indice n.70

La rabbia dei minatori invade la Madrid dell'austerità
aggiornamenti dalla lotta dentro e conro i cie
Lettera dal carcere di Spoleto (PG)
lettera dal carcere di fossano (cn)
Lettera dal carcere di San Gimignano (SI)
lettera dal carcere di como
22 luglio: presidio al carcere di cremona
lettere dal carcere di san vittore (mi)
lettera Dal carcere di Siano (cz)
lettere dal carcere di Prato
lettera dal carcere di velletri (roma)
è iniziato il processo ai no tav
No Tav: Ancora due resistenti colpiti dalla repressione
27 giugno 2011 – 27 giugno 2012: il tempo passa, la rabbia no!
Presidio al carcere di Cuneo
Lettera dal carcere di Torino
lettera Dal carcere di Teixeiro (spagna)
Sull’operazione repressiva “Ardire”
lettera dal carcere di pisa
lettera dal carcere di genova
CONSIDERAZIONI SUL TERREMOTO ANTI-ANARCHICO
SUL PROCESSO CONTRO IL MOVIMENTO FIORENTINO E LA SOLIDARIETÀ
padova: CRIMINALE è CHI SGOMBERA
milano: Chi si nasconde dietro lo sgombero di via Falck, 44?
INTERESSI ECONOMICI E COSTI UMANI DEL TERREMOTO
Milano: Prosegue la battaglia degli operai di Basiano
I frutti (amari) del piano Marchionne

la rabbia dei minatori invade la Madrid dell'austerità
Solo 8 ore dopo la conclusione della Marcha Negra, con circa duecentomila persone che han gremito Puerta del Sol, è partita dalla storica piazza Colòn la manifestazione dei minatori decisi a lottare fino all'ultimo contro le politiche di tagli lacrime e sangue attuate dal Governo Rajoy sui diktat del gotha finanziario europeo. Nel frattempo, proprio al Congresso, il governo era chiamato a varare l'aumento dell'IVA dal 18 al 21% mentre veniva abolita la tredicesima.
Una giornata elettrica, dunque,nella capitale spagnola, invasa sin da ieri sera dall'arrivo di decine di migliaia di minatori, minatrici, famiglie, lavoratori e studenti solidali. La manifestazione di oggi, partita alle 11, si è snodata lungo il Paseo de La Castellana è aveva come obiettivo l'assedio al Ministero dell'Industria. Le prime fasi hanno visto nelle prime file i minatori leonensi e aragonesi. Al silenzio delle grandi occasioni si alternava il canto fiero e impressionante dell'inno de los mineros, quel Santa Barbara Bendita tornato prepotentemente alla ribalta in questo mese e mezzo di scioperi selvaggi e resistenza nelle conche asturiane.
Piano piano, con l'ingrossarsi della marea di persone, hanno iniziato a prendere parola i sindacalisti e lì si è percepito chiaramente nella folla un certo risentimento verso i principali leader; in particolare i minatori han puntato il dito contro il leader dell'UGT Candido Mendez “Buffone, scendete in piazza solo per farvi fare la foto”.
Verso le 2 del pomeriggio il lungo serpentone si è attestato di fronte al Ministero dell'Industria, con lancio continuo di petardi, e la tensione è arrivata alle stelle. La polizia non ha atteso nemmeno un ulteriore avanzamento del corteo per caricare, sparando come è solita fare pallottole di gomma ad altezza d'uomo e sganciando blindati contro il corteo.Le prime cariche hanno visto una resistenza passiva dei minatori, che però si son subito ricompattati e hanno preso ad avanzare, stavolta facendo fronte con lanci di pietre. La reazione dei minatori ha fatto scattare l'intervento dei poliziotti a cavallo, che non si sono risparmiati nell'inseguire manifestanti isolati persino per chilometri, lungo il Paseo de la Castellana e dintorni.
Anche i vari reparti degli “antidisturbios” han cominciato a caricare indiscriminatamente, in uno scenario che da molto tempo non si vedeva nella metropoli spagnola, completamente in tilt.
La folla si é ricompattata all'imbocco del paseo della Castellana, e le prime file lanciavano petardi per creare un cuscinetto di distanza e riprendere fiato, dopo almeno 5 cariche, sia a cavallo che con i blindati. I minatori e le minatrici gridavano alla polizia “mercenari, ve ne pentirete!”, caricando l'animo dei manifestanti. Così, dopo i primi indietreggiamenti la folla guadagnava terreno verso il ministero! In questo scenario, molti fotografi sono stati brutalmente aggrediti per impedire che si riprendesse l'avanzata del corteo.
Ormai la sensazione che regna non solo nei cuori dei manifestanti, ma anche in quelli di decine di migliaia di famiglie di tutta la penisola, é quella della totale rottura di ogni volontà diplomatica da parte del Governo. Definitivamente saltata la possibilità di negoziazione con Soria, ora la palla “rovente” balza in mano ai sindacati, pesantemente attaccati per la loro inermità dai manifestanti, e che non potranno tardare a prendere parola sul radicalizzare o meno le forme di sciopero generale fin qui messe in campo. Da questo punto di vista, ancora una volta la #ResistenciaMinera, come un virus nel sistema della rappresentanza iberica, ha saputo colpire nel segno, trascinando con sé la solidarietà incondizionata di centinaia di migliaia di madrileni e di tantissime altre località della Spagna, laddove si stanno confermando i concentramenti per cortei di solidarietà a partire dalle 18 in poi. Un esempio, quello della giornata minera, molto importante anche per certe categorie nostrane che pensano che la concertazione possa essere una soluzione reale in tempo di recessione e tagli. Tant'é che, non paghi, numerosi gruppetti di manifestanti hanno circondato il Congresso dei Deputati, e si mormora che Rajoy e Soraya Saenz, vicepresidente del Governo, siano stati costretti ad uscire da una porta di servizio sotto scorta (dato da confermare).
A 5 ore dall'inizio del corteo, centocinquantamila persone avanzano e indietreggiano lungo il Paseo della Castellana, seguiti dal circolare frenetico dei blindati. Verso le 4 e mezza i sindacalisti hanno terminato i loro proclami. La gente invoca le dimissioni del governo Rajoy; un paio d'ore prima anche il segretario di Izquierda Unida aveva richiesto le dimissioni immediate del Ministro degli Interni per la gestione irresponsabile della giornata di protesta.
Alle ore 19 da Atocha riprenderanno cortei a Madrid in solidarietà alla lotta dei minatori. Le ultime notizie ci parlano di 32 feriti e 7 arresti.
La giornata, da lotta vertenziale, si è subito configurata come un momento di presa di piazza e parola generalizzato, e si annuncia ancora lunga. La sensazione è che la radicalizzazione della lotta, imposta dall'agire indiscriminato della polizia, sia un dato di cui moltissime persone cominciano a tenere conto, e un segnale da cogliere anche a queste latitudini.
Di sicuro, alla rabbia crescente dovuta al muso duro del Parlamento su questioni come tagli a sanità, educazione, settori strategici, si aggiungono i fatti di oggi, dove è stata gravemente ferita persino una bambina di tre anni, raggiunta alla coscia dall'ennesima pallottola di gomma. Ma uno dei dati decisivi della giornata è che a partire dalla tenacissima lotta dei minatori in queste ore nelle piazze di Madrid stanno resistendo molteplici istanze di lotta contro la crisi... una nuova estate di lotta all'austerità in Spagna?

11 luglio 2012
da infoaut.org


aggiornamenti dalla lotta dentro e conro i cie
Milano, cie di via Corelli
Il 12 giugno una persona tenta il suicidio, lo portano in infermeria e poi di nuovo in sezione, è troppo rischioso portarlo all’ospedale potrebbe scappare, com’è avvenuto alcuni mesi addietro.
Il 13 giugno Tutta la sezione B porta i materassi fuori all’aria e non vogliono più rientrare, il controllo avviene tramite idranti. Le altre sezioni sono chiuse senza la possibilità di uscire all’aria. Tutti bagnati, delusi, intimoriti dagli antisommossa ritornano dentro la sezione.
Il 19 giugno si è tenuta la terza udienza a Milano nei confronti degli 8 tunisini accusati di devastazione e saccheggio in seguito alla rivolta del 15 gennaio avvenuta all’interno del centro. Sono stati ascoltati i teste dell’accusa, ossia l’Ufficiale di polizia giudiziaria che ha emesso il verbale d’arresto nei confronti di tutta la sezione (26persone), il quale afferma che le perquisizioni avvengono periodicamente per trovare telefoni, vietati dal 2010, e altri oggetti contundenti fabbricati dal personale del servizio d’ordine, lapsus freudiano, correggendosi subito dicendo che sono costruiti dagli “occupanti” del centro. Direi che questo ufficiale è al quanto confuso! Gli altri due teste, facenti parte del servizio del commissariato di Lambrate, affermano di agire con il “buon senso” e di intervenire per tenere sotto controllo e calma la situazione.
Un agente del servizio d’ordine afferma di riconoscere le persone che hanno incendiato i materassi dalla visione della registrazione delle telecamere, ma il giudice interviene chiedendo se ne è proprio sicuro, in quanto dal video si vede solo del gran fumo ed alcune persone che escono all’aria, con le proprie cose, per non intossicarsi. I materassi sono stati incendiati nelle camere, dove non ci sono telecamere. In risposta l’agente farfuglia e ritira la deposizione dicendo di vedere solo persone che scappano all’aria, ma non sono distinguibili. La difesa puntualizza il fatto che non ci siano mandati di perquisizione e nemmeno verbali di sequestro oggetti, ma tutto avviene senza nessuna regolamentazione, tutto guidato dal reprimere ogni disturbo, tanto tutto è nascosto dalle mura di massima sicurezza. Altra puntualizzazione della difesa è stata la mancanza di interpreti all’interno del cie, visto che la maggioranza dei reclusi non comprende la lingua italiana, come è evidente ai processati: su 8 solo una persona conosce l’italiano. Tra gli imputati c’è rabbia e fanno presente che l’interprete non sta affatto traducendo quello che viene verbalizzato, sono presenti ma non comprendono nulla, così aiutati da un altro traduttore, si risolve la questione. Infatti in aula era presente una rete televisiva tunisina Aljanoubia Tunisia Med, facente parte dell’Associazione Immigrati tunisini, ed uno di loro si è offerto da interprete, con il consenso del giudice, visto che il traduttore della commissione giudiziaria non traduceva nulla.
Riferito le deposizioni alcuni lamentano i violenti pestaggi subiti dagli agenti del servizio d’ordine, il giudice li blocca subito intimando che avranno modo di rilasciare le loro dichiarazioni quando sarà il loro turno.
Ultimo teste ascoltato è stato un ingegnere dei Vigili del fuoco, deposizione importante e fondamentale, in quanto ha smontato l’accusa di devastazione e saccheggio. Egli afferma che dall’ispezione non risultano danneggiamenti strutturali, inoltre all’interno della struttura c’è mancanza di suppellettili, i danni risultavano solo ai materassi e all’impianto luci, dovuti ad un incendio doloso che è stato domato in 10 minuti.
Alla fine dell’udienza è stato gridato Horria! Horria! (Libertà! Libertà!)
Il 25 giugno sono stati ascoltati due teste dell’accusa: due detenuti di corelli che erano stati inizialmente arrestati e poi riportati al cie corelli, dove sono attualmente. Nonostante siano nelle stesse condizioni disumane, si mettono contro gli altri infamandoli, animi viscidi, ignobili ed egoisti che contrattano con i loro stessi aguzzini per chissà quali promesse poi non mantenute, in quanto uno di loro è stato espulso alcuni giorni dopo la deposizione.
Il 28 giugno sono stati ascoltati gli imputati, uno di loro spiegando che nel verbale di convalida degli arresti non è stato tradotto quello che è staso realmente comunicato, quindi non fidandosi del traduttore, si è avvalso della facoltà di non rispondere, così anche un altro. Mentre tra quelli che hanno accettato l’interrogatorio alcuni hanno infamato i propri coimputati. Altri invece hanno fatto emergere i soprusi subiti all’interno del cie, spiegando nei dettagli come avvengono le perquisizioni ed i trattamenti disumani ricevuti da parte sia degli sbirri che dalla Croce Rossa.
Per quanto riguarda il ragazzo che ha deciso di fare il rito abbreviato è stato condannato a 3 anni e 8 mesi e si trova nel carcere di Bergamo.
Il 5 luglio si è tenuta la sesta udienza del processo ai rivoltosi, dove sono stati interrogati i teste dell’accusa: un tunisino ed un egiziano che erano presenti alla rivolta del 15 gennaio, in seguito rilasciati in libertà, chissà per quale motivo infatti eccoli lì ad indicare nell’album fotografico i colpevoli dell’istigazione alla rivolta, ma nessuno ha visto qualcuno accendere il fuoco. Ignobili animi!
L’ultimo teste è stato un operatore del commissariato di Lambrate che afferma di non aver visto nessuno, neanche dalla visione dei filmati, che accendesse il fuoco, solo fumo e persone che scappavano all’aria. Oltre tutto non sa dare motivazioni del fatto che gli 8 ragazzi siano stati arrestati, in quanto non ci sono prove di colpevolezza. Inoltre manca il provvedimento di sequestro del materiale avvenuto il giorno prima della rivolta. Tutto avviene a casaccio ma grava pesantemente sulle vite di persone alle quali la vita non sorride ma li continua a ricattare e privare della libertà.
Il 27 giugno ha avuto luogo, presso il tribunale di Milano, l'udienza preliminare di un processo a carico di undici compagni/e accusati/e di resistenza aggravata ed accensioni ed esplosioni pericolose. Questo procedimento fa riferimento ad un rumoroso e sentito saluto sotto il Cie di via corelli, avvenuto un paio di anni fa, in occasione di una rivolta all'interno della struttura ed in un periodo di intense mobilitazioni esterne a sostegno delle lotte dei reclusi. Per ragioni meramente burocratiche è stata fissata un'ulteriore udienza preliminare il 18 luglio ,ma il processo avrà realmente inizio molto probabilmente dopo l'estate. Gli/le imputati/e hanno deciso di disertare le aule della repressione giudiziaria e di tornare sotto il Cie lo stesso giorno in cui si è svolta l'udienza. Per un’ ora è stato presidiato il Cie, muniti di impianto, facendo svariati interventi di complicità attiva con chi vi è rinchiuso e si rivolta ed evade dalla condizione di prigionia in cui è costretto a versare.
Dopo alcuni giorni veniamo a sapere che durante il presidio alcuni tentano l’evasione, due persone si arrampicano su un palo della luce per poi saltare al di là delle mura, ma è difficoltoso non riescono e non vogliono scendere, dopo un po’ arrivano i vigili del fuoco e li riportano nella loro sezione.
Il 1° luglio, in occasione delle finali europee dove giocava l’italia, 15 reclusi pensano sia il momento favorevole per tentare l’evasione, purtroppo nonostante la favorevole situazione, le condizioni di quelle mura, gli infami sono presenti, difatti con sorpresa arrivati sul tetto si ritrovano gli antisommossa già pronti e l’ispettore con in mano la corda preparata per fuggire, così ritornano in sezione. Speriamo alla prossima e all’insaputa degli infami! “Il diritto di vivere non si mendica, si prende” (Alexander Marius Jacob)
Il 3 luglio Un ragazzino di 19 anni è all’interno del cie da qualche giorno, 5 sbirri si presentano davanti a lui intimandogli di preparare la sua borsa per essere espulso, lui disperato non vuole e sperando di rinviare la situazione si riempie la bocca di vetri e lamette, risolvono tutto 15 sbirri che lo picchiano pesantemente poi lo ammanettano e lo portano a Malpensa per rimpatriarlo. Durante il pestaggio un recluso riesce a rubare il telefono cellulare ad uno sbirro, che quando si accorge chiama l’ispettore che minaccia tutta la sezione C di ammazzarli di botte da una squadra di 120 sbirri, così il telefono viene restituito.
Il 4 luglio i reclusi si accorgono che ultimamente stanno mettendo psicofarmaci, probabilmente il Rivoltril, nel cibo; chi è fortunato ad avere altre provviste evita il cibo della mensa, altri cercano di mangiare il meno possibile, altri preferiscono addormentare il cervello per smorzare la rabbia e la disperazione.
La sezione E, rimasta inagibile dalla rivolta del 15 gennaio, purtroppo è ritornata in funzionamento da una settimana e già capiente di nuovi reclusi. Tra i nuovi uno si taglia nella speranza della libertà, invece lo portano all’ospedale per le medicazioni e poi di nuovo al cie.
Il giudice di Milano annulla il provvedimento di espulsione per un giovane serbo “nato e cresciuto in Italia”. Questa è la storia di un ragazzo di origine serba ma nato e cresciuto in Italia.
Nel 2011 era finito in carcere per scontare una condanna definitiva a 5 mesi e all’uscita era stato portato in Questura e gli era stato notificato un primo provvedimento di espulsione. Era poi finito, in attesa di essere mandato via, nel Cie milanese di via Corelli. Confermato il provvedimento di espulsione, il giovane rom è stato costretto ad andare in Serbia, Paese d’origine dei suoi genitori, ma dove lui non era mai stato. I legali avevano lamentato il fatto che il rom era stato espulso senza nemmeno attendere l’udienza sul ricorso. Nella sentenza presentata ieri dal giudice si evidenzia che il ragazzo “è cittadino serbo, ma nato e cresciuto in Italia e fratello di cittadino italiano”. Per questi motivi, secondo il giudice, l’espulsione va annullata per “palese illogicità” e l’atto è “irrimediabilmente viziato per eccesso di potere”. Dopo il rientro in Italia, gli avvocati del giovane hanno informato che si avvarranno della sentenza per richiedere la cittadinanza italiana.
Sabato 8 luglio, due reclusi, utilizzando delle lenzuola, sono riusciti a salire sul tetto della struttura e a superare il muro di cinta. Sono stati visti dalle telecamere ed è scattato l'allarme, le indagini sono affidate alla Polizia. Purtroppo per tre il tentativo è fallito e sono stati costretti a scendere.

