indice n.67

aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i C.I.E.
Lettera dal carcere di rossano scalo (cs)
Lettera dal carcere di Iglesias (ci)
lettere dal carcere di velletri (roma)
lettera dal carcere di Bergamo
LETTERA DAL CARCERE DI PALERMO
lettera dal carere di prato
lettera dal carcere di trapani
Comunicato dal carcere di Saluzzo
Noi e i compagni in carcere
due lettere dal carcere di spini di gardolo (tn)
Lettera dal carcere di Torino
Lettera dal carcere di san vittore (mi)
lettera di tobia dagli arresti domiciliari
breve cronologia della lotta contro il tav
Una lettera di luca dall’ospedale
11 Aprile, L’appello del Movimento NOTAV
Napoli: Perquisito Centro Studi Libertari "Louise Michel"
Perquisite le case di compagni anarchici per 270bis e 280
firenze: ZITTO E MOSCA!
Nuove occupazioni a Milano
padova: RIPRENDIAMOCI GLI SPAZI
roma: Aggressione fascista a casalbertone
SUL MOVIMENTO DEI FORCONI
milano: sul processo per la lotta alla INNSE
Pioltello(mi): Tutti davanti ai cancelli di Esselunga
gls di cerro al lambro (pc): la battaglia non conosce soste
sull'incidente alla Lafumet di Villastellone
Lavoro: Il "modello tedesco"
Modena: 10.000 operai bloccano l'autostrada
Call for action, European Day of Action against Capitalism


Aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i C.I.E.
Milano, venerdì 2 marzo
Tramite i parenti, ci giunge notizia dal Cie di via Corelli che un ragazzo per evitare l'espulsione ha compiuto un gesto che ha messo a rischio la propria vita, ingurgitando diversi oggetti non commestibili. E' stato portato al pronto soccorso e ricoverato all'ospedale. Questo gesto lo aveva già fatto dopo alcuni giorni di detenzione nel Cie di Torino, con la conseguenza di un'operazione allo stomaco per togliere tutti gli oggetti ed evitare il foglio di espulsione e rimpatrio entro 7 giorni. Naturalmente si è dato alla macchia e la settimana scorsa ad un controllo dei documenti in Svizzera è stato portato in aereo a Milano e dopo avergli preso le impronte digitali lo hanno riportato dentro le mura del Cie con mandato di espulsione coatta. Per evitare l'espulsione decide di compiere lo stesso gesto autolesionista che lo aveva riportato alla libertà. Viene operato e trasferito nuovamente nel Cie. Allora ingurgita ancora oggetti ed il giorno dopo viene riportato all'ospedale, ma questa volta al reparto di psichiatria dell'ospedale Niguarda con contenzione fisica per il primo giorno poi quella sedativa. Dopo giorni, in psichiatria denunciano la sua scomparsa, speriamo respiri aria di libertà il più possibile! Hourria!
Gruppi di 10-12 sbirri in tenuta antisommossa riparati da capo a piedi con i loro para stinchi, pistola, giubbino antiproiettili, scudo,casco e manganello direzionato verso chi si trovi davanti; al guinzaglio un cane ammaestrato per trovare la presenza di droga, irrompono in ogni stanza ordinando di uscire, a turno messi contro il muro, controllati da capo a piedi con mani e metal detector per poi passare alla stanza, dove ogni cosa viene gettata a terra, per poi non trovare nulla, nessun telefono, severamente vietato, nessuna droga, ma dopo la cena ti verrà data la terapia per spegnere il tuo cervello e per calmare la rabbia che ogni giorno cresce. Detenzione, umiliazione, razzismo, aggressioni psicologiche e fisiche, annientamento dell'essere, espulsioni coatte comandate dalla legislazione di quella istituzione, di quella carcerazione per mancato pezzo di carta.
Martedì 20 marzo, 2 reclusi riescono ad impossessarsi delle chiavi di tutte le sezioni (5) ed aprono tutte le porte, purtroppo primeggia la paura e all'arrivo degli antisommossa arrestano i due che vengono portati a San Vittore, da un'oppressione all'altra. Appresa la notizia di questa tentata evasione un gruppo di solidali si è fiondato davanti alle mura del Cie, intonando slogan, fuochi artificiali e battiture.
La persona che aveva compiuto il gesto autolesionista e che non era rintracciabile, dopo una settimana di ricovero e operazione all'ospedale, è stato riportato al Cie di via Corelli, ma dopo due giorni, viste le precarie condizioni di salute e non provvedendo alle cure adeguate, è stato riportato all'ospedale ma alla risposta negativa della richiesta di ricovero, decidono di rilasciarlo libero per incompatibilità alla struttura del Cie per motivi sanitari ed un foglio di espulsione entro 7giorni. In mezzo alla strada a distanza di trecento kilometri dalla sua casa, senza soldi, senza telefono e con un catetere e 30 graffette sulla pancia, ora è al sicuro.
Domenica 1 aprile una trentina di compagni/e sono ritornati sotto il Cie di via Corelli, prendendosi nuovamente lo spazio antistante l'ingresso della struttura e dando continuità alla propria presenza solidale nei confronti di chi vi è rinchiuso e non si arrende, nonostante le vessazioni subite nella condizione di prigionieri. Il presidio è stato caratterizzato da brani musicali alternati a svariati interventi di sostegno ai detenuti, momenti di battitura sul guardrail ed accensione di fuochi artificiali. Da dentro la risposta non è tardata ad arrivare ed anche fuori si sono potute udire le urla di rabbiosa complicità. Come le volte precedenti, la polizia è stata colta di sorpresa e dopo una ventina di minuti è sopraggiunta una camionetta che si è recata all'interno del Cie, molto probabilmente per sorvegliare da vicino ed arginare preventivamente un'eventuale presa d'iniziativa da parte dei prigionieri. L'intero presidio è durato circa un'ora, fino a quando non sono arrivate altre tre camionette di sbirri (questa volta per chi era fuori) a bloccare l'imbocco della strada che porta al centro detentivo. Una volta fatti gli ultimi interventi e saluti al microfoni,si è deciso di smobilitare.

Roma, Cie di Ponte Galeria, 16 marzo
Da due giorni centoventi "ospiti" maghrebini hanno iniziato lo sciopero della fame per denunciare la morte, per suicidio, di un ex recluso del centro, un egiziano di 30 anni, Abdou Said. A settembre l'uomo aveva tentato, con molti altri, la fuga, ma era stato ripreso quasi immediatamente dalla forze dell'ordine. Said sarebbe stato riportato al centro con evidenti segni di percosse sul corpo e, dopo questo episodio, avrebbe progressivamente perso il controllo fino a dover essere "curato" per mesi con psicofarmaci. Uscito dal Cie a fine febbraio con il decreto di espulsione, Abdou Said, ha trovato alloggio a Roma, nell'abitazione di un amico. Il 9 marzo scorso l'uomo si è prima ferito con una lametta, quindi si è tolto la vita gettandosi da una finestra.

Torino, Cie di C.so Brunelleschi, 21marzo
Breve protesta a causa dei mancati ticket per la spesa, non rilasciati dalla Croce Rossa da una settimana, così prima di cena, in due aree, i reclusi hanno incendiato masserizie e oggetti sia nella stanza mensa che nei cortili. Allo spegnimento del fuoco da parte dei carcerieri, la protesta si è placata.
Il 31 marzo dopo una giornata che ha visto la visita di un funzionario del consolato del Marocco inviato al Centro per mettere un po' di timbri sui fogli delle deportazioni, una serata di casino. Intorno a mezzanotte e un quarto è partito un tentativo di evasione di massa dal Centro, non sappiamo se fallito o riuscito per lo meno in parte. Volanti e moto della polizia pattugliano il perimetro esterno del Centro, mentre da dentro le mura continua una protesta molto rumorosa. "Da adesso non torneremo indietro, non smetteremo di rivoltarci", dicono da dentro. Lo syesso giorno è stato pure portato via uno dei ragazzi "riconosciuti" dal Console, che in questi giorni aveva ingoiato delle batterie per protesta. La sera successiva, per vendetta, la polizia in assetto antisommossa circonda l'area blu e quella rossa, con i cani. È una grossa perquisizione, che dura una mezz'oretta. Il giorno dopo un piccolo gruppo di ragazzi marocchini, "riconosciuti" dal funzionario del consolato due giorni prima, sono stati rimpatriati: il solito Torino-Roma da Caselle del pomeriggio, poi la solita coincidenza per Casablanca. Gira voce che sul primo aereo uno di loro abbia fatto casino e l'abbiano fatto scendere: dovrebbe essere di nuovo al Cie. Poi, un gruppetto di tunisini, accusati dalla polizia di essere i "capi" della rivolta dell'altra sera, sono stati presi e messi in "isolamento": una banale misura punitiva, l'anteprima di un arresto oppure, e sembra più probabile, la preparazione di una deportazione. Del resto domani è sabato, e dal porto di Genova parte la nave per Tunisi.
Durante i numerosi momenti di agitazione e protesta delle settimane scorse alcuni ragazzi avevano divelto i bagni e spaccato i muri per farne dei calcinacci, pronti all'uso. Un danno consistente, a quanto pare, e pure un buon modo per prepararsi a difendersi quando la polizia minaccia di entrare nelle gabbie. Una pratica già attuata per l'area bianca, così ora si aggiunge anche l'area rossa completamente inagibili.

Trapani, Cie di contrada Milo, 1 aprile
"Questa notte alcuni degli ospiti sono fuggiti in 15 o 16. Ma le forze dell`ordine stanno trattando tutti noi in maniera disumana, hanno picchiato tanti di noi, e hanno bagnato tutte le nostre brande con acqua, shampoo, sapone liquido e dentifricio. Siamo stati costretti a stare tutti seduti faccia a terra nella terra bagnata dagli idranti, da mezzanotte fino alle quattro di mattina. Durante la perquisizione hanno buttato l`acqua delle bottiglie che teniamo in camera sopra la branda e poi lo shampoo, il bagnoschiuma, i dentifrici. Hanno strappato le lettere e le hanno bagnate con l`acqua, ci hanno rotto le penne e le schede telefoniche, una cosa disumana. Se alzi la testa ti picchiano, se dici 'mi fa male' ti picchiano con i manganelli, è una cosa che neanche la guerra. Hanno bloccato alcune decine di giovani di quelli che avevano tentato la fuga, li hanno messi seduti e li hanno insultati e picchiati". Questo è quanto riportato da alcuni detenuti.

Bologna, 7 aprile
Il fuoco che cova perennemente sotto la cenere, rabbia e disperazione compresse, è di nuovo divampato al Cie di via Mattei. Alcuni stranieri rinchiusi nel centro all'ora di pranzo si sono divisi in gruppetti e hanno scalato la recinzione in più punti. Tre maghrebini sono riusciti a calarsi dall'altra parte e a sparire prima che accorressero carabinieri e poliziotti, in aiuto ai colleghi del presidio interno. Dentro, approfittando della confusione, altri immigrati hanno preso possesso dello spaccio e hanno arraffato cibi, sigarette e schede telefoniche.

Milano, aprile 2012


Lettera dal carcere di rossano scalo (cs)
Cari membri "Associazione Ampi orizzonti" vi scriviamo dal reparto d'isolamento AS2, le nostre condanne sono variabili da 4 anni fino a 12. Siamo condannati al 270bis per terrorismo internazionale islamico che permette di mettere le persone in galera senza che abbiano fatto nulla e senza prove.
Il 15 giugno 2006 vengono perquisite le nostre case dalla Digos di Bologna per sospetto terrorismo.
Dopo anni, il 25 aprile 2008, il PM Paolo Giovagnoli ha formulato un mandato di cattura nei confronti di 17 persone. Dopo 3 mesi, 25 luglio 2008, la richiesta del PM veniva convalidata, dal GUP Rita Zaccarelli, solo per 6 persone: Jarraya Kalil (tunisino); Chabchoub Mohamed (tunisino); Kammoun Walid (tunisino); Msaadi Hecmi (tunisino); Bergaoui Chedly (tunisino); Mazi Mourad (marocchino); gli altri a piede libero.
Gli arresti, 5 persone in Italia e 4 in Tunisia, sono avvenuti il 9 agosto 2008; addirittura 15 giorni dopo la convalida del GUP. Come mai questi sbalzi temporali? Ecco il perché; facciamo attenzione alle date.
Kammoun Walid è un cittadino tunisino laureato in economia e commercio sposato con una cittadina italiana (maestra di scuola elementare), hanno una bambina e un ristorante tunisino nel centro di Bologna. Dopo un'attesa di 15 mesi per il rinnovo del suo permesso di soggiorno, che per legge deve essere rinnovato entro due mesi, la questura di Bologna gliene ha rilasciato uno valido due mesi e mezzo dal primo luglio fino al 15 settembre. Qui, come si vede, il PM ha formulato la sua accusa in aprile e la questura rilascia a Kammoun un permesso di soggiorno di due mesi e mezzo l'1 luglio. Ma come mai solo di due mesi e mezzo e in questo periodo?
Kammoun Walid ha organizzato, come ogni anno, un viaggio in Tunisia con moglie e figlia e parte il 7 luglio dal porto di Salerno. Come abbiamo detto il mandato di cattura viene formulato il 25 aprile, viene convalidato l'arresto il 25 luglio ma aspettano 15 giorni per arrestarci. Perché hanno lasciato partire Kammoun Walid che, secondo l'accusa, ha un ruolo importante?
Il primo agosto partono per la Tunisia (entrambi indagati) Abdelmajid Kreim tunisino-italiano, lui non aveva un mandato di cattura nei suoi confronti, e Najem Boukhoris, sposato con un'italiana.
Il 9 agosto venivamo arrestati in cinque in Italia: Jarraya Khalil, Mazi Mourad, Bergaoui Chedly, Chabchoub Mohamed e Mazi Mourad.
Kammoun Walid veniva dato per latitante; Abdelmajid Kreim e Najem Boukhoris irreperibili. Questi tre assieme a Rahowin Lazhan (un'altro indagato in seguito espulso per motivi di sicurezza), lo stesso giorno (9 agosto), venivano arrestati dalla polizia di sicurezza tunisina per gli stessi reati contestati in Italia.
Dopo 23 giorni di tortura bestiale tre di essi venivano rilasciati e Kammoun Walid veniva processato per terrorismo internazionale e assolto.
Siccome non avevano niente di concreto hanno usato, qui in Italia, le confessioni estorte sotto tortura in Tunisia. È incredibile ma è la realtà. Sono riusciti ad usare la confessione di uno (Abdelmajid Kreim) che sotto tortura ha detto che noi siamo dei fanatici e fondamentalisti islamici. È bastato questo per condannarci per terrorismo.
Il 19 giugno 2009 il GUP di Bologna ha prosciolto 11 persone dal capo A: terrorismo internazionale. Per noi cinque arrestati, assolti dai reati secondari di documenti falsi, truffa e favoreggiamento dei clandestini, il capo A è rimasto.
Durante il processo né l'accusa, né i teste della Digos, né nelle motivazioni della condanna veniva detto che cosa avevamo fatto o cosa volevamo ma, secondo il giudice, pur se assolti dai reati minori, siamo in grado di fare documenti falsi, procurare armi, capaci di trovare il filo (?!?) quindi siamo dei terroristi e dobbiamo rimanere in galera per lunghi anni.
Durante il dibattito i nostri avvocati hanno chiesto al giudice che gli interpreti fossero tunisini visto che tutte le conversazioni, ambientali e telefoniche, sono avvenute in dialetto tunisino. Invece hanno nominato un interprete palestinese che non capisce il tunisino. In più le conversazioni sono state tagliate e rese incomprensibili. Il giudice per giustificare il tutto ha detto che noi usavamo una lingua marziana il che non è assolutamente vero. Questa è la scusa di uno che vuole dimostrare un fatto che non esiste. Comunque, per farla breve, in primo grado siamo stati condannati ma speravamo di essere assolti in appello.
Il giorno dell'udienza eravamo presenti noi, gli avvocati, i giudici, le guardie e l'accusa. Tutto in silenzio. Il procuratore generale ha parlato per quasi mezz'ora. Non ha proprio parlato del processo. Parlava così, in generale, sui brigatisti rossi, sugli anni '90 e di prima, su varie cose di terrorismo ma non di noi, visto che non aveva niente da dire, e ha concluso con la richiesta delle attenuanti generiche. Dopo hanno parlato gli avvocati ribadendo che noi non abbiamo fatto nessun reato di cui parla il 270bis.
Il giorno dopo il procuratore generale ha fatto una replica e chiesto di concedere le attenuanti generiche. Poi, visto che, eravamo tutti partecipi in egual modo, anche la condanna avrebbe dovuto essere uguale per tutti: 3 anni e quattro mesi. Basta che non fossimo stati assolti.
Noi eravamo così contenti e lo erano anche i nostri avvocati in quanto non esiste un'associazione senza un capo o organizzatore e, in questo modo, cade l'accusa.
Pensavamo che saremmo stati assolti ma il giudice mette a verbale che quello che ha detto il procuratore generale non venga trascritto negli atti e concede a noi le attenuanti generiche riducendo le nostre condanne a: Jarraya Khalil da 8 a 7 anni; Chabchoub Mohamed da 7 a 5 anni e quattro mesi; Kammoun Walid da 7 a 5 anni e quattro mesi; Msaadi Hecmi da 5 anni a 3 anni e dieci mesi; Bergaoui Chedly da 5 a 3 anni e otto mesi; Mazi Mourad da 5 anni a 3 anni e otto mesi con la scarcerazione immediata per le sue condizioni fisiche in quanto fa la dialisi.
È stata una grande delusione per tutti quanti con grande forzatura di illegalità, di odio verso l'altro, di oppressione e di ingiustizia. Purtroppo è la realtà ma noi non possiamo far altro che sperare in dio che cambierà le cose verso il meglio per tutti quanti. Noi crediamo che si tratti del nostro destino quindi grazie a dio per tutto.
Questa la nostra storia in breve, sembra un film, ma noi abbiamo tutte le carte legali che dimostrano questo. Speriamo bene e, se dio vuole, passerà tutto, sia nel bene sia nel male. Che dio vi benedica tutti. A presto, con i nostri migliori saluti.

