indice n.64

intervista ad un attivista del movimento egiziano (prima parte)
Libia: contrasti sulle milizie
Libia: la guerra perfetta
Siria, tessera ingombrante per il puzzle americano
Massacro in Kazachistan
cronache dai c.i.e.
Un pacchetto a scoppio ritardato
una proposta dal carcere di Ferrara
usa: Mumia Abu-Jamal è in carcere da 30 anni
Lettere dal carcere di Carinola (ce)
Fuori i fascisti da Firenze!
cremona: FUORI I FASCISTI DALLA CITTà
CORTEO ANTIFASCISTA A CUNEO
Lettera dal carcere Pagliarelli di Palermo
lettera dal carcere di torino
Lettera dal carcere di S. Gimignano
lettera dal carcere di porto azzurro (li)
Lettera dal carcere di Iglesias (ci)
lettera dal carcere di gardolo (tn)
Lettera dal cacere di Opera (mi)
sul presidio attorno a S. Vittore
capodanno fuori dal carcere di monza
Lettere dal carcere di Imperia
lettera dal Carcere di Ivrea
SULLE ULTIME MOBILITAZIONI IN VAL SUSA
Tav e militari: Chiomonte, territorio dell’Afghanistan
Tav Genova/Tortona: miliardi e denunce
Volantino dei lavoratori licenziati dei treni notte
milano: Nasce il comitato NO TEM di Comazzo
Mezza Alfa Romeo venduta alla speculazione
napoli: scarcerati due compagni
milano: OCCUPAti GLI UFFICI DELLA CARLO COLOMBO SPA
In arrivo liberalizzazioni, privatizzazioni, attacco ai contratti nazionali
Sulla lotta all'Esselunga di Pioltello (mi)




intervista ad un attivista del movimento egiziano (prima parte)
Durante un'operazione dell'esercito compiuta nel fine settimana scorso, 17 e 18 dicembre, contro i dimostranti di piazza Tahrir a Il Cairo, capitale dell'Egitto, sono state uccise almeno dieci persone e oltre 500 sono state ferite. Nelle immagini postate su Internet si può vedere, in particolare, l'aggressione di otto militari ad una ragazza caduta, presa a calci, ridotta a materasso su cui sono saltati sopra la schiena e il petto a due piedi. Fra i morti c'è anche il noto predicatore Imad Effat e sua moglie. Sabato al loro funerale la gente gridava "Basta con la dittatura dell'esercito".
Il fattore scatenante della protesta è stato determinato dall'intervento violento dell'esercito compiuto venerdì 16 contro un presidio pacifico attuato davanti al parlamento da centinaia di persone. L'esercito ha motivato l'assalto, anche per bocca del presidente del consiglio nominato dal Consiglio delle forze armate (il vero detentore del potere in Egitto), Kamal Al-Ganzouri, come risposta alle azioni dei manifestanti, che avrebbero causato il ferimento di 30 soldati.
Al-Ganzouri, 78 anni, chiamato 15 anni fa da Mubarak alla presidenza del consiglio per imporre i piani del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, è contestatissimo; piazza Tahrir lo vuole cacciare assieme al Consiglio delle forze armate. Non li riconosce in nessun caso, tanto meno come rappresentanti della rivoluzione che ha fatto cadere Mubarak. Anzi, nei militari, i manifestanti vedono una continuità con il vecchio regime; questa vogliono abbattere. Del resto, il maresciallo posto al comando del Consiglio dei militari, Hussein Tantawi, nell'epoca Mubarak è stato per decenni ministro della difesa. Nelle ore successive alla nomina di Al-Ganzouri, avvenuta il 24 novembre scorso, la gente scese in strada, esprimendo con decisione il proprio rifiuto. In quelle manifestazioni rimasero uccisi almeno 42 manifestanti. Ora l'accesso a piazza Tahrir, tra recinzioni di filo spinato e innalzamento di blocchi di cemento armato, è divenuto quasi impossibile.
Segue la prima parte di un’intervista ad Hossam El-Hamalawy, attivista del movimento egiziano, la seconda parte verrà pubblicata sul prossimo numero dell’opuscolo

***
Le prime elezioni parlamentari dell'era post-Mubarak sono state organizzate in un contesto di scontri cruenti tra le forze di sicurezza di stato e i manifestanti in piazza Tahrir e nelle sue vicinanze, che hanno provocato almeno 42 morti e oltre 3000 feriti. Cosa ha provocato quest'ultimo scoppio di violenza? Pensi che questa situazione abbia messo in discussione la legittimità delle elezioni?
Le cause scatenanti di questa sollevazione sono le stesse dell'insurrezione di gennaio. Non è cambiato un gran che in questi nove mesi, quindi le ragioni obiettive della rivolta erano tutt'ora presenti, quello che mancava era la causa scatenante, qualcosa che avrebbe dato di nuovo fuoco alle polveri. Era già successo in passato. Non era la prima volta che avvenivano scontri di questo genere. Era già successo il 28 e 29 giugno, e la causa scatenante è sempre la brutalità della polizia - una brutalità che non è destinata a finire poiché il ministro dell'interno è sempre lo stesso e anche il regime è sempre in piedi. Questa sollevazione non è destinata a durare per sempre e sta scemando in questo momento, ma credo che non sarà l'ultima. In futuro ci saranno molte altre sollevazioni.
Se ha messo in discussione la legittimità delle elezioni? Certamente. Già prima dell'attuale sollevazione avevo preso la posizione di boicottare le prossime elezioni perchè hanno luogo mentre il supremo consiglio delle forze armate (SCAF) è ancora al potere. Non si possono avere elezioni regolari mentre i generali di Mubarak stanno conducendo la danza o mentre l'esercito, assieme alla polizia, ha appena massacrato la gente a Tahrir e al Maspero [Si riferisce al massacro dei Copti avvenuto davanti al Maspero, che è la sede della tv di stato]. Non erano già prima ritenuti responsabili, e ora dovrebbero essere quelli che hanno la supervisione dell'intero processo elettorale?
E soprattutto la questione non è chi voterai in questo parlamento senza potere. La mia opinione era che anche se fossero votati in parlamento il cento per cento di appartenenti ai Revolutionary Socialists (lasciando stare i Fratelli Mussulmani o i Salafiti) non si sarebbe ugualmente in grado di raggiungere gli obiettivi della rivoluzione. Anche se in Egitto diventasse primo ministro un santo o un profeta, sarebbe sempre un burattino nelle mani dello SCAF. Se si eleggesse oggi un presidente, mentre la situazione è quella di oggi, anche lui sarebbe un burattino nelle mani dello SCAF. Lo SCAF sta optando per un modello simile al vecchio modello turco, dove la gente può votare, eleggere politici in abiti civili e avere ministeri retti da civili, ma con specifiche linee rosse che non possono essere oltrepassate: una volta oltrepassate, arriva una telefonata dall'esercito oppure un colpo di stato.
Diversamente da altri attivisti che ti direbbero che lo SCAF non lascerà mai il potere, e che vuole restare sempre là dov'è ora, sinceramente credo che loro vogliono lasciare il governo, vogliono tornare alle loro caserme, in modo da conservare i loro privilegi, la loro immunità e il controllo sul bilancio dell'esercito per essere sicuri che non diminuirà. Perchè dovresti darti da fare mandando avanti l'amministrazione quotidiana del paese, quando puoi avere i tuoi burattini che lo fanno per te e tu mantieni tutti i tuoi privilegi? Quindi, chi in questo momento più desidera le elezioni è proprio lo SCAF! Diversamente da altre teorie complottiste che ti diranno che lo SCAF ha istigato questa violenza per posporle, io ti dico: no, loro le vogliono queste elezioni!

Sono stati fatti molti paragoni tra quest'ultima sollevazione e quella del 25 Gennaio. Quali sono le differenze e le somiglianze più significative tra allora e ora?
Nei primi uno o due giorni di questa sollevazione pensavo si potesse tranquillamente tracciare un parallelo con il 28/29 giugno, ma il terzo giorno, il riferimento giusto era diventato gennaio. Il livello di scontro con la polizia non è mai stato così acuto da allora. Si possono fare paralleli in termini di brutalità della polizia che hanno provocato la sollevazione, in termini addirittura di ripetizione delle stesse battaglie a Mohamad Mahmud Street, [sede del ministero degli interni] che ricordano molto da vicino quelle del 29 gennaio, il giorno dopo il "Venerdì della rabbia": in quella strada c'è stato un vero massacro. Ma ci sono anche delle differenze, naturalmente. Non tutti i settori della popolazione hanno preso parte alla sollevazione, come a gennaio, in cui il livello di partecipazione è stato più alto.
L'altra differenza qualitativa è che allora l'obiettivo era la caduta di Mubarak, e ora sono i suoi stessi generali dell'esercito. Questo significa che abbiamo fatto dei grossi passi avanti. In febbraio o marzo, se tu avessi gridato slogan contro i generali dell'esercito saresti stato linciato dalla gente, non dalla polizia militare, dico proprio dalla gente. Molti credevano alle bugie e alla propaganda dell'esercito allora, sul fatto che avrebbero protetto la rivoluzione, o che era Tahrir che stava causando tutta quella instabilità, ma dieci mesi più tardi, quando hai questa sollevazione su larga scala contro i militari e una forte occupazione che è durata alcuni giorni con l'unico obiettivo di mettere in galera i generali dell'esercito, allora capisci che si sono fatti dei grossi passi avanti in termini di coscienza popolare. La sollevazione non ha avuto successo, ovviamente, abbiamo ancora i generali al governo del paese. Ma con la prossima sollevazione non sarà così, e avremo almeno, direi, dai 3 ai 6 anni di flussi e di riflussi, di battaglie da vincere e da perdere. Ma in generale, sono ottimista e non pessimista su questo.

L'esercito egiziano, capeggiato dallo Scaf, è stata un'istituzione centrale del paese per molti decenni. Come descriveresti il ruolo dell'esercito nella vita politica, economica e sociale dell'Egitto, e qual'è la base storica della profondità del consenso di cui ancora gode presso l'egiziano medio?
La diceria che l'esercito sia l'istituzione più popolare in Egitto è una fandonia. Da cosa si può dedurre? Quando è il momento della chiamata al servizio militare, trovi forse centinaia di migliaia di giovani egiziani che corrono ad arruolarsi? No, tutti cercano di svignarsela ed evitare il servizio militare: è un metro di misura, questo: quando è il momento della chiamata alla leva, qual'è il comportamento degli egiziani?
L'esercito è stato l'istituzione al governo di questo paese dal 1952. Tutti i presidenti provengono dall'ambiente militare. Anche molti dei ministri hanno la stessa provenienza, come pure molti governatori. La presidenza di molti consigli di amministrazione pubblici va ad alti gradi militari in pensione. L'esercito pervade quindi anche la vita civile. Controllano dal 25 al 40 per cento della nostra economia. Non ci sono statistiche accurate su questo aspetto perchè c'è una spessa cortina di ferro che i militari hanno teso nei decenni passati per occultare le loro attività. Lo Scaf riceve 1.3 miliardi di dollari ogni anno dai contribuenti americani, e sono il maggiore destinatario degli aiuti USA all'estero dopo Israele.
Alcuni egiziani, o per meglio dire vasti strati della popolazione egiziana, hanno sostenuto l'esercito in febbraio, marzo e aprile, fino all'estate, e per diverse ragioni: alcuni credevano alla menzogna che avrebbero protetto la rivoluzione. Altri si sentivano insicuri: mettiti nei panni dell'egiziano medio che non ha posizioni ideologiche e vuole mandare avanti la sua vita quotidiana, e improvvisamente tutto gli crolla intorno, e non c'è un'alternativa chiara. Per molti egiziani l'esercito, come diceva la propaganda, era l'unica istituzione stabile in Egitto: se crolla l'esercito, Israele invaderà l'Egitto o l'Egitto stesso crollerà. In effetti, l'esercito sta giocando la stessa carta del caos utilizzata da Mubarak, che diceva che se se ne fosse andato, sarebbe prevalso il caos. E in fin dei conti la gente era esausta, tutti erano esausti nel senso letterale del termine. Nella sollevazione che avevamo intrapreso, durata 18 giorni, nella quale così tante persone erano morte, era defatigante tenere la piazza e tutte le altre piazze organizzate del movimento. Tutti avevano bisogno di tirare il fiato. Anche a questo si deve il consenso che la popolazione ha dato all'esercito.
Ora, è evidente che l'esercito non difendeva la rivoluzione. L'esercito non ha sparato sui manifestanti in piazza Tahrir e nelle altre piazze per una sola ragione. Ci sono due eserciti: c'è l'esercito dei generali e l'esercito dei poveri coscritti e dei giovani ufficiali che condividono le stesse difficoltà e ristrettezze di tutti gli altri egiziani. I generali sapevano benissimo che se avessero dato l'ordine di bombardarci a Tahrir, l'esercito si sarebbe disfatto: ci sarebbe stato un ammutinamento o un rifiuto di obbedire agli ordini. Così speravano di poter restare a guardare, essere neutrali, e che i teppisti ci avrebbero fatti fuori, come con la "battaglia dei cammelli". Nei mesi passati hanno sicuramente perso credito. Gli egiziani non sono stupidi! Si, posso aver sostenuto l'esercito oggi, ma se vedo che non lasciano il potere e vedo che la mia situazione non è affatto migliorata, anzi è peggio di prima della rivoluzione, ne resto disilluso. Insomma quello che vorrei dire è che ora siamo in una posizione molto più avanzata rispetto a febbraio per quel che riguarda la coscienza popolare.

Il partito Freedom and Justice (Libertà e giustizia) dei Fratelli Mussulmani è dato per vincitore nelle prossime elezioni, con un margine ancora superiore di quanto previsto inizialmente, visto che molta gente ha deciso di astenersi o di boicottare il voto. Qual'è il ruolo attuale dei FM, e il che cosa esso si differenzia rispetto a gennaio e febbraio?
E' esattamente lo stesso di allora. Ricordati che la dirigenza dei FM non ha affatto appoggiato l'insurrezione nei primi tre giorni. L'hanno sostenuta solo a partire dal "venerdì della rabbia" il 28 gennaio, quando è stato chiaro che comunque la sollevazione era in atto indipendentemente dal loro appoggio. Ma la loro ala giovanile ha partecipato alle manifestazioni dal primo giorno, o almeno un settore di essi, e il loro comportamento a Tahrir e nelle altre piazze non è stato diverso da oggi. Hanno avuto un comportamento eroico negli scontri con la polizia, e nella difesa della piazza, e hanno avuto molti martiri. La leadership invece ha sempre cercato il compromesso, durante tutti i 18 giorni.
Dall'11 febbraio, con la caduta di Mubarak, la loro leadership non ha appoggiato nessuna delle manifestazioni di protesta che si sono susseguite, a parte tre: quella che festeggiava la caduta di Mubarak, dopo una settimana; quella del 29 luglio e quest'ultima il 18 novembre. Queste sono state le uniche tre manifestazioni di massa che i FM hanno appoggiato. Ma i giovani hanno preso parte alle nostre proteste, e c'è gente che, delusa, dà le dimissioni. Così, anche se la leadership è conservatrice e a volte anche controrivoluzionaria, i loro giovani sono diversi. E, e questa è una cosa su cui io e altri della sinistra laica siamo pronti a scommettere, con il procedere della radicalizzazione, ci saranno altre spaccature all'interno dei FM e di altri gruppi religiosi.

Gli egiziani sono spesso rappresentati come presi tra l'incudine degli islamisti da un lato e il martello del governo militare dello Scaf dall'altro, come se queste fossero le due sole opzioni possibili in Egitto. Che ruolo pensi possano svolgere i liberali, la classe operaia e i radicali in questa fase critica della rivoluzione?
Questo è lo stesso scenario che Mubarak cercava di presentare quando era al potere: o io o questi mostri con la barba: o io o il caos. Politicamente, se ci pensi rispetto alle elezioni, potrebbe essere anche così: o eleggi i rappresentanti del NDP o gli "islamisti". Ma, sto parlando adesso della politica sul campo, ci sono anche altre alternative. La sinistra rivoluzionaria è cresciuta, e di molto, da gennaio, come capacità di influenza e come presenza fisica sul terreno. Il nostro intervento nelle azioni di sciopero nelle fabbriche sta effettivamente diventando più maturo e più organizzato di prima. Durante questa sollevazione, dalla mia posizione di aderente ai Socialisti Rivoluzionari, posso dire che il mio gruppo ha avuto un ruolo più organizzato ed efficiente rispetto ai primi giorni della sollevazione di gennaio, quando siamo stati tutti colti di sorpresa. Questa volta il nostro intervento è stato molto più pronto e rapido.
Quanto ai liberali, è tutta un'altra storia. Sono divisi. C'e gente come Sawiris, il Rockfeller egiziano che era uno stretto alleato di Mubarak ed ora guida il Free Egyptian Party. Secondo un'infame intervista a Bloomberg che ha rilasciato l'estate scorsa, quando gli è stato chiesto perchè avesse fondato questo partito, ha risposto che l'aveva fatto a causa della predominanza delle idee socialiste tra i giovani - non ha parlato dei Salafiti o della Fratellanza. E' un uomo d'affari che conosce benissimo quali sono i suoi interessi. Ma c'è un problema con la terminologia, perchè molti di questi liberali, che parlano di se stessi come liberali, sono in effetti radicali di sinistra, ma non lo sanno, così come molti "sinistri", li considero liberali che non hanno niente a che fare con la sinistra.
Credo che le proteste di fabbrica che avranno luogo nei prossimi mesi saranno ancor più militanti di quelle dei mesi precedenti. Perchè? Perchè lo SCAF ha fatto in modo di innalzare le aspettative di uno strato della popolazione rispetto al futuro parlamento: ci avete detto di sospendere le proteste, di fermare gli scioperi, ci avete detto che Tahrir non andava bene; ci avete detto di aspettare questi mesi per avere un governo civile che avrebbe risolto miracolosamente i nostri problemi. OK, adesso abbiamo il nostro parlamento fatto di civili, e non può far niente! Questo darà il via ad una nuova ondata di azioni collettive e di scioperi operai.
10 dicembre 2011
da ciptagarelli.jimdo.com