trapani: Cie di Milo e di Serraino Vulpitta, continue violazioni e 118 evasi
11 giugno. Tentativi di fuga sedati col getto degli idranti e col lancio di lacrimogeni all'interno del cortile e immigrati contusi che mostrano le ferite alla telecamera. Sono le immagini rubate da un telefonino di un recluso del cie di Milo. Nel video si vedono i detenuti costretti a mangiare a terra tutti i giorni, perché la mensa c'è ma non è mai stata usata per paura che una rivolta usi i tavoli e le sedie. Matite e penne sequestrate, le camerate perquisite continuamente. Nel tentativo di uscire le persone recluse sono disposte a ingerire pile elettriche e lamette, e arrivano persino a cucirsi le labbra, gli occhi, in un gesto estremo di autolesionismo, arrivati a circa 15 al mese.
All'ingresso nella struttura, le forze dell'ordine costringono i migranti a rompere la telecamera del telefonino. Le immagini del video mostrano persone arrampicate sul recinto metallico esterno che, tentando la fuga, a 5 metri di altezza, vengono colpite dal getto degli idranti delle forze dell'ordine che cercano di bloccarli, rischiando di farli cadere di sotto. Fuori dal recinto, a due passi dall'autostrada, i segni della rivolta: scarpe perse nella fuga, indumenti, frammenti di suppellettili. La persona che ha girato il filmato, utilizzato da La Repubblica per documentare quanto accade nel Centro di identificazione ed espulsione di Milo, non più “ospite” del centro, ha voluto denunciare che la rivolta sarebbe stata conseguenza diretta del ferimento di un ragazzo ad un occhio con un colpo di manganello, fatto ampiamente documentato nel video.
Nel Cie di Trapani molti reclusi hanno fatto la spola diverse volte con l'aeroporto di Palermo, dove il console tunisino dovrebbe fare il riconoscimento “sotto bordo”. Ma la Tunisia non è obbligata a riprendersi tutti. A quanto pare, gli accordi bilaterali prevedono il rimpatrio di chi è arrivato irregolarmente dopo il 5 aprile 2011. Chi è in Italia da molti anni e soprattutto chi ha scontato anni di carcere per reati come lo spaccio di droga, difficilmente ottiene il nulla osta del consolato per essere riportato indietro. Tutte persone che prima o poi verranno rilasciate per scadenza dei termini, dopo aver scontato ben 18 mesi per mancato possesso di un foglio di carta.
Il 26 giugno due carabinieri sono rimasti contusi nel corso di una rivolta al Cie di contrada Milo, dove un numero imprecisato di reclusi è riuscito a fuggire dopo un assalto in massa al cancello d’ingresso. Purtroppo alcuni sono stati ripresi.
Sempre a Trapani, un’altra rivolta è stata sedata dalla polizia al Cie “Serraino Vulpitta”. Il Cie Serraino Vulpitta di Trapani negli ultimi mesi è infatti diventato un collettore per il transito di centinaia di tunisini irregolari in attesa di essere imbarcati sui voli da Palermo per Tunisi. In nove giorni ci sono stati tredici interventi d'urgenza. “Ci sono notti che entro nel bagno e mi sembra di vivere un film horror. Il sangue è dappertutto, qui ci sono ragazzi che si tagliano e mangiano vetro e ferro”, continua, “questi cercano di farvi credere che tutto va liscio ma non è affatto così. Reda è stato imbottito di Rivotril, un ansiolitico, guardategli gli occhi spenti. Un ragazzo di diciannove anni con gli occhi spenti”. Wilson l'ha detto il primo giorno che è arrivato al Cie: “voglio tornare a casa, in Albania, a Valona. Questo posto è un inferno me ne voglio andare e sono ancora qui. Perché? Molti hanno paura di parlare con voi davanti alla polizia, ma io no. Lo sai cosa dice il maresciallo quando succedono queste cose?”, Wilson guarda negli occhi gli agenti che ci stanno scortando e continua gridando, “dice che se si è impiccato una volta lo può fare anche una seconda, se ha mangiato cento grammi di vetro ne può mangiare anche duecento. Ci prende in giro, capisci? Reda l'abbiamo salvato noi. Qui dentro la gente ci può morire, a loro non gliene importa niente”. (Dal Reportage di Alessio Genovese)

Torino: cie di C.so Brunelleschi
La notte del 18 giugno due ore di proteste al Centro di identificazione ed espulsione di Torino. Intorno alle 3 alcuni “ospiti” dell'area gialla e dell'area blu del Cie hanno dato fuoco ad alcuni materassi e sono saliti sul tetto. La protesta é stata monitorata dalla polizia e dopo due ore é terminata senza conseguenze. Ma mentre tutti sono scesi, uno è rimasto sul tetto. Martedì sera un breve e rumoroso presidio di solidali è andato a salutarlo, e lui è rimasto lì, determinato, a lottare contro la deportazione in Marocco: la sua città, del resto, è Torino, e le sue strade sono le nostre, quelle di Barriera. Il 21 giugno é ancora sul tetto del Centro, e siamo a giovedì. Nel pomeriggio, un altro saluto rumoroso da parte dei solidali di Barriera. Per questa volta l’espulsione è stata evitata. 1 luglio. La partita in effetti non era un granché, soprattutto se vista con gli occhi di chi bada di più ai colori della Nazionale che al bel gioco. E così, gol dopo gol, mano mano che la Coppa si allontanava, tanti hanno staccato gli occhi fino a quel momento incollati agli schermi. È per questo che è fallita l’evasione tentata durante la finale degli Europei dai reclusi dell’area viola del Cie di Torino: aggrappati a corde fatte con le lenzuola per superare le reti, speravano che i soldati fossero troppo distratti dalla partita per notarli. La partita non era abbastanza appassionante, e sono stati subito riacciuffati. Vaffanculo Italia, come al solito.

Gradisca D’Isonzo (Go): Continue tensioni
Il 21 giugno i reclusi del cie salgono sul tetto e minacciano gesti di autolesionismo, che ultimamente sono sempre più frequenti, per farsi sentire e vedere dalla delegazione di parlamentari del PD in visita quel giorno. Qui i reclusi non possono utilizzare la mensa e nemmeno il campo da calcio, per evitare sommosse. Hanno appena ristrutturato una zona che avrà 44 nuovi posti. Un marocchino decide di fare lo sciopero della fame e al quinto giorno si sente male, ma l’ente gestore Connecting People smentisce.

Bari: proteste al Cie di Bisceglie: due arresti
Il 15 giugno le agenzie sampa riportano che era in corso una protesta di alcuni detenuti contro il diniego per il riconoscimento dello status di rifugiato politico. I manifestanti avevano bloccato anche la strada, e per questo sono intervenute le forze di polizia per riportare la calma, ma i più agitati hanno aggredito gli uomini in divisa. In particolare i due cittadini del Mali, di 28 e 20 anni, che sono finiti in carcere con l'accusa per il primo di percosse, lesioni, resistenza a pubblico ufficiale, mentre per il secondo anche di tentato omicidio, detenzione e porto illegale di arma bianca. Quest'ultimo, nel tentativo di sottrarsi all'identificazione, si era rifugiato nella struttura e con un coltello aveva minacciato i militari.

Roma, Cie di Ponte Galeria: sempre più restrizioni
5 luglio. Attualmente sono 156 i reclusi del Cie, 59 donne e 97 uomini. Oltre metà degli alloggi del settore maschile è privo del sistema di aria condizionata, rimasto danneggiato durante le proteste dello scorso anno e mai riparato. Con le temperature elevate di questi ultimi giorni i detenuti sono costretti a stare all'aperto perché nelle stanze caldo e umidità sono intollerabili, cibo e medicinali a rischio deperimento. Oltretutto continuano a protestare per le restrizioni introdotte (metà di maggio) all’uso della mensa, in quanto possono accedere nel locale a gruppi massimo di 5 persone limitando il tempo di permanenza, così costretti a consumare gli sgradevoli pasti sui letti o per terra, non esistono altri suppellettili, rimossi per motivi di “sicurezza”.

Cie di Modena
E’ confermato il vincitore del nuovo appalto al Consorzio L’Oasi di Siracusa, la base d’asta d’appalto si è assestata su una cifra di 30€ per detenuto, meno della metà dei fondi disponibili durante la gestione della Misericordia.
21 giugno. A titolo informativo: a seguito di un’assemblea cittadina è stato deciso di lanciare una petizione per la chiusura del cie. Peccato che le petizioni non servano a nulla! 30 giugno. I lavoratori aguzzini e complici di questi lager hanno indetto lo sciopero presidiando davanti al cie per due ore contro il cambio di gestione a causa dei tagli del 60% di risorse. Cambiate lavoro!

Bologna, Ennesima evasione da via Mattei
Nel primo pomeriggio del 17 giugno, tre reclusi sono scappati dal Cie del capoluogo emiliano. Immediati i controlli nelle zone limitrofe alla struttura da parte della polizia, che ne ha preso uno.

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APRONO DUE NUOVI CIE
La "Direttiva generale del ministero dell'Interno per la gestione relativa al 2012" parla chiaro: "Sono state avviate - si legge - le procedure per la realizzazione di nuove strutture di trattenimento: una, nel comune di S. Maria Capua Vetere (Caserta), con una capienza di 200 posti e un'altra, nel comune di Palazzo S. Gervasio (Potenza), con una capienza di 100 posti". Questi si vanno ad aggiungere ai 13 cie-carceri già presenti; in tutto sono 29 le strutture d’internamento per senza documenti tra Cie, Cara, Cda, con una capienza totale di 7.653 posti.
E’ un sistema infernale con appalti milionari e violazioni dei diritti umani. Con i cambi di governo sulle due sponde poco o nulla è cambiato delle politiche migratorie dei paesi affacciati sul Mediterraneo. L’accordo, sottoscritto lo scorso 3 aprile tra la Ministra Anna Maria Cancellieri e il Ministro dell’Interno libico Fawzi Al Taher Abdulali, ha riconfermato la politica dei respingimenti in mare e dei centri di detenzione in territorio libico. Il testo dell’accordo parla della costruzione di un “centro sanitario a Kufra, per garantire i servizi sanitari di primo soccorso a favore dell’immigrazione illegale”. Ma Kufra – luogo di passaggio per molti migranti provenienti da Egitto, Sudan e Ciad e diretti verso le zone industriali della Libia o i paesi europei – non è mai stata sede di un centro sanitario, né tantomeno di una struttura di accoglienza. In questi anni Kufra ha invece ospitato un durissimo e disumano centro di detenzione per migranti, luogo di torture, abusi e stupri, la cui costruzione era stata finanziata dall’Italia nel quadro degli accordi con la Libia. Oggi, i due paesi continuano ad accordarsi per mettere a rischio la vita delle persone e il linguaggio delle garanzie sanitarie non serve a nascondere le scomparse e le morti causate da queste politiche. Complimenti Mario Monti e AnnaMaria Cancellieri perché non andate a soggiornarvi per le vacanze?!

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Migranti-schiavi nella campagna di Alessandria
28 giugno. Da una settimana i lavoratori di un’azienda agricola nelle campagne tra Tortona e Castelnuovo Scrivia (provincia di Alessandria), in massima parte marocchini, hanno istituito un presidio permanente lungo la strada statale poichè da mesi non vengono pagati. La ditta per la quale lavoravano è stata chiusa dai carabinieri dopo che è emerso che molti di questi lavoratori erano in nero. La solidarietà da parte degli abitanti del luogo va pian piano crescendo: questa mattina al mercato di Castelnuovo è in corso una raccolta fondi per permettere a questi lavoratori di proseguire la loro lotta. La maggior parte di essi è senza documenti, c’è la possibilità che grazie a questa mobilitazione ricevano un permesso di soggiorno legato al fatto di avere denunciato la propria condizione di schiavitù.

ULTIME DAL CONFINE
10 giugno, Crotone. Due sbarchi partiti da Izmir, in Turchia, sono arrivati uno a Strongoli con 113 persone, l’altro a Isola Capo Rizzuto con 43persone. Sono afghani, siriani e iracheni, del gruppo fanno parte 68 minori. (Ansa)
19 giugno, Italia. Naufragio davanti alle coste di Leuca, in Puglia, 8 dispersi in mare (Ansa)
23 giugno, Italia. Si erano nascosti sotto un tir per imbarcarsi sul traghetto della Superfast in partenza da Patrasso (Grecia) per Ancona. Ma al momento dello sbarco sono stati ritrovati senza vita, soffocati durante il tragitto. (La Repubblica)
29 giugno, Italia. Ritrovato dai pescatori un cadavere in mare, a dieci miglia dalla costa di Racale, Lecce, e a sole sei miglia dal luogo dove era avvenuto il naufragio dieci giorni fa. (La Repubblica)

FRANCIA: NIENTE PIU’ DETENZIONE PER I SENZA DOCUMENTI
Patrice Spinosi è un avvocato tra i fautori della lunga battaglia che ha portato a questo provvedimento il 5 luglio dalla Corte di Cassazione, ora, hanno detto i più alti magistrati, gli agenti di polizia francesi non potranno più arrestare uno straniero soltanto a causa della sua situazione irregolare. Con il nuovo provvedimento un straniero sospettato di un qualsiasi reato potrà essere tenuto solo per quattro ore in custodia cautelare per gli accertamenti. Se la persona in questione non possiede il permesso di soggiorno, questo non significherà necessariamente che sarà rimandato nel suo paese d’origine.
Il ministro dell’Interno, Manuel Valls, ha comunque annunciato la necessità di adottare una legge (di cui si discuterà probabilmente il prossimo settembre) che “dia base giuridica” al provvedimento in questione. Che dire... tutti in Francia!

Milano, luglio 2012
Lettera dal carcere di Spoleto (PG)
[…] sappi che ho 34 anni, fra pochi mesi 35. Da minorenne sono stato trascinato nel bidone della spazzatura dei potenti. Sono da quasi 12 anni rinchiuso, solo una breve pausa nel 2005, che mi hanno concesso solo per 8 mesi […] Da allora forse uscirò nel 2028, grazie ai “processi” farsa, con accuse ridicole e inventate spesso e volentieri dai P.M. di turno, con il solo scopo di far carriera sulla pelle di miei alcuni amici, che tuttora soffrono, anche di restrizioni carcerarie da tortura (per un nonnulla) […] Non sono come le carte processuali mi descrivono, 416 bis ecc., ecc. Tutta una montatura. Nella mia città mafia non ce n’è mai stata, solo piccoli delinquenti che ci scanniamo tra di noi, come scemuniti, non sapendo, per ignoranza, che tutto il sistema dei potenti […] ci ha imposto questo fin dalla nascita.
Spero, prima o poi, che tutto questo schifo possa finire, purtroppo troppa gente ha ancora gli occhi bendati e sanno solo giudicare a prescindere.
La situazione carceraria, come sapete benissimo, va di male in peggio, come so anche essere per quei poveri ragazzi dei centri di espulsione. Ho conosciuto in tutti questi anni tanti stranieri, che purtroppo sono finiti in quei lager di stato, alcuni sono scomparsi, nessuno sa dove sono finiti, mi vengono le lacrime di rabbia solo a pensarci! Sembra di ritornare indietro nel tempo, quando li portavano ai forni crematori, sembra che da allora niente sia cambiato, che vergogna sti ipocriti di merda (che ci governano).
Non me ne intendo di politica, non sono schierato con nessuno, ma ho un sogno, fare come i miei parenti, nonno e zio, che, ai tempi dei nazisti, li bombardarono alle porte della città vecchia, facendoli saltare in aria con le ananas, liberando il quartiere. Tutt’ora la gente vecchia se lo ricorda e ogni anno c’è una festa, per ricordarli, per il rischio che hanno corso per il bene di tutti. Non si sono fatti spaventare dalle conseguenze. Se il buon sangue non mente...
Riguardo a questa discarica sociale […] quando mi hanno trasferito, siamo partiti in sei, tre italiani e tre stranieri, due tunisini e un albanese. Da allora, più di due anni fa, se non era per le nostre famiglie che ci danno un po’ di soldi, morivamo di fame. Non abbiamo mai ricevuto l’indispensabile come carta igienica, spazzolino e tutto il resto […] qui non ti danno niente. Purtroppo i miei amici, non avendo la possibilità di comprare, volevano, come giusto sia, protestare, ma li prendono in giro, facendoli lavorare con una paga da miseria, sembra che gli fanno l’elemosina, ma purtroppo non capiscono che così vengono umiliati e schiavizzati. Da tempo faccio di tutto per farglielo capire, ma sembra un lenticchia in un sacco da un quintale, ma non mollo mai! Tutti questi anni mi hanno indurito al massimo, a niente e a nessuno permetterò di cambiarmi, il carcere non fa che peggiorarmi, ma può essere utile se dai un senso alla vita, per migliorare le cose e lottare con gli abusi.

22 giugno 2012


lettera dal carcere di fossano (cn)
Ciao compagni/e di Olga, ho ricevuto l’opuscolo 69 e grazie per l’attenzione data al mio scritto. L’opuscolo l’ho letto tutto con attenzione ed è stato anche spunto di riflessione sulle varie argomentazioni. Il periodo storico in cui stiamo vivendo è molto acceso e pieno di problematiche, ma non perdiamo di vista che quanto sta accadendo non è frutto della casualità ma bensì di strategie politiche ben pianificate e strutturate dall’elite politica economica. Le varie guerre sparse nel globo e le varie crisi sono, a mio avviso, solo una parte dell’ iceberg, ci aspettano ancora altre sorprese, tra qualche anno saremo ancora più in miseria, al punto che tanta gente andrà a raccogliere l’erba nei campi e dissotterrerà radici commestibili per sfamarsi. Sarò forse esagerato nella mia visione della realtà, ma le informazioni, quelle poche che giungono al mio cervellino mi fanno dedurre ciò. Scoprire l’acqua calda e gridare Eureka, Eureka è solo favola per bambini ormai, purtroppo le situazioni in corso sono serie, ma come al solito il popolo dorme.
Quando dico che il popolo dorme, non mi riferisco al popolo dei così chiamati liberi, cioè quelli che girano come intrippati nelle varie città d’Italia, ma anche al popolo dei carcerati che ormai pensano solo alla liberazione anticipata, alla semilibertà o ai permessi premio oppure a ottenere un lavoro come scopino o cuciniere nei vari carceri, svendendo la dignità per molto meno di ciò per cui si è fatti carcerare.
Sì ci vorrebbe una bella svegliatina a tutti quanti noi, e che si iniziasse a chiedere innanzi tutto a questi usurpatori di verità e di dignità e alle loro meschine regole di pagare pegno per quanto stanno facendo nei confronti delle masse di poveri cittadini nelle carceri italiane. Così come ho citato nel mio precedente scritto, riguardo al fatto che i carceri sono pieni ormai di stranieri senza il permesso di soggiorno, o per spaccio di droga o altre cazzate simili. L’altra buona parte sono rinchiusi nelle carceri dove ci sono sezioni AS alta sicurezza, altri sono al 41-bis. Hanno usato la strategia del dividi e impera, strategia degli antichi cesari romani, a quanto pare funziona. Poi ci sono i collaboratori che fanno parte di un’altra parte della divisione fatta dai cervelloni. Siamo combinati male, a mio avviso.
In carcere muore tanta gente, chi impiccata e chi soffocata, ma alla fine di tutti questi morti state sicuri che più di qualcuno voglia di suicidarsi non ne aveva proprio. Se malauguratamente capiti sotto un pestaggio delle guardie, può succedere che ci lasci le penne, e tranquilli che il soggetto potrà essere un futuro suicida. Mi rincuora il fatto che ancora non è giunta al termine la lotta, e che su questa terra camminano gli angeli con il cuore infuocato e con i loro piedi battono il crudo asfalto lasciando profonde orme. Mi rincuora il fatto che questi giovani e le loro libere menti non si arrendono davanti alle ingiustizie del mondo dei potenti capitalisti. Che le loro chiome non vengono porte e le loro ginocchia mai si piegano, mi rincuora il fatto che pur perdendo battaglie continuano la lotta.
Le mie ginocchia mai si piegheranno e la mia chioma ormai è persa in battaglia contro il male del fegato, l’interferone me l’ha scippata, ha vinto la malattia ma non il potere. Lotterò finchè vita avrò contro le ingiustizie, così come ho sempre fatto fin da quando ragazzino ho iniziato a ribellarmi, iniziando da mio padre. Ho un cervello che mai si farà condizionare, ho un’anima che mai venderò, e sarò per questo sempre padrone di me stesso. Di certo non sarò mai schiavo di nessuno e ora come ora ancor di più, il mio cuore sarà rivolto verso le stelle del Sud, verso oriente il mio spirito aleggerà sulle creste delle onde del mar Mediterraneo e sulla terra finchè vita scorrerà nelle mie vene, i miei piedi l’asfalto batteranno con forza, tanto da svegliare pure i morti che dormono. Se un giorno uscirò da questi luoghi infami e maledetti, andrò pure a fare un bagno, mi mangerò del pesce fresco in riva al mare e trascorrerò un po’ di tempo con la dolce compagnia di chi saprà accarezzare il mio cuore. Termino salutandovi tutti Saluto tutti i compagni/e di Olga di vero cuore. Con amicizia. Sveglia Popolo Sveglia.