11 marzo 2012
Jarraya Khalil, contrada Ciminata - 87067 Rossano scalo (CS)


Lettera dal carcere di Iglesias (ci)
Carissimi compagni [...] Sono fuori dall'isolamento dal giorno 9 marzo, pur non sapendo quanto durerà. In questi quattro giorni ho preso due rapporti disciplinari sempre per il solito motivo che mi ha portato in isolamento, "il regime impone"! Ma Davide non si abbassa, finché avrò le forze di rialzarmi lotterò con tutte le mie forze. Qui, come in tutti gli altri istituti è sovraffollato. Io mi impongo e non faccio entrare nessuno dentro la cella; se tot metri quadrati devo avere li pretendo anche con la forza, ma ci stanno provando in tutti i modi: ammonimenti, isolamento, rapporti disciplinari, provocazioni, minacce; tutto questo non mi tocca minimamente. Dopo 23 anni trascorsi dietro le sbarre niente può trattenermi, fermarmi; la dignità non ha prezzo.
Ho chiesto il trasferimento, in una struttura della Lombardia, per stare vicino a mio figlio minore. Questa richiesta non ha mai avuto risposta; eppure è un mio diritto! Non smetterò mai di combattere contro questo sistema fascista, basato sulla repressione e l'isolamento [...] Un particolare saluto a tutti i NO TAV, detenuti e non, a tutti i compagni/e tenuti chiusi in questi campi di concentramento. Liberi tutti! A presto.

13 marzo 2012
Davide Matta, Loc. Sa Stoia, 16 - 09016 Iglesias (Carbonia-Iglesias)

***
Davide è stato traferito nel carcere di San Gimignano, l’indirizzo è:
Località Ciuciano Ranza, 20 - 53037 San Gimignano (Siena)


lettere dal carcere di velletri (roma)
Carissimi/e compagni/e, oggi c'è una manifestazione, oltre le mura del carcere, di cui so poco, è la prima che vedo da quando sono qui. La direzione ha provveduto a spostare la giornata dei colloqui, vista la concomitanza, probabilmente non vogliono che si creino forme di solidarietà con i detenuti e loro familiari.
Stamane sono inoltre venuti a perquisirmi la cella e hanno smantellato tutto (macchinetta tatuaggi compresa) [...]
Per il resto qui è sempre peggio, manca pure la carta igienica, ogni altra delucidazione è quindi superflua. Altro che amnistia e buone intenzioni, con un tale risentimento sociale, stratificato e pronto ad esplodere, figuriamoci se si azzardano a rimettere in libertà migliaia di detenuti, sarebbe per la classe politica un atto che porterebbe all'innesco dei loro piedi minati. Non ci resta che creare legami sinceri e solidali senza illusioni, senza credere che la nostra classe politica posa redimersi dal capitalismo.
Solidarizzo con tutto il movimento No TAV e i compagni che ancora si trovano detenuti.
I detenuti, qui a Velletri, mi chiedono adesivi, vedete se potete spedirmeli.
Un abbraccio fraterno.

10 marzo 2012

***
[...] vorrei aderire e proporre l'adesione alla campagna internazionale in favore di Jaime Ramirez Pedrosa, membro del movimento rivoluzionario Tupac Amaru. Che, pur se affetto da sclerosi laterale amiotrofica, si trova da 17 anni ancora detenuto nelle galere peruviane [...]

marzo 2012
Andrea Orlando, via Campo Leone, 97 - 00049 Velletri (RM)


lettera dal carcere di Bergamo
Ciao compagni/e come va? Sono Stefano (Lovere) vi scrivo per comunicarvi che (testuali parole lette da me) per problemi di sicurezza legati alla protesta al di fuori dalla casa circondariale, mi hanno trasferito, la domenica stessa del presidio, venendo alla mia cella e dicendomi alle otto di preparare la mia roba che ero trasferito. "Fortunatamente" mi hanno trasferito a Bergamo, la mia città, quindi, alla fine mi hanno agevolato delle cose tipo la visita dell'avvocato e di mia madre e speriamo che qui l'infermeria funzioni meglio perché non sto molto bene.
Me l'avevano promesso e l'hanno fatto [...] anche perché ad ottobre i detenuti, sapendo che fino a qualche mese prima ero in mezzo a voi, inneggiavano il mio nome per fare un discorso facendo una serie di battiture. Il discorso quel giorno non l'avevo potuto fare perché ironicamente il comandante mi diceva "continui, continui pure...", io per non prendermi il 14bis avevo smesso ma il giorno seguente l'ho fatto spiegando la vostra solidarietà e lotta!!
Comunque vi ringrazio perché la solidarietà non ha orizzonti e sapendo che eravate la fuori, sicuramente con torte e letture interessanti, mi è comunque, anche qui, arrivato ossigeno puro in quest'aria di polizia e luce e calore in questo posto freddo e buio [...]
Ribadendo la solidarietà a tutti/e i compagni/e detenuti/e e indagati/e per tutte le lotte e sperando di ricevere presto vostre notizie anche a livello personale vi mando un grosso abbraccio da un ANARKIKO SEMPRE E COMUNQUE LIBERO!!!

18 marzo 2012
Agazzi Stefano, via Gleno, 61 - 24125 Bergamo



LETTERA DAL CARCERE DI PALERMO
Ciao, saluto te e tutte le compagne e i compagni. Ho ricevuto la tua lettera, le carceri italiane sono uno schifo di questa cosiddetta "democrazia" ma questo qui è uno stato di polizia e dittatura. La parola "democrazia" spesso la usano l'occidente, gli americani, ed altri ma la democrazia è un'utopia e non esiste. La usano gli americani, gli ebrei e altri che ammazzano le persone con le guerre "preventive". Come si sa bene, gli americani e gli ebrei sono criminali e assassini ma loro indisturbati colpiscono popoli che non hanno armi per rispondere come si deve. Invece qui in Italia la polizia picchia gente comune e li chiama terroristi, picchia gli studenti che si lamentano e li chiama criminali, ma gli studenti non sono criminali.
Vedo in tv la situazione del Tav, lo stato prende la terra alla gente e se la gente si lamenta prende botte. Questo vuol dire che siamo in dittatura. Quelli che hanno soldi possono fare tutto. Vedi, questa crisi mondiale non è certo colpa dei comunisti, i veri criminali sono le banche e le borse. Loro gestiscono tutto, petrolio e altre risorse naturali... i nostri "cari" americani e i loro "alleati". Con la forza esportano "democrazia" lì dove c'è petrolio e oro, ah ah... che "brave" persone.
Ti dico una cosa, io sono orgoglioso di essere cresciuto in ex Jugoslavia, era l'unico paese che non leccava i piedi agli americani e l'altra metà ai russi, a noi slavi tutti ci guardavano male. Questa Europa perversa e depravata mi fa schifo e mi fa schifo anche essere cittadino europeo contro la mia volontà. Non c'è bisogno di essere tanto intelligenti per vedere come vanno le cose. Napolitano si vanta di essere un ex partigiano ma dal suo comportamento non si direbbe. Uno che è stato un vero partigiano, non difende mai i fascisti, non consente leggi che proteggono politici corrotti e fascisti e non lascia morire di fame la povera gente. [...]
Io non sono tanto buono ma in confronto con tutti i vermi del parlamento italiano, mi considero un signore. Dopo tanti anni in questa galera italiana non si può sentire rispetto per questi parassiti che fanno del male a me e a tanti altri detenuti. […]
Vedo in tv i "coraggiosi" americani e i loro lecca piedi in Afghanistan, sono sicuro non siano più di diecimila i combattenti afghani ma son più di dieci anni che l'occidente e le "forze democratiche" se la prendono in quel posto. Poi, quando vengono ammazzati si piange ma tutti miracolosamente si dimenticano di dire che li in Afghanistan non li ha chiamati nessuno, si sono invitati da soli per portare la democrazia ma se non hanno democrazia e civiltà qui, che cosa devono esportare li? (Rambo/Frattini con la sua arma "segreta", Ignazio La Russa... loro due possono stordire con le loro chiacchiere...) questa è davvero una situazione tragi-comica.
Per altre cose è sempre turro uguale. Aspetto notizie per la mia estradizione, è così da cinque anni. Faccio tanta ginnastica e questo mi aiuta a non impazzire. Spero che questa lettera trovi tutti voi in buona salute, saluto tutti, un saluto cordiale!

28 marzo 2012
Sabanovic Jasmir, Via Bachalet, 32 - 90129 Palermo


Lettera dal carcere di prato
Ciao Olga, ti ho anche raccontato di Antonini morto nel 2010 che poi non si è saputo più niente. Adesso ti scrivo per informarti di un fatto accaduto nella mia cella in data 9 marzo 2012. Lo stesso giorno alle 00:10 circa, mentre mi alzo per andare in bagno, alla finestra della cella ho visto uno dei miei compagni impiccato e cianotico. Prontamente ho svegliato il compagno Rosato Vincenzo che ha subito suonato il campanello, chiamato la guardia e poi mi ha raggiunto. Abbiamo tirato giù il compagno Tarantino Domenico che era cianotico con il battito molto debole e intanto erano passati 30 minuti.
Sono arrivati tutti ma il bello viene adesso: il medico si presenta dopo 40 minuti circa e lì arriva, con molta sorpresa, un dottore che entra in cella e chiede chi stesse male nonostante ci fosse uno in terra senza conoscenza e con evidenti segni di strangolamento. Per fortuna il brigadiere si era accorto che il medico era un incapace ed ha ordinato di prendere una barella ma, prima di fare ciò, il protocollo prevede che ad un impiccato, ancora in vita, gli vada posizionato il collare e dato l'ossigeno. Ovviamente il medico non ha fatto niente di ciò che io suggerisco a gesti e Rosato gli traduceva.
Ci siamo recati, io e Rosato, a prendere una barella che non c'era sul piano e abbiamo dovuto quindi usare una carrozzina con il rischio di procurargli una lesione permanente.
Il compagno che ha tentato l'impiccagione aveva già tentato il suicidio ingerendo candeggina ma non hanno preso le dovute precauzioni perché non si ripetessero questi gesti. Nel trambusto c'era l'infermiere che con calma arrivava a operazione terminata e col compagno già in infermeria in attesa che giungesse presso la casa circondariale l'ambulanza del 118 che poi avrebbe trasportato lo stesso all'ospedale Misericordia e Dolce, di Prato. [...]
Del Tarantino sembra sia uscito un trafiletto su un quotidiano locale ma sapete quanti episodi di autolesionismo restano isolati perché nessuno li fa trapelare all'esterno dell'istituto. Addirittura risale a tre o quattro giorni fa un altro tentativo di impiccagione.
Allora vi chiedo perché non facciamo come in Venezuela? Bruciamo tutte le carceri? (Solo così possiamo aiutare Pannella nella protesta). Anche perché le altre proteste pacifiche fatte fino ad oggi non sono servite a niente. Visto che viviamo una situazione di sovraffollamento assurda con il vitto che scarseggia e i prezzi della spesa alle stelle. Potrei continuare per ore ad elencare le cose che non vanno e non funzionano ma ci vorrebbero 2 giorni minimo. Con stima vi saluto e saluto tutti i compagni.
Autorizzo e vi chiedo di pubblicare questa mia lettera sull'opuscolo.

Prato, 24 marzo 2012
Domenico Gabelli e Rosato Vincenzo, via La montagnola, 76 - 59100 Prato


lettera dal carcere di trapani
Ciao compas vi mando una breve descrizione della sezione in cui sono ristretta qua a Trapani cosicché possiate far girare in interne o nell'opuscolo! Un abbraccio!
Nel lager di Stato della sezione femminile di Trapani sono recluse 18 detenute, contando la mia presenza. Le docce sono suddivise in giornate (giorni alterni esclusa la domenica) e, gli stessi giorni, ad orari: la mattina dalle 8 alle 9 e, metà mattinata, dalle 11.30 alle 12.30, questo perché l'acqua calda non basta mai per tutte le detenute. L'acqua va ad orari... appunto, la mattina presto (7-9), metà mattina (11.30 - 13) e pomeriggio dalle 18 alle 20. Per il resto della giornata ci si arrangia con i secchi e le bottiglie riempiti. Le stesse detenute devono acquistare l'acqua potabile dal momento che quella che esce dalle celle non lo è! Pensate a chi entra e non ha soldi per comprarla che si deve arrangiare con quella del rubinetto! Un'infamia!
L'aria è vuota (solo un vecchio bigliardino aggiustato da me)... solo cemento... 4 ore, come di norma, al giorno, la socialità in saletta è di un'ora e mezza, dalle 16 alle 17.30... che non si azzardino a farci uscire tropo da ste' schifo di celle! Comunque una sala spoglia con tavolino e nessuno sfogo per le ragazze, tra l'altro il numero di persone che ci può andare è ristretto in massimo di 8... cosa nuova questa! Ancora non l'avevo sentita!
I prezzi della spesa, come in tutti i fottuti penitenziari di Stato, sono esosi e di settimana in settimana cambiano... Sempre in rialzo ovviamente... sennò come si lucra sulla pelle dei detenuti!?
Il controllo e le infamie degli sbirri viene facilitato sia per il fatto che si è in poche e sia perché la minaccia costante del rapporto disciplinare (o di privazioni) vige come regola quotidiana all'ammutinamento delle detenute... Non c'è giorno in cui non dicano e/o facciano rapporto! Le sbirre e la direzione si prendono tutte le libertà che vogliono dal momento che son abituate a non ricevere risposta alle costanti minacce!
La mia situazione è che, nonostante le attività le faccia con tutte le altre, sto in cella sola, l'ultima del braccio, inizialmente ebbi da discutere con questi infami per via del vitto vegetariano (almeno!), problema ora risolto.
Ad ogni battitura (che avviene due volte al giorno) per me entra la sorveglianza... questo probabilmente a causa del mio rifiuto nell'aprire la finestra per la prassi quotidiana... che se la controllino loro la cella in cui mi han rinchiusa! Di certo non gli do una mano io!
Per quanto riguarda i rapporti disciplinari ormai non ne tengo più conto... 10, 100, 1000, che me ne facciano quanti vogliono da me non avranno mai la testa china o il silenzio! Che si fottano! Loro e le regole a cui tengon tanto! Invece ora il problema è la corrispondenza... nonostante le precedenti carcerazioni mi lasciassero passare libri e opuscoli di "movimento" (pur con la censura) ricevuti via posta, in questo fottuto cesso il direttore deve selezionare ciò che posso leggere o meno! Per caso questa non si chiama censura?! Ora attendo ancora di parlare con questo infame in modo da farmi lasciare ciò che mi spetta! In caso contrario mi metterò in movimento in qualche modo, anche con uno sciopero della fame.
Cumpà vi saluto, questo era per sputtanare in parte (perché ogni giorno ce ne son di nuove) la situazione di Trapani. Io sto sempre con morale e testa alta, sempre complice con chi dichiara guerra alla guerra di Stato! Coi ribelli sociali di tutto il mondo. Madda

25 marzo 2012
Maddalena Calore, C.C. Via Madonna di Fatima, 222 - 91100 Trapani - Sicilia

***
Maddalena è stata traferita ne carcere di Rebibbia, l’indirizzo è:
via Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma


Comunicato dal carcere di Saluzzo
Alla gentile attenzione degli Organi di Informazione.
Siamo i detenuti della sezione “isolamento” del carcere di Saluzzo e vorremmo portarvi a conoscenza della situazione in cui siamo costretti a vivere.
Siamo tutti imputati in attesa di giudizio (quindi solamente indagati) e nonostante questo siamo rinchiusi in una sezione di isolamento. La direzione del carcere sostiene che noi (siamo 12 detenuti) non siamo in regime di isolamento dal momento che in cella siamo in due (alcune volte anche tre). La stessa direzione si dimentica tuttavia di dire che questa situazione è dovuta solo al sovraffollamento.
Ogni cella dispone di un proprio cortile per la permanenza all'aria. Un cortile grande 6 metri x 2 metri e 80 centimetri, con un muro di 5/6 metri di altezza, che in autunno, inverno e in buona parte della primavera, non vede nemmeno il passaggio di un raggio di sole. Ci sono 6 celle per 6 cortili. Chi scende all'aria viene segnato sul registro (ora di uscita/ora di rientro) e può solo andare all'aria che corrisponde alla sua cella. Strano paradosso: facciamo socialità dalle ore 17 alle ore 19 stando insieme in un piccolo corridoio, ma all'aria no. In cortile dobbiamo stare divisi ognuno nella sua gabbia. Le gabbie degli animali hanno almeno le reti e le sbarre, mentre qui c'è solo un alto muro di cemento. Se in uno spazio simile ci fosse in animale con un peso superiore ai 15 kg, si arrabbierebbe persino la Protezione Animale.
Uno di noi ha visto decine di arie in giro per l'Italia, ma mai nessuna così. Questi “cortili” sono solitamente usati per i detenuti soggetti al 41bis. In una sezione vicina alla nostra, ci sono 6 detenuti in regime di isolamento speciale che hanno gli stessi spazi e cortili.
La Direzione si giustifica dicendo che questa è una casa di reclusione (penale) e non una casa circondariale. Per salire nelle 6 sezioni del carcere bisogna essere “definitivi”. Lì ci sono laboratori, le attività in comune, la palestra, l'area per giocare a pallone.
Per noi no. Eppure alcuni di noi indagati stanno qui anche un anno in carcerazione preventiva in attesa del processo. L'unica concessione che ci viene fatta è di andare a messa con una sezione di alta sorveglianza.
Nessuno di noi è qui per aver subito una sanzione disciplinare, eppure siamo esclusi da tutte le attività ricreative e sportive che l'ordinamento penitenziario prevede.
Non ci lamentiamo per le nostre questioni personali ma riteniamo che si stiano violando i diritti e la dignità di noi detenuti.
Ci chiediamo chi sia e cosa faccia il garante dei detenuti.
Concludendo, consegneremo questa lettera ai nostri avvocati con cui intendiamo fare un esposto alla Procura e invitiamo le forze politiche e sociali a denunciare questa insostenibile situazione. Vi ringraziamo anticipatamente.

marzo 2012
Fabio G., Daniele G., Giorgio R., Gianpietro F., Younos O., Illi E., Giuseppe M., Andrei V., Reoouanne G., Beppe M., Giacomo C., Miraie N.