Libia: contrasti sulle milizie
In Libia, il disarmo delle migliaia di "ribelli" per il governo di transizione sta trasformandosi in problema. Entro il 1° gennaio 2012 deve essere nominato il capo di stato maggiore, con il compito prioritario della ricostruzione delle forze armate. La nomina deve essere compiuta da un comitato di 25 ufficiali scelti dalle milizie.
Nel corso di un primo incontro avvenuto pochi giorni fa non è sembrato che i gruppi armati, fra i quali esistono contrasti, possano riuscire ad accordarsi sulla persona da nominare. Domenica 25 dicembre i ministri della difesa e della pianificazione hanno avanzato la proposta di inquadrare le milizie nel nuovo esercito e nella polizia. Chi non accetta questa soluzione potrebbe venir integrato in un programma di formazione per un'altra professione, oppure, aprire un'attività commerciale con l'aiuto dello stato.
Ad ogni modo, le brigate armate con l'aiuto dall'estero vogliono consegnare le loro armi pesanti solo dopo che lo stato ha preso realmente il controllo. Il governo di transizione ribatte che la sovranità dello stato c'è solo dopo il disarmo delle milizie. Anche la disposizione del governo di transizione diretta a tutte le unità, di lasciare Tripoli entro il 20 dicembre (2011), è stata ignorata dalla gran parte.
Non vogliamo essere impegnati soltanto nella difesa del paese, ha detto Fraj Al-Soueihli, rappresentante delle milizie. Si vuole essere partecipi dell'impostazione politica e della ricchezza del paese. Per sottolineare questa funzione, le milizie sin dalla caduta di Tripoli, tengono ferma in questa città l'occupazione di alcuni posti di comando centrali, fra cui gli aeroporti internazionali.
Come facente funzione di rappresentante di uno dei maggiori raggruppamenti delle milizie, la "Unione di rivoluzionari libici", Al-Soueihili, ha chiesto il 40% delle cariche del governo di transizione nazionale.
Sede dell' "Unione" è il porto di Misurata conquistato in una battaglia andata avanti per una settimana. Così, dice Al-Soueihili, per i combattenti questo luogo è il "simbolo della rivoluzione". Secondo informazioni diffuse da organizzazioni umanitarie i ribelli di Misurata sono responsabili di persecuzioni malvagie nei confronti di una popolazione libica seppur di pelle nera, la popolazione Tawergha. Questa popolazione, oggi in Libia formata da circa 10 mila persone, discende direttamente dagli schiavi portati in Libia nei secoli 18° e 19°; abita in una città della costa che porta il suo stesso nome, distante una quantina di km da Misurata. Gli abitanti di Misurata sostengono che le uccisioni e le violenze contro la popolazione nera sarebbero state determinate dai tentativi delle truppe Tawergha di spezzare la resistenza della città all'avanzata dell'esercito di Gheddafi - di cui esse erano parte. La brigata di Misurata, un'unione di ribelli, in settembre dette inizio ad una caccia omicida dei Tawergha, di cui distrussero e bruciarono le case, sostituirono cartelli stradali in cui Tawergha veniva chiamata "Nuova Misurata". Il reporter inglese Andrew Gilligan ha raccontato di essersi trovato in quei giorni in una città fantasma ed ha parlato di "pulizia etnica". […]
29 dicembre 2011
da www.jungewelt.de


Libia: la guerra perfetta
In Libia, secondo la versione ufficiale dell'alleanza occidentale, la NATO, c'è stata una guerra perfetta. Non un solo edificio "civile" ha subito dei danni per causa delle bombe e degli attacchi missilistici della NATO. Questa la dichiarazione pronunciata con orgoglio in novembre dal segretario dell'alleanza, Anders Fogh Rasmussen. "Noi abbiamo condotto questa operazione con scrupolo, senza perdite civili confermate". Il termine "confermate" è stato sottolineato: la NATO prende in considerazione esclusivamente le perdite "confermate", così fissate da essa stessa. Siccome l'alleanza non ha predisposto nessuna specie di inchiesta, nemmeno in futuro, secondo la versione ufficiale gli attacchi della NATO, in conclusione, non hanno causato vittime civili "confermate".
Questo nei giorni immediatamente successivi alla caduta di Gheddafi. Parecchie settimane dopo, lo stesso Rasmussen ha affermato che di fronte ad una quantità di rapporti chiari non si sentiva più sicuro dall'escludere che forse ci potrebbero essere stati degli infelici "danni collaterali". Esaminare e fissare è compito però esclusivo del governo "legittimo" della Libia, portato al potere proprio dall'occidente. Quel governo ovviamente non ha alcun interesse ad un'inchiesta del genere: esso stesso ha troppi cadaveri nell'armadio. Ed inoltre: per alcuni obiettivi civili, distrutti dalle bombe e dai missili della NATO, le coordinate e le descrizioni venivano fornite proprio dai ribelli.
La Russia non ci sta. Giovedì 22 dicembre l'ambasciatore russo all'ONU, Witali Tschurkin, ha rinnovato la richiesta di un'indagine, con mandato ONU, sulla guerra aerea in Libia. Una simile indagine è di grande significato "perché il capo della NATO dall'inizio ci ha voluto far credere che la campagna aerea dell'alleanza non avrebbe causato nessuna vittima civile". Tschurkin, in questo rapporto critica anche il segretario generale dell'ONU, Ban Ki Moon, poiché nelle sue dichiarazioni la NATO avrebbe completamente adempiuto al mandato impartito dall'ONU, cioè, di dare sicurezza alla popolazione civile libica.
Solo pochi giorni prima Oana Lungescu, portavoce della NATO, aveva ripetuto che l'alleanza non disponeva di alcun numero riguardo alle vittime civili. Fece questa dichiarazione in segno di risposta alla voluminosa documentazione apparsa sul New York Times (NYT) del 17 dicembre 2011. Reporter e collaboratori di quel giornale avevano condotto un'inchiesta, durata settimane, in 25 diverse località della Libia dove la popolazione civile aveva subito delle perdite in conseguenza dei bombardamenti aerei.
Riassumendo, i redattori dell'articolo avevano accertato che "in totale nelle località dove era stata condotta l'inchiesta erano state uccise dalla NATO senz'altro 40 persone civili e forse più di 70". Fra queste morti si contavano per lo meno 29 donne e bambini. Questi numeri, anche se soltanto si sommano i casi singoli raccontati dal NYT, sono certamente al ribasso. Soltanto nell'attacco aereo dell'8 agosto nella località Majer sono rimaste uccise almeno 35 persone, secondo una lista di nomi diffusa dal nuovo governo. Il governo libico di allora, aveva dichiarato che in quel caso erano morte 85 persone; in totale, fino al 13 luglio, riportava in quei giorni una pubblicazione del ministero della sanità libico, negli attacchi aerei NATO erano state uccise 1.108 persone mentre 4.500 erano rimaste ferite.
La redazione del NYT volutamente si è limitata a produrre la documentazione di un numero certo di civili morti. Questo modo di procedere metodico è assolutamente sensato, innanzitutto di fronte all'ignoranza voluta della NATO e dei governi occidentali.
Il giornale descrive, inoltre, parecchi casi in cui l'alleanza ha operato in maniera particolarmente infame: al primo attacco ne seguiva a distanza di pochi minuti un secondo indirizzato contro le persone accorse in aiuto. Il NYT menziona anche gli attacchi aerei sulle abitazioni private di militari e politici, in cui sono rimasti uccisi e feriti numerosi semplici familiari. Ufficialmente la NATO ha definito questi obiettivi come "centrali mimetizzate del comando". Di regola le indicazioni venivano fornite dai ribelli e dai disertori.

Il carattere della guerra in Libia elevato a modello
Il disinteresse aperto, assoluto e dichiarato dei militari occidentali, rispetto ad una dichiarazione sulle conseguenze dei loro attacchi aerei contro la Libia, è divenuto un punto di riferimento per il futuro. Con uguale freddezza sono state e sono condotte le operazioni in Irak e Afghanistan. Tuttavia in quei paesi la NATO ha pur sempre a che fare con governi e autorità certamente collocati in una condizione di dipendenza, ma pur sempre in grado di porre ai loro "protettori" questioni a partire da considerazioni riguardanti la politica interna.
Il falsare e l'ignorare apertamente l'esistenza delle vittime civili in Libia ha sicuramente a che fare con il fatto che questa guerra ha assunto il carattere di modello, che dunque deve essere riproducibile in qualsiasi momento, in un luogo idoneo e sotto presupposti appropriati. Con la propagazione di un "Responsibility to Protect" mondiale (senso di responsabilità verso il protetto), in pratica una sorta di carta bianca per gli interventi militari, in cui sono comprese le peggiori uccisioni di bambini e donne. I governi occidentali possono anche permettersi di tacere sulle conseguenze del loro attacco, perché la popolazione dei loro paesi non si confronta con queste questioni. I punti di vista etici oggi non giocano un ruolo rilevante nel discorso politico. Anche la sinistra finora non ha affrontato - almeno in modo serio - la questione della guerra e della pace non solo come tema assieme a tanti altri, bensì per dargli il posto centrale che riveste.
E' comunque da registrare il fatto che, l'intervento in Libia, conseguente alla politica estera occidentale, ha fatto cadere la disponibilità di Russia e Cina nel concedere nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU luce verde alle operazioni solitarie della NATO. Entrambi questi stati si oppongono ad una condanna della Siria, che potrebbe venir falsificata per legalizzare il prossimo intervento; e si muovono con prudenza anche sulla questione Iran. Nessuno si lascia tranquillamente trascinare dalla controparte. Nei circoli USA e NATO si sta senz'altro discutendo se, alla luce delle conseguenze accennate, sia valsa la pena dell'avventura in Libia.
D'altra parte deve essere ancora da dimostrare se l'irritazione di Mosca e Pechino è realmente espressione di un effetto persistente o soltanto un gioco diplomatico di breve durata. Del resto non è la prima volta che Russia e Cina vengono utilizzate e "abbindolate" dagli USA e dai loro alleati nel Consiglio di sicurezza dell'ONU. Questo è già essenzialmente accaduto durante e dopo la prima guerra in Irak (1991) e si è ripetuto prima della seconda guerra (2003) sempre in Irak. I due stati hanno già condiviso l'impostazione delle quattro sanzioni da applicare contro l'Iran, sebbene sin dall'inizio abbiano sottolineato, come l'esperienza insegna, che simili sanzioni non sono efficaci, bensì certamente controproducenti.

4 gennaio 2012
da www.jungewelt.de
Siria, tessera ingombrante per il puzzle americano
Intervista a Mohamed Hassan membro del Partito del Lavoro del Belgio
Quali sono le forze che vogliono un cambio di regime in Siria e perché?
Sono gli Stati Uniti, Israele e i regimi reazionari arabi del Golfo, in particolare l'Arabia Saudita e il Qatar. E anche i sunniti libanesi vogliono che il presidente sciita al-Assad se ne vada. Per loro, oggi la Siria è un ponte tra l'Iran, gli Hezbollah sciiti in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza.
Dopo la guerra contro l'Iraq, la Lega araba è nelle mani dei governanti feudali dell'Arabia Saudita e degli Stati del Golfo. In effetti, la Lega è più un'estensione della politica estera degli Stati Uniti che una Lega a difesa degli interessi del mondo arabo. Dopo la guerra in Iraq, tutti i governi progressisti sono stati emarginati. Nel 2006, la Lega araba era già a fianco di Israele, quando l'esercito israeliano invase il Libano: la Lega Araba, all'epoca, condannò Hezbollah, pretendendo che provocasse Israele. Per gli Stati Uniti, Israele e i regimi reazionari arabi, la sconfitta di Israele in Libano è stato uno shock enorme. L'esercito israeliano, che si sentiva invincibile, dovette cedere a Hezbollah!

Durante la guerra in Libia, anche la Lega Araba e gli Stati del Golfo hanno svolto un ruolo importante.
E' un dato di fatto. Da quel momento siamo consapevoli di vivere un'epoca in cui le cose possono andare molto più velocemente di quanto pensiamo. Ma la questione della Siria è ancora più complicata di quella della Libia. Nessuno può prevedere come cambierà la situazione in Siria e nella regione.
Per gli Stati Uniti e gli Stati del Golfo, la principale minaccia in Medio Oriente è la crescente influenza dell'Iran. L'occupazione dell'Iraq è finita in un fiasco e l'influenza dell'Iran in Iraq non è mai stata così grande. Dopo la Cina, l'Iraq è il principale partner commerciale dell'Iran.

L'Iran è una grande potenza regionale in grado di far arretrare l'influenza degli Stati Uniti?
Effettivamente. In compagnia di cinque altri importanti fornitori di gas della regione - Russia, Cina, Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan - l'Iran vuole formare una sorta di OPEC (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, ndr) dei paesi produttori di gas, in modo che possano ottenere prezzi più alti. Vi è una crescente collaborazione, per la fornitura di gas tra Iran e paesi come l'India e il Pakistan: un "gasdotto della pace" è in costruzione e ci sono grandi progetti in corso per la costruzione di una raffineria di gas in Iran, insieme con l'India. Le tensioni tra India e il Pakistan diminuiscono nella misura in cui entrambi i paesi accrescono i loro interessi economici comuni.
Una parte rilevante del Grande Medio Oriente rischia di sfuggire all'influenza degli Stati Uniti. Dal Pakistan passando dall'Iran e l'Iraq fino alla Siria e al Mediterraneo. Questo scenario è un incubo per gli americani, per Israele e per i regimi arabi feudali e reazionari. Un cambio di regime in Siria è per tutte queste forze di cruciale importanza al fine di contrastare la crescente influenza dell'Iran.

Come vede il ruolo della Turchia, che è sempre più coinvolta?
Anche la Turchia anela a diventare una grande potenza regionale, relativamente indipendente. Il Primo ministro Erdogan usa toni molto duri con Israele, tanto che la Turchia è diventata molto popolare nel mondo arabo. E la Turchia è proiettata come un paese che intende controllare l'industria del gas nel Mar Egeo, a scapito della Grecia e della Siria. Anche nei Balcani, la Turchia sta guadagnando influenza: gli scambi con paesi come la Romania, Bulgaria, Macedonia e Albania sono in crescita.
La Turchia ha tutto l'interesse di intrattenere rapporti di buon vicinato con l'Iran e la Siria e, fino a poco tempo fa, le relazioni tra Turchia e Siria erano molto buone. Peraltro, essa preferisce un nuovo governo sunnita al potere a Damasco. Scenario che sarebbe possibile nel caso della caduta del governo siriano. In questo caso si avrebbe una situazione simile a quella dell'ex Impero Ottomano, quando la Turchia controllava la Siria con l'aiuto della nobiltà feudale sunnita. La caduta del presidente siriano Assad significherebbe allo stesso tempo un indebolimento dell'Iran, il principale rivale della Turchia in Asia centrale. In paesi come il Turkmenistan, l'Uzbekistan e il Kazakistan, la lingua corrente è effettivamente apparentata col turco.
Infine, vi è un legame crescente con paesi come l'Arabia Saudita, dove le aereolinee turche hanno quintuplicato gli affari negli ultimi anni e per contro, gli investimenti in Turchia non cessano di aumentare. Una collaborazione per abbattere Assad potrebbe migliorare ulteriormente la buona intesa con l'Arabia Saudita e rafforzare la Turchia stessa. Questi sono tutti motivi per cui la Turchia sostiene un cambio di regime in Siria. Ma tuttavia Ankara sta giocando con il fuoco, in una regione così instabile, con numerosi attori e interessi differenti.

La Turchia è un membro della NATO. Non è, in questo caso, uno stato vassallo degli Stati Uniti?
Sul piano militare, la Turchia collabora efficacemente con gli Stati Uniti: ma questo non ne fa uno stato vassallo. I turchi vedono la cosa come di reciproco vantaggio. Così, la Turchia ha accettato di ospitare le installazioni radar dello scudo missilistico americano in cambio di un accesso ai droni (velivoli senza pilota, ndr) tecnologia statunitense che contano di utilizzare nella lotta contro il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan, ndr). Per quanto riguarda l'Europa la Turchia ha una strategia intelligente: vuole aderire all'Unione europea, ma non alla zona euro. Potrebbe così mantenere un vantaggio nelle esportazioni, con la sua moneta debole contro un euro più forte, come la Polonia.

Qual è la strategia degli Stati Uniti nella regione?
Mohamed Hassan. Gli Stati Uniti sono immersi in una profonda crisi economica e politica, espressione, come in Europa, della crisi generale del capitalismo. Obama vuole risparmiare sulle numerose e costose basi sparse per il mondo. Attribuisce grande importanza alla combinazione di forze speciali e droni, particolarmente utili per interventi militari puntuali. Allo stesso tempo, cerca di passare, più che può, l'intervento militare agli alleati e ai subappaltatori locali, come il Qatar.
Il Segretario Generale della NATO, Rasmussen e il ministro americano della Difesa, Panetta, hanno tratto la stessa lezione dalla guerra contro la Libia. L'intervento americano in Libia è stato decisivo quando l'Europa ha affrontato essa stessa la guerra, poiché nel suo cortile! La lezione è che gli Stati europei membri della NATO devono urgentemente investire nell'artiglieria pesante. Ma in questo periodo di economie, non è cosa facile da sostenere.
Per gli Stati Uniti, la Cina è il principale rivale nel mondo. Washington si rende conto che non potrà mai vincere la battaglia economica contro la Cina, e certamente non in un contesto di pace. Così la strategia degli Stati Uniti è concentrata sul blocco della crescente influenza economica della Cina. Se gli Stati Uniti non riescono a tenere bene in mano la situazione, creano il caos in modo da sprofondare l'avversario in difficoltà. Hanno appena insediato un regime reazionario in Libia. In Pakistan, sostengono il Baluchistan e la sua lotta per l'indipendenza, e lavorano contro il gasdotto previsto tra il porto di Gwadar e la Cina. Spingono il governo e l'esercito pakistano a fare la guerra contro il proprio popolo con il pretesto di lottare contro i talebani afghani. Il caos che hanno generato in Somalia si è diffuso in tutto il Corno d'Africa. E dal Sud-Sudan, che hanno appena diviso, gli americani vogliono importare petrolio attraverso un oleodotto diretto in Kenya senza passare dal Nord-Sudan.

Infine, c'è il fattore della primavera araba.
Le rivolte popolari in Tunisia ed Egitto, hanno disturbato l'imperialismo, che di recente è tornato a segnare dei punti. Queste "rivoluzioni" non hanno ancora cambiato nulla di fondamentale. Va ricordato che un paese come l'Egitto ha vissuto 40 anni di smantellamento economico. Questo paese aveva bisogno di una rivoluzione! Ma non si è trattato che di una scintilla, i problemi continueranno nel paese e non vi saranno mutamenti sostanziali. E' possibile tenere le elezioni e allo stesso tempo cercare di mantenere una dittatura militare e, infine, la popolazione non ha altra scelta che ribellarsi fino a quando non si affermerà un sistema politico che risponda ai suoi interessi. Comunque abbiamo ottenuto qualcosa. L'Egitto di Mubarak aveva perso ogni sovranità: era soggetto ad Israele, non controllava realmente il Canale di Suez e inviava medici militari in Afghanistan. Il fatto che gli egiziani abbiano preso d'assalto l'ambasciata israeliana sarebbe stato impensabile fino a un anno fa. Questo è accaduto un paio di settimane fa. Oggi, Il Cairo rifiuta ancora di forniture gas a Israele al di sotto del prezzo di mercato, come in passato, e ha consentito a una nave da guerra iraniana di navigare nel Canale di Suez ...