25 giugno 2012
Francesco Carrozza, Via San Giovanni Bosco, 48 - 12045 Fossano (Cuneo)

Lettera dal carcere di San Gimignano (SI)
Cari ragazzi innanzitutto io ed Ago e tutto il CSG vogliamo vivamente ringraziare tutti i compagni e le compagne che ci hanno risposto con lettere solidali, materiale interessante e scambi di opinioni per noi vitali. Siamo consapevoli che, più che probabilmente, ciò che viene pubblicato su Ampi Orizzonti e simili, viene attentamente vagliato anche dalla Digos, dall'anticrimine e compagnia bella.. Siamo felici (anche se può sembrare strano) che anche i nemici leggano ciò che scriviamo, perché è proprio la coscienza dei padroni e degli oppressori quella che si dovrebbe sentire più "imbarazzata"... personalmente non ho paura di rendere noto ciò che penso e che intendo diffondere, i nostri ideali ed il nostro sdegno verso ciò che sentiamo e vediamo non ha nulla di imputabile e se così non fosse sarò pronto a rispiegare in aula ciò che credo e ciò a cui miriamo...
Siamo carcerati e quindi non imputabili per azioni sovversive, possono attaccarci per i nostri pensieri... bhè in quel caso sarei solo che orgoglioso di ripercorrere i passi di mio nonno che nell'era fascista era, orgogliosamente, un combattente partigiano miticamente evaso da un campo di concentramento in Austria... Con piedi lacerati ha sputato sangue su tutte le montagne passate per far ritorno in Italia e sposare mia nonna. La storia ci insegna che la rivoluzione è stata fatta da uomini da ideali puri che li smuoveva no... oggi la nostra generazione è "rincoglionita e confusa" dalle false fiabe che ci propinano i mezzi di informazione. E’ nel profondo del nostro cuore e orgoglio che sentiamo il germogliare di qualcosa di migliore; è ogni singolo compagno, libero o detenuto che sia, che può far partire una propria rivoluzione in "primo" personale e poi, aggregandosi ai compagni, quella sociale.
Il 95% dei detenuti in Italia è diviso da mille barriere interne, la nazionalità, la religione, il voler o non voler prendere i giorni di buona condotta...
Ragazzi il nostro appello è questo: c'è qualcosa di più bello e forte che ci può unire rispetto a tutto il resto che ci divide... Uniamoci per il nostro bene e quello del popolo... La rivoluzione è qui... è oggi... è dentro di me e sono certo lo sia anche in voi... alziamo con fierezza le teste, aiutiamoci a vicenda a svegliarci, riprendiamoci i nostri diritti, le nostre vite, fuori i coglioni ed il cervello ragazzi, chi ci comanda non è superiore a noi ricordiamocelo!!!
Solidarietà ai compagni cduti nell'operazione "umbra" denominata "Ardire"... Teniamo vivi i nostri contatti. Grazie di cuore a tutti perché siete belli dentro.

fine giugno 2012
Eric Bozzato e Agostino Balsamo, via Ranza, 20 - 53037 San Gimignano (SI)


lettera dal carcere di como
Ciao compagni, vi scrivo per comunicarvi che mi hanno nuovamente trasferito; da Bergamo a Como. Sto giro non sono sicuro dell'esatto motivo del trasferimento ma penso di poter dire che mi hanno trasferito perché a Bergamo c'era fermento e ci si stava organizzando per fare qualcosa contro la situazione carceraria e visto che sanno dei miei precedenti e visto che da Cremona ero stato trasferito per "problemi di sicurezza" eccomi qua a scrivervi dal lager di Como.
La situazione a Bergamo non è che sia proprio sull'orlo di una rivolta ma sembra, più che altro da immigrati, che si stia creando una certa consapevolezza che tutti insieme ci si può far sentire e ottenere piccole cose e poi chissà, ovviamente la spontaneità, dovuta alla rabbia, la fa da padrone e per assurdo, secondo me, sono i detenuti italiani stessi che cercano di placare questi piccoli fuochi, mi dispiace dirlo ma secondo me i più sono "addomesticati" per bene da false promesse e finti benefici, lo so sono parole dure e a tanti potrebbero dar fastidio ma so che se io leggessi ste' cose sarei razionalmente d'accordo; è triste ma quello che vivo qua dentro è questo e sono anche convinto però che la rabbia monta e, piano piano, la voglia di fare qualcosa riprenderà anche i più disillusi e scettici e allora, come dico io, ce la si può giocare!!!
La cosa che mi dispiace di più, oltre che ora non sono più vicino a casa, è che mi hanno trasferito proprio ora che iniziavo ad avere più considerazione e rispetto (visto che essendo anarchico purtroppo tanti erano ostili) per il mio modo di partecipare attivamente alle lotte portando idee e voglia di fare, iniziavano a cercarmi per confrontarsi sul da farsi ed avevo la sensazione di essere ascoltato (sarà forse per questo che mi hanno trasferito? Ma nooo che dico!!! ah ah ah tanto per sdrammatizzare).
Parlando di Como devo dire che purtroppo, come anche a Cremona e Bergamo, i fasci mettono troppo fuori la testa e, cosa ancora più triste, è che i più hanno paura e non dicono niente, io stesso sono a disagio per questa situazione; la testa gliela mozzerei (è dura essere antifascisti in carcere per lo meno dove sono stato io) ma devo purtroppo, a volte, mangiarmi il nervoso, ma se mi cercano mi trovano, gliel'ho anche fatto capire, vedremo!!!
Purtroppo è deleterio anche essere vegetariani in carcere non ti danno niente di diverso se non patate bollite, sto diventando una patata ambulante! Ah ah ah scherzo, comunque se si è vegetariani devi spendere un bel po' di soldi, che già si sanno i prezzi del sopravitto.
Comunque come sempre tengo duro su tutti i fronti, anzi, facendo così non fanno altro che fomentare la rabbia che c'è in me, che è già oltre il limite, e arriverà il momento giusto per farla esplodere. Intanto paziento e "lavoro" per far arrivare il momento continuando, giorno dopo giorno, a lottare senza paura!!! Un grosso saluto dal lager Bassone. A sara dura!!! No Tav; tutte/i libere/i; destroy the capitalism; no galere no cie; l'amore per la libertà è più forte d'ogni autorità. Sempre libero.

Lager il Bassone, 20 giugno 2012
Stefano Agazzi, via Al Piano, 11 - 22100 Albate (Como)

***
presidio al carcere del bassone (como)
Martedì 3 luglio dalle 18 alle 21 presidio al carcere Bassone di Como.
Ad un anno dalla settimana anticarceraria che ha unito le lotte di prigionieri e prigioniere all'interno di molti carceri italiane torniamo sotto le mura del lager Bassone per sostenere la rivolta dei detenuti del 23 giugno scorso. A seguito della totale mancanza d'acqua circa 200 detenuti si sono rifiutati di rientrare nelle celle, incendiando materassi e bombolette del gas.
SOSTENIAMO LE LOTTE DEI/DELLE PRIGIONIERI/E IN TUTTE LE CARCERI!!


22 luglio: presidio al carcere di cremona
SAPPIAMO che il carcere di Cà del Ferro è sovraffollato all'inverosimile; stando ai dati diffusi dal D.A.P. vi sono rinchiuse quasi 400 persone, per la maggior parte stranieri, su una capienza di meno di 200. La stessa situazione si vive negli altri istituti di pena in Lombardia.
SAPPIAMO quanto è difficile accedere alle cure mediche più comuni e quanto invece sia facile ricevere la propria dose quotidiana di psicofarmaci. In carcere si entra sani e si esce malati.
SAPPIAMO quanto sia difficile accedere ai colloqui con educatori, psicologi e mediatori culturali, talvolta indispensabili per l'ottenimento degli arresti domiciliari.
SAPPIAMO che con l'arrivo dell'estate e del grande caldo le condizioni igieniche e di vita peggiorano ulteriormente.
SAPPIAMO che le strutture sono fatiscenti ed insufficienti perché lo scrivono i detenuti con cui corrispondiamo personalmente, ma anche perché se ne lamentano gli stessi sindacati di polizia penitenziaria: se la situazione “non è dignitosa” per gli agenti, figuriamoci per chi in quelle celle è rinchiuso!
SAPPIAMO che le ultime riforme fatte dal Ministero di Giustizia hanno aumentato la differenziazione e questo ha reso ancora più insopportabile la detenzione.
SAPPIAMO che il carcere altro non è che un luogo di annientamento e tortura fisica e psicologica; una vera e propria discarica sociale riservata a chi è costretto dalle proprie condizioni materiali a vivere fuori dalla “legalità”, a chi non accetta passivamente ma lotta contro questo sistema che genera disuguaglianze e sfruttamento.
PERCIO' SAREMO DOMENICA 22 LUGLIO 2012 dalle ore 18 sotto al carcere di Cà del Ferro per portare la nostra solidarietà ai detenuti e ai loro familiari. Saremo presenti con musica e microfono aperto ed invitiamo tutti a partecipare portando il proprio saluto a chi sta al di là del muro. BASTA GALERE!

26 giugno 2012
Solidali di Crema e Cremona
cip via mulini, 1 - crema


lettere dal carcere di san vittore (mi)
Ciao carissima e ciao cari compagni di Ampi Orizzonti, ho ricevuto l’opuscolo maggio 69 il 19 giugno, stesso giorno del processo, con grande piacere.
Vi ringrazio per la vostra solidarietà e per la vostra presenza al processo. Oggi a San Vittore, tutti noi detenuti siamo in sciopero della fame da 2 giorni perché non c’è acqua, né per fare la doccia né per preparare qualcosa da mangiare; oltre questo il carcere è sempre pieno di detenuti, ne esce uno ne entrano più di 20. In più c’è un detenuto che ha male all’orecchio, ha chiesto di poter avere la terapia ma l’infermiere ha detto che non hanno medicinali per le orecchie e che dovrà aspettare un “tot” di giorni. Ora vi saluto, a tutti voi un grande abbraccio. Vi ringrazio anticipatamente da tutti per tutto. Ciao cordiali saluti

22 giugno 2012
Ben Rahal Nsiri, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano

Da questa lettera e da notizie avute da altri detenuti si apprende che lo sciopero è iniziato il 20 giugno e finito il 23 giugno, per lo più nel V e VI raggio, in quei giorni è stato fatto anche lo sciopero della spesa e ogni sera alle otto una sostenuta battitura ed altre improvvisate durante la giornata.
La sospensione dello sciopero potrebbe essere dovuta alle promesse di interessamento fatte dalla “Commissione speciale concernente il sistema carcerario in Regione Lombardia” così come accaduto per le proteste a Brescia e a Como. Agenzie stampa riportano che il 29 giugno, Stefano Carugo (PDL), presidente di tale commissione così si era così espresso: “Oggi è il settimo giorno di sciopero della fame dei detenuti del carcere di San Vittore a Milano. A nome della Commissione chiedo loro di sospendere lo sciopero, assumendo un comportamento di dialogo e collaborazione così come avvenuto in altre carceri”. A parte la discordanza sulla durata della protesta, invitiamo tutti a diffidare dalle promesse, sempre velate da minaccia, di questi signori e a sviluppare forza, determinazione e organizzazione in modo autonomo.
Infine, brevemente, il 30 giugno si è tenuto un presidio sotto il carcere di San Vittore per sostenere i detenuti in sciopero e le loro giuste rivendicazioni. Abbiamo girato intorno il carcere in un centinaio, scandendo slogan e interventi e scoppiando qualche petardo, soffermandoci sotto al V e VI raggio e ricevendo da più parti urla di complicità. Al presidio hanno preso parte anche alcuni familiari.

***
[…] San Vittore: la situazione in cui siamo costretti a vivere si sa che è inaccettabile, come sapete trascorriamo 24 ore al giorno chiusi in "gabbie" come animali velenosi, le celle piene di scarafaggi. Quando ti tocca di telefonare, per forza, devi rinunciare ad uscire all'aria e anche alla doccia. Poi, con il caldo e le celle che sono 2x4 metri viviamo in 6 o 8 persone, dobbiamo fare la fila per andare in bagno.
Per uscire nel cortile dell'aria trovi la folla e ti senti stressato, depresso; il rubinetto non funziona, il gabinetto non si può avvicinare perché la sua puzza è indicibile. La ginnastica, come sappiamo, è utile per il fisico, prima di tutto, poi per il morale ma qua, al 6° raggio niente, c'è soltanto il cortile dell'aria dove si gioca a calcetto anche senza tappeto quindi è inutile rischiare la salute. Non abbiamo armadietti dove mettere i vestiti; il potere dice di arrangiarsi con i borsoni; per qualsiasi cosa non vogliono sentire storie: sanno già tutto.
Per quanto riguarda il trattamento penitenziario non significa: dare fiducia. Deve essere rieducativo non discriminare la gente. I criminali sono loro; veri vigliacchi e assassini, soprattutto non devono fare differenze di razza.
Cari volevo dirvi che il giorno 20 e 21 giugno abbiamo protestato, con grida e con lo sciopero del carrello e della spesa, contro le condizioni e contro la repressione che qui è tanta. Eravamo contenti ma c'è chi non ha resistito per avere quello che ci tocca!!! Qui chiamano a lavorare chi vuole essere uno schiavo, infatti ho rifiutato questo lavoro, la dignità viene prima del bisogno...
Cari amici di Ampi Orizzonti, sono solidale, ho tanta voglia di imparare, soprattutto da voi, aiutatemi a capire di più, per questo con umiltà vorrei affiancarmi al vostro movimento, anzi voglio lottare, ribellarmi contro quegli stronzi, merdosi, arroganti che dettano legge... Ho avuto il piacere della conoscenza di L. in quanto era il mio compagno di cella, quando è uscito mi sono spostato di cella accanto a M...
Per ora non mi resta che salutarvi con stima, alla prossima spero!!!
Vi invio i miei rispetti più profondi a tutti voi amici di Ampi Orizzonti, Ciao. Il mondo è grande, tocca il cuore, spacca il mondo.
Da Parte di un cittadino del mondo.
Mi fa sempre tanto piacere ricevere notizie da voi! Non so scrivere l'italiano bene però lo capisco...

25 giugno 2012
El Harda Abdelkhalak, piazza Filangeri, 2 - 20123 Milano
lettera Dal carcere di Siano (cz)
Note a margine di un processo.
Tra il 15 ed il 28 maggio ho sostenuto un processo a Milano. Ne hanno parlato i giornali e quindi non ne parlerò in merito se non per dire che è stato tenuto con gran celerità; cioè fissato prima ancora che fossero note le motivazioni del rinvio da parte della Cassazione. Questo per impedire la scarcerazione per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva.
Ho potuto così aver conferma che la qualifica di 'AS2' implica che quando ti muovi per processo sei destinato alle celle d'isolamento. Ne avevo già avuto esperienza ma pensavo che fosse un caso; ma sia sentendo l'esperienza d'altri e quest'ultima che ha riguardato sei persone, nonché la conferma da parte di un graduato, sul caso specifico, posso affermare che questa sia la norma.
Siamo così tornati ai primi anni '70, prima dell'apertura degli speciali, quando i 'politici' e i 'pericolosi' in genere, transitavano da una sezione d'isolamento all'altra. Questo perché le sezioni AS2 sono poche e periferiche (Calabria e Sardegna) ma soprattutto per una scelta precisa che persegue l'isolamento come pratica diffusa e mirata.
Come ciliegina, subito dopo il processo una perquisizione con sequestro di corrispondenza, riviste ed altro, per il reato di "istigazione alla violenza". Rappresaglia evidente alla solidarietà avuta anche in questa occasione. A questo è seguito il viaggio di ritorno a Catanzaro, al contrario di quello d'andata, durato due giorni, in aereo.
Sorvolando le zone colpite dal terremoto, pensando a coloro che magari avrebbero avuto più bisogno dei soldi sprecati in queste costose deportazioni da un capo all'altro d'Italia. Saluti comunisti.

Giugno 2012
Bruno Ghirardi, via Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (CZ)


lettere dal carcere di Prato
Buon giorno cari amici e compagni, ho ricevuto da voi l'opuscolo di maggio e vi voglio ringraziare per il sostegno però non bastano le parole in confronto alla nostra gratitudine per quello che voi fate per noi.
Come nelle altre carceri, anche qui, le cose stanno peggiorando sempre più, ci hanno tolto il lavoro e, quando è il tuo turno di lavorare, dopo 7/8 mesi, si può lavorare soltanto 15 giorni e tante sono le persone qui che non hanno nessuno per aiutarli.
Si continua ad avere un mangiare schifoso e le condizioni precarie nelle quali viviamo ci fanno essere giorno dopo giorno più delusi e demoralizzati. Poi ci sono delle persone che non ce la fanno a resistere e cercano di farsi male e alcuni di loro ci riescono.
Circa venti giorni fa qui è morta una persona che aveva più di settant'anni, alla quale mancavano un braccio e una gamba, io mi domando: dov'è tuta la legalità e il rispetto, almeno per le persone anziane; in che mondo siamo?
Io non volevo credere a tutto ciò però vivendolo e sopportandolo sulla mia pelle sono sempre più arrabbiato contro la classe politica; anche su questo ministro di giustizia che protegge le persone che veramente devono essere qui con noi: con quelli che hanno sbagliato e pagano. Tutti dobbiamo pagare per quello che abbiamo fatto perciò pure loro: quelli che conducono i quali riempiono i loro conti con le famose mazzette.
Tutto il peggio che noi sopportiamo qui possiamo andare avanti grazie alle nostre famiglie e a voi che ci ascoltate e vivete la nostra sofferenza cercando di aiutarci.
Io vorrei chiedere a tutti gli amici e compagni rinchiusi o liberi di aiutarci comunicando tramite posta a cambiare le nostre idee per cercare di trovare una soluzione per noi, quelli chiusi, quanto anche alle persone libere ma costrette a sopportare queste prepotenze da parte del governo Monti, o chi altro sia. Solo comunicando tra di noi possiamo allargare il nostro idealismo e avvicinare più persone alla nostra battaglia e, più di tutto, essere uniti. Nessuno può comandare sulla nostra vita.
Ringrazio gli amici anarchici, quelli che mi conoscono e quelli che non mi conoscono, voglio salutare specialmente E. di Reggio e M. di Firenze.
Con rispetto e ammirazione un vostro amico
PS: chi vuole scrivermi posso dire che avrà una risposta garantita
Viva l'amicizia e la libertà. Sempre a testa alta!