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Questo comunicato è frutto del dibattito fra tutti i 12 detenuti della sezione isolamento. E' il risultato di un percorso fatto di tanti piccoli passi. C'è da superare un certo modo di essere auto-castrante che si racchiude in alcuni modi di dire: "saper fare la galera", che può anche essere salutare se si riferisce alla capacità fisica e mentale per affrontarla, ma diventa estremamente negativa se è intesa nel "fatti la galera" come accettazione e passività figlia di una disaffezione ai comportamenti collettivi e alla possibilità di conquistarsi le proprie istanze e bisogni. Perfino il semplice gesto di apporre una piccola firma ad un appello non era cosa scontata, perché qui tutto ruota intorno alla individualizzazione della pena e ad un misto di benefici, punizione e burocrazia. A questo si aggiunge la difficoltà di rapporto fra etnie diverse.
Le visite dei consiglieri regionali (Eleonora Artesio e Fabrizio Biole che ringrazio) sono servite per far capire che ci può essere attenzione fuori. Servono soprattutto per portare alla luce le contraddizioni esistenti.
Ultima nota: due perquisizioni in una settimana. La prima martedì 28 febbraio ore 07.30 viene perquisita la mia cella. Venerdì 2 marzo ore 7.30 perquisita la sezione, 30 guardie, 5 per cella, metaldetector. 15 minuti. Io vengo chiuso nella doccia (la prossimo volta porto accappatoio e sapone), tutti gli altri nel corridoio che porta all'aria.
Forza Luca, spero in una rapida guarigione.
Un abbraccio, Giorgio.


Noi e i compagni in carcere
Presentazione di una campagna di lotta
La determinazione dei detenuti No Tav presso il carcere delle Vallette, che hanno organizzato delle proteste e proposto delle rivendicazioni in quell’istituto, ha portato alla loro dispersione, e questa dispersione ha oggi dei preoccupanti sviluppi. Se già gli arresti sono stati una forma scandalosa di intimidazione e violenza nei confronti del movimento, il trattamento che i compagni stanno subendo in carcere chiama alla nostra mobilitazione e al nostro sostegno attraverso campagne di solidarietà che raccolgano gli inviti alla solidarietà che arrivano direttamente da dentro le carceri. Nel testo che segue vogliamo spiegare, in sintesi, quale situazione si trova a vivere Giorgio, detenuto nel carcere di Saluzzo, e proporre una campagna di denuncia del trattamento cui sono sottoposti i 12 detenuti della sezione "ISOL". Pubblichiamo oggi su Infoaut, inoltre, un documento importante. Si tratta di un comunicato scritto e firmato da tutti i detenuti della sua sezione. I prigionieri chiedono ai movimenti di prendere parola sulle disumane condizioni di vita nelle carceri e su alcune aberrazioni disciplinari che riguardano il carcere dove sono rinchiusi.

La lotta dei compagni alle Vallette
Cinque detenuti No Tav avevano iniziato, a fine gennaio, una serie di proteste all’interno della prigione torinese. Queste proteste erano relative ad una serie di abusi, scandalosi e non ammessi sul piano giuridico, operati dalle guardie carcerarie nei loro confronti e nei confronti di tutti i detenuti (annullamento dell’ora d’aria, restrizioni delle ore di socialità e di altri spazi di agibilità). La protesta era consistita nel semplice rifiuto passivo a rientrare nella propria cella al termine dell’ora di socialità, ed era stata protratta più volte, anche in concomitanza con il concerto di Militant A fuori dal carcere.
Immediatamente il sindacato delle guardie carcerarie aveva chiesto il trasferimento dei compagni, e il direttore Buffa (d’accordo con il Procuratore Caselli) aveva disposto la dispersione dei prigionieri No Tav nelle carceri piemontesi. Ad oggi, visto che Jacopo e Tobia sono ai domiciliari, restano reclusi Giorgo a Saluzzo, Mambo ad Alessandria e Luca ad Ivrea. Particolare attenzione merita la situazione di Giorgio, accusato dal direttore delle Vallette, e poi da quello del carcere di Saluzzo, di essere l’“ispiratore” delle proteste di queste settimane. Arrivato a Saluzzo è stato qualificato come “detenuto pericoloso” e condotto nella sezione “ISOL” della prigione. Dopo pochi giorni la direzione del carcere lo ha convocato e, nel giro di venti minuti, sottoposto a un ridicolo procedimento disciplinare, al termine del quale è stato condannato a quindici giorni di isolamento totale.

Saluzzo: un regime anomalo di isolamento
La sezione “ISOL” del carcere di Saluzzo non è considerata dalla direzione un luogo di punizione. È il luogo dove sono condotti tutti coloro che non hanno una pena definitiva e sono, anzi, semplicemente indagati o in attesa di giudizio. Eppure questa sezione presenta tutti i caratteri dell’isolamento: non esiste un cortile per l’ora d’aria collettiva, e per ogni cella c’è un cortile di 8 m. per 2 m. circondato da alte mura, che lo separano da quelli delle celle limitrofe: nelle rare occasioni in cui l’aria è concessa (circa una volta al mese) i prigionieri sono separati e obbligati a sostare immobili in spazi senza luce, senza poter vedere gli altri detenuti. L’unica occasione, per loro, di vedere qualcuno è la Messa della domenica. Nella sezione “ISOL”, inoltre, avvengono intimidazioni continue. Perquisizioni delle celle, battiture delle guardie sulle porte, pestaggi di detenuti.
Risulta evidente che la sezione “ISOL” di Saluzzo, non essendo pensata per detenuti sottoposti al regime 41bis (cosiddetto “carcere duro”) ed essendo anzi popolata da cittadini in attesa di essere giudicati, è uno strumento di punizione preventiva ed intimidazione verso detenuti che, per ragioni da chiarire, sono sottoposti a un trattamento peggiore di chi deve scontare pene altissime, compreso l’ergastolo. Il fatto che Giorgio, che era stato velatamente minacciato dal direttore delle Vallette, ed è stato indicato dai suoi rapporti come l’ideatore delle proteste in quell’istituto, sia stato trasferito proprio in questo carcere e in questa sezione, conferma che la sezione saluzzese “ISOL” rappresenta un’anomalia giuridica nel regime carcerario, ossia uno strumento per infliggere sofferenze aggiuntive a chi, pur innocente perché non ancora processato, è considerato socialmente o politicamente “pericoloso”. Non considerando questa condizione punitiva sufficiente, la direzione del carcere infliggerà i 15 giorni aggiuntivi di isolamento totale a Giorgio, unico a ricevere questo trattamento tra i prigionieri della sezione: appena sarà disponibile una cella (il carcere è sovraffollato, ciò che lo rende ancora più invivibile) dovrà restare chiuso senza uscire per due settimane.

La persecuzione dei compagni in carcere rappresenta un’emergenza politica
In questo contesto, chiediamo a tutte le persone sensibili alla tematica carceraria, alle compagne e ai compagni dei movimenti, alle associazioni culturali e politiche che hanno a cuore i diritti sanciti per legge, di appoggiare una mobilitazione in favore di tutti i carcerati in lotta, di tutti i detenuti No Tav, e in particolare di chi si trova sotto attacco ed è sottoposto ad isolamento per aver chiesto pacificamente, assieme ad altri compagni, dignità e rispetto dei diritti per i detenuti torinesi. Non ci interessa sollecitare forme di pietismo o di compassione. Giorgio stesso nella sua lettera, e i detenuti della sezione “ISOL” nel comunicato, che hanno firmato collettivamente, chiariscono che non è questo l’atteggiamento che loro interessa. Semmai, occorre rilevare alcune circostanze di fatto:
(1) Giorgio è in regime di isolamento ed è in attesa di essere sottoposto a un regime di isolamento ulteriore e più duro, per una sola ragione: aver contestato una disciplina carceraria disumana, e illegittima dal punto di vista legale, in una delle carceri più sovraffollate d’Italia, quella torinese. Si tratta a tutti gli effetti di una forma di persecuzione politica, che mira a mostrare come chi si oppone all’ingiustizia, mettendo in primo piano l’interesse collettivo rispetto a quello individuale, rischia di andare incontro a sofferenze maggiori di quelle ordinarie. Giorgio non intende piegarsi a queste ritorsioni ed affronterà serenamente le punizioni che gli verranno inflitte, ma è nostro compito aprire un caso e una campagna su questa vera e propria infamità, che ancora una volta mostra nel migliore dei modi quale sia il clima politico e il rispetto del dissenso del nostro paese.
(2) La sezione “ISOL” del carcere di Saluzzo è di per sé un’aberrazione: detenuti in attesa di giudizio, e dunque innocenti per il codice penale italiano, sono rinchiusi mesi e talvolta anni secondo un regime punitivo che, se è inaccettabile in assoluto dal punto di vista morale (come scrivono i prigionieri nel comunicato, chiunque si indignerebbe se ad essere rinchiusi in quella forma, e in quelle condizioni, fossero degli animali), è anche del tutto incompatibile con l’ordinamento vigente in materia di detenzione carceraria. Occorre dunque diffondere l’appello dei detenuti di Saluzzo in rete e attraverso i canali sociali e politici che abbiamo, stimolando una presa di posizione pubblica da parte di realtà associative, politiche e culturali su questa vicenda.
Tutto questo – persecuzioni politiche ai No Tav in carcere e aberrazioni giuridiche, specifiche e diffuse – è possibile perché il carcere è, oggi, in Italia, un luogo completamente separato da tutto il resto. Normalmente, una volta che il detenuto entra in sezione si rompe qualsiasi legame sociale e politico con l’esterno, così che le direzioni degli istituti di pena possono agire in piena libertà contro i prigionieri e contro le scarse garanzie giuridiche che li dovrebbero proteggere. Il rapporto tra detenuto e direzione carceraria (per non parlare di quello tra detenuto e guardie carcerarie) è brutale e arbitrario, e chi vive in carcere si abitua ben presto a far propria una considerazione cinica e fatalista degli eventi, in cui le limitazioni giuridiche all’autorità dello stato sul prigioniero sono tranquillamente ignorate (nello stile più tipico di una società capitalista) a causa della certezza dell’impunità da parte dell’istituzione reclusiva e del silenzio che continua ad avvolgere i misfatti del personale carcerario.

La mobilitazione delle prossime settimane
Occorre spezzare questo isolamento e questa situazione di abuso. Il comunicato che giunge a tutte e tutti noi dai detenuti di Saluzzo deve essere occasione per una mobilitazione reale che, pur partendo dall’imprigionamento di un compagno, vada al di là di questo, ponendo una questione che riguarda quella sezione di isolamento, quel carcere, e la situazione generale delle carceri nel nostro paese. Le lotte efficaci nelle prigioni sono quelle che iniziano dall’interno, come in questo caso. Per dare speranza ai detenuti, tuttavia, per permettere alle lotte di crescere, e per segnalare la possibilità della costruzione di comportamenti collettivi contro questa situazione (e non meramente individuali: autolesionismo, suicidi), occorre una lotta ampia e coordinata chi è dentro e chi è fuori. Per questo non è sufficiente continuare con i presidi sotto le carceri, che pure sono importantissimi: è urgente creare un caso politico sull’attuale condizione detentiva dei No Tav e di tutti i detenuti e le detenute, che sappia conciliare la denuncia della persecuzione collettiva e individuale contro i No Tav arrestati con un discorso complessivo sull’insostenibilità di una situazione carceraria che è di abuso sistematico e terribile sovraffollamento.

17 marzo 2012
da www.csoaskatasuna.org


due lettere dal carcere di spini di gardolo (tn)
Hola! Sono Juan Sorroche Fernandez, scrivo questo comunicato per mettere in chiaro la mia posizione.
La TAV in Val Susa è uno dei tanti progetti che lo Stato e la società mettono in cantiere, come anche gli inceneritori, l’emergenza rifiuti a Napoli, la Gronda a Genova (progetto di potenziamento del nodo autostradale), le nuove carceri, la militarizzazione dei siti dove dovranno sorgere le Grandi Opere e la militarizzazione delle strade nelle città. Solo la distruzione della terra e l’inquinamento prodotto sarebbero già abbastanza per opporsi a tali progetti , ma oltre alla devastazione dell’ambiente la piovra del capitale e del dominio stritola gli individui in un sistema sempre più controllato, mercificato e meccanizzato. L’attuazione di questi progetti, oltre alla loro nocività mortale tanto fisica quanto mentale, mira ad abituare gli individui a subire, ad accettare qualunque cosa rinunciando alla propria capacità critica e di azione. Chi li propone mette in piedi enormi campagne di mistificazione nelle quali la (anche) nostra realtà, il nostro presente e futuro, ci vengono riproposti in una versione completamente sfalsata in modo che ci sembri sempre più naturale rinunciare alla libertà e alla possibilità di autodeterminarci.
Lo sfruttamento, la distruzione e la morte sono punti fermi, costruiti col sangue e la sofferenza, con i quali la società si auto alimenta. Questi sono i pilastri sui quali essa si regge ed è necessario combatterli. Lottare contro questi tentacoli è per me lottare contro la società che li crea. Come ribelle individualista non parlo a nome di nessun movimento ma solo di me stesso. Io mi sento parte della lotta e di tutti quelli che la fanno propria sinceramente. Per questo, a testa alta, mi rivendico l’aver partecipato alla lotta contro il TAV e la società in modo auto organizzato, al di fuori delle logiche dello Stato, di qualsiasi gerarchia e con metodi che ho ritenuto opportuni.
Essere “colpevoli o innocenti”, “buoni o cattivi”, “violenti o non violenti”, sono definizioni morali che non mi appartengono, sono concetti del dominio e “ delle relazioni sociali che li rendono accettabili come simbolo del potere . Perché trovo che l’autorità non fa solo affidamento sulla forza e sui messaggi dettati dall’ordinamento statale ma anche sul compromesso e l’accettazione” di tali relazioni.
La mia violenza è una goccia in mezzo al mare in confronto a quella che lo Stato utilizza e monopolizza contro la Val Susa, nelle guerre di “pace”, nei CIE e nelle carceri, causando milioni di morti. Ma non tutto dura, a volte le cose si ribaltano.
Non sono uno specialista della violenza. Credo la si possa utilizzare come mezzo o metodo ma non è l’unico, ce ne sono molti altri e tutti validi: il volantino, l’azione diretta, le pubblicazioni, l’esproprio, il concerto… questo individualmente come collettivamente, decide ognuno come, perché e quando miscelarli.
A quelli che hanno solidarizzato sempre senza distinzioni fra “buoni e cattivi” … un affettuoso abbraccio, ci si vede nelle infinite strade della lotta.
A quelli che questa pratica, questo modo di relazione non lo fanno proprio, va tutto il mio disprezzo ed il mio odio! Perché “la strada della libertà e la dignità è sempre individuale e non si associa agli stereotipi e alle etichette” .
A testa alta! Per la ribellione permanente!

19 marzo 2012
Juan Antonio Sorroche Fernandez, via Beccaria, 13 - 38014 Spini di Gardolo (TN)

da lombardia.indymedia.org

***
Ho ricevuto il tuo telegramma di sostegno e vicinanza. Io sto bene! E sono alto di morale, e poi sapendo che Luca si sta riprendendo e che é sveglio e mangia qualcosa e che ha chiesto penna e carta! E' una roccia! Qua tutto é tornato alla normalità e dopo che mi hanno dato la denuncia per resistenza, mi hanno tolto la restrizione che avevo di fare socialità e andare in saletta che consiste nell'andare in cella di altri e andare in una sala che c'é per giocare a carte. Il mio animo é buono perché il mio cuore ha fatto quello che ha sentito. Perché solo sapere la notizia, sono stati bei giorni intensi fino a che Luca si é saputo che stava meglio. Poi una bella risposta da tanti posti; così dovrebbe essere per tante cose, non solo per quel caso specifico, ma per questo ci resta da lottare ancora. Per adesso ti saluto con un affettuoso abbraccio.

11 marzo 2012
Juan Antonio Sorroche Fernandez
Lettera dal carcere di Torino
Ciao a tutti, vi scrivo per confermarvi l'arrivo dell'opuscolo di febbraio. Avevo provato a mandarvi un contributo ma credo si sia perso sulla scrivania del PM Ferrando. […]
Comunque vi scrivo perché oggi mi sono arrivate le motivazioni della censura a cui sono sottoposto dal 3 febbraio, a firma del magistrato di sorveglianza Elena Bonu. La richiesta di censura però è partita dal direttore delle Vallette Pietro Buffa.
Vi riporto testualmente un periodo presente sulla carta da culo che ho ricevuto, ovviamente senza rilasciare autografi: "Rilevato che la richiesta è stata fondata sull'alto indice di pericolosità sociale espresso dal ristretto e sulla sua appartenenza all'area anarcoinsurrezionalista, al fine di impedire che lo stesso continui a comunicare con l'esterno, trasmettendo ordini e messaggi alle organizzazioni criminali a cui appartiene".
Salvo proroga sarò sottoposto a censura fino al 29 aprile e il flusso di posta oltre ad essere molto rallentato in entrata, si interrompe spesso in uscita.
Più o meno ricevo risposta a neanche un quarto delle lettere che spedisco […]

20 marzo 2012
Alessio Del Sordo, via Pianezza 300 -10151 Torino


Lettera dal carcere di san vittore (mi)
La lettera che segue è stata indirizzata al presidio permanente No TAV che si è tenuto alla facoltà di scienze politiche di Bologna occupando parte della struttura dal 27 febbraio al 16 marzo.

