolare i Paesi del Golfo hanno bisogno di sostituire. Tanto da non far mancare le proprie pressioni anche contro il regime iraniano. Ma se contro Teheran gli Stati Uniti non hanno alcun timore di imporre ulteriori sanzioni, diverso è il ruolo di Ankara: la Turchia importa il 30% del proprio fabbisogno energetico dall’Iran, importante partner commerciale.
Se Bashar cadesse, il mondo arabo perderebbe uno dei pochi esempi di Stato laico, insieme a Libano e Algeria. I Fratelli Musulmani in breve tempo sono riusciti nell’obiettivo di conquistare il controllo di Tunisia, Egitto (insieme ai salafiti), Marocco, Libia. Sono maggioranza in Sudan, Giordania, Paesi del Golfo. Un’eventuale sconfitta del regime di al-Assad in Siria permetterebbe la creazione di un regime islamista unico in tutta la regione, quello dei Fratelli Musulmani, ora considerati validi alleati da Stati Uniti e Europa.
Che non temono di utilizzare diritti umani e democrazia per distruggere un regime, quello siriano, protagonista di riforme laiche dall’economia ai diritti delle donne. Riforme a cui i media occidentali non danno alcuno spazio, come non danno voce alle manifestazioni di massa nelle piazze siriane a favore del regime alawita.
E proprio il ruolo e gli obiettivi dei Fratelli Musulmani, la maggior forza di opposizione in Siria, sono la spiegazione al silenzio assordante di Hamas. Il partito palestinese tace da mesi, non assume posizioni in merito alla crisi siriana e sta lasciando gradualmente il Paese, storico quartier generale di Hamas all’estero: decine di membri di Hamas stanno tornando a Gaza o si stanno spostando in Giordania.
Storicamente alleato di Bashar, Hamas ora si trova a vivere una seria contraddizione interna: da una parte il suo ruolo di opposizione ai regimi coloniali occidentale e sionista e la resistenza di cui è protagonista in Palestina, dall’altra l’appartenenza ai Fratelli Musulmani. Un’appartenenza che lo avvicina a Stati Uniti, Europa e Paesi del Golfo, costringendolo ad un dannoso silenzio. Se Bashar al-Assad dovesse cadere, il Medio Oriente perderebbe la sua leadership laica.

5 dicembre 2011
da nena-news.globalist.it
Cronache dai CIE
Milano, 19 novembre
Oggi pomeriggio una cinquantina di solidali ha deciso di spezzare l'isolamento delle mura del Cie di via Corelli. Ci siamo così ripresi lo spazio davanti alla sbarra dell'ingresso, cogliendo di sorpresa i militari che presidiano l'entrata del Cie. Dopo aver dato inizio ad una battitura sul guard-rail, la risposta da dentro è stata immediata con un susseguirsi di battiture, urla e fischi. Abbiamo continuato con interventi in italiano, arabo, francese, spagnolo e portoghese, che aggiornavano sulle ultime rivolte nei Cie d'Italia, ricordando il caso di Nahed e Mohamed, processati recentemente e condannati a 8 mesi con la condizionale, per aver tentato la fuga da Corelli. I due ragazzi sono quindi stati scarcerati e riportati dentro al Cie, le nostre parole erano anche per loro. Ora Nahed finalmente è potuto tornare in Tunisia evitando così un ulteriore anno e mezzo di prigionia all'interno di un Cie. La notte successiva due "ribelli" sono riusciti ad evadere dalle mura di Corelli; a loro i nostri migliori auguri di libertà.

Bologna, 21 novembre
Due tentativi di fuga in meno di ventiquattro ore al Cie di Bologna. Nel primo, avvenuto ieri, un gruppo di immigrati ha scardinato una porta e ha tentato con questa di forzare le sbarre. Dopo dieci minuti di tentativi, purtroppo, militari e forze dell'ordine sono riusciti a fermarli. Nella notte il secondo tentativo, organizzato in modo più "scientifico": mentre un gruppo (composto sia da uomini che da donne) distraeva gli agenti colpendoli con un fitto lancio di oggetti, un altro tentava con una corda composta da lenzuola di arrampicarsi fuori dalla struttura. Nonostante il lancio che rendeva complesso avvicinarsi ai fuggitivi, anche in questo caso nessuno è riuscito a scappare. Nel settore femminile sono stati anche accesi piccoli incendi subito spenti.

Gradisca, 22 novembre
Un immigrato di origine tunisina rinchiuso nel Cie di Gradisca d'Isonzo (Go) è stato arrestato ieri sera dopo aver minacciato gli agenti di una volante della Polizia e aver tentato la fuga. L'uomo si era procurato delle ferite alle braccia ed era stato accompagnato al Pronto soccorso di Gorizia. Qui, dopo aver minacciato i poliziotti con una lametta, si è dato alla fuga. Inseguito, è purtroppo stato subito fermato e arrestato.

Grovigno - Brindisi, 26 novembre
Una barca a vela con circa 80 passeggeri a bordo è naufragata lungo le coste brindisine dopo essersi incagliata contro gli scogli. Finora sono stati recuperati 2 cadaveri, mentre i superstiti accertati sono per il momento 39. Non si esclude che altri sopravvissuti possano essersi allontanati a piedi dal luogo del naufragio. Tuttavia il numero dei dispersi in mare potrebbe essere di decine di persone. Sono solo le ultime vittime di una lunga e impunita strage. Dal 1988 sono morte lungo le frontiere dell'Europa almeno 17.856 persone di cui 2.049 soltanto dall'inizio del 2011. Gli immigrati sono tutti uomini; tra loro vi sono quattro minorenni. Si tratta per lo più di afghani, iracheni e cittadini del Bangladesh. Secondo i loro racconti, a bordo della barca c'erano una settantina di persone. Mancano quindi all'appello una trentina di persone: è possibile che siano riusciti a raggiungere a nuoto la costa e a disperdersi nelle campagne circostanti.
Il giorno successivo il bilancio dei morti del naufragio sale a tre, dopo il ritrovamento in mare del corpo senza vita di un giovane uomo.

Torino, 3 dicembre
Una serata di protesta - e di repressione - dentro al Cie di Torino. A quanto sembra tutto sarebbe nato nell'area gialla dopo il pestaggio da parte della polizia di un recluso ammalato, considerato troppo insistente nel richiedere di essere curato. La protesta si è estesa a tutte le aree del Centro, esclusa quella delle donne, ed è stata affrontata dagli agenti a suon di idranti e lacrimogeni, senza neanche entrare nei gabbioni. Si parla di quattro o cinque ore di scontri, tre poliziotti feriti, due moduli abitativi resi inagibili dai danneggiamenti e per ora nessun arresto.

Restinco, 5 dicembre
Bocconi di rabbia ed amarezza per ogni notizia annunciata dai "giornalisti col marchio". Tre morti, forse 35 i dispersi, tutti gli altri spediti nel Cara/Cie di Restinco, dopo neanche tre ore dalla tragedia. Li abbiamo visti salire su un pullman scortati dagli uomini in divisa, illuminati in viso dalla luce di una videocamera invadente, e disturbati dalle domande di una giornalista tutta intenta a sottolineare la massima efficienza delle forze dell'ordine e a rassicurare gli ascoltatori che i "clandestini sono tutti adulti" e che "saranno accompagnati nel centro di accoglienza di Restinco". Lo yacht di 11 metri è ancora lì, incastrato fra gli scogli della costa di Torre S. Sabina, ondeggia con violenza e, minaccioso, lascia immaginare ciò che è accaduto solo poche ore prime. Si cercano i cadaveri, si aspetta che i corpi vengano sbattuti sugli scogli dalle onde, aggressive e letali. "Colpa del forte vento, colpa del mare troppo agitato"…e l'ennesimo vortice di rabbia si anima nello stomaco, e riporta alla mente tutte le tragedie che diventano la notizia di pochi minuti, che si smaterializzano in poche ore, che scompaiono dalla mente come scompaiono dalla vista i migranti, chiusi velocemente nei Cie affinché nessuno veda, affinché nessuno sappia. Saremo di fronte al Cie di Restinco l'11 Dicembre, a denunciare a gran voce che la colpa di tragedie come quella di ieri non è imputabile alla forza inarrestabile del vento e alla rabbia incontrollabile del mare, ma alle leggi razziste dell'insaziabile Europa che vieta ai migranti di raggiungerla senza il pericolo di morire affogati, evitando di esser buttati in mare da scafisti/criminali, senza la paura di esser visti dalla polizia.
Saremo di fronte al Cie ad urlare che la disumanità con la quale si decide di chiudere uomini scampati alla morte in posti come il lager di Restinco non sarà mai tollerata, che non daremo pace a nessuno fino a quando tutti i Centri di identificazione non saranno chiusi e fino a quando ogni recluso non diverrà uomo libero.
La strage nei mari non ha fine: hanno lasciato le loro famiglie in Tunisia più di sette mesi fa per salpare alla volta dell'Europa, ma dopo la partenza si è persa ogni traccia di loro. Qualcuno dice siano trecento, qualcun'altro cinquecento, altri ancora li stimano in oltre seicento. Le famiglie stanno facendo di tutto per sapere che fine abbiano fatto, mentre le istituzioni italiane e tunisine rimangono immobili. Faouzi lavora a Genova da molti anni, è sposato con un'italiana e ha due figli. Faouzi a marzo aspettava l'arrivo di suo fratello, che lo avrebbe aiutato nel suo negozio di frutta e verdura, ma il fratello non è mai arrivato. Kautar vive vicino a Parma con sua mamma. Ogni giorno aspetta notizie di suo fratello, partito a marzo alla volta dell'Italia e mai arrivato da lei. Noureddine vive in Tunisia, ha visto suo figlio salire su una barca il 30 marzo scorso e poi non ha avuto più notizie di lui. Ha provato a rivolgersi a tutte le autorità competenti ma lo Stato tunisino non gli ha mai dato nessuna informazione utile, allora Noureddine si è rivolto anche all'ambasciata italiana e lì gli hanno chiesto le impronte del figlio, ma il Ministero degli interni tunisino si è rifiutato di dargliele. Si tratta di un semplice incrocio di dati che comporterebbe un minimo sforzo collaborativo da parte dei due Paesi e consentirebbe di dare una risposta ai familiari dei dispersi, in Tunisia infatti le carte di identità sono con le impronte digitali e in Italia esistono i rilievi dattiloscopici dei migranti identificati o detenuti.

Torino, 6 dicembre
La palla al balzo, come si dice. Questa mattina, intorno a mezzogiorno, un recluso del Cie di Torino che era di ritorno dall'infermeria verso l'area dentro la quale abitualmente veniva rinchiuso ha notato che il vecchio cancello del Centro - quello che affaccia su corso Brunelleschi - era momentaneamente spalancato. Senza rifletterci troppo è sfuggito al controllo delle guardie che lo accompagnavano e ha guadagnato l'uscita. Ora, per quanto ne sappiamo, è libero. La vista di quanto sia in fondo a portata di mano la libertà ha riscaldato di molto gli animi tra gli altri prigionieri, ed è partita una nuova rumorosa protesta dopo la rivolta che venerdì scorso ha reso inutilizzabili due stanze dell'area gialla. In particolar modo nell'area blu i reclusi hanno dato fuoco a materassi e suppellettili. L'agitazione è terminata dopo una mezz'oretta, con l'irruzione della polizia nei gabbioni e il fermo di tre "senza-documenti" dei quali fino ad ora non ci sono notizie, e che quindi con tutta probabilità sono stati arrestati e trasferiti alle Vallette.

Torino, 8 dicembre
La sommossa di ieri notte. Intanto un preambolo: i quattro reclusi fermati per gli incendi di martedì ieri hanno avuto l'udienza di convalida degli arresti ed il Giudice ne ha ordinato la scarcerazione. Contrariamente a quanto succede abitualmente, però, dal carcere non sono stati riportati al Centro ma liberati per davvero. Non sappiamo se questa prassi insolita sia stata causata da intoppi burocratici, dalla mancanza di agenti disponibili a prelevarli alla matricola delle Vallette e seguirli in tutta la trafila in Questura oppure ancora dalla scarsità di posti disponibili al Centro: sta di fatto che questa vicenda fortunata ha riacceso le speranze e la determinazione di chi è rimasto al Cie e ha preparato il terreno per i fatti della notte. Per il resto si è trattato di un bel tentativo di fuga di massa, con pezzi di gabbia divelti, coperte bruciate e gente che riesce a passare la prima recinzione; dall'altro lato, quello della polizia, idranti sparati contro i reclusi, lacrimogeni e irruzioni nelle gabbie a bastonare i ribelli. Alla fine, un recluso viene portato all'ospedale ferito alla testa dalle manganellate e pure un carabiniere ed un poliziotto vanno a farsi medicare. La calma ritorna solo poco prima delle quattro. Questa mattina i prigionieri hanno rifiutato il cibo e un gruppo di operai ha provato a sistemare con la saldatrice i tratti di gabbia danneggiati.

Torino, 9 dicembre
Giusto dopo l'ora di cena, è ricominciato il casino dentro al Cie, che è ancora compattamente in sciopero della fame. Dalle 22.00 i reclusi, in particolar modo dell'area bianca e della gialla, hanno cominciato a battere e ad urlare, guadagnandosi subito la prima razione di idranti e gas lacrimogeni. Intorno alle 23.30 sono riusciti ad appiccare degli incendi nelle mense delle due sezioni, e poi sono stati ricacciati nelle loro stanze di nuovo grazie agli idranti. La polizia, presente in massa, è rimasta sempre al di fuori delle gabbie. Ancora intorno all'1.00 si sentiva battere e gridare ("libertà!"), e a quanto pare sono stati incendiati molti materassi. In tarda serata si è svolto pure un rumoroso e partecipato presidio di solidarietà, con battiture e fuochi d'artificio.

Trapani, 14 dicembre
Cronache di ordinaria amministrazione nei gironi infernali del Cie di Milo, a Trapani. Dove ieri pomeriggio nel settore "B" è andata in scena l'ennesima serie di gesti autolesionistici e tentati suicidi. Protagonisti tre tunisini, due dei quali residenti in Italia da molti anni. Tutto è cominciato dopo pranzo, quando Ali si è ingoiato una vite di ferro e un pezzo di vetro, e poi si è messo a tagliarsi le vene. Come se mutilarsi fosse rimasto l'unico e ultimo modo per comunicare il proprio dissenso e il proprio desiderio di libertà. Poche ore dopo, nello stesso settore un altro tunisino ha strappato un lenzuolo e si è fatto la corda per impiccarsi. L'hanno fermato appena in tempo i compagni, prima che infilasse la testa nel nodo e saltasse nel vuoto. Fa parte dei pochi, pare siano tre o quattro in tutto a Milo, ai quali è stata prorogata la detenzione oltre i sei mesi, come effetto della nuova legge. Il terzo ad aver scelto la via dell'autolesionismo è un altro tunisino, finito in infermeria con il contenuto di tre bottigliette di shampoo nello stomaco. Nessuno dei tre però ha impietosito il personale. E nel giro di poco sono tornati tutti in cella senza passare dal pronto soccorso. Vero è che il Cie di Milo è stato inaugurato soltanto la scorsa estate, ma operatori sociali e agenti delle forze dell'ordine sembrano avere già fatto l'abitudine al sangue. Il che la dice lunga sulla frequenza dei gesti di autolesionismo nel nuovo Cie trapanese di massima sicurezza, gestito dalla stessa cooperativa Insieme - del consorzio Connecting People - che ha in mano gli altri due Cie della città di Trapani: il Serraino Vulpitta e quello di Chinisia (chiuso dalla scorsa estate, dopo l'apertura di Milo). La conferma di quanto sia divenuta insostenibile la situazione a Milo ci arriva da altri due detenuti, con cui abbiamo avuto modo di parlare questa settimana, e dai quali abbiamo appreso della rivolta con fuga dal Serraino Vulpitta. Il primo è un ragazzo di Hay Zuhur, quartiere popolare di Tunisi, finito al Cie di Roma due mesi e mezzo fa, dopo aver scontato una condanna di due anni di carcere per spaccio, e da lì trasferito a Milo. Fuori ha un bambino di un anno e mezzo. Vive in una comunità con la madre, lei è italiana. Non si vedono da prima del suo arresto. A fine pena non vedeva l'ora di riabbracciarla. E invece adesso non pensa ad altro che ai 18 mesi che dovrà trascorrere nella gabbia. Ci racconta che ogni giorno succede qualcosa. Chi si taglia, chi si fa la corda, chi protesta per il cibo o per il freddo. Anche a Trapani come altrove sequestrano le scarpe ai reclusi per ridurre i pericoli di fuga e li tengono in ciabatte anche d'inverno. Un suo connazionale, anche lui recluso al Cie ma in un altro settore, conferma ma specifica che i guai peggiori li passano quelli che provano a scappare e che protestano. Con loro la polizia è molto violenta, ci dice chiedendoci di mantenere l'anonimato. Anche perché le botte lui le ha viste con i suoi occhi. Su un suo compagno di cella. Un ragazzo algerino. Preso a sberle in faccia davanti agli altri reclusi perché trovato in possesso di un lametta durante una perquisizione. Il fatto risale a un paio di settimane fa. Ma è accaduto nell'altro Cie di Trapani. Il Serraino Vulpitta. Dopo una fuga rocambolesca di cui fino ad oggi non avevamo avuto notizia. La tecnica è quella torinese. Ovvero fare entrare delle lime e segare le sbarre della gabbia. Ci hanno lavorato parecchi giorni, ma alla fine, secondo quello che ci hanno raccontato i detenuti del Vulpitta trasferiti a Milo nei giorni scorsi, la fuga è riuscita. Dal Vulpitta sarebbero riusciti a scappare 14 ragazzi, tutti tunisini, mentre altri 4 sarebbero stati ripresi dalle forze dell'ordine. E portati a Milo con almeno 16 dei 32 reclusi del Vulpitta. Tra loro ci sarebbero sia ragazzi tunisini sbarcati nelle settimane scorse nel trapanese, sia ragazzi lasciati a terra all'aeroporto di Palermo durante le operazioni di rimpatrio sui charter per la Tunisia, perché non identificati dal consolato tunisino di Palermo. […]Ragazzi come L., un trentenne tunisino che dopo 10 anni a Firenze si trova da ormai 4 mesi rinchiuso in un Cie. Prima Bari, ora Milo, dopo che il Consolato tunisino non l'ha identificato all'aeroporto di Palermo. Significa che non sarà espulso, ovvero che passerà altri 14 mesi in gabbia prima di tornare libero. Spera solo di non fare la fine dell'altro tunisino, quello che al Cie di Milo sta sempre in botta da psicofarmaco, dopo che l'hanno espulso per errore in Algeria, e da Algeri l'hanno rimandato in Italia, e ormai sono 9 mesi che non vede un bambino, una piazza e la riva del mare.