22 giugno 2012
Florin Cutas, via La montagnola, 76 - 59100 Prato


***
[…] Circa 14 giorni fa è morta una persona che non poteva stare in carcere; mi spiego meglio: questo signor Palumbo, età 68 anni, era uscito ai domiciliari. Doveva fare pochi mesi ma , per farla breve, glieli hanno presto revocati. Ma il punto è che questo signor Palumbo soffriva di diabete e di cuore, prendeva il metadone ed era mutilato alla gamba e al braccio sinistro. Mi domando come sto merda del dirigente sanitario che sapeva benissimo di questo signore, minimo, non l’ha messo in un centro clinico. Praticamente lo hanno messo in cella con due neri (uno gli faceva da piantone) che non parlavano l'italiano; immagina quanto ci hanno messo per dare l'allarme alle 4 di mattina. Come ti ho sempre detto in questo carcere ci vorrebbe un mare di inchiostro per segnalare il malessere sanitario ecc. ecc. […]
Saluto Ceccaccia Idoletto rinchiuso c.c. di Viterbo e 2 cicci e Sandro calabresi in Prato. Ciao Olga.

Prato, giugno 2012
Domenico Gabelli, via La montagnola, 76 - 59100 Prato


lettera dal carcere di velletri (roma)
Ciao a tutti/e, è un po’ di tempo che non vi scrivo, eppure avrei dovuto farlo, in quanto un po’ di cose sono accadute qui, in quel di Velletri.
Attualmente le sezioni 2-3-4 sono state prese di mira da tutta la polizia penitenziaria, perquisizioni in continuo, quando si esce all’aria come nelle celle e tante altre squisitezze che ci fanno fare la galera doppia. Tutto perché da un po’ di tempo i detenuti si ammazzano di botte, gambe di tavolo sparsi nei corridoi e televisori rotti non si contano più. Così come non si contano più le teste rotte ed i tentativi di suicidio, insomma un bordello. Ed io che avevo previsto di farmi questi ultimi tre anni di galera in pace, facendo scorrere il tempo a mia insaputa, ho dovuto ricredermi. Chissà da dove giunge tutto questo malessere, chissà se vale la pena reagire così e se i teorici della rivoluzione traino formule adeguate ai loro sogni. Fatto sta che nella merda ci troviamo un po’ tutti e val la pena di chiedersi se ci conviene finirci ancor di più.
Pessimismo a parte la corrispondenza con i/le compagni/e mi aiuta ad allietare le giornate, specialmente quando ci si riesce a confrontare in una sana dialettica, senza arroccamenti o posizioni dogmatiche. Vi comunico che il compagno Caputi si trova agli arresti domiciliari [arrestato in seguito agli scontri a Roma del 15 ottobre 2011, NdR], concessi dal tribunale della libertà, speriamo che l’appello gli ridimensioni le sue ipotetiche responsabilità di quanto contestatogli, e non torni più in questo posto.
Colgo l’occasione per ringraziarvi ancora una volta così come ringrazio quei/lle compagni/e che corrispondono con me e mi inviano tanta documentazione. Un abbraccio fraterno.

18 giugno 2012
Andrea Orlando, Via Campo Leone, 97 - 00049 Velletri (Roma)


è INIziato il PROCESSO ai NO TAV
Sono iniziate il 6 luglio le udienze preliminari al maxiprocesso per gli attivisti no tav. Le accuse sono genericamente di violenza, resistenza, danneggiamento, concorso morale, travisamento ecc: tutto per le giornate di ampie mobilitazioni avvenute l’estate scorsa in Valsusa dove avvenne una risposta compatta e decisa alle violenze della polizia.
A 6 mesi da quelle giornate, il 26 gennaio 2012 è scattata una retata in tutta Italia, partita dalla Procura di Torino con perquisizioni a tappeto e 26 custodie cautelari in carcere e domiciliari e molte restrizioni (3 compagni sono tutt’ora reclusi in carcere). Gli imputati sono 46. La sproporzione dell’atto repressivo, ha svelato il lato politico dell’inchiesta fin da subito, oltre ad essere un attacco contro il movimento no tav e chiunque si opponga alle manovre dettate dall’alto cercando anche di impaurire le persone e indurre alla rassegnazione totale!
Ricordiamo i tempi record sul come sono state fissate queste udienze preliminari: il 21 luglio sarebbero scadute le custodie cautelari e dunque i tre compagni ancora in carcere e chi è ancora ai domiciliari sarebbero stati liberati ma vi è la volontà ferrea di accanimento totale e continuo da parte dell’accusa.
Le udienze preliminari sono a porte chiuse. Nella prima udienza, sono state rigettate dai giudici tutte le richieste di nomina e altre questioni tecniche fatte dagli avvocati della difesa. Ampio spazio agli avvocati dell’accusa dove c’è una lista enorme delle parti offese e chi si costituisce parte civile: molti agenti di polizia, sindacati di polizia vari e alcune aziende coinvolte nei lavori per il tav . Fuori dall’aula, era presente un folto presidio molto sentito e deciso che dimostra la continua solidarietà e vicinanza agli imputati.
La seconda udienza ha visto l’accusa iniziare ad argomentare e difendere i teoremi dell’inchiesta. Gli accusatori hanno “giocato d’anticipo” sulla questione della legittimità dei concorsi morali, in breve, il fatto che alcuni imputati siano colpevoli solo per essere stati presenti fra le migliaia di persone in quelle giornate e in quei luoghi.
Gli avvocati della difesa hanno richiesto formalmente l’acquisizione di filmati nella totalità, dato che quelli che ci sono fin’ora mostrano solamente condotte “ambigue e/o violente degli imputati” contro la polizia ma sono state omesse le violenze della polizia; questo a conferma della totale parzialità dei tribunali. La richiesta è stata rigettata dal giudice anche se comunque sono già pronti molti filmati più completi e una contro-inchiesta del movimento no tav con filmati e foto che almeno contestualizzano le vicende.
Questi sono alcuni aspetti di un processo che sarà molto lungo e intrecciato di questioni tecniche da affrontare senza dimenticarne il carattere politico e la rivendicazione di quelle giornate. Quasi tutti gli imputati andranno al dibattimento, facendo il rito ordinario che permette di poter continuare la battaglia anche all’interno dell’aula processuale contrariamente ai cosiddetti “riti alternativi” (patteggiamento, rito abbreviato) che, con diverse sfumature, accettano un piano di contrattazione con lo Stato che se da una parte “premia” con lo sconto di pena di un terzo e dall’altro impone un riconoscimento di colpevolezza e una “resa”. Per ora vi è l’ufficialità di un solo patteggiamento.
Ad oggi sono fissate altre tre udienze fino a venerdì 13.
I tre compagni in carcere sono tenuti nelle "gabbie" e separati dagli altri-e.
Ora e sempre no tav! Ora e sempre resistenza!

Milano, 11 luglio 2012

***
Maurizio Ferrari, via Roncata, 75 - 12100 Cuneo
Alessio Del Sordo, via Pianezza 300 - 10151 Torino
Juan Antonio Sorroche Fernandez, via Beccaria, 13 - Loc. Spini di Gardolo - 38014 Gardolo (TN)
Marcelo Damian Jara Marin, dal 22 giugno trasferito ai domiciliari


No Tav: Ancora due resistenti colpiti dalla repressione
Mentre siamo giunti quasi ad un anno dallo sgombero della Maddalena e dal 3 luglio, il teorema giudiziario della procura della Republica di Torino, guidata da Gian Carlo Caselli non si ferma, e scattano nuoe misure cautelari. Luca, 20 di Vaie, valsusino e Elena, 25 anni di Bologna sono stati colpiti da provvedimenti di arresto e privazione della libertà, nello specifico Luca ha l’obbligo di dimora, mentre Elena è agli arresti domicialiari.
Dopo un anno, continuiamo a scoprire il “metodo” giudiziario contro i notav, colpevoli di non arrendersi, nemmeno oggi.

COMUNICATO SUI PROVVEDIMENTI DEL 25 GIUGNO
AI RESISTENTI NO TAV ELENA E LUCA
RILANCIAMO LA SOLIDARIETA’ A TUTTI I PRIGIONIERI NO TAV!
RILANCIAMO LA LOTTA!
Il 25 giugno 2012 Elena, una compagna di Bologna, viene messa agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni nella provincia di Lecco. Luca, un altro resistente NO TAV di Vaie (TO), viene sottoposto al provvedimento di obbligo di dimora. Per entrambi l’accusa è di aver partecipato il 3 luglio 2011 al corteo NO TAV in Val Susa e di aver commesso, in quell’occasione, atti violenti contro le forze dell’ordine che avevano militarizzato la zona dove, mesi dopo, è sorto il cantiere dell’alta velocità Torino – Lione e dove, fino a pochi giorni prima, c’era la Libera Repubblica della Maddalena.
Ci teniamo a ricordare ciò che accadde in Valle quasi un anno fa, per riportare quei fatti alla mente di chi, pur distante geograficamente, sente l’importanza della lotta che da oltre 20 anni tiene vive quelle montagne. Lotta che non è fatta solo a nome e per mano dei valsusini ma che, da sempre, ha trovato il sostegno concreto di tantissimi solidali. Questa specificità della lotta NO TAV ha portato il 26 gennaio 2012 all’arresto di 26 persone presenti in Valle la scorsa estate. Tre di questi compagni sono tutt’ora in carcere, mentre gli altri sottoposti agli arresti domiciliari e a divieti/obblighi di dimora.
Il 27 giugno 2011 le forze dell’ordine sgomberarono militarmente la “Libera Repubblica della Maddalena”, una porzione di montagna della Valle dove il movimento NO TAV aveva dato vita ad un luogo libero dall’incombenza degli sbirri, una casa, un luogo di incontro e di lotta. Quello sgombero, attuato con modalità freddamente violente trovò una forte opposizione da parte dei presenti e portò al rafforzarsi del movimento, spingendo pochi giorni dopo (il 3 luglio, appunto) migliaia di persone ad arrivare sui sentieri della Valle per assediare i terreni occupati dalle forze dell’ordine.
Non è un mistero che il corteo, diviso in 4 spezzoni, volesse fare pressione sugli usurpatori di una terra teoricamente libera ma di fatto militarizzata. Prima ancora che i manifestanti raggiungessero le reti del cantiere i servi in divisa cominciarono a sparare lacrimogeni al CS ad altezza uomo, provocando numerosi e gravi feriti. Una delle zone più ferocemente difesa manu militari fu quella dell’area archeologica, con la conseguente distruzione di un patrimonio storico oltre che ambientale.
Chi era in quei boschi rispose e attaccò a sua volta nell’ottica di resistere all’usurpazione poliziesca.
Quattro persone furono arrestate e il 6 luglio 2012 comincerà contro di loro e contro altri 42 NO TAV un maxi-processo che proseguirà fino al 21 luglio per portare a termine la prima fase dell’accanimento giudiziario contro il movimento NO TAV. Luca e Elena invece verranno processati separatamente, almeno per ora.
Il procuratore torinese Caselli, artefice di questo mostro giudiziario, freme nel portare avanti le sue istanze liberticide e accelera i tempi giudiziari: il 26 luglio infatti, scadono i termini di custodia cautelare preventiva dei prigionieri NO TAV arrestati a gennaio. Sperando in una conferma delle misure cautelari da parte del G.I.P. Bompieri, Caselli e l’apparato repressore di cui fa le veci, stringono i tempi concentrando le udienze nel tempo record di poche settimane e sfornando magicamente in questo periodo i provvedimenti per Elena e Luca, per dare un chiaro monito a chi ancora continua imperterrito a lottare contro la realizzazione del progetto TAV.
Il tentativo poliziesco e giudiziario di dividere il movimento NO TAV tra buoni e cattivi non ha sortito finora nessun effetto e non ne sortirà. Il processo agli arrestati NO TAV è un processo all’intero movimento, alla molteplicità delle sue pratiche, alla sua determinazione e tenacia.
Siamo NO TAV perché siamo contro la distruzione dei nostri territori per il cieco arricchimento del capitale; perché la lotta ci ha visto uniti non solo quando eravamo tutti in Valle, ma anche quando, tornati nelle nostre città, abbiamo contrastato i meccanismi e i responsabili delle devastazioni dei nostri territori.
A fianco di tutti i prigionieri NO TAV chiusi nelle gabbie dello stato, dei prigionieri agli arresti domiciliari e dei prigionieri sottoposti ad altre misure cautelari.
Rilanciamo una solidarietà attiva continuando ovunque e con ogni mezzo sia la lotta contro la TAV sia l’attacco ad ogni nocività. LIBERTÀ PER TUTTI/E! A SARÀ DURA!

4 luglio 2012
Anarchiche e anarchici lecchesi


27 giugno 2011 – 27 giugno 2012: il tempo passa, la rabbia no!
A un anno dallo sgombero violento da parte delle forze dell’ordine della Libera Repubblica della Maddalena, più di cinquecento NoTav si incontrano in Val Clarea. Provengono da più parti, si formano piccoli gruppi che si dirigono, su per i sentieri, nei boschi, in direzione non cantiere. Il risultato dell’incontro, deciso la domenica precedente in un’assemblea popolare in valle, è un’azione che produce numerosi tagli alle recinzioni e vari danni alle protezioni del non cantiere, tra cui due torri faro che vengono manomesse. Dopo due ore di resistenza e attacco, sotto la solita pioggia di lacrimogeni e idranti, i compagni tornano verso Giaglione e Chiomonte. Ancora una volta, la valle che riesiste da prova di lucidità e prontezza.
A un anno dallo sgombero del territorio liberato in val Clarea, si ribadiscono con forza e determinazione le ragioni della resistenza attiva, che ha il suo epicentro nel campeggio a Chiomonte.
A un anno dallo sgombero, il territorio circostante la baita è presidiato da un numero spropositato di agenti di ogni tipo – dalla polizia, ai forestali, all’esercito - tutti attrezzati dei soliti CS e delle solite uniformi da robocop, comportando un elevatissimo livello di militarizzazione e controllo del territorio.
A un anno dallo sgombero, il territorio della baita rimane un NON cantiere, poiché nessuno degli usurpatori coinvolti sa indicare con chiarezza quando è previsto l’inizio dei lavori.
A un anno dallo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, il regime dello stato con i suo innumerevoli servi al seguito, stringe la morsa intorno ai 46 NoTav arrestati il 26 gennaio, per i quali avrà inizio il processo nel mese di luglio, con udienza preliminare il 6 a Torino.
La valle non si arresta, continua a rispondere colpo su colpo alle incursioni di chi vuole sedarla e addomesticarla: si organizzano i pullman dalla Valle e da tutta Italia per raggiungere Palazzo di Giustizia il 6 luglio, per rispondere al teorema di Caselli, che con i suoi arresti ha tentato di dividere e quindi placare – per ora senza riuscirci - il movimento NoTav, pescando all’interno della sua eterogeneità.
La Valle che resiste e che non si arresta è ormai ovunque, come dimostrano le azioni che proseguono su tutto il territorio nazionale: nella notte tra il 19 e 20 giugno compaiono due ganci sulla linea TAV Roma-Milano e viceversa, la rivendicazione che non porta firme perché non ne servono, chiede la libertà per tutti gli arrestati NoTav.
Dal campeggio permanente risuona un nuovo slogan: “voi in vacanza non ci andate”, per ribadire alla sbirraglia e ai suoi padroni che ‘a sarà düra”!

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No Tav Terzo Valico: espropri respinti!
Dopo la partecipatissima assemblea della scorsa settimana ad Arquata Scrivia (500 persone) l'opposizione al Tav Terzo Valico inizia a scendere sul concreto sull'altro lato dell'Appennino, a Serravalle Scrivia dove questa mattina la popolazione locale ed attivist* notav dell'alessandrino e di Genova hanno respinto ben 5 tentativi consecutivi di esproprio dei terreni e delle abitazioni.
Un buon inizio, asspettando la settimana calda (la prossima) del 16-17-18-19-20 luglio quando i tecnici del cociv tentreanno di prendere possesso dellàarea di via Moriassi ad Arquata Scrivia, dove troveranno ad attenderli un nutrito campeggio di notav.

10 luglio 2012
da infoaut.org

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Lettera di Luca Abbà, finalmente fuori dall’ospedale!
“Forse si può dire che un modo diverso di vivere è già possibile, anche se non è ancora consentito".
Finalmente, dopo 109 giorni di “detenzione” ospedaliera, sono uscito dalla mia camera d’ospedale. Ma ci vorrà ancora tempo per poter tornare alle mie vecchie abitudini di vita, per diversi mesi proseguirò la fisioterapia in ospedale alcuni giorni a settimana e dovrò curare in prima persona la mia riabilitazione con esercizi quotidiani. Tutto sommato posso dirmi soddisfatto di come è andata finora, e, nonostante le caratteristiche dell’incidente che mi accaduto, le conseguenze sono state meno gravi dell’immaginabile. Intendo perciò ringraziare tutto il personale sanitario che mi ha seguito in questo periodo con serietà e professionalità. Il mio ringraziamento più grande va però a tutti coloro che mi sono stati vicino in questo periodo, non solo familiari e amici, ma anche a chi in tutta Italia, e anche oltre, ha seguito con grande apprensione l’evolversi della mia situazione.
Chiediamo -io e la mia compagna Emanuela - di essere lasciati tranquilli ancora per un po’ di tempo, in modo che possiamo dedicarci pienamente al mio recupero; sicuramente non mancheranno le occasioni per ritrovarsi durante iniziative pubbliche o in incontri più intimi. Appena possibile tornerò attivo e presente in prima fila come tutti mi conoscono. Un saluto ribelle e un abbraccio affettuoso a tutti e tutte.