Ciao a tutti, oggi è arrivata la vostra lettera-manifesto-cartolona collettiva DANKE! Mi ha fatto sorridere bene che, assieme all'idea, direi realtà, di essere lì con voi al presidio permanente, comunque in un azione collettiva collegata ad una cella distante 400 Km... mi ha sollevato da terra, messo le ali.
Proprio oggi mi hanno riportato all'aria con tutti; nei primi momenti fa sempre un certo effetto, il ritorno in una dimensione di più persone di cui non ti senti certo parte, tutt'altro. Poi passa, è passata, ho trovato nel cortile anche Niccolò anche lui arrestato il 26 gennaio. Sta bene, così anch'io.
L'aria sembra il cortile di un macello dove centinaia di persone si fanno a fatica largo in uno spazio totalmente cementato comprese le mura alte 4 metri che chiudono 80 mq, ma anche meno. Un cesso puzzolente, inserito in un angolo senza porte né pareti... centinaia di persone non proprio giovani, la media non è inferiore ai 30 anni, di arabi, cinesi, rumeni, serbi, curdi, africani, ecuadoriani, peruviani... che si incontrano in gran parte per la prima volta; non hanno nulla in comune che la condizione di prigionia - qua e là qualche conto in sospeso e anche no. Comunque il rapporto tra questi ragazzi in cerca di far soldi, in generale con l'esproprio, la “truffa”, il “furto”... è attento a non creare situazioni di disagio reciproco ma bloccato nel costruire qualcosa in comune, in collettivo per modificare le condizioni igieniche, di movimento e via via. Perchè? La causa? La coscienza di andare incontro a rappresaglie (botte, ricatti sulla quotidianità e simili). Dunque sì, un gran crocevia e centro di accoglienza-assistenza-concentramento multientico, però caratterizzato da violenza, imposizioni aggressive sulla dignità, socialità. Per esempio non c'è un programma “tu-non italiano”, non vengono venduti giornali non-italiani. E tenete conto che qui, specialmente in questo braccio almeno il 90% è non-italiano, capite il taglio informativo, culturale che alimenta diversità, - peggio distanze anch'esse ostacolo alla costruzione della lotta. Contro l'affermazione comune. Chi ride, alla fine, sono loro. Vediamo cosa riusciamo a combinare.
Con questa lettera confermo anche che è arrivata la lettera che avete mandato dal pullman BO-FC-RA verso la Valle. Altrettanto felice!
Spero mi abbiate capito, di esser stato capace di spiegarmi. Volevo, in sintesi comunicarvi quel che penso: nel rapporto che volete intraprendere con chi finisce in galera cercate di sentire, guardando altre esperienze, così mentre avviate voi rafforzate la lotta in generale, lì a Bo. Si può agire assieme al solo scopo di consolidare la lotta dentro e fuori, la conoscenza reciproca e via via.
Bene, saluto tutti. Con solidarietà, con l'affetto di sempre.

9 marzo 2012
Maurizio Ferrari, Piazza Filangeri 2 - 20123 Milano
da notav.info


lettera di tobia dagli arresti domiciliari
Ho ricevuto nel pomeriggio, da parte del mio avvocato, la comunicazione che il giudice ha revocato il “divieto di comunicare con qualsiasi mezzo”, emesso nei miei confronti dal giorno della concessione – da parte del tribunale del riesame – della detenzione domiciliare (13/2) e mantenuto sino ad oggi. L’altra mia richiesta, di poter recarmi al lavoro presso l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea, è stata negata.
Pur amareggiato per il fatto che non venga riconosciuto il mio diritto a guadagnarmi il pane, reputo la conquista del diritto a comunicare, imposizione che non aveva ragioni dal punto di vista delle esigenze cautelari, un passo avanti verso il ridimensionamento dell’inchiesta contro il movimento NO TAV, che ogni giorno di più si rivela per quello che è: un’odiosa macchinazione repressiva ad uso meramente politico e mediatico.
Pertanto dichiaro di aver sospeso da stasera lo sciopero della fame iniziato il giorno 3/3.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuto in questa battaglia. A sarà dura!!!

Tobia Imperato
Torino, 15 marzo 2012
da radioblackout.org

***
Antonio Ginetti, Samuele Gullino, Gabriele Filippi, Daminano Calabrò, Fabrizio Maniero (Jack), Matteo Grieco (Mambo), Tobia Imperato, Gabriela Avossa, Maja Cecur, Jacopo Bindi, Federico Guido, Giuseppe Conversano sono agli arresti domiciliari.
Restano ancora in carcere:

Alessio Del Sordo, via Pianezza 300 - 10151 Torino
Marcelo Damian Jara Marin, Maurizio Ferrari, Piazza Filangeri 2 - 20123 Milano
Giorgio Rossetto, loc. Cascina Felicina via Regioni Bronda 19/b - 12037 Saluzzo (CN)
Luca Cientanni, corso Vercelli 165 - 10015 Ivrea (TO)
Juan Antonio Sorroche Fernandez, via Beccaria, 13 - 38014 Spini di Gardolo (TN)


breve cronologia della lotta contro il tav
Venerdì 16 marzo
A Chiomonte, militarizzata per bloccare gli accessi al comune, si è tenuta una festa per Luca Abbà. Come regalo una passeggiata verso il cancello di via dell'Avanà, alla centrale elettrica. Siamo ancora qua, questo il messaggio, fermarci è impossibile.
In Francia, la circolazione dei treni fra Grenoble e Lione è stata interrotta per mezz'ora, grazie ad un piccolo sacco di terra lanciato sui cavi aerei di alimentazione dei treni. La scelta di prendersela con un bersaglio francese è per affermare che anche da questo lato non vogliamo il TAV.

Sabato 17 marzo
Dopo un'assemblea con oltre un centinaio di persone, è stato deciso di rimarcare la linea della fermezza contro l'alta velocità, andando a bloccare per un'ora circa entrambe le corsie dell'autostrada A32 fisicamente e costruendo barricate. Con questo gesto abbiamo nuovamente espresso anche la solidarietà a tutt* i compagn* del movimento ancora in carcere o sotto restrizioni giuridiche.
Si scava anche al Frejus, per fare un tunnel che "non sarà mai una galleria di traffico, ma solo di sicurezza", come riporta Saitta, presidente della Provincia di Torino e tra gli azionisti della Sitaf la società che gestisce l'autostrada Torino-Bardonecchia e il tunnel del Frejus.

Domenica 18 marzo
Centinaia di persone, nonostante la pioggia, bandiere in mano e cuore oltre i new jersey e il filo spinato hanno marciato verso la baita Clarea, aggirando gli sbarramenti, e poi il terreno che ha già visto la nascita di un nuovo presidio in lamiera. "Si sono presi brutalmente la baita Clarea, quindi la nostra risposta è di riappropriarci di uno stabile militare abbandonato da anni e farlo rivivere con la nostra presenza".
A pochi giorni dalla sgradita visita di Napolitano, Torino reagisce con freddezza anche all'arrivo di Monti. Un presidio davanti ai palazzi del potere per urlare NO alle grandi opere inutili, NO alla svendita dei nostri diritti. Perché le nostre vite valgono molto più dei vostri dannati profitti. A sarà dura!

Lunedì 19 marzo
L'amministratore delegato di F2i Vito Gamberale e l'ex assessore alle infrastrutture della Regione Toscana risultano indagati per corruzione, troppe anomalie nella necessità stessa di volere "a tutti i costi" infrastrutture di enormi dimensioni e di solenne inutilità.

Mercoledì 21 marzo
Questo pomeriggio a Susa è stato posizionato il container che ospiterà parte del nuovo presidio di San Giuliano. Le persone presenti sul terreno del presidio sono state identificate. Speriamo che il sindaco di Susa sia così solerte anche con tutti i possibili futuri cantieri che lei tanto auspica.

Giovedì 22 marzo
Il ministro portoghese dopo un'attenta analisi della corte dei conti ha depennato il progetto alta velocità Lisbona Madrid di comune accordo con il governo spagnolo. La Lisbona Kiev diventerebbe quindi Madrid Kiev. Non sarà la Torino Lione a portarci in Europa in tre ore ma verso Atene in cinque minuti!
Venerdì 23 marzo
I lavoratori del Teatro Regio criticano la scelta di blindare il concerto per la fine dei festeggiamenti dei 150 anni d'Italia, limitando l'accesso a soli invitati, per paura di blitz dei No Tav: "Esprimiamo tutto il nostro dissenso per una scelta che costringe a blindare e militarizzare un luogo di lavoro e di divulgazione culturale. […] Non ci sentiamo né minacciati né in emergenza se non per l'atteggiamento e le reazioni delle istituzioni".

Sabato 24 marzo
Oltre un centinaio di persone hanno portato la solidarietà di tutto il movimento No Tav fuori dal carcere di Saluzzo, per denunciare le disumane condizioni in cui si trovano le persone in attesa di giudizio all'interno della sezione isolamento.
A Pistoia, circa 200 persone hanno attraversato tutto il centro con bandiere No Tav. Una compagna è stata caricata e portata via da una volante. Dopo qualche tempo la compagna è stata rilasciata, non prima di essere identificata e denunciata per imbrattamento, resistenza, minacce ed altre cose del genere. Eppure lo sbirrame cittadino dovrebbe aver capito che denunce ed arresti non servono a nulla, noi qui siamo e qui restiamo.

Lunedì 26 marzo
Apprendiamo dai media che nella notte tra domenica 25 e lunedì 26 marzo, ignoti hanno incendiato, cospargendo di benzina e appiccando il fuoco, i cavi elettrici di una centralina di smistamento ferroviario tra Rogoredo e Lambrate. Sul posto ritrovate le scritte "No Tav", "Sole e Baleno vivono" insieme a due bandiere No Tav.

Martedì 27 marzo
I giovani, legati al centro sociale milanese "Il Cantiere", hanno occupato il cortile interno e la sala Alessi nell'intento di impedire il regolare svolgimento di un dibattito con Giancarlo Caselli. Dopo circa un paio d'ore sono intervenuti gli agenti delle forze dell'ordine a sgomberare il salone e il cortile, sollevando di peso i manifestanti.
Alcuni studenti del Itis di Susa sono stati presi di mira dal Preside della scuola, che ha tentato di far passare un procedimento disciplinare di sospensione, in seguito a un volantinaggio di denuncia nei confronti di Italcoge e Martina - società scelte da LTF (Lyon Turin Ferroviare general contractor Torino Lione) per allestire le recinzioni a filo spinato e muri del cantiere di Chiomonte. La Martina srl è stata rinviata a giudizio per l'ipotesi di reato di concorso in bancarotta fraudolenta. Connivenze di stampo mafioso pesano ad oggi sulla Italcoge. II volantino è arrivato nelle mani di un imprenditore della Martina srl, che ha un figlio che studia presso l'Itis, provocando l'immediata querela e successiva decisione del preside - non sostenuto dai professori che hanno difeso gli studenti - di sospendere i responsabili. Anche gli operai della Martina srl denunciano: "Aspettiamo 1,2 o 3 stipendi più tredicesima. E' da anni che i Martina pagano in ritardo gli stipendi, però gru e camion per la Tav li comprano!"

Venerdì 30 marzo
In seguito alla conferenza stampa di tre giorni prima a Torino - operazione Hunter -, il Sindacato Autonomo di Polizia si era pronunciato con asserzioni come le seguenti: "Le immagini confezionate ad arte dall'ala oltranzista del movimento No-Tav e dagli 'azzeccagarbugli' al seguito sono palesemente false e artefatte, montate ad arte per dimostrare una tesi insensata." Oggi il legal team No Tav risponde così: "Le suddette immagini non sono né false né artefatte. Esse, infatti, come da noi verificato, costituiscono parte del materiale probatorio del procedimento penale, che ha portato all'arresto di alcuni manifestanti No Tav". Qualche giorno prima, infatti, al centro Studi Sereno Regis di Torino erano stati presentati un video e un dossier in merito alla brutalità delle forze dell'ordine nella giornata del 3 luglio.

Sabato 31 marzo
Una cinquantina di attivisti No Tav hanno bloccato per circa dieci minuti due treni internazionali provenienti da Milano in direzione Zurigo. Un'azione dimostrativa per unire le lotte contro le grandi opere, in solidarietà con i prigionieri No Tav e la Val Susa. Un corteo ha poi attraversato la città volantinando e comunicando le ragioni dell'azione.

Domenica 1 aprile
Tutte le realtà torinesi hanno deciso in comune un'iniziativa benefit nei confronti dei/delle tant* compagn* ancora in carcere ai domiciliari o con pesanti restrizioni sulle libertà di movimento e relazioni.
In giornata è stato inaugurato il presidio a Bussoleno. Il presidio sorge esattamente nel luogo in cui l'amministrazione comunale di Susa vorrebbe far erigere la Stazione Internazionale.

Martedì 2 aprile
Nell'istituto Newton era prevista un'assemblea in cui sarebbero dovuti intervenire degli studenti della Valle. Il preside venuto a conoscenza di questo ha deciso da subito di opporsi arrivando a minacciare uno studente con queste parole: "Come ti avevo promesso, troverai le camionette fuori da scuola". Detto fatto. Oggi all'ingresso dell'Istituto le forze di polizia impedivano l'accesso agli studenti non iscritti a quella scuola chiedendo i documenti. I rappresentanti del kgn non sono così potuti entrare e l'assemblea si è dovuta svolgere all'esterno.
All'ITIS di Susa inizia il presidio in solidarietà agli studenti, che rischiano la sospensione in seguito al volantinaggio No Tav di martedì 27 marzo.
A Milano un gruppo di persone col volto coperto è entrato nell'area del cantiere della nuova tangenziale Est Milano, che collegherà Agrate a Melegnano, aprendo un passaggio dalle reti metalliche e ha distribuito volantini agli operai con scritto "Attenzione, non fatevi sfruttare da chi vuole solo arricchirsi e poi vi lascia senza protezioni e tutele". I No Tem hanno poi "impacchettato", in pochi minuti, una delle ruspe presenti nell'area con del cellophan e hanno attaccato su di essa il cartello: "Rispediscono al mittente".
Sempre martedì è cominciato l'esame in commissione Giustizia della Camera di un testo che prevede l'arresto da 1 a 5 anni per chiunque "impedisca od ostacoli la libera circolazione di persone e merci, occupando strade ferrate, ordinarie o autostrade, con qualsiasi mezzo, impedendo la libera circolazione dei mezzi di trasporto".
Il testo, relatore Manlio Contento (Pdl), primo firmatario Giancarlo Lehner (Pdl) prevede stessa pena anche per i "blocchi" a scuole e università.

Mercoledì 4 aprile
La sezione dell'A.N.P.I. di Bussoleno scrive alla famiglia di Niccolò, uno degli arrestati No Tav detenuto nel carcere di San Vittore: "Abbiamo purtroppo saputo che la sezione A.N.P.I. in cui, da sempre, siete iscritti ha scelto di non rinnovarvi la tessera per il 2012. Pensiamo che questa sia una cosa vergognosa che non rispecchia minimamente i valori e lo spirito di questa grande Associazione di cui facciamo parte. Chiediamo quindi con forza ed immediatamente all'A.N.P.I. di Milano sez. Vigentina di rivedere questa scelta e di rinnovarvi quanto prima le vostre tessere."
In giornata si è tenuto un presidio al tribunale di Torino per il processo contro Nina e Marianna, due compagne arrestate a settembre 2011.

Martedì 10 aprile
In vista dello sgombero indetto per mercoledì 11 e nonostante l'ordinanza prefettizia che interdice il territorio della val Clarea la valle risponde con: Assemblea a Bussoleno, fiaccolata verso la Clarea, presidio notturno, appuntamento a Giaglione ore 5.00 dell'11.4, a Chiomonte ore 8.00 ai cancellli della centrale elettrica.
Alcuni No Tav in presidio presso la A32, rammodernata con nuove barriere per impedirne il blocco.
Per l’11 sono previsti presidi e cortei in più di 40 città: Alba, Aosta, Bassano del Grappa, Barcellona, Bergamo, Biella, Brescia, Bologna, Cremona, Cuneo, Desenzano del Garda, Ercolano, Fano, Firenze, Forlì, L'Aquila, La Spezia, Lucca, Mantova, Massa Carrara, Milano, Napoli Bosco Reale, Novi Ligure, Nuoro, Padova, Palermo, Parma, Pinerolo, Pistoia, Pordenone, Reggio Emilia, Roma, Rovigo, Savona, Salerno, Siracusa, Torino, Tortona, Trento, Trieste, Udine, Venezia, Vercelli.

***
SI PUO' ESSERE ULTRAS E NO TAV
Ieri durante il derby Roma-Lazio dalla curva sud giallo-rossa si è alzato un striscione che portava la frase "Difendi la tua terra dalla democrazia che uccide - Daje Luca No Tav". Per chi ha dedicato parte della propria vita alle gradinate degli stadi dove la speculazione economica ha rovinato il gioco più bello del mondo, vedere quello striscione oggi fa sorridere di soddisfazione, perché anche lì, in quelle curve che per anni sono state la palestra della repressione, ieri si è tornato a gridare schierandosi dalla parte giusta. A differenza di quanto scrivono i pennivendoli si può essere ultras ed essere allo stesso tempo No Tav, si può essere No Tav e antagonista, si può essere di qualsiasi parte del mondo ed essere No Tav!

- Domenica 4 marzo, derby Roma-Lazio: "Difendi la tua terra dalla democrazia che uccide. Daje Luca No Tav!", "Poliziotti e giornalisti siete voi i terroristi! No Tav".
- Domenica 11 marzo, Genoa-Juventus: in gradinata Nord gli ultras genoani espongono bandiere e striscioni No Tav
- Domenica 11 marzo, Torino-Verona: alcuni ultras granata espongono bandiere No Tav
- Martedì 13 marzo, per la Champion's League Inter-Olimpique Marsiglia: i tifosi della squadra ospite espongono bandiere No Tav
- Venerdì 16 marzo partita di rugby Italia-Scozia, Stadio Olimpico di Roma: bandiere No Tav
- Avvistate sventolare tra la folla anche a Newroz di Ahmed (Diyarbakir), Kurdistan turco, in occasione del capodanno curdo e sul palco della serata conclusiva del carnevale di Viareggio.
- Domenica 13 maggio, Partita di Rugby a Venaus.

da infoaut.org



Una lettera di luca dall’ospedale
A poco più di tre settimane dai fatti accorsi in Clarea il lunedì 27 febbraio scorso, mi sembra opportuno comunicare a tutti gli amici e compagni che mi sono vicini alcune notizie più precise sul mio stato di salute.
Come già si sa da qualche giorno sono fuori pericolo di vita, ma seppur la situazione vada migliorando le mie condizioni risultano ancora abbastanza serie.
Le ferite maggiori che mi trovo a dover guarire sono la conseguenza delle ustioni provocate dal folgoramento da corrente elettrica, i danni da caduta sono ormai in via di miglioramento definitivo.
Nei prossimi giorni subirò ulteriori interventi di chirurgia plastica per sistemare le aree del corpo ancora soggette a ustioni.
Mi trovo tuttora ad essere inchiodato a letto e non auto sufficiente nei movimenti degli arti e quindi dipendente da infermieri e familiari per le mansioni quotidiane.
Desidero comunque ringraziare tutti coloro che finora mi sono stati vicini e che mi hanno fatto sentire la loro presenza e solidarietà.
Chiedo a tutti ancora un po' di pazienza (il primo ad averne dovrò essere io), per potervi riabbracciare e salutare in piena forma.
Un ringraziamento particolare va ai miei familiari e alla mia compagna Emanuela che hanno dovuto superare un momento non facile, anche per questo chiedo a tutti di allentare la pressione nei suoi confronti visto che si trova già a gestire molteplici ruoli di questa vicenda. Sarà mia cura contattarvi personalmente nel momento in cui le cose si fossero messe al meglio per potervi incontrare e abbracciare con più calma.
In questo momento sono giustamente sottoposto alle severe disposizioni dei “reparti speciali” del CTO di Torino e quindi con forti limitazioni alle visite, riservate a parenti ed amici stretti.
Chiedo che questo scritto possa girare tra tutte le varie situazioni che hanno seguito l'evolversi della mia vicenda sperando però che non diventi oggetto di speculazione giornalistica. Sono ben contento di ricevere notizie e contatti vostri ma non garantisco di rispondere a tutti entro breve.