Informazioni e racconti liberamente tratti da Macerie, Fortress Europe e Storie migranti
Milano, novembre 2011

***
"Abbiamo tentato di scappare assieme a tutti gli altri"…
Sul processo concluso il 15 novembre 2011 a due ragazzi rinchiusi nel CIE di via Corelli a Milano
Dopo il passaggio del processo dal tribunale monocratico a quello collegiale, causa l'entità dell'accusa (resistenza… con l'aggravante del concorso di più persone) e dopo tre udienze si è concluso il processo a Mohamed e Nahed. Entrambi provenienti dalla Tunisia, sono stati fermati in mare a metà agosto (comunque in date diverse) e dirottati su Lampedusa; da lì trasferiti direttamente al CIE di Milano dopo 3-4 giorni, dove in seguito alla ribellione vengono arrestati e portati a S. Vittore. Questo il trittico infame. Mentre Alì in Italia c'era già entrato nel 2005 - quando aveva lavorato come raccoglitore di frutta e verdura ed era anche finito in galera tre mesi per furto-, Nahed invece era alla sua prima emigrazione.
Entrambi sono stati accusati di aver aggredito, la sera del 5 settembre scorso, con "scale", "rampini" i poliziotti penetrati nel CIE per far rientrare una protesta, l'ennesima. Nelle udienze passate cinque o sei poliziotti hanno esposto quel che è accaduto in un raccontino chiaramente prefabbricato e compiuto; come in una recita hanno detto di essere stati aggrediti dai prigionieri, indicati in Mohamed e Nahed, che impugnavano una scala, dei rampini… Arresti e relative condanne sono un obbligo per chi si pone il compito di impedire la ribellione, di imporre il dominio dello stato. E la ribellione quella sera c'è stata: quasi per intero tutti i prigionieri (una sessantina su 100) hanno tentato l'evasione, per non finire in nessuna delle periodiche espulsioni. Di quella notte Nahed e Mohamed, è toccato a loro, ma poteva accadere a chiunque altro, sono i capri espiatori, hanno pagato una "colpa" di tutti. Una condizione chiarita da entrambi nel rispondere "siamo stati accusati perché ci hanno arrestati", al giudice che chiedeva loro "perché gli agenti della polizia vi indicano colpevoli?"
Entrambi in aula hanno pacatamente detto di essere fuggiti da un paese percorso da scontri profondi, da una miseria feroce: "Non si riesce a vivere con 7 euro al giorno", per chi ha figli, come Nahed, non resta che "partire per cercare fortuna". Con fermezza hanno chiarito di non aver impugnato scale, di non averne mai vista una, lo stesso vale per i "rampini"; hanno illustrato che a Corelli i locali frequentati dai prigionieri vengono continuamente perquisiti, che a loro sono consegnati solo piatti, posate e bottiglie d'acqua di plastica (da mezzo litro) senza tappo, - così non possono riempirle di nulla e trasformarle in oggetti "pericolosi". Tutti e due hanno precisato di essere stati aggrediti e bastonati, trascinati per i piedi da gruppi di sbirri e di aver ripreso i sensi, Nahed, in ospedale; di essere portato in ospedale, Mohamed, solo dopo alcune ore. Altrettanto fantasiosa l'affermazione dei poliziotti che dicono di essere stati colpiti da Nahed, dal suo braccio ingessato. Lui ha spiegato di essersi rotto il braccio, scivolando nel bagno, solo il giorno prima; di aver anzi protetto il braccio appena ingessato dalle botte.
Nella brevissima requisitoria la pm ha detto di "ritenere provata l'identificazione esposta con esattezza di particolari dai testi, in particolare nell'indicare gli imputati come quelli che guidavano…", di "ritenere giusta l'accusa di resistenza aggravata"… quindi ha chiesto per entrambi un anno e 4 mesi. Questa una parte della "ragion di stato", l'altra verrà espressa nella condanna.
Gli avvocati hanno invece sottolineato di impegnarsi da anni in questi processi per pubblicizzare le storie delle persone immigrate fermate e chiuse nei CIE. Storie che esprimono l'incapacità e anche la non volontà dello stato italiano a accogliere, a dare risposte ai bisogni di abitazione, lavoro, reddito… a chi fugge da "economie asfittiche", quale, per molti versi, sta diventando l'economia in Italia da dove negli ultimi decenni sono emigrate ben 9 milioni di persone. Storie di persone invece tenute rinchiuse in condizioni spaventose nei "campi di raccolta", in "parcheggi" quali sono i CIE, dove non c'è alcun tentativo di socializzazione attraverso sport, scuola, teatro, lavorazioni… nient'altro che quotidianità ottusa, imposta con la violenza; persone considerate "straniere", "irregolari", mentre il loro futuro, senz'altro quello dei loro figli, è già uguale a quello riservato ai figli di oggi delle famiglie italiane, il cui reddito sta inesorabilmente impoverendosi. Fra le "stranezze" su cui hanno puntato il dito gli avvocati, una riguarda il fatto che da sempre, nonostante il CIE di v. Corelli sia zeppo di telecamere, in tutti i processi contro rivolte e proteste, mai è stato disponibile un filmato. Gli avvocati hanno naturalmente concluso, richiedendo l'assoluzione o comunque la "sospensione condizionale" dell'eventuale pena.
Il tribunale dopo un pugno di minuti di camera di consiglio ha dichiarato colpevoli di resistenza ecc. gli "imputati" e quindi li ha condannati a 8 mesi, ma, accogliendo così in parte l'esortazione degli avvocati, con la "sospensione condizionale della pena".
Così la sera stessa Nahed e Mohamed dopo 70 giorni hanno compiuto il viaggio al contrario: da S. Vittore al CIE di via Corelli. Quanto tempo ci resteranno, e sotto il ricatto della condizionale come del "reato di clandestinità" la cui durata può essere prolungata fino 18 mesi? Domande la cui risposta può venire soprattutto dalla continuità che si saprà dare alla lotta dentro e fuori contro i CIE e ogni tipo di carcere.
La decina delle persone presenti in aula non appena la corte ha emesso la sentenza si è rivolta in francese a Mohamed e Nahed, leggendo il messaggio: "Siamo vicini a Nahed e Mohamed arrestati e portati davanti al tribunale per essersi ribellati contro l'oppressione e per la libertà. Contro la guerra dei padroni, contro i centri di detenzione e tutte le prigioni, sosteniamo la lotta di tutte e tutti coloro che nel mondo intero si ribellano a ogni tipo di dominio; ed ha esposto in un cartello la scritta in arabo "Solidarietà con gli immigrati che resistono, bruciare le frontiere, libertà per gli arrestati", infine hanno salutato i rivoltosi urlando anche con loro "libertà", "horria" (libertà, in arabo).

Milano, novembre 2011


Lettera dal carcere di torino
Ciao, ho apprezzato il tuo telegramma. Fa sempre piacere ricevere notizie in questi luoghi. La solidarietà spezza l'isolamento e squarcia le mura delle prigioni. Quest'anno ho varcato la soglia di questo lurido carcere, per la seconda volta. Nel febbraio scorso ho passato 15 giorni nella sezione "casi umani", ovvero infami, pedofili, ecc... A parte i detenuti, le condizioni di detenzione, con il senno di questa nuova esperienza, non erano poi così malvagie. Nella sezione in cui mi trovo ora la situazione é allucinante: materassi di gomma piuma sbrindellati e impregnati di escrementi ed urina, tazza del cesso intasata, mancanza assoluta di lenzuola e federe (siamo costretti a dormire con una sola coperta), di guanti, spugne, sapone e asciugamani. La maggior parte dei detenuti non ha una lira, chi ha una presa di tabacco, la fuma di nascosto in bagno. Insomma, un bell'ambientino. Fortuna vuole che esistano animi buoni anche in questo inferno. Dal letame, nascono i fior... In più non mi hanno consegnato la spesa che ho fatto domenica scorsa, dovrò attendere la prossima settimana. La scusa: ho scritto prima il nome e poi il cognome, si sa i computer non ammettono sfumature. (Avrei dovuto scrivere cognome e nome). Beh, basta con le sfighe. In fondo, devo scontare soltanto 2 mesi, e di fronte alle storie che senti dentro, sono una persona fortunata, con compagni e compagne solidali, a testa alta. Dalla finestra della cella vedo le montagne della mia valle, e anche sotto questo cielo terso esplodono baleni e saette, come quelli che anonimi hanno acceso ieri sotto le mura del carcere. Beh, magari ci vediamo fuori. Un abbraccio.

Carcere di Torino, 5 dicembre 2011


Un saluto da Carinola (CE)
Qui la solita vitaccia, nessuna nuova. L'unica cosa che si muove è la costruzione del nuovo padiglione di 5 piani, ormai in ultimazione. Fra un po' arriveranno altri carcerati (forse). Bene ora vi saluto, ciao un abbraccio.

Novembre 2011


Lettera dal carcere di Saluzzo (cn)
[…] qui nel carcere di Saluzzo il problema non è il sovraffollamento, ma il giudice di sorveglianza che non si fa mai vedere. A me spettano già 3 mesi di liberazione anticipata, ma non mi sono ancora arrivati.Tra breve festeggerò i miei 4 anni di carcere; mi mancano ancora 4 anni e 3 mesi per arrivare a fine pena… ma i magistrati hanno una brutta opinione di me…
Mi manca l'affetto della famiglia, visto che la giustizia italiana mi ha distrutto e non è equa, voi per me siete come una famiglia. Il mio avvocato mi ha mandato un'ultima lettera chiedendomi sempre dei soldi, e io sono senza soldi e non posso neanche telefonare. Vorrei chiedervi se conoscete una famiglia che può ospitarmi, così posso chiedere la pena alternativa, visto che ho superato la metà della condanna… Qui sta facendo molto freddo. Adesso vi lascio e vi abbraccio in modo caloroso e forte, con affetto Maazouni

22 novembre 2011
Maazouni Aymane, v. Regione Gronda, 19/bis - 12037 Saluzzo (Cuneo)


Lettera dal carcere di Imperia
Carissimi/e compagni/e di Ampi Orizzonti […] vi sto chiedendo forse troppi libri, però qui ad Imperia il direttore ci ha tolto la possibilità di far entrare libri, giornali e riviste di qualsiasi genere tramite i colloqui, perché, dice che non sono controllabili. Ci diamo da fare per cambiare la situazione, ma siamo pochi a muoverci. Pensate, chi scrive questi ordini è direttore anche nel carcere di Savona, dove al colloquio invece entrano solo libri, riviste e vestiario mentre qui ad Imperia entrano scatolame, lieviti per dolci e pizze, insomma cibo e anche vestiario. Perché?
Potrei capire se fossero due direttori diversi, ma invece non è così…
Secondo voi dobbiamo sperare in un atto di clemenza con questo nuovo governo tecnico? Non ho ancora capito nulla. Scusate l'ignoranza, non ne so nulla. Prima di essere messo in carcere ho vissuto tre anni all'estero. Da internet si può scaricare qualcosa sulla questione di Olga?
Ora vi mando un forte abbraccio… a tutti i compagni/e.

27 novembre 2011
Marco Tassone, v. G. Agnesi, 2 - 18100 Imperia


Lettera da Brissogne (ao)
Salve carissimi/e compagni/e di Ampi Orizzonti, […] è da luglio che non vi scrivo, scusate, ma sono stati davvero terribili questi mesi trascorsi… è deceduto mio padre… a causa di questa maledetta reclusione non sono stato presente al suo funerale. C'è la speranza di uscire presto. Con l'applicazione del "continuato" attualmente sono già a fine pena, sono perciò in attesa di espulsione.
In questo istituto le espulsioni vanno molto a rilento, se aspetti che lo stato ti paghi il biglietto. Gli educatori che prima non vedevo mai, ora mi stanno bazzicando, dicendomi che l'unico modo per accelerare l'espulsione è che io mi paghi il biglietto. Beh, strano, molto strano, che questi educatori si siano ricordati che io esisto, nel passato ho fatto centinaia di domandine per poter fare un colloquio con loro.
Purtroppo io non sono in grado di procurarmi il biglietto di volo per la Bosnia Erzegovina, perché negli oltre due anni passati in carcere non ho mai avuto un lavoro fisso… non ho mai potuto usufruire del beneficio dell'art. 21, cioè della semilibertà… se l'avete mandatemi qualche libro di psicologia… In attesa di ricevere presto una vostra lettera e in attesa di essere espulso, vi porgo distinti e cari saluti, Mirnes.

20 novembre 2011
Glamocic Mirnes, Loc. Les Isles - 11020 Brissogne (Aosta)


lettere dal carcere al collettivo dintorni reattivi di como
Al fine di stimolare una presa di posizione e di coscienza sul carcere Bassone da parte della società comasca, abbiamo scritto una lettera aperta alla cittadinanza volantinata in migliaia di copie sia in città che in provicia. Di seguito riportiamo 3 lettere arrivateci dai carceri di Catanzaro, Prato e Cuneo che commentano e forniscono spunti di riflessione sulla nostra iniziativa.

Collettivo Dintorni Reattivi

Da Saluzzo (Cuneo) il 22 ottobre 2011
Ciao, da quattro anni mi trovo in carcere. Sono cittadino del mondo ma la mia origine è tunisina. Ho letto il vostro annuncio sull’opuscolo di Ampi Orizzonti. Grazie per la vostra solidarietà. Da circa tre giorni ho fatto un’operazione da solo per una cisti che avevo da quattro anni. Solo dopo il mio intervento con la lametta mi hanno fatto uscire per andare all’ospedale. Sono molto arrabbiato, purtroppo in Italia non c’è giustizia. La galera è stata costruita solo per noi stranieri e per i disgraziati. Mentre scrivo questa lettera mi hanno chiamato per un rapporto disciplinare perché un detenuto ha detto che io chiedo la spesa con forza e questo non è vero. Siamo in Italia? Mah. L’Italia è un paese democratico? Non credo. Sono molto nervoso. Cordiali saluti.