18 giugno 2012
da notav.info


Presidio al carcere di Cuneo
Il 26 gennaio, sei mesi dopo le imponenti manifestazioni in Valsusa, un’operazione della Procura di Torino ha portato a perquisizioni in tutta Italia e all’arresto di 26 compagni/e, di cui tre si trovano ancora in carcere.
Fra gli scopi dell’inchiesta, il tentativo di dividere ed intimorire il movimento No Tav e chiunque si opponga alle imposizioni dettate dall’alto. Proprio in questi giorni è cominciato il processo, nel tribunale di Torino, contro i 46 No Tav inquisiti.
Uno di questi, Maurizio Ferrari, trasferito il 16 giugno dal carcere di Milano a quello di Cuneo, sta subendo un pesante accanimento: isolamento (nessun contatto con gli altri detenuti, in cella e all’aria da solo), blocco della posta, nessuna possibilità di ricevere libri o altro materiale, vessazioni continue.
Di fronte a questa situazione è importante dare una risposta concreta: per questo indiciamo un presidio di solidarietà con Maurizio e con tutte le prigioniere e i prigionieri che quotidianamente subiscono l’oppressione del carcere.
SABATO 14 LUGLIO, ORE 16:
PRESIDIO FUORI DALLE MURA DEL CARCERE CERIALDO DI CUNEO, VIA RONCATA.
Ora e sempre No Tav. Solidarietà a tutti e tutte i No Tav inquisiti.
Maurizio, Juan, Alessio liberi subito!Contro il carcere e la società che lo crea!
Tutte e tutti liberi!

8 luglio 2012
fonte: Rebeldies@libero.it

Lettera dal carcere di Torino
A TESTA BASSA
Il 6 dicembre del 2008, nel quartiere di Exarchia ad Atene, uno sbirro infame assassinò Alexis Grigoropoulos. A seguito di quella infamia in tutta la Grecia ci furono assalti alle strutture e agli uomini che detengono il potere. Scontri di piazza, bancomat divelti, banche incendiate e questure assaltate. Esattamente ad un anno dal suo assassinio, il 6 dicembre 2009, a pochi passi dal luogo dove fu ucciso, un corteo spontaneo veniva caricato ripetutamente dai reparti motorizzati antisommossa, i delta corps, finanziati dall’unione europea e addestrati da istruttori italiani. Quella sera la carica degli sbirri in motocicletta penetrò a fondo nel corteo riuscendo a disperdere la maggior parte dei compagni che ripiegò nel politecnico occupato, poco distante. Chi non riuscì a rientrare nel politecnico finì accerchiato nelle cariche e nei rastrellamenti dei delta.
Nonostante sia stato arrestato quel giorno assieme ad altri 4 compagni italiani e a una decina tra compagni greci e ragazzi albanesi (tra cui 2 minorenni), mi sono divertito un mondo. Purtroppo non capita tutti i giorni di sbalzare sbirri dalle moto e aiutarli ad atterrare sul muso. Per quei fatti la corte di primo grado ci ha comminato condanne tra i 5 e i 6 anni di carcerazione. Il 28 giugno si terrà il processo d’appello che certamente vedrà comminarci condanne analoghe.
Una storia di ordinaria repressione che va ad aggiungersi a tante altre che negli anni hanno colpito e continuano a colpire i compagni un po’ ovunque nel mondo. Come non pensare qui in Italia alle maxi operazioni mediatiche dei r.o.s., ultima in ordine cronologico l’inchiesta “ardire” , alle condanne per gli scontri di piazza a Roma il 15 ottobre, passando per le condanne che il 13 luglio potrebbero diventare definitive per il G8 di Genova nel 2001 o al processo per gli scontri in Valsusa della scorsa estate che inizierà a breve? La commedia statale è sempre la stessa. Le elevate condanne servono, negli intenti della magistratura, da monito, in parte per punire il nemico interno che si ostina a turbare la pace sociale dei ricchi, in parte per scoraggiare gli indecisi, i meno consapevoli che l’ordine statale può essere spazzato via. Terrorizzare per continuare a governare non è solo un paradigma di macchiavellica memoria ma il modus operandi del potere. E quanto più terrore verrà sparso, quanta più insicurezza verrà instillata nel nostro quotidiano tanto più a lungo questo stato di cose perdurerà. (Scusate l’italiano forbito sto leggendo molto al gabbio). Ma chi ha paura di chi? Chi difende la proprietà padronale conosce bene il potenziale insito nell’intensificarsi del conflitto sociale. Scontrarsi con le truppe statali, praticare il sabotaggio dei flussi commerciali ed energetici che mantengono questa società, agire direttamente contro gli uomini e le strutture del potere sono pratiche che da sempre fanno parte del bagaglio teorico e pratico degli sfruttati in ogni dove. E come spesso diciamo se queste pratiche dovessero generalizzarsi difficilmente potrebbero essere riassorbite. Nel frattempo però è di basilare importanza che le pratiche di azione diretta aumentino in quantità, qualità ed intensità. Questo è il minimo che possiamo fare per i nostri compagni sequestrati, per ora, nelle gabbie di stato. E’ superfluo dire che per quanti anni di carcere possano affibbiarci, per quanti di noi potranno arrestare, continueremo a chinare la testa solo per prenderli a craniate. Approfitto di queste righe per mandare la mia solidarietà e la mia complicità a tutti i compagni perquisiti, indagati e incarcerati in questa ennesima ondata repressiva. Teniamo duro e battiamoci per il conflitto sociale permanente, per l’insurrezione, per l’anarchia.

Alessio Del Sordo, via Pianezza 300 - 10151 Torino
30 giugno 2012
da informa-azione.info


lettera Dal carcere di Teixeiro (spagna)
Carissimi/e compagni/e vi ringrazio per l'invio degli opuscoli che mi permettono di essere sempre al corrente di quello che succede da voi. Io qui sto bene, non mi lamento, anche perché lamentarsi di essere in carcere non serve a niente. "Il miglior modo per combattere contro il carcere è non entrarci mai". Una volta che sei qui dentro, con le altre tecnologie utilizzate nei carceri di massima sicurezza, non ne esci più, ritornerai ad essere libero quando finirà la condanna.
Qui in Spagna è attualmente in atto una campagna di lotte contro la tortura e i maltrattamenti che la istituzione penitenziaria utilizza contro i prigionieri. Siamo in 61 i partecipanti con uno sciopero della fame (digiuno) una volta ogni primo del mese. Poca cosa come lotta, però è quello che si può tirar fuori da questa addormentata popolazione di prigionieri. Questa campagna incominciò l'anno scorso e come obbiettivo principale fu creare una rete di appoggi giuridici (avvocati) che potessero far fronte alla repressione per quelli che partecipano alle proteste. Già sapete come il sistema penitenziario si vendica contro quelli che mettono in dubbio il suo funzionamento... "democratico"... Questo appoggio giuridico finalmente lo abbiamo ottenuto in ben 24 carceri del territorio spagnola. Niente male visto i tempi che corrono. L'intenzione è di continuare con questi scioperi simbolici, anche se poi c'è chi vuole finire la campagna lasciando funzionare l'appoggio giuridico e il lavoro di coordinazione tra i vari gruppi in libertà. Cosa questa che secondo me è pericolosa perché se è stato possibile creare questa rete di appoggio questo è dovuto agli insignificanti, però decisivi, scioperi della fame; smettere vuol dire perdere questa fondamentale protezione che tanto è costata in tempo e denaro. Quindi (per me) è necessario continuare il cammino intrapreso visto che: forse sono finiti i maltrattamenti e le torture nelle carceri spagnole?... Perché smettere di protestare se la violenza dello Stato, contro gli indifesi, non è cessata?... La proposta di finire con i digiuni mensili per fortuna è stata rifiutata da sei gruppi di appoggio su nove in totale. Ci sono delle proposte di creare un 'Dossier' con le denunce effettuate per una diffusione pubblica e giuridica. Se si realizza ve ne manderò una copia.
Ce n'è un'altra (proposta) di uno sciopero prolungato della fame fino al ricovero in ospedale però non sono d'accordo perché l'esperienza mi ha insegnato che non siamo preparati per queste classi di lotte estreme; nel passato quando partecipai contro i processi di isolamento incominciammo in 15 e dopo un mese rimanemmo in due o tre, così che dovemmo rinunciare; facendo una figura di merda di fronte al sistema penitenziario e all'opinione pubblica che ci appoggiava. Erano i tempi della lotta contro i 'moduli FIES' (vi ricordate?).
Queste azioni collettive di lotta hanno bisogno di tempo e, soprattutto, di lavoro continuo per essere effettive (scusate gli errori però la mia lingua, non essere abituato a scriverla, mi fa brutti scherzi).
Come dicevo in un'intervista, per telefono, a radio blackout di Torino, le lotte sono in pochi quelli che le pensano però sono necessari in molti per farle se no finiscono prima di incominciare.
Questo è tutto per il momento, vi abbraccio con forza per un mondo nuovo senza galere.
Io appoggio le lotte, partecipo, però non do direttive e non controllo niente.
Un altro abbraccio

Teixeiro, 14 giugno 2012
Claudio Lavazza, carretera Paradela s/n - 15319 Teixeiro-Curtis (A Coruna) Spagna


CONTRO IL TERRORISMO MEDIATICO E DELLO STATO
Sull’operazione repressiva “Ardire”
Da sempre il ruolo rivestito dai media è stato quello di creare e gestire l'opinione pubblica. Creare in modo attento l'informazione di massa sulla base di scelte precise rispetto alla tipologia, ai tempi ed alla qualità delle notizie divulgate.
Non solo il ruolo stesso dell'apparato mediatico è quello di filtrare la comprensione della realtà sociale che ci circonda, ma il giornalismo e la televisione sono parte integrante del dominio. Preparano il terreno con artificiosi allarmismi per le operazioni militari e le operazioni repressive in genere e ne giustificano pubblicamente l'operato.
Rispetto a questa funzione dei media è esemplare l'operazione repressiva contro gli anarchici nominata “Ardire” che porta nella mattina del 13 giugno a 40 perquisizioni, 24 avvisi di garanzia e 10 arresti, uno anche qui a Genova. L'articolo di accusa è il 270bis, associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Oltreché il solito, ma non poco fastidioso e fazioso meccanismo dello sbattere il mostro in prima pagina, in questo caso la spettacolarizzazione mediatica degli eventi ha creato un forte avallo e legittimazione all'operazione, colmando la reale inconsistenza del teorema accusatorio.
Non ci stupisce che in un clima sociale in crescente agitazione come quello che stiamo vivendo, lo Stato intervenga. In una situazione che da forti segnali di potergli sfuggire dalle mani, di fronte ad un'economia che non riesce a sostenersi, fatta di speculazioni e calamità da gestire, lo Stato procede al rafforzamento della militarizzazione dei territori, per mantenerli entro i ranghi del suo controllo e della sua gestione.
Dopo aver terrorizzato con con diverse strategie, da quella della tensione a quella della fame, da quella del ricatto a quella della gogna, lo Stato cerca di orientare la paura e l'insicurezza di tutti verso chi apertamente, con rabbia e determinazione si dichiara contro questo sistema e si schiera in modo diretto contro il dominio.
Quando le persone, dopo la perdita delle proprie sicurezze e delle libertà democratiche cominciano a trasformare la propria esasperazione in rabbia, e la propria rabbia in ribellione, creando momenti di rottura all'ordine sociale attraverso l'azione diretta, il potere stringe la morsa repressiva farcendo il codice di procedura penale e l'ordinamento penitenziario di nuovi e fantasiosi articoli di limitazioni della libertà e criminalizzazione assoluta dell'opinione, del pensiero oltreché dell'azione, nel timore della sua riproducibilità.
Essendo nei suoi interessi, il potere cerca di frammentare, categorizzare, isolare, fomentare la guerra fra poveri, schiacciarci ed impoverirci a livello umano e sociale, dentro alle galere, e fuori come in un grande carcere a cielo aperto.
Di fronte a questo non possiamo che riconfermare la nostra avversità a questo sistema marcio che vacilla, nell'impegno costante al suo rovesciamento, lontani dalle logiche dei distinguo e delle prese di distanza, funzionali al potere.
La repressione e il terrorismo mediatico non fermeranno le lotte così come non riusciranno ad estinguere la solidarietà a chi lotta contro questo ordine di cose.
La nostra solidarietà va ai perquisiti, indagati ed arrestati.
LIBERTA' PER GABRIEL, MARCO, PEPPE, SERGIO, KATIA, ALESSANDRO, PAOLA, GIULIA, ELISA e STEFANO.

luglio 2012
Alcuni anarchici a Genova
da informa-azione.info

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Seguono i contatti per inviare lettere e telegrammi a compagne/i arrestati nel corso dell'Op.Ardire [aggiornati al 15 giugno 2012]:

Stefano Gabriele Fosco, Elisa Di Bernardo, Via Don Bosco, 43 - 56127 Pisa
Alessandro Settepani, Paola Francesca Iozzi, via Pievaiola 252 - 06132 Perugia
Sergio Maria Stefani, Via Della Lungara, 29 - 00165 Roma
Katia Di Stefano, Via Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma
Giuseppe Lo Turco, Piazzale Marassi, 2 - 16139 Genova
Giulia Marziale, Contrada Castrogno - 64100 Teramo


lettera dal carcere di pisa
Un brigante in gabbia
Con il fraterno appoggio solidale dei compagni e delle compagne della “Cassa antirepressione delle Alpi occidentali”, comunico quanto segue.
Il 13 giugno 2012 sono stato tratto in arresto a Pisa, assieme alla mia compagna Elisa, all’interno dell’“Operazione Ardire” della procura di Perugia. I carabinieri del ROS hanno sfondato la porta e mi hanno condotto in caserma, in cui sono stato schedato e sottoposto al prelievo del dna e dove ho subito una pesante provocazione. In seguito sono stato ristretto presso il carcere Don Bosco di Pisa. Il 16 giugno sono stato interrogato dal gip, ma – ovviamente – mi sono avvalso della facoltà di non rispondere. Il passo successivo a livello legale sarà il tribunale del riesame.
Per ragioni che spiegherò a breve, sono stato impossibilitato ad accedere a qualsiasi canale informativo e pertanto ho una visione piuttosto ristretta di quel che è accaduto. Ad esempio, non conosco chi siano gli indagati, oltre a noi dieci tratti in arresto, e nemmeno conosco dove siano state effettuate le 40 perquisizioni.
L’ordinanza di custodia cautelare nei miei confronti è di oltre 200 pagine, e in essa le accuse che mi vengono imputate sono piuttosto pesanti: ideologo ed esecutore materiale di una serie infinita di azioni dirette, oltre a coordinamento e propaganda di campagne solidali con i prigionieri anarchici di tutto il mondo. Ma, nel merito delle accuse ritornerò in futuro dopo una attenta analisi delle carte processuali.
Anticipo solo che lo schema seguito dagli investigatori sembra ripercorrere in pieno i tanti teoremi accusatori degli anni Settanta e Ottanta. La differenza fondamentale è che stavolta al centro dell’attenzione c’è il blog anarchico “Culmine”. Su questo punto, ovvero sulla presunta libertà di contro-informare ai tempi di internet, sarà doverosa una riflessione all’interno del movimento anarchico internazionale.
Essendo imputato di 270 bis e 280 sono stato classificato in A.S.2, ovvero devo scontare la carcerazione preventiva in un regime di Alta sorveglianza. Ma il carcere di Pisa, in cui mi trovo, non ha sezioni per l’A.S. ed è così che non ho socialità e faccio l’aria da solo in una sorta di isolamento informale!
È molto probabile che mi trasferiranno in un carcere che abbia delle sezioni i A.S.
I tanti compagni che mi conoscono da decenni sanno quanto sia importante per me il contatto con gli anarchici e le anarchiche. Se in questi giorni non avete avuto mie notizie, nemmeno un saluto, è perché sono stato impossibilitato a farlo.
In pratica, dal giorno del mio arresto fino al 22 giugno, giorno in cui mi è stata notificata la censura della corrispondenza, non ho ricevuto nulla, ma proprio nulla da parte dei compagni, nonostante i siano stati spediti telegrammi, cartoline, lettere solidali. Nel frattempo avevo scritto 13 lettere, utilizzando i pochi indirizzi memorizzati, e non ho idea se tali missive siano mai state recapitate. Pertanto, in dieci giorni di prigionia ho subito il blocco e sequestro totale di tutta corrispondenza, in entrata e in uscita. Non ho idea di quanto legale sia tale trattamento e, da anarchico, non mi interessa impugnarlo. Ci tengo solo a far conoscere questo pericoloso precedente negativo con un anarchico. Tratto in arresto e “desaparecido” dallo Stato italiano per dieci giorni, senza neanche poter ricevere telegrammi solidali. Per carità, nessun vittimismo, solo una constatazione di quel che il sistema si prepara a fare contro noi anarchici.
Il giorno stesso dei nostri arresti è intervenuta anche il ministro degli interni, stesso copione già visto con l’arresto dei compas cileni coinvolti nel caso “Bombas”, dei compagni greci della “Cospirazione delle cellule di fuoco”, degli arrestati in Bolivia. Anche su questo, ovvero sulla internazionale della repressione anti-anarchica, bisognerà riflettere.
Oltre alla censura della corrispondenza, ho il divieto di incontro e di corrispondenza con la mia compagna Elisa, rinchiusa nel femminile del carcere di Pisa.
Fino ad oggi, per i motivi sopra esposti, non mi è stato possibile contattare i miei coimputati/e, dei quali non avevo nemmeno il recapito. Annuncio che, appena dopo il riesame, inizierò a preparare la mia difesa tecnica con la quale smentirò, punto per punto, le tante menzogne diffuse in questi giorni. I compagni anarchici che mi conoscono da decenni sanno bene che non sono così sprovveduto, come vorrebbero far credere. Questo è il mio quinto 270 bis, in precedenza sono stato assolto o archiviato prima del processo per analoghe associazioni sovversive da parte delle Procure di Genova, Lecce, Torino e Firenze.
Da individualista quale sono, ho sempre trovato affascinante il percorso dell’antigiuridismo anarchico, e sulle mie spalle di pregiudicato ho una condanna per “Oltraggio all’onore e al prestigio del corpo giudiziario”, ma credo che tale percorso abbia dei limiti, soprattutto quando ci si trova dinanzi a un teorema accusatorio pieno di menzogne, manipolazioni e clamorosi errori di traduzione.
Per preparare la mia difesa tecnica – si badi bene, senza accettare nessun interrogatorio da parte della giustizia – ho bisogno di un grande aiuto da parte del movimento anarchico, italiano e non solo. In pratica, devo ricostruire con documenti, comunicati, articoli e libri la storia dell’anarchismo d’azione degli ultimi decenni. Di volta in volta segnalerò i materiali dei quali avrò bisogno. Ovviamente mi auguro che qualche compagno smanettone salvi tutto il data-base di Culmine, con una particolare attenzione alla cronologia dei post pubblicati. Più copie saranno salvate e meglio sarà. (Occhio, quando consultate Culmine evitate di fare commenti a voce alta, potreste essere arrestati all’istante!)
Tutti noi anarchici sappiamo che un giorno o l’altro potremmo finire dietro le sbarre, ma quel che colpisce in questo caso è il feroce accanimento nei confronti di due carissimi amici e compagni: Marco e Gabriel che, per ragioni diverse, erano prossimi a una decisiva svolta della loro lunghissima situazione detentiva. Colpisce soprattutto quel che si dice contro Marco e penso sia urgente che il movimento anarchico internazionale si ponga l’obiettivo di valutare come sostenerlo in maniera efficace.
Non ho idea se mi verrà recapitata tutta la corrispondenza.
Io risponderò a tutte le lettere e cartoline che riceverò. Per via della censura, vi consiglio di inviarmi in maniera separata materiale scritto in italiano da quello scritto in altre lingue (spagnolo e inglese).
Invio un forte abbraccio ai compagni e alle compagne che mi/ci hanno espresso la propria solidarietà, come il corteo spontaneo di Trento, quello di Perugia o il manifesto di Pisa.
Un abbraccio carico di cariño al Tortuga! Un caro saluto ribelle dal brigante in gabbia.

