indice n.68

Il popolo egiziano unito contro il regime militare
Sosteniamo la lotta dei prigionieri politici palestinesi
lettera dal carcere di Rossano Scalo (CS)
aggiornamenti dalla lotta dentro e contro i cie
lettera dal carcere di sanremo (im)
da una lettera dal carcere di cagliari
cronologia sulla lotta contro il tav
no tav: Processo alla baita Clarea rinviato al 18 Luglio
Nina (Elena) e Marianna: La prima udienza non si scorda mai!
lettera dal carcere di saluzzo (cn)
lettere dal carcere di san vittore (mi)
Lettera dal carcere di Torino
lettera da un compagno no tav ai domiciliari
lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
lettera dal carcere di trapani
lettera dal carcere di prato
lettera dal carcere di mantova
da una lettera dal carcere di terni
lettera dal carcere di Velletri (rm)
15 Ottobre 2011: tra repressione e caccia alle streghe
Roma: 14 dicembre 2010: un anelito di libertà
Genova 2001: a luglio la cassazione per i compagn*
partecipiamo al processo ai compagni arrestati il 12 febbraio 2007
Ansaldo e Finmeccanica: Vittime del terrorismo?
Processo agli antirazzisti torinesi primo atto
Udine: Comunicato sulle perquisizioni a Trieste
Perquisizioni a Rovereto e a Trento
Bologna: Rinvio a giudizio per i compagni del Fuoriluogo
Ravenna: Ancora repressione e razzismo
bologna: SGOMBERATO SPAZIO OCCUPATO NO TAV
Roma: Sull'occupazione e lo sgombero di via Prenestina 44
napoli: sul presidio davanti alla sede di equitalia
CAMPAGNA DI CUNEO: SGOMBERATI I RACCOGLITORI DI FRUTTA


Il popolo egiziano unito contro il regime militare
Mercoledì 2 maggio nelle strade del Cairo un sit-in di protesta indetto dall'ala salafita è stato duramente represso, tanti i morti e i feriti. Oggi quelle stesse strade sporche di sangue ci parlano di un popolo che non vuole abbassare la testa e che si unisce, superando le diversità politiche e religiose, nell'unico obiettivo di sconfiggere la giunta militare: sono tantissimi, infatti, i manifestanti laici che sono scesi in piazza per portare solidarietà ai fratelli salafiti attaccati durante gli scontri di ieri.
La strage che si è consumata nella giornata di ieri al Cairo non è affatto nuova per il popolo egiziano, così come affatto nuove sono le dinamiche: ancora una volta è il regime militare ad essere accusato di coinvolgimento nei fatti di sangue che ieri, davanti al ministero della difesa, hanno provocato la morte di almeno 11 persone (alcune testimonianze parlano anche di 20-25 vittime) ed il ferimento di altre centinaia.
Ad essere attaccati sono stati i partecipanti ad un sit-in pacifico indetto da gruppi appartenenti all'ala salafita, che dallo scorso venerdì manifestavano contro l'esclusione, decisa dalla giunta militare, di Hazem Salah Abu Ismail dalla corsa presidenziale. Nella giornata di mercoledì il presidio, fino a quel momento sorvegliato da decine di carri armati e centinaia di soldati, è stato attaccato da uomini in abiti civili armati di spranghe e bastoni.
Pesanti sono state le conseguenze nel paese, dove tuttora sono aperte le ferite della strage di Port Said, in cui 74 persone rimasero uccise lo scorso febbraio. Stessa la rabbia e stesso il contesto: i soldati non intervengono ed in decine di "baltageyya", civili al servizio del regime, attaccano ed uccidono indisturbati e, si crede, pagati dalle alte sfere.
Abbiamo raggiunto telefonicamente un testimone diretto dei fatti di ieri che ci ha narrato una situazione inverosimile: durante lo svolgimento del presidio, con un'altissima sorveglianza militare, improvvisamente e nell'arco di pochi minuti tutti i soldati ed i mezzi militari presenti sul posto sono scomparsi ed al contempo sono comparsi decine e decine di "civili" fino a quel momento non presenti in piazza che, armati fino ai denti, hanno iniziato ad attaccare, facendo strage ed uccidendo. Una volta compiuta la carneficina, gli assassini si sono ritirati e, come se niente fosse successo, sono ricomparsi i militari. L'esercito nega, e continuerà a negare anche tra le sfere più alte, l'esistenza dell'attacco.
Dopo questi fatti molti contendenti alla carica presidenziale hanno interrotto la campagna elettorale, sia la comunità internazionale che tanti politici egiziani hanno condannato duramente l'operato della giunta militare, ma la risposta più forte è giunta dalla piazza. L'indomani, giovedì 3 maggio, infatti, centinaia di attivisti laici hanno raggiunto i propri connazionali salafiti al Cairo per portargli solidarietà. Il nuovo presidio in corso in queste ore, inizialmente indetto dal movimento salafita, sta divenendo punto di riferimento per le molte migliaia di egiziani che non accettando una "rivoluzione a metà", pretendendo a gran voce che la giunta militare lasci immediatamente il potere.
L'immagine che ci restituisce oggi la capitale egiziana - il movimento laico che forma dei cordoni per proteggere i fratelli salafiti dalle aggressioni esterne - fa tornare alla mente il periodo pre-rivoluzionario e rivoluzionario, quando i musulmani accorrevano in aiuto ai cristiani attaccati da civili pagati, con tutta probabilità, dal regime di Mubarak.
Oggi in Egitto si respira di nuovo quell'aria di unità popolare che la corsa elettorale sembrava aver soffocato. Il popolo egiziano è, al di là delle appartenenze politiche e religiose, unito in un solo obiettivo: la caduta della giunta militare e la vera realizzazione delle aspirazioni rivoluzionarie.
Venerdì 4 maggio nuove manifestazioni, guidate da questo stesso obiettivo, hanno percorso tutto il paese: ad Alessandria in migliaia si sono ritrovati sia di fronte alla moschea di Qaed Ibrahim, mentre molti altri si sono dati appuntamento di fronte agli edifici del Comando Militare a Sidi Gaber. Altre mobilitazioni si sono viste nel deserto del Sinai, a Suez ed Assiut.
Ma è stato ancora una volta nella capitale egiziana che si sono verificati gli incidenti maggiori: i disordini sono avvenuti nel quartiere di Abassiya, nei pressi del ministero della difesa, teatro mercoledì scorso dell'attacco ai manifestanti dell'ala salafita da parte di uomini armati di molotov, spranghe e coltelli.
In tantissimi ieri si sono dati appuntamento al Cairo per raggiungere gli edifici del ministero della difesa. In piazza una composizione estremamente eterogenea: dai salafiti che manifestavano inneggiando slogan come "Allah è grande", ai molti laici e giovani del movimento rivoluzionario che urlavano "Alza la tua voce, la rivoluzione non è finita!".
I manifestanti, lungo il percorso, hanno incontrato barriere, schiere di soldati e carri armati. In poche ore la tensione è diventata altissima: la popolazione è stata respinta più volte dai soldati trincerati dietro il filo spinato che hanno attivato idranti, lanciato lacrimogeni e sparato sulla gente, che ha risposto all'attacco con una violenta sassaiola.
Il ministero della salute ha diffuso un comunicato in cui si parla di un morto accertato e centinaia di feriti, di cui alcuni verserebbero in gravi condizioni. Il numero degli arrestati è imprecisato.
Su questa ennesima giornata di scontri la giunta militare afferma che "l'esercito , con l'aiuto della popolazione, ha arrestato decine di delinquenti"; i Fratelli Musulmani, in questo estremamente simili ad alcuni partiti nostrani, condannano la violenza sia militare sia dei "facinorosi" in piazza.
I leader militari, nei proclami televisivi, tentano di mettere a tacere la piazza e le accuse di violenza e, nel frattempo, impongono il coprifuoco e militarizzano le strade. Uno scenario questo, già visto ai tempi della rivoluzione e che oggi viene riproposto a tre settimane dalle elezioni presidenziale, che rappresentano le consultazioni più importanti dalla caduta del rais.
Parallelamente si vede una nuova unità e determinazione popolare contro quell'autorità che, chiamandosi in maniera del tutto autoreferenziale "governo rivoluzionario", si mostra uguale, se non addirittura peggiore, al regime di Mubarak.
A seguito dei violenti scontri, il regime militare ha messo in campo un'immensa operazione repressiva in tutta la capitale. Le autorità egiziane hanno infatti ordinato l'arresto di oltre 300 persone, tra cui almeno 18 donne ed altrettanti giornalisti. Tra gli arrestati molti gli appartenenti al movimento laico, che aveva portato la propria solidarietà ai membri dell'ala salafita dopo il duro attacco degli uomini al servizio del governo militare.
Secondo quando disposto, le centinaia di attivisti rimarranno in carcere per 15 giorni, periodo in cui dovrebbero essere svolte le indagini sulle relative responsabilità. Ma come il periodo post-rivoluzionario ci ha insegnato, le centinaia di arrestati saranno con tutta probabilità trattenuti a lungo nelle prigioni, nelle stesse carceri da cui sono pervenute moltissime accuse di violenze e dure torture, che hanno portato alla morte in carcere di più di un attivista.
Accanto a questa ondata di arresti, la più grande operazione repressiva dal periodo transitorio, forte è stata la militarizzazione delle strade della capitale egiziana. Oltre al coprifuoco, centinaia sono i soldati che tuttora sorvegliano le strade del Cairo e sempre più numerosi sono i blocchi ed i check-point che sorgono nella capitale.
Gli stessi blocchi che una manifestazione, svoltasi domenica 6 maggio, ha cercato con determinazione di abbattere. Molti gli studenti, i gruppi e i movimenti appartenenti alle diverse aree dello spettro politico egiziano che, a lungo separati sia sul piano politico che religioso, hanno marciato verso gli edifici parlamentari, chiedendo il rilascio delle oltre 300 persone arrestate. Nel tragitto in direzione del parlamento, i manifestanti hanno rimosso il filo spinato ed il muro che sorgeva nell'area, riaprendo il traffico per la prima volta dallo scorso dicembre, quando le forze armate egiziane, in seguito a forti scontri, avevano costruito barriere.La protesta, organizzata per chiedere la liberazione di tutti gli arrestati, pretendeva la cacciata del regime, accusando il consiglio militare di aver agito per contrastare le aspirazioni rivoluzionarie.
Con la partecipazione di tutti i gruppi dello spettro politico che hanno marciato insieme per chiedere la liberazione dei detenuti, la protesta mostra una ritrovata unità nella lotta contro i militari, per la ricostruzione di un movimento nazionale, contro il regime militare; quella stessa unità che, così come si era mostrata nelle giornate della rivoluzione, sembrava a lungo essere scomparsa dalle strade egiziane.
Ed il regime sembra adesso più che mai impaurito dalla solidarietà emersa tra le diverse aree dello spettro politico egiziano.

maggio 2012
liberamente estratto da infoaut.org


Sosteniamo la lotta dei prigionieri politici palestinesi
Continua la “Battaglia delle pance vuote”, così in Palestina è conosciuta la lotta dei prigionieri politici palestinesi che a partire dal 17 aprile in 1.500 hanno iniziato uno sciopero della fame, per il miglioramento delle durissime condizioni carcerarie e per la fine dell’odiosa pratica della detenzione amministrativa.
Lo sciopero della fame è ormai arrivato al 14° giorno, e va crescendo, ad oggi sono oltre 2.300 gli scioperanti, un segnale chiarissimo della capacità di resistenza che sta crescendo tra gli oltre 4.300 detenuti palestinesi. Tra questi Ahmad Sa'adat leader del FPLP (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina) le cui condizioni a seguito dello sciopero della fame si sono aggravate ed è stato trasferito nel carcere di Ramleh.
Con questa forma di lotta pacifica e drammatica, negli ultimi mesi i prigionieri politici palestinesi hanno portato lo scontro con l’occupante israeliano fin dentro le carceri, lanciando al tempo stesso un indicazione di unità e di resistenza verso il proprio popolo. Già ad ottobre dello scorso anno centinaia di prigionieri palestinesi iniziarono a rifiutare il cibo per tre settimane. E’ stata poi la volta di Kadher Adnan che ha resistito per più di 64 giorni nel suo sciopero della fame contro l’ennesimo arresto arbitrario e preventivo a cui era sottoposto, seguito da Hana Shalabi una donna che è stata rilasciata ed esiliata dopo oltre 40 giorni di digiuno politico. I prigionieri palestinesi insieme alle associazioni di sostegno come Addameer e la Palestinians’ Prisoners Society, chiedono:
- La fine della detenzione amministrativa; il diritto alle visite per famiglie dei prigionieri della Striscia di Gaza, a cui questo diritto è negato da oltre 6 anni;
- Il miglioramento delle condizioni di vita dei prigionieri e la fine della legge 'Shalit', che priva i detenuti palestinesi dell’accesso ai giornali e ai media, e persino del materiale didattico .
- La fine alle le politiche di umiliazione inflitte ai detenuti e alle loro famiglie, quali perquisizioni corporali, le irruzioni notturne nelle celle e le punizioni collettive.
Dalle carceri israeliane i resistenti palestinesi chiedono la solidarietà internazionale, il sostegno alla loro lotta e la denuncia della macchina repressiva israeliana che si fa ogni giorno più dura. Dinanzi ai preparativi di possibile conflitto con l’Iran, e più in generale di fronte al quadro di instabilità e di tendenza alla guerra i palestinesi rappresentano, per i governanti sionisti, il fronte interno e quindi una popolazione estranea da tenere brutalmente sotto controllo. Come per altri aspetti, la comunità internazionale ossia l’Unione Europea e gli Stati Uniti, lasciano mano libera all’alleato israeliano che può così rafforzare la sua occupazione.
Questa lotta dei prigionieri palestinesi rappresenta una tappa del movimento di liberazione nazionale, ma a differenza di altre del passato si svolge in uno scenario inedito per difficoltà e contesto internazionale. Il movimento che si sta sviluppando nelle prigioni israeliane, sta crescendo per influenza e capacità organizzativa, tanto che nel secondo comunicato del Supremo Comitato Direttivo questi conferma la prosecuzione e l’estensione del movimento di protesta finché le richieste non saranno accolte.
Il Primo Maggio in Palestina è stata la giornata dei lavoratori e dei prigionieri, è stata l’ennesima giornata di resistenza popolare contro l’occupazione israeliana con manifestazioni in molte città e villaggi palestinesi.
Il movimento di solidarietà internazionalista è chiamato a sostenere come ha fatto nella giornata del 17 aprile la lotta dei prigionieri politici palestinesi.

aprile 2012
Forum Palestina
forumpalestina@libero.it - www.forumpalestina.org

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Sempre più determinati i prigionieri palestinesi
Gli oltre 1.500 prigionieri palestinesi in sciopero della fame sono punto di riferimento e di unione per tutti coloro che resistono all'occupazione israeliana.
Lo sciopero, indetto per protestare contro le pessime condizioni carcerarie, iniziato da alcuni detenuti nello scorso mese, vede in queste giornate una partecipazione senza precedenti; nelle carceri israeliane sembrano essere state superate molte delle divergenze tra le fazioni palestinesi. Infatti, aderiscono allo sciopero della fame molti membri di tutto il diversificato spettro politico palestinese: il Fronte Popolare, che ha inizialmente indetto la protesta, l'ala islamica (Hamas, Jihad) e, inoltre, i membri dei partiti afferenti alla "moderata" Autorità Palestinese.
Come era già successo durante la prima e la seconda Intifada, la lotta dei detenuti fa da collante per il popolo palestinese, unito contro il nemico comune. Questa stessa unità, purtroppo, nella quotidianità viene spesso minata dal servilismo e dalla collaborazione più o meno segreta della leadership di Abu Mazen con i poteri occidentali nella regione.
Lo sciopero della fame ha un ruolo fondamentale nella ricomposizione del fronte della resistenza, visto l'alto numero dei detenuti che stanno aderendo. Uno sciopero affatto facile: molti prigionieri sono stati ricoverati in ospedale, tra questi Ahmad Sa'adat, uno dei principali leader di riferimento della lotta palestinese sia dentro che fuori le carceri.
Parallelamente al rafforzarsi della lotta aumentano anche le politiche israeliane atte a rompere il fronte di solidarietà che si sta creando all'interno delle prigioni. Oltre alle perquisizioni continue nelle celle, sequestro dei vestiti e degli effetti personali dei detenuti in sciopero della fame, trasferimenti forzati nottetempo, l'amministrazione carceraria dello stato ebraico aveva anche proposto ai detenuti affiliati al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina una cessazione dell'isolamento del segretario dell'organizzazione Ahmed Sa'adat in cambio della fine dello sciopero della fame. Compatta è stata la risposta dei detenuti: "Non stiamo combattendo per un caso singolo ma per tutti, lo sciopero andrà avanti".
Le mobilitazioni a sostegno delle lotta dei prigionieri sono state numerose sia nella Striscia di Gaza che nelle strade della West Bank. Mobilitazioni che sono state represse, come nel caso di quella svoltasi davanti la prigione di Ofer, quando centinaia di manifestanti sono stati allontanati con l'utilizzo di idranti, gas lacrimogeni e proiettili.
Ad oggi oltre ci sono oltre 6.000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane; oltre 750.000 coloro che hanno passato un periodo di permanenza nelle prigioni. I palestinesi vengono arrestati e trattenuti nelle prigioni per mesi, anni, solo perché sospettati di una qualche "attività terroristica", di far parte di uno dei movimenti della resistenza palestinese.
Nel tentativo di attutire l'esposizione mediatica, seppur minima, legata al trattamento inumano riservato ai prigionieri, lo stato ebraico ha liberato alcuni detenuti (per lo più coloro che hanno a lungo portato avanti lo sciopero della fame) e ne ha estradati altri.
Tutto questo non è legato ad una diminuizione della repressione nelle strade palestinesi: per un prigioniero liberato, lo stato israeliano ne arresta altri dieci ogni settimana – tra gli studenti che lottano nelle università, i profughi che manifestano per il diritto al ritorno, tra coloro che lottano contro gli espropri - mostrando come niente sia cambiato in quella che ama autodefinirsi, spalleggiata dai media occidentali e non solo, "unica democrazia del Medio Oriente".
La lotta in corso in questi giorni, dura e difficile, mostra come i prigionieri palestinesi rappresentino un'avanguardia della società: non solo fucina della coscienza di classe, dell'elaborazione e della crescita culturale e di lotta, ma anche punto di unione di tutte le forze politiche che si battono contro l'occupazione israeliana.

3 maggio 2012
da infoaut.org


lettera dal carcere di Rossano Scalo (CS)
Cari amici di Ampi Orizzonti, vi scrivo per ringraziarvi di aver pubblicato la nostra storia su come si è svolto il processo nei nostri confronti. È stato una vera vergogna ma come sapete le vittime sono sempre i più deboli. Purtroppo chi ha il potere ragiona sempre in maniera che loro o lui è l'unico che esiste in questo mondo. Quindi crea la discriminazione, l'odio e la dittatura come hanno fatto i suoi precedenti durante la Storia.
Nonostante questo noi umani, siano religiosi o laici, abbiamo sempre una speranza che cambi tutto prima o poi. Bisogna stare sempre in piedi e non inginocchiarsi mai alla dittatura che non fa altro che speculare sulle nostre vite. Ognuno di noi fa del suo meglio senza fare del male all'altro, in quanto noi non siamo come loro, per vivere in un mondo di giustizia legale e sociale.
Noi detenuti islamici vi ringraziamo di cuore per il vostro impegno a far arrivare la nostra voce visto che viviamo in un mondo dove il potente distrugge il povero senza se e senza un perché. Noi siamo ottimisti e siamo sicuri, se dio vuole, che tutto cambierà verso il meglio. Alla fine, e non sarà mai una fine, vi auguriamo un buon proseguimento di tutto quello che credete; a mettere fine a questi dei dittatori. Aspettiamo vostre notizie che siamo fieri di ricevere.
I detenuti islamici di Rossano.