L'indirizzo cui scrivere è: Frazione Cels Ruinas 27 – 10050 Exilles (TO)
Da un letto di ospedale, 21 marzo 2012.
Forza e gioia a tutti.

Luca Abbà


11 Aprile, L’appello del Movimento NOTAV
Questo appello è rivolto a tutti gli uomini e donne che, in questi lunghi mesi di occupazione militare, in questi mesi di lotta e resistenza NoTav, si sono schierati al nostro fianco in ogni dove d’Italia.
Grazie a voi è stato chiaro a chi ha cuore e intelligenza che la lotta dei No Tav di quest’angolo di Piemonte è la lotta di tutti coloro che si battono contro lo sperpero di denaro pubblico a fini privatissimi, contro la devastazione del territorio, contro la definitiva trasformazione in merce delle nostre vite e delle nostre relazioni sociali.
Difendere la propria terra e la propria vita è difendere il futuro nostro e di tutti. Il futuro dei giovani condannati alla precarietà a vita, degli anziani cui è negata una vecchiaia dignitosa, di tutti quelli che pensano che il bene comune non è il profitto di pochi ma una migliore qualità della vita per ciascun uomo, donna, bambino e bambina. Qui e ovunque.
In ogni ospedale che chiude, in ogni scuola che va a pezzi, in ogni piccola stazione abbandonata, in ogni famiglia che perde la casa, in ogni fabbrica dove Monti regala ai padroni la libertà di licenziare chi lotta, ci sono le nostre ragioni.
Dopo la terribile giornata del 27 febbraio, quando uno di noi ha rischiato di morire per aver tentato di intralciare l’allargamento del fortino della Maddalena, il moltiplicarsi dei cortei, dei blocchi di strade, autostrade, porti e ferrovie, in decine e decine di grandi e piccole città italiane ci ha dato forza nella nostra resistenza sull’autostrada.
In quell’occasione abbiamo capito che, nonostante le migliaia di uomini in armi, il governo e tutti i partiti Si Tav erano in difficoltà. Si sono aperte delle falle nella propaganda di criminalizzazione, si sono aperte possibilità di lotta accessibili a tutti ovunque.
Il 27 febbraio non si sono limitati a mettere a repentaglio la vita di uno dei noi, hanno occupato un altro pezzo di terra, l’hanno cintata con reti, jersey, filo spinato.
Il prossimo mercoledì 11 aprile vogliono che l’occupazione diventi legale. Quel giorno hanno convocato i proprietari per la procedura di occupazione “temporanea” dei terreni. Potranno entrare nel fortino fortificato come guerra solo uno alla volta: se qualcuno non si presenta procederanno comunque. L’importante è dare una patina di legalità all’imposizione violenta di una grande opera inutile. Da quel giorno le ditte potranno cominciare davvero i lavori.
I No Tav anche questa volta ci saranno. Saremo lì e saremo ovunque sia possibile inceppare la macchina dell’occupazione militare.
Facciamo appello perché quel giorno e per tutta la settimana, che promoviamo come settimana di lotta popolare No Tav, ci diate appoggio. Abbiamo bisogno che la rete di solidarietà spontanea che ci ha sostenuto in febbraio, diventi ancora più fitta e più forte.
Non vi chiediamo di venire qui, anche se tutti sono come sempre benvenuti, vi chiediamo di lottare nelle vostre città e paesi. Vi chiediamo di diffondere la resistenza.

30 marzo 2012
Il Movimento No Tav


Napoli: Perquisito Centro Studi Libertari "Louise Michel"
Nella mattina di martedì 20 marzo, l’atrio di Palazzo Gianturco nel quartiere di Montesanto ha assistito all’invasione di circa 20 loschi figuri: agenti della sezione antiterrorismo della digos (tra i quali almeno 8 in passamontagna), degli artificieri, della polizia postale e scientifica, si sono dati appuntamento per perquisire il Centro Studi Libertari “Louise Michel”.
La perquisizione è legata alla denuncia di 16 compagni (tra i quali 11 del “Louise Michel”) per il blocco dei binari dell’Alta Velocità e per un’assemblea pubblica e il corteo non autorizzato in solidarietà ai compagni arrestati per la lotta contro il TAV, manifestazioni avvenute rispettivamente il 28 e il 31 gennaio 2012.
La perquisizione è stata effettuata, si legge dal verbale, per recuperare “documentazione, anche informatica, relativa agli episodi criminosi sopra descritti nonché attrezzature e strumenti utili per la preparazione dei documenti diffusi ed i manifesti distribuiti durante i disordini pubblici [...] nonché eventuali schedari anche su supporti informatici e attrezzature costituenti “stamperia clandestina” per la redazione della rivista periodica
“La Miccia”.” Sono stati sequestrati documenti di archivio, bozze di articoli per “La Miccia”, una bandiera, manifesti, riviste tra le più disparate, corrispondenza con compagni in carcere e all’estero, l’hard disk del pc e, addirittura, il router, oltre ad essere state fotografate le due stanze (compreso l’interno del frigorifero), striscioni e manifesti., La perquisizione è avvenuta dopo che due agenti in borghese hanno fermato per strada un nostro compagno (che non è tra i denunciati) mentre accompagnava i nipoti all’asilo.
Il fatto che la modalità dell’operazione di polizia sia talmente sproporzionata in rapporto alla “gravità” dei reati che ci vengono contestati ci fa presagire che i servi di regime stiano tramando qualcosa di più grosso, soprattutto alla luce delle recenti esternazioni dei capi della polizia e del Copasir Antonio Manganelli e Massimo D’Alema. Non ci lasceremo intimidire: continueremo per la nostra strada a testa alta.

21 marzo 2012
Anarchici a Napoli
da informa-azione.info


Perquisite le case di compagni anarchici per 270bis e 280
Il 29 marzo 2012 la procura di Perugia, con un’indagine a carico della p.m. Comodi, ha dato il via ad un’operazione repressiva in grande stile nei confronti di 4 compagni anarchici. Perquisizioni domiciliari a Pisa e provincia, in provincia di Chieti, a Brescia, a Genova, a Catania, a Ravenna ed in altre località. Non ancora abbiamo un quadro completo, ma ci risulta che 2 compagni, dopo la perquisizione sono stati condotti in maniera coatta presso la caserma dei ROS di Perugia e sottoposti ad interrogatorio da parte della p.m. I compagni si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ed in nottata, dopo un sequestro di persona di oltre 22 ore, sono stati rilasciati.
Le accuse: 270bis e 280, quest’ultimo proprio per la natura eversiva dell’associazione a delinquere. Da segnalare che a questa operazione hanno partecipato carabinieri del ROS di Perugia, del reparto ANTIEVERSIONE di Roma e del reparto INDAGINI TECNICHE di Roma. Oltre al solito materiale informatico e cartaceo, sono stati sequestrati oggetti quali: mollette per stendipanni, lampadine, pinze, viti, chiodi, bulloni, cavi elettrici, forbici, nastri isolanti e adesivi, puntine da disegno, batterie, guanti, mascherine, occhiali protettivi, tute monouso, libri di chimica generale e chimica organica… alla faccia dell’antitecnologia!
Come sempre, una estrema attenzione è stata posta nel sequestro di tutta la corrispondenza con i compagni prigionieri, in particolare quella con Gabriel Pombo da Silva, con Marco Camenisch e i membri prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.
Informiamo che, all’interno delle indagini informatiche, la casella di culmine(at)distruzione(dot)org è stata violata e copiata; nel merito di quest’attacco diffondiamo una nota a parte, in italiano e spagnolo.
Per ora dimostriamo la nostra più incondizionata solidarietà anarchica ai 4 compagni indagati continuando a gridare… W l’Anarchia!
Morte allo stato, ai suoi complici, ai suoi protettori e ai suoi falsi avversari!

30 marzo 2012
da culmine.noblogs.org


firenze: ZITTO E MOSCA!
Tre compagni arrestati per aver detto che in Questura si uccide
Nella mattina di giovedì, una pattuglia della Digos ha notato, nei dintorni della stazione di Rifredi, un gruppo di compagni intenti ad attaccare manifesti sui recenti omicidi di Stato nelle camere di sicurezza della Questura di Firenze. Lanciatisi all'inseguimento, i digossini li ritrovano mentre volantinano e parlano al megafono nei pressi del mercato di Piazza Dalmazia. Con l'aiuto di tre pantere accorse nel frattempo, sequestrano tre compagni tra botte e urla di sdegno della gente presente.
I primi solidali accorsi sotto la Questura in appoggio ai fermati vengono subito accerchiati da una ventina di poliziotti e trattenuti, mentre a un secondo gruppo di solidali accorsi vengono prese le generalità e altre due persone vengono trattenute per circa un'ora. Di fronte al piccolo presidio davanti alla Questura viene schierata la celere.
L'atteggiamento degli sbirri è stato per tutto il giorno militaresco e provocatorio.
Alla fine della giornata vengono confermati gli arresti di Nicola, Filomena e Sandro per oltraggio, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, mentre altre due compagne sono rilasciate con le stesse denunce. Tre compagni, con i più svariati pretesti, ricevono il foglio di via d'urgenza.
Che a Firenze, come un po' ovunque, l'aria stia cambiando, è stata una sensazione condivisa dai presenti durante tutta la giornata. Lo Stato, i padroni e i loro "tecnici" hanno paura e dimostrano di essere disposti a difendersi con ogni mezzo dalla collera che monta nelle viscere di questa società sempre più invivibile. Guai a chi protesta: manganellate agli operai che manifestano, arresti tra i No Tav, gli studenti, gli anarchici e gli scontenti di ogni pelo. Guai a chi rompe il silenzio assordante che si vorrebbe creare attorno alle varie macellerie di Stato come la Questura di Firenze, in cui due immigrati sono morti ammazzati in meno di un mese. Basta manifestazioni non autorizzate, basta colla e volantini. Basta presidi solidali di fronte alle gabbie del potere.
In tutto questo ciò che ci rincuora è la reazione generosa della gente di Piazza Dalmazia, che non è rimasta in silenzio ma ha apertamente solidarizzato con i manifestanti di fronte alla smaccata brutalità dei poliziotti.
Segno, certamente, che ancora non si è spenta quella fiammella di calore umano che il dominio vorrebbe azzittire con ogni mezzo. Segno, forse, che lo spettacolo della democrazia comincia a mostrare la corda, che la voglia di reagire potrebbe dilagare. Manca solo un pizzico di fiducia reciproca, un pizzico di coraggio per passare all'azione.
Gli arrestati non saranno lasciati soli: libertà per Nicola, Filo e Sandro!
Quanto ai fogli di via saranno violati a testa alta, come sempre.
E non finisce di certo così.
PRESIDIO IN PIAZZA DALMAZIA, sabato 31 marzo 2012, h 10 del mattino.

Il 31 marzo il giudice ha deciso di fare un favore alla digos della città vetrina e, non potendo evidentemente confermare gli arresti, ha comminato tre obblighi di dimora nei comuni di residenza, quindi due a Pontassieve ed uno a Pistoia.

***
VIA DALLE NOSTRE VITE!
Si chiamava Youssef Ahmed Sauri, era marocchino, abitava nei dintorni di piazza Dalmazia. E' stato assassinato dai poliziotti della Questura di Firenze la sera del 27 gennaio. E' stato visto l'ultima volta da un passante di fronte all'ospedale di Santa Maria Nuova, mentre veniva caricato a forza su una volante da due poliziotti e dalle due guardie private del pronto soccorso. Erano le 20.20 e Youssef gridava "aiuto!". Tre ore dopo era morto. I sanitari chiamati in Questura ne constatavano la morte attorno alle 23.30. Il referto ufficiale parla di strangolamento, secondo gli sbirri Youssef si sarebbe impiccato con una coperta di lana grezza, in una stanza priva di suppellettili, a una porta priva di appigli.Una storia che fa acqua da tutte le parti. Un omicidio di Stato che puzza di esecuzione a freddo. A seguito della denuncia del passante, che ha fatto un esposto alla procura della repubblica, la magistratura ha aperto un fascicolo sullo strano "suicidio" di Youssef Sauri, morto nell'arco di tre ore tra le mani dei suoi aguzzini. Non c'è nulla da sperare nella "giustizia" dei giudici, sempre pronti a coprire gli orrori degli assassini in divisa. Specie quando la loro vittima è uno straniero povero. Gli omicidi di Stato si susseguono e gli sbirri ne escono sempre in piedi, al massimo vengono condannati a pene lievi, non scontano mai un giorno di carcere, non sono mai sospesi dal servizio, tutt'al più vengono trasferiti. Chi ha mai pagato per i vari Lonzi, Cucchi, Aldrovandi, Rasman, Eliantonio, Casu, Frapporti, Mastrogiovanni, Bianzino, Sorin Calin...?
Mettiamo fine a questo bollettino di guerra, non aspettiamo il prossimo morto. Dobbiamo cercare un'altra giustizia, perché orrori del genere non accadano più. Opponiamoci alla presenza della polizia nei quartieri, sabotiamo le loro retate infami, combattiamo una Sicurezza che protegge solo i ricchi e i loro denari. Riscopriamo il coraggio e la solidarietà nel conflitto, per un mondo senza carceri e senza carcerieri.
R'Himi Bassem. Un altro morto inspiegabile nella Questura di via San Gallo.
Trent'anni, tunisino, è stato fermato la sera del 24 febbraio e rinchiuso nella maledetta camera di sicurezza dove neanche un mese prima era stato trovato morto Youssef Ahmed Sauri, preteso "suicida". Il 25 febbraio anche R'Himi Bassem era cadavere, secondo gli sbirri per un inspiegabile malore. Eh già, un malore. Perché non si poteva parlare un'altra volta di "suicidio" a neanche un mese di distanza dalla morte di Youssef Ahmed. Meglio, per gli uomini della Questura, nascondersi dietro pretese "cause naturali", per quanto vaghe ed incredibili. Sapendo anche di poter contare sull'aiuto dei soliti medici compiacenti, che in ben due autopsie hanno negato quegli evidenti segni di percosse che chiunque può scorgere nelle foto del volto segnato di R'Himi Bassem. Quelle percosse che, secondo il fratello di R'Himi, gli avrebbero procurato addirittura un buco e la frattura dell'osso del collo. Se le leggi dicono di proteggere tutti indistintamente, le dinamiche reali dello Stato proteggono i suoi assassini in divisa. E' una fitta rete di complicità che sta dietro agli omicidi di Stato: dai medici che insabbiano ai magistrati che archiviano, fino ai giornalisti che, con tutti i "se" e i "ma" del caso, sposano sempre la versione del più forte, in attesa di fomentare ancora quell'ossessivo bisogno di Sicurezza che garantisce solo i potenti e i loro denari. Non c'è nulla da sperare nella "giustizia" dei giudici, sempre pronti a coprire gli orrori degli assassini in divisa. Specie quando la loro vittima è uno straniero povero. Gli omicidi di Stato si susseguono e gli sbirri ne escono sempre in piedi, al massimo vengono condannati a pene lievi, non scontano mai un giorno di carcere, non sono mai sospesi dal servizio, tutt'al più vengono trasferiti.
Chi ha mai pagato per i vari Lonzi, Cucchi, Aldrovandi, Rasman, Eliantonio, Casu, Frapporti, Mastrogiovanni, Bianzino, Sorin Calin...?
Mettiamo fine a questo bollettino di guerra, non aspettiamo il prossimo morto. Dobbiamo cercare un'altra giustizia, perché orrori del genere non accadano più. Opponiamoci alla presenza della polizia nei quartieri, sabotiamo le loro retate infami, riscopriamo il coraggio e la solidarietà nel conflitto, per un mondo senza carceri e senza carcerieri. Non chiamiamo più la polizia: organizziamoci per cacciarla.