Da Siano (Catanzaro) il 30 ottobre 2011
Care amiche/ci, ho letto la vostra “Lettera aperta alla città di Como sul carcere Bassone”.
Non sono a Como ma vi rispondo dal carcere di Catanzaro nella speranza di fornire un utile contributo alla vostra utile iniziativa. Nella convinzione che abbiate a cuore i risultati e un miglioramento delle condizioni carcerarie mi permetto di suggerire alcuni modi che potrebbero risultare efficaci per ottenerli. Modi legittimi che si disinteressano di eventuali ideologie e delle limitazioni o condizionamenti che recano con sé. Non mi occupo di politica, tanto per intenderci, ma delle condizioni dei compagni reclusi sì.
Per sollecitare un intervento riguardo i problemi del sovraffollamento e limitazione a un’ora d’aria al giorno, potreste preparare un documento (se necessario potrei redigerlo io) con più intestazioni da inviare a: Presidente della Repubblica, Capo del Dap Franco Ionta, Provveditore regionale amministrazione penitenziaria, Presidente Corte d’appello di Como, Magistrato di sorveglianza di Como nel quale rappresentate la situazione di sovraffollamento e la limitazione a un’ora d’aria al giorno nel carcere di Como, chiedendo l’intervento delle autorità proposte per la mancanza di vigilanza e le violazioni dell’articolo 10 O.P. (L. n. 354/75 Ordinamento Penitenziario) che stabilisce limitazioni temporanee solo per motivi eccezionali; dell’articolo 3 CEDU secondo il quale è stabilito un minimo di 7 m2 di spazio individuale e almeno 8 ore fuori dalla cella di pernottamento.
Serve un documento breve e senza retorica. Di tale documento fatene più copie e inviatelo in carcere per farlo sottoscrivere dai reclusi (indicando piano/sezione di ubicazione) e altre copie sottoscrivetele voi all’esterno. Poi raccoglietele tutte e fatene 5 fotocopie da inviare alle autorità indicate nell’intestazione. Potete inviarne una copia anche al giornale locale come ulteriore simbolo. Qualcosa si dovrebbe smuovere nel giro di qualche mese.
Se poi vorrete entrare in comunicazione con altre associazioni di volontariato che si interessano al carcere, posso indicarvi l’associazione “liberarsi” con sede a Firenze, l’associazione “Fuori dall’ombra” con sede a Roma e un blog “Urla dal silenzio”.
Non mi resta che concludere con un caro saluto, augurandovi che quanto di buono vi proponete si realizzi.

Da Prato, il 7 novembre 2011
Cari compagni/e del Collettivo Dintorni Reattivi, sono un detenuto del carcere di Prato e vi scrivo dopo aver letto la lettera aperta alla città di Como, per esprimervi la mia solidarietà e stima riguardo all’impegno che da due anni mettete attorno alla realtà del Bassone.
Le informazioni rilevate dal Bassone dimostrano che le prigioni italiane si assomigliano e che ormai è un problema in scala nazionale. Gli amministratori della nazione hanno ben altra visione sulla funzione del carcere e della pena, mentre dentro ai loro lager non solo è saltata la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, ma si muore pure!
Le prigioni sono luoghi di sofferenza, ve lo dice uno che da 10 anni sta vivendo in gabbia, ma gli ultimi 4 anni sono diventati dei veri e propri luoghi di tortura.
Ammiro molto il vostro impegno e la vostra solidarietà ai prigionieri ma, a mio modesto parere, ci vuole un’organizzazione dall’interno del carcere, una certezza che possa generare movimento, altrimenti il sistema continuerà lo svolgimento della sua infame esistenza e voi resterete una realtà di persone che aiuta ad amare questi giorni perduti in prigionia. Con stima.
***
Di seguito, come collettivo che stampa l’opuscolo, facciamo alcune riflessioni a partire da due lettere, la prima, proveniente dal carcere di Siano e poc’anzi riportata, e la seconda, giunta dal carcere di Sanremo e pubblicata sull’opuscolo n.62.

Riconfermiamo qui la nostra posizione sui "miglioramenti" in carcere attraverso il rispetto delle leggi e dei regolamenti riguardanti la quotidianità in carcere, da ottenere con lettere-appelli inviati al presidente della repubblica, ai responsabili diretti delle carceri.
Le leggi sono espressione dei rapporti di forza fra le classi. Ad esempio quando la classe lavoratrice 30-40 anni fa era forte riuscì a conquistare lo statuto dei lavoratori comprendente i "diritti" al riposo, alle ferie, alle cure mediche, all'igiene, alla mensa fresca, alle 40 ore… oggi che quella classe è molto più frantumata e vulnerabile di allora e del proprio nemico, questi ha spazzato via lo statuto; anzi ha spinto indietro la condizione della classe lavoratrice fino a legalizzare, anche al nord, il caporalato. Lo stesso è accaduto nelle carceri, che del resto sono parte compresa della medesima società e del suo stato. Le "conquiste" della legge 354 del 1975, ossia, libertà anticipata, divieto di censura, comunicazione telefonica con l'esterno, lavoro pagato almeno pari a 3/5 del corrispondente lavoro all'esterno, igiene, applicazione dell'isolamento solo in casi estremi… sono state tutte divorate dall'applicazione del 4bis, 14bis, 41bis ecc., dalla differenziazione in AS 1, 2, 3, 41bis, dall'applicazione aggravata della recidiva…
Chi governa se non avverte la determinazione della classe sfruttata, combina leggi solo per dividerla e tenerla sottomessa; questo vale anche per le carceri e per chi ci finisce dentro. Chi governa cancella dunque le leggi "buone", appellarsi a costoro è come invocare aiuto dal proprio boia, da chi sostiene, benedice e pratica le guerre in Afghanistan, in Libia e …in Val di Susa, con i CIE e con il 41bis. Ed inoltre questi appelli, queste lettere, mentre pongono fiducia nelle "autorità" nei fatti tolgono forza e coscienza a chi le invia, ormai ridotto a persona che aspetta l'elemosina. Le "autorità" bisogna costringerle con la lotta e l'unità a cedere per aprire prospettive di liberazione valide per tutte e tutti. In ogni altro caso c'è solo disperazione individuale, quella esistente oggi. Stavolta non c'è da andare lontano per trovare risposte: nelle recenti proteste, rispettivamente del 10 e del 12 dicembre nelle carceri di Ancona e Parma, questa consapevolezza è già ben marcata. Qui all'assenza del riscaldamento e di altri gravi maltrattamenti i prigionieri hanno risposto in massa con battiture, incendi di materassi ecc. Chi riesce ad avere notizie su questi due episodi di lotta, sulla condizione dei prigionieri in quelle carceri, le diffonda e socializzi.

Un’altra considerazione è in risposta alla lettera di Adriano arrivata dal carcere di Sanremo. Scrive Adriano… “Se sei una persona scaltra, quando il giudice ti chiede dove hai acquistato gli stupefacenti, gli devi rispondere: ho paura di collaborare causa eventuali ritorsioni nei miei confronti e della mia famiglia. Ma c'è da dire che i giudici se sono "evoluti", glielo puoi dire in maniera informale/confidenziale, che rimane tra il giudice e l'imputato, senza nessuna firma d'accusa, in modo tale che il giudice componga il puzzle, la mappatura dello spaccio." E più avanti: "Non condanno chi collabora o chi se la canta"...
Questa è una posizione di legittimazione e tolleranza di comportamenti distruttivi della solidarietà, della fiducia reciproca, vitali nella lotta alla società fondata sulla guerra di rapina, sul dissanguamento e disprezzo di chi lavora e sulla violenza del carcere per imporre questi rapporti. L'opuscolo non può divenire veicolo di simili posizioni, proprio no, con la consapevolezza che "la solidarietà è una bella esperienza, vale la pena averne cura" come ci ricordava la manifestazione contro gli sgomberi a Amburgo raccontata sempre nell'opuscolo nr. 62.


Lettera dal carcere di Cremona
Ciao a tutti/e, sono Umberto, vengo da Crema. Mi trovo in questo carcere di merda dal 17 giugno 2011 per cose vecchie. In 10 anni questa è la nona volta che finisco dentro. Le altre volte ho ottenuto gli arresti domiciliari dopo un breve tempo: a 'sto giro mi sa che me li faccio tutti dentro, un anno e nove mesi, dato che il magistrato ha respinto gli arresti domiciliari. I "reati" di cui sono accusato - "resistenza a pubblico ufficiale" - sono successi, l'uno a Bergamo durante una manifestazione di solidarietà ai detenuti, l'altro a Crema con l'aggiunta di lesioni aggravate. E' andata così: mi hanno portato in caserma assieme ad un marocchino. Lì dentro ho cercato di spiegare al mio amico il motivo del fermo. Mi hanno aggredito per impedirmelo, mi sono difeso. Il giudice non ha fatto una piega di fronte alla mia parola.
Non sono qui a rimpiangere i fatti accaduti, anzi, lo rifarei 1.000-10.000 volte ancora per difendere l'esistenza di solidarietà a chi sta peggio di me, che non appartiene a quella classe sociale che i padroni della città chiamano "emarginati".
Parlando ora di qui, c'è da dire che la situazione è pessima: non funziona niente di cui noi abbiamo diritto a cominciare dalle 6 ore settimanali di incontri con educatori, psicologi, infermieri.Tutto ciò porta con sé nervosismo, alterazioni in tanti, me compreso. La posta è tutto un programma. Mi scrivo già con due amici, però vorrei scrivermi con chi se la sente di corrispondermi, anche perché è un modo di "evadere" psicologicamente. Con i soldi va ancor peggio e la spesa è sempre più cara… mandatemi qualcosa di interessante da leggere… Un saluto a pugno chiuso, anarcopunx Umbe.
Liberi subito tutti… Brucia galera, brucia tutti i lager di stato…

4 dicembre 2011
Umberto Pavesi, v. Palosca, 2 - 26100 Cremona


Lettera dal carcere femminile di Benevento
Carissimi! […] Mi avete chiesto di scrivere come è la vita nel carcere femminile, vi posso assicurare che è quasi come quella del maschile; l'unica differenza è che all'interno del carcere femminile non c'è solidarietà…
Del carcere dove mi trovo adesso, non posso dire una cosa per un'altra, va meglio. Invece nella precedente struttura, cioè S. Maria Capua Vetere, là sì che è galera. Vivevamo come cani, in condizioni disumane, 10 in cella; nessun rispetto per la privacy; non puoi rilassarti neanche per un minuto, perché una canta e l'altra balla… gente malata che non è curata nella maniera giusta. Dovevamo comprarci le medicine, se non hai i soldi rimani senza. Ci lasciavano ore e ore senza acqua, non ci si poteva né lavare né andare al bagno… Non c'erano corsi perduranti, hanno fatto due corsi, ma non potevamo partecipare tutte, l'ispettore sceglieva lui chi voleva. Insomma si viveva una vita disumana.
Un giorno sono stata presente a un episodio molto triste, questo: una mamma aspettava da tempo di vedere i suoi bambini, che erano tre, tutti sotto i 10 anni; alla porta non ne fecero entrare uno. La nonna, che si recava al colloquio con i bambini, ha dovuto chiamare l'avvocato, che è venuto da Napoli per portare via il bimbo. Quando la mamma ha saputo che le avevano mandato indietro un suo bimbo è scoppiata in urla e pianto di dolore, diceva "pure lui è mio figlio". Insomma, in quel carcere c'è una disumanità tremenda…
Auguro una presta libertà a tutti i reclusi perché niente è per sempre.
Un abbraccio a tutto il collettivo e Dio vi benedica, Mounia

1 dicembre 2011
Mounia Moussali, v. Ermete Novelli, 1 - 82100 Benevento


SULLE IGNOBILI RITORSIONI NEI CONFRONTI DEI DETENUTI IN LOTTA
NEL CARCERE DI VARESE
Nel luglio di quest'anno, abbiamo scritto una lettera-appello per sostenere i detenuti della Casa Circondariale di Varese, protagonisti di una lunga e coraggiosa lotta contro le disumane condizioni di sopravvivenza in cui sono costretti.
La loro lotta è cominciata il 23 giugno: per diversi giorni sono state effettuate le “battiture dei blindati” (le porte delle celle), che sono state udite anche nelle vie adiacenti, insieme al chiaramente distinguibile grido: “Libertà! Libertà!”. Contemporaneamente è partito uno sciopero della fame a tempo indeterminato.
Le condizioni del carcere di Varese sono fra le peggiori d'Italia. I detenuti (di cui la gran parte sono rinchiusi per piccoli reati) sono letteralmente stipati peggio degli animali.
Una tragedia quotidiana i cui numeri non sono sempre facilmente reperibili. Sappiamo per certo che soltanto nei primi sei mesi del 2010 ci sono stati 7 episodi di autolesionismo e 2 tentati suicidi (questi almeno sono i dati “ufficiali”). Negli ultimi 10 anni nelle carceri italiane sono morte più di 1.700 persone, per circa la metà si tratta di suicidi.
A giugno i detenuti hanno raccolto le motivazioni della loro protesta in un documento comune firmato. Ricordiamo benissimo quando ci raccontavano della loro paura di possibili ritorsioni delle guardie e di finire in cella di isolamento.
Ora, a distanza di cinque mesi, i nostri amici e conoscenti detenuti denunciano ritorsioni nei confronti di coloro che si sono più esposti nel corso della lotta: si tratta di coloro che hanno raccolta le firme e fatto da "portavoce" col direttore per spiegare i motivi della protesta.
Le ritorsioni denunciate dai detenuti riguardano la mancata concessione dei 45 giorni di liberazione anticipata per buona condotta e della semilibertà lavorativa (art.21).
Di fronte a queste ritorsioni vergognose, ribadiamo il nostro sostegno ai detenuti in lotta e chiediamo a tutti di dare massima diffusione a questo documento.
Facciamo nostre le loro parole di pochi giorni fa: "basta ingiustizie. Stiamo già pagando la nostra pena. Combattiamo per i più elementari diritti umani".
Uniamoci al grido che nel giugno di quest'anno giungeva dalle finestre sbarrate di via morandi: "libertà! libertà! libertà!".

Varese, 20 novembre 2011
Amici e conoscenti di alcuni detenuti in lotta del carcere di Varese


FUOCO ALLE CARCERI? NO, PER ORA SOLO MOLTA ACQUA!
Volantino distrubuito ai colloqui davanti al carcere di Monza
"Il carcere monzese si è allagato a causa delle piogge ripetute dei giorni passati!". Così titolano i giornali che si ricordano dell'esistenza di San Quirico soltanto quando si allaga e non quando al suo interno muore un detenuto.
Forse è più grave la pioggia che la morte di una persona considerata inutile e in esubero nella società in cui ci troviamo a vivere, dove sicurezza è solamente un altro sinonimo di repressione.
Ma sarà davvero colpa della pioggia? Possibile che un carcere presentato come tipico modello di eccellenza brianzola, in un comunicato ai limiti dell'esilarante del Comune di Monza, che entrava in netto contrasto con lo stesso emesso dal PDL brianzolo pochi giorni prima, possa essere messo in ginocchio da un evento atmosferico, comune e frequente in questa stagione?
Sono anni che i detenuti denunciano le condizioni precarie in cui versa il carcere, condizioni evidenziate anche nei comunicati emessi dal Sappe (sindacato della polizia penitenziaria), che mettevano in guardia sulle carenze strutturali della casa circondariale di San Quirico.
Ma si è dovuto aspettare che le infiltrazioni rendessero inagibile e pericolosa la sezione A.S., (dove l'acqua è arrivata fin dentro le plafoniere delle luci), osservazione e tutta la zona dei colloqui, che saltasse l'impianto di riscaldamento, creando così una nuova emergenza unita alla situazione disumana di un sovraffollamento cronico, per capire che forse erano più di semplici allarmismi.
A quanto pare verranno trasferiti 400 detenuti per consentire le millantate ristrutturazioni. Resta da capire quando e soprattutto dove verranno tradotti gli sfollati. Sicuramente andranno ad aumentare il numero di detenuti un qualche carcere lombardo già sovraffollato.
Soldi per il carcere non ce ne sono. Continuamente invocato come unico regolatore dei conflitti e delle tensioni sociali è ormai trasformato in una discarica sociale, dove un numero sempre più alto di detenuti sceglie il suicidio come via di fuga (finora sono 58 i suicidi del 2011) e in cui sempre più spesso si muore per "cause da accertare". Se a questo aggiungiamo anche un calo della qualità ma soprattutto della quantità del sopravvitto, abbiamo una situazione esplosiva continuamente ignorata da media e politica.
Ovviamente una reazione del genere da parte del potere non ci crea stupore poiché conosciamo bene la sua realtà e sappiamo benissimo che soltanto con la lotta si ha una possibilità reale di portare avanti le proprie richieste, lontano da loschi politicanti sempre in cerca di qualcosa che porti acqua al proprio mulino.
Ecco perché è necessario, in questo momento di emergenza creare un canale realmente efficiente di comunicazione con chi questa situazione la vive.
Chiediamo quindi a chiunque sia a conoscenza della reale situazione esistente in questi giorni all'interno del carcere, di informarci immediatamente in merito.