20 arile 2012
Kahlil Jarraya, Contrada Ciminata Greco, 1 - 87068 Rossano Scalo (Cosenza)
aggiornamenti dalla lotta dentro e contro i cie
Notizie dal CIE di Milano
La situazione insostenibile dentro al CIE di Via Corelli sta purtroppo portando a continui gesti di autolesionismo, fino al suicidio.
Il 9 aprile un altro ragazzo ingoia accendini e pile, viene portato in ospedale ma poco dopo torna dentro con gli oggetti ancora nello stomaco; la novità è che ora possono anche espellerli da sè, troppo rischioso operarlo e lasciarlo in ospedale, potrebbe fuggire, troppo rischioso tenerlo al Cie, ha bisogno di cure, così se ne liberano deportandolo.
Il 17 aprile un ragazzo algerino tenta di impiccarsi ma viene salvato dai suoi compagni di sezione; privo di conoscenza viene portato nell'infermeria del centro e lì rimane. Sarebbe necessario portarlo d'urgenza in ospedale ma si teme la fuga: riceviamo infatti, tramite i parenti, notizie di reclusi con gravi problemi di salute che necessiterebbero cure specifiche che la Croce Rossa non è in grado di dare, ma piuttosto che portarli in ospedale li imbottiscono di psicofarmaci, anche per endovena... una puntura che ti "sballa" e resti a letto per 2/3 giorni, come un morto, non riesci ad alzarti nemmeno per mangiare. Psicofarmaci elargiti senza cognizione così il detenuto viene privato di qualsiasi voglia di reagire.
Dopo il tentato suicidio del ragazzo, i detenuti della sua sezione più qualche altro di altre sezioni, rifiutano il cibo e non vogliono più rientrare nelle stanze: portano tutti i materassi fuori per dormire all'aperto ma la polizia in assetto antisommossa ordina, con manganello alla mano o fucili, di rientrare. La paura delle botte è sempre presente, e i detenuti vengono riportati dentro. Lo sciopero della fame dura ancora un paio di giorni, forse viene lasciato perdere perchè gli stessi detenuti si rendono conto di quanto sia inutile.
Il 5 maggio il ragazzo che aveva tentato il suicidio impiccandosi ritenta ancora, è stato ritrovato nel bagno privo di sensi, lo portano all'ospedale Niguarda nel reparto di psichiatria e dopo sei giorni lo riportano al Cie. Chiede di essere espulso ma non avendo i documenti non possono attivare le pratiche, però attraverso il consolato la famiglia riesce a spedire tutti i documenti necessari e fra qualche giorno sarà deportato, questa volta volontariamente, lui è tranquillo e felice di poter riabbracciare i suoi figli a breve.
Per quanto riguarda il ragazzo che finì in carcere per aver incendiato il suo materasso è stato condannato a un anno, libero con la condizionale.

Trapani, 13 aprile
La situazione dentro al Centro di Trapani-Milo continua ad essere caldissima, dopo la grande evasione di febbraio, la settimana passata sarebbero riusciti a scappare un centinaio di reclusi: secondo alcune versioni tutti assieme venerdì e secondo altre invece in tre tornate differenti (domenica, martedì e venerdì).

Bologna, un mese di continue rivolte ed evasioni
Il 14 aprile un ragazzo marocchino ha tentato più volte e per diversi giorni di chiedere assistenza medica al 118, visto che l'infermeria non lo faceva. Ha delle lesioni alle gambe che gli impediscono di camminare bene e poi prende la "terapia". Il pronto soccorso del Sant'Orsola gli ha risposto picche, non può muoversi senza l'autorizzazione della Misericordia e del Centro. Ma intanto lui continua a stare male e minaccia di uccidersi, la dottoressa non lo ascolta e lo insulta, alla faccia del giuramento di Ippocrate.
Il 15 aprile in dieci tentano la fuga dal Cie Due ore di rivolta degli immigrati La stampa locale riporta che verso le 2,30 un gruppo di dieci persone ha tentato di fuggire dalla struttura, arrampicandosi sulle inferriate. Quando il personale di vigilanza li ha visti e ha tentato di intervenire, decine di altri uomini rinchiusi nella all'interno del Cie hanno iniziato un fitto lancio di detriti e pezzi di mattoni contro poliziotti e militari dell'esercito. Il materiale era stato ottenuto frantumando la parete di una camerata, con una porta divelta usata come ariete.
Per sedare la rivolta sono servite circa due ore e sono dovuti intervenire anche i vigili del fuoco, chiamati per spegnere i materassi ignifughi a cui avevano tentato di dar fuoco (nessuna fiamma, ma tanto fumo).
Due militari hanno subito lievi contusioni e una camionetta, utilizzata per bloccare una via di fuga, è stata danneggiata. Due reclusi, del gruppo che aveva cercato inizialmente di fuggire, sono caduti. Portati all'ospedale maggiore, sono stati dimessi questa mattina: prognosi di dieci e sette giorni per traumi agli arti.
Il 24 aprile due stranieri, un marocchino di 32 anni e un libico di 25, sono riusciti a scappare scavalcando le recinzioni "coperti" da un nutrito gruppo di reclusi del Centro in subbuglio contro le forze dell'ordine. Rimasti feriti un poliziotto, quattro militari dell'esercito (il più grave ha una prognosi di 15 giorni per la frattura di un dito e il trauma a un ginocchio) e due stranieri. Calcinacci, mattoni e altri oggetti sono stati lanciati dai rivoltosi (una quarantina) contro le forze dell'ordine. Incendiati anche alcuni materassi e sacchi dell'immondizia. Dopo circa due ore la situazione è tornata all' aberrante "normalità".
Il 29 aprile un uomo algerino di 31 anni che era fuggito nella notte prima è stato subito rintracciato. La sua "liberta" infatti è durata poche ore. Un militare, fuori servizio lo riconosce, avvisa gli agenti di polizia e lo riportano al Cie.
Il 30 aprile sono in tre a essersi arrampicati sul tetto minacciando di "fare la corda", due ragazzi tunisini e uno pakistano. Sono saliti su minacciando di impiccarsi sotto l'occhio della telecamera esterna perché è da troppo tempo che sono chiusi là dentro. Dopo qualche ora sono tornati giù illesi.
Una delle donne invece ha cercato inutilmente di fare entrare un suo medico di fiducia perché vittima di violenti attacchi di "follia", curati dallo psichiatra del Cie con massicce dosi di due diversi psicofarmaci. È dentro ormai da un paio di mesi e il suo stato di salute peggiora di giorno in giorno. Tramite parenti apprendiamo la notizia che la donna è stata rilasciata e le hanno concesso l'asilo politico.
2 maggio. Sono in cinque questa volta a essere fuggiti, uno è scappato nel pomeriggio, gli altri quattro nella notte quando tutto il centro era in subbuglio, tra questi anche l'algerino già evaso e riportato tra quelle mura. Sono in diversi ad essere stati feriti durante gli scontri, in due sono stati rispediti a casa, gli altri non sono nemmeno andati in ospedale. L'augurio per tutti e cinque è di potersela godere al meglio, questa ritrovata libertà.
Nella notte del 3 maggio si susseguono evasioni, scavalcando le recinzioni del carcere in Via Mattei, mentre all'interno delle mura si svolge l'ennesima protesta con lancio d'oggetti ad una volante dei carabinieri. 5 persone sono riuscite a fuggire!
Il 4 maggio un recluso tenta di fuggire dal Cie, cade e si rompe la caviglia, trasportato al Sant'Orsola nel cuore della notte. Ancora materassi dati alle fiamme e oggetti lanciati contro i militari.
Il 6 maggio sei persone sono fuggite dal Cie, mentre una persona è stata bloccata dalle forze del disordine
L'11 maggio dopo una perquisizione i detenuti si ribellano incendiando materassi, nessuna ripercussione e tutto ritorna all'agghiacciante calma.
Il 14 maggio alle 10 e 30 abbiamo ricevuto una chiamata da due reclusi del Cie che con voce concitata e spaventata ci informavano di un feroce pestaggio in corso. La polizia era entrata nelle celle della sezione maschile per fare delle perquisizioni sfociate in violenza, in particolare da parte de “l’ispettore”, una figura che ci era già stata segnalata in passato per essersi distinta nelle aggressioni fisiche sui detenuti. I ragazzi ci hanno parlato di volti e denti spaccati a calci e di un ferito per emorragia interna, trasportato in ospedale. Altri quattro erano stati appena portati in questura.
Alcuni solidali si sono recati quindi sotto la questura per portare il loro sostegno, mentre altri si sono recati al Sant’Orsola per accertarsi delle condizioni del ferito. Si è saputo così che il ragazzo era già stato dimesso e che era stato arrestato insieme agli altri quattro.
Nel pomeriggio i reclusi ci hanno informato di un secondo pestaggio e della permanenza di tre camionette della polizia all’interno. Inoltre già dal pasto di mezzogiorno avevano iniziato uno sciopero della fame perché preoccupati della sorte dei loro compagni, con la richiesta che venissero liberati.
Successivamente qualcuno è passato fuori dalle mura per fare un saluto e per dire loro che quanto stava accadendo dentro aveva già fatto il giro della città, attraverso le radio locali e gli interventi sotto la questura.
Nell’ultimo mese le rivolte e le evasioni non sono mai cessate tanto che in 18 sono riusciti a riprendere la libertà. Per far fronte a questa situazione molti dei reclusi sono stati trasferiti in altri Cie (per esempio a Trapani) o deportati. In questo momento nella sezione maschile sono rimasti in 16 quando di solito il numero non è inferiore ai 60.

Una detenzione drogata che induce alla pazzia
I racconti dei reclusi del Cie nell'ultima settimana si sono intensificati e il quadro che ne viene fuori lascia agghiacciati. Nella sezione maschile quasi il 90% dei detenuti è in stato di dipendenza da psicofarmaci, sono in pochi ad essere rimasti lucidi. Gli altri camminano come "robot", intontiti non ricordano neanche il nome dei loro famigliari, diventano "pazzi" - ci dicono - dopo aver cominciato a prendere "le gocce". In molti tentano di "fare la corda". Un ragazzo continua a bruciarsi, mani e altre parti del corpo, per questo viene tenuto in isolamento senza nessun tipo di aiuto. Un altro è dentro da 11 mesi e gli hanno confermato altri due mesi di carcerazione: nonostante questo non ha ceduto ai tranquillanti ma sta impazzendo comunque dalla disperazione.
Ci dicono che dai Cie di Bologna e Modena non si esce, che sono i peggiori. Gli operatori della Misericordia non sono esseri umani, chiamano gli "ospiti" per numero di matricola e li maltrattano con insulti e indifferenza, l'unica cosa che interessa loro sono i soldi che riescono a intascare su ogni recluso. La dottoressa dell'infermeria, dicono, "non è un'intellettuale", in effetti dire "stasera tutti stanno rompendo il cazzo" non è proprio professionale da parte sua. E non lo è neanche limitarsi a drogarli per farli dormire quando avrebbero invece bisogno di cure al di fuori della struttura, dal momento che il più delle volte i malori sono legati ad atti di autolesionismo o alla cronicizzazione di uno stato di angoscia permanente.

Torino: Continue tensioni
Il 21 aprile Al Cie di corso Brunelleschi sale di nuovo la tensione. In mattinata un recluso chiede di essere rimpatriato immediatamente: ha saputo che suo padre è morto e vuole tornare a casa. Alla risposta negativa dei funzionari della Questura, i compagni del ragazzo iniziano uno sciopero della fame in solidarietà con lui, rifiutando il pranzo. Nel primo pomeriggio la tensione sale ancora, a causa di una questione relativa alla distribuzione delle sigarette: verso le due i reclusi delle sezioni Gialla, Rossa e Blu incendiano per protesta alcuni materassi. Nel frattempo, una settantina di solidali si radunano fuori dal Cie per un presidio di solidarietà. Un po' in tutte le sezioni piccoli gruppi di reclusi salgono sui tetti: alcuni bruciano i vestiti, altri bersagliano i poliziotti di guardia con le bottiglie di plastica piene d'acqua. Dopo quasi due ore così, verso le 17.30 i reclusi della sezione Gialla salgono sui tetti portandosi dietro alcuni materassi, e bruciano pure quelli. La polizia questa volta risponde con i lacrimogeni, mentre gli uomini della Croce Rossa militare ci van giù pesanti con gli idranti. Per fortuna che qualche solidale ha pensato bene di lanciare, oltre le sbarre, delle confezioni di Malox, per aiutare i reclusi a resistere alle lacrime e al bruciore. Dopo lunghe battiture il presidio si trasforma in un corteo che blocca prima via Monginevro e poi via Mazzarello, verso l'entrata del Centro. Gli agenti si innervosiscono, corrono, spintonano alcuni dei manifestanti e poi chiamano altre camionette in aiuto. Alla fine, a resistere sul tetto restano solo i reclusi dell'area Gialla, mentre il corteo si conclude con l'accensione degli ultimi fuochi d'artificio.
Il 22 aprile, dopo una notte passata all'addiaccio, i quattro sono scesi in sezione insieme ai propri compagni; non sono stati messi in isolamento.
Il 29 aprile un recluso cui era stata annunciata la deportazione imminente è montato sul tetto della sezione, ed è riuscito così a perdere l'aereo, inceppando solo soletto ma efficacemente, la macchina delle espulsioni.

Caltanissetta, 11 maggio
Un immigrato che ha aggredito la polizia mentre assieme ad altri tentava di fuggire dal Cie di Pian del Lago a Caltanissetta è stato arrestato con l'accusa di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento di beni dello Stato. Quest'ultima accusa si riferisce ad atti vandalici contro un'auto di servizio della polizia.

Modena, 11 maggio
Quattro ore di tensione al centro di espulsione. La rivolta avrebbe avuto origine dopo una perquisizione e la somministrazione del cibo molto sgradevole, tutto è partito nel blocco numero 6, da qui la protesta si è estesa a tutto il Cie (60 persone) e le forze dell'ordine hanno faticato molto per riportare la situazione alla calma. La situazione continua ad essere insostenibile e tutti chiedono la libertà, la rabbia cresce, smontano le sbarre di ferro dei letti e le lanciano contro gli aguzzini, incendiano coperte dando vita ad una decina di focolai, tanto che dall'esterno si levava una nube di fumo. Hanno tentato la fuga ma purtroppo i recenti lavori di messa in sicurezza hanno evitato che durante la rivolta qualcuno riuscisse ad evadere, accompagnato dall'ingente numero di polizia, carabinieri con più equipaggi e guardia di finanza, più vigili del fuoco pronti a soffocare il tutto. Verso l'una di notte tutto si spegne e ritorna all'inumanità di sempre. I danni provocati alla struttura sono stati prontamente risistemati il giorno dopo. Lunedì 14 maggio farà un sopralluogo il questore, naturalmente per verificare se siano necessari altri miglioramenti in termini di sicurezza. Speriamo che prima o poi bruci tutto! Intanto si viene a sapere che in concomitanza con la protesta a Modena anche al cie di Bologna avviene una sommossa.

Ultime dal confine
26 aprile, Italia. Sbarco nella Locride, in Calabria, annegato uno dei passeggeri dell'imbarcazione (AGI)
28 aprile, Italia. Sbarco a Licata, Agrigento, annega un sedicenne egiziano (Ansa)
29 aprile, Grecia. Inseguimento alla frontiera con la Turchia, a Lykofos. Un'auto in fuga dalle pattuglie di Frontex perde il controllo e si schianta. Nell'incidente muoiono 3 persone che stavano tentando di passare la frontiera (Kathimerini)
8 maggio, Malta. Sbarco sulla spiaggia dei turisti, 7 dispersi. Per una volta sono stati soccorsi dalla gente comune e non dalle forze armate. E' successo a Malta, dove domenica notte sono arrivati una novantina di somali su un gommone partito dalla Libia. L'imbarcazione non è stata intercettata dai radar delle navi militari maltesi e così è finita direttamente su una delle più belle spiagge dell'isola, a Ghajn Tuffieha, dove un centinaio di persone stavano passando la notte al chiaro di luna festeggiando. Lo sbarco sulla spiaggia affollata ha colto tutti di sorpresa, ma alla fine pare che ognuno abbia fatto il meglio per rifocillare i naufraghi, comprese le 20 donne e i 4 bambini, prima che arrivasse la polizia maltese per arrestare i nuovi arrivati con l'accusa di ingresso illegale nel paese. I naufraghi erano in mare da diversi giorni e hanno raccontato che 7 dei passeggeri sono morti di stenti durante la traversata e che i loro corpi sono stati abbandonati in mare (FortressEurope)
Milano, maggio 2012

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La Misericordia di Daniele Giovanardi che gestiva i CIE emiliani sin dalla loro apertura ha perso l’appalto. Prima a Bologna dove ha vinto la cooperativa Oasis, facendo un’offerta di 28 euro a recluso ed ora anche a Modena. Sinora nei due centri la Misericordia riceveva 75 euro per ogni immigrato. Nei 28 euro sono compresi i pasti, qualche abito, la manutenzione, le spese per il personale. Inevitabile che le condizioni di vita dei reclusi peggiorino ulteriormente.
Mentre nel mondo reale il business del CIE va avanti, nel mondo della politica alcuni settori del PD hanno deciso di rifarsi una verginità promovendo proprio a Bologna il 10 maggio un convegno dal titolo “quali alternative al CIE? Proposte e prospettive”. Giuristi, sociologi, giornalisti per risolvere un problema che non c’è, perché abolendo le leggi che li istituiscono, sparisce anche la “necessità” dei CIE, i luoghi dove si smaltiscono le braccia in eccesso, in un’economia dove i padroni vogliono lavoratori sottomessi e ricattabili.
In altre parole anche in Emilia, come già in Toscana, la ricetta del PD è quella del CIE dal volto umano.