24 giugno 2012
Stefano Gabriele Fosco, via Don Bosco 43 - 56127 Pisa

28 giugno 2012, da informa-azione.info
lettera dal carcere di genova
Prigione di Genova, 20 giorno di isolamento
Terrorista? Ideologo? Studente? Promotore? Seguace? Filosofo?
Ecco una breve lista di categorie ed etichette pronte all'uso e vomitate in fretta dallo stato e dai suoi mass-media. Tuttavia, definirmi è un compito che, se pur necessario, spetta solo al sottoscritto. Prima di tutto, in quanto individualità anarchica, solo io posso giudicare e valutare cosa faccio e come agisco. Posizionandomi all'interno di un conflitto costante nei confronti dell'intero esistente, rivendico la mia autonomia di pensiero e di giudizio e rifiuto ruoli di guida o di gregario, di promotore o di seguace di qualsiasi esperienza anarchica collettiva o organizzata. Negli ultimi tempi mi sono impegnato a tradurre e a diffondere testi, lettere, contributi, comunicati, opuscoli e cronache giudiziarie dei tanti compagni e delle tante compagne prigionieri/e nel mondo. Tutto ciò che ho fatto l'ho realizzato dapprima per me stesso, in quanto interessato a conoscere le realtà anarchiche e rivoluzionarie nel mondo, e anche per diffondere queste esperienze nel contesto italiano. La mia volontà di impegnarmi in questa attività editoriale non è stato di certo un compito impartitomi o un ruolo da espletare all'interno di alcun gruppo, bensì è stata la concretizzazione di un sentire individuale. Pertanto, in merito a quanto attribuitomi dai repressori togati e non, ritengo fondamentale mettere al primo posto la mia coerenza, rigettando ruoli e appartenenze che nulla hanno a che fare con la mia individualità e con la mia attività editoriale. Eppure quanto successo non mi stupisce, infatti vanno aumentando i tentativi di costruire teoremi accusatori sui cosiddetti "reati associativi", si pensi ai recenti casi italiani o esteri, per far fronte ai crescenti attacchi sferrati contro il dominio. Sono esemplificativi il "caso bombas" in Cile o le svariate costruzioni in Grecia di presunti gruppi terroristi anonimi, pretesti per usare leggi ad hoc ed imprigionare anarchici e anarchiche che spesso neanche si conoscono tra di loro.
Lo stato, attaccato in modo imprevedibile, cerca istericamente di attuare la propria vendetta, colpendo i suoi oppositori mediante pressione giudiziaria e l'uso strumentale dei mezzi di informazione. La repressione si somma alle dure condizioni di prigionia riservate ai nemici di sempre, l'isolamento diventa una pratica sistematica mirata all'annichilimento del prigioniero o della prigioniera. Cosicchè neanche in carcere si corra il rischio che il virus dell'insubordinazione e dell'ammutinamento si diffonda. Quanto accaduto il 13 Luglio dimostra la volontà di colpire anche compagni già prigionieri da anni, aggravandone così il carico di processi ed allontanandone la libertà, tentando di delineare intesi e affinità, per quanto mi riguarda, anche con individualità che neanche si conoscono. Inoltre, sempre per ribadire la mia irriducibile individualità e la natura della mia attività editoriale, non posso accettare la definizione di "istigatore", ruolo che minerebbe tanto la mia autonomia quanto quella dei tanti compagni anarchici che prendono parte al dibattito anarchico multiforme nel mondo. Tra individualità ben consapevoli del proprio io non c'è bisogno alcuno di istigare alcunchè. Ogni anarchico e ogni anarchica, grazie alla progressiva riappropriazione di se, è di certo capace di discernere e di plasmare le proprie idee e azioni in modo individuale senza alcun bisogno di essere spronati o indirizzati.
Ho ritenuto importante scrivere tutto ciò per manifestare le mie posizioni tanto a chi sta fuori quando ai miei coaccusati, presentandomi in modo che anche chi non mi conosce possa relazionarsi con me se lo desidera. Non sarà sicuramente la prigionia o l'isolamento al quale sono sottoposto a farmi rinnegare la mia identità o svalutare quanto ho realizzato, il dominio non avrà la mia resa. Questa prigionia politica sarà un' occasione per rafforzare la mia coerenza e la mia dignità, sapendo che tanti nemici dell'esistente sono dalla mia parte. So di non essere da solo!
Mando affetto e forza a tutti i miei coaccusati, anche se non ho mai scambiato uno sguardo con molti di voi, sono certo che è lo stesso fuoco a illuminare i nostri occhi! Esprimo la mia solidarietà ai prigionieri membri della cospirazione delle cellule di fuoco nuovamente attaccati dalle autorità italiane, tenete duro come avete fatto finora! Sempre a testa alta! Onore a tutti i compagni e le compagne caduti/e seguendo il cammino multiforme dell'anarchia! Solidarietà a tutti i prigionieri anarchici nel mondo tenuti in ostaggio nelle segrete delle democrazie! LUNGA VITA ALL'ANARCHIA!

2 Luglio 2012
Giuseppe Lo Turco
Individualità anarchica prigioniera

Giuseppe Lo Turco, Piazzale Marassi, 2 - 16139 Genova

7 luglio 2012, da informa-azione.info


CONSIDERAZIONI A CALDO SUL TERREMOTO ANTI-ANARCHICO CON EPICENTRO LA PROCURA DI PERUGIA
La prima notizia che dobbiamo dare, dato che il Comitato 23 Ottobre nasce nel 2007 come gruppo di solidarietà con le vittime dell’ “Operazione Brushwood” – la dobbiamo ai tanti che ci stanno scrivendo, telefonando, che sono venuti persino a casa a sincerarsi – è che nessuno dei 4 giovani spoletini ancora sotto processo per l’indagine cominciata con il blitz dell’ottobre 2007 si trova fra gli arrestati, né fra gli indagati a piede libero, né fra le decine di perquisiti.
Questa notte/mattina c’è infatti stata un’ondata di arresti di anarchici, ancora una volta diretta dal pm di Perugia Manuela Comodi e dal capo dei ROS Ganzer. Gli arrestati sarebbero 10, ci sarebbero in tutto 24 indagati e 40 perquisizioni. Un’operazione con carattere internazionale, con 6 indagati in Grecia, 2 arresti rispettivamente in Svizzera e Germania.
Non sappiamo ancora quali saranno le reazioni delle vittime di questa ennesima ondata repressiva, non entriamo quindi nel merito per non danneggiarli. Ci limitiamo ad osservare alcuni elementi che non vanno certo nella direzione degli inquirenti.
In primo luogo i protagonisti nel blitz. Manuela Comodi è lo stesso pm che nel 2007 ha ordinato l’arresto di 5 giovani spoletini. Condannati senza prove e con mille contraddizioni (siamo in attesa del processo di appello) a pene molto inferiori (da 1 a 3 anni, contro richieste di 9) e in un quadro accusatorio decisamente ridotto rispetto alle accuse. Manuela Comodi è anche il pm che ha arrestato due anarchici a Orvieto e Perugia nel 2009, poi scarcerati dalla Cassazione, smentendo il teorema del magistrato. Oggi è tornata alla carica e fra gli arrestati ci sarebbero anche quei due giovani, ancora una volta perseguiti. Manuela Comodi è anche il magistrato clamorosamente uscito sconfitto nel cosiddetto “processo Meredith” e finito nell’occhio del ciclone per le spese pazze e le consulenze inutili della Procura di Perugia. L’altro protagonista è il Generale dei ROS, Giampaolo Ganzer. Condannato a 14 anni per spaccio internazionale di stupefacenti e prescritto, per scadenza termini, per traffico internazionale di armi, secondo l’accusa "119 kalashnikov, 2 lanciamissili, 4 missili e munizioni". Quando un’operazione giudiziaria porta la firma di personaggi dal profilo più che discusso, la credibilità già in partenza è segnata da un enorme punto interrogativo.
In secondo luogo, notiamo la similitudine con il modo di procedere della stampa “amica” (dei ROS, ovviamente). Alcune settimane fa la pagina locale del Messaggero e della Nazione annunciavano “piste umbre” per l’agguato ad Adinolfi. Il Messaggero si spingeva addirittura a mettere i nomi, alcuni dei quali poi finiti fra gli arrestati. Le veline sono pubblicate da Italo Carmignani. Puntualmente arriva il blitz. La stampa scrive: “sono gli stessi dell’agguato ad Adinolfi”. Ma nelle carte l’attentato di Genova non è nemmeno nominato. Francamente ci sembra un film già visto. Anche nel 2007 i giornali scrissero “gli stessi delle bombe a Prodi”, ma non c’entrava nulla. Le stesse veline, gli stessi giornalisti, gli stessi giornali … finirà anche questa volta a tarallucci e vino? La credibilità di questa stampa ha ormai lo stesso credito di quella degli inquirenti. Cioè quasi nullo.
Il terzo elemento lo traiamo dalle accuse. Ancora una volta viene contestato l’articolo 270 bis, ovvero l’associazione sovversiva. Un reato inventato dal ministro fascista Rocco negli anni ’30 e che ancora non è stato abolito. Bisogna fare una battaglia di civiltà contro i reati associativi. Non a caso paesi come la Francia, non certo in mano ai comunisti né tanto meno agli anarchici, ancora si rifiutano di estradare gli indagati di reati associativi. Il reato associativo punisce le idee, prevede incrementi di pena non per il reato in sé ma per la sua natura politica. E’ un rimasuglio della giurisdizione fascista che va superato. In un periodo di sociopatico giustizialismo, anche a sinistra, la battaglia contro il 270 bis è coraggiosamente contro corrente.
In attesa di saperne di più, facciamo notare che degli 8 arrestati in Italia, ben 4 sono umbri o comunque sono stati anni nella regione. E’ ora che questa regione si liberi di ogni atto di forza, anche e soprattutto se viene da chi lo fa in nome della sicurezza. Non vogliamo più vedere volare all’alba gli elicotteri dei Carabinieri sopra la testa e vedere uomini armati nelle strade.
Facciamo appello alle forze di movimento della regione per dire basta alla repressione, l’Umbria non è terra per le azioni militari dei ROS.
La crisi ha prodotto reazioni di ogni tipo, proteste di piazza, danneggiamenti contro chi è stato ritenuto responsabile dell’impoverimento, suicidi e perfino sequestri di persona. La caccia all’anarchico è solo un palliativo, servirà forse a rinverdire l’immagine di Ganzer e Commodi, ma non potrà nascondere le reazioni di chi è disperato o ha deciso di dire basta.

13 giugno 2012
Comitato 23 ottobre


SUL PROCESSO CONTRO IL MOVIMENTO FIORENTINO E LA SOLIDARIETÀ
L'operazione repressiva iniziata con gli arresti del 4 maggio e 13 giugno 2011 e che vede ora l’apertura di un processo a carico di 86 compagni di diverse realtà di movimento fiorentino, intende colpire le mobilitazioni e le lotte degli ultimi anni di studenti, lavoratori, centri sociali e tanti altri soggetti: per il diritto allo studio e contro la riforma Gelmini, contro il fascismo e l’apertura di Casapound; contro il razzismo e l’apertura dei CIE, fino ad arrivare alle lotte contro l’attacco ai diritti ed alle condizioni di vita dei lavoratori.
Come imputati nel processo contro il movimento fiorentino che si è aperto il 14 giugno scorso vogliamo prima di tutto rivendicare tutte queste lotte, condivise con altre migliaia di compagni, che hanno caratterizzato questo periodo non solo a Firenze, che non saranno fermate, né cancellate, da alcun tentativo di criminalizzazione e intimidatorio.
Siamo convinti del fatto che la Solidarietà sarà tanto più forte e allargata quanto più forti, partecipate e determinate saranno le lotte che si stanno sviluppando e si svilupperanno sul nostro territorio e nelle quali continueremo a dare il nostro contributo.
La Solidarietà è un elemento che deve vivere all’interno di questo contesto e che da questo contesto deve esser valorizzato: la lotta senza la solidarietà è destinata a naufragare, scompaginarsi e dividersi, specialmente nel momento in cui la repressione dovesse colpire, mentre la Solidarietà al di fuori delle lotte sarebbe svuotata del proprio significato.
Pensiamo che il processo che ci vede imputati riguardi, non solo noi e le nostre realtà di appartenenza, ma tutti coloro che in questa città sono coinvolti nelle vertenze, nelle battaglie e nelle lotte aperte sul territorio.
La montatura da cui ha preso il via l’inchiesta, l’utilizzo del reato associativo, l'ossessiva criminalizzazione di ogni minimo avvenimento, la cooptazione di soggetti diversi dalle forze di polizia e quindi la possibilità di inasprire ulteriormente le condanne attraverso i risarcimenti alle cosiddette "parti civili" presumibilmente "lese" (istituiti di credito, enti pubblici, partiti e fascisti vari), evidenzia con chiarezza le modalità con cui la strategia repressiva si concretizza, mirando a colpire tutti coloro che decidono di determinare autonomamente il proprio agire posizionandosi al di fuori delle compatibilità imposte dallo Stato le cui maglie si stanno facendo sempre più strette. L’autonomia e l’indipendenza rappresentano la forza di quei movimenti che oggi in Italia e non solo si stanno rendendo protagonisti, e rappresentano sicuramente un punto di riferimento importante per chi non vuole abbassare la testa di fronte alle disuguaglianze e allo sfruttamento di questo sistema.
È quindi essenziale riuscire a proporre un'analisi autonoma dal punto di vista politico e culturale, che sappia valutare la vicenda nel suo complesso e non prenda a prestito “definizioni” e “categorie” che la controparte vorrebbe imporci, che possa tenere insieme e uniti gli imputati evitando di cadere nell’errore di esser noi stessi a “spezzettare” il processo stratificando le diverse posizioni o cambiando la propria lettura politica a seconda di ciò che ci restituirà l’aula di tribunale.
Dovendo esprimersi ancora il GUP, esiste, almeno in termini teorici, la possibilità che il processo venga diviso, che le posizioni di alcuni imputati vengano stralciate e che alcuni finiscano davanti al giudice monocratico. Esiste poi la possibilità che a cadere sia l’accusa di associazione a delinquere. Se ciò dovesse accadere, come del resto tutti auspichiamo, non potremmo però dire che la formulazione di quell’accusa non abbia già svolto, almeno in parte, il proprio compito e non continui a influenzare il processo: ha anzitutto dato la possibilità di applicare misure cautelari importanti; ha alimentato la campagna mediatica di criminalizzazione contro i compagni e le realtà cittadine; è il collante che ha permesso di tenere insieme tutta l’inchiesta per come è stata costruita sin dall’inizio, prolungando le indagini e creando i presupposti affinché fossero messi in fila presunti reati commessi nell’arco di più di due anni, nelle situazioni più diverse, allargando l’inchiesta fino alla solidarietà che si è manifestata dopo il 4 maggio, giorno delle prime perquisizioni e dei primi arresti.
Quello della “differenziazione” è un circuito alimentato dallo Stato con l’obiettivo di frammentare, dividere e indebolire le lotte. Se sul piano politico viene stabilito nella pratica con l’applicazione di determinate leggi, viene poi sostenuto sul piano culturale con la creazione di specifiche categorie (una su tutte la divisione tra "buoni" e "cattivi").
Questo è appunto il piano che dobbiamo combattere ed avere la capacità di ribaltare.
Dobbiamo rendere pratica quotidiana la Solidarietà nei confronti dei compagni colpiti dalla repressione, facendone occasione di analisi e riflessione che dia vita a momenti di crescita collettiva su un piano più generale: sarebbe un grave errore la distinzione, la divisione e la frammentazione delle risposte.
In tal senso può esser utile anche come strumento per guardare al territorio: infatti se lo utilizziamo come lente ci rendiamo conto di quanto sia importante unire le vertenze, creare rete e coordinamento, solidarietà e mutuo soccorso.
È la controparte che cerca invece di tenere queste battaglie isolate.
Per questo il 14 giugno abbiamo ritenuto importante creare un momento che tenesse insieme tutti gli imputati e proprio come imputati lanciare un appello alla Solidarietà.
Questo è ciò che cercheremo di fare anche in futuro. Questo è il piano su cui vogliamo si sviluppi la Solidarietà nei nostri confronti.
Se abbiamo avuto bisogno di scrivere questo comunicato è anche perché secondo noi rischiava di determinarsi un terreno ambiguo, basato su posizioni inconciliabili con quelle che stiamo esprimendo.
Invitare a "disertare il tribunale" il 14 giugno e quindi un presidio di solidarietà, tralasciare la seconda ondata repressiva del 13 giugno 2011, pensare di mettere 7 imputati davanti agli altri, è grave e pericoloso perchè di fatto significa dividere la Solidarietà e riprodurre la logica di differenziazione della questura. Non cadremo nella trappola della repressione, differenziando gli imputati, e terremo ben presente che gli apparati repressivi colpiscono tutti quei soggetti che quotidianamente costruiscono e costruiranno le lotte.
ESTENDERE LA SOLIDARIETÀ, RILANCIARE LA LOTTA!