31 marzo 2012
dainforma-azione.info
Nuove occupazioni a Milano
Il vento nuovo di Milano alla fine si è rivelato una puzzetta, tuttavia nonostante i miasmi da qualche tempo si respira un'aria nuova, una voglia di riappropriarsi dei propri percorsi politici, una voglia di fare politica al di là delle deleghe e delle mediazioni.
Nel giro di tre settimane tre nuovi spazi sociali hanno arricchito la città.
Per primo è arrivato "piano terra" sito all'isola in uno spazio immediatamente prospiciente ai "grandi progetti" che stanno sventrando il quartiere. Il 29 marzo è stato il momento della nuova occupazione in via Scaldasole. Nel cuore della città "centro commerciale". Il 30 invece è venuto il momento dell'"officina dei beni comuni" in zona Zara (Via Arbe 50), che si propone di diventare uno spazio intergenerazionale per creare diritti nell'epoca del saccheggio globale. Il 31 il Laboratorio dei beni comuni in via Padova.
Seguono alcuni comunicati su tali progetti.

milano: Occupato il Laboratorio per i Beni Comuni
A conclusione del corteo “Occupyamo Piazza Affari” abbiamo occupato e riaperto uno spazio del patrimonio pubblico (ALER) chiuso da quasi 20 anni in via Padova. Riportiamo così in una periferia popolare il senso e il contenuto di una giornata di lotta che ha attraversato il centro della città, fin sotto il luogo a cui non solo simbolicamente sono appesi i destini di milioni di lavoratori, precari, pensionati, studenti, famiglie.
Con questa occupazione traduciamo a livello locale le aspirazioni, i sentimenti, la voglia di protagonismo che si manifesta a livello globale, che cresce e si estende.
Il Laboratorio per i Beni Comuni di via Padova è un luogo per favorire la rete, il coordinamento, l’unità d’azione, l’elaborazione di strategie e pratiche collettive per fare fronte agli effetti della crisi.
Ne abbiamo bisogno tutti, i lavoratori che resistono agli attacchi del governo dei professori milionari, ai licenziamenti e alle delocalizzazioni, i precari che vivono in un labirinto in cui ogni certezza è effimera, ma i profitti estorti dal loro lavoro sono concreti; le famiglie strozzate fra bollette e mutui, gli spettri dei pignoramenti e le cartelle di Equitalia, chi ha una casa e non sa se potrà continuare a pagare l’affitto e chi una casa non ce l’ha perché l’affitto non se lo può permettere.
In una città strozzata dal debito dell’Amministrazione Comunale, in cui i servizi sono diventati merce e i soldi pubblici vengono usati per una grande speculazione come l’EXPO 2015; in un quartiere in cui decenni di amministrazioni di destra hanno lavorato per farne un ghetto (senza riuscirvi!) e hanno alimentato il razzismo e la guerra fra poveri, trattare il più collettivamente possibile le contraddizioni e le difficoltà di chi la crisi la subisce è necessario. Per iniziare a costruire una alternativa. Questa è la funzione di un posto occupato, liberato e rimesso in uso a fini collettivi.
Alle tante associazioni e organizzazioni formali e non che operano sul territorio di via Padova, diciamo che se la volontà di affrontare e risolvere i mille problemi e le mille contraddizioni che la crisi produce è autentico, se la spinta a trovare soluzioni positive è genuina, c’è solo una strada da percorrere, quella dell’unità di azione, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze.
Coloro che lo vorranno hanno da subito a disposizione un sostegno, un appoggio, uno spazio per fare rete, per discutere, presentare, dare seguito pratico a progetti e iniziative, campagne e mobilitazioni. Perché la lotta per l’emancipazione e il progresso, anche quella, è un bene comune.
E in conclusione... solidarietà e complicità alle operaie e agli operai della Jabil, che da mesi occupano la fabbrica e ai promotori e animatori delle occupazioni delle ultime settimane a Milano: Piano Terra di via Confalonieri, l’Officina dei Beni Comuni di via Arbe, spazio occupato di via Scaldasole… e alle prossime che verranno. Che siano tante, di tante esperienze, di tanti percorsi, ognuna che afferma con forme proprie che il futuro è nostro e non lo deleghiamo.

31 marzo 2012
da lombardia.indymedia.org

Il 3 aprile lo spazio occupato in via Padova è stato sgomberato da ingenti forze di polizia.

***
milano: Un’occupazione non è un punto di arrivo o di partenza
Flessibile o piede di porco a parte, le domande fondamentali erano diverse. Come aprire uno strappo nel tessuto delle infinite relazioni e separazioni, della totalità di circolazione e polizia? Come fare a sfibrare i discorsi di crisi, prendere l’austerity a calci in faccia e finalmente disfarci della questione del futuro, per esplorare qui e ora il baratro della società che si rompe? Dovevamo trovare un luogo materiale. Un luogo occupato. Né centro sociale, né squat, né sede di un gruppo politico. Nè il #nuovonome del #nuovosoggettopolitico o la nuova espressione di una “nuova realtà” e neanche una struttura al servizio di questa o quella lotta.
Occupare per diffondere l’autonomia, per correre e riposare, per sostenere e dare continuità al ritmo della lotta.
Occupare non è una pratica del passato. Non è un mezzo come gli altri per prendersi degli spazi. Proprio perché si pone sul piano della configurazione materiale, spaziale, locale del mondo attorno a noi, perché mette in questione le forme dell’abitare proprio nel cuore dell’inabitabile, perché mina fin dalla base le due fondamenta dell’edificio del dominio: proprietà privata e spazio pubblico.
Anche se la parola d’ordine “occupare tutto” è stata recuperata dai peggiori politicanti, anche se #occupy è diventato un brand, il livello zero del marketing politico a scopo istituzionale, non dimentichiamo la potenza contenuta in ogni occupazione, che sia una casa a Roma, una scuola a Milano, una piazza al Cairo, un parco ad Atene, un porto a Oakland. Che sia per un giorno o per vent’anni.
Non dimentichiamo neanche che proprio questa zona, in cui la trasformazione della città in centro commerciale è più avanzata, ospitava il cuore pulsante del movimento delle occupazioni negli anni ’70. E’ probabilmente la frazione di Milano in cui la sconfitta dell’ipotesi rivoluzionaria sembra più palese.
Appunto. Non vediamo il passato come una somma di memorie, ma come una costellazione di potenze non compiute, di indicazioni per l’oggi. I quartieri possono esistere solo se li costruiamo, intensificando gli incontri, la circolazione, combattendo il regno dell’indifferenza. Soprattutto laddove sembra impossibile.
Non vogliamo né centralizzare né socializzare la lotta. Vogliamo che si diffonda un piano di condivisione autonomo delle vite, che le occupazioni si moltiplichino ovunque. Come i blocchi sull’A32.
Si è detto che le lotte contro la linea ad alta velocità abbiano collegato Lisbona a Kiev molto prima del progetto infrastrutturale. Ci auguriamo che questo posto possa essere uno scalo di questo tracciato offensivo, che sia un terminale tra tanti nella filiera di mezzi, luoghi e conoscenze. Un passante attraverso la metropoli infinita. Un invito a viaggiare verso ogni destinazione possibile. Un’occupazione non è un punto di arrivo o di partenza. L’occupazione è una questione di continuità.
Il posto occupato è in via Scaldasole, angolo corso di Porta Ticinese.

29 marzo 2012
da lombardia.indymedia.org


padova: CONTRO LA GIUNTA DEL CEMENTO E DELLA SPECULAZIONE
RIPRENDIAMOCI GLI SPAZI
Venerdì 23 Marzo abbiamo occupato l'ex scuola elementare "Fratelli Bandiera", nel quartiere Forcellini. L'edificio è di proprietà del comune di Padova ed è vuoto e abbandonato da quasi dieci anni. Infatti, nonostante sia ancora in buone condizioni, lo stabile è inutilizzato dal 2003, salvo un breve periodo in cui fu adibito a Centro di Accoglienza per Immigrati e attualmente è in attesa di diventare un rudere da abbattere, da vendere al peggior offerente o da destinare a speculazioni edilizie, sorte che è toccata a molti edifici abbandonati in città.
Non è la prima volta che ci troviamo a occupare stabili comunali lasciati al degrado.
Già lo scorso anno abbiamo reso viva l'ex scuola Zanella - Davila, situata a Torre e vuota da sette anni, ridando a quello spazio nuova linfa vitale e arricchendolo con iniziative politiche e sociali per i giovani, gli studenti e il quartiere.
L'occupazione è durata sei mesi ed è terminata soltanto dopo lo sgombero da parte delle Forze dell'Ordine, le quali, oltre a chiudere il Centro Popolare, hanno parzialmente demolito lo stabile, contrapponendo la logica della distruzione e del "ripristino del degrado" a chi cerca di costruire un'alternativa in funzione di giovani e proletari. La vicenda si è conclusa definitivamente la scorsa estate, quando l'ex scuola Zanella - Davila è stata svenduta all'asta a meno della metà del prezzo originale.
In seguito a questa occupazione, la risposta della giunta comunale, del PD, di Flavio Zanonato non ha tardato a farsi attendere, infatti, sono arrivate le denunce per "occupazione abusiva" e "resistenza a pubblico ufficiale", a carico di quattordici compagne e compagni. Questa è la reazione nei confronti di chi occupa per combattere le logiche del profitto e della speculazione, in una città in mano alle lobby del cemento.
Il nostro intento è quello di aprire spazi dove avere un'agibilità politica per potersi confrontare e autorganizzare per far fronte ad una classe politica che ci sta togliendo ogni sicurezza del presente e cancellando ogni prospettiva per il futuro. Ma anche per una libera aggregazione popolare e una nuova socialità per le persone; uno spazio autogestito e fuori dal circuito dei profitti. Un luogo fuori e contro le logiche del mercato, del consumismo, dello spreco e dell'omologazione, dentro le quali vivono la maggior parte delle persone, in particolare i giovani. Uno spazio fuori e contro la compatibilità istituzionale e che rappresenti un motore di autorganizzazione e di resistenza proletaria. Invitiamo tutti, in particolare gli abitanti del quartiere, a venirci a trovare e portare idee e proposte su come far rivivere insieme l'ex scuola e portare avanti l'occupazione.
L'erba cattiva non muore mai!

12 marzo 2012
CPO Gramigna



roma: Aggressione fascista a casalbertone
chiudere i covi fascisti!
Un piccolo resoconto dei fatti: alle ore 14 un gruppo di una decina di fascisti si è presentato davanti ai magazzini popolari di casalbertone armato di caschi e bastoni, aggredendo i due presenti. L’aggressione è stata fortunatamente contenuta dallo spirito antifascista del quartiere che dai balconi ha iniziato a lanciare vasi contro i fascisti. I carabinieri, presenti sul luogo, si sono limitati ad osservare e lasciare andare via liberamente gli aggressori identificando invece i compagni aggrediti. Al solito, la polizia si dimostra il loro migliore alleato.
A tal proposito Casapound, e molti media, riportano la fantasiosa notizia di un’intimidazione ai danni della madre di un fascista; episodio di cui non si capiscono circostanze, testimoni, motivazioni.
La risposta del quartiere e della Roma antifascista non si è fatta attendere, con un corteo spontaneo per le vie del quartiere. Anche qui, i fascisti non hanno perso tempo per aggredire, dopo essere cresciuti di numero in modo sospettosamente rapido. E’ da notare come durante l’aggressione sono state usate mazze, bastoni, accette e picconi, e che le loro aggressioni sono state attivamente supportate dalla polizia tramite il lancio di lacrimogeni contro gli antifascisti. Addirittura hanno usato un furgone in cui depositare le armi, con un “adddetto” al rifornimento di oggetti contundenti.
CasaPound continua a barcamenarsi tra una facciata “culturale” e impegnata nel sociale, e una pratica reale di aggressioni e intimidazioni. Guardacaso, una settimana esatta dopo la loro candidatura per le comunali romane, si rendono protagonisti di un’aggressione ad Ostia. Il loro arrivo a Casalbertone, del resto, è stato immediatamente seguito da aggressioni nel quartiere che i fascisti hanno tentato di nascondere dietro a un “circolo romanista”. Casalbertone del resto è stato chiarissimo: Casapound se ne deve andare.

23 marzo 2012
daroma.indymedia.org

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SUGLI EVENTI DI VENERDÌ A CASALBERTONE
23 marzo 2012, una data significativa in cui si incrociano, sovrappongono e finiscono per scontrarsi anniversari opposti e relative celebrazioni. Da un lato, c'è chi rende onore ai 335 romani trucidati alle Fosse Ardeatine dai boia nazisti e relativo codazzo di lacchè in camicia nera, dall'altro, chi omaggia Mussolini, la nascita del fascismo e festeggia i suoi inutili 5 anni di esistenza come circolo “futurista”.
23 marzo 2012, nonostante la tanto sbandierata discontinuità -a beneficio di telecamera- verso il proprio passato, con l'attacco squadrista ai Magazzini i così detti fascisti -parola loro- del “III millennio” assolvono pienamente alla missione storica tracciata dai loro antenati in camicia nera.
Il fallito assalto fascista, nel primo pomeriggio, ha come obiettivo un luogo, i Magazzini Popolari, impegnato da anni in una difficile missione: supplire quotidianamente con impegno, dedizione e volontà alla latitanza delle istituzioni verso gli inascoltati bisogni ed esigenze sociali dei cittadini del quartiere, attraverso continui piccoli/grandi gesti quotidiani di solidarietà, mutualismo e giustizia sociale.
Da anni, i Magazzini Popolari combattono al fianco del popolo di Casalbertone contro carovita e caroprezzi, tra i primi a Roma a mettere in piedi l'efficace rete distributiva di generi di prima necessità a prezzo calmierato con l'esperienza dei GAP (gruppi di acquisto popolare).
Da anni, i Magazzini lottano contro lo strozzinaggio legalizzato delle società di riscossione coinvolgendo i cittadini del quartiere nella campagna antisfratti, contro il caro bollette, per il diritto all'abitare.
I Magazzini, inoltre, col tempo sono divenuti sinonimo di sport popolare, cultura e saperi liberi e gratuiti.
Da più di un mese, i Magazzini sono al fianco degli operai delle officine RSI di Portonaccio, in occupazione permanente della loro fabbrica per rivendicare diritto al lavoro, al futuro, alla dignità.
Per Casalbertone, i Magazzini sono questo e molto altro ancora. Non solo nel nome ma anche nel loro nobile piglio etico, richiamano alla mente la grande esperienza storica di quelle che un tempo erano le Case del Popolo, luoghi di alternativa reale e praticabile alla politica intesa solo come malaffare, interesse economico e speculazione. Esempio virtuoso di mutuo soccorso, passione e volontarismo.
I fascisti “di zona”, al contrario, sono e da sempre, completamente estranei a qualsivoglia forma di interlocuzione virtuosa col quartiere e la sua gente. Fantasmi dell'impegno sociale, nonostante l'ipocrita vestizione della maschera “futurista”, essi non richiamano altro che l'ottusa, stupida e boriosa violenza fine a se stessa che da sempre costituisce il tratto distintivo della loro infame genia.
Novant'anni fa, mazzieri e mercenari al soldo di padroni, industriali e latifondisti, oggi, “utili idioti” in cerca d'autore.
Così, l'attuale e funesto clima politico complessivo ben si presta a strumentalizzazioni -più o meno coscienti- del “ribellismo” da operetta di marca fascista. I fino a ieri paladini in doppiopetto di democrazia rappresentativa e sovranità popolare, stretti dalla morsa della crisi economica, hanno svestito i vecchi abiti e l'ormai inservibile partitocrazia democratica ha ceduto il passo ad un governo “tecnico” eterodiretto dai vampiri mittleuropei dell'alta finanza. Un'aristocrazia transnazionale il cui unico fine consiste nel preservare se stessa e propri interessi a scapito di tutto e tutti.
In pochi mesi d'attività, i tecnocrati italioti hanno dimostrato di saper assolvere con grande efficienza alla missione iniziando con successo la sistematica demolizione di quanto rimasto in piedi del vecchio Stato sociale. L'offensiva è stata lanciata lungo tutto il fronte: pensioni, diritti dei lavoratori, perpetuazione perenne del cancro generazionale della precarietà, sacco ambientale e svendita dei territori, genuflessione agli interessi delle grandi multinazionali. Tuttavia, nonostante il monopolio dei mezzi d'informazione, protesi per lo più a magnificare le “misure anticrisi” del governo dei tecnici, dal basso e in forma spontanea, autorganizzata, si moltiplicano i movimenti di protesta e di resistenza che, pur se eterogenei e colpiti dalla censura massmediatica, rappresentano -in potenza- tanti piccoli fuochi pronti ad incendiare la grande prateria di una imminente, rediviva opposizione sociale, la quale non potrà certo essere liquidata attraverso i mezzucci truffaldini con cui sono state facilmente silenziate le più o meno conniventi “opposizioni” parlamentari e sindacali di facciata.
Da nord a sud, ormai da giorni, monta la rabbia e cresce la protesta, il popolo torna nuovamente a scendere in piazza con cortei spontanei e si moltiplicano le occupazioni di fabbriche, in alcuni casi, si torna addirittura ad occupare le terre. I tecnocrati, dal canto loro, fin da subito hanno dato abbondante prova di tollerare assai poco il dissenso in ogni sua forma ed espressione.
In un simile contesto non deve meravigliare, al di là dei proclami populisti, una certa, precisa coazione a ripetere di matrice fascista: idiozia e malafede squadrista ben si prestano a fare nuovamente da stampella a quelle linee d'indirizzo governative che, attraverso la favoletta degli “opposti estremismi”, puntano a delegittimare la giusta e sacrosanta opposizione ai tecnici della macelleria sociale derubricandola a questione di “ordine pubblico”.
In ordine di tempo, la fallita spedizione punitiva a Casalbertone non è che l'ultima di una lunga sequela di aggressioni fasciste. Proprio in questa direzione, l'antifascismo militante, cuore vivifico e pulsante della più ampia lotta anticapitalista, lungi dall'essere anticaglia da museo, mostra, oggi, tutta la sua urgenza come pratica e teoria.
L'esempio dei nostri compagni dei Magazzini che in due (!) tengono testa e riescono a respingere l'attacco di 10 mercenari, armati di tutto punto con caschi e bastoni, è un esempio sul quale riflettere e dal quale partire.
L'antifascismo ha bisogno di meno piagnistei nelle questure e sui mezzi d'informazione, di non fare conto su fantomatici “terzi” - che imparziali non sono come la storia ci ha ben insegnato. Per essere esempio, l'antifascismo necessità di sviluppare in autonomia e al meglio tutta la sua forza, il coraggio delle proprie idee, la sua capacità di autodeterminazione.