6 dicembre 2011
da www.ptb.be, in www.resistenze.org


Massacro in Kazachistan
Non solo Libia: il "prezzo" del gas e del perolio, guerra alla classe operaia…
Unità militari del regime kazaco massacrano nella cittadina di Schanaosen gli operai dell'industria petrolifera in sciopero. La protesta si estende in altre località nonostante la massiccia repressione dello stato.
Dal 16 dicembre, anniversario dell'indipendenza del Kazachistan, Schanaosen, situata nella parte occidentale del paese, è completamente isolata dal resto del mondo. Tutte le strade d'ingresso alla cittadina, che conta circa 90mila abitanti, sono state bloccate dalla polizia e da unità militari. Allo stesso tempo sono state tagliate le reti della telefonia satellitare e le connessioni Internet. Il presidente autocratico Nursultan Nasarbajev il 17 dicembre (sabato) ha imposto lo stato d'emergenza sulla città, che comprende il coprifuoco (obbligo a restare in casa nelle ore notturne) e il divieto assoluto degli assembramenti.
Secondo testimonianze oculari il 16 dicembre (venerdì) verso le 11 del mattino unità della polizia hanno attaccato direttamente una manifestazione sindacale, a cui prendevano parte circa 3mila persone, in corso nel centro di Schanaosen. Un'auto della polizia si è lanciata sul corteo, i manifestanti l'hanno bloccata. E' stato questo l'inizio di scontri in cui sono andati in fiamme alcuni edifici del governo e di società petrolifere. Le forze di polizia sono state immediatamente rinforzate con unità militari, che, contro gli operai disarmati, hanno impiegato i gas tossici, i mitra e i mezzi corazzati. I sindacalisti dichiarano che ci sono stati numerosi dimostranti uccisi, da 50 fino a 150 e di almeno 500 feriti. Il regime afferma che i morti sono 11.
Questo massacro costituisce, per il momento, il culmine di una brutale campagna repressiva condotta dal regime di Nasarbajew per tentare di spezzare la resistenza degli operai dell'industria petrolifera.
Da circa 6 mesi nella regione petrolifera di Mangghystau gli operai lottano per aumenti salariali e per migliori condizioni di lavoro. La direzione società petrolifera statale, KazMunayGas - strettamente cooperante con le multinazionali del settore cinesi e occidentali -, agli ultimi scioperi ha reagito licenziando 2.500 lavoratori. Il 2 agosto 2011 è stato ucciso il sindacalista Zhaksylyk Turbaev, da mano rimasta ignota. L'avvocatessa delle persone licenziate, Natalja Sokolowa, è stata condannata, perché accusata di "fomentare i conflitti sociali", a 6 anni di carcere. Contro i militanti e sindacalisti socialisti, Esenbek Ukteshbajew e Ainur Kurmanow, è in corso un'inchiesta che può concludersi con una condanna a oparecchi anni di carcere.
Tuttavia la repressione sfociata nel massacro non sembra aver spezzato la resistenza. Mentre a Schanaosen ancora sabato si udivano colpi di mitra e di granate, gli operai e i giovani proseguivano nella lotta di strada. Allo stesso tempo nella vicina Kalamka, a Shetpe e Aktau i dimostranti hanno bloccato le strade e manifestato contro la presenza delle unità militari e di polizia. In questi scontri è rimasta uccisa una persona.
Queste giornate di lotta sono anche conseguenza della divisione sociale nel paese: il Kazachistan, sulla base dei giacimenti petroliferi e gas esistenti nel suo sottosuolo, negli anni passati è riuscito a registrare un enorme tasso di crescita, ma il grosso delle entrate è andato e va nelle tasche del clan cui appartiene presidente Nasarbajev; clan che detiene le posizioni di direzione nel settore statale appunto delle materie prime. La gran parte delle persone che lavorano, della popolazione, rimane così esclusa dal boom del gas e del petrolio.

18 dicembre 2011
da de.indymedia.org/2011/12/322058.shtml


cronache dai c.i.e.
Bologna, 18 dicembre
Un fine settimana di battaglia dentro al Cie di via Mattei. Intanto la fuga di venerdì sera, quando quattro reclusi riescono a scavalcare il muro e a guadagnare la libertà, mentre altri cinque vengono placcati dagli agenti di guardia ed uno ancora arrestato per resistenza. E poi sabato, quando inizia lo sciopero della fame ed altri prigionieri che danno l'assalto al muro vengono tirati giù di malagrazia col getto degli idranti - e uno si spacca la gamba nella caduta. Di nuovo idranti contro i prigionieri, poi, durante la notte di sabato, quando una ventina di reclusi sfidano apertamente gli agenti, coprendosi il volto e bersagliandoli di bottiglie. Idranti ancora domenica pomeriggio, di nuovo contro i reclusi che provano a saltare il muro e contro tutti gli altri nelle sezioni. Questa volta i feriti sembrano più gravi: un prigioniero in particolar modo che cadendo ha battuto la testa è rimasto per parecchio tempo in uno stato di semi-incoscienza, accudito solo dai suoi compagni di prigionia anche loro fradici di acqua. Ancora fino alla tarda serata di domenica la polizia subordinava la cura dei feriti al ripristino della calma delle sezioni.


Torino, 19 dicembre
Alle dieci di sera, ai microfoni di Radio Blackout, una voce dal Cie di Torino. È di un recluso dell'area bianca del Centro che racconta di come il suo compagno di cella Adil se ne stia appollaiato sul tetto dalle tre del pomeriggio. Proprio da quando i funzionari dell'Ufficio immigrazione gli hanno detto di prepararsi per il viaggio. Lui, che con tutti i parenti e tutta la vita in Italia non ne vuol sapere proprio di andarsene in Marocco, sul tetto prima ci è salito disperato per buttarsi: ma poi ci è rimasto per resistere. I poliziotti hanno fatto finta di niente e han fatto partire l'aereo senza di lui, sperando di vederlo ritornare veloce dentro alle gabbie. Ma lui è rimasto là in cima, armato solo delle coperte e del cibo che gli han passato i suoi compagni di prigionia, determinato a resistere ancora. Attorno all'una di notte, dentro al Centro sono arrivati i pompieri e hanno provato a fare scendere Adil. Lui ha spinto via la scala ed è rimasto dov'era, nonostante il freddo e tutto. Dopo una mezz'oretta un gruppone di solidali è andato a salutarlo rumorosamente di là dalle mura. Il giorno seguente Adil è ancora sul tetto, dopo una nottata "tranquilla" ed una nuova mattinata: oramai sono ventidue ore che resiste sul tetto, dove è determinato ad attendere la risposta del giudice ad un suo ricorso che avrebbe dovuto essere discusso oggi. Nel pomeriggio, un gruppo di compagni è andato a portargli un saluto dalle panchine di corso Brunelleschi. Un'altra notte sul tetto per Adil, ed un nuovo saluto volante - con urli e grida - da parte di un gruppone di compagni, nonostante la massiccia presenza di agenti di guardia fuori dal Centro. Nel primo pomeriggio tornano i Vigili del fuoco a cercare di convincere Adil a scendere, poi ci riprovano gli agenti di polizia, a spiegargli che lo possono trattenere ancora un sacco di tempo e che quindi prima o poi riusciranno ad espellerlo. Solo verso le 18, dopo più di cinquanta ore di resistenza al freddo, Adil scende. Ora è nella sezione insieme agli altri reclusi. Ma all'una di notte avanti un altro. Un ragazzo dell'area blu, che sa di dover essere deportato a breve, si è piazzato sul tetto per non essere portato via. Il 22 dicembre intorno alle 22 anche il ragazzo dell'area blu è sceso dal tetto, all'alba. Nel primo pomeriggio, invece, è toccato ai reclusi dell'area gialla farsi sentire. Poco dopo pranzo c'è stata una vivace protesta per sostenere un ragazzo che aveva ingoiato sei bulloni per protesta e che la polizia si rifiutava di far curare.

Milano, 23 dicembre
Solite sono le perquisizioni seguite da violenti pestaggi. Nella mattinata del 16 dicembre in una sezione, un recluso, appena arrivato, incendia la camera e viene portato via, purtroppo non si riesce a risalire né al nome né se sia stato arrestato o portato altrove. Stanotte alle due invece, vengono bruciate due sezioni e i bagni, una persona viene arrestata. Nel mentre si attendono ulteriori notizie dall'avvocato, 8 persone vengone espulse.

Torino, 25 dicembre
È la notte di Natale, e dentro al Centro si riaccende la battaglia che era rimasta sopita da qualche settimana. Intorno all'una di notte, probabilmente in seguito ad un tentativo di fuga, la polizia ha attaccato i reclusi dell'area rossa con gli idranti e ne ha picchiati duramente almeno tre. Sono le nove e mezza di sera e parte un'evasione di massa. Non si sa quante aree abbia coinvolto, né quanta gente sia riuscita a scavalcare le recinzioni. Dopo un'oretta i reclusi ripresi sembra siano due.

Torino, 26 dicembre
Iniziano a circolare i primi dettagli della grande evasione di Natale dal Cie di Torino. Approfittando delle festività natalizie (molti dei militari, poliziotti e crocerossini di stanza al Centro erano alle prese col panettone, e nessun fabbro era intervenuto per riparare le serrature scassate la notte della vigilia) i reclusi di diverse aree sono usciti dalle sezioni e si sono dispersi lungo il perimetro delle recinzioni. Le poche guardie presenti, per paura della massa, si sono rifugiate in attesa di rinforzi. Nel frattempo i reclusi hanno cominciato a scavalcare reti e muri contemporaneamente da ogni lato, sbucando su corso Brunelleschi e su via Mazzarello. Alcuni per scavalcare meglio si sono perfino serviti di una garitta dei militari spostata di peso a ridosso del muro. Almeno un fuggitivo si è ferito nella caduta ed è stato subito catturato. Altri tre sono stati presi all'interno di un capannone nei pressi del Centro, in cui si erano rifugiati. Pare che la loro cattura sia stata favorita dalla segnalazione di un residente e dalla collaborazione attiva dei Vigili del Fuoco. In tutto, avrebbero partecipato all'evasione una sessantina di reclusi. Il numero esatto dei fuggitivi riacciuffati al momento non è noto, mentre quelli che sicuramente ce l'hanno fatta sono almeno una ventina. Questa mattina, la polizia sta effettuando la conta dei reclusi per capire il numero degli evasi. Mentre il primo comunicato ufficiale della Questura parla di 21 evasi, continuano ad emergere altri dettagli sulla fuga di Natale. Innanzitutto, al tentativo di fuga hanno partecipato tutti gli uomini rinchiusi nel centro. Alcuni di loro hanno cercato di aprire le sezioni femminili per far scappare anche le donne, ma purtroppo le serrature hanno resistito agli sforzi. Inoltre, quando la polizia è intervenuta per bloccare i fuggiaschi ha utilizzato anche lacrimogeni (con tiri tesi e ad altezza d'uomo, "alla valsusina") e idranti, ma un recluso è riuscito a strapparne uno di mano alle guardie, e ha inondato la guardiola in cui si trovava un militare. Infine, un recluso che cadendo dall'altra parte del muro si è fratturato entrambe le gambe, e che era stato riacciuffato, oggi verrà rilasciato dal Centro con un foglio di via. Pare che però i feriti, per le cadute e anche per le botte delle forze dell'ordine, siano diversi, alcuni anche gravi.

Brindisi, 26 Dicembre
Ancora tensioni al centro Cara-Cie di Restinco a Brindisi. Durante la notte di Natale gli extracomunitari rinchiusi nel Cie hanno messo in atto una sassaiola contro le forze dell'ordine e i militari che cercavano di impedire l'ennesima fuga di massa.

Torino, 1 gennaio 2012
Anche a Capodanno i reclusi del Cie di Torino ci hanno provato. Dopo l'evasione di Natale nel Centro erano aumentati i controlli e le attenzioni da parte delle guardie: alcuni giorni prima del 31 dicembre durante una delle tante perquisizoni nelle sezioni era stato trovato un seghetto, segno abbastanza evidente che qualcuno stava preparando la fuga. Preoccupati di fare brutta figura coi superiori, questa volta gli uomini della Questura avevano studiato un bel piano per prevenire sommosse e evasioni. Un quarto d'ora prima di mezzanotte alcuni mezzi dei Carabinieri sono entrati nel Centro e una trentina di uomini in antisommossa si sono posizionati fuori dalle sezioni con il chiaro scopo di spaventare e scoraggiare i reclusi. Per catturare in tempo eventuali evasi, fuori dalle mura erano state mandate diverse volanti e auto in borghese a pattugliare le vie di fuga intorno al Centro. Ma non tutti i reclusi si sono persi d'animo, in particolare i ragazzi dell'area blu che hanno deciso di provarci comunque: sono usciti dalla sezione forzando le porte ed è subito iniziata la battaglia. Da una parte i celerini che hanno sparato lacrimogeni e iniziato a manganellare chi trovavano a tiro, dall'altra i reclusi con lanci di calcinacci e pezzi di muro, preparati nei giorni precedenti danneggiando la sezione. Nel giro di pochi minuti nel Centro sono arrivati i rinforzi per sedare la sommossa, altre decine di celerini evidentemente già pronti nelle caserme vicine. Nella confusione in sei sono riusciti a scavalcare le mura: uno è stato fermato da una volante e arrestato, accusato di resistenza e lesioni. Altri cinque sono liberi, e le volanti probabilmente non li hanno nemmeno visti scappare. Anche se non è l'evasione di massa che i reclusi avevano preparato, è senza dubbio un buon modo di cominciare il 2012.


Un pacchetto a scoppio ritardato
I primi di agosto del 2009 divenne legge il “pacchetto sicurezza”, un insieme di norme volute dal governo Berlusconi per aumentare gli ostacoli in quella corsa con handicap che è la vita degli immigrati poveri nel nostro paese. L’ultimo dei bocconi avvelenati viene servito a “freddo” due anni dopo l’emanazione della legge 94.
Gli immigrati che rinnovano o chiedono per la prima volta il permesso di soggiorno, dovranno pagare una tassa, il cui importo oscilla tra gli 80 e i 200 euro.
Il nuovo contributo, previsto dalla legge sulla sicurezza del 2009, era rimasto sulla carta. Un decreto firmato a ottobre 2011 dagli allora ministri dell’Interno Roberto Maroni e dell’Economia Giulio Tremonti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre, lo rende operativo a partire dal 30 gennaio prossimo. L’importo del «contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno» varia in base alla durata del permesso: 80 euro se è compresa tra tre mesi e un anno, 100 euro se è superiore a un anno e inferiore o pari a due anni, 200 euro per il «soggiorno di lungo periodo», meglio noto come «carta di soggiorno». A questa cifra si aggiungono i 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico, i 14 per la marca da bollo e i 30 per la raccomandata. Poi, nonostante la legge preveda la consegna del permesso entro 20 giorni, comincia l’attesa. Un’attesa che spesso dura anche mesi, qualche volta anni.
Oltre il danno c’è la beffa. Metà degli introiti della tassa andrà al “fondo rimpatri”, ossia alla cassa che lo Stato usa per deportare gli stranieri “senza carte”, quelli che nella roulette russa dei permessi hanno perso. Alcuni hanno lavorato in nero e sono incappati nella rete dei cacciatori d’uomini in divisa, altri il lavoro “regolare” l’avevano prima che la crisi se lo mangiasse insieme al diritto legale di vivere nel nostro paese. L’altra metà di questa estorsione legale andrà al Viminale per spese di ordine pubblico e sicurezza e per finanziare gli sportelli unici. Nel caso qualcuno non l’avesse ancora capito gli immigrati per lo Stato italiano sono in primo luogo una questione di ordine pubblico. E tali devono rimanere, altrimenti chi lucra sulla vita dei lavoratori non potrebbe profittare di chi, per legge, è uno schiavo. Uno schiavo che paga le tasse, non ha diritti e deve pagare per mantenere ben oliata la macchina delle espulsioni.
È l’ultimo pacchetto a scoppio ritardato di Maroni e Berlusconi, che il governo Monti è ben intenzionato a mantenere.

dicembre 2011
da senzafrontiere.noblogs.org


una proposta dal carcere di Ferrara
Come trovare un obiettivo di lotta comune nel marasma carcerario e coagulare le energie antagoniste
Partendo dal presupposto che la legge Gozzini sulla liberazione anticipata è il principale strumento ricattatorio di pacificazione del conflitto fra controllati e controllori, e rispetto la quale TUTTI i soggetti prigionieri devono comunque fare i conti, si pone ora e subito la necessità di ribaltare le logiche premiali, usando le loro dinamiche per sviluppare un terreno di lotta rivendicativa condivisa e praticabile.
Innanzitutto abbiamo chiaro che i provvedimenti ventilati dalla Severino sugli arresti domiciliari entro i 18 mesi di pena unitamente al miraggio di un'amnistia è solo fumo negli occhi di chi ora subisce la tortura del sovraffollamento e lotta contro le condizioni disumane. A noi non interessa svuotare i carceri per farci la galera più "comoda": noi TUTTI si vuole uscire PRIMA. Dando per scontato che i provvedimenti di cui sopra sono funzionali all'impunità dei nuovi e futuri inquisiti nella fase della terza repubblica che si sta affacciando sotto forma di regime teknocrate come lo fu nella fase di tangentopoli.
Tenendo ben presente questa trappola mediatico-distrattiva che vuol far passare i provvedimenti in discussione come soluzione del sovraffollamento "svuota carceri", mentre sono esclusivamente funzionali all'impunità del pezzo di casta nel mirino delle toghe rosse (di vergogna).Risultando impossibile far percepire alle masse detenute ragionamenti politici di questo tipo, e comunque per quanto riguarda chi ha genericamente una pena elevata o subisce il 41-bis o è in differenziata o AS, dell' amnistia non gliene può fregà de meno. Bisogna fare un ragionamento terra terra potabile per la maggioranza dei prigionieri. Quanto segue è il frutto di una sperimentazione di lotta concreta nell'individuazione di un obiettivo rivendicativo che ha coinvolto 300 detenuti su 450 del carcere di Ferrara.