26 giugno 2012
Imputati del processo 4 maggio e 13 giugno 2011


padova: CRIMINALE è CHI SGOMBERA
La mattina del 4 luglio 2012 polizia e digos hanno sgomberato il C.P.O. Gramigna di via Forcellini 186, su mandato del sindaco Zanonato del Partito Democratico. Lo stabile, che era abbandonato da quasi dieci anni, è stato reso inagibile attraverso la demolizione dell’edificio ed è stato scavato un fossato per impedirne definitamente l'accesso (cosa che già era avvenuta dopo lo sgombero del Gramigna di Torre nel 2011). Solo due enormi alberi secolari che occupano lo spazio circostante la scuola sono rimasti incolumi, ma sembra che verranno abbattuti nei prossimi giorni. Inoltre, la scuola è stata posta sotto sequestro, ad ora sono arrivate due denunce ed è stata dichiarata l'apertura di un'indagine. Allo sgombero è seguita una vera e propria militarizzazione del quartiere, impiegando un numero spropositato di forze dell’ordine, anche in assetto antisommossa, chiamate a presidiare e “difendere” i lavori di demolizione, impedendo l’accesso o l’avvicinamento a chiunque. Queste ultime hanno provveduto per diversi giorni a bloccare la strada principale con mezzi blindati, deviando così la circolazione del traffico su una via laterale e creando notevole disagio e confusione tra gli abitanti del quartiere: nel fare ciò nessuno si è preoccupato di mettere dei cartelli stradali che indicassero la deviazione! Sorge spontaneo denunciare lo spreco di denaro pubblico messo in atto dalla Giunta comunale che, invece di fare buon uso dei soldi versati dai contribuenti, ha preferito destinarli al pagamento dell’esagerato dispiegamento di forze dell’ordine e delle ditte private chiamate all’abbattimento della scuola. La scusante ufficiale che ha portato allo sgombero è stata la presenza di amianto sul tetto, che è stato prontamente demolito, provocando così la dispersione della polvere nell’aria nel raggio di un kilometro. Ci chiediamo perché la stessa solerzia nello sgomberare gli spazi occupati non ci sia anche per bonificare e rendere salubri tutti i posti di lavoro e le fabbriche dove gli operai sono morti e continuano a morire a causa delle polveri d'amianto. Di fatto comunque sappiamo bene che le motivazioni sono diverse. Il Gramigna, nel corso di questi mesi, ha cominciato a intraprendere un lavoro con il quartiere Forcellini/Terranegra. Fin da subito il quartiere si è dimostrato solidale, curioso e disponibile nel conoscere la realtà del Gramigna. Per esempio, tra le varie iniziative proposte, sabato 30 giugno è stato organizzato un mercatino popolare dell'usato e contemporaneamente un punto di raccolta solidale per le popolazioni emiliane terremotate. Queste iniziative sono state rese possibili grazie al contributo attivo degli abitanti del quartiere, che hanno fornito parecchio materiale. Il fatto che il Gramigna possa diventare un punto di riferimento per il quartiere e per i giovani proletari è ciò che più spaventa la giunta comunale e le istituzioni serve del potere. Soprattutto durante un periodo di intensa crisi economica, chi non si allinea con le idee della classe dominante e non vuole scendere a compromessi, proponendo un'idea diversa di socialità e aggregazione giovanile, è considerato un pericolo da zittire e isolare il prima possibile. Non possiamo fare a meno di ribadire che fautore di questo sgombero è il boia Zanonato, che si spaccia come uomo di sinistra e si fa vanto di essere un sindaco vicino ai giovani e alle loro esigenze, quando di fatto la realtà è l'opposto. Questo sgombero lo ha dimostrato ancora una volta. Non saranno le ruspe di Zanonato a distruggere i tentativi di costruire un luogo di aggregazione e di organizzazione della lotta per i proletari, i giovani e gli sfruttati.
La lotta continua! L’ERBA CATTIVA NON MUORE MAI!

Padova, 6 luglio 2012
I compagni e le compagne del Gramigna, info@cpogramigna.org


milano: Chi si nasconde dietro lo sgombero di via Falck, 44?
MA CERTO, I PALAZZINARI!
Nello stabile di via Falck 44 a Sesto Sesto San Giovanni, ove hanno sede diverse associazioni, la nuova proprietà negli ultimi mesi è entrata prepotentemente sfasciando porte e finestre in più occasioni. Recentemente sono entrati per scavare nel cortile e iniziare il carotaggio del terreno. Hanno nuovamente sfasciato porte e chiuso l’acqua probabilmente dopo aver rotto delle tubature durante i lavori.
Tutto ciò in vista delle ristrutturazioni che verranno fatte a settembre, secondo cui verrà abbattuta tutta l’area per costruire un nuovo centro per anziani della Fondazioni Pelucca con l’appoggio del Comune, dato che è il Sindaco a nominare la maggioranza dei consiglieri della Fondazione. Un progetto che doveva esser realizzato già 4 anni fa, e che di fatto non si concretizzò per mancanza di fondi.
Ma di che “ristrutturazione” si parla? Facendo qualche ricerca, quella che è saltata fuori è piuttosto una SPECULAZIONE EDILIZIA bella e buona, in perfetto stile palazzinaro. Lo stabile in questione è stato donato dalla vecchia proprietà alla Fondazione Pelucca, un ente partecipato a maggioranza dal Comune di Sesto che gestisce l’attuale casa di riposo; dato il vincolo di destinazione sociale per lo stabile, inizialmente e al momento della discussione in consiglio comunale più di 5 anni fa, si era parlato per via Falck della creazione di uno spazio riabilitativo per anziani. In realtà il progetto di “ristrutturazione” presentato prevederebbe la costruzione di un piccolo spazio per gli anziani su circa un terzo dell’attuale superficie, mentre sugli altri due terzi sorgerà una bella palazzina di appartamenti, in vendita al libero mercato tranne alcuni a uso sociale.
Così, dietro LA FOGLIA DI FICO del buco per gli anziani, si cela la ben più appetitosa torta della speculazione edilizia. C’è bisogno di altri palazzi in una città come Sesto, che con il cosiddetto “recupero” delle aree dismesse ha cementificato e continuerà a edificare palazzi, torri, centri commerciali? Il tutto a beneficio di quei pochi che di questi tempi possono ancora permettersi una casa a prezzi di mercato.
Come farà il Comune a spiegare alle famiglie degli operai Falck malati per le conseguenze dello sfruttamento subito in fabbrica per quarant’anni, che la loro associazione deve essere sfrattata?
Come spiegherà ai tanti collettivi che frequentano la Fucina che uno dei pochi spazi in cui fare politica e autorganizzare l’opposizione sociale alla società del profitto e del nuovo fascismo deve chiudere, per far posto a degli appartamenti grazie a cui si leccheranno ulteriormente i baffi “gli amici degli amici”? Come spiegherà agli operai che devono lasciare una sede che è diventata un centro di lavoro per organizzarsi come operai, come forza sociale politica e indipendente?
Non permetteremo che questa ennesima speculazione, fatta inoltre parandosi la faccia dietro gli anziani, si realizzi!
Non resteremo in silenzio di fronte a questo sgombero, non solo per quello che rappresenta l’esperienza della Fucina, ma anche per difendere uno spazio di agibilità politica e sociale per giovani, lavoratori, compagni e realtà sociali che vogliono far vivere contenuti e valori diversi da quelli che questo sistema impone.
IL C.P.O. LA FUCINA NON SI SGOMBERA!!!
luglio 2012
Le associazioni dello stabile di via Falck 44


INTERESSI ECONOMICI E COSTI UMANI DEL TERREMOTO
Analisi di una catastrofe di classe
Le scosse del 20 e 29 maggio scorso hanno colpito duramente la popolazione dell’Emilia. I morti sono saliti ad un totale di 26 e il numero di sfollati è di circa 14.000 risiedenti all'interno dei campi della Protezione Civile e di migliaia di persone che alloggiano in sistemazioni di fortuna, in strutture alberghiere o in campi autorganizzati. A questi si aggiungono gli altre 2.000 sfollati nel mantovano e nel Veneto.
I danni provocati dalle due scosse maggiori, e dalle migliaia di scosse di assestamento che hanno continuato a far tremare la terra nelle settimane successive, sono davanti ai nostri occhi; la bassa modenese, la zona più colpita dal sisma, è in ginocchio: decine di paesi completamente rasi al suolo, macerie, casolari e piccole comunità isolate che hanno difficoltà di accesso anche solo all'acqua, la quasi totalità delle imprese impossibilitate a riprendere la produzione. Come sempre le calamità naturali non agiscono indistintamente: i morti si contano soprattutto tra lavoratori ed operai, i danni maggiori si registrano nell’edilizia popolare.
È evidente che anche questa disgrazia ha una connotazione, purtroppo, di classe.
Che le «esigenze della produzione» fossero primarie rispetto alla sicurezza sui luoghi di lavoro era già chiaro quando, nella notte del 20 maggio, sei operai persero la vita in seguito al crollo dei fabbricati dove erano stati costretti a lavorare nonostante i loro timori. Ma anche a seguito della loro morte, anziché valutare la sicurezza di capannoni e prefabbricati ed eventualmente intervenire, si è preferito ignorare lo sciame sismico e continuare la produzione in una situazione di grande pericolo. Così la scossa del 29 maggio – la più forte – ha provocato il crollo di diversi altri capannoni industriali e a rimetterci sono stati ancora gli operai: a San Felice sul Panaro la caduta di un capannone ha ucciso tre uomini, mentre altri due sono morti a Mirandola. Alcuni operai sono rimasti a lungo sotto le macerie.
La procura di Modena ha aperto un'inchiesta per i reati di omicidio colposo e negligenza nei confronti degli imprenditori che continuarono la produzione e costrinsero gli operai a lavorare senza fare i dovuti accertamenti. Ma anche nel caso di una, poco probabile, sentenza affermativa, la politica industriale sulla costruzione dei fabbricati non cambierà e continuerà ad essere una politica omicida. Luoghi di lavoro costruiti all’insegna del risparmio, resi agibili da leggi che consentono la costruzione di strutture a basso costo, e capannoni prefabbricati con l’unica funzione di riparare dalla pioggia, ma senza alcuna sicurezza o stabilità agli eventi sismici. Questa logica è la stessa che ritroviamo all’interno di ogni fabbrica o cantiere, dove macchinari, strutture e ponteggi hanno il solo scopo di velocizzare al massimo i processi produttivi; più di 1.000 morti all’anno è il prezzo che paghiamo per questa corsa al profitto. Ed è proprio questa corsa al profitto a generare, in un tessuto produttivo come quello emiliano che produce un reddito annuo di 18 miliardi di euro (pari quasi al 2% del Pil nazionale), il varo di una serie di misure di emergenze finalizzate al rientro immediato degli operai sul posto di lavoro. «L'Emilia che produce» deve ripartire il più presto possibile: è questo lo slogan martellante che viene trasmesso da giornali e televisioni, avvallato ovviamente da Confindustria, che vede nell'Emilia uno dei poli logistici fondamentali. E per realizzare questa bella favola trasmessa dai media, gli operai vengono posti di fronte ad un bieco ricatto: se si vuole mantenere il posto bisogna tornare subito al lavoro, di fianco o addirittura sotto gli stessi capannoni che sono stati seriamente a rischio di crollo poco più di un mese fa. E questo senza alcun tipo di tutela, polizza assicurativa o indennizzo, poiché agli operai viene fatta firmare una delega che esenta l'azienda da qualsiasi responsabilità in caso di crolli.

Costruire la ricostruzione: le logiche speculative del post emergenza
E' difficile prevedere adesso quali saranno le misure che verranno attuate per le persone coinvolte nel sisma. Mentre la verifica di agibilità della propria abitazione passa dai vigili del fuoco ad imprese private (e quindi a pagamento), viene confermata la voce secondo la quale i contributi di luce, acqua, gas e IMU non saranno sospesi come annunciato dal premier Monti durante la sua visita alle zone terremotate, bensì solo posticipati fino al 30 settembre. Una data che per molti è tragicamente vicina, considerando poi che la quasi totalità delle persone colpite dal sisma aveva un mutuo in atto per l’acquisto della casa in cui viveva e che, crollando, non viene esentata comunque dal pagamento delle rate.
La situazione è stata ulteriormente aggravata dalle dichiarazioni del premier Monti, il quale ha annunciato che“alla luce delle risorse disponibili ai proprietari degli immobili in cui era presente l'abitazione principale (cioè la prima casa) è riconosciuto un contributo per la ricostruzione o ristrutturazione fino all'80% del costo sostenuto e riconosciuto per effettuare i lavori”. Un'80% molto fittizio, se si considerano le nebulose fonti da cui questi soldi dovrebbero essere tratti. Il governo ha infatti istituito il Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate, i cui fondi saranno tratti dalle risorse derivanti dall'aumento delle accise sui carburanti (2 cent/litro), dal Fondo di Solidarietà dell’Unione Europea e dalla presunta riduzione dei contributi pubblici per i partiti e i movimenti politici, per un limite di 500 milioni di euro. Giusto e sacrosanto porre questo limite, a chiara previsione del fatto che ci si aspettano grandi risultati, come si compete a tanto grandi e rispettabili istituzioni. Presunte riduzioni di finanziamenti a strutture partitiche, fondi stanziati dall'Unione Europea, accise sui carburanti e addirittura la richiesta di un'uscita del patto di stabilità della regione Emilia - Romagna... Per chi questa non è la prima calamità naturale a cui assiste, la musica sembrerà tutt'altro che nuova.
Le cifre come sempre sono da capogiro, (a cui si aggiungono i 50 milioni di euro del Fondo Nazionale della Protezione Civile), ma nel frattempo però i fornitori battono cassa e così come i dipendenti comunali, che da più di un mese lavorano senza sosta, sabato e domenica compresi. Così ai comuni non resta altra soluzione che rivolgersi alle banche. E sono proprio le banche a farla da padrone in una situazione come questa: è a loro che infatti andranno i 10 milioni di euro raccolti attraverso gli «sms solidali», che saranno destinati alla costituzione di fondi prestiti a «tassi agevolati» per persone e imprese coinvolte nel sisma.
Ma perché l'istituzione di un Fondo per la ricostruzione aree terremotate quando le calamità naturali dovrebbero essere a totale appannaggio dello stato? Perché secondo il decreto legge approvato Il 17 Maggio 2012, i danni provocati dalle calamità naturali (compresi i terremoti) non saranno più risarciti dallo Stato. Alla luce di ciò si prevede in futuro la sottoscrizione da parte dei proprietari immobiliari di un'assicurazione obbligatoria, su esempio del modello assicurativo francese, ma le assicurazioni contro le calamità naturali, oltre ad avere costi proibitivi, vedranno escluse dalle loro polizze le aree che abbiano subito emergenze in periodi recenti: ne saranno quindi escluse l'Aquila, Genova e l'Emilia.

Campi tenda: l'emergenza recintata e presidiata
Benché dipinta come un'associazione di «angeli della provvidenza», la protezione civile è invece un ente statale di impostazione piramidale e verticistica, a cui fa capo il presidente del consiglio dei ministri (che ha anche il potere di convocare lo stato di emergenza). All'interno dell'operativo troviamo infatti polizia locale, esercito, forestale e soccorso alpino, che non vengono impiegati sul territorio solo in situazioni di reale crisi, ma gestiscono la situazione prima, dopo e durante l'emergenza.
I campi, o «tendopoli», sono aree recintate che possono arrivare a coprire fino ai 1000 metri quadrati, contraddistinte da serie parallele di tende blu al cui interno vivono fino a otto persone (due famiglie). Presidiati da polizia locale e carabinieri, i campi sono caratterizzati da regole ossessive e alienanti: controllo continuo dei documenti in entrata ed in uscita, impossibilità per le persone all'interno del campo di ricevere visite o effetti personali da parenti ed amici (sono consentite solamente due buste di plastica per gli effetti personali), razionamento eccessivo dei pasti e dell'acqua all'interno della tenda ristorante e divieto di mangiare al di fuori di essa. Il sovraffollamento e la mancanza di progettualità all'interno del campo, uniti alle diverse etnie che vi si trovano a convivere, generano velocemente episodi di intolleranza e violenza, che vengono prontamente sedati dalle forze dell'ordine.
Degli studi condotti per indagare lo stato psicofisico dei residenti all'interno dei campi della protezione civile dell'Aquila hanno messo in evidenza che “dopo periodi di tempo trascorsi al loro interno la popolazione risulta essere tendenzialmente apatica, depressa, incapace di pianificare il futuro e di immaginarlo in positivo e tendente alla delega. [...]. Lo stato della popolazione aquilana non sembra essere dovuto al sisma stesso ma alla gestione post-sismica dell’emergenza che ha indotto determinati processi di pensiero della popolazione.”
Tale metodo di intervento non è un'eccezione all'interno della gestione delle emergenze: numerosi sono gli esempi, come la Louisiana a seguito dell'uragano Katrina, dove l'evacuazione della popolazione e la sostituzione di abitudini di vita precedenti alla calamità con strutture quali campi e alberghi, possa aver causato una sorta di «istituzionalizzazione soft» della popolazione. La «sindrome da istituzionalizzazione» è una condizione psicopatologica che è possibile riscontrare sia in soggetti sottoposti ad una lunga permanenza in istituzioni chiuse sia anche in soggetti la cui struttura di vita sia improntata al rispetto di rigide e restrittive regole comportamentali, come nel caso dei campi di accoglienza; i campi di accoglienza, in quanto luoghi dove le esigenze dell'organizzazione precedono le esigenze del singolo e dove l'assenza di ogni progettualità ne causano l'annullamento, possono essere definiti delle «istituzioni totali».
Il fatto che, alla luce delle dimostrate condizioni psicofisiche delle persone che hanno trascorso un periodo di permanenza all'interno di un campo di accoglienza, le emergenze vengano gestite ancora nello stesso modo ed i campi replichino la stessa modalità totalizzante, evidenzia il chiaro obbiettivo politico della gestione delle calamità naturali. Instillare nella popolazione la sensazione di avere bisogno di continuo assistenzialismo attraverso strutture dove essa non sia più direttamente partecipe di nulla che riguardi la propria vita, né dal punto di vista economico né dal punto di vista progettuale, è funzionale a creare una popolazione apatica che non si accorge delle speculazioni che verranno fatte alle sue spalle per la «ricostruzione».