Scriveteci a: Corda Tesa Via Casati 31 - 20043 Arcore (MB)
oppure a cordatesamonza@autistici.org

Novembre 2011
Corda Tesa


Obiettivo 41-bis all’ospedale s. paolo di milano
Il passaggio della medicina carceraria al SSN (Servizio Sanitario Nazionale) non deve significare la militarizzazione degli ospedali pubblici e l'apertura di un nuovo fronte di sprechi e di arricchimenti fatti sulla pelle dei detenuti. La legislazione segregazionista di emergenza del "41 bis" - continuamente prorogata - piu' che il paese di cesare beccaria ricorda la brutalità di certi stati delle banane. Inutile e pericolosa la politica segregazionista, non solo non ha fermato in trentanni le mafie, ma le ha viste prosperare: come mai? Perché allora militarizzare i nostri ambulatori così bisognosi di allargarsi all'utenza, trasformandoli in una dependance carceraria che fa scempio della legalità ordinaria?
Il regime carcerario "duro" - noto oggi ai più come 41bis - vede la luce nella seconda metà degli anni '80 con il nome di "legge Martelli" all'alba dello stragismo di mafia che poi prenderà furiosamente piede nell'instabilità politica del trapasso dei poteri esecutivi (dal quarantennale regime unico democristiano alla sua confusa reiterazione aggiornata nota come "seconda repubblica").
I detenuti sottoposti al "41" a differenza di tutti gli altri si trovano con i contatti con i familiari limitati a uno solo al mese e con l'esclusione (di per sé già punitiva) da qualsiasi attività ricreativa. Anche il divieto di svolgere attività artigianali per proprio conto e l'isolamento in spazi ipercontrollati, la riduzione del proprio diritto alla difesa (potendo partecipare ai processi solo in videoconferenza) hanno il sapore di una condanna aggiuntiva già in esecuzione, specialmente se si pensa che un tale regime carcerario può essere applicato anche a detenuti in attesa di giudizio e quindi potenzialmente "innocenti" (lunghissimi i tempi della giustizia italiana).
Si tratta quindi di una legislazione emergenziale tipicamente italica - apertamente in contrasto con le indicazioni costituzionali e la convenzione europea dei diritti dell'uomo - un rimedio nato per durare pochi anni, ma poi continuamente prorogato e perfezionato col tempo. Il regime del 41bis ideato per contrastare la mafia e le associazioni terroristiche è a tutti gli effetti una sospensione totale della dignità delle persone. Oltre a suicidi di detenuti il 41bis ha pure portato, come molti ricorderanno, a quella guerra combattuta a suon di bombe mafiose che si concretizzò con i morti degli attentati al PAC di Milano e alla Torre dei Gergofili di Firenze).
25 anni di carcere duro di questa Guantanamo italiana che i giuristi europei considerano disumana e inutile non hanno avuto il minimo riscontro sotto il profilo della diminuzione dei fenomeni criminali dimostrando semplicemente, ancora una volta, che il fenomeno delle "emergenze" perenni (dai terremoti all'ordine pubblico) serve da tempi immemori alla classe politica italiana per saltare a pié pari procedure e controlli, oppure, peggio ancora, per non risolvere un bel nulla (si pensi alla negazione delle autorizzazioni a procedere che il parlamento ha negato nei confronti di suoi esponenti indagati per rapporti con la mafia).
Il detenuto sottoposto a un'invenzione malsana frutto di una mentalità emergenziale divenuta perenne come quella del 41bis è un detenuto desocializzato a rischio per sé e per gli altri. Si tratta quindi di un detenuto con un marchio "speciale" che potrebbe anche divenire bersaglio dell'organizzazione criminale di riferimento o di chiunque volesse toglierlo di mezzo. Quale senso possa avere una segregazione così rigida consumata non più in un carcere anch'esso "speciale" concepito per la "massima sicurezza" (per esempio l'enorme carcere di Opera) ma all'interno di un affollatissimo ospedale pubblico come il San Paolo (sottraendo spazio alla già sacrificata attività poliambutoriale) è quindi un mistero che lascia aperte moltissime domande e varie insinuazioni. D'altra parte l'Italia è un paese davvero "speciale".
Ma la "specialità" della diffusione di reiterati metodi detentivi abnormi che ci pongono al di fuori del diritto ordinariamente accettato in Europa non deve far dimenticare che siamo noi tutti, e i nostri stili di vita sempre più militarizzati, uno dei bersagli principali delle logiche emergenziali basate sulle tante forme di isteria e di paura diffuse ad arte dai media. Basti semplicemente pensare al dettato del Dlgs (decreto legislativo) 230 che sottopone il personale sanitario ospedaliero perfino alle direttive organizzative (ricche di omissis) dell'amministrazione penitenziaria, trasformando così gli infermieri in potenziali secondini.

***
Dlgs 22/06/99 n. 230, Art. 4 - Competenze in materia di sicurezza
Al ministero di grazia e giustizia sono riservate tutte le competenze in materia di sicurezza, all'interno delle strutture sanitarie ubicate negli istituti penitenziari e nell'ambito dei luoghi esterni di cura ove siano ricoverati i detenuti e gli internati.
2. Omissis…
3. Il personale appartenete al S.S.N. è tenuto all'osservanza delle norme previste dall'ordinamento penitenziario e delle direttive impartite dall'amministrazione penitenziaria e dal direttore dell'istituto in materia di organizzazione e sicurezza …
4. …è definito, con provvedimento adottato dal Ministro di grazia e giustizia, senza oneri a carico del bilancio dello Stato, un contingente di personale medico e sanitario da destinare all'amministrazione penitenziaria…
Non ultimo sorge il dubbio che l'emergenza carceri (quindi un mare di affari) sia stata rifilata alla chetichella al settore Pubblico specialmente per operare quei risparmi impossibili negli ambienti tradizionalmente corrotti.

Da “Il Paolaccio”, giornale autogestito dell'ospedale S.Paolo di Milano
ottobre 2011, n. 48


Una proposta da berlino
Quella che segue più che una lettera è l'esortazione a socializzare, a prendere parte… lanciata da un collettivo di compas in formazione nella RFT.

Ciao, ti scriviamo per proporti l'idea di un "opuscolo galeotto" e vorremmo sapere se hai voglia di prenderci parte.
Siamo (finora) quattro giovani di Germania che per ragioni differenti si confrontano criticamente con la prigione. Nessuna/o di noi è stata/o finora "davvero" in galera, ma abbiamo tutte/i le nostre esperienze con la galera e la giustizia, dall'arresto fino ad alcuni mesi di galera. Ci accomuna la richiesta dell'abolizione di tutte le strutture coercitive e dei sistemi che le causano e comportano. In modo vario ci impegnamo per una società solidale senza galere né confini.
Vogliamo fare un opuscolo che raccoglie i pensieri/sentimenti/le esperienze di persone in galera nei vari paesi. Si vorrebbe contrapporre qualcosa all'isolamento imperante e rendere visibile alla gente fuori dalle galere come sta chi è dentro e con ciò mettere in discussione l'idea di istituzione coercitiva. Ma anzitutto riteniamo importante che la gente in galera racconti e sia udita in prima persona sulla propria situazione. L'opuscolo è ugualmente riferito a persone detenute e non.
Concretamente cerchiamo scritti/poesie/disegni/dipinti/fumetti… di persone detenute e ti chiediamo se vuoi contribuire a quest'opuscolo. Puoi scegliere liberamente la forma, non deve essere un testo. Anche come contenuto, è uguale se vuoi scrivere di esperienze concrete in galera o pubblicare riflessioni generali sul tema; con piacere riceviamo il tuo contributo. Ma è importante per noi che il tuo contributo non contenga dichiarazioni discriminanti. Visto che vogliamo fare un opuscolo più grosso e vario possibile, purtroppo abbiamo un limite di spazio. Ci siamo accordate/i per due pagine A4 scritte a mano.
L'opuscolo dovrebbe uscire nell'arco linguistico tedesco, ma ci teniamo che tu scriva nella lingua che più ti aggrada. Per scritti in altre lingue cerchiamo gente che traduce. Nell'opuscolo alla fine uscirà sia l'originale sia la traduzione in tedesco.
Progettiamo anche contributi su Internet (solo se ti va), dove ci stanno anche scritti più lunghi. Inoltre abiamo la possibilità di pubblicare dei contributi nell'annuario anarchico polacco "A przeglad", c'è la gente che tradurrà gli scritti in polacco.
Affinché il tuo contributo appaia nell'opuscolo stampato e - se vuoi - anche nell'annuario polacco, ci servirebbe al più tardi entro la fine di dicembre 2011 (se ci riesci prima, tanto meglio!). Per favore scrivici se ti piacerebbe che il tuo contributo all'opuscolo sia pubblicato nell'opuscolo stesso, sulla pagina Web e su "A przeglad" o più volentieri solo sull'opuscolo. Sarebbe più pratico se ci scrivi anche info sulla tua persona che possono essere pubblicate sotto il tuo contributo (nome/cognome/indirizzo per corrispondenza/anonimo/nomignolo…).
Se hai domande/idee/desideri/note da fare ne siamo liete/i.
Se hai contatti con altre/i detenute/i che possono essere interessate/i ce lo comunichi o ci fornisci il contatto affinché possiamo scrivere loro.
Grazie per la lettura e tanti cari saluti

Contatto: Knastbroschuere c/o KuBiZ, Bernkasteler Str., 78 - D-13088 Berlin (Germany)


Sul processo a cuneo contro alcuni antifascisti
Cuneo, sabato 26 novembre: udienza preliminare del processo sui fatti accaduti il 26 febbraio 2011, in occasione dell'inaugurazione di una sede di Casa Pound in città.
L'udienza preliminare si è svolta oggi a porte chiuse al tribunale di Cuneo; si è conclusa con tre patteggiamenti e 16 rinvii a giudizio. Marco, Dario e Domenico, che hanno patteggiato, sono stati condannati (lesioni, resistenza…) a un anno e cinque mesi. Sempre in relazione a questo processo si è presentato in aula Guido, latitante dal primo momento. Il compagno spiega il gesto in un comunicato riportato più avanti. E' stato arrestato e portato nel carcere di Cuneo.
Arrestato anche Arturo, presente al presidio, per un residuo pena di due mesi. Era un mese che il compagno (dopo 9 anni di latitanza) consapevole della sentenza definitiva riguardo i fatti di Brosso, attendeva a casa propria l'arrivo dei questurini. In breve, Arturo è stato condannato a tre anni e mezzo nel marzo 2003 assieme ad altri due compagni, Luca e Andrea, a loro volta condannati a tre anni e due mesi. I fatti per cui sono stati condannati risalgono all'aprile 1998 in occasione dei funerali a Brosso del compagno Baleno, dove venne affrontato un giornalista. Ora Arturo è stato chiuso nel carcere di Torino. Per scrivere a Guido e Arturo:

Guido Mantelli, v. Roncata, 75 - 12100 Cuneo
Arturo Fazio, v. Pianezza, 300 - 10151 Torino

***
Comunicato di Guido letto al presidio davanti al tribunale
E così un'altra stagione volge al termine, ed è ora di rientrare, come quando a malincuore si lasciano gli alpeggi estivi. Certo, non è a cuor leggero che di mia volontà porgo i polsi alle manette, ma è una scelta di cui, fin dall'inizio di questa mia ennesima latitanza, ho valutato sarebbe arrivata l'ora, perché i reati in ballo, ed i progetti che mi aspettano una volta sbrigata questa faccenda, non avrebbero motivato una prolungata vita alla macchia.
Nel frattempo, ho approfittato di questi mesi per occuparmi di alcune faccende che mi stavano a cuore, ho attraversato splendide valli e montagne, incontrato persone che meritano e cuori generosi, e soprattutto mi sono scaldato al fuoco di una solidarietà che mai ho sentito mancarmi. Mi sono persino dato il tempo per necessarie e proficue riflessioni che impegni e abitudini non mi avrebbero altrimenti permesso. A dirla tutta, ho avuto pure il tempo per "trovarla lunga", forse più che in altre occasioni.
Ora che si apre il processo per cui questa latitanza è iniziata, sento l'opportunità di lasciarvi il mio punto di vista in merito alla caratteristica più evidente che contraddistingue questa vicenda giudiziaria, ovvero quella di essere un atto di accusa nei confronti dell'antifascismo. Per quanto mi riguarda, senza esagerare visti i trascorsi della mia famiglia, potrei dire che l'antifascismo sia una tensione congenita, e che accompagna per forza le lotte per un mondo libero da prevaricazioni ed autoritarismi. L'antifascismo che da sempre conosco e pratico è quello che non si è perso nell'inutilità delle pacificazioni senza cambiamenti e neppure nell'ipocrisia dei richiami ad una ingiustificata tolleranza verso coloro che, in un modo o nell'altro, vogliono imporre scelte liberticide ed autoritarie alla società.
Ma neppure faccio del'antifascismo il campo esclusivo per criticare e combattere quest'esistente basato sulla discriminazione e losfruttamento. Per questo vorrei proporvi un breve estratto da una lettura che mi è capitato di fare in questi mesi e che mi trovo a condividere pienamente.
«[...] Il fascismo ha vita breve storicamente parlando, perché è la forma di governo che la borghesia sceglie quando la forma principe del suo dominio, la democrazia, non è in grado di assolvere la propria funzione: garantire l'accumulazione del capitale e il potere sulle classi produttrici. Assolto il compito di cane da guardia, il fascismo viene riposto e la bastarda democrazia torna di moda. I fascisti possono illudersi di rappresentare una trasformazione epocale, ma sono solo merda di transizione, scherani, sbirri organizzati. La democrazia, con il suo carico di etica da giornaletto di gossip, con i suoi meccanismi di costruzione del consenso mediante l'allettamento del piccolo-borghese e la redistribuzione delle briciole, si attaglia meglio al dominio del Capitale […]
Hannah Arendt ha definitivamente ragione: il “male è banale". Non si è mai data esperienza fascista che non si sia nutrita dell'oppressione delle classi subalterne e del consenso del piccolo trafficante, del piccolo proprietario, di quella schiera di animali che baratta la libertà per ordine e disciplina, di modo che i proletari, o gli immigrati, in altre parole i brutti, sporchi e cattivi non abbiano a disturbarlo. Il fascismo è sempre contraddistinto da uomini "piccoli". Che si pascono sì di mistica nazionale e patriottarda, ma che assolvono i loro miserabili compiti con la dedizione sottomessa del travet. Piccoli impiegati del terrore, impegnati a tenere la contabilità dei nemici da eliminare. Ma le deportazioni forzate che il Capitale impone ai reietti della terra, prima affamandoli e poi concentrandoli nel tessuto urbano dove può sfruttarli meglio o trasformarli in mendicanti, puttane o nell'esercito delle banlieus, sono ineguagliabili. Non parliamo [poi] della capacità di costruire lager grandi come continenti, di avvelenare terre e fiumi [...]» (*).
Il processo che ci aspetta è in tal senso esemplare: non sono i "bravi ragazzi" di Casa Pound che ci ritroviamo a fronteggiare, ma la Questura di Cuneo che per l'ennesima volta cerca di toglierci dai piedi, e giudici compiacenti che, nell'imbastire un processo per scontri di piazza (situazione che necessariamente prevede due parti contrapposte), decidono deliberatamente di assecondare la criminalizzazione degli antifascisti e lasciare via libera agli scagnozzi in camicia nera. Forse "Cuneo medaglia d'oro della Resistenza" non ci avrà fatto caso, ma è un processo davvero imbarazzante per la Storia quello che si celebra davanti al balcone di Galimberti.
Senza dimenticarmi che, fino a quando non avremo spazzato via le scorie del fascismo, una minaccia in più graverà sulle strade per una libera autodeterminazione individuale e collettiva. Vado a vedere dunque che faccia abbiano le autorità a cui è stato chiesto di condannare l'antifascismo in queste terre di partigiani… ma non aspetto che l'ora di ritrovarmi al vostro fianco per continuare i sentieri che più possono nuocere ad un sistema sociale così disastroso e nocivo.
Un abbraccio a tutti gli imputati del processo e a coloro che non hanno fatto, né faranno mancare la loro solidarietà!

Guido

(*) Estratto dall'appendice "Appunti sulla storia del FMRP", in Ricardo Palma Salamanca, "Il grande riscatto", Edizioni Colibrì, Milano 2010, (pagg. 267-268).