Questa fogna di regime per chi ne ha notizia è famosa per la presenza di un magistrato di sorveglianza tale Abiosi che non concede alcun beneficio e si rende pure complice della sopraffazione di molti diritti minimali che in altri carceri sono dovuti. Per non parlare delle angherie delle varie squadrette che scorazzano nelle sezioni.
Ecco in un contesto cosi compresso, questa primavera, ascoltando la solita litania nonviolenta di radio radicale, alla parola amnistia un qualcosa di urla nel nulla silenzioso si è iniziato a sentire. Poi si è sviluppato in una selvaggia battitura che ha espresso in una potente modalità di decibel tutta la frustrazione accumulata. La cosa è andata avanti una settimana con la programmazione della battitura e nel tentativo di praticare lo sciopero del vitto estendendolo a tutto il carcere. Ovviamente si sono incontrate molte difficoltà in tale pratica dal momento che per la riuscita era indispensabile garantire il cibo a chi vive di sola casanza, con inevitabili tensioni nelle sezioni più disagiate economicamente. Comunque si è sviluppata una buona compattezza di continuità nell'arco di una ventina di giorni e dal momento che si è andati a produrre un documento controfirmato da 300 prigionieri nel quale con un ragionamento articolato si richiedeva l'aumento dei giorni della liberazione anticipata. Il titolo del documento diceva: “Se volete una buona condotta vogliamo vivere umanamente”. E di seguito: “Come in molte altre carceri dal 24 maggio 2011 è in atto anche a Ferrara uno sciopero della fame con la battitura delle sbarre 3 volte al giorno. Questo per denunciare una situazione da condizioni disumane di agibilità fisica all'interno delle celle (dove si è costretti a trascorrere 20 e più ore al giorno) e la carenza o la mancanza di attività ricreative-educative, con due docce mal funzionanti per 70 reclusi. Questo stato di cose ormai cronico in quasi tutti gli istituti, con il sopraggiungere dell'afa estiva, il disagio si amplifica producendo maggiore sofferenza e tensioni”.
Inutile fare l'elenco delle molte disfunzionalità causate da una capienza che spesso raggiunge il doppio del consentito con tutti i nessi e connessi. Queste condizioni disumane tendono spesso ad incattivire le persone a cui mancano prospettive di sbocco riabilitativo esterno, per la mancata applicazione delle misure alternative alla detenzione, che come ci dicono le statistiche andrebbero ad abbassare la percentuale dei recidivi, compreso quindi anche chi si fa tutta la galera.
La nostra costituzione nata dalla resistenza recita all'art.27 comma 3: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono essere finalizzate alla rieducazione del condannato. Vista la recente sentenza della corte di Strasburgo che ha sancito che le condizioni di sovraffollamento delle carceri italiane sono equiparabili ad un sistema di tortura, è evidente che il senso di umanità viene meno ed il tutto diventa qualcosa di bestiale. Il fatto che quotidianamente si calpesti la costituzione tentando di modificarla dove conviene alla casta politica, non significa che noi si debba accettare che si calpestino i nostri diritti umani minimali o che peggio si accetti di calpestarci fisicamente in spazi troppo angusti. L'insieme di queste condizioni di sofferenza determina un aggravio oggettivo della pena con un surplus che è causa di distorsione mentale e di innumerevoli atti di autolesionismo suicidi o morti sospette. Questa non è un'accusa al corpo degli agenti di custodia che essendo sotto organico si trovano spesso a gestire l'ingestibile. Però tutto questo è fonte di nervosismo che sfocia in tensioni fra agenti e detenuti o fra detenuti stessi. Risulta con ciò evidente che lo sforzo per mantenere una buona condotta aumenta in modalità proporzionalmente diretta alle concause di nervosismo che possono indurre gli agenti di custodia a sanzionare con rapporti disciplinari, che fanno perdere il beneficio della liberazione anticipata.
Con la presente petizione si vuole chiedere la modifica immediata a chi di dovere dell'art.54 o.p. sulla quantificazione dei giorni della cosiddetta "premiale" consistente nel raddoppio a 6 mesi annuali finché non si riuscirà a raggiungere condizioni di funzionalità degli istituti (ottenibile anche con un'amnistia per la quale in molti si stanno battendo) e comunque un adeguamento alle normative europee dove sono previsti 4 mesi di liberazione anticipata. Io che scrivo, sono uscito nella scorsa estate e sono sottoposto ad un regime anomalo di affidamento terapeutico con restrizioni speciali che, causa un'elevata "diagnosi" di pericolosità sociale, solo ora sono riuscito ad avere accesso al web e i tentativi di diffondere questa progettualità sono stati limitanti.
Preciso subito che da un punto di vista politico rivoluzionario molti passaggi analitici sono inaccettabili, e di fondo tutta la questione rivendicativa sulla premiale risulta contraddittoria. Ma essendo realista non riesco a vedere una migliore piattaforma di lotta che individui un obiettivo realizzabile con decreto legge e non come l'amnistia e l'indulto (che poi esclude certi reati) che abbisogna dei due terzi del parlamento. In più per raggiungere l'obiettivo, tutti, ed in particolar modo i prigionieri di lunga pena, potrebbero mettersi in gioco rischiando di perdere i 45 giorni per una causa collettiva condivisa concretamente, e ciò potrebbe dar luogo a forme di lotta "altre". Facendo veicolare il più possibile questo ragionamento mi auguro che si creino dei punti di contatto e le necessarie sinergie coinvolgitive.
Nella speranza che questa possa essere almeno una base di discussione segnalo e allego delle info su un progetto differenziativo denominato operazione celle aperte che nella circolare del DAP dovrebbe diventare attuativo fra 3 mesi ed anche su questo ipotizzato censimento ci sarebbe molto da aggiungere e spero che ci sia una forte opposizione.
Un buon lavoro a voi, a pugno chiuso da Lorenzo.

Padova, 26 dicembre 2011

usa: Mumia Abu-Jamal è in carcere da 30 anni
Venerdì 9 dicembre si è compiuto il 30° anniversario della carcerazione di Mumia Abu-Jamal. 30 anni in una piccola cella di 6 mq., in Pennsylvania, sotto la minaccia permanente della condanna a morte. Questa follia ora si è conclusa. Secondo un'ordinananza della procura federale adesso MumiaAbu-Jamal non può più essere tenuto nel braccio della morte, pur se viene mantenuta la condanna all'ergastolo. Questa loro logica oscura e non condivisibile, ha avuto comunque l'effetto di rafforzare in questo anniversario la mobilitazione per la liberazione del giornalista afro-americano. Così quando mercoledì (6 dicembre) è stata resa nota la decisione della procura federale, la gioia si è manifestata in tutto il globo. Le persone che da decenni sostengono Mumia si sono battute non soltanto per la cancellazione della pena di morte e per la libertà dei prigionieri politici, ma anche e sempre per la sua vita e per la su libertà. Adesso è stato raggiunto il 50 percento delle richieste. La parola d'ordine del momento è: la lotta va avanti - FREE MUMIA NOW! (Mumia libero subito).
Dal Sudafrica Desmond Tutu premio Nobel per la pace si è congratulato e ha chiesto alla procura di Filadelfia di fare quel che viene fatto in tanti altri paesi, dove è prassi corrente, indipendentemente dalla colpevolezza o dall'innocenza, liberare chi è in carcere da 30 anni.
Nel 30° anniversario della carcerazione Mumia ha parlato via telefono a 1.200 persone raccolte nel Constitution Center di Filadelfia. Ha sottolineato di essere contento della grande partecipazione, del sostegno e del calore del movimento. E' riuscito a confrontarsi con diverse persone presenti sui temi della pena di morte, dell'industria carceraria, dell'istruzione, del razzismo e della necessità di organizzarsi.
L'incontro è stato aperto da Harold Wilson che ha passato tanti anni di prigionia assieme a Mummia. Wilson ha parlato della realtà del braccio della morte e della volontà infaticabile di resistenza. Lui è stato 17 anni assieme a Mumia nel braccio della morte di SCI Greene. Mumia è un altro prigioniero lo hanno aiutato a formulare le istanze, a scrivere petizioni e obiezioni che lo hanno tenuto fermo nel non cedere. E' riuscito a portare la sua causa in tribunale e a uscire dal carcere nel 2005. Con estrema chiarezza ha parlato: della scelta razzista del jury (giuria tratta a sorte fra la citadiananza incensurata, chiamata a esaminare nei casi ritenuti più gravi le prove portate dalla procura federale e quindi a decidere sull'avvio o meno di un processo), della difesa squalificata a causa della mancanza di denaro, delle prove falsificate - tutto quel che nel primo procedimento era stata la base della condanna a morte, è accaduto pari pari allo stesso Mumia.
Johanna Fernandez, compagna di Mumia, ha chiarito che 15 dei 35 poliziotti che hanno condotto l'inchiesta contro Mumia, poco dopo la sua condanna, nel 1982, sono stati arrestati. L'FBI ne ha provata la colpevolezza riguardo alla fabbricazione di innumerevoli prove, di essere stati corrotti e di aver proceduto a innumerevoli falsificazioni di atti e indagini. Un giudice, presente all'incontro, ha ricapitolato tutto, esponendo il caso di Troy Davis, prigioniero impiccato nel settembre scorso. Tutte le persone presenti in sala si sono trovate d'accordo nella richiesta dell'abolizione della pena di morte ed hanno espresso la fiducia che questo obiettivo possa essere raggiunto anche in un tempo non troppo lontano.
Mentre all'interno si svolgeva l'incontro fuori alcuni poliziotti hanno manifestato a favore della pena di morte di Mumia Abu-Jamal. In una conferenza stampa tenuta il giorno precedente, la vedova del poliziotto rimasto ucciso nel 1981 (nel caso Mumia) ha annunciato gravi minacce contro Abu-Jamal, non appena venga trasferito in un carcere "normale".
Mumia ha commentato la sua condanna all' "ergastolo" con il saluto: "From slow death row - this is Mumia Abu-Jamal".
Anche fuori dagli USA si sono riunite persone che da anni esprimono il loro sostegno al prigioniero afro-americano. A Città del Messico, Vienna e Parigi hanno avuto luogo manifestazioni davanti alle rispettive ambasciate USA. Nella RFT si sono svolti incontri informativi a Dresda, Kaiserlautern, Regensburg e Berlino.
A Berlino militanti del movimento "Free Mumia" e anarchici del Black Cross hanno insieme informato sull'industria carceraria negli USA e sulla sua estensione in Europa. Una particolare attenzione è stata riservata a aziende come Bilfinger-Berger, Koetter e Secur attive nella RFT a creare le condizioni di fondo per l'utilizzazione dei prigionieri secondo il modello USA. Là adesso ci sono 2,5 milioni di prigionieri - pari a un quarto dell'intera popolazione carceraria mondiale. L'industria delle carceri USA è campo esclusivo delle grandi aziende dell'industria e viene cinicamente caratterizzata come il "terzo maggiore datore di lavoro" del paese.
Un ruolo particolare riguardo agli arresti di massa è giocato dalla giustizia attraverso il "Plea Bargaining" (*) e "Three Strikes And You Are Out" (**) che da soli garantiscono un flusso inarrestabile di persone povere per le catene di montaggio dell'industria carceraria. Esattamente come nel caso della pena di morte, la soverchiante maggioranza delle persone arrestate proviene dal People of Color, sebbeno esso costituisca appena il 20 per cento scarso dell'intera popolazione degli USA.

(*) Il Plea Bargaining costituisce l'istituto di natura processuale che negli USA corrisponde, seppure con diverse connotazioni, al patteggiamento in Italia. Negli USA non vi è limite alla possibilità di negoziare la pena, tale che persino i reati puniti con la sanzione capitale possono essere oggetto di accordo.
(**) Three Strikes And You Are Out, (tre colpi e sei fuori), gergo preso direttamente dal baseball, secondo cui alla terza condanna, negli USA, il tribunale, dalla metà dgli anni 90 in 28 stati federati su 50, può/deve emetterere il massimo della pena, anche se i tre reati commessi non sono gli stessi e non di uguale gravità.

10 dicembre 2011
da de.indymedia.org/2011/12/321583.shtml


Lettere dal carcere di Carinola (ce)
Carissimi compagni, vi spedisco questo scritto con un documento che hanno fatto gli ergastolani di Carinola, che si spera possa girare. La nostra, teniamo a precisare, non è una lamentela. Purtroppo non ci sono altri modi di lotta; qui si cerca di spronare le coscienze, di cercare di far sentire la nostra voce. In questo lager siamo chiusi 20 ore su 24; e in quelle 4 ore (che poi diventano 3 per effetto della mala organizzazione e lentezza delle guardie), non c'è campo sportivo, nessun tipo di palestra, ma solo cortili per il passeggio. I colloqui con i propri cari sono un vero e proprio calvario, divisi da un muro largo e alto un metro, bloccati da lunghe ore d'attesa… E che dire del decantato diritto alla salute? Passa il carrello con le terapie, la sola cosa che offre è la "bustina" ; le visite mediche sono rare, per quelle specialistiche devi aspettare mesi e mesi - meglio evitare sgradevoli racconti di malattie ecc.
Qui, per noi ergastolani dell'AS1 (grado più alto dell'Alta Sorveglianza) non ci sono educatori e psicologi, quelli che, sulla carta, assieme agli assistenti sociali e a volontari, ci dovrebbero reinserire all'interno della società. Da tutti questi esaminatori, uniti al magistrato di sorveglianza, al direttore e alle guardie a noi giunge solo sofferenza, malessere, anziché alleviamento.
Il carcere serve alla borghesia per il mantenimento di un ordine sociale iniquo e oppressivo; in una società divisa in classi serve a rinchiudere e neutralizzare quella parte delle masse e del proletariato che continua ad agire in aperta ribellione al contesto sociale esistente.
Qui siamo del tutto isolati da tutto e tutti. L'isolamento per i carcerati significa privazione di tutto e di ogni contatto umano, affettivo e sociale. L'isolamento è ormai riconosciuto come forma di tortura che punta ad annientare la personalità e l'identità del prigioniero. Nei prigionieri che lottano per i propri diritti la repressione con l'isolamento vuole colpire la resistenza e allontanarli dalla solidarietà che li sostiene fuori.
Noi continuiamo a lottare, dento e fuori, perché siamo solidali con tutti i prigionieri che lottano e con chi lotta fuori per i propri diritti. La solidarietà è una cosa importantissima che aiuta e sostiene tutti quelli che si trovano in questi posti di sofferenza. La vicinanza dei compagni non ci fa sentire mai soli. Questo stato parla di costruire prigioni, non ha mai parlato di distruggerli. Questo è ignobile, perché anche un solo giorno trascorso qui dietro le sbarre è di troppo; e perché gli uomini devono vivere liberi. Il carcere quindi è un oltraggio a quella libertà e dignità umana la cui difesa esige l'intervento attivo di tutti, con giuste lotte a favore dei ritti di tutti.
Qui salutano tutti i compagni della sezione AS1, un forte abbraccio solidale Antonino.

14 ottobre 2011
Antonino Faro, v. S. Biagio, 6 - 81031 Carinola (Caserta)

***
[…] sono molto arrabbiato per quanto successo a Firenze il 13 dicembre 2011. Un militante di estrema destra vicino a "Casa Pound" ha giustiziato due senegalesi e due li ha feriti al mercato mentre lavoravano. Dicono che il suo gesto sia dovuto ad un raptus di follia. Minchiate! Non ci sono attenuanti per questi merdosi fascisti.
Prima di questo indegno atto, sempre di recente, è stato preso d'assalto il campo Rom di Torino da tifosi della Juve e fascistelli. Il motivo di questo atto vile sarebbe stato causato da una presunta violenza carnale di una ragazzina che avrebbe poi denunciato due rumeni. La ragazza, due giorni dopo, avrebbe dichiarato di essersi inventata tutto. Ma l'atto punitivo oramai era stato compiuto. Alcuni abitanti della Vallette che avevano aizzato e pilotato la "vendetta" contro il campo Rom, era da tempo che invocavano lo sgombero del campo. La denuncia della ragazza ha fornito loro il pretesto. Puro razzismo, come quello di Firenze.
Il sindaco di Firenze, aderente al Partito democratico, ha saputo solo dire era dispiaciuto per quanto avvenuto, ma non ha condannato il razzismo.
Io come comunista libertario, da anni ormai vicino all'anarchia rivoluzionaria, con rabbia condanno questi atti di razzismo e condanno chi fomenta l'odio razziale contro i Rom. Mi sento molto vicino ai Rom, anche perché provengo anch'io dalla famiglia dei Sinti e sono antirazzista e antifascista.
Saluto il compagno Morandi a pugno chiuso e abbraccio i prigionieri anarchici.
Un mio saluto anarchico, Mauro.

14 dicembre 2011
Mauro Rossetti Busa, v. S. Biagio, 6 - 81030 Carinola (Caserta)

Fuori i fascisti da Firenze!
Il 17 dicembre, se pur con l’amarezza e la rabbia per l'uccisione di Samb Modou e Diop Mor, è stata per Firenze una giornata indubbiamente importante.
Più di 20mila persone hanno sfilato in corteo da Piazza Dalmazia al centro di Firenze mostrando la propria solidarietà alla Comunità Senegalese e ai familiari delle vittime della violenza fascista.
Ma se la presenza dei fascisti nella nostra città si è concretizzata in un modo così drammatico è anche importante sottolineare come proprio i fascisti rappresentano per molti un problema che non nasceva certo quel giorno: altre volte in passato hanno aggredito immigrati, ma lo hanno fatto anche ai danni degli studenti durante le occupazioni e le iniziative nelle scuole e nelle università, lo fanno contro i lavoratori che scioperano o occupano la propria fabbrica per salvare il proprio posto di lavoro e rivendicare i propri diritti.
Negli ultimi anni i fascisti avevano già ucciso: Davide Cesare, 26enne, ucciso a Milano nella notte tra il 16 e il 17 marzo del 2003, Renato Biagetti, stessa età, ucciso all'alba del 27 agosto del 2006 all'uscita da una festa a vicino Roma, Nicola Tommasoli, 29enne, ucciso a Verona il 5 maggio 2008. Uccisi perché ANTIFASCISTI. Il 17 dicembre all’interno del corteo non si contavano gli striscioni, i cartelli e gli slogan contro il razzismo, contro il fascismo e per la CHIUSURA di Casa Pound e degli spazi all’interno dei quali i fascisti si ritrovano e si organizzano. Oggi però è lecito chiedersi cosa sia realmente cambiato e domandarsi come fare in modo che quello slogan non rimanga tale ma riempirlo di contenuti e tradurlo nella pratica.
Per quanto ci riguarda chiudere le sedi dei fascisti vuol dire non concedere loro alcuno spazio di agibilità politica ed escluderli da qualsiasi tipo di iniziativa o dibattito che per loro rappresentano sempre una vetrina dove far propaganda delle proprie idee e aprire invece questi spazi a chi è portatore dei valori dell’antifascismo e in questa direzione vuole proseguire il proprio lavoro anche in termini culturali.
CHIUDERE le sedi fasciste vuol dire quindi creare in città e attorno alle sedi stesse un clima tale che spinga anche quei pochi che oggi le frequentano a non andarci più e fare in modo che le iniziative che i fascisti organizzano vadano deserte.
In questi anni la Firenze Antifascista non è stata certo a guardare: proprio a Firenze infatti, il 9 Febbraio si terrà l'udienza di primo grado contro alcuni compagni che nel maggio del 2009 furono fermati in Via della Scala dalla polizia e accusati di voler impedire ad una squadraccia di fascisti di scorrazzare indisturbati per la città, armati di spranghe e manganelli, pronti a consumare l'ennesima vigliacca aggressione nel centro di Firenze dopo che già avevano spaccato la testa ad un ragazzo che usciva dal concerto della Banda Bassotti.
Ai compagni che andranno a processo il 9 Febbraio e a tutti coloro che ancora pagano la propria opposizione al fascismo con perquisizioni, arresti e denunce porteremo la nostra solidarietà così come l'abbiamo portata in piazza il 17 Dicembre alla Comunità Senegalese, una solidarietà che, sappiamo bene, non possiamo aspettarci dalle istituzioni che da sempre finanziano e favoriscono i gruppi di estrema destra e condannano chi, chiaramente, combatte la violenza fascista.
Abbiamo visto poi come Questura e Prefettura si dimostrano efficienti nel condannare antifascisti e immigrati, mentre quando si tratta dei fascisti questi possono fare parate di revisionismo e mistificazione della storia, inneggiando ai franchi tiratori e ai repubblichini, come la destra fiorentina si appresta a fare il 4 febbraio, giorno di un'infame manifestazione in ricordo delle foibe, ennesima vetrina di mera propaganda fascista. Manifestazione organizzata da quegli stessi gruppi, Casapound, Casaggi e quant'altro, che continuano a diffondere l'odio razzista nelle nostre città.
Per non dimenticare Samb Modou e Diop Mor e tutte le vittime della violenza fascista.