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Sul processo per la SOMMOSSA AL cie DI MODENA del 4 ottobre 2011
Secondo l'impianto accusatorio della procura modenese, in data 3 ottobre 2011, presso il CIE di Modena, durante il trasporto di un "ospite" presso l'infermeria interna da parte del personale della Misericordia, ente gestore del Centro, alcuni ragazzi all'interno del Blocco 5, organizzati con 2 sbarre di ferro (provenienti dallo sradicamento di un letto in metallo, dai supporti che lo immobilizzavano al pavimento) ed una intelaiatura del letto, sempre in ferro, assalivano il personale delle forze di polizia nel tentativo di sfondare la porta di accesso al blocco predetto, riuscendo per pochi secondi a bloccare la chiusura della porta stessa, e usando la branda di ferro come Ariete per provocare la totale apertura della stessa.
Dopo vari tentativi, i militari sul posto riuscivano a chiudere la porta, anche se uno degli stessi riportava lesioni certificate poi da referto medico del Pronto Soccorso. Subito dopo l'allarme interno, il personale entrava all'interno del blocco e, riconosciuti gli autori del gesto, provvedeva a trarli in stato di arresto. Di ciò veniva avvisato il PM di turno, che ne disponeva l'invio presso la Casa Circondariale di Modena. Dalle riprese video a circuito chiuso, si poteva evincere la dinamica del tentativo di "evasione". Le persone sottoposte alle indagini ed in stato di arresto sono: ZBIDI KALED, tunisino, JDIDI AKID, marocchino, HMIDI SABER, tunisino, TAIB SOUFIANE, libico, e RISZ SLIM, libico, quesi ultimi tre sbarcati a Lampedusa in Primavera ed accusati di violenza, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, oltre che di danneggiamento e furto, con l'aggravante del fatto compiuto da più di 5 persone riunite con l'uso di armi improprie. Gli imputati sono stati sottoposti ad un interrogatorio in sede di convalida dell' arresto (assistiti dall'avvocato nominato d' ufficio), dal quale emergeva l'impossibilità della congiunta difesa dei 5 arrestati, dato che molti imputati si sono accusati reciprocamente durante l'interrogatorio. In effetti, quello che é più balzato agli occhi di chi sta seguendo questa vicenda, é la totale ed assoluta mancanza della cosidetta "solidarietà di classe", cioé solidarietà e complicità fra poveri e disperati che si trovano sulla stessa "barca che sta affondando", la mancanza di "cooperazione" fra chi é accumunato da uno stesso destino, fatto di viaggi della disperazione per sfuggire ad una esistenza fatta di fame, guerra, stenti e violenza, nel tentativo di varcare le frontiere della Fortezza Europa, alla ricerca di un futuro migliore. Come pure é certo che, nella disperazione e nella miseria, vengano ad esarcerbarsi comportamenti di tipo egoistico ed aggressivo, volti a preservare la propria vita e "fortuna", anche a discapito delle sorti dei propri "fratelli e sorelle di sventura". La vicenda stessa di JDIDI AKID, é un esempio di particolare,
chiamamola, "sfortuna e malasorte", avendo questo ragazzo perso un figlio di pochi mesi nato in Italia dalla compagna italiana, ed avendo visto il fratello Mohamed ucciso dalla polizia in Sardegna. Certo é che il giovane ragazzo tunisino ZBIDI KALED, é quello la cui posizione di indagato per i fatti della rivolta risulta essere la più compromessa, sia per le testimonianze rese dagli altri protagonisti del fatto, sia per le riprese delle vieocamere di sorveglianza del Centro. In effetti, durante l'udienza del 18 Aprile 2012, tenutasi presso il Tribunale di Modena, il Giudice ha accettato il patteggiamento della pena (concordato fra avvocati difensori e PM), ad 1 anno e 3 mesi per tre dei ragazzi imputati (perché incensurati), ad 1 anno e 6 mesi per un altro ragazzo (che ha scleto per il rito abbreviato), mentre ha respinto il patteggiamento della pena ad 1 anno e 5 mesi per ZBIDI KALED, difeso dall'avvocato Boni del Foro di Modena, perché a suo avviso per un "soggetto così pericoloso" é troppo poco, volendolo condannare ad una pena detentiva di 2 anni e 4 mesi. L'avvocato Boni si é opposto e quindi ricorrerà in appello, per cui la vicenda giudiziaria di ZBIDI é tutt'altro che conclusa, mentre per gli altri quattro ragazzi coimputati la pena da scontare é oramai definitiva. Certo in tutta questa vicenda, come in molte altre, gioca un ruolo decisivo il Razzismo Istituzionale di Stato, avallato da tutte le forze politiche, in particolare dal Partito xenofobo della Lega Nord e del suo Ministro dell'Interno, Maroni (che ha, con un decreto, allungato i tempi di detenzione amministrativa nei CIE da 6 mesi fino ad un massimo di 18 mesi), e che ha con la demagogia ed il populismo convinto gli "italiani brava gente" che il diverso, lo straniero, é un invasore della propria Patria, che attenta a rubargli il posto di lavoro e a disturbare la propria quiete quotidiana. Per cui va trattato come una scoria tossica, da stoccare e smaltire nei vari CIE, sparsi in tutta Italia, (magari dopo anni di lavoro nero sottopagato, sfruttamento, vessazioni ed anche riduzione in schiavitù), per poi essere rispedito coattivamente, come un pacco postale indesiderato (magari con un nastro adesivo sulla bocca ed i legacci di plastica ai polsi) al mittente, cioé al proprio Paese d'Origine.
Saremo noi in grado ed all'altezza di inceppare e distruggere questi ingranaggi di violenza e morte, utili solamente a favorire le logiche ed i profitti del Capitalismo? Mettiamoci tutti/e in gioco per un mondo di liberi e eguali. Tutti fuori da carceri e CIE, dentro solo macerie.
Modena, maggio 2012
lettera dal carcere di sanremo (im)
Cari compagne/i dopo che è avvenuta la tragedia di Luca Abbà [...] la 1° sezione, durante l'ora d'aria, italiani e tunisini, hanno fatto lo sciopero della fame per un giorno. Tutta la sezione: 87 detenuti!!!
Per l'impavido e fiero Luca Abbà. Vi lascio immaginare come la direzione ce l'abbia fatta pagare. Ci hanno letteralmente sfasciato le celle, hanno staccato dai muri pure santini e foto dei nostri famigliari, buttate a terra e calpestate.
È poi scoppiata una mezza sommossa generale tra urla nostre e ricatti da parte della direzione che chiaramente ci ha "piegato le corna". Ma credetemi cari compagne/i per noi ne è valsa la pena.
La mia speranza personale è che tutti quanti noi dovremmo, uniti, costretti con le cattive maniere, ribellarci a questo stato di polizia, una via di mezzo come la primavera araba, non così estremisti ma un centro sulla dialettica e la violenza. Che sogno sarebbe, la Primavera italiana.
Qua parecchi arabi mi chiedono se potete spedire qualche francobollo, vedete voi.
Io invece vi chiedo se riuscite a mandarmi una bella cartolina come piace a voi e a me.

1 aprile 2012
Adriano Levratto, via Valle Armea 144 - 18038 Sanremo (IM)


da una lettera dal carcere di cagliari
[…] La potenzialità che ha dimostrato il movimento NoTav è una presa di posizione rivoluzionaria che, oltre all'entusiasmo che si avverte a fior di pelle, ha creato e continua a realizzare spazi di lotta per meglio avanzare. Mi fanno sapere che oggi ci dovrebbero essere espropri di terreni in valle, come è nella logica del potere costituito e, come risposta, si pensava di fare dei blocchi in varie città. Non so se riesci personalmente a sentire i presidi che si svolgono sotto quelle mura, di sicuro si riscontrano gli effetti che esso crea, che stimola le condizioni per affrontare discussioni e anche iniziative di vario genere, con gli altri che decidono di farlo. Dove sono io, invece (che è incluso in tutte le carceri in Sardegna), la maggior parte dei compagni non organizzano presidi perché la mancanza di progettualità sull'argomento/carcere impedisce la realizzazione degli stessi e in definitiva, preferiscono indirizzare le proprie energie in altri contesti progettuali. Questo è per il momento, l'aria che tira, ma penso (me lo auguro) che qualcosa si stia muovendo. Vedremo! Sarebbe propizio se la coscienza sviluppatasi in valle si diffondesse in maniera marcata, anche qui in terra sarda, contro lo scempio delle basi militari che risulta essere un problema di un'enormità straziante. Pensa che solo la base di Quirra, che è la più grande d'Europa, è estesa su circa
14.000 ettari di terra, e a mare invece si estende in circa 30.000 kmq! Con tutto quello che ci fanno all'interno! Un'occupazione militare in pompa magna! Questa pacificazione sociale, imposta in questi ultimi decenni, ha cancellato (o quasi) anche la memoria storica. Il colonialismo onnipresente italiano, le quasi invincibili multinazionali e politici sardi prezzolati, e altri al servizio del potere e del profitto, hanno creato il disastro, nella quale ora si trova la Sardegna. E anche perché le genti non si sono ribellate, permettendo così questa situazione. Il discorso è lungo e i responsabili sono gli stessi ovunque. C'è tanto da fare in ogni senso. […]

Presoni de Buonkamin, 11 aprile 2012
Cronologia sulla lotta contro il TAV
Nel breve resoconto che segue sono riportati alcuni eventi ed iniziative di cui abbiamo avuto notizia o che i sono sembrati significativi. Si tratta quindi di un resoconto molto parziale rispetto alla quantità di iniziative piccole e grandi che si tengono dappertutto.

Mercoledì 11 aprile
Dalla notte marcia da Giaglione alla Clarea, ignorando l'ordinanza prefettizia che limita la circolazione in Val Clarea e abbracciando la neve che fiocca copiosa. Si stabilisce un presidio presso le lamiere che recintano i terreni oggetto dell'esproprio. In mattinata si rafforza il presidio in Clarea e iniziano i tentativi di esproprio da parte della polizia, ma i NoTav resistono e concretizzano azioni di disturbo. Marisa, una delle proprietarie, si ammanetta alle reti all'interno del perimetro. Alcune reti vengono tagliate, fermate e poi rilasciate tre compagne che volevano raggiungere Marisa. Issata nuovamente la bandiera NoTav sul traliccio già scalato da Luca. A32 bloccata in nottata, si prosegue con le barricate: i compagni mantengono la posizione all'altezza della galleria Prapuntin tra Bussoleno e Chianocco, vengono sgomberati ma poi riconquistano terreno presso la frazione di Ramats. Assemblea in autostrafa cui partecipano anche i compagni provenienti dal presidio alla Clarea, compresa Marisa che si è fatta liberare per partecipare all'assemblea.
ROMA bloccata la via Ostiense; ARCORE blocco della stazione; GENOVA occupata la sede del Pdl; COSENZA blocco alla stazione; TORINO bloccata la statale 24; LIVORNO bersagliata sede Pd; CREMONA corteo spontaneo; EMPOLI striscioni di solidarietà; MILANO corteo e saluto agli arrestati in San Vittore; ROMA corteo non autorizzato; BOLOGNA corteo e blocchi; TORINO corteo e blocco a Porta Nuova; FIRENZE corteo partito dai cantieri dell'Alta Velocità; URBINO e PESARO striscioni NoTav; PALERMO corteo e cariche degli sbirri; PAOLA (CZ) bloccato Eurostar; BERGAMO NoTav in stazione.

Giovedì 12 aprile
Anonymous compie un'azione di hacking del sito ghiglia.it, pubblicando i materiali dell'operazione Hunter e dichiarando solidarietà agli arrestati e a tutti i NoTav e nel pomeriggio attua un nuovo tango down per trenitalia.com. In serata a Giaglione assemblea e taglio di altre reti, in risposta al taglio e allo sradicamento, inutile, degli alberi della Clarea.

Venerdì 13 aprile
Perino prende le distanze da ForzaNuova, che infama il movimento dichiarando di essere stati autorizzati da Perino stesso a partecipare a iniziative NoTav. Menzogne mediatiche sulle tempistiche del non cantiere, che Ltf dichiara di aver già avviato, mentre CMC ipotizza l'inizio degli scavi a un anno da oggi, intanto i compagni studiano le postazioni per "accogliere" i lavoratori della CMC. Occupata sede del Pd a Chivasso, per contestare il candidato sindaco Ciuffreda. Anche a Lucca contestazioni alla kermesse elettorale del Pd di Bersani.

Domenica 15 aprile
Mobilitazioni di materiali in Val Clarea, per costruire il pavimento della baita e pulire i sentieri, facendo lo slalom tra gli sbirri che identificano e sequestrano i beni dei compagni. Intanto marciano i cori NoTav, veri e propri gruppi canori solidali da tutta Italia, percorrendo i sentieri della Clarea e di Villafocchiardo. Le due postazioni di osservazione e presidio del territorio in attesa della CMC si organizzano per la notte. Dalla stampa di regime si apprende che la Sitaf chiede i danni a Ltf per i blocchi subiti della A32.
Lunedì 16 aprile
Solo due timidi operai della CMC compaiono presso i terreni espropriati della Clarea, firmano delle carte e spariscono in fretta e furia, confermando che la partita è ancora tutta da giocare e che gli abbai dei media e le bufale di Ltf non convincono nessuno. Solo i mezzi di Italcoge e della ditta Martina proseguono nello scempio del territorio, abbattendo e sradicando alberi. In risposta si organizzano degli incontri di approfondimento tecnico e scientifico, per dimostrare che il sapere e la conoscenza sono di parte e prendono partito.

Giovedì 19 aprile
Alberto Perino denunciato per vilipendio alle forze dell'ordine per questa sua dichiarazione rilasciata al quotidiano La Stampa: "Purtroppo abbiamo le truppe di occupazione nazifasciste e, come all'epoca, serve il pass per spostarsi".

Venerdì 20 aprile
La Deutsche Bahn dichiara di predisporsi a ridurre la velocità dei treni ad alta velocità da 300 a 250 Km/h, per aumentare l'affidabilità del servizio. L'Italia dichiara di poter viaggiare sino a 360Km/h.
Censura della posta in entrata e in uscita per Giorgio accusato di "aver tenuto un comportamento di "istigazione alla ribellione" di altri detenuti, anche in accordo con soggetti esterni al carcere". In risposta i compagni e le compagne di Giorgio invitano tutti e tutte a inceppare l'ingranaggio, inviando quante più lettere possibili alla Sezione Isolamento del Carcere di Saluzzo.

Lunedì 23 aprile
Filmfest e presidio filosofico resistente presso la baracca nei pressi della Baita Clarea.
Luca Cientanni è stato licenziato dalla Cooperativa Incontro, presso cui svolgeva il lavoro di operatore sociale, che si è appigliata ingiustamente all'art. 24 del regolamento interno della cooperativa, che prevede il licenziamento del lavoratore dopo il Terzo Grado di Giudizio.

Martedì 24 aprile
Contestazioni dei NoTav torinesi alla casta istituzionale, in occasione della fiaccolata per le commemorazioni del 25 aprile.

Mercoledì 25 aprile
Sul palco del Giambellino all'iniziativa antifascista Partigiani in Ogni Quartiere viene data a Carlotta, compagna di Niccolò, la tessera ad honorem dell'Ampi di Bussoleno. Attivista NoTav identificata, fermata e portata in questura perché viaggiava in bicicletta, recandosi al corteo, con una bandiera NoTav.

Giovedì 26 aprile
Roma, stazione Termini, due treni Tav in manovra in prossimità della stazione si scontrano a causa del cedimento strutturale della linea. Alcune persone sono state portate in ospedale e fortunatamente non riportano ferite gravi, poiché i treni viaggiavano a soli 30Km/h. L'incidente porta ancora più in primo piano l'opportunità delle grandi opere viabilistiche e non, costate in Italia cinque volte in più dei corrispettivi tedeschi e francesi ed evidentemente non funzionanti, addirittura pericolose.
Intanto al Politecnico di Torino il Governo nelle persone dell'Architetto Virano e del Ministro Passera partecipa al convegno dei 365 tecnici firmatari dell'appello, per illustrare i benefici e la redditività del TAV, ignorandone però l'impatto ambientale e presentando sovrastime da capogiro, subito facilmente smentite dai tecnici del movimento. Un punto particolarmente interessante è la dichiarazione dei costi, nuovamente rimaneggiati nella loro spartizione tra Italia e Francia: il costo sarà esattamente, sempre al netto dell'ipotetico contributo UE del 40%, di 235 M€/Km (2,85 miliardi per 12,1 Km). Un record sia nel valore assoluto che in quello relativo, stante l'aumento del 236% dell'impegno italiano, rispetto ai 70 M€/Km previsti nell'accordo del 2001.
Il traffico ferroviario delle merci è passato dalle 10 tonnellate del 2001 alle 3,9 del 2010. I tempi di percorrenza diminuiranno nel 2035 di massimo 35 minuti. L'impatto ambientale si manifesta principalmente nella produzione di 17 milioni di tonnellate di smarino, dove si trova una presenza importante di uranio e amianto. Le malattie cardiovascolari e respiratorie aumenteranno almeno del 10%.

Venerdì 27 aprile
Anche a Firenze come a Roma il KGN (Comitato Giovani NoTav) non può entrare nel liceo artistico dove era stata organizzata un'assemblea studentesca. L'assemblea si svolge quindi occupando un'aula in università.
A Crema durante il comizio di Umberto Bossi sventola la bandiera NoTav e uno striscione con scritto "Bossi, sei più in forma che intelligente". Abituatevi!

Martedì 1 maggio
Contestazioni al corteo di Torino rivolte al sindaco Fassino, per richiedere la liberazione dei prigionieri NoTav. 5 fermati in seguito ad un inseguimento ad opera dei Digos. Sfila lo striscione di amici e parenti NoTav, mentre, per iniziativa di alcuni atletici compagni, le foto di Luca Cientanni e di Giorgio Rossetto sventolano dal palazzo comunale.

Giovedì 3 maggio
Presidio dalle ore 9 con distribuzione del volantino "NoTav Associazione a Resistere" per la prima udienza di processo per attivisti NoTav imputati di costruzione abusiva (la baita Clarea) e per "rottura dei sigilli giudiziari". Tra gli imputati anche Giorgio Rossetto, che ha assistito al processo da dietro le sbarre.

Martedì 8 maggio
Seconda udienza per il processo a Nina e Marianna, arrestate il 9 settembre 2011 per una passeggiata intorno alle reti della Clarea. Interrogati un digos, un carabiniere e tre compagni NoTav. Prossima udienza prevista per il 4 giugno 2012. Al carcere di Saluzzo viene sospeso il provvedimento di censura della posta applicato a Giorgio Rossetto, poiché non vi sono elementi sufficienti per applicarlo.

Giovedì 1 maggio
Studenti e insegnanti dell'I.T.I.S di Susa respingono l'iniziativa del preside di invitare Mario Virano, presidente dell'osservatorio sul TAV: l'incontro organizzato viene annullato, i cancelli della scuola vengono chiusi con dei lucchetti e presidiati al grido di "fuori virano dalle scuole, fuori virano dalla valle". Intanto dal tetto della sua casa Antonio Ginetti, sottoposto agli arresti domiciliari, annuncia l'inizio dello sciopero della fame, per protestare contro la negazione di permesso da parte del GIP di recarsi al lavoro
Venerdì 11 maggio
Accolto il ricorso in cassazione per Giorgio Rossetto e Luca Cientanni, per Jacopo invece dagli arresti domiciliari all'obbligo di dimora nei comuni di Torino e Rivalta.

Milano, maggio 2012

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In questi ultimi giorni alcuni compagni detenuti agli arresti domiciliari hanno ottenuto forme restrittive più “leggere” come l’obbligo di dimora con o senza orari di rientro a casa; oppure sono passati dall’obbligo di dimora alle firme periodiche in questura. Nonostante la volontà di differenziare il trattamento penale nel tentativo di ridurre a questioni personali ed individuali il processo e magari anche le lotte che l’hanno prodotto, oggi, 14 maggio, abbiamo finalmente potuto riabbracciare Lorenzo.
Restano ancora in carcere:

Alessio Del Sordo, via Pianezza 300 - 10151 Torino
Marcelo Damian Jara Marin, Maurizio Ferrari, Piazza Filangeri 2 - 20123 Milano
Giorgio Rossetto, loc. Cascina Felicina via Regioni Bronda 19/b - 12037 Saluzzo (CN)
Luca Cientanni, corso Vercelli 165 - 10015 Ivrea (TO)
Juan Antonio Sorroche Fernandez, via Beccaria, 13 - 38014 Spini di Gardolo (TN)


no tav: Processo alla baita Clarea rinviato al 18 Luglio
3 Maggio. Giornata strana, processo baita Clarea. Ero imputata e mi sentivo spettatrice. Film dell’Italia di oggi, due facce di una medaglia. Noi il movimento, un gruppo di volontari che con costanza ha lavorato alla costruzione di una baita nel rispetto dell’ambiente, raccogliendo le pietre sul territorio, dove sono abbondanti, utilizzando legno del posto, per poi utilizzarla nel ambito locale per eventuali scopi culturali o sportivi, quindi due requisiti: beni comuni e km 0. Denunciati per abuso edilizio, rottura dei sigilli e costruzione.
Sullo stesso terreno é stata costruita una recinzione con blocchi di cemento fissi griglie filo spinato, grossi cancelli, da operai muniti di escavatori, ingegneri, imprenditori, con una paccata di soldi pubblici e quindi spreco. Su terreno privato non compreso nell’area cantiere, nonostante le denunce non si vedono risultati.
Italia a due velocità, veloce nel colpire chi protesta; lenta nel colpire la casta del cemento, la legge é uguale per tutti, basta saperla interpretare.
Non sarà facile, io spero che si esca, e che il finale non confermi il comportamento generale dove paga sempre e solo chi si ribella. Mi sentivo orgogliosa ad essere imputata.
Ciao a tutti, Marisa.