Firenze: omicidi fascisti
Oggi a Firenze il fascismo ha ucciso con arma da fuoco due venditori ambulanti senegalesi e ne ha feriti altri tre. Ad uccidere come abbiamo detto è stata una mano fascista, del terzo millennio, ma sempre fascista, infatti l'omicida era un "simpatizzante" di Casapound, nello specifico della sede Pistoiese.
Partiamo dagli eventi. Due omicidi sono avvenuti in piazza Dalmazia, nella periferia nord di Firenze, mentre un terzo ambulante è rimasto ferito. Nel pomeriggio, altri due venditori senegalesi sono stati feriti nei pressi del mercato di San Lorenzo, in centro. In tutto sono tre i feriti tutti in condizioni gravissime.
Dopo i primi due omicidi la comunità senegalese carica di rabbia ha dato vita ad un corteo nella zona di piazza Dalmazia dove in circa in duecento, urlando “Vergogna, non si può morire così” e “Razzisti”, si sono diretti verso la Prefettura. Nel corteo la carica di rabbia è aumentata quando è arrivata la notizia del nuovo agguato in piazza San Lorenzo e così nei pressi della stazione di Santa Maria Novella il corteo ha gettato a terra qualche motorino, cartelli stradali e cestini dei rifiuti.
Il corteo è stato poi bloccato nei pressi della prefettura dove un esponente storico della comunità senegalese è stato ricevuto dal Prefetto che cercava di gestire la situazione. Anche se fuori, subito dopo l’incontro, la polizia caricava un gruppo di alcune decine di senegalesi, abitanti fiorentini che erano andati a portare la loro solidarietà e antifascisti della città.
Torniamo all'assassino. Gianluca Casseri, 50enne di Pistoia, simpatizzante di CasaPound come dichiarano gli stessi fascisti, che però si prodigano a dire che quel loro “simpatizzante” aveva disturbi mentali. Un simpatizzante con disturbi mentali che però aveva avuto la possibilità di scrivere più volte sull'Ideodromo, dove ci sono le linee teoriche del gruppo neofascista. Dagli esponenti di Casapound era stato apprezzato proprio per i suoi scritti di ammirazione al filosofo Ezra Pound, Julius Evola e Adriano Romualdi, storico e teorico del neofascismo italiano morto nel 1973 cui Casseri dedica un saggio pubblicato su Ideodromo di Casapound. L'assassino ha inoltre scritto libri di fantasy, tra questi «La chiave del caos» con Enrico Rulli, mentre recentemente si era prodigato a confutare le tesi di Umberto Eco sui protocolli dei Savi di Sion che proverebbero la congiura degli ebrei contro l'Occidente. È stato uno degli animatori del Centro Studi La Runa, il cui sito ha pubblicato molti suoi scritti che nella giornata sono stati rimossi dall'amministratore ma le cui tracce sono sempre presenti in rete. Fra l'altro il Centro Studi La Runa è pubblicizzato sul blog della Destra per Milano, di Jonghi Lavarini, fascista amico intimo di La Russa ora ripulitosi dentro il Pdl.
L'integrità di Casseri con il neofascismo italiano sembra più che una semplice simpatia e per questo, nonostante la vicinanza temporale ci rimanda ai pogrom di pochi giorni fa a Torino, probabilmente l'evento di Firenze ricorda molto di più la strage compiuta da Anders Behring Breivik in Norvegia. Non soltanto per la portata omicida, ma anche per i commenti che ne sono seguiti. Di Brevik nonostante le sue palesi e dichiarate adesioni alle ideologie neonaziste e sioniste si sentiva dire che era soprattutto un folle, come se in quelle culture politiche non fossero contemplati gesti simili. Oggi dell'assassino Casseri si cerca di dire le stesse cose negando palesi collusioni e i plausi avvenuti sul web dal mondo dell'estrema destra italiana.

13 dicembre 2011
da www.infoaut.org


Sentenza per l’inchiesta del 10 giugno 2009
Ieri, il 21 novembre, si è concluso con tre condanne il processo che vedeva accusati sette compagni di associazione sovversiva e banda armata.
Dopo più di un anno di processo, la corte si è pronunciata per la derubricazione dei reati di banda armata e associazione sovversiva, caduti per tutti; con una logica ambigua che salva la capra e il cavolo, ha deciso di modificare questa imputazione in cospirazione politica tramite accordo per Gianfranco, Massimo, per i quali sono stati sospesi i termini di decorrenza della misura cautelare fino al deposito della sentenza (entro 90 giorni). Ed anche per Gigi, che si sarebbe fatto una risata di fronte a questa farsa.
Sono rimasti in piede alcuni reati specifici per Bernardino Vincenzi, condannato per detenzione di armi e scarcerato per decorrenza termini, e per Gianfranco e Massimo, condannati anche per l’attentato alla caserma della Folgore, a Livorno.
Tre le assoluzioni, ma purtroppo la parte del leone la fanno gli anni di condanna e alcune richieste populiste e propagandiste che si sono emerse per la prima volta in questo processo e che ne testimoniano la reale sostanza.
La pubblicazione della sentenza su una testata giornalistica a diffusione nazionale, «La Nazione», e il pagamento di un risarcimento per i danni morali nei confronti del Ministero della Difesa, la trasformazione del 270 bis in cospirazione politica, la distruzione del materiale sequestrato sono elementi che non si vedevano da anni. Più o meno dalla fine del Medioevo e dall’avvento dell’era moderna.
Dopo due morti (uno in carcere e un teste psicolabile che si è suicidato a seguito degli interrogatori dell’accusa), dopo due anni e mezzo di carcere preventivo, in un processo costruito su indizi e suggestioni, la Stato ha voluto infliggere condanne non proporzionate ai fatti per giustificare il suo intento persecutorio, sbattendo dichiaratamente il mostro in prima pagina.
La spettacolarizzazione della pena in un processo in cui l’inventiva distorta dei pm ha giocato un ruolo fondamentale, non è altro che la degna conclusione di questo teatrino, in cui sotto accusa erano l’identità politica ed il percorso degli imputati.
Come Gianfranco ha già spiegato, il concetto di fondo è questo: ogni sistema difende se stesso con tutti i mezzi a sua disposizione, siano essi legali od illegali in base alle leggi del sistema stesso, e ciò è tanto più vero nei periodi di crisi generale del sistema come quello in cui stiamo vivendo. I comunisti sono da sempre il nemico principale di questo sistema e quindi è abbastanza normale che vengano colpiti. Naturalmente tutto ciò non viene esplicitato, non viene mostrato chiaramente, ma piuttosto si mette in scena la rappresentazione del diritto. Alla repressione si mette la maschera di un garantismo formale che poi sappiamo tutti benissimo non esistere nella realtà.
Le pene inflitte sono state di otto anni e mezzo per Gianfranco, sette e mezzo per Massimo e quattro e mezzo per Bernardino.

Assemblea Contro il Carcere e la Repressione assembleacontrolarepressione@gmail.com

***
Cara Olga, stavolta avrei voluto starmene zitto, ma poi non ce l'ho fatta.
Ti mando il testo del discorsetto che ho tenuto in corte d'assise, fanne quello che vuoi.
Penso che a giorni torneremo giù a Siano, con gli altri compagni. Eventualmente, scrivete lì. Continuo a pensare a tutte le Olghe del mondo, belle perché rivoluzionarie, e che sia sempre ora deliberarsi dalle galere.
Bacioni Gianfranco

Viterbo, 19 novembre 2011

DICHIARAZIONE DI GIANFRANCO ZOJA
Avrei preferito non prendere la parola in quest'aula, perchè ritengo non sia la sede adatta per parlare alla gente che mi interessa e perchè sono insofferente a queste forma di liturgia. Tuttavia penso che vadano dette un paio di cose sul significato di questo processo.
Il concetto di fondo è questo: ogni sistema difende se stesso con tutti i mezzi a sua disposizione, siano essi legali od illegali in base alle leggi del sistema stesso, e ciò è tanto più vero nei periodi di crisi generale del sistema come quello in cui stiamo vivendo. I comunisti sono da sempre il nemico principale di questo sistema e quindi è abbastanza normale che vengano colpiti.
Naturalmente tutto ciò non viene esplicitato, non viene mostrato chiaramente, ma piuttosto si mette in scena la rappresentazione del diritto. Alla repressione si mette la maschera di un garantismo formale che poi sappiamo tutti benissimo non esistere nella realtà. Tale rappresentazione con il suo gioco delle parti è per l'appunto il processo penale. In essa l'unica figura schietta, a suo modo sincera, è quella del pubblico ministero, il cui intento manifesto è distruggere con ogni mezzo gli imputati. Distruzione che è giudiziaria, cioè anni di galera, ma anche politica, economica, affettiva, e talvolta anche fisica, come nel caso fra i molti di Gigi Fallico. A questo punto finisce ogni finzione, qui c'è lo stato che dice "mi prendo la tua vita" ma così facendo per lo meno butta la maschera ed il processo si mostra per quello che realmente è, un momento ed uno strumento dell'oppressione di classe.
Io so, non lo posso provare, ma lo so, che qualcuno ha messo il mio dna su quella bicicletta. Naturalmente questo lo so io, lo sa chi ce l'ha messo, lo sa l'eventuale mandante e a questo punto, forse, incominciano a sospettarlo tutti quelli che hanno seguito questa vicenda. L'utilizzo di certi metodi da parte della repressione non è assolutamente una novità e infatti non ne sono minimamente meravigliato.
Si potrebbe pensare che si tratti di una dimostrazione di forza da parte del sistema, come dire, chi detiene il potere può fare quello che vuole, ed in parte ciò è vero, ma al contempo a me sembra anche un sintomo di debolezza, perchè uno stato che fosse sicuro del suo diritto forse non avrebbe bisogno di ricorrere a simili bassezze.
Comunque sia, non c'è bisogno di tutto questo per sapere che in tutti i processi in generale, ma in modo particolare in questi processi qui, i processi politici, si amministra la giustizia di classe e si giudicano gli imputati soprattutto in base alla loro identità.
Io sono comunista ed in quanto tale verrò condannato, perchè è della lotta di classe nel suo complesso che ha paura il sistema. Tuttavia sono molto, molto orgoglioso di esserlo. Quanto all'accusa di aver danneggiato l'immagine del paese ed indotto paura nella popolazione, sinceramente mi sembra rasentare il ridicolo. Se stiamo parlando di questo paese reale, chi è che lo danneggia non solo nell'immagine? Chi è che fa realmente paura alla gente distruggendone lo condizioni di sopravvivenza? Coloro che si oppongono ad un sistema globalmente iniquo o piuttosto la classe dominante di quel sistema nel suo complesso?
Questo sistema economico-sociale, il capitalismo , lo stato e le istituzioni che dal capitalismo derivano, che si fondano sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che producono incessantemente ricchezza per pochi e miseria per molti, guerra, distruzione dell'ambiente a scopo di profitto, ingiustizia sociale e corruzione, come per altro si vede dalla cronaca quotidiana, non mi sembra che abbiano l'autorità, tanto meno l'autorevolezza per giudicarci, hanno solo la forza bruta per farlo fin tanto che ce l'hanno.
In sintesi, noi come classe, abbiamo un problema di forza, non ne abbiamo ancora abbastanza. Loro hanno un problema di legittimazione perchè non ne hanno più. Possono benissimo fregarsene, non dico di no, ma, attenzione, la storia è dialettica e la classe che oggi è dominante ha già iniziato il suo declino.

Roma, 16 novembre 2011
Gianfranco Zoia, via Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (Catanzaro)


"Basta con il paragrafo 129a/b": manifestazione ad Amburgo
700 persone hanno manifstato il 2 novembre 2011 a Amburgo contro il par. 129a/b [l'articolo del codice penale relativo al "reato" di "appartenenza ad associazione terroristica”, simile al 270-bis in Italia, ndt], sotto la parola d'ordine "Basta con il par. 129a/b - “Libertà per tutti i prigionieri politici!” per la liberazione di Alì Ishan K., arrestato il 12 ottobre scorso sulla base del par. 129a/b e chiuso nel carcere giudiziario Holstenglacis. Nel 2007-2008 dovrebbe essere stato responsabile del PKK a Amburgo e nella regione più a nord.
Alla manifestazione, che ha percorso diverse strade della città, hanno preso parte diversi gruppi, famiglie, giovani di origine kurda e singole persone della sinistra radicale amburghese. La manifestazione sin dall'inizio è stata disturbata da fascisti turchi, però sempre respinti. La manifestazione si è espressa con forza e dinamicità, richiamando l'attenzione con volantini, bandiere, striscioni e con l'impiantosonoro. Davanti al carcere è stata spiegata la condizione vissuta da Alì Shan K. E quanto avviene in Kurdistan: dalle finestre i prigionieri hanno fatto sentire le loro voci.
Dopo lo scioglimento della manifestazione una quindicina di giovani manifestanti sono stati fermati e identificati dalla polizia. Quete sono azioni chiaramente dirette alla criminalizzazione e al tentativo di intimidazione nei confronti dei giovani scesi in strada per protestare. La gran parte dei giovani fermati erano minorenni; la polizia li ha minacciati con presunte conseguenze rispetto alla scuola e al permesso di soggiorno. Un reato concreto in ogni caso non è stato loro contestato. Il gruppo di persone che ha attorniato i giovani fermati, compresi i poliziotti che li tormentavano, per esigere misure che mettano fine agli interventi illegali della polizia, è stato aggredito da un'altra squadra di poliziotti. Nello scontro abbastanza violento una persona colpita in viso stramazzata a terra. Questi tentativi di intimidazione non hanno tolto nulla al senso positivo di una giornata piena di forza!
La nostra solidarietà contro la loro repressione! Torneremo in strada!

9 novembre 2011
da de.indymedia.org/2011/11/319555.shtml


bologna, 12 DICEMBRE 2011: LO STATO PROCESSA GLI ANARCHICI
Orchestrata dalla collaborazione tra Ministero degli Interni, Eni e Procura di Bologna nella persona della pm Morena Plazzi e messa in atto dalla digos bolognese, l’operazione repressiva scattata nello scorso aprile contro 27 persone arriva all’udienza di rinvio a giudizio.
All’alba del 6 aprile i servi dello Stato hanno invaso le nostre case alla ricerca di prove ed espedienti per incarcerarci e dividerci, accusandoci di associazione a delinquere con finalità eversiva. Subito sono scattati gli arresti preventivi e altri provvedimenti cautelari e il sequestro dello Spazio di Documentazione Fuoriluogo. Nei mesi successivi sbirri e procura hanno continuato a colpire chi si è mostrato solidale offrendo spazi e supporto e non si è lasciato intimidire dalla violenza della repressione.
Ma cosa ci contestano?
Ci dicono che i nostri rapporti, i nostri spazi, le nostre pratiche e le nostre idee sono i fondamenti di un’associazione a delinquere. Tengono in piedi il loro castello accusatorio sulla base di reati quali resistenze, danneggiamenti, manifestazioni e presidi non autorizzati, i soliti capi di imputazione che gravano sulle spalle di chi porta avanti delle lotte.
Perché un’associazione a delinquere?
Perché lo Stato ha bisogno di trovare un espediente giudiziario per contenere la rabbia di tanti confinandola a pochi, creando separazione tra buoni e cattivi e addossandoci categorizzazioni gerarchiche a noi estranee.
Chi vuole intensamente godere della libertà, riuscire ad assaporarla e a condividerla, chi vuole continuare a lottare senza compromessi contro un mondo sempre più marcio fatto di gerarchie e denaro, si troverà sempre di fronte a un’uniforme pronta a impedirglielo ma incontrerà anche tanti appassionati rapporti di complice affinità.
Soprattutto in tempi di crisi come quelli attuali, in cui è sempre più palese che il capitalismo non ha veramente più nulla da offrire, si verificano esplosioni di rabbia e le possibilità di rivolta tornano ad essere anche qui da noi una minaccia, l’allusione a voler godere appieno della propria libertà diventa pericolosa per chi ha da mantenere i propri privilegi e ancora una volta viene processata.
Il 12 dicembre 2011, anniversario della strage di Stato di piazza Fontana, lo Stato processa gli anarchici.

Lunedì 12 dicembre 2011, ore 10: presidio in solidarietà con gli imputati in Piazza del Nettuno; ore 17: assemblea pubblica sull’attuale situazione repressiva ed il contesto sociale in cui è inserita, presso il circolo IQBAL MASIH (via della Barca 24/3, bus 14 fermata Barca).