10 Gennaio 2012
Firenze Antifascista


FUORI I FASCISTI DALLA CITTA', CREMONA RESISTE ED INSISTE
Sabato 14 gennaio saremo in piazza Sant'Agata dalle ore 10,00 per contrastare il convegno sulla crisi economica proposto dal partito razzista, xenofobo e fascista di Forza Nuova. Con questo incontro, dove razzisti e xenofobi si parleranno addosso come al solito, cosa vogliono proporre? L'uscita dalla crisi come nel '29 con regimi nazi-fascisti, guerre, distruzioni e il riemergere di tutti i loro valori carichi di morte?
Forza Nuova è nata per terrorizzare, picchiare ed uccidere la diversità e l'alterità sociale, fondando il proprio “movimento” sull'odio razziale, l'omofobia, l'antisemitismo e il perseguimento violento di tutte quelle finalità che non si riconoscono nei valori del fascismo.
Negli ultimi anni, nel neofascismo italiano è in atto un'evoluzione(?), cioè la tendenza e il ricercare valori di riferimento non solo nel ventennio mussoliniano ma direttamente nel nazismo, come le istanze che negano l'Olocausto e il riemergere di una ideologia difensiva della becera “identità bianca”.
Questi fascisti hanno naturalmente le spalle parate dai loro camerati più anziani che ora stanno al governo di città, regioni e del paese; è qui che sta la gravissima responsabilità dell'amministrazione comunale di permettere questa manifestazione di intolleranza e di odio in una città che fa dell'antifascismo un valore fondamentale.
I vecchi camerata, ora assessori, De Bona e Nolli, non hanno niente da dire???
Ha senso militarizzare una città per l'adunata di queste carogne?
Il CSA Kavarna è pronto a lottare su tutti i fronti contro i rigurgiti fascisti, sia sul fronte culturale, per smascherare la reale essenza autoritaria, razzista, omofoba e sessista, sia sul piano militante, per non permettere nessuna agibilità politica a questi loschi individui. La voglia di libertà è più forte di qualsiasi autorità!
Per ricacciare fuori dalla storia i fascisti, diamo appuntamento a tutte le individualità e organizzazioni antifasciste per un sabato militante di opposizione!
ORA E SEMPRE RESISTENZA

12 gennaio 2011
CSA Kavarna


CORTEO ANTIFASCISTA A CUNEO
Contro il fascismo, il razzismo e il delirio securitario che li fomenta e protegge
In solidarietà agli antifascisti sotto processo
26/02/2011: scontri in occasione dell'apertura di Casa Pound a Cuneo
27/05/2011: perquisizioni, arresti e misure cautelari contro 21 antifascisti
25/01/2011: processo di primo grado presso il tribunale di Cuneo
Non sentiamo il bisogno di fare leva sui più recenti episodi di odio razzista accaduti nel nostro paese per motivare quanto irrimandabile e sensato sia stato il tentativo di impedire ai fascisti di Casa Pound di aprire una loro sede qui da noi. Sono anni che le metastasi dell'estrema destra, da sempre burattino nelle mani dei reali responsabili di sfruttamento e degrado, si sono propagate in un tessuto sociale preda di paure e sempre più indeciso ad alzare la testa e ribellarsi. In troppi - per fortuna non tutti - hanno girato la faccia dall'altra parte pensando che certi orrori non potessero tornare a minacciarci e ci ritroviamo così oggi a fare i conti con una "democrazia nata dalla Resistenza" che è scivolata senza appigli nel baratro di un deja vu totalitario guerrafondaio e razzista.
I tempi sono cambiati: segregare si dice gestione dei flussi migratori o salvaguardia dell'incolumità del cittadino, ridurre in miseria le popolazioni e avvelenare i posti in cui vivono si dice progresso, la libertà che rivendicano i fascisti per opprimere tutti gli altri deve essere tollerata come libertà di espressione.
La città di Cuneo è un caso emblematico dei tentativi di rimozione di quella coscienza collettiva, mai del tutto incanalata all'interno di partiti e istituzioni, che per decenni ha impedito che i fascisti rialzassero la testa per le nostre strade.
Affezionati come siamo a simile coscienza, rilanciamo l'antifascismo come pratica di contrasto popolare, senza connotazioni partitiche o istituzionali.
Un antifascismo che, opponendosi agli scagnozzi in camicia nera, non dimentica che alle loro spalle c'è il modello politico ed economico che ci ha portato ad una società sempre più militarizzata e discriminante. Per questi stessi motivi non saranno gradite bandiere o simboli di partito all'interno del nostro corteo.
Mentre davanti al balcone di Duccio Galimberti, torturato e ucciso dai nazifascisti, si processano alcuni tra i resistenti che hanno cercato di impedire concretamente l'apertura in città di una sede degli squadristi di Casa Pound, le scorie del totalitarismo e dell'odio razziale si sentono sempre più
al sicuro. Legittimati e protetti, in un clima sociale e politico che quando non ammicca, generalmente tace nei confronti di tanti loro aberranti propositi.
Forse, come in quel lontano 1943, è tempo di scegliere da che parte stare.
Corteo antifascista a Cuneo, Sabato 21 Gennaio (concentramento ore 16 giardini davanti Stazione FS).

gennaio 2011
Antifascisti Sempre

***
un saluto da arturo liberato ieri
Carissimi e carissime, neanche in galera mi vogliono! eccomi di nuovo a casa.
La camera di consiglio di ieri mattina ha accolto il ricorso che l'avvocato aveva presentato appena dopo l'ordine di esecuzione di sti cazzo di due mesi. Pensavo di finire ai domiciliari, invece, da quanto sono riuscito a capire, l'esecuzione è stata sospesa e hanno ordinato l'immediata scarcerazione. Mah, che dire...mi restano ancora 36 giorni da scontare non so quando, ma a quanto pare, dovrei usufruire della legge Alfano, quella che prevede i domicialiari per le mene inferiori a 12 mesi. Che mattacchioni! Insomma, da un lato devo ammettere che questa è una piacevole pausa dopo questa passeggiatina nelle patrie galere, dall'altro devo bestemmiare perchè per una pena così irrisoria sono anni che mi tengono in ostaggio, senza passaporto, a fare ricorsi e a rompermi i coglioni in attesa delle loro fottute farse processuali.
Comunque, ciò che ho visto nel mio breve passaggio attraverso le maglie del sistema penitenziario italiano non può che incitarmi a proseguire le lotte contro la vergogna sociale chiamata carcere. Ho visto tanta disperazione e tanta miseria, e non potevo che abbassare la testa quando sentivo dei periodi di reclusione che devono affrontare questi ragazzini, mi sono vergognato di tutta la solidarietà che ricevevo quando constatavo l'isolamento che vivono tanti detenuti, obbligati a corrispondere, tramite la posta interna, con una compagna che non hanno mai visto. Ho visto come tengono sotto continuo ricatto i detenuti in attesa di giudizio. Ho constatato come riescono a controllare la situazione carceraria attraverso la possibilità di revoca dei benefici della legge gozzini, delle minacce di trasferimento, favorendo la competizione tra reclusi, preparando il terreno per esasperare conflitti razziali. Ho constatato la miseria in cui sono costretti a vivere coloro che non hanno una lira, e sono tanti, la stragrande maggioranza migranti, che non possono comprarsi il tabacco, caffè e i generi di prima necessità, che ancor più degli italiani sono ricattati, sfruttati, maltrattati da secondini e carcerati. La galera è una merda, ma se non hai soldi, sconti una doppia pena, come ha detto papa nazinger. Contrariamente alle mie aspettative, la battitura scatenata dalla presenza dei solidali fuori dal carcere è andata benissimo! Forse anche perchè la discussione sui nuovi decreti per "svuotare le carceri" di cui parla tanto la tele ha risvegliato le speranze di tanti carcerati. Comunque, per quella mezz'ora di battitura sono convinto che è valsa la pena di fare un pò di carcere. Dopo mezz'ora di battitura, che ha coinvolto circa la metà della mia sezione, grande è stata la gioia nel sentire che gli altri due grossi blocchi del carcere battevano a manetta. Le guardie, dopo aver minacciato rapporti disciplinari alle celle che avevano partecipato, non hanno potuto far altro che ritirarsi nelle rotonde a sentire il frastuono delle bombolette di gas sui blindati. Ieri mattina al colloquio vari detenuti di altre sezioni mi hanno espresso il loro apprezzamento per la presenza dei compagni fuori.
Insomma, ancora una volta, sono lusingato dalla dimostrazione di vicinanza e di fratellanza che non ho mai smesso di sentire, giorno dopo giorno, attraverso le lettere e i messaggi radio, i telegramma e i saluti in diretta. Ho sentito che la comunità che stiamo costruendo mi si è stetta intorno, proteggendomi e sostenendomi, coccolandomi come un bambino. E non può che confermarmi, ancora una volta, che non c'è lotta se non c'è amore e rispetto, che la lotta non è soltanto condividere un'idea, ma soprattutto stimarsi, costruire delle relazioni vere e solidali, queste sono la basi di qualunque progetto. Se si cade, senti che gli altri ti aiutano a tornare in piedi. E anche la repressione diventa più facile da sopportare. E si cammina a testa alta, fieri dei propri compagni e compagne. Un abbraccio a tutti e tutte, viva l'anarchia

21 dicembre 2011
Arturo

Arturo era stato arrestato il 26 novembre scorso, durante un presidio in occasione dell’udienza preliminare del processo agli antifascisti di Cuneo, per un residuo pena di due mesi.


Lettera dal carcere Pagliarelli di Palermo
Un cordiale saluto dal carcere Pagliarelli, mi chiamo Sabanovic Jasmir, sono nato in Bosnia e ho vissuto tanti anni in Croazia… vi scrivo per protestare contro questo schifoso carcere, uno di quelli dove non ci sono regole, non funziona niente e ci sono abusi di potere.
Nelle carceri italiane i dirigenti aiutano poco, ma tolgono tutto quel che hai. Sono in galera in Italia da oltre 14 anni. Sono stato condannato a 30 anni per cose che non ho fatto. Ma non voglio lamentarmi della "giustizia" italiana. Come sapete bene qui in Italia c'è "giustizia" solo per Berlusconi e altri politici corrotti e parassiti. Pochi di loro finiscono in galera e se succede è per poco tempo ah! ah!
Io sono stato offeso in quattro carceri (Ivrea, Asti, Palmi e Pagliarelli) con parole razziste da parte di direttori, commissari e ispettori. Qui in questo carcere un commissario mi ha offeso con queste parole: "Io non amo gli stranieri e in particolar modo voi della Croazia, che avete ammazzato poveri italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. Vi metteri al muro". L'ho mandato vaffanculo. Se li denuncio non interviene nessuno, perché loro hanno sempre ragione.
Sono da più di un anno senza specchio in cella e vi dico che è molto difficile farsi la barba. Ogni volta che chiedo lo specchio, mi dicono che non ci sono soldi per comprarlo, mentre lo stato paga 300 euro al giorno per ogni detenuto. Il cambio delle lenzuola lo fanno ogni 20 giorni - se sei fortunato.
Qui vendono tabacco di seconda qualità "Old Holburn" a 6 euro il pacchetto. Un anno fa lo vendevano a 5,20 euro. Nel 2010 sono stato nel carcere di Opera per un processo, là quello stesso tabacco costava 3,70 euro. Sono andato nell'ufficio dell'ispettore a protestare per questo e lui mi ha detto che mi denunciava, perché lo accusavo di furto. Loro, che devono dare l'esempio di onestà, sono peggiori di noi detenuti.
In tante carceri italiane è così. Per tanti dirigenti le carceri sono un grande affare! Ma qui non si può protestare se non hai un avvocato di fiducia. In questo carcere umiliano i detenuti e fanno abusi di potere ogni giorno. Ho scritto cinque lettere a quello che si chiama "garante dei detenuti" di Paleremo, Salvo Fleres, ma nessuno si è fatto vedere. Come si sa, uno sciacallo non aggredisce un altro sciacallo; e questi, qui, fanno davvero sciacallaggio.
Sono 5 anni che chiedo l'estradizione nel mio paese; ho sempre scritto a Napolitano. Da parte sua ha sollecitato il ministero di giustizia. A gennaio sempre mi danno il modulo per l'estradizione che compilo e consegno alla matricola. E' così da 5 anni, si ripete sempre la stessa cosa.
Mi fa tanto ridere sentire dalla tv tanti politici che dicono: questo è un paese "democratico" e "civile". In realtà qui c'è dittatura. Sono stato nelle carceri slave, in Croazia e Bosnia. Nel 1977 sono stato nel "famigerato" carcere sull'isola di Goli Otok, a Jeroslav, S. Gradisica. Là c'era disciplina, ma si viveva meglio di qui. C'erano regole per tutto e tutti lavoravano, c'era civiltà vera, non finta come nelle carceri in Italia.
Mi viene da ridere anche quando sento dire da certi politici fascisti che Tito era un dittatore; invece le cose stavano così: lui mandava in galera quelli che rubavano allo stato. Se in Italia ci fosse giustizia dovrebbero stare dentro tanti parlamentari e dirigenti che si sono arricchiti, rubando allo stato italiano.
Spero che questa lettera vi arrivi. Dovete sapere che qui non spediscono le lettere con il vostro indirizzo. E' una cosa triste, in Italia ognuno dà la colpa all'altro. Qui succede la peggior cosa che ci sia: rubar soldi ai detenuti, perché noi non possiamo fare niente. Loro, dirigenti, gestiscono i pochi soldi che hai; ti obbligano a comperare quello che vogliono loro e ti obbligano a mangiare tutte queste schifezze dell'amministrazione. Mi chiedo: perché nelle carceri italiane è consentito rubare ai detenuti, perché non c'è mai un controllo su questi "affari" sporchi? L'ex ministro della giustizia, povero, non aveva tempo di occuparsi di noi detenuti, lui si preoccupava di salvare Berlusconi e altri politici, altro che democrazia e giustizia!
Ho scritto 10 lettere al "DAP" ma nessuno di loro mi ha mai risposto.
Vi mando un saluto, Jasmir

10 dicembre 2011
Sabanovic Jasmir, v. Bachelet, 32 - 90129 Palermo
lettera dal carcere di torino
[…] ho ricevuto la tua lettera con i francobolli, hanno provato a negarmeli, sembra che non si possano ricevere tanti bolli in galera, poi l'ispettore ha detto che siamo sotto natale, ma che non si ripeta più! Dopo le mie proteste sono stato trasferito in un'altra sezione, ho ricevuto il tabacco e le spese, ma le condizioni nella sezione "nuovi giunti", rimangono quelle che ti ho descritto. Domenica prossima ci sarà un presidio di fronte al carcere e di certo non é mancata la solidarietà! Ho ricevuto lettere e messaggi via radio e mi sento fortunato e adulato quando penso a tanti compagni che languiscono in prigione, senza ricevere una cartolina da anni. Sto facendo anche autocritica, nonostante io partecipi da anni all'esperienza della "cassa di solidarietà delle Alpi Occidentali", ho dovuto assaporare la privazione della libertà per capire l'importanza di una lettera o di un messaggio quando ti ritrovi in carcere. Comunque, bando ai rimpianti e alla tristezza, mi sto ambientando e riesco ad andare d'accordo con tutti, persino con gli italiani… Mi ha fatto piacere sapere che ti é arrivata la mia lettera, che ho spedito nei primi giorni di detenzione; invece, le decine di lettere che ho inviato a tanti compagni, non sono giunte a destinazione, compresi i telegramma! Così é la galera!
Un abbraccio a testa alta.

15 dicembre 2011


Lettera dal carcere di S. Gimignano
carissimi/e compagni/e di ampi orizzonti, […] vi comunico che sono stato trasferito dal lager dove ci siamo conosciuti, ma non ho mai smesso di pensarvi e di scrivere ai compagni conosciuti tramite la corrispondenza con voi.
Dalla lettura delle lettere che i compagni prigionieri inviano e dagli ultimi sviluppi nelle carceri di Monza, Ancona e Parma, abbiamo la certezza che ci sono compagni, vivi e vegeti, che si ribellano al potere che governa i lager italiani. Perciò dobbiamo tenere duro e andare avanti.
Sono ancora novello nel lager di S. Gimignano; è più vivibile di quello di Prato, ma è pur sempre un carcere, e i carceri buoni non esistono! Al primo impatto però, dovrò approfondire meglio, ho percepito che il lager di S. Gimignano, come quello di Prato, è sovrarappresentato da prigionieri stranieri! E i sei lager in cui ho vissuto in questi 10 anni di prigionia mi portano ad affermare che il sovrasviluppo del settore penale per il regime è la necessaria quanto indispensabile contropartita del declino dello stato sociale, mentre il tandem ghetto-lager è il complemento della politica di criminalizzazione della miseria e della povertà, voluta e poi perseguita con brutalità dalle forze del regime.
Per quanto riguarda me, alla vigilia di Natale ho incassato l'ennesimo rigetto sul trasferimento richiesto per avvicinarmi alla famiglia che risiede in Piemonte. Da tre anni a questa parte ho ricevuto cinque rigetti di questo tipo. Chissà, forse gli addetti ai lavori stanno usando su di me (dato che questa è la mia terza carcerazione) il sistema penale americano, che, grazie all'espressione del baseball, recita: "Three Strikes and You're Out"! Solo che, nonostante "Three Strikes", "I'am not Out!". E mentre gli illuminati adetti ai lavori si divertono assai a rigettare le mie richieste, io ho preso gusto a chiederli!
Un saluto a voi e ai prigionieri che lottano. A testa alta, fono alla fine!