6 maggio 2012
da www.inventati.org/rete_evasioni


Nina (Elena) e Marianna: La prima udienza non si scorda mai!
Torino, 4 aprile 2012, una giornata piovosa, una giornata importante. Elena Garberi ("Nina") e Marianna Valenti, attiviste No Tav arrestate nella notte tra il 9 e il 10 settembre durante una manifestazioni alle reti del "non cantiere" a Chiomonte, affrontano la prima udienza del processo. Sono accusate di resistenza e lesioni a p.u., aggravate da concorso (erano più di 10 le persone coinvolte, come specifica il PM Nicoletta Quaglino nella sua introduzione).
Erano state in carcere fino al 21 settembre, per poi scontare lunghe misure cautelari restrittive fino a fine ottobre (domiciliari e obbligo di dimora). Ancora oggi a Nina è fatto divieto d'ingresso a Chiomonte, dove ha il suo alloggio e dove i figli vanno a scuola.
Nella prima fase dell'udienza le parti presentano i documenti e l'elenco dei testimoni, notiamo subito un'incertezza del PM Quaglino quando tenta di giustificare l'assenza del verbale di sequestro relativo alla perquisizione di Marianna. C'è, infatti, il verbale di perquisizione, ma sembra mancare quello di sequestro. Strano, soprattutto se si pensa che in qualche modo dovrebbe essere documentato il ritrovamento addebitato (nell'accusa) proprio a Marianna di uno zaino contenente pietre. Poi tocca agli avvocati della difesa, che chiedono vengano messi agli atti molti documenti volti a dimostrare il senso ed il contesto nel quale si sono svolti i fatti, quindi ordinanze prefettizie, documenti dell'LTF che dimostrano la mancanza di un progetto esecutivo e provano l'illegalità del cantiere contestato dai manifestanti, perché "nel nostro diritto esistono le reazioni legittime agli atti arbitrari", ma non il giudice, Dott.ssa Trovato, che spiega che "qui si discute del fatto che la Garberi abbia lanciato pietre e bombe carta contro forze dell'ordine" e "che questo si inserisca nel contesto di una manifestazione non ha rilevanza". Per questo motivo anche le richieste di accettare tra i testimoni esperti come il Prof. Tartaglia ed il Prof. Zucchetti finisce con l'acquisizione di alcune relazioni che vengono messe agli atti. Il PM aveva posto come obiezione la possibilità di invitare, nel caso fossero ammessi i due docenti, contro-testimoni del calibro di Virano, Fassino e dei sindacati di polizia.
Tra i testimoni della difesa una in particolare irrita il PM Quaglino, si tratta di una manifestante ferita da lacrimogeno e soccorsa proprio da altri NO TAV, una prova importante perché si comprenda il senso delle bende ritrovate nello zaino di Nina. Ed è più o meno a questo punto del dibattimento che il PM Quaglino riesce a fare un'affermazione che lascia tutti di stucco: "Lanciano lacrimogeni? Basta spostarsi!". Non ci avevamo pensato. In fondo era facile. Non servono le bende, il ghiaccio istantaneo, il succo di limone: basta spostarsi! […]
Abbiamo agenti feriti che dichiarano di essere stati "colpiti da una pietra al ginocchio" nonostante il Capitano di Susa abbia spiegato che tra le varie protezioni c'erano anche quelle per le ginocchia, abbiamo una ferita al torace dovuta ad una caduta, perché il terreno in montagna è pieno di buche e pietre, poi uno strappo muscolare dovuto ad una caduta ed il ferito "è certo che quella pietra non fosse li' prima dell'arrivo dei manifestanti". Nessuno è in grado di dire se Marianna o Elena abbiano commesso gesti "violenti", lanci di oggetti o tentativi di taglio delle reti. Contraddizioni anche sui reali obiettivi dell'uscita e sul numero delle cariche di "alleggerimento" o uscite per "prendere qualche manifestante perché queste azioni terminassero.
Stonano anche le incertezze sull'uso di idranti, e le omissioni sulle quantità di lacrimogeni utilizzati verso i manifestanti, oltre che sulle modalità, visto che molti dei presenti ricordano lanci ad altezza uomo (come mostrato anche nel video). Se poi inquadriamo questo uso massiccio di armi nel contesto in cui si parla al massimo di 30-40 manifestanti che tentavano di avvicinarsi alle reti, c'è davvero da chiedersi se questa enorme "macchina repressiva" non fosse spropositata rispetto alle forze in campo e non avesse proprio l'obiettivo di rispondere alle pressanti insistenze di politici che a gran voce, per mesi, ormai, avevano chiesto di "isolare i violenti", il che tradotto significa, per le forze dell'ordine, "arrestateli"!
Un cammino ancora lungo, per Elena e Marianna. Come lo è e lo sarà per i tanti compagni ancora in carcere o ai domiciliari, e per le tante denunce che continuano ad arrivare in questi giorni, in tutta Italia, a seguito di blocchi o contestazioni.
Sui media tradizionali non una parola per questa prima udienza. Ancora una volta sta a noi diffondere l'informazione, raccontare la storia di due donne alle quali vogliono dare condanne "esemplari", perché sono due donne che vorremmo fossero un esempio per tutte, un esempio di onestà, generosità, determinazione, resistenza!
La prossima udienza è fissata per il 7 maggio alle 11:30.

Liberamente estratto da www.notav.eu/article6127.html

***
Le tre lettere che seguono sono in risposta ad una richiesta di intervista promossa dai compagn* di Radiocane, una radio che gira su internet messa in piedi a Milano qualche anno fa. di Seguito il testo che le accompagnava:
“Radiocane - Con le mani, con la testa, col cuore: lettere No Tav dal carcere.
A tre mesi dagli ultimi arresti contro il movimento No-Tav sei compagni rimangono ancora sequestrati nelle carceri del Belpaese. Per sentirli più vicini e amplificare il loro pensiero oltre le mura che ci separano, abbiamo deciso di inviarli alcune domande e di dare voce alle loro risposte. Per ora ci sono pervenute solo le lettere di Mau, Giorgio e Marcelo, da cui abbiamo estratto alcune parti. In attesa delle risposte di Juan, Alessio e Luca, questo è un primo contributo che ci sentiamo di dare, anche in vista di sabato 21 Aprile, giornata milanese di solidarietà agli arrestati che prevede un corteo sotto San Vittore e un concerto hip pop in Piazza 24 maggio”.


lettera dal carcere di saluzzo (cn)
Quali aspetti ti sembra debbano essere messi in risalto come specifici della situazione attuale che ti trovi ad osservare e del trattamento cui sei stato sottoposto in questa circostanza, anche in relazione alle lotte che sono proseguite all'esterno?
Le riflessioni che posso fare si basano sulle breve permanenza nel grande carcere metropolitano delle "Vallette", durata una decina di giorni e quella ancora in corso e più prolungata a Saluzzo.
Le Vallette con i suoi 1.500 detenuti in media, con 3 diversi bracci, con un viavai di guardie e detenuti, con un ricambio più continuo, col rumore più forte nell'aria.
Il blocco C era costituito da dodici sezioni. Ogni sezione aveva 20/25 celle. Due detenuti per cella. Una cinquantina di detenuti per ogni sezione.
La composizione della sezione era variegata dalle varie etnie presenti. Facendo una frettolosa analisi mi sono fatto l'idea che i "magrebini" sono più portati a gesti individuali e autolesionisti, i "rumeni" a sopportare stando insieme, i "neri" più disponibili a pensare collettivamente. Infine gli "italiani" che danno la colpa alle altre etnie della situazione. Tutti, in modo diverso a lamentarsi. Nessuno, chi per un motivo chi per un altro, a porsi il problema del che fare per cambiare.
All'aria si andava 3 sezioni per volta insieme. In quel periodo nevicava e il freddo era gelido quindi non si può fare valutazioni complessive, ma credo che con 150 detenuti si potesse intavolare qualche confronto. Esporsi, discutere, dare senso alle istanze che nascono è comunque una delle strade per fare ripartire un percorso minimo di protagonismo nelle prigioni di questo paese.
In ogni caso dalle Vallette siamo stati trasferiti subito, abituati ai tempi frenetici dell'agire politico fuori, ci siamo "esposti" in maniera frettolosa. Lo spavento del direttore del carcere, le decisioni del D.P.A. hanno portato al trasferimento di sei No Tav in sei diversi istituti penitenziari della regione con il timbro "Alta Sorveglianza".
Sono arrivato a Saluzzo qui è tutto più "pulito, lindo e professionale". Tutta l'organizzazione burocratica del sistema, con le sue specializzazioni i suoi livelli variabili di sorveglianza capillare tutti tesi all'assoggettamento del prigioniero dentro i meccanismi dei benefici e della premialità.
A Saluzzo ci sono 2 sezioni di Alta Sorveglianza con detenuti con condanne pesanti (ergastolo a 30 anni) e altre 4 con detenuti "definitivi" a pene minori.
La sezione dove siamo noi è anomala, era quella adibita all'isolamento, nel corso degli anni è diventata per gli "indagati" (in attesa di giudizio) rimanendo però con il regime e gli spazi propri dell'isolamento. Regime ferreo, l'aria è divisa in cubicoli, uso continuo del metaldetector, controllo individuale, qualche volta, di una guardia seduta per due ore davanti al tuo cortiletto/box all'aria e naturalmente esclusione da tutte le attività ricreative e sportive del carcere.

C'è uno specifico frammento di vita quotidiana in carcere che ti è capitato di vivere e di cui hai voglia di parlarci?
Un frammento piacevole sono i "vecchi" rapinatori di banche e uffici postali, appartenenti alle famose batterie degli anni ‘70-‘80 che non appendono mai le scarpe al chiodo, hanno oramai 60/70 anni, hanno passato decine e decine di anni in galera, vivono dei ricordi d'oro degli anni passati, quelli delle rivolte, delle evasioni.
Alle Vallette c'è n’é uno chiamato Tepepa che ha 74 anni, è lì e non capisce perchè vista l'età, nel frattempo gli sono giunti 10 anni per rapine dal tribunale di Mondovì, tre anni orsono è stato arrestato con un borsone carico di armi divise e manette.

Cosa ne pensi del fatto che il movimento ha seguito i vostri arresti, continua, e anzi, ha avuto una forte spinta propulsiva?
Vuol dire che negli anni passati abbiamo avuto la capacità passo dopo passo, di costrire relazioni sociali, strutture, livelli di partecipazione, ambiti popolari e di classe in cui ci si confronta, sapendo che la repressione è un aspetto esterno della lotta calato dalla magistratura per indebolirci e ricattarci, nostro interesse e invece l'opposto, il movimento e la mobilitazione devono rafforzarci nel legame di solidarietà con i prigionieri che ne sono parte integrante, senza nessuna differenziazione tra di loro usando le categorie fuorvianti dell'innocenza e della colpevolezza.
Già l'arresto del consigliere comunale e del barbiere di Bussoleno si sono rivelati un autogol per l'impianto accusatorio che voleva dimostrare una diversità tra No Tav della valle ed esterni, tra supposti No Tav “buoni” e “cattivi”.
Per noi strutture autonome è stata un ulteriore conferme di una proposta politica che valorizza come nodi centrali il ruolo dell'organizzazione e della soggettività nei movimenti e nei processi di trasformazione. Internità forte nei movimenti, nelle lotte, senza nessuna concessione alle narrazioni esistenziali o di affinità inconcludenti che si riproducono in quelle città o territori in cui latitano alterità e contropotere.

Il fatto che siete stati arrestati per aver preso parte alla lotta No Tav, ha influenzato la percezione degli altri detenuti nei vostri confronti?
E' una novità, non sono abituati all'arrivo di detenuti che lottano per raggiungere obiettivi sociali e non abbiano alcun tornaconto personale, alcuni pensano persino che la loro carcerazione sia giusta e stiano espiando una pena mentre la nostra viene vista come un'ingiustizia, una persecuzione, dando per scontato che usciremo presto. Molti sopravvalutano il peso dei No Tav, sperando che l'eventuale appoggio del movimento possa portare a una attenzione mediatica sui problemi del carcere e sulla necessità di un'amnistia che è la richiesta che unisce tutti.

Come è stata e viene vissuta la situazione di Luca all'interno del carcere? Come è rimbalzata la notizia di quello che gli era accaduto?
La notizia è rimbalzata velocemente, nel giro di alcune decine di minuti si è capito la gravità "dell'incidente", creando una notevole apprensione tra tutti, i detenuti chiedevano in continuazione informazioni basandosi su quelle che gli davo attraverso radio Black Out (a Saluzzo si sente benino). Nei giorni seguenti hanno continuato a chiedere informazioni sul suo decorso. Tutti gli augurano una pronta guargione e adesso possiamo firlo forte: la fortuna gli è stata particolarmente vicina.

Come è percepita all'interno del carcere la lotta No Tav?
Naturalmente sono solidali e parteggiano per il movimento No Tav, sono stupiti per la forza, il coraggio e la determinazione espressi, alcuni rimangono scettici sulla possibilità alla fine di vincere, a tutti noi il compito di smentirli.

Fuori si sta pensando ad una campagna di liberazione dei prigionieri No Tav, dentro cosa ne pensate?
A me sembra che fuori si sia messa in moto una campagna popolare per rafforzare il contatto tra la comunità in lotta e i prigionieri, decine di iniziative di sostegno si sono susseguite, mentre l'operazione repressiva perde i pezzi per strada, la strada è ancora lunga, ma il passo con cui la affrontiamo mi sembra quello giusto.
Un abbraccio a tutti e tutte.
Se avete materiali di movimento o libelli di vostra pubblicazione riguardo ai problemi carcerari per favore speditemeli.

aprile 2012
Giorgio Rossetto, via Regioni Bronda 19/b località cascina Felicina - 12037 Saluzzo (CN)

***
Il Tribunale di Torino con data 4 maggio 2012 ha annullato il decreto con il quale il Gip Bompieri (lo stesso che firmò l'ordinanza che ha portato in carcere 26 militanti notav lo scorso 26 gennaio) aveva stabilito, su richiesta della Procura di Torino, di sottoporre la corrispondenza in entrata e uscita di Giorgio Rossetto nel carcere di Saluzzo alla censura.
Dopo aver letto la richiesta di sottoposizione al visto di controllo della posta, formulata dalla Procura e accolta dal Gip, possiamo tranquillamente dire che era fondata su argomentazioni tese a ridurre ulteriormente gli spazi di libertà di Giorgio perché ritenuto pericoloso per il quieto vivere nel carcere
Nella relazione del comandante delle guardie, Benedetto Novena, Giorgio viene indicato come persona che esercitando la sua "carismatica influenza negativa" stava allestendo, con la complicità di un'organizzazione esterna al carcere, un'alleanza tra detenuti simpatizzanti Notav e altri reclusi in regime di Alta sorveglianza.
La cosa che più ha preoccupato il capo guardia è la propensione di Giorgio all'istigazione, che sempre secondo gli atti, da quando è a Saluzzo, ha destabilizzato l'atmosfera che con fatica, e con bastone e carota, le guardie erano riusciti a instaurare.
L' "alleanza", secondo il Commissario e la Procura, avrebbe dovuto occuparsi di organizzare iniziative a difesa dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori in particolare attraverso la sottoscrizione di una petizione a sostegno delle lotte dei lavoratori italiani su questo tema. Proprio per questi motivi il Gip aveva emesso l'ordinanza della censura alla posta, perché come avevamo già documentato, le toghe avevano valutato gli estremi dei reati di comportamenti volti all'istigazione alla ribellione di altri detenuti.
Quindi, in un istituzione totale come quella carceraria, in assenza di rivolte o disordini è da punire chi esprime idee, e tenta di rompere quel meccanismo di individualizzazione estrema che le sbarre riescono a creare.
A Saluzzo dove il direttore del carcere non c'è mai perché amministra anche il carcere di Fossano ed è il principale candidato a gestire il carcere delle Vallette di Torino, il capo guardia si è trovato in difficoltà nei confronti di un detenuto che con piccole cose, ma con metodo e grandi risultati, gli ha rotto il giocattolo, non limitandosi alla sua condizione personale, ma andando a rendere collettivi problemi che riguardano tutti, nel carcere e fuori.
Il Tribunale di Torino in seguito al riesame chiesto dagli avvocati di Giorgio ha quindi annullato il provvedimento e quindi la corrispondenza torna "libera". Gli atti allegati alla sentenza ci consegnano una figura preoccupata del suo potere costituito, che ha trovato un detenuto che non è entrato nei meccanismi di premialità istituiti e Novena non ne può più e alla Procura ha chiesto di trasferire Giorgio in un altro carcere.
Intanto però le ripicche della direzione proseguono e i detenuti della sezione isolamento in cui si trova Giorgio, sono diventati 15 (in 3 celle in origine singole sono rinchiusi in 3).
In occasione della visita del vescovo a Pasqua sono stati esclusi i detenuti della sezione Isol (la messa è un momento di socialità per i detenuti non con signore iddio ma tra di loro visto che dalla Isol non escono mai per andare nei luoghi d'aria comuni...), e dopo alcune proteste, la direzione ha deciso di non farli più andare a messa con i detenuti Alta Sorveglianza la domenica, ma spostarli al sabato con il circuito dei "Semi Protetti". (S.P.). Da qui l'ennesima protesta della sezione No Isol con in rifiuto da ormai tre sabati di parteciparvi perché i S.P. sono individui rinchiusi in una piccola sezione dedicata perché si sono "macchiati" di colpe particolarmente odiose (reati sessuali o pedofilia fino a spie o spioni vari) agli occhi degli altri detenuti. Sono quindi esclusi dalla popolazione carceraria con un codice non scritto ma praticato nelle prigioni del nostro paese, che sono luoghi in cui, in certi casi, il giusto e l'ingiusto, il bene ed il male, il senso e il non senso hanno confini labili e sottili, ma dove è importante mantenere uno straccio di etica e di comportamenti sani. In carcere non tutte le storie finiscono lastricate di petali di rose. Per questo da tre sabati i No Isol si rifiutano di sfruttare quel piccolo momento di socialità collettiva.
8 maggio 2012
da www.infoaut.org


lettere dal carcere di san vittore (mi)
Quali aspetti ti sembra debbano essere messi in risalto come specifici della situazione attuale che ti trovi ad osservare e del trattamento cui sei stato sottoposto in questa circostanza, anche in relazione alle lotte che sono proseguite all'esterno?
Il movimento NO TAV va avanti anche senza di noi, questo perchè al suo interno non ci sono capi, ma c'è un'eterogeneità di singolarità che hanno preso partito in questa lotta. Un altro aspetto importante è che a ribellarsi non c'è solo la comunità valsusina, ma un intero paese, la solidarietà arriva da ogni angolo dell'Italia e anche dall'estero. La Val di Susa in questo momento è ovunque. Caselli dice che ciò che questa inchiesta va a contestare sono dei fatti d'illegalità specifici. Io dico invece che ciò che ha cercato di attaccare è non solo il movimento No Tav, ma ogni lotta che c'è in Italia e che potrebbe svilupparsi nel futuro immediato visto la crisi ormai irreversibile del sistema economico politico italiano. I nostri arresti sono un messaggio chiaro a tutti coloro che hanno smesso d'indignarsi e si organizzano dal basso, in autonomia e senza mediazioni.
Un altro aspetto che la magistratura ha cercato di colpire sono i legami affettivi, non bisogna dimenticare che ognuno di noi fuori ha famiglia, amici, compagni, mariti, mogli, figli. E' questo il lato più infame della repressione. Bisogna però essere ciechi per non accorgersene che questa inchiesta ha avuto l'effetto contrario. Il carcere è un terreno di lotta e qui continuo a lottare quotidianamente insieme ai tanti proletari sepolti vivi qui dentro. Il mio morale rimane alto, rimango lucido e sereno.

C'è uno specifico frammento di vita quotidiana in carcere che ti è capitato di vivere e di cui hai voglia di parlarci?
Settimane fa giocavo a calcio insieme ad altri detenuti, dopo quindici minuti di gioco la palla è andata fuori. Le guardie non hanno fatto uscire nessuno per andarla a prendere e ci hanno detto che la partita era finita. Il sesto raggio ha la possibilità di giocare a calcio due volte alla settimana, è l'unico momento vero di socialità e ricreazione. La risposta è stata immediata e spontanea. Tutti abbiamo iniziato a prendere a calci la porta e a gridare e a insultare le guardie, queste sono arrivate in branco e hanno chiesto con prepotenza chi era stato, la risposta è stata TUTTI. I secondini sono andati in panico e sono andati a riferire tutto al loro capo di turno che dopo 10 minuti è tornato con la palla e ci ha fatto un discorso patetico sul rispetto e altre fesserie. E' stato un momento emozionante che mi ha fatto riflettere, in carcere non succede mai niente, regna la polizia e quindi ho paura. Vedere che anche in carcere quando insieme ci si ribella alle ingiustizie in modo determinato e si è coscienti che ciò che andiamo a riprenderci è la nostra libertà, la nostra vita, possiamo ottenere tutto quello che ci corrisponde. Questa volta è stato un pallone, domani chi sa...