Comunicato sulla sentenza di Bergamo del processo ai 14 imputati per la manifestazione anticarceraria del 12 novembre 2005
Dopo 11 lunghissimi mesi di udienze, 4 giorni di reclusione, 8 mesi di obblighi di dimora e 2 di arresti domiciliari, finalmente siamo arrivati alla sentenza di primo grado: 11 condanne e tre assoluzioni. Condanne che vanno da 1 anno e 5 mesi a 3 mesi, con pena sospesa per tutti/e.
I reati contestati, non per tutti fortunatamente, sono: resistenza aggravata, lesioni, detenzione di abusiva di oggetti atti ad offendere, travisamento e radunata sediziosa.
Cadono: detenzione di materiale esplodente, danneggiamento.
Molto poco rispetto alle richieste del P.M. Carmen Pugliese, di cui 5 per 5 anni, 7 a 4 anni e 8 mesi, e 2 a 3 anni e 6 mesi. E, soprattutto il famigerato intento, come sta avvenendo troppo spesso ormai in Italia, di assegnare un concorso morale e materiale a tutti/e, è svanito nel nulla o, per meglio dire, nella gran bella magra figura da lei fatta.
Certo, bisogna anche dire che le 11 condanne sono state date senza una minima prova se non un filmato in cui non si vede nulla di determinante e con delle dichiarazioni, a volte strampalate e contraddittorie, dei 9 sbirri chiamati a deporre.
Tutto fa parte del gioco, non dimentichiamolo.
Come anche il clima di tensione imposto in città durante le varie udienze, nelle piazze e nelle vie adiacenti al tribunale, private di cestini e chiuse al traffico, come la partecipazione in aula limitata ad un massimo di 30 persone, come le camionette e gli sbirri in ogni dove, giornalisti chiamati a provocare, a fotografare e a filmare qualsiasi cosa…
Tutto fa parte del gioco. Come la telecamera piazzata davanti la sede dell’ “Underground-Spazio Anarchico” la sera precedente al corteo, il camper parcheggiato a lato usato per le intercettazioni ambientali.
Tutto fa parte del gioco. Come i 6 mesi passati con gli obblighi di dimora e le restrizioni dalle ore 20 alle 6 di mattina, poi 2 mesi di arresti domiciliari, il tutto inflitto a due compagni di Padova, poi assolti per non aver commesso il fatto…
Tutto fa parte del gioco. Come le due denunce a carico dei testimoni della difesa. Un dipendente di una concessionaria d’auto che ha prestato soccorso a dei compagni feriti lì rifugiaticisi, denunciato per favoreggiamento. E un ragazzo, “beccato” la sera dell’ Underground dall’occhio indiscreto della già citata telecamera di fuori di tale sede, denunciato per falsa testimonianza nel momento in cui, chiamati a deporre, la P.M. tira fuori dal cappello magico una seconda inchiesta parallela in cui ne facevano parte, a loro insaputa! Come forse del resto, gli altri 12 fermati dopo il corteo e condotti in questura ed altri 20 forse identificati, di cui apparivano le loro iniziali, anni e residenze su tutti i giornali. Di questa seconda inchiesta nulla si sa, momentaneamente è ancora segreta.
Tutto fa parte del gioco. Come 3 compagni di Bergamo, fermati nell’intento di strappare dei manifesti elettorali, condotti in questura, denunciati e addirittura schedati… o addirittura altri tre fermati e denunciati per aver riempito la città con delle “manine rosse” pitturate sui muri, campagna di protesta per chiedere la scarcerazione degli antifascisti arrestati a Milano l’11 marzo durante un corteo per impedire la marcia dei fascisti di fiamma tricolore.
Come il corteo contro la guerra ed il militarismo, la “Parata dei Disertori”, organizzato il 4 novembre dagli studenti autonomi, provocato continuamente dagli sbirri e in fine caricato in pieno centro città sotto gli occhi dei passanti.
Tutto fa parte del gioco. Ma a che gioco stiamo giocando?
Nonostante la repressione asfissiante che attanaglia il “movimento” bergamasco ed italiano più in generale, stiamo cercando di trovare nuove pratiche, di abbandonare il cosiddetto “autoreferenzialismo”. Nel bene e nel male qui a Bergamo continuiamo a tirar fuori nuove proposte, idee, ed anche a metterle in pratica, anche se, non dimentichiamocelo, la repressione c’è stata e forte; 2 arresti per l’anticarceraria a Bg, 3 per i fatti di Milano e 2 per le inchieste di Pisa.
Continuiamo a fare iniziative sotto il carcere, il banchetto con la “Biblioteca dell’Evasione”, il “GiùMuraGiùBox”, a raccogliere fondi di sostentamento per i compagni più bisognosi… insomma, andiamo avanti!
A testa alta, come sempre. Come quei compagni che davanti al giudice si sono rivendicati il corteo e la lotta contro il carcere, i C.P.T., il 270 bis e il 41 bis, come quei compagni che hanno rifiutato di lasciare dichiarazioni in aula.
Rivendichiamo la libera espressione delle idee, e di propaganda come l’azione diretta e l’autogestione degli spazi e delle nostre vite. Come dimostrato, dopo la condanna dei compagni siamo scesi in strada per sfilare tra le vie lussuose del centro cittadino, portano i nostri striscioni, i nostri cori, l’autodeterminazione e la solidarietà diretta ai nostri fratelli migranti, continuamente repressi, rastrellati ed espulsi perché costretti per vivere a fare i venditori ambulanti di materiale contraffatto.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà nei riguardi dei compagni condannati a Bergamo ed invitiamo tutti/e a non abbassare la guardia in questo momento particolare. Anzi, contro la repressione, cioè contro lo Stato e il Capitale, si risponde organizzando l’autodifesa, contrattaccando, tenendo ben presente che questo terreno sociale sta franando ogni giorno sempre di più. Ciò che oggi è ben poca cosa, domani potrebbe rappresentare un contributo per le lotte sovversive più ampie. Si tratta di rispondere colpo su colpo, e di reggere: gli anni a venire saranno colmi di conflitti sociali.
Libertà per tutti i compagni e le compagne incatenati/e, libertà per gli amici de “Il Silvestre” di Pisa… Fuoco alle carceri! Liberi tutti! …per un mondo senza galere!
“Si rimprovera ai giovani l’uso della violenza. Ma non ci troviamo forse in un eterno stato di violenza? Dato che siamo nati e cresciuti in un carcere, non ci accorgiamo più di essere in gattabuia, con le mani e i piedi incatenati e un bavaglio sulla bocca. Cos’è che voi chiamate stato legale? Una legge che fa della gran massa dei cittadini un gregge asservito, per soddisfare i bisogni innaturali di una minoranza insignificante e corrotta?” (Georg Büchner)

14 dicembre 2011
I compagni e le compagne di Bergamo
da informa-azione.info


Padova: Io occupo... E lo rivendico!
Il 21 novembre abbiamo subito l’ennesimo attacco repressivo, riguardo l’occupazione dell’ex scuola media Zanella-Davila a Torre avvenuto a settembre dell’anno scorso. A 14 compagni e compagne sono state notificate denunce per occupazione abusiva, per sei di loro si sono aggiunte denunce per resistenza a pubblico ufficiale, quando è stato impedito ai fedeli cani delle forze dell’ordine di sgomberarci. Il 23 marzo è stato sgomberato definitivamente il Centro Popolare occupato Gramigna, tutto il materiale dentro è stato sequestrato dalla questura, è stato pure demolito uno dei due stabili con una ruspa per renderlo inaccessibile.
Adesso, "finalmente", al secondo bando d’asta il comune è riuscito a trovare un compratore (Media Home srl di Casalserugo) per lo stabile per 1.502.460 €, 500 mila € in meno di quanto hanno chiesto, seguendo la logica della cementificazione della città e riempendo ancora di più le tasche delle varie lobbies dell’edilizia. È un ulteriore dimostrazione dei desideri perversi di speculazione in stile mafioso da parte della giunta comunale – capeggiata da Zanonato – che svende il patrimonio pubblico per costruite opere pubbliche inutili e dannose (centri commerciali, ponti e parcheggi), tagliando sui servizi sociali dopo aver sprecato i soldi dei padovani investendoli negli avidi pescecani della borsa (6 milioni € investiti nella banca americana Lehman Brothers, spariti nel nulla).
A questo punto possiamo citare Andrea Micalizzi, assessore al Verde del PD: «Bisogna mettergli la museruola. Chiariamo la situazione: quella di Torre è stata un’occupazione abusiva, recidiva e fatta con la forza. Eravamo in una situazione di piena illegalità, non si tenti di mascherarla come l’azione di ragazzi bonari.” Ha ragione. L’abbiamo fatto con la forza, con la rabbia di chi è stanco di vivere in una città ad uso e consumo dei padroni, che ha da offrire solo centri commerciali, pub e divertimento a pagamento. Sappiamo che per avere un posto dove poter esprimersi liberamente senza museruola, bisogna farlo senza scendere a compromessi con le istituzioni, ma solo con la lotta, unico vero metodo per liberare gli spazi. Sappiamo che le occupazioni non sono stupidaggini infantili, ma che sono una necessità per creare spazi autogestiti, fuori dalle logiche del profitto. Alcune settimane fa Micalizzi ha inaugurato una nuova area per cani dentro un parco a Torre. Anche se mostra di aver un gran cuore per gli amici a quattro zampe (e per le museruole), la sua posizione riguardo l’occupazione dimostra, che a lui e al resto della cricca cui non frega niente dei bisogni reali della gente. Il Gramigna ha rivitalizzato Torre – un quartiere dormitorio, senza vita sociale – creando uno spazio di lotta con iniziative culturali e d’informazione, serate musicali e la palestra popolare. E proprio perché stava diventando un luogo di riferimento non controllabile per giovani e proletari è stato colpito dalla repressione.
Non è un caso che proprio adesso ci attaccano con innumerevoli denunce e perquisizioni. Nella fase dove il capitalismo si trova in una crisi strutturale, manda i suoi servi a reprimere tutte le forze antagoniste che non si piegano a questo sistema che produce solo guerra, sfruttamento e barbarie.
Occupare è giusto, occupare è necessario

3 Dicembre 2011
Collettivo Politico Gramigna


Milano: gli sgomberi di famiglie e non, si moltiplicano
Giovedì 17 novembre è toccato a una famiglia di persone immigrate con figlia e figlio abitante in via Cavezzali (zona v. Padova). E' stata cacciata da un locale parte di un grande edificio costruito con la funzione di "residence", tanti "appartamenti" formati da una sola stanza più una piccola toilette, per chi si reca a Milano per un giorno o per studenti; da anni gli "appartamenti" vengono affittati e venduti a famiglie, persone singole che cercano di abitarli come casa - che non sono. Quel residence è stato ristrutturato e trasformato in condominio nel 2002-03; rimane in ogni caso composto da 190 appartamentini, più tre attici ed una palestra nel seminterrato, è diviso tra circa 80 proprietari, tra cui un paio di grosse immobiliari.
Una situazione complicata come veniva descritta in un volantino del Comitato antirazzista di Milano nel settembre 2010, in occasione di una delle numerose ingiunzioni di sfratto, rivolte alla stessa famiglia, non eseguite: si era ormai giunti al quarto tentativo di cacciare la famiglia di Hafida, donna marocchina precaria, con marito disoccupato e due figli che vanno al nido. 4 persone in un appartamento di 20 mq per i quali bisognerebbe pagare oltre 600€ mensili. Lo scenario è quello di un palazzo di 8 piani, con 176 appartamenti, nato come residence oltre 30 anni fa e successivamente trasformato in un alveare di mini-appartamenti ognuno dei quali "regolarmente" affittato in nero, con servizi pressochè totalmente assenti, (ascensore compreso); alle spalle l'omicidio di Abdel (Khalek Natab, un ragazzo colpito da cancro, ridotto a 45 kg…) compiuto nel febbraio 2006 da parte di una guardia giurata incaricata di riscuotere il pizzo per conto della Vanzoni e dell'Ambrosiana Immobiliare, protagoniste di una losca vicenda di palazzinari…
Quella somma la famiglia sgomberata non la mette insieme nemmeno unendo i propri salari "flessibili". Dopo il pagamento delle spese per le necessità fondamentali non resta loro più nulla, men che meno l'idea di pagare l'affittto.
La famiglia di via Cavezzali è insomma divenuta "abusiva", occupante, dunque posta sotto sgombero. Da circa un anno la corte d'appello di Milano ha emesso l'ordinanza di eseguirlo; l'ha notificata tre, quattro volte alla famiglia, senza mai passare a vie di fatto, anche per la resistenza messa in campo dalla famiglia unita a persone solidali. Nel frattempo è infatti successo che le diverse famiglie e persone singole abitanti nell'ex residence, vivendo le medesime, quando non addirittura più gravi, condizioni economiche e altre ancora, si sono riconosciute nella scelta della famiglia colpita. In breve le relazioni si sono intrecciate all'interno e con alcune realtà di movimento: insieme sono così stati respinti i primi tentativi di sgombero accennati. Stato, agenzie immobiliari, fra cui l'ente regionale-comunale Aler preposto all' "edilizia popolare", grandi e piccoli proprietari che cercano di arricchirsi sulle disgrazie dell'immigrazione, vogliono assolutamente fermare l' "illegalità" di massa. Anche a Milano. Così oggi l'ufficiale giudiziario è arrivato accompagnato da carabinieri, polizia e dal proprietario, tutti decisi a non andarsene senza aver messo sulla strada la famiglia "abusiva", quel che è accaduto dopo un paio d'ore di batti e ribatti.
La famiglia sostenuta da persone solidali (alcune sono riuscite a portarsi sul piano del locale, mentre altre, una ventina, sono state fermate davanti all'ingresso), ha deciso di uscire per mettere fine ad una tensione che stava distruggendo oltremodo la serenità dei figli. Una volta sulla strada le persone solidali presenti hanno impedito alla polizia di isolare, di tormentare ulteriormente la famiglia, che, invece, è stata accompagnata in un parco…e aiutata a affrontare le beghe burocratiche. Prima fra tutte naturalmente la cura estrema a impedire ogni separazione dai figli. Per il momento alla famiglia sono stati garantiti 7 giorni e notti in albergo e l'accesso nella lista comunale dei casi urgenti bisognosi di abitazione. Occorrerà qualche mese, qualche anno? Quel che non deve accadere è chiaro. Si vedrà.