27 dicembre 2011
Mirgen Krepi, Località Ranza, 20 - 57037 S. Gimignano (Siena)
lettera dal carcere di porto azzurro (li)
Ciao, come avevo previsto, sono stato trasferito da un lager ad un ghetto, e mi sono perso pure la festa di sabato 17 dicembre con gli amici anarchici. E non ti dico che razza di inferno ho dovuto passare per arrivare qua. Adesso piano piano cerco di avvisare tutti i compagni di dove mi trovo, anche se ci vorrà un po' di tempo per tornare a regime regolare. Oramai a Prato mi avevano bollato e beccato a fare discorsi anarchici e quindi la loro vendetta é stata quella di farmi allontanare, ma ciò non basterà a farmi vacillare, io sono convinto della mia scelta, e quindi proseguo nel mio cammino, in ogni caso non stare a preoccuparti, io sto bene, sia fisicamente che mentalmente. Magari se puoi nella tua prossima lettera, farmi sapere come é andato il presidio giù a Prato (ammesso che tu ci sia potuta andare). Da parte mia spero siano venute giù le mura, o almeno me lo auguro. Poi avrei bisogno di sapere se sei al corrente se fanno o no presidio anche qua a Porto Azzurro, da quel che ne so io non credo. Con immensa amicizia e stima, Riccardo Vannucchi.

22 dicembre 2011
Riccardo Vannucchi, via Forte Giacomo, 1 - 57036 Porto Azzurro (Isola D'Elba) Livorno


Lettera dal carcere di Iglesias (ci)
Carissimi/e compagni/e, ho ricevuto l'opuscolo del mese di ottobre, forse in ritardo causa il mio trasferimento. Dopo la lettera scritta sull'opuscolo sono stato "sballato", trasferito qui al carcere di Iglesias, il cui direttore è lo stesso del carcere Buoncammino di Cagliari. Qui ti tolgono tutto, a cominciare da cose banali come il cappuccio e la cintura dell'accappatoio, i lacci delle scarpe. Si è costretti a convivere con persone che con noi detenuti comuni non hanno niente a che spartire: ex sbirri, pedofili, sex offender, persino un violentatore di un povero cane.
E' possibile tutto questo? La mia riflessione è questa: noi detenuti che subiamo ogni giorno angherie, soprusi, penitenze anche fisiche da parte di direttori, guardie riteniamo ingiusto vedere che questa gente in pubblico si presenti e sia accettata come rispettosa della nostra umanità e dignità, quando è vero senz'altro il contrario.
Vi invio un augurio di buon natale e di felice anno nuovo… Ciao Davide

16 dicembre 2011
Davide Matta, Località Sa Stoia, 16 - 09016 Iglesias (Cagliari)


lettera dal carcere di gardolo (tn)
Hola! Ho ricevuto il tuo telegramma e subito ti rispondo per salutarti. Io sto abbastanza "bene"; il morale dopo i primi giorni che sono quelli più pesanti, è alto; poi in teoria dovrò restare solo un mese e mezzo e poi passare ai domiciliari che si sta un po' meglio. Questo carcere in confronto alle Vallette, per le cose materiali tipo celle nuove con docce, riscaldamento e per fare pulizia, c'é tutto, ma é più opprimente rispetto alla sorveglianza.
Qui tutto é videosorvegliato, tutto é automatico, pure per fare la barba non ti lasciano tenere le lamette come in altri carceri; solo due giorni insomma pure per farti la barba devi stare a chiedere e sempre con menate per piccole cose che ti ricordano meglio dove stai. Per il resto tutto come il solito; il mio compagno di cella é simpatico e si sta bene, ci troviamo d'accordo che qua dentro é importante. Poi anche c'é una bella biblioteca con libri interessanti, mattoni che fuori non avrei la pazienza di leggere!
Per adesso ti saluto, un abbraccio.
A cresta (testa) alta, sempre!
16 novembre 2011
Juan Sorroche Fernandez, via Cesare Beccaria, 13 - 38014 Spini di Gardolo (Trento)

Il carcere di Spini di Gardolo (TN) è un carcere nuovo, il primo costruito con capitale misto pubblico-privato, è stato inaugurato un anno fa, il 31 gennaio 2011.


Lettera dal cacere di Opera (mi)
Ciao a tutte e tutti, i compagni dell'Associazione Culturale Rebeldies (via Savona, 10 - 12100 Cuneo) mi hanno inviato il libro scritto dal nostro compagno Claudio Lavazza sottoposto al regime FIES dallo stato spagnolo. Esprimo solidarietà al compagno Claudio e invito tutti a scrivergli e a riportare le lettere sugli opuscoli di movimento, così da poter avere notizie sulle lotte condotte nelle prigioni della Spagna.
Saluti tribelli, un saluto a pugno chiuso a tutte e tutti, l'anarchico William

18 dicembre 2011
William Pilato, via Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)


sul presidio attorno a S. Vittore del 24 dicembre 2011
Nel momento in cui amnistia, indulto, "arresti domiciliari" sottoposti alle limitazioni del governo e del parlamento, per chi è in galera si stanno dimostrando solo fumo negli occhi e illusioni, dare sostegno anche fuori alle rivendicazioni, alle proteste interne è fondamentale. Così anche a Milano nel tardo pomeriggio della vigilia di natale è stato tenuto un presidio itinerante attorno a S. Vittore. Una sessantina di persone solidali accompagnate dall'impianto sonoro sono riuscite a comunicare con l'interno, a far sentire la propria vicinanza, con le parole e la musica. Ad un certo punto dentro e fuori si è riusciti, assieme, a fare una battitura e a urlare "Libere tutte", "Liberi tutti".
Al piccolo corteo si sono uniti alcuni famigliari usciti dal colloquio, contribuendo con i loro interventi a rendere ancor più concreta e umana la comunicazione.
In altri interventi è stato ribadito il principio che la possibilità di conquistare una riduzione generalizzata delle condanne, o qualcosa di simile, passa inevitabilmente per il rafforzamento della lotta interna e della sua organizzazione, cioè, dalla capacità di collegarla con la lotta sui posti di lavoro, nei quartieri per la casa, nelle scuole… In altri ancora è stata espressa solidarietà alle proteste esplose nelle ultime settimane in diverse carceri (Parma, Ancona, Bologna, Velletri, Roma Regina Coeli…), invitando i prigionieri a raccogliere informazioni e a comunicarle fuori, così da vincere l'inevitabile censura e a ostacolare le sicure feroci rappresaglie dei carcerieri contro chi tiene la testa alta.
Botti e fuochi d'artificio, con il loro clamore e chiarore, hanno contribuito a tener calda l'atmosfera in generale.

Milano, dicembre 2011


capodanno fuori dal carcere di monza
Allo scoccare dell'anno nuovo in ottanta siamo andati a portare i nostri saluti e la nostra solidarietà sotto le mura del carcere di Sanquirico. Abbiamo cercato per quanto possibile di trascinare fuori dal centro e dai quartieri un pezzetto di quella felicità e di quella festa che riempiva le strade e le case dei cittadini monzesi. Abbiamo cercato anche solo per venti minuti di condividerle con i detenuti, regalando loro un po' di luci e rumori con fuochi d'artificio, botti, battiture, slogan e uno speakeraggio con cui si spiegava il motivo che ci ha spinto ad andare sotto quelle mura per ribadire ulteriormente il nostro rifiuto per ogni forma di detenzione. Abbiamo pensato fosse importante per noi "liberi" e gradito a loro "reclusi" creare un momento per legare il dentro al fuori, anche se soltanto in maniera simbolica, e che esprimesse la ragion d'essere del nostro collettivo.
Siamo convinti che questo gesto sia stato molto importante sia per dimostrare che qualcuno fuori si interessa a quel che succede dietro le mura e che, soprattutto in situazioni come quella del carcere di Monza, in cui due settimane fa si è ucciso un detenuto e dove le condizioni strutturali e di permanenza sono pessime, sia d'importanza fondamentale far sentire la nostra vicinanza nei confronti dei ristretti, specialmente in un giorno di festeggiamenti come l'ultimo dell'anno.
Abbiamo provato e i fatti ci hanno dato ragione: la risposta giunta da dentro è stata calorosa e molto partecipata. Grazie anche all'eco naturale dell'ambiente circostante le grida di ringraziamento e gli inni alla libertà hanno vibrato nitidi nell'aria e hanno davvero raggiunto i nostri cuori. Il calore empatico creatosi ha rinforzato la nostra convinzione che la lotta contro qualunque forma di reclusione, siano essi carceri, CIE, TSO o OPG e contro un potere che sempre più reprime senza mai dare risposte, se non creando nuovi luoghi di prigionia ai margini delle città e lontani dagli sguardi del cittadino medio, sia una lotta fondamentale per ogni collettivo o individuo che fa politica.
Contro il carcere e la società che lo crea.

CordaTesa
cordatesa.noblogs.org

Lettere dal carcere di Imperia
[…] Vi posso fare una domanda? Ma cosa vi spinge a fare questo? Credetemi, ricevere a natale quei libri è stato uno dei più bei regali della mia vita e, in più, da persone che non so nemmeno come si chiamino. Non mi sono sentito solo. Grazie tre volte.
Ragazzi scriviamo di più, facciamo sapere cosa c'è qui. Con stima, Marco

1° gennaio 2012
Marco Tassone, via Agnesi, 2 - 18100 Imperia

Ciao Marco, ti chiedi, ma quale idea li spinge? Ci siamo riconosciute e riconosciuti bene in una lettera di qualche mese fa dal carcere di Nuoro, in cui era scritto: "Ciò che fate è molto bello, ricordo quando stavo al 41-bis, solo tre libri in cella, proprio per cercare di spegnere il cervello…". Tenere aperto il cervello per tenere aperto il bisogno e la capacità di relazioni, conoscenze, per non soggiacere a chi vorrebbe incantarci, intimorirci per tenerci sotto, sfruttati, ignoranti, divisi, prigionieri, per combatterlo, per essere capaci di scegliere da sé, per essere libere, liberi… sì certo, ci spinge la lotta anche contro ogni tipo di carcere, per la libertà… Un abbraccio da noi tutte e tutti.

***
Cari compagni/e di Olga, […] riguardo al punto che non condanno chi collabora o chi se la canta: questo discorso non l'ho finito, cioè, troppe volte persone che non sono mai state in carcere, molte figlie/i di papà messe nel giro perché avevano soldi liquidi per fare certe spese, che, certi, come me, non potevano fare. Ciò nonostante ho dovuto fare liti da coltello per spiegare la mia contrarietà a coinvolgere codeste persone in situazioni, in cui, se si "cadeva"(= arrestati) queste non potevano reggere l'omertà. Al massimo ci si poteva far prestare i soldi, ma non immischiarli a noi. Purtroppo le cadute ci sono state per colpa, oltretutto, dei figli di papà. Una volta in cella, a chi si lamentava con me, gli dicevo: ve l'avevo detto, non mi avete ascoltato. Lo si sapeva che andavano piatti (= collaborare, cantare). Ora muti, ci facciamo la cavallina (= galera, 5/6 anni).
Ora ritorno a te caro compagno detenuto. Spero che con questo mio scritto chiarificatore ti abbia comunicato un po' di come la ragiono. Scoppiasse una guerra civile sarei in prima linea contro 'sto governo di porci. Te lo metto per iscritto. OK
Un grosso abbraccio a tutti voi, Adriano

2 gennaio 2012
Adriano Levratto, via Valle ArmeA, 144 - 18038 Sanremo (Imperia)

La lettera è una replica alle critiche ricevute nel numero precedente dell’opuscolo.


lettera dal Carcere di Ivrea
Ciao, ho ricevuto il tuo telegramma e grazie ancora per le parole di stima. Ma io sono una persona come le altre che crede nella rivoluzione e giustizia sociale, purtroppo viviamo in un mondo di merda capitalista e fascista.
Come dimostra quello che succede in valle, che la maggior parte della popolazione é contraria all'opera, e gli sgomberi delle case occupate, squat, che ci sono stati a Torino. Per quanto mi riguarda i PM e i giudici alla fine ce l'hanno fatta a farmi stare per molto tempo in carcere. Infatti mi avevano già condannato a 6 mesi di reclusione con la condizionale per non avere svolto il servizio militare. Poi sono stato arrestato nei giorni del G8 a Genova con tanto di pestaggi e torture e rimasto recluso tre giorni al carcere di Pavia.Ti posso dire che stare 3 giorni in carcere quasi non te ne accorgi, invece adesso sto male; oltre le condizioni in cui vivo, tipo celle quasi sempre fredde, sovraffollamento delle celle (anche 3 persone per cella), sopraffazione di alcuni detenuti che non capiscono le ragioni del NO TAV, situazione avversa. Con il cibo, perché essendo vegetariano, quasi vegano, qui decidono loro cosa portarti. Ma quello che mi fa stare più male é non partecipare alle lotte, non stare in valle, fare controinformazione, vedere i compagni, partecipare alle feste, alle cene benefit vegetariane e vegane, concerti, iniziative, ecc... Insomma la libertà.
Il reato che mi hanno contestato e per cui mi hanno condannato a un anno e mezzo di reclusione, non é per le scritte e imbrattamento di muro, ma interdizione dell'attività aereonautica. Quello di cui ho bisogno é se mi puoi procurare per favore, libri di ecologismo radicale tipo quello su Marco Camenish, quello sull'ALF, tematiche ed analisi di lotte animaliste radicali, il libro "Liberi dalla Civiltà", testi su biotecnologie e nanotecnologie, e le lotte all'interno dei CIE e Anticarcerarie.
Sopratutto dei tappi per le orecchie perché gli altri detenuti con la televisione accesa mi distraggono dalla lettura e non c'é una sala lettura. [...]
Mi sono dimenticato di dirti che il 24 febbraio, ho anche l'udienza di decreto di citazione a giudizio per aver fatto delle scritte contro la "Busiarda", é chiamato così il quotidiano La Stampa, ingresso 22, aula 82, piano primo alle ore 9,00 presso il Tribunale di Torino di Corso Vittorio Emanuele, 130, settore 2.
Mi farebbe molto piacere se mi scrivi altre volte.
Baci ed abbracci da Stefano.

28 dicembre 2011
Stefano Mangione, Corso Vercelli, 165 - 10015 Ivrea (Torino)


SULLE ULTIME MOBILITAZIONI IN VAL SUSA
Sono mesi che cerchiamo di sostenere i NO TAV in val di Susa. Fin da principio ci è sembrato importante parteciparvi e portare nella nostra città un po’ di quella lotta, sia per quanto riguarda l’informazione sia per il coraggio e la determinazione che i valligiani dimostrano nel non capitolare di fronte ad un progresso che calpesta le loro e le nostre vite.
Non staremo a ripetere nuovamente i motivi che ci spingono contro l’Alta velocità e nemmeno gli interessi del Capitale in quest’opera, vogliamo per una volta cercare di esprimere le nostre passioni. La gioia che proviamo quando mettiamo piede in quella terra di montanari testardi e ribelli ci dà la carica per tornare a fare meglio di prima, continuando a scegliere la strada in salita che più ci contraddistingue ma che con più forza e convinzione riprendiamo a percorrere.
L’8 dicembre doveva essere una grande giornata in cui ricordare una vittoria memorabile del movimento: la conquista nel 2005 del cantiere per il TAV a Venaus. Quest’anno l’obiettivo era di avvicinarsi alle reti a viso scoperto per cercare di tagliarle tutti assieme.
Da una parte di quelle reti e del filo spinato si presentano le forze dell’ordine già in tenuta antisommossa, dall’altra la gente che infrangendo il divieto di manifestare vuole riprendersi la propria terra. La tensione che è presente nei momenti come questi, in cui tutto può accadere, sale quando la polizia comincia a sparare i lacrimogeni ancor prima di riuscire a raggiungere le reti. I lacrimogeni che usano sono al CS (sostanza proibita in tutte le guerre dalla convenzione internazionale sulle armi chimiche poiché cancerogena), chiaro l’intento dello Stato: non disperdere solamente la gente ma anche potenzialmente uccidere chi vi si oppone. Chi con la maschera antigas, chi con un fazzoletto, si cerca comunque di avanzare in una lotta impari ma che le proprie ragioni e idee spingono a parteciparvi e sostenere.
La violenza della polizia non accenna a estinguersi e ciò non stupisce. E’ sufficiente pensare alle retate che ci sono nelle nostre città, ai pestaggi nelle carceri che sono comunque solo l’aspetto più visibile di una democrazia che trova nel manganello l’unico modo per farsi rispettare.
Non abbiamo mai avuto simpatia per gli sbirri. Il solo fatto di essere disposti a menare la gente se è un ordine che glielo impone ci fa pensare che codesti elementi assomiglino di più a macchine che ad esseri umani. La val Susa ci ha confermato le nostre idee. I poliziotti non fanno altro che difendere gli interessi del potere e se l’ordine è di usare i lacrimogeni a nessuno di loro importerà sapere se stanno ferendo gravemente una persona: l’obbedienza, per loro, è una virtù indiscutibile!
In questa giornata ci sono stati numerosi feriti tra cui un ragazzino colpito tra l’occhio e l’orecchio mentre cercava di spegnere il fuoco causato dai lacrimogeni e un nostro caro compagno di Padova. A loro va tutta la nostra solidarietà, una solidarietà che assomiglia a quelle mani che vengono tese tra no tav nel momento in cui si percorrono i sentieri di montagna con la certezza nel cuore di scacciare le truppe occupanti.
Vivere nella lotta in val di Susa ci ha fatto emergere dal fango quotidiano per condividere dei momenti in cui denaro, profitto, opportunismo, individualismo di massa sono automaticamente banditi.
E’ un movimento che attraverso un’occupazione è riuscito a trasformare per diverse ore uno dei posti più desolanti di questa nostra civiltà, l’autostrada, in un luogo di incontro, divertimento e assemblea. Finché tutto questo rimarrà non ci sarà nessuna criminalizzazione politica e mediatica, nessuna violenza poliziesca, nessun lacrimogeno, nessuna rete con filo spinato che ci fermerà. Un monito a coloro che conoscono solo la violenza e la certezza che il deserto che hanno creato con la distruzione ambientale e umana non raggiungerà mai le nostre vite, la nostra lotta e le nostre passioni.
Amore e rabbia sono la nostra forza.
A SARA’ DURA PER TUTTI COLORO CHE CI METTONO I BASTONI TRA LE RUOTE.
UN GRIDO DI BATTAGLIA MA ANCHE UNA PROMESSA DA MANTENERE