C'è uno specifico frammento di memoria della lotta NO TAV cui hai partecipato e di cui hai voglia di scriverci?
La vita quotidiana al campeggio di Chiomonte l'anno scorso. Arrivavi in stazione e ti sembrava di essere arrivato al paese delle meraviglie, l'area era diversa e non solo perchè ti trovavi in montagna, ma perchè si respirava solidarietà e libertà ad ogni angolo. Al campeggio lasciavi il portafoglio in tenda e ti dimenticavi della tua identità. Lavoravi, discutevi, lottavi, a volte anche ti ubriacavi con persone che non avevi mai visto, ma ti sembrava di conoscerli da una vita. Tornavi a Milano e pensavi come cazzo si chiamavano? Questo perchè l'unica identità e appartenenza era la No Tav. La vita si basava tutta sull'autonomia e l'autorganizzazione. Questo è quello che provi a fare in città e che vivi in piccolo, lì lo vivevi nella sua massima espressione. Parlo al passato perchè racconto un ricordo, ma tutto ciò che ho descritto lo si vive anche fuori dai campeggi che ci sono stati nell'estate scorsa. La vita in comune e la riappropriazione della vita sono insieme al coraggio dei No Tav il cavallo di troia del movimento.

Cosa ne pensi del fatto che il movimento a seguito dei vostri arresti, continua, e anzi, ha avuto una forte spinta propulsiva?
E' il risultato del lungo lavoro fatto dai valsusini e dai compagn*. Il “si parte e si torna insieme” non è solo uno slogan, ma la realtà che lo stato non riesce a capire fino in fondo e che gli arresti ha cercato di spaccare, cioè la solidarietà, la fiducia, la memoria di ogni momento vissuto nella lotta quotidiana. Si sapeva che non sarebbe stato facile, che lo stato con la bandiera sporca di sangue della democrazia avrebbe fatto di tutto per vincere, ma quel A SARÀ DURA rimbomba come un tuono in ogni città, ovunque ci sono state iniziative e prese di posizione sugli arresti e ovunque si continua a dire No alla Tav, no alla sopravvivenza, si alla vita.

Il fatto che siete stati arrestati per aver preso parte alla lotta NO TAV , ha influenzato la percezione degli altri detenuti nei vostri confronti?
Non tanto perchè i mezzi di comunicazione dello stato non dicono le cose come stanno, quando parlano dei No Tav sembra che parlino di Al Qaeda. I detenuti si interessano di politica solo per vedere se prima o poi parlano d'amnistia o d'indulto. Quando hanno capito che ero dentro per fatti politici mi hanno chiesto se potevo fare qualcosa per l'amnistia o l'indulto, questa è stata la loro prima impressione, poi parlandoci ho spiegato come la penso e che comunque io posso dare il mio contributo in qualsiasi lotta dal basso, mettendo in chiaro che lo stato non regala mai niente e che qualsiasi cosa si può ottenere se tutti insieme ci organizziamo con determinatezza. Ovviamente sono tutti solidali con il movimento No Tav, qui viviamo sulla nostra pelle le contraddizioni e la malizia dello stato, quindi nessuno si schiera dalla sua parte.

Come è stata e viene vissuta la situazione di Luca all'interno del carcere? Come è rimbalzata la notizia di quello che gli era accaduto?
Quel giorno è stato molto brutto, ho cercato d'incontrare Mao e Nic per parlare sull'accaduto e vedere se potevamo fare qualche protesta in solidarietà a Luca, purtroppo non sono riuscito a incontrarli. Qualche detenuto mi ha chiesto cosa era successo, ma di più no. Ogni tanto mentre davano il telegiornale si sentiva qualcuno che urlava “vai no Tav”. Personalmente non mi sono mai sentito impotente come quel giorno, sono contento che Luca ce l'ha fatta e che ora si sta riprendendo piano piano. Forza Luca.

Come è percepita all'interno del carcere la lotta NO TAV?
Come ho spiegato prima è difficile capire bene cosa sta succedendo in Val di Susa e in tutta italia guardando la TV e leggendo i giornali, faccio fatica anch'io a capire le cose, questo perchè i media hanno la facoltà di mentire con una facilità incredibile. Ricordo ancora che hanno fatto vedere per una settimana il video di quel ragazzo che prendeva in giro il celerino, ciò che hanno detto su quell'episodio è stato allucinante per la naturalezza con cui argomentavano le loro deboli posizione che però vista in TV può ingannare facilmente.

Fuori si sta pensando ad una campagna di liberazione dei prigionieri NO TAV, dentro cosa ne pensate?
Ciò che avete fatto finora è grandioso, se poi c'è la volontà di fare una campagna più ampia e specifica per la nostra liberazione non possiamo che essere contenti. La cosa importante è non dimenticare che il 3 luglio ci sono stati anche altri arresti e che anche loro hanno difeso la Val di Susa. Vorrei anche chiedervi di non concentrare tutto il discorso politico su di noi, ma approfittare per rilanciare la lotta contro il carcere e la solidarietà verso chi deve subile la violenza dello stato in questi posti disumani.
Premessa: sei arrivato in Italia da bambino, entrato in carcere abbiamo saputo che ti hanno messo da subito in cella con dei tuoi connazionali; hai avuto modo di ritrovare le tue radici?
Sono arrivato nel "bel paese" a 17 anni ero già adolescente, poi chi mi conosce sa che io difendo e cerco d'imporre le mie radici e tradizioni ovunque. Allora seriamente, il fatto di stare in cella tutto il giorno con le stesse persone ti fa o odiarle o affezionarti a loro, per me vale la seconda. A volte mi sembra d'essere in Sud America e no in Italia, questo perchè parlo sempre spagnolo e sto avendo modo di ricordare e vivere delle abitudini che non vivevo da tanto, ma tutto si è verificato in totale naturalezza perchè non ho mai dimenticato chi sono e da dove vengo. La cosa importante non è però la nazionalità dei tuoi compagni di cella, ma la qualità umana, questa permette di vivere il carcere con più serenità. Abbiamo tutti delle storie diverse, ma si fa fronte comune contro la noia e la depressione.

Secondo la profezia dei Maya il 21 dicembre 2012 il mondo scomparirà: secondo voi le carceri rimarranno ancora in piedi?
Noi siamo Inca e no Maya, noi avevamo i lama, i maya la ruota, purtroppo non ci siamo mai incontrati se no altro che civiltà greca e impero romano, adesso al posto di Dio avevamo Pachamama e l'immortale Atahualpa sarebbe ancora al potere a ballare reggeaton. Le carceri non rimarranno in piedi per due motivi: primo per il sovraffollamento che le farà cadere prima di dicembre e secondo perchè il carcere come il Tav è un'opera inutile e nociva alla vita. Chi semina vento raccoglie tempesta, il livello di sopportazione degli esseri umani che sono qui dentro ha dei limiti. Così come la schiavitù è stata abolita così un giorno questi posti aberranti saranno abbattuti e di loro rimarranno solo macerie.
Ringrazio tutt* per la solidarietà espressa, invio un abbraccio a tutt* i/le No Tav in giro per l'Italia e per il mondo. La nostra si chiama resistenza, noi dobbiamo essere orgoglioso di lottare contro la violenza dello stato che non guarda in faccia nessuno. Noi ci possiamo guardare allo specchio ogni mattina, non se il giudice Caselli può fare lo stesso, magari si sarà dimenticato della notte del 28 marzo 1980. A SARA DURA!

aprile 2012
Marcelo Jara, piazza Filangeri 2 - 20123 Milano

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Vi sembrerà strano ma affrontare un'intervista è pur sempre mettere insieme un bilancio, una riflessione; è un fermarsi, voltarsi indietro, al passato. Mentre qui sono stato catapultato in un crogiuolo che trapassa ogni settimana centinaia di persone in gran parte segnate a fuoco dalla guerra, dalle tasse, dal licenziamento, dalla paga sempre più arida... Persone spesso immigrate che in genere non hanno che paura, timore dei pestaggi subiti nel viaggio fin qui e anche qui, voglia di sfamarsi, vestirsi, lavarsi, uscire.
Invece trovano anche una sorte di presa di distanza da parte della gente italiana, anche questa da capire, affrontare, altrimenti tutto si impesta e diviene incomprensibile se vai di fretta. Eppure la quotidianità incalza, il carcere vuole la testa di chi avvinghia, gliela vuol far abbassare, in un modo o nell'altro, a tutti i costi, compreso quello della vita.
Questa è la realtà, vi torna? Anche la notte scorsa c'è stata una persona uccisa, da che cosa? Dal carcere. Che fai? Prendi nota nella testa, ma devi reagire perché l'intimidazione si generalizza, continua ad impedire, o comunque fortemente ad ostacolare, il predominio della ragion di stato, dal capitalismo &Co. che qui è pratica, scopo, finalità dell'apparato contro chi si ribella, pensa e agisce per rapporti liberati ecc ecc...
Ecco, sono preso da tutto questo.
Qui pochissime persone sanno cosa sia la Tav e il No Tav, l'art. 18 certamente pensano possa riguardare qualche codice. Non c'è un giornale, una TV, una radio che parli loro delle difficoltà: penali, affitto, lavoro, scuole, igiene, sanità, cura delle persone e via di questo passo. Le nostre iniziative raramente li toccano perchè sono troppo generiche: ma in fondo il fitto fluire e defluire rende impossibile che un rapporto o anche dieci, possa trasmettersi per esempio all'etnia africana che transita qui. Ma sono qui, non posso essere dove mi pare meglio, poi? Non mi prendo una simile responsabilità e penso non me lo permetterete, nonostante l'intervista, che si può sempre fare, su una situazione di sintesi. Un abbraccio forte, a presto.

Maurizio Ferrari, piazza Filangeri 2 - 20123 Milano

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Chi scrive è un gruppo di prigionieri attualmente chiusi a San Vittore.
Si dice: le carceri sono sovraffollate, perciò la condizione delle persone dentro è diventata disumana. Si arriva a chiedere un'amnistia o anche solo un indulto o comunque un atto di clemenza per riportare un po' di umanità nelle condizioni interne.
Il governo dice qualcosa di fumoso mentre nel concreto, con il sostegno del parlamento, aumenta le pene in quantità (es: oltraggio, possesso di droga, "spaccio", recidiva ecc...ecc...) e in tempo di galera. Lo Stato insomma affolla le carceri con delle leggi che criminalizzano atti, comportamenti, scelte imposte dalla crisi ad un crescente numero di persone, immigrate comprese, colpite dal licenziamento, dall'impossibilità di trovare un lavoro, dalle tasse, dal crollo della busta paga ecc...ecc...
riteniamo importante, per contribuire alla conquista di qualcosa di concreto, rivendicare un'amnistia però generalizzata a tutti i "reati"; mettiamo in secondo piano l'indulto perchè, a differenza dell'amnistia, prevede in caso di ri/arresto nei successivi cinque anni il ripristino delle pene condonate.
Vogliamo specificare le conseguenze che rendono ancora più importante la lotta contro la criminalizzazione e la necessità del carcere.
Sovraffollamento delle carceri significa sovraffollamento delle celle, cioè, impossibilità pressoché totale in cella di movimento fisico, d'intimità, di attenzione, rispetto proprio e di chi è concellino (coinquilino strettissimo); un bagno, un rubinetto per sei o nove persone; impossibilità di lettura, studio, scrittura, riflessione; supremazia del rumore addomesticante della tv; l'igiene è un terno al lotto. Sovraffollamento vuol dire anche sovraffollamento del cortile dell'aria dove ginnastica e calcio sono difficili perchè in contrasto con la densità delle persone in piccoli spazi, con l'assenza d'acqua corrente, con i cessi intasati e puzzolenti; vuole anche dire intasamento e ingiallimento spaventoso delle docce.
A questa situazione va unito, per essere completata, quanto segue:
-pestaggi e umiliazioni praticati dalle guardie contro chi non accetta di essere trattato come uno schiavo, come e meno di un animale; trattamento questo che colpisce in particolare le persone immigrate perchè in generale mancano di sostegno diretto di famigliari e aggravato dall'assenza della lettura, della visione poiché a San Vittore vengono venduti solo giornali e riviste in italiano e la tv diffonde solo programmi in italiano (Mediaset, La7, Rai);
- la brutale distribuzione della colazione e degli altri pasti perchè compiuta senza mestoli, pinze, recipienti con rubinetti;
- la riduzione delle ore d'aria dalle quattro ore al giorno ministeriali a tre, a volte ridotte perchè in quelle ore è compreso il tempo della doccia;
- così si è chiusi in cella 2x4 metri quadrati in 5-6 persone per 21 ore al giorno;
- spesso i prigionieri catalogati "malati psichici" o comunque da tenere sotto stretto controllo, vengono costretti in una condizione di vero e duro isolamento, senza fornello, impossibilitati a scambiare cibo, parole, una condizione che spesso finisce nella tragedia del "suicidio" - com'è successo nel febbraio scorso anche in questo carcere ad Alessandro Gallelli.
Del resto queste ultime "malattie" vengono generate da tensioni psicologiche proprie alla coercizione carceraria, aggravate dalla pressione fra prigionieri, fra questi e il comando. In una parola il carcere ammala, uccide; è tempo di liberarsene.

Carcere di San Vittore, aprile 2012

***
[...] ringrazio tanto anche i compagni e le compagne di Olga, ne approfitto per scrivervi cosa ne penso dell'opuscolo, giustizia e galere.
L'opuscolo ma soprattutto l'associazione danno voce a quello che governo, media e bravi cittadini rispettosi della legge vogliono far tacere o semplicemente nascondere o fare apparire come non sono. È bello sapere che fuori ci sia una associazione che rompa il silenzio di una giustizia falsa, di media bugiardi ma, cosa più importante, di galere che calpestano la dignità tra umiliazioni e abusi e annientano i prigionieri. Giustizia che è difesa dei potenti e imprigiona chi cerca di spronare il popolo a non farsi sfruttare, a chi difende la propria terra da potenti che vogliono arricchirsi sempre di più con opere inutili che ai bravi cittadini rispettosi della legge fanno passare, tramite media bugiardi, come opere utili per stare al passo con l'Europa e chi difende le terre, che i potenti tanto vogliono, li fanno passare per gente pericolosa, violenta, per futuri terroristi, così se un domani uno di questi "violenti" viene assassinato dallo Stato, i benpensanti diranno che se l'è cercata, che poteva stare a casa sua al posto di andare a tirare i sassi. E in tutto questo pensare marcio i responsabili son i media che criminalizzano le lotte contro i potenti.
La giustizia arresta chi lotta facendoli passare per pericolosi e se tra gli arrestati metti dentro anche nomi di "ex terroristi" il gioco è fatto. Il processo farsa comincia. Ai "cattivi" i media fanno articoli fantasiosi per incantare l'opinione pubblica a odiare i violenti o programmi satirici ci fanno del umor così che l'opinione pubblica ci rida sopra e non pigli sul serio le lotte.
Questo tacere, nascondere le cose come sono o confondere le persone tramite bugie lo fanno anche con le galere, i bravi cittadini pensano che sia giusto che esistano le galere; che senza le galere il mondo non sarebbe al sicuro, pensano che i "portachiavi umani" (guardie) sono dei benefattori perché tengono i "cattivi della società" imprigionati a tutela del bravo cittadino. Pensando che le patrie galere sono hotel a 5 stelle e che devono pure mantenerci. Non sanno che le galere sono fatte di umiliazioni e abusi da parte dei loro benefattori, di persone che a causa della crisi, soprattutto stranieri, colpiti dalla crisi e dall'impossibilità di trovare lavoro perché senza documenti, sono costretti, per non essere sfruttati, a fare scelte che lo Stato e i bravi cittadini chiamano reati. Poi fa niente che vengono governati da mafiosi però quelli hanno la cravatta e parlano "bene" intanto le carceri si riempiono e si parla di sovraffollamento e anche qui i media danno notizie fantasiose per calmare i benpensanti, il governo fa qualche decreto barzelletta che confonde, nasconde, ai bravi cittadini la realtà delle cose, intanto il governo allo stesso tempo aumenta le pene (es: oltraggio, possesso, spaccio, recidiva) ma questo viene nascosto dai media bugiardi anzi si fa credere che si fanno le leggi a favore dei "cattivi" così si fanno articoli, programmi TV per discutere se è giusto o no fare uscire i "cattivi" e la macchina della falsità va avanti tra bugie, inganni intanto in galera si sta sempre peggio sempre più stretti e crescono sempre di più gli abusi; le persone si attaccano alla speranza di un'amnistia e chi la speranza l'ha finita crede nella costruzione di nuove galere.
Io personalmente sono più per l'abbattimento di queste quattro mura indegne che confondono, ingannano e calpestano la dignità e annientano i prigionieri. Compagne/i a me piace pensare che questa associazione sia il primo piccone che abbatterà questo muro di falsità e la prima goccia di benzina che darà fuoco alle galere. Un abbraccio forte.

27 aprile 2012
Pietro Luigi Citterio, p.zza Filangeri, 2 - 20123 Milano

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Cari compagni mi ha fatto troppo piacere ricevere i vostri saluti. La lettera e l'opuscolo mi fa capire quanto è importante la solidarietà. Pur non essendo la prima volta che capito in sto posto di merda ogni volta che ricevo una lettera dei compagni o che vi sento che siete là fuori mi emoziono.
A proposito vi ho sentito sia l'undici che il ventuno. Grandi, ogni qualvolta venite sotto le mura per i detenuti si aprono speranze. Non so se ci credono realmente ma quando vi sentono che siete la fuori, che c'è qualcuno che lotta e si preoccupa della situazioni qui dentro, i raggi si animano. In molti gridano all'amnistia, altri invece accennano ad una battitura, però la cosa, se non organizzata, rimane sempre molto contenuta. Il tutto accade finché sentiamo che siete là fuori. Appena non vi sentiamo più i raggi tornano ad essere il mortorio di sempre.
Per quanto riguarda me sto giro mi è andata meglio (se così si può dire) rispetto alla volta scorsa. Sono finito al quinto raggio che, come si sa, è un po' meglio del sesto. Quest'anno mi ritrovo con una cella un po' più grande ma in compenso siamo in otto. In cella abbiamo pure la doccia ed il bidet mentre due anni fa, al sesto raggio sezione punitiva, avevamo solo la turca. Potete capire la differenza.
I miei concellini sono sei albanesi e un napoletano entrato il mio stesso giorno. Con loro mi trovo bene anche se tre di loro non parlano l'italiano. Comunque essendo tutti sulla stessa barca ci si aiuta e ci si rispetta senza problemi.
Per quanto riguarda invece gli altri compagni arrestati il 26 gennaio non ho alcun modo di incontrarli visto che loro sono reclusi al sesto raggio. È capitato di incrociare Nicolò nella cella di attesa per i colloqui con l'avvocato perché abbiamo lo stesso. [...]
Va bene, ora vi saluto e vi abbraccio tutti. Vi lascio con una frase che mi ha scritto la M: mai liberi finché l'ultimo sarà schiavo

24 aprile 2012
D'Aulisa Domenico. p.zza Filangeri, 2 - 20123 Milano

***
Resoconto della manifestazione sotto san vittore del 21 aprile
Come ormai consuetudine, in un centinaio di persone abbiamo girato intorno alle mura del carcere fatta eccezione di via Filangieri, dove è presente l'ingresso principale e gli uffici, anch’essa un’altra consuetudine imposta dalla Questura. Lungo il percorso un impianto non troppo potente ha diffuso slogan ed interventi di solidarietà e sostegno a chi deve e vuole lottare dentro la galera. Le urla e i botti, immancabili necessità per farsi sentire al di là delle alte e spesse mura e così comunicare la nostra presenza, questa volta sono stati ricambiati con una eccezionale vivacità. Sia in P.za Aquileia, con l’ultimo piano del terzo raggio, che in via Vico, sotto il sesto: saluti, ringraziamenti, urla, battiture e ci pare di aver udito anche qualche botto.
Proprio alla fine di via Vico, si è posta di mezzo la Questura, avendo compreso – ma non era un mistero – che l’intenzione era quella di raggiungere in corteo Piazza XXIV maggio per unirci ad un’altra iniziativa No Tav in corso in quel luogo. Al funzionario che fino a quel momento aveva gestito la piazza, senza creare tensioni, se ne sono aggiunti altri accompagnati da sbirri già pronti per l’uso. Decidiamo così di raggiungere in corto P.zle Sant’Agostino, di chiudere lo striscione e di continuare fino a P.za XXIV maggio con un corteo che un po’ alla spicciolata, in mezzo al casino delle giornate milanesi del “salone del mobile”, si è lasciato alle spalle le ingombrati camionette dei Carabinieri.
Ai volantinaggi fatti nei giorni precedenti durante gli orari di colloquio, i familiari presenti sono stati informati del presidio e delle sue ragioni. Non pochi esprimono il loro appoggio che tuttavia stenta a tradursi in una partecipazione alle iniziative. Vedremo in futuro.
Immancabile il consueto teatrino con le guardie fuori dall’ingresso per i colloqui perché lì davanti non vorrebbero farci stare. Prendono i documenti e tutto finisce lì. Nell'ultima occasione è uscito anche un graduato ma i nostri documenti erano sempre gli stessi.