RASH Roma
26 marzo 2012
da www.inventati.org/rash-roma


SUL MOVIMENTO DEI FORCONI
E' un movimento gestito e manovrato da un ex del Movimento Sociale Italiano (il partito fascista parlamentare dal dopoguerra fino ai primi anni '90) passato in questi anni in "Forza Nuova". All'interno di questo movimento convivono altre organizzazioni di destra come "Azione Giovani"e Casa Pound. Che situazione!
E' vero, quello dei Forconi è un movimento di lotta popolare di cui fanno parte pescatori, pescivendoli, camionisti, agricoltori. I compagni non hanno piede, per adesso, in questa lotta; qualcuno ha tentato di avvicinarsi come il "centro sociale Anomalia" di Palermo, i "Collettivi Studenteschi" di Catania. E' stato però un fallimento: si batte sempre il chiodo, non si retrocede, ma chiamare la "Sicilia dei Forconi" movimento che blocca, mette in ginocchio il sistema capitalista non è tanto bello perché di mezzo ci sono i fascisti. E in Sicilia tra mafia, stato e fascisti viene dura incanalare le lotte nel percorso che ci appartiene.
Il movimento dei forconi nasce a Palermo, la sua sede centrale si trova a Caltanissetta perché in questa provincia è forte la rabbia degli agricoltori proprietari di agrumeti (1), serre ecc. Questo settore contesta l'importazione di agrumi da Spagna, Marocco e da altri paesi che limita la produzione locale. In seguito si sono aggregati i pescatori, a causa dell'aumento del carburante gli autotrasportatori. Da qui è scattato il blocco di porti, strade e fattorie.
Il movimento dei Forconi è nato cinque-sei anni fa. La sua crescita iniziale è stata facile, adesso si trova in una fase stagnante. Compie occupazioni simboliche di sedi comunali, entra nei programmi televisivi, ma sempre accompagnato dalle sigle già citate. Le lotte solo per brevi momenti, poi c'è il solito politicante di turno che cavalca l'onda fino, come è successo, a trascinare il movimento in lotte fiacche. Fra qualche mese dovrebbe esserci un altro sciopero, subito dopo il tour delle occupazioni dei comuni. La gente tutta, accetta il movimento di protesta. Difficilmente questo movimento potrà avvicinarsi al NO TAV, anche se sono entrambi espressione della lotta popolare ma la rottura con lo stato, la radicalità di ciascuno viene manipolata, usata da istanze centralizzatrici, speculatrici, infine sotterrata.
In ogni caso la repressione dello stato, dopo i blocchi di protesta contro il rincaro e la scarsità della benzina, non si è fatta attendere. Sono così partite le prime denunce.
L'espresso scopo della rivolta è il rincaro dell'agricoltura, contro i prezzi di rapina imposti ai contadini: "Per comprare 1 kg di pane dobbiamo vendere 20 kg di pomodori". Questa una parola d'ordine portata alla manifestazione regionale del 20 settembre 2011 a Palermo. Segue una sintesi tratta da "Sicilia libertaria", febbraio 2012

(1) “Noi siamo quelli che una volta si chiamavano contadini, oggi si chiamano imprenditori agricoli, ma dai contadini di una volta abbiamo perso l'allegria, la soddisfazione, la serenità. In nome della globalizzazione siamo tutti depressi, tristi, abbiamo perso il piacere di fare il mestiere più bello del mondo, di stare a contatto col sole, con la natura, con le piante che trattavamo come figli. Ci avete distrutto psicologicamente, economicamente e soprattutto avete delapidato un capitale inestimabile: volevamo trasferire la nostra professionalità ai nostri figli ed invece saremo costretti a riempirgli ancora una volta quella valigia di cartone ed a salutarli”.

***
Nella seconda metà di gennaio 2012 in Sicilia il movimento di protesta si è ulteriormente unito: dal movimento dei Forconi, dall'AIAS (Associazione delle Imprese di Autotrasporti Siciliane), dalle associazioni degli agricoltori e di altre categorie, è sorta "Forza d'urto". In questa realtà organizzativa politica le diverse associazioni sono legate fra di loro dal crollo degli ultimi steccati di welfare (in Sicilia estremamente clientelare) e dalla pressione.
“Forza d'urto” ha preparato in maniera piuttosto adeguata la settimana di blocchi stradali, presidi di massa. Lo lotta è diventata popolare, con un collante fornito dalla rabbia repressa, dalla delusione cocente verso le illusioni sparse negli anni dalla classe politica, siciliana in particolare; da una netta sensazione di comunanza di condizioni e di interessi fra le varie categorie, di comunanza di nemici. Soprattutto è emersa una disponibilità a lottare, a scegliere la battaglia di strada come metodologia risolutiva, dopo anni di delega e di clientelismo. […] C'era (e c'è ancora) una fame di protagonismo, una volontà di interessarsi dei propri problemi, una ritrovata capacità di organizzazione che ha coinvolto migliaia di persone, e che comunque, male che dovesse finire, sedimenterà qualcosa di positivo. […]
Le rivoluzioni partono così, da fatti a volte imprescindibili; non ci sono schemi prestabiliti; la primavera araba ce lo insegna.
"La reazione repressiva… ha evitato di innescare risposte violente e focolai di ribellione, riservandosi di colpire i manifestanti a tempo debito, con centinaia di denunce e di arresti, cosa che sta già avvenendo in questi giorni di fine gennaio.


milano: sull’udienza preliminare del processo per la lotta INNSE
Il 3 Febbraio si è tenuta, presso il Tribunale di Milano, la seconda udienza preliminare nei confronti dei sedici compagni che hanno solidarizzato con gli operai della INNSE in lotta contro la chiusura della fabbrica e per la difesa del proprio posto di lavoro. I fatti contestati riguardano la protesta sulla Tangenziale Est di Milano del 2 Agosto 2009 contro lo smontaggio del macchinario.
In questa seconda udienza, l'accusa, sulla base di ulteriori certificati medici: con prognosi a nostro avviso volutamente aggravate dalle forze dell'ordine, ha chiesto di modificare in peggio, per alcuni degli accusati,il capo di imputazione passando da resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, oltre che manifestazione non autorizzata," a lesioni gravi".
Il risultato di questa condotta preliminare è stato che il GUP ha accolto tutte le richieste del pubblico ministero, quali l'aggravio dei capi d'imputazione per alcuni, il proscioglimento dell'accusa di manifestazione non autorizzata per tutti e la costituzione degli appartenenti alle forze di polizia come parte civile offesa. In realtà i cinque sono stati rinviati a giudizio,la prima udienza è stata fissata il 16 Aprile, con l'accusa aggravata per un fatto che vale la pena ricostruire attraverso le parole degli stessi operai della INNSE , che in un loro comunicato raccontano che: " il mattino la fabbrica era circondata dalla forza pubblica, all'interno squadre di operai avevano iniziato a smontare le macchine, il presidio era stato rimosso all'alba: fu in quella situazione che un corteo spontaneo, ancora poco numeroso,si diresse verso la tangenziale per attirare l'opinione pubblica su ciò che stava accadendo. Un sito produttivo stava per essere demolito senza appello. La protesta sulla tangenziale durò pochi minuti, si decise di tornare in via Rubattino raccogliendosi davanti ai cancelli e chiedendo alle istituzioni di intervenire per bloccare lo smontaggio. Non successe niente. Per bloccare lo smontaggio quattro operai e un sindacalista dovettero finire su un carro-ponte della fabbrica e vi restarono per nove giorni. La conclusione si conosce bene, la fabbrica venne comprata da un nuovo imprenditore e sta funzionando normalmente, ci sono state nel frattempo nuove assunzioni. I sedici manifestanti , rinviati a giudizio, sono fra i primi che accorsero quella tragica mattina e manifestarono con noi operai della INNSE affinchè la fabbrica non venisse smantellata. Una scelta che fa loro onore,sostenevano una lotta operaia che andava avanti da oltre quattordici mesi …."
Un'azione di resistenza degli operai contro i licenziamenti e la chiusura della fabbrica pubblicizzata dai media nazionali e sostenuta, anche se in molti casi solo formalmente, dalle prese di posizione di centinaia di forza sindacali,sociali e politiche,istituzionali e non,che hanno riconosciuto le ragioni di quella lotta e gli operai che la hanno condotta fino al vittorioso esito conosciuto. Un esito che evidentemente per come è stato ottenuto ha sollevato ad alcuni una serie di problemi: sulla forma della lotta,sulla solidarietà che ha prodotto, sulla capacità degli operai di resistere senza tentennamenti e con questo rinvio a giudizio vogliono mandare dei messaggi chiari:
1) Le lotte degli operai devono assolutamente stare nei "limiti" del non disturbare nessuno. Così gli operai della INNSE dovevano andare a casa in silenzio, nel pieno delle regole che permettono al padrone di chiudere la "sua " fabbrica e buttar tutti in mezzo a una strada.
2) Il mattino del 2 Agosto mentre veniva smontata la fabbrica e le forze dell'ordine scioglievano il presidio gli operai dovevano far finta di niente senza reagire, invece gli operai decisero assieme ai loro sostenitore di protestare in tangenziale, protesta che durò poco tempo, senza nessun serio incidente con le forze dell'ordine. Hanno invece scelto di fare un processo a tre anni di distanza "immaginando chissà quali scontri e violenze".
3) I manifestanti colpiti dai provvedimenti sono tutti presi fra coloro che sostennero la nostra lotta fin dall'inizio, la scelta è accorta : chiunque sostenga attivamente le lotte operaie corre il rischio di finire in tribunale, la solidarietà gli operai la devono cercare "nelle parole del politico di turno", non nei giovani studenti e lavoratori che si mobilitano in prima persona. La stessa strategia utilizzata contro i sostenitori del movimento NO TAV arrestati il 26 Gennaio di quest'anno.
Come operai della INNSE avevamo chiesto al GUP, tramite gli avvocati, di partecipare alle udienze preliminari, con la nostra presenza volevamo rendere visibile testimonianza che ciò che successe quella mattina in tangenziale fu un azione di grande valore sociale: impedire lo smantellamento di una fabbrica che aveva fatto la storia di Lambrate, impedire di licenziare 50 operai.
Il GUP non ci ha fatto partecipare appellandosi alle norme di legge. Ora inizierà il processo, la prima udienza il 16 Aprile : gli operai della INNSE ci saranno sempre, la solidarietà è una cosa seria e non si può cancellare.

25 marzo 2012
R.S.U. INNSE, gli imputati


Pioltello(mi): Tutti davanti ai cancelli di Esselunga
Sabato 24 marzo ore 15
In tanti hanno solidarizzato in questi cinque mesi con la coraggiosa lotta degli operai delle cooperative dell'Esselunga che hanno deciso di affrontare apertamente la condizione di sfruttamento e caporalato interna a quei magazzini, mettendo in discussione il loro posto di lavoro. Una lotta in cui tanti altri lavoratori delle cooperative si sono riconosciuti, in quanto il sistema Esselunga rappresenta l'insopportabile regime a cui centinaia di migliaia di persone (per lo più immigrati) sono sottoposte quotidianamente.
Dal 7 ottobre, quando tutto iniziò, tanta acqua è passata sotto i ponti; tante iniziative, assemblee, scioperi, blocchi, manifestazioni, hanno scaldato gli animi di molti compagni/e e turbato i sonni dei potenti di turno, fino ad arrivare alla prima sentenza che ha decretato il reintegro dei licenziati,: sentenza alla quale Esselunga si è opposta manu militari, impedendo fisicamente il loro rientro e inventandosi una Cassa integrazione che non ha ragione di esistere in un'azienda dove si fanno gli straordinari.
Lo sgombero del presidio, voluto e deciso da tutta la santa alleanza che si riconosce nel governo Monti, illustre rappresentante del capitale e della finanza europea (dai padroni di Esselunga ai caporali delle cooperative, passando per le istituzioni democratiche e i sindacati confederali) non è altro che la risposta di chi non ha altre armi che il ricatto e la repressione per difendere i propri privilegi di fronte alle evidenti ragioni degli operai e, più in generale, di tutti i lavoratori oggi sottoposti ad un duro attacco.
Lungi dal rappresentare una sconfitta definitiva, lo sgombero del 20 marzo rappresenta invece un ulteriore stimolo a rilanciare la battaglia, tanto davanti ai cancelli quanto sul territorio pioltellese, mentre si vanno accumulando nuove battaglie, e nuove energie, sull'intero fronte della logistica e della grande distribuzione (dalla Bartolini di Parma alla DHL di Carpiano, passando per la GLS di Piacenza).
Lotte che segnano una congiuntura sociale e politica, in cui i padroni e i loro governi tentano di imporre una politica di lacrime e sangue, affinchè i loro debiti, i debiti accumulati da un sistema economicamente al collasso, vengano pagati dai proletari; lotte che tracciano un percorso possibile per l'insieme della classe lavoratrice
La stessa difesa dell'art.18, massacrato dal governo Monti e prima ancora dalla prassi padronale già in atto (Esselunga è esempio anche da questo punto di vista), passa oggi per la capacità di mettere in piedi e sostenere lotte di reistenza concrete, capaci allo stesso tempo di difendere le condizioni di vita dei lavoratori e di rilanciare su una prospettiva diversa da quella a cui ci vogliono obbligare, con la forza, le classi dominanti
Su queste basi facciamo appello a tutti i sostenitori della lotta contro Esselunga, e più in generale a tutti coloro che sono impegnati a costruire e sostenere forme di resistenza sui territori, ad una partecipazione di massa alla manifestazione di sabato, sia per respingere la manovra vigliacca del sindaco (un uomo del PD al servizio di Esselunga) che ha firmato l'ordinanza di sgombero, sia per dare forza ad un percorso sindacale e politico che punta apertamente alla trasformazione dei rapporti di forza più complessivi a vantaggio degli operai e delle classi subalterne.

21 marzo 2012
SI.Cobas - Presidio permanente Esselunga


gls di cerro al lambro (pc): la battaglia non conosce soste
I lavoratori della GLS di Piacenza che hanno subito la serrata dopo gli scioperi di inizio marzo, mantengono la parola e continuano a dar battagia su tutta la linea.
Mentre continua il presidio davanti ai cancelli del sito piacentino, incalzano le istituzioni locali (con presidi, denunce, manifestazioni cittadine...) e, allo stesso tempo, allargano l'iniziativa portando la protesta al sito di Cerro al Lambro (scenario di duri scioperi due anni fa) dove l'azienda ha trasfeiro l'intera produzione di Piacenza, raddoppiando i turni di lavoro, estesi forzatamente anche alla domenica.
La settimana scorsa il sito di Cerro era stato oggetto di un presidio di massa con volantinaggio. Questa notte, sostenuti dagli operai della Tnt, della Ceva e dell'Esselunga, sono tornati alla carica bloccando completamente i cancelli a partire dalle 22. Un intero turno è saltato mentre si andava accumulando una lunghissima fila di camion.
Lo staff dirigente della multinazionale inglese si affannava in concitate telefonate alle forze di polizia che sono intervenute raggiungendo un numero di uomini in antisommossa sufficienti dopo due ore di blocco.
Solo alle 00.30, quando la carica era ormai pronta in tutti i dettagli per liberare i cancelli e il rapporto di forza era decisamente impari, gli operai hanno deciso di sospendere l'iniziativa di lotta lasciando in corteo i magazzini GLS.
La GLS è avvisata. Gli operai di Piacenza sono determinati a proseguire la battaglia se la commitenza persevererà nella sua condotta antisindacale, pronti ad allargare il raggio d'azione della lotta da Cerro ad altri hub, se non ci sarà un cambio di rotta.
I compagni solidali col movimento di lotta nelle cooperative sono invitati a contribuire alla campagna di sostegno alla lotta in corso alla GLS, così come è già avvenuto pre i punti vendita Esselunga di mezza Italia, organizzando volantinaggi ai magazzini della multinazionale inglese sparsi in tutta Italia. Forniremo adeguate informazioni, ed eventuali strumenti di lavoro, al riguardo.

28 marzo 2012
S.I. Cobas - Milano


Comunicato Stampa ex lavoratori ThyssenKrupp
sull'incidente alla Lafumet di Villastellone
Ancora una volta una giornata di lavoro è stata funestata da un gravissimo incidente.
E’ accaduto alla Lafumet di Villastellone, ditta di smaltimento rifiuti industriali dove 5 operai, tutti di origine maghrebina (a loro e alle loro famiglie va tutta la nostra vicinanza e solidarietà) sono rimasti gravemente ustionati in seguito ad una esplosione. E la memoria non può che tornare alla strage della ThyssenKrupp perché molte sono le analogie con quanto successo a Torino: produzioni altamente pericolose sottovalutate, scarsa sicurezza, ripetuti incendi che però non fanno insorgere nemmeno il minimo dubbio sull’ipotesi che possa verificarsi, in futuro, un evento disastroso (la TK dopo l’incendio del 2002 non fece altro che raddoppiare la franchigia assicurativa), la procedura da adottare in caso di emergenza lasciata alla totale discrezione degli operai e le richieste di maggiore sicurezza da parte di lavoratori e sindacati ignorate dal titolare. Che ammette di aver dotato dell’indispensabile lo stabilimento e afferma che se avesse dovuto attrezzarlo con tutto il necessario per la sicurezza tanto valeva chiudere. Meglio continuare la produzione mettendo a rischio la vita degli operai! Parole che fanno capire quanto prima della dignità e della sicurezza dei lavoratori venga sempre e prima di tutto il profitto.
S. Marchiaro arriva addirittura a complimentarsi con i “suoi” lavoratori per essersi comportati in maniera ineccepibile. E lui? Ha fatto altrettanto? Mentre CC, Asl, VV.FF. e Arpa ricostruiscono “il fatto” ci chiediamo: dov’erano “prima” che succedesse tutto questo? Hanno fatto i dovuti controlli sulla sicurezza? Hanno vigilato come dovevano? Da anni ripetiamo che il controllo della sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro debba essere affidata a postazioni ispettive sotto la diretta supervisione dei lavoratori stessi e non delegata a terzi (rsu o rls, che non hanno alcun potere decisionale). E che andrebbero “bypassate” direttamente le aziende stesse, rivolgendosi fin da subito alle Autorità preposte.
Gli organi di controllo intervengono sempre “dopo”, mai prima. Possibile?
Mentre nelle fabbriche (grandi e piccole), nei cantieri e sulle strade si continua a morire e ad ammalarsi c’è chi fa, indisturbato, ingenti profitti (controlli inesistenti presto sostituiti da autocertificazioni, secondo la legge 5/2012, multe irrisorie, organi di controllo spesso compiacenti, depotenziamento del T.U.81 e la “speranza” che gli Espenhahn, gli Schimdheiny, i Del Papa e i Riva vadano in galera; Espenhahn, l’ex ad di TK, ha anche ricevuto gli applausi di Confindustria lo scorso anno - e la Marcegaglia è corsa ai ripari promettendo l’istituzione di un Premio alla Memoria delle vittime TK - e qualche giorno fa il Pres. del Cons. Reg. dell’Umbria E. Brega, il Pres. della Regione Umbria C. Marini e il Sindaco di Terni Di Girolamo gli hanno tributato un sentito “grazie” per il buon lavoro svolto in questi anni. Proprio un bel lavoro! Torino sicuramente non lo dimenticherà). Ingenti profitti ricavati sulla pelle di lavoratori sempre più penalizzati dalle misure “lacrime e sangue” introdotte prima dal piano Marchionne e poi dalle misure contenute nella recente riforma del mercato del lavoro varata dal governo “tecnico”, che colpisce soprattutto i più deboli, giovani, donne e immigrati. L’utilizzo della manodopera immigrata, ricattabile e a basso costo, ha avuto per i padroni essenzialmente uno scopo: utilizzarla per estendere il generale abbassamento dei diritti e imporre le condizioni di sfruttamento e precarietà a tutti i lavoratori. Ormai le più elementari norme democratiche della dignità del lavoro, sicuro e dignitoso, sono un lontano miraggio. La distanza tra cittadini e istituzioni è al minimo storico, per questo si sbandierano ai quattro venti celebrazioni dal sapore fintamente patriottiche come il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, mentre il paese viene lasciato andare in pezzi nelle mani dei soliti noti: banche, istituiti finanziari, Mafia, Vaticano, politica, affaristi, speculatori, ecc., lasciati indisturbati e liberi di speculare, aumentare a dismisura il debito, impoverire e sfruttare e lo Stato, incapace di dare risposte, criminalizza le lotte di chi non può fare altro che opporsi e difendere i propri diritti (sanità, istruzione, lavoro sicuro e dignitoso per tutti, salvaguardia ambientale) visto che è proprio lo Stato il primo a violare i diritti costituzionali che dovrebbe garantire. I morti sul lavoro non sono altro che un’altra delle brutture che questo sistema produttivo non può, visto l’incedere travolgente della crisi, che far altro che accrescere.
Mentre destra e sinistra spalleggiano il governo Monti nell’opera di attacco indiscriminato ai diritti dei lavoratori e dei cittadini per fortuna tutta una parte sana del Paese si ribella e lotta per opporsi a questo scempio che vede sui lavoratori gravare tutto il peso della crisi: Mov. No Tav, Mov. Pastori Sardi, Mov. dei Forconi, Comitato No Debito, Fiom-Cgil e sindacati di base, fabbriche in occupazione (Jabil, Rsi, lavoratori e sindacalisti combattivi, lavoratori e cittadini impegnati nella difesa dei Beni Comuni, ecc.).
Per questo oggi occorre più che mai solidarizzare, sostenere e appoggiare tutti quegli organismi, movimenti, associazioni, forze sindacali e sindacalisti più combattivi, lavoratori e singoli cittadini che, ognuno nel proprio ambito di lotta e con le proprie specificità, si oppongono alle misure più nefaste imposte dalla crisi.
Per non cadere nella deriva umana, materiale e sociale in cui vorrebbero relegarci promuovendo abbrutimento, sfiducia ed individui visti non come persone con sogli e aspirazioni ma come “esuberi” dobbiamo comprendere che lottare oggi contro queste nefandezze è utile ma soprattutto necessario e inevitabile.