16 dicembre 2011
da collettivo808.noblogs.org

***
Fiaccolata solidale con i feriti dell’8 dicembre
Venerdì 16 dicembre Fiaccolata No Tav per i feriti dell’8 dicembre ore 20,30 partenza dal campo sportivo di Giaglione, giro delle frazioni e ritorno alla partenza (per raggiungere il campo sportivo passare dal secondo ingresso, evitando di passare dalle frazioni basse – S. Stefano e S. Gregorio perché la strada non consente incroci). Per l’occasione ci sarà una raccolta fondi solidale con i feriti.
L’8 dicembre la polizia ha ancora una volta sparato lacrimogeni ad altezza d’uomo ferendo decine di persone e intossicando tutti quelli che non avevano protezioni adeguate. I feriti più gravi sono stati due.
Andrea, colpito all’occhio da un candelotto, ha subito il distacco della retina, la perdita del cristallino, la frattura di zigomo e orbita. Andrea è di Padova, ha cinquant’anni e due figli. Due settimane fa ha perso il lavoro di operaio metalmeccanico. All’oftalmico di Torino è stato operato due volte per ricucire la retina. Tornato a Padova è stato sottoposto ad un intervento maxillo facciale per le fratture. Nei prossimi mesi dovrà essere operato ancora all’occhio: ha tuttavia poche possibilità di recuperare la vista.
Yuri, 16 anni di Venaus, è stato colpito mentre cercava di spegnere uno dei tanti focolai di incendio, innescato dal lancio irresponsabile di candelotti nel secco del bosco autunnale. Il lacrimogeno lo ha colpito da dietro sfregando sopra l'orecchio e strisciando l'occhio sinistro. Ha problemi agli organi dell'equilibrio e l’occhio in fase di valutazione. Giovedì 8 ha dovuto attendere a lungo prima che la polizia permettesse il trasbordo all’ospedale con un’ambulanza. Ne avrà per trenta giorni.
Il 13 dicembre nel fortino della Maddalena hanno cominciato a costruire un muro intorno alla zona occupata. I muri che dividono diventano i simboli di chi non conosce altre ragioni che quelle della forza. Da Berlino alla Cisgiordania sino al Rio Grande.
Non bisogna assuefarsi alla violenza dello Stato. Sappiamo che non si fermeranno di fronte a nulla pur di imporre la realizzazione del Tav. Sappiamo che andremo avanti comunque, nonostante i feriti, gli intossicati, nonostante le denunce e i fogli di via.
I No Tav non si piangono addosso e sanno quanto è forte l’avversario contro il quale lottano da vent’anni. Ma abituarsi alla repressione violenta è un errore, perché uno dei nostri punti di forza è la capacità di indignarsi di fronte al mondo nel quale siamo forzati a vivere. La capacità di mantenere ferma la nostra resistenza giorno dopo giorno.
Per questo è importante questa sera essere in tanti alla fiaccolata indetta dal movimento No Tav in solidarietà con i feriti dell’8 dicembre.

No Tav Autogestione – Torino e Settimo


Tav e militari: Chiomonte, territorio dell’Afghanistan
Chiudete gli occhi. Immaginate un paese di montagna in inverno, con la neve sugli alberi e tra i sentieri. Immaginate poi mezzi blindati, metri di filo spinato e un ingente spiegamento di forze di polizia. Ora riaprite gli occhi e scoprirete che quello che vi può sembrare un villaggio nei pressi di Kabul, in un Afghanistan tormentato da tanti anni di guerra, è in realtà Chiomonte. In Valsusa, a un’ora di strada da Torino. Già, due luoghi così lontani, ma in che quest’inverno sono diventati così simili per l’imponente numero di mezzi militari che presidiano l’area dove sorge il cantiere della Tav. Quello che succede in questi giorni a Chiomonte, che dal primo gennaio diventerà “sito strategico nazionale”, è documentato in un video che i No Tav stanno facendo girare su internet. Così si scopre che basta avvicinarsi alle recinzioni per chiedere qualche informazione perchè le forze dell’ordine che presidiano la zona si mobilitino. Uomini in borghese e in divisa osservano prima da dietro le reti e poi escono. Controllo documenti e identificazione filmata per tutti coloro che si aggirano attorno al cantiere. Poco importa se sono studenti, come capitato nei giorni scorsi a una scolaresca di Bergamo, o valsusini che vogliono capire che cosa succederà dopo il primo gennaio. A Chiomonte, provincia dell’Afghanistan, non si scherza e le uniche luci che hanno illuminato questo Natale sono state quelle dei mezzi blindati che continuano a presidiare la zona.

28 dicembre 2011
da www.notav.info


Tav Genova/Tortona: miliardi e denunce
Un’altra grande opera è ai blocchi di partenza. L’ennesima opera inutile per chi vive e lavora nel nostro paese, ma lucrosissima per gli amici degli amici della destra e della sinistra. Un sistema legale di drenaggio di denaro pubblico a fini privatissimi che ha già devastato mezza Italia.
La nuova linea rischia di compromettere irrimediabilmente il parco naturale delle “Capanne di Marcarolo”, nonché di sconvolgere un delicato equilibrio idrogeologico.
Il CIPE ha stanziato in due tranche, l’ultima ai primi di dicembre, un miliardo e 800 milioni di euro per la realizzazione della linea ad alta velocità tra Genova e Tortona. 53 chilometri di ferrovia – ancora non è chiaro se sarà destinata ai passeggeri o alle merci, che costerà – a lavori finiti - 6,2 miliardi di euro. 115 milioni di euro al chilometro.
Una follia che devasterà la Valle Scrivia e, ben lungi dal realizzare il trasferimento modale dalla gomma al ferro, metterà in comunicazione il porto di Genova con i piazzali per Tir della famiglia Gavio, un nome i cui interessi sono strettamente intrecciati con quelli delle società autostradali.
Non certo per caso, l’accordo sottoscritto a fine settembre tra Rfi, regione Liguria, comune di Genova e provincia di Alessandria, consegna il lucroso appalto nelle mani di Cociv-Impregilo, che rimanda ancora ai nomi di Gavio e Benetton.
Tra chi ha le mani in pasta nell’affare vale la pena ricordare il plurinquisito Ettore Incalza, manager al servizio del Ministero delle Infrastrutture e il viceministro Ciaccia, manager del gruppo Intesa-SanPaolo.
Quando venne ideato il terzo valico si immaginava che nel 2006 ci sarebbero passati cinque milioni di “TEU”. Il Teu è l’unità di misura usata per i container. Oggi, sei anni dopo il 2006, nonostante l’indubbia rilevanza sul piano della logistica di Tortona, i container movimentati sono meno di un milione e ottocento. Se ci fosse una qualche ragione per la realizzazione dell’opera basterebbe quest’unico dato a metterla in discussione. Ma la partita, come già per la Torino Lyon, è un’altra e ben altri sono gli interessi in gioco.
Contro il terzo valico è nato da anni un movimento che, specie nel 2005, ha dato vita a numerose manifestazioni. Una molla forte sono stati gli scempi compiuti in zona con il pretesto di realizzare tre tunnel geognostici, che di fatto sono vere gallerie ferroviarie. Su questi tre “buchi” è intervenuta anche la magistratura che inquisì sia Gavio che Incalza, ma tutto è finito in prescrizione: il potere non fa male a se stesso. Così oggi l’opera è nuovamente in procinto di essere realizzata.
In zona sono ripresi gli incontri e le iniziative di informazione, tra cui un’assemblea tra i No Tav piemontesi e liguri, che si preparano alla resistenza.
Pochi giorni dopo la delibera del CIPE sul terzo valico a 13 No Tav della provincia di Alessandria sono stati recapitati gli avvisi di garanzia per “manifestazione non autorizzata”. Il 28 giugno, all’indomani dello sgombero violento della Libera Repubblica della Maddalena i No Tav della provincia di Alessandria scesero spontaneamente in piazza in solidarietà alla lotta No Tav. Le denunce di questi giorni sono un chiaro avvertimento al movimento contro la nuova linea tra Genova e Tortona. Un avvertimento che i No Tav rispediscono al mittente.

9 gennaio 2011
da anarresinfo.noblogs.org


Volantino dei lavoratori licenziati dei treni notte
Comunicato ai viaggiatori
Gentile cliente, stai prendendo questo treno denominato freccia rossa, poiché probabilmente ti devi recare i Puglia, Calabria o Sicilia.
Devi sapere che dovrai cambiare treno a Bologna oppure a Roma, con tutta una serie di disservizi e disagi, poiché non esistono più collegamenti diretti di vetture letto e cuccette, tra Milano ed il resto del paese.
Milano è il nodo ferroviario più importate del nostro paese che, oltre a collegare il nord con il sud, è anche "la porta dell'europa".
Riteniamo questa scelta delle ferrovie dello stato sbagliata:
- perché compromette la coesione territoriale dell'Italia e il diritto alla mobilità delle persone;
- perché ha eliminato un servizio universale colpendo le classi sociali che più ne hanno bisogno (famiglia, malati, emigranti, ecc.);
- perché sono state lienziate 800 persone.
Al binario 21 della stazione centrale di Milano stiamo raccogliendo le firme per una petizione affinché le ferrovie ristabiliscano tali collegamenti.
La stessa petizione la puoi sottoscrivere utilizzando la pagina facebook: I licenziati dei Treni Notte.
Se ritieni giuste le nostre richieste ti invitiamo a partecipare attivamente alle iniziative che si terranno seguendoci su facebook e twitter.

dicembre 2011
I lavoratori licenziati della torre faro binario 21

***
Sono 800 lavoratrici e lavoratori coinvolti in questa vertenza tra manutentori, impiegati, personale viaggiante, addetti alle pulizie. Licenziamento previsto per l'11 dicembre ed a questi 800 se ne sommeranno molti altri, provenienti dall'indotto. […]
Trenitalia sta ristrutturando il servizio ferroviario italiano: aumento delle tariffe, riduzione dei treni a lunga percorrenza e loro sostituzione con le "Frecce", soppressione dei treni "a basso costo", taglio dei treni notte. Moretti (amministratore delegato Trenitalia, ex segretario nazionale CGIL trasporti) ha dichiarato che i treni notte non sono produttivi e così nella gara di appalto, tenuta a giugno, il servizio é stato tagliato del 50%. A queste condizioni le ditte appaltatrici (perchè ovviamente Trenitalia ha terziarizzato questi lavoratori prima di metterli alla porta) non si sono presentate, il servizio é passato così alla francese Veolia.
La risposta di questi lavoratori é stata esemplare. Essa va conosciuta, imitata, estesa.
Il 24 novembre i lavoratori sono passati all'azione coordinandosi tra città differenti e dando vita all'occupazione della palazzina di via Prenestina 135 a Roma. Ma non solo: presidi, occupazioni, blocchi. A metà dicembre la protesta si è diffusa in molte stazioni italiane: occupazione dei binari a Napoli, seguita dal presidio permanente nei depositi materiale, presidio e occupazione di una torre faro a Milano, protesta simile a Torino, blocco dei binari anche a Messina ecc. […]
La controparte ha gestito la risposta dei lavoratori cercando in particolare di frammentare il fronte di lotta, di distruggere l'unità di lotta che si stava creando: proposta di accordi separati, uso di lavoratori "atipici", anche senza contratto, ricatti ecc. Attualmente la situazione è molto incerta e molte azioni di lotta restano ancora in piedi, nonostante l'azione dell'azienda, portata avanti con la solita complicità sindacale. […]

3 dicembre 2011
Estratti da www.leftcom.org


milano: Nasce il comitato NO TEM di Comazzo
Presenti circa 80 tra cittadini e giovani di Comazzo (in tutto conta 1.200 abitanti) e dei paesi vicini. L’assemblea inizia con degli interventi molto specifici e dettagliati sull’impatto ambientale che questo mega stradone avrà sui boschi, i fiumi, i paesi e i prati della zona.
Da segnalare la simpatica presenza di due volanti dei cc appostate proprio all’ingresso dell’assemblea con digos di Lodi annessa. Gli interventi andavano tutti nella direzione di creare un comitato permanente in grado di fronteggiare l’apertura dei cantieri anche in zona sud. Moltissime le idee, molte le domande, tanta la voglia di provare a creare qualcosa di solido nella zona. Attualmente è attivo un comitato in zona nord dove da mesi si lavora per costruire un presidio permanente che nascerà lungo il tracciato dell’autostrada.
Tra Paullo Comazzo, Melzo e Tavazzano invece si sono formati negli ultimi mesi un sacco di iniziative e assemblee che hanno visto la partecipazione di centinaia di cittadini. Questa opera è un qualcosa di davvero mostruoso: oltre al tremendo impatto ambientale che avrà (interi comuni e interi paesaggi verranno devastati e migliaia di ettari verranno espropriati per ragioni di pubblica utilità) la cosa davvero grave è che questo progetto blocca di fatto l’ampliamento della metropolitana promesso ormai da anni. Sulla strada paullese c’è già un cantiere che, dopo aver preso gli appalti pubblici, ha lasciato una montagna di ferro che si arrugginisce sotto la pioggia. Sulle pareti del cantiere sono già apparse a suon di bomboletta le prime proteste di coloro che sono stanchi di vivere nel caos piu totale per l’assenza di mezzi pubblici.
Le ditte di appalto della Tem e della BreBeMi sono ditte che hanno precedenti per smaltimento di rifiuti tossici, per corruzione per falso in bilancio. L’ultima scoperta della magistratura è che uno di queste aziende si occupava della frammentazione di amianto e materiale tossico per farlo apparire come semplice sabbia e mischiarlo poi con il cemento. L’indignazione popolare è forte, tocca vedere se la mobilitazione avrà la capacità di dare la giusta risposta alla speculazione, alla logica del denaro, e alla distruzione ambientale dando il via ad una lotta comune.
La periferia viene vista e vissuta troppo spesso come un dormitorio, i comitati NO TEM possono essere un occasione per ricomporre e creare qualcosa di davvero interessante in un terreno dove da troppi anni è scomparsa la voglia di lottare.
A breve sarà accessibile un dossier con dati tecnici sulle conseguenza della TEM.
Per tenersi aggiornati sulla situzione di altri comitati: No Tem Sì Metro (notemsimetro.wordpress.com/about) Presidio Permanente Martesana (presidiopermanentemartesana.blogspot.com). Inoltre, é in costruzione un sito che raccoglierà le iniziative e attività di tutti i presidi coinvolti, da nord a sud.

17 dicembre 2011
da milanoinmovimento.com


Mezza Alfa Romeo venduta alla speculazione
ABP (AIG_LINCOLN-FIAT) vende 260.000 mq ad Unipol (CGIL-CISL-UIL), Lega Coop, CCL (Acli-Cisl), Intesa Sanpaolo, Compagnia delle Opere e Brunelli (IPER).
Nei giorni scorsi ABP (AIG LINCOLN-FIAT), già proprietaria di un terzo dei 2 milioni e 350 mila mq dell'Alfa Romeo di Arese, ha venduto 260 mila mq alla società TEA S.R.L.
Si tratta dell'area non ancora costruita davanti alla portineria sud ovest, ove da un anno è in corso il presidio dei 70 lavoratori licenziati dall'azienda spionistica Innova Service.
Su questa enorme area dovrebbe sorgere il più grande supermercato d’Europa.
TEA srl, fino a ieri controllata da CEDRO 99 SRL, è ora controllata per il 76,189% da IPER MONTEBELLO S.P.A., società del gruppo Brunelli, e per il 23,81% da EUROMILANO S.P.A, controllata da Lega Coop, Unipol (CGIL-CISL-UIL), CCL (Acli-Cisl), IntesaSanpaolo, Compagnia delle Opere e Brunelli (IPER).
Il capitale sociale di TEA è di EURO 14.820. Tutto il capitale (?!) è in pegno alla BANCA IMI S.P.A. del gruppo Intesa Sanpaolo.
Presidente del CdA di TEA è Marco Brunelli, padrone del gruppo IPER.
Amministratore delegato è Alessandro Pasquarelli, capo di Euromilano, e il suo progettista è Stefano Boeri, della giunta Pisapia.
Sono anche nel Cda Marisa Josephine Corazza (Finiper), Luigi Arnaudo (ex comitato esecutivo FIAT-IFIL, Rinascente ed Auchan), Andrea Mosca Goretta (direttore di Euromilano ed ex presidente di società di Diego Anemone della P3).
Dopo questa acquisizione, Euromilano e Brunelli, con le società AGLAR, PARTICOM UNO e TEA, controllano i ¾ dei 2milioni e 350mila mq dell'area dell'Alfa Romeo di Arese.
ABP (AIG LINCOLN-FIAT) rimane proprietaria di 180mila mq.
La FIAT ha ancora in proprietà esclusiva 190.000 mq (centro tecnico e centro direzionale) ed ha anche in “affitto” parte dei 320mila mq dell'area del SILOS di proprietà di PARTICOM UNO (Euromilano, e CANOVA 2007 del gruppo Brunelli).
Intanto i 70 lavoratori dell'Alfa Romeo licenziati dall'azienda spionistica INNOVA SERVICE, azienda di servizi sull'area ABP, nonostante il giudice a fine anno abbia sentenziato l'illegittimità dei licenziamenti, sono sempre sulla strada senza lavoro.
E nel frattempo la titolare di Innova Service, Angela Di Marzo, sotto processo a Milano per la cimice messa sotto il tavolo del capo dell'EXPO Giuseppe Sala, continua a gestire all'Alfa per conto dei proprietari dell'area le attività di guardiania, manutenzione e pulizie con altre società (DM, ISMI, ecc..) e con altri lavoratori sottopagati e senza diritti.
BUON ANNO DA TUTTI GLI OPERAI LICENZIATI, DAI CASSINTEGRATI FIAT E DAI GIOVANI DISOCCUPATI DELLA ZONA!
Slai Cobas Alfa Romeo
Arese, 12 gennaio 2012