Milano, maggio 2012


Lettera dal carcere di Torino
Ciao a tutti, il numero di marzo è arrivato. In questi giorni qui alle Vallette c'è parecchio fermento. A giorni inizierà il maxi processo contro la 'ndrangheta, qui nell'aula bunker del carcere. Hanno tradotto quasi duecento presunti appartenenti alle cosche, da varie carceri italiane. Quindi nelle varie sezioni del blocco 3 hanno "impacchettato e spedito" in giro parecchi reclusi. Solo nella XII, dove sto io, hanno portato via quindici prigionieri su trentasette. I più risoluti e determinati.
Intanto due settimane fa è stato comunicato il nuovo prezzo della carta igienica che è passato da 1,39 a 2,85 euro.
Mentre i prezzi vanno sempre più alle stelle, per ingrassare il portafoglio dei soliti, l'amministrazione penitenziaria inizia a portarsi avanti sfoltendo dalle sezioni i prigionieri più lucidi. Con questi prigionieri si era iniziato un percorso di confronto e discussione. In questi tre mesi, più di una volta, mi avevano affiancato nel mio continuo ed insistente atteggiamento conflittuale con le guardie. Quando in alcune occasioni mi sono rifiutato di entrare in cella mi hanno sostenuto (chi era già chiuso) o sono rimasti fuori con me (chi era ancora a zonzo in sezione). Ora ricomincerò dall'inizio. Mentre l'estate sta avvicinandosi e le condizioni sono pessime.
Vediamo cosa se ne riesce a cavare. Sto continuamente scassando il cazzo sul problema del vitto, di una qualità che rasenta il vomitevole, e sul fatto che il necessario per tenere pulite le celle, per sbarbarsi e per l'igiene personale in genere, dovrebbe passarcelo l'ufficio forniture, che se ne fotte.
Almeno un piccolo passo avanti l'ho fatto: ogni volta che vado al colloquio mi rifiuto di abbassare le mutande durante la perquisa per tornare nel blocco. Dopo discussioni di vario tipo l'ho spuntata; senza neanche fiatare, mi hanno guardato in faccia e, all'ennesimo diniego, non hanno opposto resistenza. Il tutto di fronte alle risate di molti altri che aspettavano il loro turno nella celletta. Ogni tanto gira bene. D'altronde dall e dall si chieg pur o metall (batti e batti si piega anche il ferro).
Grazie per l'opuscolo, ne faccio girare quanto più posso. Me l'hanno chiesto altri tre prigionieri: due erano in sezione con me. Ora per quanto so, dalla lentissima corrispondenza interna, dovrebbero essere ancora alle Vallette. Erano molto interessati. L'altro invece era sempre con me in sezione ma non ho sue notizie da un po'. L'ultimo recapito dall'ufficio turismo carcerario era Fossano. Vedete un po'.
Ora vi saluto, non vi preoccupate per le espressioni colorite è che quando sto incazzato mi vengono come il respiro. Un abbraccio a tutti.

26 aprile 2012
Alessio Del Sordo, via Pianezza, 300 - 10151 Torino


lettera da un compagno no tav ai domiciliari
Il 16 aprile il G.I.P. di Torino respingeva l'istanza dei miei avvocati tesa ad ottenere un alleggerimento degli Arresti Domiciliari. La motivazione stava nella mia: "mancata presa di coscienza e di critica di quanto commesso". In tal modo il GIP torinese non solo mi riconfermava gli Arresti domiciliari, ma mi toglieva il diritto a rivendicare la mia estraneità ai fatti contestatimi, mi toglieva la “presunzione d’innocenza”.
Il 26 aprile presentavo una richiesta di permesso ad uscire per recarmi al lavoro.
a) questo non influiva nella realtà dei Domiciliari, in quanto chiedevo solamente
di uscire per il tempo del lavoro. Dunque non il sabato e la domenica. E comunque i Domiciliari rimanevano.
b) Nella richiesta scrivevo: "mi rendo disponibile, previo accordo…a presentarmi quotidianamente alla polizia Giudiziaria per controlli";
c) il sottoscritto vive solamente del proprio onesto lavoro. Dal 1986 sono iscritto alla Camera di Commercio quale Ditta individuale.
La risposta del G.I.P. anche su questo è stato il rigetto. Con la motivazione che: "la dichiarazione di non aver nè orari nè sede rende l'attività incompatibile con la misura domiciliare. Dopo avermi tolta la "presunzione d’innocenza", ha voluto pure togliermi il diritto al proprio mantenimento.
Non potendo contare ancora sui miei risparmi, considerato l'allontanamento dal lavoro che si protrae dal 26 gennaio, mi trovo in grosse difficoltà economiche.
Pertanto non mi rimane che utilizzare l'unico strumento in mio possesso per oppormi a questo che considero unicamente un accanimento repressivo.
Da giovedì 10 maggio sarò in sciopero della fame.

Antonio Ginetti
Pistoia, 9 maggio 2012


lettera dal carcere di Rebibbia (rm)
Ola cumpà! vi scrivo da Roma! Ebbene sì, mi hanno trasferito nuovamente al carcere di Rebibbia per via dell'ordinanza del ministero che mi vede assegnata alla sezione AS2. La stessa in cui ero l'anno scorso. Ora però non mi trovo in sezione con le mie compagne perché mi stanno facendo scontare 15 giorni d'isolamento per i rapporti contestatomi al carcere di Trapani. Dopodiché, finito questo, farò ritorno in sezione.
Insomma l'isolamento è l'isolamento. Niente fornellino, TV, scopa, ecc. Blindo chiuso, 2 ore d'aria al giorno e mooolto tempo per pensare e fare esercizietti (hehehe). Sicuro, il tempo raddoppia rispetto la routine che già allunga di per sé.
Che dire cumpà, rimanemmo che mi sarei mobilitata per ottenere i libri che mi spettavano; ebbene comunicai la notizia dell'inizio di uno sciopero della fame ad oltranza se, in breve tempo, non fosse venuto a colloquio con me il direttore per risolvere la faccenda. Lo stesso giorno che lo iniziai pure lo conclusi perché venne l'ispettore a confermarmi il colloquio. Infatti quanto vale la parola di uno di questi lo dimostra il fatto che quello non venne mai a parlarmi!! Ma in compenso i libri mi vennero consegnati l'indomani, insieme alla notifica della censura sulla corrispondenza. Chiaro, alla buona notizia deve sempre seguì quella de merda! Quindi si allungano ulteriormente i tempi d'entrata e uscita sulla posta! Per quel che riguarda il controllo, con o senza censura questo ci sta sempre, già lo sappiamo. Insomma il giorno dopo la notizia mi diedero pure il divieto d'incontro con una ragazza di sezione, solo per il fatto di trovarsi d'accordo con ciò che penso, su come la vedo sul carcere e le varie istituzioni! Questa cosa mi venne giustificata dicendo che io avevo predominio su di lei!!! Questa è un'offesa pesante! Se c'è qualcuno che ha predominio sugli altri quelli son loro!!!
Comunque, per via dei loro film mentali, ci privarono di due ore d'aria dal momento che eran quattro e bisognava dividersele!
Neanche il tempo di mobilitarmi per toglierci questa cosa schifosissima che mi comunicano che sono in AS e che mi trasferiranno la mattina seguente.
Le mie supposizioni che il viaggio sarebbe stato al continente (perché mi fecero preparare al pomeriggio tutte le cose per la mattina seguente, perché il tribunale è quello di Bologna) vennero confermate dalla svista nel parlare di una delle guardie di turno al suo collega (a Trapani, spesso, in sezione femminile ci sono gli uomini per mancanza di personale) che appunto gli comunicò la meta, niente da commentare.
Sto nuovamente qua con la censura, ora in isolamento e chissà... dal momento che ogni giorno ce n'è una vi terrò aggiornat*.
Ora chiudo e vi saluto, io sempre la solita, so che l'isolamento è una forma punitiva di pressione psicologica... ma anche questo si supera perché è la conseguenza delle azioni nel mantenersi integri in certi posti. È da sempre che il far valere le proprie convinzioni te lo fan pagare caro, dentro come fuori.
Un abbraccio cumpà sempre con tutti e tutte i/le ribelli! Sempre liberi nella mente e nel cuore! Madda

3 aprile 2012
Maddalena Calore, cc Rebibbia, via Bartolo Longo 92 - 00156 Roma


lettera dal carcere di trapani
Cari* compagni*, vi scrivo per mettervi al corrente della mia situazione e quella della mia compagna Maddalena Calore.
Nel mese di febbraio, dopo essere stato fermato in un posto di blocco in compagnia di Madda, ci portano in questura e si accorgono che la Madda non si poteva trovare ad Alcamo (TP) bensì in un paesino del cagliaritano per via degli obblighi di dimora. Nella stessa sera, giunti in questura, gli sbirri mettono le mani addosso a Madda e quest'ultima ha reagito alle loro provocazioni ed essendo che i signori, sei o sette di loro, ci hanno dato addosso, ha subito la spaccatura della testa e dei punti di sutura.
Da lì la ingabbiano per la rottura degli obblighi di dimora e per aggressione e minacce a pubblico ufficiale e la portano al carcere di Trapani.
Dopo due giorni le concedono i domiciliari presso la mia abitazione. Una settimana dopo le notificano l'aggravamento dei domiciliari; non può uscire nemmeno in giardino, che è tutto recintato; non può muoversi nemmeno al 1° piano, non può ricevere visite da nessuno e non può usare il telefono. Il 24 febbraio arrestano anche me per una tentata rapina e mi trasferiscono nel carcere di Trapani, dove mi trovo attualmente.
Una settimana dopo riarrestano Madda perché il tribunale di Bologna ha ritenuto che l'unica misura "adatta" a lei è la custodia cautelare in carcere.
In tutti i modi abbiamo cercato di farci autorizzare i colloqui ma mai nessuna risposta ci è stata data pur sapendo che comunque eravamo nella stessa abitazione. Le missive pur essendo nello stesso istituto, ce le facevano giungere dopo 8/10/12 giorni.
Il 29 marzo la Madda è stata trasferita in un'altro istituto e tutt'oggi non so dove e, oltre ad essere incazzato nero perché non mi vogliono dire dove l'hanno mandata, mi preoccupo perché non ho ancora ricevuto sue notizie. So che lei ha scritto ma sono i "signori" che non ci fanno giungere notizie.
Quello che vi chiedo è di farmi sapere, quanto prima, notizie di Madda.
Vi invio un forte e caloroso abbraccio, un bacione e un abbraccio alla mia compagna Madda, un saluto a Peppe Sciacca!!!

Trapani, 10 aprile 2012
Francesco Domingo, via Madonna di Fatima, 222 - 91100 Trapani


lettera dal carcere di prato
Ciao, qui le cose peggiorano sempre, e anche oggi ho visto come le guardie e gli ispettori picchiavano un ragazzo di colore, erano come gli animali, ed io non ho potuto fare
niente, nessuno qui vuole fare niente, tutti hanno paura delle conseguenze; e oramai qui siamo tutti ognuno per sé, quando vedono un' ingiustizia, invece di dare una mano si girano e se ne vanno, ed io da solo non posso fare niente; e addirittura mi metto contro anche i detenuti, siamo rovinati, non hanno dignità e scusa la parola, "non hanno le palle". E' vergognoso quello che succede, e la cosa più incredibile é che si deve stare attento a quello che si dice, che subito sanno tutto gli ispettori, dove siamo arrivati?. Per poter lavorare od entrare nella famosa Sezione 8, ci infamiamo a vicenda. Qui ha vinto lo Stato e mi dispiace vedere dove va il nostro mondo!.

27 aprile 2012
via la Montagnola, 76, Località Maliseti - 59100 Prato


lettera dal carcere di mantova
Cari compagni/e di Ampi Orizzonti, vi mando i miei migliori saluti e abbracci di solidarietà per tutto ciò che state facendo per noi: il popolo delle 4 mura. Vi scrivo dal carcere di Mantova, dove fa tutto molto schifo, come del resto in tutte le carceri. In questo carcere è una cosa fuori dal normale, nei cosidetti protetti ci sono pedofili e infami, poi nel resto di 50 celle (da 4 a 15 persone) sono tutti misti. Mi hanno mandato in una cella con personaggi davvero schifosi, ci sono leghisti e razzisti in tutto il carcere […]; fatto sta che mi hanno trasferito qua e continuerò da qua difendendo la mia dignità di persona e di diritto. Appena arrivato in cella ho spiegato i motivi del mio arresto e da subito alcuni non mi hanno guardato di buon occhio, altri sono rimasti indifferenti, altri ancora, ragazzi cinesi, mi hanno dato subito una mano, mi hanno procurato maglioni e un giubbotto pesante, visto che i miei vestiti li avevano chiusi in magazzino. […] Ho potuto e posso comunque ricambiare, avendo io un fornellino da gas possiamo così mangiare insieme. […] Sono ragazzi molto giovani, spiego loro, piano piano, come possono fare per avere un colloquio con l'educatore perché è un loro diritto, anche avere un traduttore, nel mio piccolo spiego con gesti e parole, piano piano, per fare meno peggio la galera. […] Insomma passo le giornate così con loro.
Come carcere fa schifo, non c'è l'acqua potabile, e quindi un consumo di casse e casse di acqua, inoltre il carcere non passa né shampoo, né lamette, né carta igienica, né sacchi per l'immondizia, né accappatoi, niente di niente, è tutto un passa passa tra i detenuti. […]

Lager di Mantova, 27 aprile 2012
Umberto Pavesi, via Carlo Poma 3 - 46100 Mantova


da una lettera dal carcere di terni
Di seguito riportiamo un breve stralcio di una lettera di cui siamo venuti a conoscenza; lo scritto è di un compagno rinchiuso nel carcere di Terni in regime di 41bis che a riguardo racconta alcune modifiche apportate recentemente. A lui, così come a tutti i prigionieri, va la nostra solidarietà ribadendo una volta in più la necessità di lottare contro il 41bis che di fatto laddove è presente, permea l'intero carcere con l'unico scopo di annientare l'identità e la volontà di coloro che ne sono sottoposti.

[…] Riguardo agli studi e ai libri: per i primi non ho un programma preciso, però ultimamente prediligo i testi di economia politica e storia; per i secondi, adesso, per noi del 41bis il discorso si complica perchè, secondo una recente circolare del DAP non possiamo ricevere libri dall'esterno se non libri di materie di studio per chi segue corsi scolastici, universitari... così come non possiamo mandarne all'esterno. In cella si possono tenere adesso quattro libri più un codice, più un dizionario e un testo religioso. Mentre per gli abbonamenti a giornali e riviste è consentita la sottoscrizione solo al detenuto e non più a familiari o altri all'esterno. [...]

9 aprile 2012 - Roberto Morandi, via delle Campore, 32 – 05100 Terni


lettera dal carcere di Velletri (rm)
Ciao a tutti/e, ho ricevuto l'opuscolo alcuni giorni fa, come sempre è interessante ed offre l'opportunità di comprendere l'oggettiva realtà del pianeta carcere.
Qui non c'è molto da dire, regna una calma piatta e l'unica novità degna di nota è l'apertura di una nuova sezione. E' collocata al secondo piano del nuovo padiglione, così anch'esso si è già mezzo riempito in due mesi; lì le celle restano aperte durante la giornata, ad eccezione dell'ora di pranzo e della notte e ci vengono ubicati quei detenuti che rientrano nel regime chiamato "codice bianco". Mi pare di essere al pronto soccorso!
Infatti, anche lì, viene attribuito un colore in base ad una presunta gravità, che si tratti poi di allarme sociale, poco cambia.
Per il resto, tra una riforma della giustizia che mira, tra l'altro, ad inasprire talune pene, come quelle previste per il blocco stradale (non a caso), portandole a cinque-sei anni; il tentativo di far fuori la lega nord (non che mi dispiaccia), perché non si adegua al colpo di stato silenzioso in atto (per chi non lo avesse capito), e il quotidiano "Il manifesto" che si guarda attorno, alla ricerca del colpevole da offrire in olocausto alla sua perenne crisi, tutto scorre. Trascinati dalla corrente dei falsi bisogni, alziamo le spalle, ci guardiamo attoniti e fingiamo uno stupito sentore.
Io non me la sto passando bene, ultimamente studio poco, inoltre da un mese mi alimento solo fino a mezzogiorno, poi non tocco più cibo fino al giorno seguente, niente di niente. Ciò mi ha portato a concentrarmi moltissimo in questo esercizio e tutto ciò che mi giunge dall'esterno mi irrita. [...]
Colgo l'occasione per salutare tutti quei /lle compagni/e che mi sono vicini/e, solidarizzo con i compagni e le compagne prigionieri/e, un abbraccio fraterno.

7 marzo 2012
Andrea Orlando, via C. Leone 97 - 0049 Velletri (Roma)


15 Ottobre 2011: tra repressione e caccia alle streghe
14 decreti di perquisizione locali e personali sono in corso a Roma, Teramo, Ancona, Civitanova Marche (Macerata), Padova e Cosenza emessi dal Gip del Tribunale di Roma.
Polizia e carabinieri hanno notificato 7 ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari e 6 obblighi di dimora:
- 5 misure cautelari a Roma (2 arresti domiciliari e 3 obblighi di presentazione alla PG);
- 4 misure degli arresti domiciliari a Teramo e provincia;
- 1 arresto domiciliare ad Ancona
- 3 misure dell’obbligo di presentazione alla polizia a Padova, Cosenza e Macerata.
Conferenza stampa alla procura della Repubblica di Roma alle 10:00 del 20 Aprile 2012 presso la Procura della Repubblica di Roma. Alla conferenza stampa hanno partecipato anche il dirigente dell Digos Lamberto Giannini e il colonnello del Ros Massimiliano Macilenti. Le accuse sono di devastazione, saccheggio e resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale. Le indagini sono coordinate dal pool antiterrorismo della Procura di Roma e sono condotte in collaborazione con ROS e DIGOS di Roma. Il responsabile del ‘pool’ dell’antiterrorismo è il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed ha annunciato il ricorso al tribunale del Riesame per misure più “stringenti” nei confronti di chi oggi è stato raggiunto dalla morsa repressiva dello Stato.
Ai domiciliari Davide Rosci, militante di Azione Antifascista Teramo, nelle ultime comunali candidato con Rifondazione – avv. Filippo Torretta
A Roma provvedimento di restrizione della libertà personale per militanti del diritto all’abitare di 58 e 34 anni, tra cui un boliviano, e un anarchico di 28 anni, accusati di aver “coperto e protetto il saccheggio del supermercato Elite di via Cavour, impedendo ad altri l’accesso all’esercizio commerciale”. Il 58-enne ha precedenti. Perquisito anche un ultras della Lazio 30-enne, sospettato di aver partecipato agli scontri, precedentemente sottoposto a provvedimento di divieto di accesso allo Stadio. Due ultras romanisti del gruppo “Offensiva Ultras”, S.G. e Z.M. di 20 e 27 anni arrestati.
A Cosenza il 52 enne Giuseppe Parisi, dipendente di una cooperativa che lavora per il Comune di Cosenza, è ritenuto responsabile di resistenza e devastazione. Nella perquisizione a casa sua sequestrate sciarpe della locale squadra di calcio. Non è stato trovato nulla di particolare.
A Macerata, a seguito della perquisizione, è stato arrestato un No Tav.
Gli arrestati nelle Marche hanno tra i 30 e i 37 anni. Secondo i giornali, del 37enne di Teramo dovrebbero esserci dei video mentre scaglia un sanpietrino. La Procura aveva sollecitato al gip la custodia cautelare in carcere per tutte le 13 persone coinvolte.
Attualmente per la manifestazione del 15 Ottobre – Indignati si trova in carcere Giovanni Caputi, condannato a 3 anni e 4 mesi. Condannati a 4 e 5 anni Giuseppe Ciurleo e Lorenzo Giuliani. Condannato a 4 anni di reclusione il compagno Valerio Pascali.
Tutti per resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale e tutti ragazzi tra i 20 e i 22 anni.