Milano, novembre 2011


8-11 dicembre 2011: giornate di mobilitazione in Val di Susa
"…il gioco si fa duro, capisco chi non vuole stare più in prima fila…" (Da un intervento in un'assemblea in valle).
Nonostante arresti e fogli di via che, per le persone colpite residenti in valle significa
divieto di recarsi nei paesi diversi da quello in cui abitano; nonostante le "ordinanze prefettizie" che consentono l'allontanamento o anche il fermo di chi si avvicini al "sito militare" del cantiere; nonostante i pattugliamenti-controlli di strade e stradine, piazze e ogni altro luogo pubblico; nonostante l'installazione a La Maddalena di una vera e propria base militare cinta da un doppio perimetro di reti - protette a loro volta da filo spinato (prodotto in Israele), da manichette per il lancio dell'acqua e da fari di illuminazione, poste a difesa del cantiere, dove "normalmente" ruotano 40-50 poliziotti, carabinieri; nonostante il nuovo presidente del consiglio, il sindaco di Torino e chissà chi altro abbiano ribadito che "la TAV si farà", in quanto è "opera di interesse nazionale", la gente della valle ha organizzato e lanciato un appello generale, a cui ha risposto essa stessa e numerose centinaia di persone provenienti dalle regioni limitrofe, dalla Francia, dalla Spagna…
La chiamata voluta nelle giornate dall'8 all'11 dicembre non è casuale ma anzi è collegata alla memoria di una vittoria: lo sgombero del cantiere di Venaus (località situata dalla parte esattamente opposta della montagna che la divide da La Maddalena), la messa in fuga di carabinieri e polizia che dovevano difenderlo.
Nei primi giorni del dicembre 2005 l'intera valle entrò in sciopero, lanciò un appello generale, uscì in strada, marciò su Venaus per mettere fine, assieme al cantiere in allestimento, alla presenza di forze armate occupanti che avevano passato il segno, attaccando di notte alcune decine di manifestanti accampate nelle tende accanto al cantiere - di cui ne impedivano il funzionamento. Le persone del presidio furono prese a manganellate, a calci… le tende furono abbattute, anche incendiate… l'ennesima razzia di stato era stata compiuta - ma quella volta finalmente non rimase impunita. La valle conquistò assieme a un pezzo di terreno espropriatole dallo stato la forza per impedire negli anni successivi la devastazione decretata dall'alto. La memoria della solidarietà nella gente della valle è una realtà che nessuna violenza dello stato, dagli anni della resistenza, al 1945 ad oggi, per quanto pianificata e cosciente, è riuscita a seppellire. In gioco c'è dunque un bene, una conquista di valore collettivo che consente ogni altra conquista, compresa la dissoluzione del progetto dell'Alta Velocità.
Nelle giornate di questo dicembre sono emerse difficoltà e titubanze di fronte alla determinazione con cui lo stato invece procede nella realizzazione della TAV. Ha appreso la lezione. Per affrontare le manifestazioni disloca qui almeno 500 sbirri; fortifica il l'intero perimetro del "non-cantiere" (come dicono bene in valle), grosso modo un rettangolo di 300mt x 80mt con due reti alte oltre 2mt, poco distanti l'una dall'altra, in quel cunicolo a terra e in alto corre un rotolo di filo spinato stampato di origine israeliana; lo difende, sparando direttamente sulle persone manifestanti getti d'acqua ma soprattutto proiettili di gas tossici, tumorali, i CS… che oltre all'intossicazione finiscono con il lesionare parti importanti del corpo.
Nella manifestazione di accerchiamento del "non-cantiere" compiuta l'8 dicembre, sono quelle reti qua e là sono state tagliate; le persone ferite dai proiettili gasanti sono almeno una decina, due (fra cui un ragazzo sedicenne) in maniera molto grave agli occhi e al viso; quattro quelle fermate.
Nella stessa giornata una parte dei manifestanti ha occupato a Susa la sede dell'autostrada del Frejus la cui gestione è affidata alla società, la SITAF (Società Italiana per il Traforo Autostradale del Frejus) che dovrà realizzare, semmai ciò accadrà, il progetto TAV. Ma SITAF non ha subito particolari danneggiamenti perché auto e Tir hanno potuto uscire e entrare nell'autostrada dai caselli vicini; l'assemblea del giorno successivo ha criticato questa scelta ma anche il mancato coordinamento effettivo fra il presidio a La Maddalena e il mantenimento sull'autostrada dei fuochi artificiali - un segno di festa considerato fuori luogo date le persone ferite. Le critiche e le autocritiche aperte, dirette, alle decisioni prese dall'alto… insomma per niente formali, si sono trasformate in azioni per i giorni successivi, discusse e assunte collettivamente.
Così sabato 10 dicembre, 200-300 persone sono tornate a La Maddalena per riprendersi la "baita", un luogo e una costruzione che rappresentano l'esistenza fisica-politica della valle lì, dove dovrebbe iniziare l'aggressione alla montagna.
Nello scontro del giorno prima polizia e carabinieri erano infatti riusciti a sgomberare quel luogo, sottoposto alla ordinanza del prefetto di Torino che ha dichiarato "zona rossa" quella parte di territorio prossimo al "non cantiere" vietando così alla gente la libertà di movimento. Sabato la "baita" devastata e saccheggiata è stata ripresa, l'avvicinamento alla recinzione della base è avvenuto mentre agli sbirri non sono state risparmiate parole che li considerano veri e propri occupanti; pur se si avanza a viso scoperto, senza lancio di sassi (pratiche del giorno precedente, di sempre, criticate da una parte dell'assemblea), il contatto fisico con la recinzione, il suo taglio, viene aggredito con il getto dell'acqua, con l'uscita di plotoni di sbirri dal fortino. La giornata si conclude con l'acquisizione di quanto l'assemblea si era prefissa: dimostrare concretamente di non temere le "ordinanze", ricercando nella lotta l'indispensabile, seppur difficilissima sintesi.
L'11 dicembre l'appuntamento prima è con la polenta, all'aperto; segue un'assemblea di valle a cui prendono parte centinaia di persone. Lì vengono definite: un'azione nel tardo pomeriggio in solidarietà con le persone ferite e per denunciare l'agire degli sbirri; una fiaccolata, nel corso della settimana sul medesimo punto; uno sciopero generale della valle da preparare per gennaio.
Nel prendere queste decisioni l'assemblea ritorna sulle considerazioni generali della mobilitazione ormai ultraventennale contro il progetto TAV. Cioè, la TAV è un atto di forza dello stato contro la volontà, i bisogni, le scelte della popolazione; ciò riguarda, in primo luogo le scelte del trasporto in generale, ferroviario in particolare, il rapporto fra scelte dello stato e popolazione. La mobilitazione in valle proseguirà in ogni sua forma di resistenza fino a quando lo stato non ritirerà i suoi progetti.
La mobilitazione di queste quattro giornate si conclude così con un corteo nella vicina Bussoleno; la direzione che deve prendere quel corteo è un parto difficile, contrastato da diverse ipotesi, su cui alla fine prevale l'invasione della stazione ferroviaria. Si vuole contestare il passaggio del TGV, il treno dell'alta velocità alla francese. Se sui binari corre già un simile treno, la necessità della TAV dov'è? Nella speculazione finanziaria connessa alla privatizzazione delle ferrovie i cui effetti vengono descritti negli interventi in stazione da ferrovieri licenziati, da operai metalmeccanici che un giorno si sono trovati senza le officine di costruzione e riparazione dei treni, dalle persone pendolari che pagano un abbonamento in continuo aumento e viaggiano su treni sempre più rari, sporchi, che incrociano stazioni umanamente nude, militarizzate e videocontrollatissime...

Milano, dicembre 2011


milano: Sgomberano un presido ma non le Nostre idee!
Sabato 3 dicembre alle 8e30 circa i carabinieri hanno fatto irruzione nello stabile dell'ex-tiro a segno occupato domenica scorsa come presidio permanente contro la PeDemontana, l'autostrada che vuole cancellare la "cintura verde" attraversando da ovest a est le aree comprese tra Desio e Seregno.
I militari hanno eseguito lo sgombero coatto trascinandoci fuori nonostante avessimo chiesto che prima arrivasse il nostro avvocato, inoltre la digos ci ha sequestrato il telefonino dopo un paio di chiamate impedendoci di avvertire altri dell'accaduto.
Tra le minacce di sequestro del materiale che avevamo portato al presidio e quelle di arresti e Trattamenti Sanitari Obbligatori (!), l'operazione si è conclusa in tre ore nelle quali due squadre di operai mandati dalla proprietà hanno barricato con enormi lamiere e tubi innocenti tutti gli accessi all'area. Infine anche il sindaco Dino Corti è venuto personalmente a stringere la mano al funzionario dell'arma che ha guidato le operazioni.
Il dato più incredibile è il modo con cui lo sgombero è arrivato, senza nessun contatto precedende da parte di forze dell'ordine, istituzioni e proprietà, nonostante avessimo nel comunicato iniziale la nostra disponibilità ad un incontro.
Già nei giorni precedenti lo sgombero era in atto la "guerra dei lucchetti", più volte sostituiti, addirittura mentre alcuni di noi erano all'interno della struttura, dicasi sequestro di persona. Oltre alle modalità è sconcertante la velocità dell'intervento, soli 6 giorni, mentre per gli sversamenti di rifiuti tossici ci sono voluti 15 anni, senza contare il fatto che sono stati singoli cittadini ad esporsi per denunciarle.
Non ci facciamo intimidire e continueremo comunque a presidiare in maniera itinerante le aree interessate da questa inutile gigantesca opera, che non va vista sola, ma come parte del progetto di tangenzialissima esternissima di milano, iniseme alla RHO-MONZA, la BRE.BE.MI. (Brescia-Bergamo-Milano), la TEM (Tangenziale Esterna Est Milano), la TOEM (Tangenziale Ovest Esterna Milano) e la superstrada Boffalora-Ticino.
Si tratta degli avamaposti per il progetto della CITTA' INFINITA, ovvero la metropoli di oltre 6 milioni di abitanti che sognano e propagandano Forminchioni e i suoi seguaci, tra i quali non mancano gli arresti come quello degli scorsi giorni del suo vice.
L'avviso di garanzia riguarda proprio la BRE.BE.MI., nello specifico il ponte di Cassano sull'Adda, costruito sopra e con i rifiuti tossici. Si tratta della parte più importante del tracciato, proprio come Desio è il centro geometrico e nevralgico della Pedemontana con i suoi due svincoli rispettivamente con la milano-meda e con la milano-lecco, con il mega autogrill in mezzo ed il centro logistico e manutenzione di tutta la grande opera viaria che dovrebbe sorgere proprio nei pressi della discarica abusiva e tossica di via Molinara (35 campi da S. Siro per 15 metri di profondità di Cromo esavalente, Cadmio, metalli pesanti, amianto, rifiuti radioattivi, liquami industriali,...).
Senza contare che per la costruzione dell'autostrada si vorrebbe scavare nei terreni contaminati dalla diossina di Seveso, che per l'omonima direttiva europea (che ha fatto giursprudenza in 27 stati, proprio a partire dalla tragedia dell'Icmesa del '76).
La portata del disastro che sta per arrivarci addosso è dello stesso calibro della Val Susa o del Parco del Vesuvio e la risposta popolare non può essere solo quella dei comitati che propongono migliorie ai singoli svincoli, interramenti piuttosto che ridimensionamenti, compensazioni ambientali e green way. Il percoso dei ricorsi al TAR, alla Corte dei Conti e le battaglie nelle sedi istituzionali sono il minimo sindacale.
Queste pratiche burocratiche, non bastano a scongiurare la devastazione totale, finale, definitiva di un territorio che già ha le densità costruite ed abitative più alte d'europa, bensì potranno solo rallentarne l'iter e dare qualche contentino alla popolazione. Se si vuole incidere in maniera sostanziale però le vie da peseguire sono quelle dell'autorganizzazione, dei presidi nei terreni espropriati, del blocco delle betoniere e delle ruspe che presto inizieranno le cantierizzazioni e delle manifestazioni di dissenso presso le sedi istituzionali coinvolte. Oltre vent'anni di tavoli di contrattazione non hanno portato a nulla se non un grande dispiego di energie per i comitati.
E' giunto il momento di scegliere se sostenere un modello di sviluppo che fonda i pilastri nella distruzione, nella contaminazione e nella corruzione, oppure ottenere in maniera accorata la moratoria totale di ogni costruzione, di ogni edificazione; lo stop al consumo del territorio ed all'utilizzo dei materiali cementizi dato che oggi esistono le alternative tecnologiche meno costose, non monopolizzabili, più sicure e soprattutto che permettono il risparmio e l'autosufficienza energetica nell'abitare e nella mobilità. Scelte come questa incidono per i prossimi 30-40 anni, proprio come per la questione inceneritore, si tratta di scelleratezze che vanno fermate ora o mai più.
Perciò, per tutti quelli che hanno già deciso da che parte della barricata stare, gli appuntamenti sono i seguenti:

MARTEDì 6 DICEMBRE h21:30 Piazza Woytila (davanti al comune di Desio) per l'assemblea con i comitati contro le grandi opere che era in programma al Presidio Permanente, ora sgomberato. Per conoscere le situazione nelle altre realtà e per riorganizzare la lotta e rilanciare le iniziative a livello locale - per chi viene da fuori con i mezzi pubblici concentramento alle 21 in stazione a Desio (tratta treno S11 Milano Porta Garibaldi - Chiasso).
GIOVEDì 8 DICEMBRE h 21 FESTA dell' Imma(tri)-COLATA Conce'NDRAzione, anche se non ci sarebbe nulla da festeggiare ci si trova per un appuntamento musicale e mangereggio, sarà una festa della Madonna, non mancate!
L'iniziativa su un'area interessata dalla speculazione che, una volta decisa insieme, sarà comunicata in seguito attraverso risposta alla mail ppcontropedemontana@gmail.com o chiamando il giorno stesso dell'evento il 333 3802578
SARA' DURA !!!

NO PED: adesbastaneh.blogspot.com


milano: una nuova casa per il Presidio Permanente Martesana
A distanza di pochi mesi dalla fine dell'esperienza presso cascina Pagnana, il Presidio Permanente Martesana ha trovato una nuova casa.
Giovedì 8 Dicembre inizierà l'autocostruzione del nuovo presidio direttamente sul tracciato della TEM (Tangenziale Est Esterna Milano) nel territorio di Pessano con Bornago.
Ogni contributo alla costruzione del presidio è benvenuto.
Vi aspettiamo a partire dalle 10 del mattino presso Cascina Bragosa (il link per trovarci è: http://g.co/maps/fp8zv).
In questi ultimi mesi abbiamo riflettuto molto su dove ricollocare il presidio e la scelta è caduta su Cascina Bragosa innanzitutto per la sua facile raggiungibilità: si arriva tramite una strada interamente asfaltata che si dirama da una delle provinciali più importanti che intersecano la Cerca. Inoltre abbiamo deciso di collocarci direttamente sull'ipotetico tracciato di TEM per poter poter più facilmente concretizzare la nostra lotta in una resistenza attiva contro l'eventuale cantierizzazione della nostra terra. Un altro fattore rilevante nel scegliere il terreno è stata la vicinanza a due attività produttive che verranno spazzate via nel caso venisse realizzata questa nefasta autostrada: una azienda metalmeccanica e un allevamento di rapaci. Attività che verranno spazzate via dallo “sviluppo” progettato da Formigoni per la Martesana.
La scelta difficile ed onerosa di presidiare il nostro territorio nasce dalla ferma volontà di combattere con ogni mezzo tutti gli attacchi speculativi che vorrebbero trasformare la nostra terra e le nostre vite in un deserto di asfalto e cemento, dove nulla può sopravvivere se non le loro economie immateriali costruite attorno a del fittizio denaro digitale.
Il Presidio Permanente Martesana non vuole però essere semplicemente un comitato di lotta alla TEM: la nostra precedente esperienza di “presidianti” e i sempre più fitti contatti con le realtà agricole e produttive della zona hanno confermato la consapevolezza che proprio a partire da queste piccole “comunità in lotta” è possibile costruire metodi di produzione/consumo antagonisti rispetto al sistema di sfruttamento oggi dominante. Proprio per questo è nostra intenzione dare il nostro contributo alle lotte territoriali che stanno nascendo in tutta la provincia di Milano (Presidio Permanente No-Pedemontana, No-Toem, Interramento Rho-Monza, ecc.), così come a tutte quelle realtà che nella Martesana stanno lottando per una crescita sociale reale, contro le logiche di svendita e devastazione che così profondamente permeano i PGT e le giunte delle nostre amministrazioni comunali.
Inoltre domani mattina ci sarà una conferenza all'hotel For You di Cernusco Sul Naviglio (Via Mazzini 3, http://g.co/maps/dgan2) dove Duilio Allegrini (dir. generale BreBeMi), Luciano Minotti (dir. tecnico TEM) e Raffaele Cattaneo (assessore regione Lombardia alla mobilità) parleranno di come accelerare la costruzione di TEM. Purtroppo non saranno presenti, come precedentemente annunciato dalla Gazzetta della Martesana, Terragni e Bettoni, ma noi ci saremo ugualmente per far pesare la nostra contrarietà al progetto.
I punti di ritrovo saranno due: direttamente nel parcheggio dell'albergo e presso la fermata di Villa Fiorita entrambi alle 8,30 di mattina.

5 dicembre 2011
presidiomartesana@gmail.com


Sulla lotta ai magazzini Esselunga di Pioltello (mi)
Domenica 27 novembre. Il secondo giorno di sciopero si conclude con un'aggressione squadrista guidata dal presidente del Consorzio Safra in persona (il sig. Longo, già noto per aver subito una gambizzazione qualche anno fa) e da uno dei capi-reparto del magazzino salumeria (il sig. Bosso, le cui dimissioni fanno parte della piattaforma di lotta). All'azione hanno partecipato una cinquantina di operai, fra cui una quindicina di crumiri provenienti da altri luoghi di lavoro e reclutati dopo che, all'una di pomeriggio, un'analoga operazione era stata sventata da rapporti numerici chiaramente sfavorevoli al Consorzio. Verso le 16,30, invece, il plotone di crumiri avanza deciso, cordonato e compatto verso il presidio e la sua testa va direttamente allo scontro fisico con gli scioperanti.
Dopo un mese di mobilitazione permanente, dopo due giorni di sciopero che hanno preso di mira il reparti del "fresco" mostrando la possibilità di colpire profondamente gli interessi economici aziendali, alla vigilia dell'inizio del procedimento per discriminazione nei confronti dei delegati licenziati, i dirigenti Safra perdono la testa e cercano di far leva sui rimasugli di crumiraggio che gli sono rimasti pur di mostrare a Esselunga di avere ancora in pugno la situazione.

Venerdì 2 dicembre. Come era facile prevedere stanno giungendo molte contestazioni disciplinari per gli episodi di domenica scorsa. Si tratta di sospensioni cautelative per tutti gli scioperanti, accusati indistintamente di violenze contro i propri colleghi. Da notare che le lettere sono state spedite anche a coloro che sono già stati licenziati, probabilmente per rincarare la dose nel momento in cui andranno in tribunale per le vertenze legali contro i licenziamenti. Parallelamente sappiamo che il resp. della sicurezza per Esselunga, Massimo Cupillo, ex-consigliere del centro sinistra a Pioltello (Italia dei Valori) ha sporto denuncia contro 4 dei delegati di salumeria licenziati a novembre, per ingiurie e minacce.
Non c'è alcun dubbio sul contenuto della linea voluta da Caprotti e attuata dai suoi servi prezzolati del consorzio Safra: fuori il sindacato dai magazzini di Pioltello! Nella stessa direzione vanno i provvedimenti di riduzione dell'appalto a Safra e l'ampliamento per altre cooperative presenti nei magazzini, come Cogese e Rad. Si vogliono coprire le spalle e, allo stesso tempo, far gravare una minaccia sui lavoratori fomentando il crumiraggio e la divisione. La manifestazione in programma per il 10 dicembre acquista sempre più peso e significato e, dalle prime avvisaglie davanti ai cancelli, sembrerebbe raccolgiere parecchi consensi fra gli operai; e non solo all'interno del consorzio Safra.