napoli: scarcerato il compagno Enzo Cinque e tolto l'obbligo di firma a Salvatore Di Nardo
È con immenso piacere che comunichiamo che ieri il GIP Alessandro Buccino, ha disposto la scarcerazione del compagno Enzo e la revoca dell'obbligo di firma per Salvatore. La decisione del GIP è arrivata dopo che il 14 dicembre scorso il giudice del Riesame aveva respinto la richiesta di libertà per Enzo e lasciato intatto l'obbligo di firma per Salvatore.
Ricordiamo che Vincenzo Cinque, Francesco Liguori (dirigenti nazionali del Sindacato Lavoratori in Lotta e lavoratori dell'ASTIR), Salvatore Di Nardo (del sindacato SCO e lavoratore dell'ASTIR) e Katiuscia Sabatino (disoccupata organizzata del Sindacato Lavoratori in Lotta) dal 24 novembre sono inquisiti per "violenza, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale" perché hanno "osato" manifestare in difesa del posto di lavoro, contro la chiusura delle aziende ASTIR e ARPAC Multiservizi e per la conquista di un lavoro utile e dignitoso, in sostanza per la reale applicazione dell'art.1 della Costituzione italiana!
I quattro compagni erano in quella giornata con un centinaio di lavoratori e disoccupati in mobilitazione per ottenere un incontro con le autorità regionali campane presso l'assessorato all'ambiente, ma constatata la persistente latitanza dell'assessore, i manifestanti si erano mossi in corteo legittimamente, pur non avendolo preannunciato alle autorità, per protestare e denunciare alla cittadinanza l'irresponsabile e criminale atteggiamento della giunta Caldoro, che dal suo canto continua la politica di lacrime e sangue contro le masse popolari campane alla stregua del governo Monti.
A seguito della decisione intrapresa dai lavoratori e dai disoccupati di esercitare il diritto democratico di manifestazione, il vice questore, primo dirigente dott. Maurizio Fiorillo della DIGOS di Napoli, lanciava le forze di polizia contro i manifestanti. I quattro compagni che con gli altri avevano resistito con onore e determinazione alla violenta aggressione poliziesca, assaliti e
bastonati venivano ammanettati (in particolare Enzo che era bene ammanettato con la mani dietro la schiena, durante il tragitto nel blindato verso la questura, veniva vigliaccamente e ripetutamente
schiaffeggiato da uno sbirro che gli diceva, "..un'altra volta impari!..") e trascinati in questura per l'identificazione e poi tradotti in carcere. […]
Il GIP Buccino nel suo ragionamento per la convalida degli arresti domiciliari per Enzo e l'obbligo di firma per Salvatore, ha sostenuto le tesi che i compagni arrestati sono dei delinquenti, persone che hanno "comportamenti antigiuridici non occasionali", di avere "propensione all'illegalità", di essere "incapaci di rispettare gli altrui diritti e le altrui libertà", etc. etc. In soccorso e in solidarietà con i quattro compagni colpiti dalla repressione si sono mobilitati a Napoli movimenti di lotta,
Organizzazioni Operaie e Organizzazioni Popolari, ma anche singoli personalità della cultura, della società civile, della politica e delle organizzazioni sindacale. Si sono svolte diverse manifestazioni e presidi di protesta contro la repressione. Oltre 1.000 firme sono state raccolte […].

Napoli 31 dicembre 2011
Associazione Solidarietà Proletaria (Circoli di Napoli e zona flegrea)
asp.napoli@yahoo.it - www.solidareitaproletaria.org,


milano: OCCUPAti GLI UFFICI DELLA CARLO COLOMBO SPA
Ministeri della Lotta in piazza a supporto dell'occupazione degli uffici aziendali da parte dei lavoratori della Carlo Colombo di Agrate, realtà in lotta che anima e partecipa al percorso attivato su Monza e Brianza da precari, operai e studenti. Di seguito il comunicato prodotto dai lavoratori dell'azienda.

Oggi 30 dicembre 2011 un gruppo di cassaintegrati della Carlo Colombo spa di Agrate ha occupato i nuovi uffici dell'azienda a Milano, in via Benigno Crespi, in risposta al ricatto che l'Azienda ha fatto agli operai. Essa infatti ha affermato di non voler chiedere il rinnovo della cassaintegrazione in deroga, peraltro già approvata dalla Regione Lombardia, a meno che gli operai non firmino le loro dimissioni.
L'azienda non è stata capace di ricollocare i suoi lavoratori, come sancito dagli accordi sindacali fatti nel 2008 e nel 2010, dopo la decisione dell'Azienda di spostare la produzione vicino Cremona, e per "liberarsi" del problema vincola la richiesta della cassaintegrazione all'auto-licenziamento degli operai.
L'Azienda si era assunta l'impegno di chiedere la cassaintegrazione prima dell'incontro fissato per oggi 29/12 in Prefettura, (nel quale si sarebbe dovuto discutere delle strategie per la ricollocazione) per poter avere altro tempo per adempiere a quanto previsto dagli accordi; invece, facendo diventare anche la cassaintegrazione materia di discussione, crea una situazione di crisi.
Ma anche questa volta l'Azienda ha fatto male i suoi conti: se pensava di prenderci per la gola e di poterci ricattare, ha sbagliato di grosso. Abbiamo già dimostrato con la lotta che siamo disposti a tutto per far rispettare gli accordi, e anche stavolta non faremo un passo indietro finché l'Azienda non si assumerà le sue responsabilità. Gli uffici resteranno occupati a tempo indeterminato fino a che l'Azienda non chiederà il rinnovo della cassaintegrazione.

Milano, 30 dicembre 2011
da lombardia.indymedia.org

***
Dopo dodici ore di occupazione degli uffici milanesi di via Crespi a Milano gli undici operai della Carlo Colombo di Agrate si sono ricongiunti con i propri compagni e con il presidio di solidali: la giornata di azione e protesta ha raggiunto obiettivi significativi, che ribaltano in parte l'esito del fallimento dell'incontro di giovedì in Prefettura a Monza.
L'azienda, obbligata dall'azione degli operai a rimettere in discussione la propria posizione, ha sottoscritto un accordo in cui si impegna a sospendere le lettere di licenziamento per 41 dipendenti e a incontrare nuovamente i lavoratori il 3 di gennaio presso la Regione. In quell'occasione si tornerà a discutere della richiesta di cassa integrazione in deroga incondizionata (ossia senza la sottoscrizione di alcun impegno da parte dei lavoratori a firmare le proprie dimissioni alla scadenza della cassa).
La partita si è dunque riaperta, ma occorre tenere alta l'attenzione su questo appuntamento del 3 gennaio, in quanto la giornata di ieri si configura come passaggio imprescindibile, ma intermedio, rispetto al conseguimento degli obiettivi dei lavoratori.
Questa mobilitazione ha visto per la seconda volta in poche settimane i Ministeri della Lotta in piazza, in questa occasione impegnati a portare la solidarietà attiva di tanti precari, studenti e altri operai alla lotta di una delle anime di questo nuovo coordinamento di lavoratori, gli operai della Carlo Colombo.
Pensiamo che questa giornata possa in qualche misura restituire fedelmente la natura di un percorso politico autorganizzato che si pone come obiettivo la condivisione di pratiche e contenuti tra diversi soggetti del variegato mondo del lavoro. […]

31 dicembre 2011
da www.scioperoprecario.org



In arrivo liberalizzazioni, privatizzazioni, attacco ai contratti nazionali e all'art. 18
Il decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti contiene misure che preparano la liquidazione di molti degli attuali servizi pubblici, compresa la privatizzazione del trasporto locale, degli altri servizi locali e dell'acqua, infischiandosene del voto di 27 milioni di italiani che si era espresso per il mantenimento dell'acqua pubblica.
Ma c'è anche la soppressione dell'obbligo dell'applicazione del contratto nazionale di settore nelle ferrovie, preludio questo ad un attacco più chirurgico rispetto all'intero impianto della contrattazione e soprattutto ai contratti nazionali.
E si parla anche di articolo 18 e quindi di libertà di licenziamento. In effetti qui l'attacco passa attraverso un sotterfugio: si introduce una frase, alla fine del 1° comma dello stesso art. 18, che allarga la platea di lavoratori ai quali non si applicheranno le tutele relative a quest'articolo dello Statuto dei Lavoratori; tutte quelle aziende cioè che procederanno a incorporazioni o che si fonderanno tra di loro potranno licenziare senza che sia prevista la tutela dell'art.18, se il numero dei lavoratori totale e derivante da tali unione non sarà superiore a 50.
Un provvedimento che rappresenta un grimaldello per poi attaccare le condizioni di lavoro e lo stesso articolo 18 nell'ambito dei più ampi provvedimenti sul lavoro che sono in preparazione.
A fronte di ciò Cgil, Cisl e Uil balbettano, si ricompattano al ribasso e chiedono un improponibile "patto sociale" che li riconosca attori di una nuova ed improbabile concertazione, invece di attaccare pesantemente il governo Monti.
Tutto ciò avviene proprio mentre i sondaggi ci dicono che la fiducia in Monti, da un livello quasi plebiscitario è in discesa ed è ora a circa il 50%; che l'84% degli italiani non condivide la necessità di ridurre il peso dello stato nei servizi socio-sanitari, il 90% per quel che riguarda l'istruzione e in generale il 79% (nel 2001 era il 69%) non esprime propensione verso il privato. Lo stesso sondaggio ci dice che soltanto il 36,6% degli italiani si fida dell'Unione Europea, il 22,7% della Banca Centrale Europea e solo il 15,4% delle banche italiane.
Insomma, sembra proprio che gli italiani non si fidino delle privatizzazioni, dell'Unione Europea, delle banche italiane e della BCE: tutto il contrario di ciò che il Presidente Napolitano, Monti e le forze politiche, sociali ed imprenditoriali che lo sostengono stanno cercando di far passare con provvedimenti urgenti finalizzati esclusivamente a preservare gli interessi delle imprese, delle banche italiane e straniere e della finanza internazionale.
Con le privatizzazioni e le liberalizzazioni, con gli attacchi ai diritti e alle condizioni dei lavoratori, con i “patti sociali” finalizzati alla commistione tra gli interessi delle aziende e delle centrali sindacali non si esce dalla crisi, anzi si peggiora e si scava un fossato sempre più profondo tra chi governa e il popolo.
USB e il sindacalismo di base invece hanno indetto lo SCIOPERO GENERALE per il 27 gennaio ed una grande manifestazione nazionale a Roma per la stessa giornata. Una scadenza che, ne siamo convinti, dimostrerà il forte dissenso che si sta aggregando contro Monti e non soltanto contro le singole misure del suo governo. Un'azione di lotta che si pone in contrasto anche con chi, a livello politico e sindacale, non si sta opponendo al massacro sociale che peserà essenzialmente sui lavoratori e sulle fasce di popolazione che già vivono una situazione di forte disagio. Uno sciopero non soltanto utile a dimostrare dissenso, ma indispensabile per iniziare a bloccare un processo che, se non ostacolato, ridurrà milioni di italiani in condizioni di vera e propria povertà.

12 Gennaio 2012
USB Unione Sindacale di Base


Sulla lotta all'Esselunga di Pioltello (mi)
Mentre gli operai del SI.Cobas in presidio permanente si riorganizzano e propongono di rilanciare la battaglia, Safra ed Esselunga continuano a tentare di demolire le basi del sindacato, convocando i soci per discutere dei livelli produttivi minimi e degli incentivi ad essi collegati; in realtà l'incontro con gli operai non aveva nulla a che vedere con gli incentivi ma era finalizzato a organizzare una "disdetta di massa" dal SI.Cobas per affermare, al suo posto, la presenza della CGIL presente all'ìincontro con un suo funzionario.
Non è certo la prima volta che questo accade; anzi si può tranquillamente affermare che il vero contenuto dello scontro in atto riguarda proprio la scelta degli operai di dotarsi di un adeguato strumento di autodifesa e quindi di conflitto sindacale. Sullo sfondo di quest'ennesimo attacco c'é la prospettiva concreta, di un imminente cambio d'appalto e quindi il ricatto di dover abbandonare il sindacato in cambio del mantenimento del posto di lavoro. Tralasciando i riferimenti legali, di per sè già sufficienti a confutare le affermazioni del sindacato-azienda, la risposta degli operai sembra proprio aver respinto anche questo tentativo: la base sindacalizzata di Safra, pur in situazione di estrema difficoltà e ricatto (continua la pioggia di contestazioni contro gli scioperanti, c'è una riduzione drastica dei turni di lavoro per gli aderenti al SI.Cobas, persiste la minaccia di chiusura e di licenziamenti di massa, ecc) tiene duro e ribadisce la sua fiducia nei contenuti della lotta, respingendo la proposta.
Ormai è chiaro che quest'ultimo tentativo si colloca pienamente nel tentativo di Caprotti & co. di imporre una soluzione finale e concordata al conflitto in atto. Una soluzione espressamente basata sulla messa in campo di trattamenti differenziati per i licenziati (dividendoli cioà fra reintegrati, trasferiti, liquidati con buona uscita) così come espresso dal sindaco di Pioltello, mandato in avanscoperta, nell'incontro di giovedì scorso coi delegati. A maggior ragione siamo convinti che solo l'autorganizzazione e la capacità effettiva di lotta potranno permetere sbocchi vincenti.
Questo è stato il succo dell'assemblea del 21 dicembre davanti ai cancelli, insieme alla capacità di progettare la continuazione della campagna per la cassa di resistenza anche per il mese di gennaio e di proseguire con le iniziative davanti ai punti vendita Esselunga della Lombardia e non solo.
Il 2012 inizia con un vile attacco notturno alle effigi del presidio stesso, strappando furtivamente striscioni e bandiere, il giorno stesso in cui il tribunale del lavoro ha fissato la prima udienza per i 4 licenziati della cooperativa Apollo (i "fatturisti" del reparto drogheria). Quale che sia l'esito di questa vertenza interminabile, una cosa è certa: il presidio permanente produce un gran fastidio per i dirigenti di Esselunga ed è lecito prevedere un innalzamento della tensione, pur di sbarazzarsi di un avversario scomodo. Altrettanto certo il fatto che non resteremo a guardare.
La notte del 5 gennaio i camion sono stati bloccati per quasi due ore da un presidio spontaneo che ha fatto seguito all'assemblea serale. L'iniziativa aveva l'obiettivo primario di rispondere agli attacchi subiti dal presidio, avvenuti la notte del 2 gennaio sotto l'occhio vigile delle forze dell'ordine che presidiano stabilmente i cancelli di Esselunga. Allo stesso tempo si è inteso dare un ulteriore segnale a Esselunga che non potranno dormire sonni tranquilli fino al ritiro dei licenziamenti politici (giunti ormai a 24) e al conseguente avvio di una seria trattativa sulle condizioni di lavoro all'interno dei magazzini
E' giunta anche notizia di uno sciopero spontaneo degli operai della cooperativa "Rapida" nei magazzini Esselunga di Biandrate (NO) contro il tentativo di licenziare alcuni lavoratori afghani.
L'8 gennaio si è tenuta una partecipata assemblea a Pioltello sulla base del seguente appello.

***
A tutti gli operai delle fabbriche in crisi
A tutte le situazioni operaie in lotta
La situazione già drammatica per decine di migliaia di operai e per le loro famiglie, a causa di una crisi entrata ormai in una fase irreversibile, diventa ancor più drammatica con la scesa in campo del governo Monti, vale a dire con la scesa in campo diretta del grande capitale finanziario internazionale. Non stiamo qui a elencare i contenuti dell'ultima devastante manovra finanziaria se non per sottolinearne un'essenza che non sarà certamente sfuggita a nessuno: si leva qualche briciola ai padroni per dare una grossa bastonata all'insieme del proletariato.
La realtà che ne emerge è di facile interpretazione: centinaia di migliaia di nuovi disoccupati, taglio a qualunque forma di sostegno sociale e quindi miseria per milioni di persone private di salario e di prospettive. Per contro, nei rami produttivi che ancora tirano, si rasenta lo schiavismo, con un super-sfruttamento senza precedenti e la negazione totale dei diritti dei lavoratori.
In questo quadro, apparentemente desolante, c'è però chi ha deciso di mettersi in gioco fino in fondo, di alzare la testa e dire basta. E' certamente il caso dei lavoratori immigrati delle cooperative della logistica e della grande distribuzione, col caso emblematico dell'Esselunga, da ormai tre mesi in lottta, e che hanno pagato col licenziamento politico il loro coraggio. Ed è il caso di tutti quegli operai che hanno deciso di picchettare le proprie aziende costituendo, nei fatti, una rete di resistenza.
Tutte queste esperienze possono e debbono cercare una strada comune, consapevoli che sono in gioco le prospettive di lotta dell'insieme della classe operaia e i destini della società per intero. E da questa considerazione che partiamo per estendervi l'invito all'assemblea dell'8 gennaio (ore 11, via Perugino - Pioltello, di fronte alle poste) indetta dal presidio permanente dell'Esselunga di Pioltello come passaggio fondamentale per verificare le possibilità di trovare una linea comune e di definire iniziative adeguate per rispondere agli attacchi in corso.
Consapevoli dell'inadeguatezza di qualunque forma di lotta e di resistenza che si chiuda nel proprio specifico, senza per questo ridurne l'importanza, ci auspichiamo la possibilità di definire un percorso che giunga a breve alla costruzione di un'assemblea operaia autoconvocata, fuori da ogni logica di appartenenza, di parrocchia, di bandiera, per affermare piuttosto la possibilità di unirsi in quanto classe per difendere i propri interessi specifici su una piattaforma comune e radicale, per definire forme di lotta unitarie adeguate alla fase in corso, per riaffermare finalmente una prospettiva anticapitalista per l'insieme della società.

Presidio permanente - Esselunga Pioltello

Domenica 15 gennaio, nel tardo pomeriggio è cominciato un picchetto davanti ai cancelli che ha bloccato il cambio turno previsto per le 18. La polizia, sopraggiunta in ritardo forse a causa della concomitanza della partita Milan-Inter, si è schierata ed ha costretto il presidio ad arretrare per consentire ai lavoratori delle cooperative ALMA e RAT di poter entrare. Per la prima volta in tre mesi nessun lavoratore ha accettato di entrare a lavorare in queste condizioni, ovvero forzando il picchetto con l’aiuto della polizia, e dopo alcune assemblee hanno deciso di andarsene a casa sotto lo sguardo attonito di capetti, funzionari e del dirigente del piazza della Digos che tanto si è speso per “normalizzare” - sue parole - la situazione. Quanto accaduto dimostra che la difesa della propria dignità e la coscienza di classe procedono insieme.
Al presidio erano presenti anche delegazioni di operai della logistica di altre aziende (DHL, IKEA) venuti per dare il loro contributo e per verificare la possibilità di praticare percorsi di lotta simili nei rispettivi posti di lavoro.