Per scrivere a Giovanni:
Giovanni Caputi, S.P. Cisterna Campoleone Km. 8,600 - 00049 - Velletri

20 aprile 2012
da www.inventati.org/rete_evasioni


Roma: 14 dicembre 2010: Comunicato di due compagni indagati
E’ passato circa un anno e mezzo dagli eventi di piazza della giornata del 14 dicembre 2010. Oggi ci troviamo a far i conti con la repressione dello Stato che ci ha rinviato a giudizio per il pericolosissimo reato (ci viene da sorridere) di: “deturpamento e imbrattamento di cose altrui”. Ci paiono opportune quindi una serie di considerazioni.
Quella giornata ha visto protagonista una generazione che, non avendo nulla da sperare dai professionisti della politica, ha manifestato direttamente il proprio antagonismo. Una massa scesa in piazza non per contestare il governo di turno ma perché stufa della miseria prodotta da questo sistema fondato sul dio profitto.
Rabbia e dissenso si manifestarono per tutta la durata del corteo indipendentemente dalla votazione della fiducia al vecchio governo Berlusconi, che semmai, ha rappresentato un incentivo in più alla festa.
Da parte nostra siamo orgogliosi di aver partecipato ad una grande manifestazione:
-per la quantità di uomini e donne presenti, giunti in piazza in forma autorganizzata per esprimere la propria opposizione sociale, la propria rabbia, la gioia di ritrovarsi insieme nel conflitto di classe;
-perché nessun sindacato o partito è riuscito ad egemonizzare e depotenziare la protesta;
-per la tenacia e la forza con cui molte e molti hanno voluto restare in piazza anche quando sono stai investiti dalle cariche a Piazza del Popolo;
La resistenza e la determinazione a non subire passivamente per l’ennesima volta la cieca violenza di stato sono stati un patrimonio di tutto il corteo. Se c’è un responsabile per quanto è successo, questo è unicamente il capitalismo con i suoi cani da guardia che costringono milioni di persone all’oppressione e allo sfruttamento, a condizioni di vita sempre più inumane.
Da Atene a Oakland, da Londra a El Cairo, da Santiago de Chile a Roma una nuova e pericolosa composizione di classe si fa avanti, una gioventù selvaggia si affaccia riottosamente nelle metropoli del XXI secolo. E così come successo in occasione del 15 ottobre 2011, dannati della terra di ogni età fortunatamente cominciano a rifiutare la rassegnazione e la paura quotidiana, così come lo spettacolo della politica e le proposte di gran parte di gruppi, associazioni e movimenti che da parecchio tempo soffocano le lotte utilizzandole per i loro tornaconti personali, di potere ed economici.
Fare in proprio, autonomamente, partendo da sé stessi, determinando tempi e luoghi della lotta: è quello che il dominio teme da sempre.
La necessità, dunque, è quella di un lavoro metodico e quotidiano capace di costruire percorsi di lotta che sappiano andare oltre la rivolta episodica per ritrovarci in sempre più persone sul sentiero che porta ad un mondo di liberi ed uguali.
Consapevoli che la controffensiva del capitale e dello stato sarà sempre più feroce, non abbasseremo la guardia ma anzi rilanceremo con dignità il nostro anelito di libertà.

Emiliano e Simone
maggio 2012, da informa-azione.info


Genova 2001: a luglio la cassazione per i compagn*
Dopo un processo durato quasi dieci anni a seguito dei fatti del G8 di Genova, il 9 ottobre 2009 la seconda Corte di Appello di Genova ha letto la sentenza che condanna 10 compagni, accusati di devastazione e saccheggio, a quasi un secolo di carcere (98 anni e 9 mesi): Vincenzo Puglisi è stato condannato a 15 anni di carcere, Vincenzo Vecchi a 13 anni e 3 mesi, Marina Cugnaschi a 12 anni e 3 mesi, Luca Finotti a 10 anni e 9 mesi, Alberto Funaro a 10 anni, Carlo Aculeo a 8 anni, Carlo Cuccomarino a 8 anni, Antonino Valguarnera a 8 anni, Dario Ursino a 7 anni, Ines Morasca a 6 anni e 6 mesi.
Il 13 luglio 2012 la Corte di Cassazione si esprimerà su quanto sopra confermando o meno la decisione.

8 maggio 2012
da lombardia.indymedia.org


La rivoluzione e le lotte non si arrestano!
Appello di solidarietà per i compagni arrestati il 12 febbraio 2007
Saranno nuovamente alla sbarra i compagni arrestati il 12 febbraio 2007 con i reati associativi, 306 e 270 bis c.p. (banda armata e associazione sovversiva con finalità di terrorismo), con l’accusa di voler costituire il Partito Comunista- politico militare. Nel giugno 2010, la corte di Appello di Milano condanna a 150 anni di carcere i compagni; nel febbraio 2012, la Corte di Cassazione annulla la sentenza, con rinvio a nuovo esame di altra Sezione della Corte d’Assise di Milano per la finalità di terrorismo.
Riepiloghiamo di seguito la vicenda processuale. Il 12 febbraio 2007 scatta l’operazione “Tramonto”. Coordinati dalle toghe “rosse” Bocassini e Salvini, sotto la direzione di Spataro, circa 500 agenti in tenuta antisommossa, pistole alla mano, mitragliette, gas accecanti irrompono in oltre 70 abitazioni sfondando porte e finestre, vengono altresì perquisite sedi politiche e Centri Sociali e il domicilio di una compagna a Zurigo. 15 arresti a cui se ne aggiungeranno successivamente altri 3.
Il processo si conclude in secondo grado il 13 giugno 2010, con le 4 assoluzioni (di cui 3 in primo grado) di Andrea Tonello, Michele Magon, Alessandro Toschi e Federico Salotto e le condanne a 14 anni e 7 mesi Davide Bortolato e Claudio Latino, Vincenzo Sisi a 13 anni e 5 mesi, Alfredo Davanzo a 11 anni e 4 mesi, Bruno Ghirardi a 10 anni e 10 mesi, Massimilano Toschi a 10 anni e 8 mesi, Massimiliano Gaeta a 8 anni e 15 giorni, Salvatore Scivoli a 7 anni, Amarilli Caprio a 3 anni e 6 mesi, Alfredo Mazzamauro a 3 anni e 6 mesi, Davide Rotondi a 3 anni e 6 mesi e Andrea Scantamburlo a 3 anni e 8 mesi, Giampiero Simonetto a dieci giorni.
Ricordiamo che i compagni D. Bortolato, C. Latino, V. Sisi, A. Davanzo, B. Ghirardi, M. Toschi, M. Gaeta, sono oggi rinchiusi nella sezione di Alta Sicurezza nel carcere di Siano-Catanzaro assieme ad altri prigionieri politici rivoluzionari, alcuni in carcere dai primi anni 80, isolati dagli altri detenuti, distanti dai propri compagni e parenti. Sezioni penitenziarie come questa concretizzano la pratica dell'isolamento politico all'interno e nell'ambito del complesso detentivo dello Stato imperialista, le cui contraddizioni si aggravano in corrispondenza esponenziale a quelle della "società esterna". Esse mostrano il vero volto del sistema carcerario, la logica della differenziazione: trattamento differenziato per chi non si sottomette alle logiche premiali, non rinuncia alla propria identità e continua a resistere.
Grande, variegata e incisiva la solidarietà agli arrestati che fin dal primo giorno si esprime in tutta Italia e anche all’estero. Anche la solidarietà viene repressa perfino con arresti ma, non si ferma, si organizza e cresce durante i due gradi del processo fino a oggi trasformandosi in sostegno a tutti i prigionieri politici e in lotta contro il carcere. Importante in questa crescita della solidarietà la difesa dell’identità di classe e rivoluzionaria degli arrestati.
La grande solidarietà espressa in tutti questi anni nei confronti degli arrestati il 12/2/2007 ha contrastato l’isolamento in cui lo Stato borghese voleva confinare i compagni e la lotta che essi rappresentano.
La loro resistenza e la loro rivendicazione della necessità di organizzarsi per il superamento del capitalismo spaventa lo Stato dei padroni e quindi é un esempio da annientare. Oggi più che mai, perché la crisi mette a nudo che questo sistema è sempre più barbaro e lontano dagli interessi materiali e culturali del proletariato e di tutte le masse popolari. Ogni scintilla può produrre un incendio. È per questo che la repressione preventiva diventa più feroce non solo contro i rivoluzionari ma anche nei confronti delle lotte di massa che rompono il meccanismo del controllo “democratico” come accade contro il movimento No Tav, quello degli studenti, dei lavoratori, dei disoccupati…
Rafforzare la solidarietà è rafforzare ogni lotta e la prospettiva di cambiamento per una società senza classi sfruttamento e guerra.
Terrorista è chi sfrutta, fa le guerre e incarcera!
15 Maggio 2012, presidio ore 9.00 davanti al tribunale di Milano, Corso di Porta Vittoria.
Sostenere la resistenza e difendere l’identità dei compagni sotto processo!
No alla differenziazione, all’isolamento, alle sezioni speciali e al 41 bis!
Uniti contro la repressione, carceri e tribunali!

Associazione parenti e amici degli arrestati il 12/2/2007
parentieamici@gmail.com


Ansaldo e Finmeccanica: Vittime del terrorismo?
In riferimento all’attacco ad Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare (gruppo Finmeccanica), quotidiani nazionali e locali hanno parlato del nostro dossier Una piovra artificiale. Finmeccanica a Rovereto. Il rettore dell’Università di Trento, Davide Bassi, si è affrettato a dire che l’ateneo trentino ha sì rapporti di collaborazione con Finmeccanica, ma solo in ambito civile.
Come spieghiamo con degli esempi specifici nel dossier, tra “civile” e “militare” non è più possibile alcuna distinzione.
I responsabili di “Manifattura Domani” hanno parlato, per quanto riguarda la presenza al suo interno di ditte legate a Finmeccanica, di “farneticazioni” da parte nostra.
Nel consorzio Habitech (che fa parte del progetto “Manifattura Domani”) troviamo in realtà Neuricam S.p.A. e Optoi Group, entrambe di Eurotech, una controllata di Finmeccanica che produce, tra l’altro, il “cuore elettronico” dei Predator (i droni USA impiegati in Iraq e in Afghanistan). Nel consiglio di amministrazione di Eurotech siedono pezzi da novanta di Finmeccanica, come Giovanni Soccodato, Direttore Centrale Operazioni del gruppo, impegnato in particolare nel progetto degli F-35.
Tutti – politici, giornalisti e sindacalisti – hanno fatto a gara nel parlare di Adinolfi come di una vittima della “follia terroristica” da cui dovrebbe difenderci… l’esercito.
Siamo cocciuti. Continuiamo a definire terrorismo “l’uso indiscriminato della violenza al fine di conquistare, mantenere e difendere il potere” (come un tempo dicevano persino i dizionari). Terrorismo è contribuire alla nuclearizzazione del mondo.
Terrorismo è produrre armi di distruzione di massa (come i cacciabombardieri F-35, concepiti per trasportare anche ordigni atomici).
Finmeccanica – primo produttore italiano di armi e quinto a livello mondiale – fa tutto questo. E molto di più.
Non abbiamo lacrime per chi mette le proprie “competenze” al servizio della guerra e dell’apocalisse atomica. Le nostre lacrime le abbiamo già versate per i morti e i nati con malformazioni di Chernobyl, per i cancellati di Fukishima, per i bombardati e gli sfollati di Baghdad, di Kabul, di Tripoli, di Jenin.

16 maggio 2012
rompere le righe, da informa-azione.info


Processo agli antirazzisti torinesi primo atto
Torino, 13 aprile. Si è svolta oggi l’udienza preliminare del processo agli antirazzisti torinesi. Erano presenti solo sette imputati, di cui uno detenuto per antifascismo e un’altra ai domiciliari per la lotta No Tav.
Si sono costituiti parte civile i curatori fallimentari del ristorante il Cambio, il capo dei comitati spontanei razzisti Carlo Verra e la consigliera di circoscrizione del PDL Patrizia Alessi. Gli avvocati della difesa hanno presentato alcune eccezioni di natura procedurale per mancata notifica, l’accoglimento delle quali ha portato al rinvio al 24 maggio dell’udienza.
Il mega processo che mette insieme alcuni episodi di lotta antirazzista – ma non solo – è stato spezzato in due. In questa prima tranche sono state messe insieme alcune tra le tante manifestazioni, proteste, azioni, contestazioni che hanno – almeno in parte – attraversato il percorso dell’assemblea antirazzista torinese. Altre iniziative, dello stesso tenore e dello stesso ambito, saranno oggetto di altri procedimenti. Chiaro l’intento di prendere due piccioni con una fava giuridica. Da un lato proporre, pur senza riproporla formalmente, la chiave associativa negata dalla cassazione, dall’altro investire gli stessi antirazzisti di una miriade di procedimenti separati, negando loro almeno il beneficio della continuità, derivante dell’accorpamento.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese e in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi. Non a caso il regista dell’intera operazione è il PM Padalino, noto per le sue simpatie leghiste e per proposte di stampo teneramente nazista come il rilievo delle impronte ai bambini e alle bambine rom.
L’urgenza politica e morale della lotta antirazzista va al di là della repressione che colpisce chi ha tentato di mettere sabbia nel meccanismo feroce che stritola le vite degli immigrati per tenerli sotto costante ricatto. In questi anni è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, un corpus di leggi che stabilisce che viaggiare è un reato, cercare un futuro migliore un’ambizione criminale. Di fronte alle nuove leggi razziali ribellarsi e sostenere chi si ribella è un dovere. Ineludibile.
13 aprile 2012
da anarresinfo.noblogs.org


Udine: Comunicato sulle perquisizioni a Trieste
E' di pochi giorni fa la notizia della perquisizione domiciliare subita da un attivista No Tav triestino, l'astrofisico Luca Tornatore, indagato come presunto organizzatore della manifestazione non autorizzata che ha degnamente accolto l'amministratore delegato di Trenitalia Mauro Moretti, in visita a Trieste lo scorso 29 febbraio.
Sono state perquisite l'abitazione triestina del ricercatore, la casa dei suoi genitori in Veneto e il suo studio presso l'Osservatorio Astronomico a Trieste. A quale scopo ci chiediamo? Forse per cercare il "progetto preliminare" del macchinario per teletrasportare Moretti e molti altri soggetti indesiderati dalla Terra a qualche eso-pianeta?
E' del tutto ovvio che si tratta di un'operazione decisamente sproporzionata, anzi del tutto non correlabile alla tipologia del reato contestato, ma che purtoppo non sorprende, visto il carattere totalmente strumentale ed artificioso che ha assunto la repressione contro gli attivisti No Tav.
Da anni il movimento No Tav svolge un incessante attività di informazione e resistenza contro la realizzazione di questa Grande Opera di inutilità e dannosità conclamata, terreno fertile per corruzione ed infiltrazioni mafiose (come ribadito anche recentemente dall'ex-magitrato Ferdinando Imposimato). Da anni l'unica risposta data dai fautori di questa opera sono stati vuoti slogan, repressione e tentativi di criminalizzare il movimento stesso, confermando la totale assenza di argomentazioni a favore dell'opera.
Sicuramente nella nostra regione non ci troviamo ancora a dover fronteggiare un dispiegamento come quello con i quali i valsusini si trovano a fare i conti ormai da anni, e che si è andato intensificando da un anno a questa parte, con una pesantissima militarizzazione del territorio, check poin e terreni sottoposti a giurisdizione militare. Non subiamo il lancio di gas lacrimogeni al CS ad altezza d'uomo, non veniamo manganellati con una solerzia degna della Diaz, eppure il disegno sotteso è lo stesso: in mancanza di migliori argomenti si reprime, e pochi dubbi ci sono sul fatto che nonappena decideranno di aprire anche qui un "non-cantiere" per poter giustificare la richiesta di finanziamenti europei, non si esiterà a ricorrere agli stessi democratici metodi già utilizzati in Valsusa. Non possiamo riconoscerci in una democrazia e una giustizia asservite agli interessi politico-economici, che proteggono un Cosentino e incarcerano 25 No TAV.
Non sappiamo che farcene di una legalità estratta dal cilindro all'occorrenza, come un coniglio che appare e scompare quando più comoda a Lorsignori delle Grandi Opere.
A quella manifestazione c'eravamo tutti, complici e solidali. A sarà dura!

19 aprile 2012
Il Comitato NoTav Udine, da informa-azione.info
Perquisizioni a Rovereto e a Trento
Lunedì 16 aprile, tra Rovereto e Trento, la DIGOS ha perquisito sette abitazioni alla ricerca di vistiti. Motivo? Nove compagne e compagni sono indagati per “imbrattamento e deturpamento”, “accensioni pericolose” e “minacce a pubblico ufficiale” in relazione al corteo svoltosi a Rovereto l’11 febbraio contro i fascisti e chi li protegge.

19 aprile 2012
da informa-azione.info


Bologna: Rinvio a giudizio per i compagni del Fuoriluogo
Il 24 aprile sono stati rinviati a giudizio, per associazione a delinquere con l’aggravante della finalità dell'eversione dell'ordine democratico, 21 dei 27 compagni e compagne coinvolti nell’inchiesta “Outlaw” partita l’aprile scorso con cinque misure cautelari in carcere e sette provvedimenti restrittivi.
Dopo due giornate di udienza in cui la pm Morena Plazzi è intervenuta per venti minuti al massimo esponendo con mediocrità e visibile noncuranza la richiesta di rinvio a giudizio, il Gup Andrea Santucci, come aveva già anticipato intervenendo dopo appena mezz’ora dall’inizio dell’udienza, ha deciso per l’accoglimento delle richieste della pm. A cosa siano servite due giornate e le ottime e fondatissime requisitorie degli avvocati proprio non è dato saperlo. Per sei posizioni è stato decretato il non luogo a procedere, ma per cinque di queste la richiesta era stata formulata dalla stessa pm. L’indipendenza della procura di Bologna dalle indagini di polizia, il suo essere filtro tra le accuse della digos e ciò che ha rilevanza penale, si sono dimostrati ancora una volta ampiamente inesistenti come uno degli avvocati aveva già segnalato in udienza. Per altro, la pm durante le pause del processo si faceva vedere in giro ridanciana ospite dell’auto della digos di servizio, ma non di scorta, al tribunale.
La motivazione avvallante l’accusa, secondo la pm, è che gli imputati avrebbero promosso e diretto un'organizzazione che si ritrovava nel circolo (i cui locali sono stati sequestrati) finalizzata al compimento di violenze, lesioni, danneggiamenti, manifestazioni non organizzate. Di questi tempi per riuscire a organizzare presidi e manifestazioni si vede che bisogna associarsi tra delinquenti.
La prima udienza del processo è stata fissata per il 31 maggio prossimo davanti al tribunale collegiale.