Sabato, 10 dicembre. La migliore delle risposte possibili! Questo il commento unanime dei 22 licenziati e di tutti coloro che in questi due mesi hanno messo in piedi, animato e difeso politcamente il presidio permanente di Pioltello.
Circa 1.000 persone infatti hanno preso parte ad un corteo che partito dai cancelli di Esselunga con 250 persone, dietro allo striscione unitario che denunciava lo sfruttamento e il caporalato, e rivendicava il ritiro dei licenziamenti politici, si è via via ingrossato passando alla stazione F.S., con il sopraggiungere delle delegazioni da fuori Milano (da segnalare in particolare la nutrita presenza di torinesi e padovani), dalle altre cooperative dell'hinterland, e con l'ingresso in corteo di decine di immigrati quartiere "Satellite" in cui vivono gran parte dei lavoratori dell'Esselunga e di altre cooperative della zona.
Finalmente una manifestazione operaia e popolare, comunicativa nelle forme, coinvolgente, determinata nei contenuti, e soprattutto nella prospettiva, con l'intenzione chiara cioè di battersi ancora e sempre di più, tanto davanti ai cancelli di Esselunga, quanto, più in generale contro i padroni e i loro piani di sfruttamento.
Un corteo genuino e convincente che si è fatto volano per unire ulteriori forze capaci di aumentare la pressione su Caprotti e soci (sia interna che esterna ai cancelli), ma anche per estendere e rafforzare i legami con altre situazioni, con lavoratori di altre cooperative e altre fabbriche in lotta, come la Jabil da cinque mesi in picchetto davanti ai propri cancelli contro 325 licenziamenti, e più in generale con il territorio.
Il corteo si è concluso dopo circa quattro ore di marcia con una folta assemblea davanti ai cancelli do Esselunga.

Domenica 11 dicembre. Dopo la piena riuscita del corteo di sabato pomeriggio, il presidio permanente aveva deciso un ulteriore immediato appuntamento di lotta, organizzando, per la domenica sera, uno sciopero nel reparto "drogheria". Tramite un tam-tam dell'ultimissima ora quasi un centinaio di compagni/e si sono uniti agli operai e a partire dalle 23, hanno dato vita all'ennesimo sciopero con picchetto. Il picchetto si è svolto, come al solito, davanti ad uno schieramento crescente di polizia e carabinieri.
Nonostante serpeggiassero le solite paure di essere eventualmente licenziati, o lasciati a casa per diversi giorni nella logica del lavoro a chiamata tipica di ogni sistema di caporalato, nessuno degli operai dava segni di voler provocare, né tantomeno sfondare il picchetto. Si formavano piuttosto molteplici capannelli in cui si discuteva della piattaforma di lotta proposta dal SI.Cobas fra denunce di su ritmi massacranti e di ammanchi sulle buste paga (un esempio fra tutti: un conteggio specifico di un operaio Safra ha dato come responso l'ammanco di 33.500€ negli ultimi 5 anni).
Fallito quindi il tentativo di riprodurre la situazione del 27 novembre davanti ai cancelli di "salumeria", nonostante decine di telefonate dei vari caporali che cercavano di esortare gli operai a ripetere un attacco crumiro, un nutrito drappello di polizia e carabinieri si è fatto largo tra i partecipanti al presidio, è riuscito a circondare, un gruppo di circa 25 persone - di cui non più di 5 aveva manifestato interesse esplicito ad entrare - e disponendosi a cuneo si sono gettati a passo spedito contro il picchetto per portare dentro questi operai. Responsabilmente si è deciso di non accettare lo scontro frontale con le forze dell'ordine (nonostante qualche gratuita manganellata sferrata da qualche carabiniere particolarmente nervoso) e alla fine la maggioranza dei lavoratori di Safra ed Alma rimaneva fuori dai cancelli e, complessivamente, solo il 40% degli operai (quasi tutti della Rad) sono entrati a lavorare
Pur considerando che l'intervento di polizia e carabinieri, ha impedito il blocco totale delle attività, l'assemblea notturna conclusiva ha valutato che l'iniziativa di stanotte (che comunque ha messo in seria difficoltà l'organizzazione del lavoro interna), collegata all'ottimo risultato politico di sabato, detta condizioni favorevoli per continuare con la lotta contrastando puntualmente l'arroganza e la prepotenza con cui gli apparati economici-politici e militari stanno cercando di piegare i lavoratori e di costringerli alla resa.
La miglior risposta quindi, ancora una volta, è quello di organizzare un fitto calendario di lotta e di presenza ai cancelli per le prossime 2 settimane:
- Venerdi 16 dicembre: manifestazione/presidio davanti ai cancelli dell'Esselunga di Pioltello per denunciare l'azione della questura a sostegno di Esselunga. Tutti le realtà solidali sono invitati alla presenza a partire dalle 21.
- Sabato 17 /domenica 18 dicembre: volantinaggi davanti alle diverse Esselunga italiane.
- Sabato 24 dicembre: Mobilitazione generale davanti al punto vendita di Pioltello.
Intorno a queste scadenze si svolgeranno altre iniziative quali l'organizzazione di un'assemblea nel quartiere "satellite" di Pioltello rivolta agli operai immigrati della zona, una presenza nelle varie assise del Comune di Pioltello per spingere ad uno schieramento più netto e consistente con la lotta e avanzare una serie di richieste concrete, la costruzione di iniziative unitarie con altre realtà lavorative del territorio metropolitano per creare un fronte comune a partire da lotte reali

Milano, dicembre 2011


FIAT POMIGLIANO, LANCIO NUOVA PANDA: TRE GIORNI DI MOBILITAZIONE DEI LAVORATORI
Solo 300 operai in fabbrica a sgobbare … piu’ di 1.000 giornalisti fuori a… “raccontare balle”. Un paradosso che ben si addice allo slogan di marchionne …”noi (lui) siamo quel che facciamo”… e lui “lo é”… a Napoli si chiamano magliari…
Il 13, 14 e 15 dicembre si svolge a Pomigliano la patinata kermesse con cui la Fiat spera di “rifarsi” l’immagine e mimetizzare il pesante processo di speculazione finanziaria, delocalizzazione impiantistica, deindustrializzazione, e parassitazione di finanziamenti pubblici, messo in atto da Marchionne e che già ha portato alla chiusura della Fiat di Termini Imerese, dell’Alfa di Arese e dell’Irisbus di Grottaminarda.
Siamo al paradosso che per lanciare il “nuovo” modello, la vecchia Panda blandamente riutilizzata, si mobilitano oltre 1.000 giornalisti ed i fabbrica lavorano oggi al montaggio appena 300 operai, con altri 200 tecnici tra capireparto, direttore di stabilimento, addetti al personale ed ingegneri vari… già ci sono 500 licenziati (messi in mobilità in questi mesi e mai rimpiazzati) e licenziamento per altri 3.000 lavoratori (in prevalenza operai) per l’impossibile risalita produttiva di un modello vecchio che non raggiungerà mai la iperbolica produzione di 280.000 vetture/anno millantata da Marchionne.
Non a caso lo stesso, proprio in questi giorni ha abbassato il “tiro” puntando a 220.000. In realtà i dati/vendita reali saranno ben al di sotto di tali numeri e considerato che per produrre una vettura Panda occorrono 3 operai a fronte dei 10 necessari a produrre un’Alfa Romeo, il calcolo è bell’è fatto.
Ma già Basta - da solo - l’infelice slogan coniato da Marchionne e megagalatticamente disegnato sulla facciata del centro direzionale della fabbrica (“noi siamo quello che facciamo”) con gli operai in effige (disegnati in pupazzi a rappresentare lo schema della Panda) per offendere tutti i lavoratori Fiat in Italia e nel mondo, equiparati da Marchionne - in preda ad incontrollabile lapsus freudiano - a macchine, a pezzi meccanici inerti da lui diretti ed assemblati! La Fiat ed i suoi cantori vogliono trasformare gli operai in merce per produrre merci… l’ultima volta ci provò il nazismo… con la fine che ha fatto!
Marchionne e Monti sono due facce della stessa medaglia: vogliono innalzare i profitti del capitale e i guadagni dei ricchi a discapito dei diritti dei diritti e dei salari dei lavoratori e della povera gente. Per questo da domani il sindacalismo di base si mobilita ai cancelli della fabbrica per contro-informare sui reali contenuti dei paralleli piani di Marchionne e di Monti e giovedì manifesterà a Napoli con tutte le organizzazioni sociali e politiche dalla parte dei lavoratori.

12 dicembre 2011
Slai cobas Fiat e terziarizzate – Pomigliano d’Arco


napoli: dal Movimento di Lotta per il Lavoro Banchi Nuovi
Stamattina alle 5 la Digos ha effettuato perquisizioni nelle case dei compagni più rappresentativi di tutti i movimenti precari Bros sia di Napoli che di Acerra. I compagni sono stati portati in questura o nei commissariati di zona dove gli è stato notificato il reato di associazione a delinquere finalizzata a turbare l’ordine pubblico, alla devastazione, all’incendio ed all’occupazione di uffici pubblici, ecc.. Al momento sono ancora trattenuti un paio di compagni mentre gli altri sono stati rilasciati. Nelle perquisizioni sono stati portati via computer, volantini e documenti inerenti la lotta ma anche documenti personali o di famiglia, come dichiarazioni dei redditi, documentazione bancaria ed atti notarili di componenti della famiglia estranei alla lotta.
Sono state perquisite anche le sedi del Centro sociale Banchi Nuovi in Via del Grande Archivio e del Centro Sociale “Carlo Giuliani” in Via Cesare Rosaroll. Durante lo svolgimento delle perquisizioni è stato impedito ai disoccupati di essere presenti.
Gli atti repressivi di stamattina sono la conseguenza dell’inchiesta avviata dal pool di magistrati che da oltre un anno indaga sulla lotta dei disoccupati per dimostrare teoremi senza fondamento.
Come al solito la magistratura esprime tutta la sua efficienza quando si tratta dei movimenti contro cui imbastire accuse infondate mentre i soggetti che ovunque, ma in particolare in questa regione, fanno clientele e gestiscono affari sporchi sulla pelle dei disoccupati e dei cittadini più in generale, continuano a dormire sonni tranquilli. L’accusa di associazione a delinquere, che rispediamo al mittente, andrebbe fatta a chi, colluso con la camorra, ha consentito gli scempi del territorio, da Chiaiano ad Acerra a Giugliano, e che si sta preparando a gestire altre nefandezze. Andrebbe usata contro chi sulla coscienza si porta i morti di Sarno o le tante morti bianche sul lavoro, frutto avvelenato di un mercato del lavoro che risponde solo alle regole dello sfruttamento.
Invece, ancora una volta, si è voluto colpire chi alza la testa e si organizza per rivendicare il proprio diritto al lavoro, con l’evidente obiettivo di sbarazzarsi di movimento che non si piega agli intrighi di palazzo e che può costituire un esempio per quanti provano a difendersi dagli attacchi di padroni e governo.
Chi saranno i prossimi? I lavoratori che lottano per avere lo stipendio? Gli operai che difendono il posto di lavoro?
Non saranno accuse così vergognose che fermeranno la lotta dei precari Bros. Continueremo a lottare alla luce del sole e con la determinazione necessaria fino a quando non avremo le risposte al nostro bisogno di lavoro e di salario.

16 novembre 2011
Movimento di lotta Banchi Nuovi


MARCHIONNE, MONTI… I SACRIFICI FATELI VOI!
Napoli, 15 dicembre: manifestazione
Se qualcuno si stava ancora domandando dove volesse arrivare il neo-governo Monti, un governo non eletto e espressione dei poteri forti italiani e internazionali, sostenuto da tutte o quasi le forze parlamentari, le prime uscite pubbliche ci hanno subito indicato la via: tagli al welfare, attacco feroce alle pensioni e al salario, maggiore libertà di licenziare e maggiore precarietà. Insomma, sacrifici, sacrifici, sacrifici… Proprio mentre si spendono altri 25 miliardi di euro in nuovi armamenti militari (circa due terzi della manovra) per nuove aggressioni come quella alla Libia! Ma allora sacrifici per chi? È fin troppo scontata la risposta: per la stragrande maggioranza della popolazione: studenti, lavoratori, precari, disoccupati, subalterni e “ceti medi” impoveriti, a cui il nuovo Governo dice “per uscire da questa crisi vi estorceremo denaro e diritti ma sarà per il vostro bene...” !
Risolviamo subito il dubbio: il governo cura solo l'interesse dei padroni, del capitale e della grande speculazione finanziaria di cui Monti è un importante tecnocrate!
In una situazione del genere, con nuove manovre "lacrime e sangue" dopo la macelleria sociale del governo Berlusconi, in Campania si celebra un "evento"… In pompa magna e con la benedizione delle istituzioni locali, arrivano a Pomigliano d’Arco e a Napoli addirittura l’amministratore delegato del gruppo FIAT, Sergio Marchionne e Lapo Elkann, per la presentazione della nuova Panda.
Ma cosa si festeggia "veramente"!? Forse le sorti delle 2300 famiglie degli operai di Pomigliano che non torneranno a lavorare? Oppure le condizioni peggiori in cui si troverà chi è rientrato in fabbrica?
Con il feroce ricatto di Pomigliano ("O un contratto umiliante o restate disoccupati...") Marchionne è diventato il simbolo di chi vuole distruggere definitivamente il contratto collettivo nazionale del lavoro, l'articolo 18, la democrazia dei lavoratori... Dopo aver speculato per decenni sul finanziamento pubblico la Fiat diventa ancora una volta il partito di chi sfrutta la crisi per cancellare i diritti conquistati in decenni di lotte sociali.
E' tempo di non restare in silenzio! Viviamo nella regione coi più alto tasso di disoccupazione e di precarietà. Migliaia di posti di lavoro sono a rischio, le lotte sociali non hanno risposte, i giovani non hanno reddito, stanno cancellando il diritto allo studio, gli ospedali e il trasporto pubblico... E tutti questi assurdi sacrifici non faranno che alimentare la crisi e la speculazione.
Non ci facciamo ricattare, non abbiamo niente da perdere!
E' tempo invece di rispondere e difendere il nostro comune futuro:
- Contro i "sacrifici" e il governo dell'1% della popolazione. Non pagheremo noi i vostri debiti e la vostra crisi!
- Contro il crescente autoritarismo, le forme di fascismo strisciante e la repressione sui luoghi di lavoro, nelle scuole, verso le lotte sociali, gli immigrati, gli attivisti antirazzisti e antifascisti.
- Contro la precarietà, i tagli al welfare, alla scuola e alle pensioni. E' il momento invece di conquistare nuovi diritti!
- Contro le spese militari e le nuove guerre che si vanno preparando alla Siria e all’Iran
- Per costruire uno Sciopero Generale e Generalizzato! Per assediare i palazzi del potere!

13-14-15 partecipiamo ai presidi dei lavoratori FIAT ai cancelli dello stabilimento di Pomigliano (app. mercoledi ore 9.00 stazione centrale di Napoli)
GIOVEDI 15 dicembre - Manifestazione “NO Marchionne - NO Monti DAY”! – Napoli, piazza del gesù - ore 10.00

Promuovono: Centro sociale Officina99, Lab. Occ. Ska, Cobas, Slai/Cobas, Unione Sindacale di Base, Collettivo Autorganizzato Universitario, Studenti FedericoII, Studenti Autorganizzati Campani, Zona di Esperienze ribelli Z.E.R.0 8 1, Collettivo Architettura Break out, Clash City Workers, Coordinamento II Policlinico, Collettivo femminista Degeneri, Laboratorio Politico Iskra, Coordinamento di lotta per il Lavoro, Banchi Nuovi, Movimento Precari Bros, Rete dei Comunisti, Sinistra Critica, Comunisti di Ponticelli, Red Link, Area antagonista campana, Prc, Carc, Sll, Collettivo operatori sociali, Coordinamento Precari scuola, Collettivo Sun Napoli, Laboratorio Occ. Insurgencia
Per altre adesioni: noausterity@gmail.com