Forze del (dis) ordine
In situazione di emergenza il ruolo dell'autorità e le regole che disciplinavano la vita comune assumono una connotazione diversa.
Come all'interno dei campi è prassi il controllo dall'alto sui soggetti- membri, ossia dalla polizia sulla popolazione, le strade sono presidiate, oltre che dalla polizia locale, da carabinieri ed esercito giunti in pompa magna da Roma per «gestire l'emergenza». Con un tale dispiego di uomini i nuovi rapporti di forza venutosi a creare permettono senza sforzo alle forze dell'ordine di perpetrare abusi, intimidazioni violenze verbali e fisiche, e di godere di privilegi all'interno dei campi negati agli sfollati stessi.
Emblematica è la testimonianza di un ragazzo di Finale Emilia: il giorno dopo che la madre aveva denunciato la disuguaglianza tra il poco cibo contenuto nel proprio piatto e quello molto più abbondante degli consumato dal personale del campo, la polizia è andata davanti alla loro attuale dimora, un camper, chiedendogli i documenti per procedere ad una «normale » identificazione. Al loro rifiuto un poliziotto ha malmenato la madre del ragazzo per poi denunciarla per essersi rifiutata di esporre i documenti; a breve partirà il processo e ovviamente la testimonianza dei famigliari non sarà considerata valida.
Così mentre autorità politiche e religiose, dal presidente Napolitano al premier Monti fino al Papa ed al Dalai Lama visitano i luoghi terremoti, gli uni facendo promesse di interruzione di contributi e istituzioni di fondi straordinari e gli altri versando pochi spiccioli in segno di pietas alle popolazioni terremotate, le forze dell'ordine perpetrano abusi e violenze, il tutto nel silenzio complice di stampa e istituzioni. La filastrocca è sempre la stessa: mantenere l'ordine e la disciplina è la cosa più importante; e se la situazione si fa dura, allora i «duri«» cominciano a giocare. E come sempre giocano con le nostre vite, con le nostre teste e con la nostra integrità fisica e morale. Un gioco tanto più riprovevole quanto ineguale se a giocare dall'altra parte ci sono persone distrutte dall'aver perso tutto, spaventate e inermi di fronti agli abusi che sono costrette a subire quotidianamente.

Uscire dalle logiche del controllo: l'autorganizzazione
All'interno dell'emergenza post terremoto c'è una parte di popolazione che ha deciso di non piegarsi alle logiche di internamento e controllo dei campi ufficiali, dando vita a una serie di campi autorganizzati nei parchi o nelle aree verdi fra le abitazioni. Il modello dei campi autorganizzati è diverso da quello della Protezione Civile poiché non è presente la logica dell'assistenzialismo, bensì della solidarietà dal basso verso il basso, in un modello orizzontale che si riflette in tutto ciò che riguarda la vita organizzativa del campo.
Le persone, molte delle quali con la casa crollata o inagibile, oppure troppo spaventate per tornare a vivere nelle loro abitazioni, si sono date da sole delle regole di convivenza comune. Non sono presenti né capi-campo né autorità a preservare l'ordine o a sedare dispute ed episodi di violenza. Non vi è controllo dei documenti in entrata ed in uscita, le visite sono libere così come la mobilità delle persone. Al momento del pasto viene data molta importanza: visto non come una mera esigenza nutritiva ma come un momento di condivisione e socialità, i pasti nei campi prevedono alternative vegetariane, celiache e halal, cioè conformi alle prescrizioni della religione musulmana. Potrebbero sembrare accorgimenti eccessivi – e nel caso dei campi della protezione civile sono certamente considerati tali – ma in una situazione dove ognuno contribuisce alle scelte che riguardano la vita quotidiana del campo, l'individualità di ciascuno viene preservata. Le decisioni vengono prese in momenti assembleari dove viene discusso collettivamente ogni aspetto riguardante la vita comune: le (poche) regole che disciplinano la vita comune sono condivise e rispettate all'unanimità.
All'interno di una realtà autorganizzata, con la quale molte persone vengono in contatto per la prima volta, si creano nuove forme di socialità e solidarietà: il tempo da trascorrere all'interno dei campi è lungo, soprattutto per anziani e famiglie con bambini piccoli. Allora si assiste al ritorno ad una dimenticata forma di comunicazione e condivisione, fatta di lunghe conversazioni, racconti e aneddoti per trascorrere il tempo. Così persone che magari vivono nella stessa strada da sempre e non si erano neppure mai parlate, oppure che si conoscono da una vita, ma si erano viste allontanare dal ritmo frenetico ed alienante della nostra società, che impone per prima cosa l'individualismo e la solitudine, ritrovano il piacere di stare insieme e condividere le proprie esperienze.
Numerosi sono gli esempi di solidarietà e aiuto concreto parte di realtà di movimento: molto forte è stata la solidarietà dai compagni di tutta Italia, attraverso raccolta fondi e materiale che sono stati portati direttamente dove c'è n'è necessità. Ma c'è chi nei campi fa un lavoro quotidiano politico, pratico e organizzativo: ne sono esempi i campi di Medolla e Cavezzo gestito dalle BSA (Brigate di Solidarietà Attiva) ed il campo di via Confalonieri a Mirandola, dove sono state allestite dai compagni dello Spazio Guernica cucine da campo e wc chimici, la cui gestione e amministrazione è stata lasciata alle persone del campo. É anche presente un punto di distribuzione materiale che opera tutte le domeniche, distribuendo gratuitamente il materiale raccolto alla popolazione.
Naturalmente allestire un campo autorganizzato non è legale, poiché rientra sotto la definizione di «campeggiamento abusivo». Nonostante gli assidui controlli, la protezione civile non ha ancora dato avvio alle procedure di sgombero per le già fortissime difficoltà in cui si trova a gestire gli sfollati «ufficiali», cioè coloro che abbiano ricevuto l'attestazione che dimostra la totale inagibilità della loro abitazione. Ora la protezione civile non sarebbe infatti in grado di gestire anche gli sfollati al di fuori dei campi ufficiali. Ma la presenza tanto assidua dell'esercito non lascia spazio per rosee prospettive: appena la situazione nei campi si sarà un po' stabilizzata, evento che si può far coincidere con l'avvento dell'autunno, il suo ruolo negli sgomberi sarà tutt'altro che passivo.

luglio 2012
Una compagna modenese
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da una testimonianza di fine giugno
Mi arrivano notizie dalle zone più colpite dal terremoto in Emilia di situazioni allucinanti. In pratica vogliono far entrare tutta la gente nei lager della protezione incivile, nei quali accedi solo col braccialetto, dove si sta diffondendo la scabbia. La gente che ancora sta in tenda o in macchina, dopo un mese, non può nemmeno farsi una doccia, a meno che non si metta il braccialetto ed entri nel lager. A Rovereto di Carpi, una mia amica è appena stata e c'è un bambino autistico in tenda a cuocere, abbiamo comprato subito due condizionatori noi, che almeno siamo un'associazione che qualcosa fa, e
stiamo provvedendo a montargli docce da campo, ma pare che fra due giorni non daranno più da mangiare a coloro che non entrano nei campi. Oggi hanno mandato via un camion di alimentari perché nei campi ne hanno abbastanza, ma quelli fuori sono senza.Vogliono abolire la solidarietà, e nessuno dice niente.
Secondo me bisogna che ci svegliamo e ci riappropriamo della nostra umanità vera. Perché un bambino che sta fuori dal campo della protezione incivile non può andare a giocare con un bambino che sta dentro? Che logica del cazzo è mai questa? Monti, dove sei? Cosa fai? Intanto che giochi al monopoli, perché non ti vieni a fare una settimana in tenda nel modenese, a vedere se ti passano le cazzate che ti frullano per la testa? Ragazzi bisogna diffondere, perché altrimenti, prima o poi, ci finiamo tutti nel lager con la rogna. Un abbraccio preoccupato, Massimo associazione Atman.


Milano: Prosegue la battaglia degli operai di Basiano
Mentre si andava completando il quadro penale della vicenda di Basiano (tutti e 20 gli operai pestati ed arrestati sono fuori dal carcere con 2 arresti domiciliari, 14 obblighi di dimora e 4 obblighi di firma) sabato 16 giugno si è svolto il corteo a Milano che ha visto l'adesione di 1.000 persone che hanno sfilato dietro gli operai di Basiano e delle altre cooperative, provenendo dall'inisieme del sindacalismo di base, e della sinistra, extra-parlamentare e non, e da molte città del nord.
Una prima risposta pubblica alla violenza statale e padronale e, soprattutto, per far sentire concretamente agli operai licenziati che non saranno soli in questa battaglia.
Nei giorni successivi i lavoratori si sono recati davanti ai cancelli, presidiandoli pacificamente. Si è così avuta la conferma che l'impianto è tornato a funzionare, seppure a regime parziale, attraverso l'utilizzo di una cinquantina di nuovi operai della cooperativa Bergamasca, nonostante in Prefettura fosse emerso con chiarezza l'iillegittimità di una simile operazione da parte di Italtrans (la nuova titolare dell'appalto lasciato vacante da Alma) che non solo ha l'obbligo di assumere gli operai che già lavoravano a Basiano, ma che non è nemmeno in grado di sostituirli con dei propri dipendenti, bensì deve rivolgersi a personale esterno, subappaltato alla cooperativa Bergamasca, già sua socia in affari (tanto poco chiari, quanto redditizi) per mantenere gli impegni presi col Gigante.
A presidiare i cancelli una trentina di carabinieri che, successivamente, sono entrati nel magazzino per "controllare" l'identità degli operai che ci stavano lavorando e quindi la loro legittimità ad essere lì. Gli avvocati intanto hanno depositato un ricorso ai sensi dell'art. 700 (procedura d'urgenza) contro il licenziamento degli 87 lavoratori di Alma e, più precisamente, contro la loro mancata assunzione da parte di Italtrans
E' giunta notizia che i 13 operai di Bergamasca (tutti iscritti al SI.Cobas) che avevano scioperato in solidarietà coi licenziati di Lama, sono stati licenziati per comportamento scorretto, e cioè per aver intralciato i piani della cooperativa e il suo tentativo, attraverso il famoso pullman dei crumiri che aveva provocato le pesanti cariche, e i successivi arresti, da parte dei carabinieri. L'accusa specifica è quella di aver attaccato fisicamente i propri colleghi. Le immagini e i testimoni si incaricheranno di dimostrare la falsità di queste affermazioni, essendo che i crumiri si sono avvicinati ai cancelli solo dopo la mattanza dei carabinieri, scavalcando i corpi dei feriti, e che il loro pullman è sempre rimasto ad almeno 70 metri dai cancelli.
Dopo i licenziamenti in Esselunga, ora tocca ai militanti sindacali di Bergamsca a subire la stessa sorte. La battaglia si fa sempre più aspra di fronte al fatto che le questioni (favorevoli ai lavoratori) emerse al tavolo in prefettura rischiano di avere un puro valoro formale e astratto, di fronte all'incedere dei piani padronali (questi sì concreti) che, in barba a qualsiasi copertura legale che non hanno ottenuto due giorni fa, mettono in atto l'unica legge che sono disposti a rispettare: quella del profitto.
Gli operai licenziati e il SI.Cobas hanno così deciso di recarsi nuovamente in Prefettura il 29 giugno, in modo da mantenere alta la pressione e acelerare lo sviluppo della vertenza sindacale in modo da ripristinare una condizione di diritto minima: il ritiro di tutti i licenziamenti, sia da parte di Alma (rispetto delle norme contrattuali in tema di cambio d'appalto) che di Bergamasca (in nome del diritto di sciopero che, nessun regolamento interno di quale sia cooperativa, può mettere in questione.
Dopo l'incontro in prefettura la trattativa è proseguita in un incontro organizzato dall'ispettorato del lavoro per trovare soluzione alla vertenza che vede 102 lavoratori licenzaiti (89 di Alma che ha disdetto l'appalto e 13 di Bergamasca che hanno scioperato in soldarietà coi loro compagni licenziati). L'incontro si è svolto in un clima infuocato. Da una parte Gigante-Italtrans-Bergamasca che rivendicavano il diritto a fare ...ciò che più gli conveniva economicamente e cioè di scegliersi la forza-lavoro a più basso costo, aldilà di ogni dettame del Contratto nazionale di categoria. Dall'altra il Si.Cobas e i delegati degli operai che rivendicavano il diritto al posto di lavoro e al rispetto del contratto, denunciando l'aggressione subita dalle forze dell'ordine, i feriti e gli arresti. Da notare la scesa in campo di CISL-UIL (la CGIL ha disertato il tavolo) pienamente schierata a favore della cooperativa Bergamasca affermando che i lavoratori di Alma ...erano pagati troppo!
In mezzo l'ispettorato del lavoro che ha chiarito che il loro intento era finalizzato alla salvaguardia dei diritti degli operai licenziati, fornendo la stessa interpretazione del SI.Cobas in merito all'art.42bis, comma 3, del CCNL: "i lavoratori dell'appalto precedente hanno precedenza nel subentro di una nuova azienda appatatrice".
Dopo il netto rifiuto del SI.Cobas ad accettare la porposta di mediazione fornita dal Gigante (55 operai in CIG oppure con una buonuscita di 5.000€, 14 ricollocati altrove, e 20 licenziati immediatamente) reputata un affronto ai lavoratori e al denaro pubblico (non c'è nessuna crisi a giustificare l'utilizzo della CIG, ma solo una volontà politica di eliminare lavoratori sindacalizzati e a costo contrattuale, per sostituirli con altri più ricattabili e a basso costo), il tavolo si è chiuso con una nota a verbale che rimanda ad un successivo incontro in cui verificare proposte meno scandalose da parte aziendale
Sullo sfondo l'inizio della causa già fissata per il 12 luglio (tramite art.700 e cioè con procedura d'urgenza) e l'assemblea di questa sera per definire un nuovo piano di inziativa politica e di lotta contro lo scempio anti-operaio di Basiano

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sulla lotta all’Esselunga di pioltello (mi)
I lavoratori di Esselunga hanno incassato il quinto successo, dopo il reintegro di Attia, licenziato a marzo per le sue dichiarazioni critiche nei confronti della direzione del consorzio Safra. Una volta di più si è evidenziata la pretestuosità e la discriminazione anti-sindacale di quei licenziamenti che hanno prodotto già nove mesi di presidio davanti ai cancelli di Pioltello. Allo stesso tempo crolla il castello della legalità in quanto le verità emerse e le decisioni del tribunale continuano a non sortire alcun effetto pratico, grazie alla solita CIG truffaldina, contro la quale, comunque, è stato avviato un ulteriore procedimento giudiziario contro Safra.
Il 3 luglio è stata emessa l'utima delle sentenze in merito alla causa contro i licenziamenti di Esselunga. I lavoratori hanno incassato altri tre reintegri per licenziamento senza giusta causa (a cui conseguirà l'ennesima procedura di CIG coatta e illegittima ndR). Purtroppo però il giudice non ha accolto il ricorso di Miah, uno dei fondatori del SI.Cobas in Esselunga, nonchè delegato del reparto salumeria, licenziato per dichiarazioni considerate diffamanti al quotidiano "il giorno" il giorno stesso in cui il tutto cominciò, e cioè con lo sciopero del 7 ottobre 2011.
In attesa di avere in mano la sentenza, e quindi di inoltrare ricorso in appello, non si può non denunciare il ruolo partigiano del giudice Scarsella, che ha voluto sancire il dovere al silenzio da parte dei lavoratori, e quindi la loro subalternità al sistema di potere vigente, anche quando l'intera vicenda, incluso giudiziaria, dimotra la faziosità di Esselunga e di Safra e la loro attività anti-sindacale sistematica

Milano, luglio 2012
liberamente estratto dai bollettini periodici del SI. Cobas


I frutti (amari) del piano Marchionne
Comunicato ex lavoratori ThyssenKrupp Torino
Non ci sorprendono affatto le dichiarazioni rilasciate dall'ad di Fiat S. Marchionne, che definisce "folklore locale" la sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma che prevede il reintegro dei 145 lavoratori, tutti iscritti Fiom, dello stabilimento di Pomigliano d'Arco. A questi lavoratori va tutta la nostra solidarietà. A Torino la parola Fiat è diventata un vero e proprio tabù, nessuno più ne parla. Non si dice che dal 14 febbraio 2011 migliaia di lavoratori sono a casa; mentre a Pomigliano d'Arco il periodo di "ristrutturazione" è servito a scegliere tra "buoni e cattivi", escludendo gli elementi più combattivi e alimentando così la lotta tra poveri. Ecco gli unici frutti (amari) del piano Marchionne.
Più gravi appaiono altri commenti a proposito della sentenza: da quello svilente rilasciato dal leader Cisl R. Bonanni "una sentenza come una rondine che non fa primavera"; a quello ostile di R. Di Maulo della Fismic "un pericoloso ritorno a logiche spartitorie e lottizzatorie"; fino ad arrivare alla minaccia di "impugnare la sentenza di reintegro" (G. Sgambati, Uilm Campania). La Uilm, del resto, non è nuova a questo genere di bassezze: nel caso ThyssenKrupp un sindacalista della Uilm di Torino, costituita Parte Civile nel processo per la strage del 6 dicembre 2007, in sede di Tribunale del Lavoro ha testimoniato in favore dell'azienda.
Appare sempre più chiaro che il lavoro "non è più un diritto ma deve essere guadagnato con sacrifici", come ha affermato la Fornero. Questo già lo sappiamo: ai lavoratori nessuno ha mai regalato nulla. Ogni diritto è stato strappato con sacrifici e durissime lotte dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Noi ex lavoratori della ThyssenKrupp lottiamo da 4 anni per ottenere ciò che riteniamo un diritto, conquistato con le lotte e sancito dalla Costituzione, nata dalla Resistenza antifascista: verità e giustizia per i nostri compagni di lavoro uccisi e posti di lavoro (sicuri e dignitosi) per tutti noi, l'unica misura utile (e necessaria) per uscire dalla crisi. Dopo il cordoglio delle Istituzioni e la nostra costituzione di Parte Civile nel processo, gli accordi che prevedevano la ricollocazione di tutti i lavoratori da parte del Comune sono stati disattesi: 14 di noi sono ancora senza lavoro. Mentre il 30 giugno 2011 il Sindaco P. Fassino si impegnava a garantirci un lavoro "certo e sicuro", a oltre un anno di distanza siamo sempre senza lavoro e la sua Gran Torino Capitale del Lavoro per ora è lettera morta.
Per mantenere viva l'attenzione sulla nostra difficile situazione lavorativa e sulla "questione lavoro" più in generale, in questi giorni abbiamo diffuso in Rete un Appello di solidarietà rivolto a tutta la Società Civile e dato indicazione per inviare al Sindaco mail di protesta e ricordargli le promesse fatte nei nostri confronti.
La solidarietà è una pratica importante, un'arma da utilizzare ed estendere a sostegno di tutte le lotte di chi già oggi si batte per la verità, la giustizia e i diritti, sempre più gravemente messi in discussione. Per questo oggi saremo a Viareggio nel terzo anniversario della strage del 29 giugno 2009 in cui sono morte 32 persone: per testimoniare la solidarietà alle Famiglie colpite dal disastro; per promuovere il coordinamento tra realtà diverse che combattono la stessa battaglia; per confrontare e condividere le rispettive esperienze, sapendo che solo la lotta paga e determinati a batterci fino in fondo per vedere riconosciuti i nostri diritti.
Solo unendo le lotte possiamo abbattere questo sistema produttivo ormai al tramonto, sempre più distruttivo di uomini e risorse, e far diventare "folklore" non le lotte, come crede Marchionne, bensì il capitalismo: appartenente al passato, superato, portatore della (nuova) società che costruiremo dalle sue rovine. Dipende da noi.

Torino, 29 giugno 2012
Ex lavoratori ThyssenKrupp - Torino, maipiuthyssenkrupp@hotmail.it
in resistenze.org