Torino, 27 marzo 2012
Ex lavoratori ThyssenKrupp Torino
da bastamortesullavoro.blogspot.com


Lavoro: Il "modello tedesco"
[...] E se la Germania non fosse poi l'Eldorado dell'economia europea? A metterlo in dubbio, per quanto la crescita del Paese teutonico e il suo debito pubblico contenuto facciano invidia a tutto il continente, è un'analisi condotta dall'Istituto di ricerca sul lavoro dell'Università di Duisburg-Essen.
Secondo il rapporto, pubblicato in copertina dal quotidiano di centro-sinistra Süddeutsche Zeitung, quasi un impiegato su quattro in Germania è sottopagato. Nel 2010 infatti, il 23, 1% dei lavoratori tedeschi, ossia ben 7, 84 milioni di persone, risulta aver percepito un salario inferiore ai 9,5 euro lordi all'ora, soglia al di sotto della quale la retribuzione è considerata "bassa" (cioè inferiore ai due terzi del salario medio del Paese).
Di questi quasi 8 milioni di impiegati (aumentati di 2,3 milioni dal 1995), almeno 1,4 milioni riceve emolumenti addirittura inferiori ai 5 euro lordi all'ora, mentre due milioni e mezzo ne ricevono meno di 6 (la media tra tutti è di 6,6 euro l'ora): tra loro soprattutto donne, ex tedeschi dell'Est e precari, in particolare quella categoria di lavoratori che si accontentano di lavoretti (spesso part-time) sovvenzionati dallo Stato in alternativa al perdurare dello stato di disoccupazione.
Ma tutto questo accade anche nel ricco Ovest, come precisa la stessa ricerca: "L'aumento esponenziale dei salari bassi a partire dal 1995 è da addebitare soprattutto all'ex Germania occidentale". Se è vero che la vecchia Ddr continua a patire una situazione socio-economica mediamente più difficile, è dunque altrettanto vero che, contrariamente al clichè di un Ovest locomotiva del Paese, è soprattutto dall'altra parte di Berlino che povertà e precarietà continuano ad aumentare.
E in ogni caso, il fenomeno non riguarda solo i lavoratori precari o i part-time: ben 800mila dipendenti a tempo pieno hanno un salario mensile inferiore a 1.000 euro lordi.
Ecco il miracolo economico tedesco! I disoccupati sono scesi dai 5,1 milioni nel 2005 ai 2,8 oggi. Sono solo il 6,9% della popolazione attiva, un record storico e un sogno in confronto al 9,9% di disoccupati in Francia e al 9,1% negli Usa. Merito della "moderazione salariale" dei lavoratori tedeschi, della "disciplina" accettata dai sindacati. Ma ora, uno studio francese rivela i trucchi e il prezzo sociale occulto di questo miracolo: nel 2001, il governo Schroeder comincia ad applicare le idee di Peter Hartz, il capo del personale di Volkswagen: convinto, non a torto, che i grassi sussidi (di disoccupazione e sociali in genere) vigenti allora in Germania tendano a creare uno strato di fannulloni cronici, concepisce un marchingegno legale che "costringe" i disoccupati a trovar lavoro.
Prima della riforma Hartz, i disoccupati che durante il lavoro avevano versato i contributi, avevano il diritto ad una "allocazione" (Arbeitsengeld o AG1) che durava due, e in certi casi 3 anni. Dopo Hartz, il sussidio AG1 dura un anno soltanto.
Prima, i disoccupati di lunga durata che avevano esaurito il diritto al primo sussidio AG1, prendevano un AG2, molto più modesto. Esisteva anche un "aiuto sociale" (Sozialhilfe) per le persone ancora più lontane dal mondo del lavoro. Oggi, AI2 e Sozialhilfe sono fusi in uno, e distribuiti attraverso centri di lavoro speciali: presso questi centri di lavoro ogni disoccupato deve fare "passi positivi" presentandosi bi-mensilmente e accettare un impiego qualunque, anche meno pagato del precedente, sotto pena di perdere i sussidi.
Il sistema ha fatto cancellare milioni di persone dalle liste di disoccupazione…solo per farle riapparire nelle liste di "lavoratori poveri", che hanno lavoretti di meno di 15 ore settimanali, e pagati di conseguenza: anche meno di 400 euro mensili. Il buono del sistema Hartz è che per questi "mini-jobs" e mini-salari, lo stato non esige il versamento dei contributi previdenziali e sanitari. Ciò ha incoraggiato molti datori di lavoro ad assumere mini-salariati sotto i 400 euro. Il lato sgradevole è che questi lavoratori, non contribuendo alla previdenza, non hanno pensione nè assicurazione sanitaria.
Nel maggio 2011, gli occupati con mini-jobs erano 5 milioni: si può parlare, senza offesa, di un esercito di sotto-occupati e precari? Ci sono stati anche scandali: aziende che preferiscono assumere due o tre mini-jobs (su cui non pagano i contributi previdenziali) invece di un lavoratore a tempo pieno. La Scheckler, una catena di drogherie, è stata accusata dai verdi di fare questo genere di "dumping salariale".
Nell'agosto 2010, un rapporto dell'Istituto del Lavoro dell'Università di Duisberg-Essen ha calcolato che più di 6,55 milioni di tedeschi ricevono meno di 10 euro lordi l'ora - sono aumentati di 2,3 milioni rispetto a dieci anni prima. Due milioni di lavoratori in oltre-Reno campano con meno di 6 euro l'ora, e molti nell'ex Germania comunista si contentano di 4 euro l'ora, ossia 720 euro mensili per un lavoro a tempo pieno.
I salariati con mini-job non sono i soli mal pagati. In Germania non esiste un salario minimo stabilito per legge (situazione unica in Europa). I "lavoratori poveri" (che restano in miseria pur lavorando) sono il 20% degli occupati germanici. Quelli che lavorano per meno di 15 ore settimanali, con paghe in proporzione, sono chiamati Aufstocker: sono un milione, ed integrano il magrissimo salario con i magrissimi sussidi sociali. Il loro numero è in continua crescita.
Un dirigente del centro-impiego (Arbeitsagentur) di Amburgo, sotto anonimato, dichiara: "Ma quale miracolo economico. Oggi, il governo ripete che siamo sotto i 3 milioni di disoccupati, e se fosse vero sarebbe un fatto storico. Ma la verità è diversa, sono 6 milioni di persone beneficiarie di Hartz IV (che prendono i sussidi, ndr.), e sono tutti disoccupati o ultra-precari. La vera cifra non è 3 milioni di senza-lavoro, ma 9 milioni di precari". Si aggiunga che la percentuale trionfale di 6,9% di senza-lavoro nasconde forti disparità regionale. I disoccupati sono il 3,4% nella ricca e prospera Baviera, ma il 12, 7 a Berlino. La competitività tedesca ha il suo segreto in quel 20 per cento di sotto-salariati; il miracolo germanico si regge su un gigantesco dumping sociale. E' questo il modello che ci viene proposto ad esempio: la cinesizzazione della forza-lavoro a basso livello di qualificazione. [...]

17 marzo 2012
da www.contropiano.org


Modena: 10.000 operai bloccano l'autostrada
contro la riforma Monti-Fornero
Torniamo dalla manifestazione della Fiom con un dato di fatto ed una certezza: Monti ha proprio ragione, gli italiani non sono ancora pronti per queste riforme.
O meglio, i lavoratori non vogliono queste riforme e ne è l’ennesima dimostrazione la manifestazione di oggi degli oltre 10.000 lavoratori, e non solo, della Fiom di Modena che, dopo un corteo di un paio di km, hanno scavalcato le indicazioni della dirigenza della Cgil e della Fiom locale andando ad occupare l’autostrada all’altezza di Modena nord, bloccando uno dei più importanti snodi di viabilità del paese.
Sin dai primi momenti nel punto di ritrovo in una delle zone industriali più importanti della città, si sentiva nell’aria la volontà dei lavoratori e della gente di andare oltre al percorso concordato, ovvero: una parte di via Emilia ovest, la tangenziale di Modena fino all’ingresso del casello di Modena Nord.
Una prima parte tranquilla con qualche slogan striscione e niente più, tutto lasciava presagire al solito corteo che negli ultimi periodi si sono visti a Modena; invece proprio quando tutto sembrava ora mai finito e mentre la dirigenza della Cgil e della Fiom locali rilasciavano le solite dichiarazioni del caso di fine corteo, i lavoratori hanno sfondato il servizio d’ordine della stessa Cgil e i cordoni della polizia e, con tutta la rabbia e la voglia di lottare, hanno bloccato per quasi un ora l’Italia.
A chi dice che il clima sociale è alto oggi possiamo rispondere che gli indizi sono tanti per arrivare alla conferma di quelle affermazioni, proprio perché i lavoratori non volevano lasciare quella prima conquista ottenuta con la lotta. Si sono fatti sentire e hanno anche risposto alla dirigenza facendogli notare che oggi sono scesi in piazza per difendere un diritto e per contrastare chi li vuole cancellare e che nella giornata di oggi avrebbero fatto ogni tipo d' iniziativa per dare un segnale maggiore alla governance italiana e al resto dei lavoratori. Cosi è stato e sono andati oltre perché si, è vero, dopo quasi un ora l’autostrada è stata liberata, ma i blocchi sono continuati su Via Emilia Ovest mentre si tornava al punto di partenza.
La giornata di oggi deve essere un chiaro sintomo per le lotte dei prossimi giorni, a partire da Sabato 31 a Milano passando dagli scioperi indetti nella nostra città di Giovedì 5 arrivando con le giornate di lotta in val Susa.

29 marzo 2012
Redazione _Infoaut Modena
da www.infoaut.org


appello all’azione
Call for action, European Day of Action against Capitalism
L’Europa e l’Unione europea (UE) si trovano in uno stato di emergenza. Da mesi la crisi del credito e del debito pubblico si aggrava. Nelle varie e ripetute conferenze i governi stabiliscono programmi per risanare il capitalismo in Europa. Secondo media e politica si andrebbe altrimenti incontro al collasso e alla recessione, oltre che al sorgere di una nuova povertà. Questa retorica catastrofista apre la via alle sfrenate riforme di mercato, che influenzeranno la nostra vita e la nostra società per decenni – se noi non ci opponiamo! Durante i primi anni della crisi si diceva che il capitalismo doveva essere domato, che banche e imprese avrebbero dovuto pagare i danni a cui avevano contribuito. Ma in questo momento sta succedendo l’opposto: l’UE, i suoi singoli stati e paesi candidati all’adesione puntano a intensificare la concorrenza e a forzare i risparmi, per creare “fiducia” e assicurare i profitti dell’economia privata. È così che confermano la logica distruttiva del capitalismo! Capitalismo vuol dire crisi e impotenza, povertà accanto a ricchezza privata. Organizziamoci per una società migliore!

La crisi è sistemica
La globalizzazione capitalista dei decenni passati ha intensificato la concorrenza tra imprese e stati. Tutti i grandi stati industriali hanno ampiamente deregolato i propri mercati. Hanno imposto tagli sociali, privatizzato beni comuni, limitato i diritti dei dipendenti e acuito il controllo sociale. Tutto nell’interesse di una crescita capitalistica deregolata. Ma persino in Europa, nella zona di maggior benessere di questo sistema mondiale, la nostra vita si fa di anno in anno più insicura e il divario sociale si aggrava. Nei cosiddetti “mercati emergenti” la crisi sociale è in ogni caso permanente: espropriazioni e sfruttamento senza scrupoli sono appoggiati dagli stati per giustificare una crescita nazionale a vantaggio solo di pochi privilegiati. La trasformazione neo-liberale dei decenni scorsi ha anche fatto straripare i mercati finanziari. Che sia il boom del dotcom o i fondi immobiliari o la tratta di titoli derivati – da anni esplodono le bolle speculative e ad ogni boom segue una recessione. Non è colpa dell’avidità o della corruzione di una piccola élite, come spesso supposto. È colpa della giornaliera logica di mercato a cui tutti noi siamo sottoposti, che lo vogliamo oppure no.

Scassinare il regime dell’UE
Nel 2011 la crisi monetaria e l’aumento del debito pubblico si sono acutizzati. Ad alcuni stati manca poco alla bancarotta e questo metterebbe in pericolo l’euro. Secondo le valutazioni più superficiali e populiste questi stati avrebbero “vissuto sopra i propri mezzi”. Ma in realtà hanno cercato soltanto di creare una crescita economica tramite l'indebitamento. Si sono comportati come tutti gli stati, senza successo. Il sostegno economico, che ricevono dalla banca centrale europea (BCE), e i miliardi di euro dei nuovi fondi di soccorso sono legati a vincoli senza riserva. Allo stesso tempo il limite all’indebitamento dovrebbe rinnovare la fiducia nel mercato, naturalmente a discapito di lavoratori, studenti e disoccupati. I profitti privati invece non si toccano. I paesi dell’est e sudest candidati all’entrata in Europa si trovano in una situazione analoga, infatti la UE e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) li incitano a vasti tagli e programmi di privatizzazione. Tutto ciò per rafforzare il regime di concorrenza che si trova in crisi e per salvaguardare le pretese delle nazioni dominanti in Europa. Malgrado ci siano disaccordi riguardo i particolari, Francia e Germania insieme sono riuscite ad imporre i propri interessi senza grandi difficoltà. Ovviamente non senza forti proteste. Su tutto il continente si sono messi in moto movimenti di base, che cercano di liberarsi dalla propria posizione d'impotenza. Ma finora né manifestazioni di massa né scioperi generali hanno ottenuto molto. I grandi sindacati tendono a sottostare ai propri governi, arrendendosi alle loro richieste. Tra i sindacati non c’è alcuna forma di solidarietà a livello transnazionale. Se vogliamo che cambi qualcosa dobbiamo occuparcene noi stessi!

Meglio farlo…
La politica europea per vincere la crisi è basata sulla speculazione come lo è il capitalismo stesso. Infatti, i programmi di risparmio possono provocare un'instabilità economica simile a quella suscitata dallo sviluppo basato sul debito statale. Nel sistema capitalistico non esiste un sentiero sicuro. L’unica sicurezza è quella che passata una crisi ne arriverà un'altra da superare. E noi dovremmo sprecare la nostra vita per questo? Meglio combattere l’ideologia neo-liberale e organizzarsi a livello europeo. Il 31 marzo sarà soltanto un primo passo. Le nostre manifestazioni in contemporanea nei diversi paesi europei sono più che un solo simbolo di solidarietà. Già da ora danno inizio a una discussione, creando una rete che coinvolge quasi tutta Europa. Invitiamo tutti i gruppi per l’emancipazione a prendere parte attivamente a questo progetto. Ci dobbiamo organizzare al di fuori delle istituzioni statali. La lotta sarà dura. L’impatto della crisi nei nostri paesi ha effetti diversi, però abbiamo tutti quanti un obiettivo comune: non vogliamo salvare il capitalismo, lo vogliamo distruggere! Ci opponiamo a ogni forma di nazionalismo e alle politiche che si adattano agli interessi dello stato. È importante difendere diritti sociali già esistenti ed ora posti in discussione, ma la nostra prospettiva deve andare oltre. Noi vogliamo sbarazzarci delle costrizioni del capitalismo e delle sue istituzioni politiche. È questo l’unico modo in cui la richiesta di “vera democrazia” reclamata in tante proteste possa realizzarsi.

marzo 2012
M31- coordinamento
m31coordinamento@googlemail.com, march31.net