25 aprile 2012
da informa-azione.info


Ravenna: Ancora repressione e razzismo
Ieri, sabato 28 aprile, un gruppo di antirazzisti ha svolto un volantinaggio al mercato cittadino di Ravenna per affermare nuovamente che l'omicidio del tunisino Hamdi Ben Hassen, avvenuto la notte di Pasqua dopo un inseguimento con la polizia che ha aperto il fuoco, non è un semplice fatto di cronaca nera.
La situazione che si vive a Ravenna, con le varie comunità straniere ospiti in città, è sempre più tesa ed il clima sempre più avvelenato da proclami razzisti e intolleranti.
Come se non bastasse, negli ultimi tempi la Questura di Ravenna ha esacerbato gli animi emanando una serie di pesanti provvedimenti nei confronti di chi si oppone a questo clima di tensione: un mese fa controlli a tappeto e diffide per gli attivisti No Tav che intendevano manifestare contro la CMC [Cooperativa Muratori Cementisti]; lunedì 16 aprile schedatura e foglio di via per i partecipanti al corteo non autorizzato in risposta ai fascisti di Forza Nuova; l'ultima settimana è stato notificato a 3 attivisti l'obbligo di presentarsi in Questura per ricevere dei provvedimenti di avviso orale; mentre nella giornata di ieri la Questura ha ordinato delle pesanti restrizioni per il volantinaggio al mercato: dal divieto di posizionarsi in certe aree al divieto di esporre striscioni senza un'autorizzazione preventiva da parte della Digos, che ne doveva valutare i contenuti. Tra l'altro è stato emanato anche il divieto di esporre qualunque tipo di vessillo o immagine lesivi dell'autorità. Per ogni infrazione di questi assurdi divieti vi era la minaccia di denunce e ritorsioni sul piano legale. Tutto ciò per noi è inaccettabile.
Ad ogni modo siamo riusciti a svolgere il presidio: il volantinaggio è andato bene ed abbiamo esposto uno striscione prodotto sul momento e recante la scritta: “Il razzismo e l'indifferenza uccidono come proiettili. Solidali con i migranti”, raccogliendo l'approvazione di parecchie persone che transitavano nella piazza.

***
Di seguito il testo del volantino distribuito.

Hamdi è stato ucciso. Una città intera lo ha giudicato colpevole. Dal nostro posto di privilegio, di cittadini di serie A, bianchi, con un posto di lavoro, con i documenti in regola, ai quali il diritto di cittadinanza non può essere revocato qualunque legge infrangiamo, è facile ergersi a giudici, sconfinare in prese di posizione becere e razziste quando non si ha nulla da perdere.
La paura dei migranti ha portato molti a considerare ogni straniero un criminale e questa situazione ha ovviamente portato Hamdi alla disperazione. La città avrebbe reagito in tutt'altra maniera se ad essere ucciso fosse stato un ragazzo bianco, magari con precedenti, magari anch'egli timoroso di rimanere senza patente dopo aver bevuto a Marina di Ravenna.
Il bisogno di “legalità” e “sicurezza” è un sentimento indotto da chi vuole fomentare odio nella popolazione per impedirle di vedere il vero problema di questa società: la schiavitù volontaria ad un sistema economico, ad un sistema di controllo, di repressione, di sfruttamento. Questa adesione acritica alla legalità porta a giustificare la morte di un uomo come semplice “incidente di percorso” in difesa di essa.
Le violenze dei “tutori della legge” e le morti nelle questure, nelle caserme, nelle carceri e nei CIE hanno cadenza quasi settimanale. Alcuni esempi recenti:
- a Ravenna in febbraio i giornali registrano due episodi di violenza subìti da una somala ed un tunisino in seguito a controlli da parte della polizia
- a Firenze tra gennaio e febbraio muoiono in questura Youssef Sauri e R'Himi Bassem;
- a Bologna la procura ha addirittura dovuto nelle ultime settimane far luce su alcuni poliziotti che picchiavano e rapinavano gli spacciatori nordafricani, mentre un altro agente pretendeva prestazioni sessuali in cambio del permesso di soggiorno;
- a Milano dove un vigile urbano ha ucciso, sparando nella schiena a Marcelo Gomez Cortez e dove 4 poliziotti sono stati accusati di omicidio colposo per la morte di Michele Ferrulli, avvenuta il 30 giugno 2011 in seguito al pestaggio subìto dopo un fermo.
A Ravenna la vergognosa presa di posizione di istituzioni e cittadini che si considerano la “parte sana” della città non è stata niente altro che un atteggiamento razzista e irrispettoso nei confronti del dolore di parenti e amici di Hamdi nonché della vita stessa, considerata sacrificabile ad arbitraria disposizione di chi fa rispettare la legalità.
La comunità tunisina ha reagito con accese manifestazioni spontanee che le istituzioni cittadine hanno avversato, ma la rabbia non può essere soppressa, la rabbia è l'unica arma che rimane agli ultimi per gridare contro le cause della loro oppressione.
Quando i neonazisti di Forza Nuova hanno indetto un corteo lunedì 16 aprile per affermare un messaggio razzista su questa vicenda, alcuni antifascisti si sono mobilitati per impedire che la città non subisse questo attacco alle prospettive di convivenza che si stanno faticosamente affermando in Italia e che incarnano l'eredità più alta della Resistenza partigiana. Tuttavia le forze dell'ordine hanno bloccato tale mobilitazione ed hanno portato in Questura i partecipanti, mostrando così quanto ormai la Repubblica sia distante dalle pratiche che animarono chi lottò contro il fascismo.
RAZZISMO E SILENZIO UCCIDONO QUANTO I CARABINIERI
FASCISTI E BENPENSANTI SONO COMPLICI DI MORTE
30 aprile 2012
Antirazzisti Ravenna, Spazio Sole e Baleno - Cesena, Equal Rights - Forlì
da informa-azione.info


bologna: SGOMBERATO SPAZIO OCCUPATO NO TAV
Mercoledì 18 aprile verso le 8.00 del mattino al nuovo spazio occupato NO TAV in via Libia 67 si sono presentati sbirri di ogni tipo in un’azione congiunta tra municipale, carabinieri, polizia, digos, vigili del fuoco e celere per procedere allo sgombero.
Gli sbirri, dopo aver speso una buona mezz’ora per capire come poter entrare nell'edificio e superare le barricate all’ingresso, hanno portato via di peso una parte degli occupanti. Otto compagne, invece, sono riuscite a salire sulla parte più alta del tetto e a resistere fino alle 12.30 quando la digos le ha portate via di peso dopo l’intervento dei vigili del fuoco conducendole in questura e identificandole tramite fotosegnalazione. Per tutti è scattata la denuncia per invasione di edificio e alcuni sono stati denunciati per essersi rifiutati di dare le proprie generalità. Alla richiesta di esibire la carta di identità hanno risposto di chiamarsi “No Tav”.
Prima di arrivare allo sgombero, diretto in toto dalla digos, è stata sabotata l'auto di un occupante NO TAV, mettendo in pericolo la sua vita e quella dei passeggeri. Il tubo del radiatore è esploso mentre la macchina correva a 120 km/h in autostrada in corsia di sorpasso. Dal parere del meccanico il danno sembra essere stato provocato da un taglio netto e verticale fatto in precedenza sul tubo. La macchina era stata parcheggiata nei giorni precedenti nei pressi dell'occupazione NO TAV.
La sera del 13 aprile avevamo occupato lo stabile di proprietà della provincia situato in via Libia 67 in risposta agli espropri dei terreni della popolazione della Val Susa, legalizzati il giorno 11 aprile, per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione.
Da tempo il ritornello “portare la Valle in città” sta rimbalzando in tutta Italia arrivando ad oltrepassarne i confini. Siamo convinti che questo significhi innanzitutto riportare in ogni città la determinazione che le lotte dei valsusini hanno avuto nel corso degli ultimi 20 anni, per riuscire ad individuare in ogni territorio le pieghe delle contraddizioni di questo sistema e ad infilarsi al loro interno per contrastarle.
Viviamo in territori violentati in nome delle scelte economico-politico-strategiche di chi detiene le chiavi del potere. Lorsignori ci parlano di “valorizzazione del territorio” e di “riqualificazione” e per farlo rendono i nostri quartieri e le nostre valli degli eterni cantieri con la promessa di farci vivere in luoghi migliori, più efficienti, più funzionali, più sicuri... ma ciò che resta è solo la devastazione delle lobbies del cemento. Progettano il futuro sulla base di un efficientismo economico che non risponde a null'altro se non ai loro stessi profitti chiedendo però enormi sacrifici a tutti noi. Puntano a relegare nelle periferie dell'esistente chi è sfruttato, perchè se alzasse la testa sarebbe troppo pericoloso. Incarcerano chi si oppone ai loro meccanismi di sfruttamento e devastazione perchè in questa società è necessario restare allineati per far parte del gioco.
Riempiono le strade di valle e di città di sbirri e militari per abituarci alla loro presenza e alla loro idea di sicurezza basata su una violenza bruta ma legalizzata. Il mondo che vogliamo non è solo un mondo senza TAV. Questo ci ha insegnato la lotta che da anni va avanti in Val di Susa. A Bologna avevamo occupato uno stabile di proprietà della provincia che come ultima destinazione ha avuto quella di sede della polizia municipale.
Dopo due bandi di vendita andati a vuoto l'area di via Libia 67 è rimasta inutilizzata. Avevamo aperto uno spazio non per farne un fortino (come dicevano i giornali nei giorni dell'occupazione), ma per creare un luogo di socialità autentica e non quella che ci impone chi non sa far altro che costruire centri commerciali, per condividere ciò che ciascuno di noi conosce e sa fare, per sviluppare legami diversi da quelli che ci impongono il lavoro, la velocità del denaro, la paura di non saper cos'altro cercare.
Non ci lasceremo intimidire né ci arrenderemo di fronte ai loro sabotaggi, ai loro sgomberi e alle loro denunce. Temono la libertà perchè le loro gerarchie non la possono controllare, non ne conoscono la bellezza e non la conosceranno mai.

19 aprile 2012
Ocupanti No Tav di via Libia 67 - Bologna

***
Gravi fatti a Bologna
Ieri, lunedì 16 aprile, mentre quattro compagni viaggiavano in autostrada nella macchina di proprietà di uno di loro é improvvisamente esploso il manicotto del radiatore. La macchina stava andando ai 130 km/h e si trovava in corsia di sorpasso, e i compagni hanno dovuto subito accostare in corsia d'emergenza mentre una grossa nube di vapore copriva la visuale. Sia l'autista del carro attrezzi sia il meccanico che hanno visto il tubo hanno affermato di non aver mai visto una cosa del genere, essendo il tubo in buone condizioni se non per un largo e netto taglio verticale. Il meccanico ha detto che il tubo non sembrava esploso, ma che piuttosto sembrava essere stato tagliato.
La macchina nei giorni precedenti era stata parcheggiata nei pressi della nuova occupazione NO TAV a Bologna. Non ci sembra azzardato ipotizzare che questo sia stato un deliberato sabotaggio da parte di chi non tollera questa nuova situazione di lotta in città. Non ci lasceremo intimidire da manovre infami e becere quanto i loro autori.
la lotta continua. A sarà dura!
17 aprile 2012
da informa-azione.info


Roma: Sull'occupazione e lo sgombero di via Prenestina 44
Oggi, 2 Maggio, abbiamo occupato un locale abbandonato di proprietà delle Ferrovie dello Stato situato in via Prenestina 44 a Roma. Volevamo aprire uno spazio di libertà.
Dopo poche ore, nelle quali si è tenuta una colazione sul marciapiede antistante lo spazio, siamo stati sgomberati da un massicio contingente di polizia accorso precipitosamente. In seguito gli sbirri si sono presi la briga di murare l'ingresso per scongiurare il pericolo – vista la foga sembrava temessero che da quella stanza potesse uscire il Demonio in persona.
In questi tempi di crisi sembra che la principale occupazione della polizia sia quella di reprimere chiunque tenta di riprendersi un po' di tutto quello che ci viene rubato dai padroni. Quando non si dedica direttamente ad ammazzare i poveri come recentemente accaduto a Ravenna, Firenze e Milano.
In questi tempi di crisi conosciamo chi specula sulla nostra pelle, ad esempio Trenitalia, che impone tariffe sempre più care e tagli al personale per reperire i fondi che poi sperpera nel progetto inutile e nocivo delle linee ad alta velocità (TAV). Per questo qualche settimana fa, durante le iniziative in appoggio alla lotta in Val di Susa, i No Tav hanno tentato di occupare degli uffici di Trenitalia per aprire uno spazio di lotta. Non proviamo alcun rimorso ma anzi piacere nel riprenderci qualcosa da queste sanguisughe di regime.
In questi tempi di crisi, in cui ci vogliono lasciare tutti in mutande ed imporci di stare zitti, è importante alzare la testa. Lottiamo per riprenderci immediatamente quanto ci viene tolto: la possibilità di soddisfare i nostri bisogni. Lottiamo insieme a quelli che comprendono quanto accade e non vi si rassegnano. Le occasioni sono tante, la fantasia non ci manca, andiamo avanti.
Abbiamo più desideri noi, da esaudire, che loro celerini per reprimerli!

3 maggio 2012
Occupanti di via Prenestina 44, da informa-azione.info


napoli: sul presidio davanti alla sede di equitalia
Presentiamo qui il comunicato che abbiamo scritto a poche ore di distanza dalle cariche della polizia, schierata in difesa della sede di Equitalia in Corso Meridionale a Napoli. Crediamo sia doveroso farlo precedere da due righe di accompagnamento dato che da quel giorno in poi molto è stato fatto e moltissimo è stato detto. Da ogni parte ci si è affrettati a criminalizzare le lotte contro Equitalia arrivando a definire "terroristi" e "camorristi" i compagni che hanno dato luogo alla contestazione. Vogliamo però dire, in queste poche righe, alcune cose che nessuno ha riportato: anzitutto l'atteggiamento della gente che, imbottigliata nel traffico durante il blocco stradale, è scesa dalle auto per portare la propria solidarietà ai compagni; o non possiamo far finta di ignorare che mentre la polizia caricava e i compagni cercavano di resistere, la gente nelle macchine applaudiva i manifestanti. Abbiamo sentiamo anche dire che la lotta contro Equitalia è una lotta che in minima parte interessa i proletari che poco hanno a che vedere con le sue attività. Crediamo che non ci sia nulla di più falso e che basterebbe togliere la testa dalla sabbia e cioè uscire dalle proprie sedi/csoa/auleoccupate per rendersene conto.
Crediamo che i fatti di Napoli, pur nelle loro contraddizioni, abbiano rappresentato un momento importante (e per tale ragione mostruosamente criminalizzato), un primo segnale che speriamo possa essere recepito, generalizzato e tatticamente inserito nell'orbita di una lotta di classe. Insomma, che possa essere la scintilla che dia fuoco alla prateria.

In questi ultimi giorni i gesti di intolleranza nei confronti dei soprusi di Equitalia si vanno moltiplicando in tutta Italia. I telegiornail di ogni canale e tutti i quotidiani si sono uniti in un coro di condanne. Si sono sprecati servizi ed inchiostro per paralre di chi lavora in Equitalia, della polizia che pesta chi prova a togliersi il cappio dell’usura, ma neanche una parola è stata spesa per la gente che sempre più spesso trova nel suicidio l’unica soluzione ad una situazione senza via d’uscita. Tutti i politici, tutti i banchieri, tutti i padroni si sono uniti in un coro unanime di condanna di quanti accaduto a Napoli, dove un centinaio di persone sono state violentemente attaccate dalle forze dell’ordine solo perché aveva inscenato una manifestazione davanti alla sede di Equitalia. I media hanno insistito sulla possibilità che dietro gli atti di ribellione contro le discariche, contro equitalia e contro la Tav esista una regia unica e su questo ci sentiamo di dire che siamo d’accordo. Esiste sicuramente una regia unica ed è quella di chi si arricchisce avvelenandoci i territori, derubandoci e cassintegrandoci, tutto il resto viene da sè. I nodi vengono sempre di più al pettine. Era solo una questione di tempo. Da masticare non ci hanno lasciato che il bavaglio, mentre loro continuano ad arricchirsi. Dalle buste paga di ogni lavoratore sono stati rubati più di NOVEMILA EURO in dieci anni. A questo si aggiunge il tentativo di toglierci ogni possibilità di immaginare un futuro, prenendoci soldi, automobili, case, distruggendo intere famiglie e i loro sogni. Tutto nel silenzio di un sindaco che sembra non accorgersi di quanto avviene per le strade e sembra non avere intenzione di affrontare un’emergenza sociale come questa.
E’ impossibile continuare su questa strada, bisogna chiudere Equitalia subito.
Bisogna urgentemente lavorare ad una sanatoria per tutti i perseguitati da Equitalia con redditi più bassi. E’ necessario mettere in crisi questo sistema basato sulla crisi.
E possiamo farlo solo tutti insieme. Crisi alla Crisi…

15 maggio 2012
Zetanapoli.org


CAMPAGNA DI CUNEO: SGOMBERATI I RACCOGLITORI DI FRUTTA
giugno 2011 - aprile 2012
Di seguito un breve scritto sulla lotta dei raccoglitori stagionali di frutta. Per quanto rivendicativa, di livello minimo ma essenziale, ci è parsa un'esperienza interessante.

A Saluzzo, centro del cuneese caratterizzato da una robusta produzione di frutta, terza-quarta in Italia, rispetto a kiwi, pesche, peschenoci, mele... nell'estate del 2011 le persone immigrate raccoglitrici di quella frutta hanno lottato anche per usufruire di un luogo in cui abitare. Questa lotta è raccontata in un libro “Di qua non sono libero” Ed.Trengari, pubblicato dal Comitato Antirazzista Saluzzese nel gennaio 2012. In breve sintesi, lo scontro si è svolto attraverso le seguenti tappe.
A maggio (2011) i primi raccoglitori arrivati a Saluzzo per dare inizio ai lavori, in gran parte africani, trova alloggio in una casa della Caritas, nell'ex casa del custode del cimitero e nella stazione ferroviaria; é una condizione “provvisoria”. Il Comitato Antirazzista riesce a prendere parola nel consiglio comunale di Saluzzo affinchè si arrivi ad una soluzione stabile, soprattutto dignitosa: “dignità e diritti per tutti i migranti... no agli sgomberi”. La soluzione proposta, accolta dal sindaco, è l'apertura di un magazzino delle ferrovie. Così a fine luglio immigrati, volontari e anche operai con mezzi del comune liberano, puliscono lo spazio. Ma il comune fa anche dell'altro: recinta l'area e ne dichiara lo sgombero entro il 15 settembre 2011. Una scadenza assurda perchè la raccolta, come tutti sanno, va ben oltre quella data; quella dei kiwi inizia a metà ottobre. Quindi? Intanto lo spazio viene abitato da oltre 80 persone, famiglie comprese.
Tra date fissate, prorogate, grazie alla mobilitazione continua, comprese feste e assemblee molto partecipate si arriva al 31 ottobre. Quel giorno il sindaco con alcuni assessori, operai, ruspe è sul posto deciso a chiuderlo. L'assemblea decide di tenerlo aperto almeno per permettere le partenze. Nel tira e molla cominciano le prime partenze. Rimangono però 40 immigrati di cui 30 vengono accolti in locali della Caritas, 10 si fermano nel magazzino liberato, sgomberati pochi giorni dopo dai carabinieri. Da quel momento cos'è accaduto? Ecco il riassunto raccolto da un compagno: “La situazione a Saluzzo è in continua evoluzione. Dopo l'occupazione e lo sgombero della casa del custode del cimitero, gli immigrati sono stati sparpagliati in varie sistemazioni (persino i carabinieri hanno fatto pressione sui proprietari dei campi affinchè adibiscano spazi ad alloggio per alcuni braccianti?!?).
Lo scorso fine settimana però la situazione si è nuovamente accelerata con l'arrivo di nuovi lavoratori. I compagni del Comitato Antirazzista, per fronteggiare l'ipotesi di un campo controllato dalla Protezione Civile o altro (ovvero, un campo di concentramento militarizzato) e per venire incontro al fatto che i braccianti non vogliono rischiare il foglio di via, visto che sono lì appunto per lavorare, si sono proposti di innalzare un tendone (quello di Alpi Libere, lo stesso già impiegato alla Maddalena). Sotto questo tetto dovrà essere allestito sia il dormitorio per una parte dei braccianti, sia una sorta di “sportello” d'accoglienza solidale, ma anche riferimento per far pressione sulle condizioni salariali e lavorative. Questa sistemazione dovrà durare almeno fino a maggio 2012 in vista della raccolta stagionale della frutta.
Milano, maggio 2012