indice n.72

AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Lettera dal carcere di cagliari
lettere dal carcere di spoleto
Lettera dal carcere di Carinola (ce)
lettera dal carcere di tolmezzo (ud)
SOLIDARIETà CON MASSIMO E DANIELA E GLI ALTRI INDAGATI
lettera dal carcere di san michele (aL)
Resoconto del presidio davanti al carcere di san michele (al)
Lettera dal carcere di Cuneo
PRESIDIO AL CARCERE DEL CERIALDO – CUNEO
lettera dal carcere di San Vittore (mi)
Lettera dal carcere di Carinola (CE)
Lettera dal carcere di Fossano (cn)
Lettere dal carcere di Prato
lettere dal carcere “pagliarelli” (palermo)
lettera dal carcere di Trapani
Lettera dal carcere di Iglesias (CI)
Lettera dal carcere di Badu 'e Carros (nuoro)
lettera dal carcere di perugia
lettera di un compagno agli arresti domiciliari
lettera dal carcere di “Rebibbia” (roma)
lettera dal carcere di Lenzburg (svizzera)
LETTERe DAL CARCERE DI VELLETRI (roma)
lettera dal carcere di siano (cz)
Terni: Repressione per solidarietà ai compagni sotto processo
La piccola grande storia dell’Estate No Tav
Marcia popolare Serravalle
Torino: rivolta contro gli sfratti, un giorno di barricate

AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
MILANO, CIE DI VIA CORELLI
Agosto. In questo mese ci sono stati lavori di ristrutturazione, che hanno portato allo svuotamento di due sezioni, accelerando trasferimenti ed espulsioni. Da dentro l’insopportabilità della reclusione porta a gesti autolesionisti, due persone tentano di darsi fuoco, per fortuna non gravi le lesioni; i tentativi di evasione vengono pensati ogni giorno, ma purtroppo resi impossibili dalla grande fortezza di sicurezza quale è Corelli.

TRAPANI MILO: Continue evasioni!
26 agosto. Da quando è cambiato il fornitore dei pasti, i reclusi non mangiano più per lo schifo o per protesta. Gli agenti di guardia hanno tentato di smorzare gli animi ribelli puntando gli idranti addosso a tutti, ma per 40 senza documenti, il problema si è risolto, scavalcando le recinzioni si sono ripresi la libertà.
Il 29 agosto un centinaio di reclusi ha tentato la fuga scavalcando la recinzione al grido di “Libertà, libertà!”
Il 9 settembre una trentina di prigionieri ha tentato la fuga, dopo aver segato le sbarre della struttura. Solo uno ce l’ha fatta a scappare: gli altri sono stati ripresi e picchiati con violenza dalla polizia. I compagni di cella di un recluso, arrivato da poco da Lampedusa e con la testa aperta dalle manganellate, hanno dovuto protestare per ore affinché il ferito fosse portato in ospedale e ricucito. Da tempo i reclusi denunciano le condizioni di vita tremende in un centro particolarmente sovraffollato a causa dei recenti sbarchi, e raccontano con orgoglio che i tentativi di fuga, grandi o piccoli, sono praticamente quotidiani, e che non si fermeranno.

TORINO, CIE DI C.SO BRUNELLESCHI
15 settembre. I giornali non ne parlano, ma l’uomo sfrattato da casa mercoledì 12 settembre, è ora rinchiuso nel Cie di Torino. Che si tratti di un esperimento della polizia per risolvere il problema della casa a Torino? Per risolverlo alla radice, espellendo chi non può permettersi un affitto, ospitandolo nell’attesa presso il Centro di identificazione ed Espulsione di corso Brunelleschi? “Fuori di casa, fuori dall’Italia, fuori dai coglioni” sembra essere il messaggio digrignato tra i denti dei piani alti di corso Vinzaglio, piazza Castello o piazza Palazzo di Città. Mentre nel loro stanzino i Giudici di pace convalidano la guerra ai poveri, la Croce Rossa gestisce e contiene l’emergenza: è il suo lavoro, e ben remunerato. Gli ingranaggi dello Stato si incastrano alla perfezione e macinano le vite in surplus. Tutto torna, sempre.
17 settembre. “Se non torno dall’infermeria tra dieci minuti, vuol dire che mi è successo qualcosa.” Così ha detto un recluso del Cie di Torino ai suoi compagni dell’area viola, prima di essere portato in infermeria. E dopo dieci minuti esatti, alle 19.30 nell’area viola scoppia la protesta. Grida, materassi bruciati e battitura sulle sbarre con pezzi di ferro staccati dalle brandine. Poliziotti e militari si avvicinano alle gabbie dell’area, e i vigili del fuoco usano gli idranti per spegnere gli incendi. Dopo qualche minuto il ragazzo esce dall’infermeria, e le proteste cessano subito.
Il 18 settembre in seguito alle proteste del giorno precedente, un recluso dell’area viola viene accusato di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e arrestato. Ora probabilmente si trova al carcere delle Vallette a Torino.

POZZALLO (RAGUSA) CPSA
23 agosto. Sette persone di origine tunisina, palestinese, egiziana, sono stati arrestati a Modica (RG) con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in concorso con tre minorenni, componenti di un equipaggio ed incaricati di pilotare un barcone egiziano, durante la traversata nel canale di Sicilia. I tre minorenni sono imprigionati nel centro di “Primo Soccorso e Assistenza” di Pozzallo, mentre gli altri sette si trovano nel carcere di Ragusa.
Il 3 settembre tentano la fuga dei tunisini appena sbarcati da Lampedusa e trasferiti a Pozzallo, le forze dell’ordine cercano di soffocare la rivolta, ma i reclusi distruggono il pavimento in parquet, divelto le staffe in alluminio dell’intelaiatura del parquet utilizzandole quali armi, sfondato le porte vetrate, divelto muri e porte con le predette staffe metalliche, per procurarsi la fuga, ed utilizzando corpi contundenti scagliandoli contro gli sbirri. Dopo la rivolta, purtroppo, 15 tunisini sono stati arrestati ritenuti responsabili di resistenza e violenza verso le forze dell’ordine.

C.A.R.A. DI BARI PALESE
30 agosto. Un giovane di 19 anni, originario del Mali, é morto investito da un'auto mentre attraversava la statale all'altezza di Palese, nel barese. La vittima era “ospite del Centro di accoglienza” per richiedenti asilo (Cara) di Bari Palese. I rifugiati intervengono scrivendo una lettera per far sentire la propria voce e per non restare indifferenti dinanzi all’ennesima morte di un loro amico. Alcuni stralci della lettera: “La morte del nostro fratello è stata causata dalla negligenza del governo e dalla sua totale assenza nella tutela dei rifugiati politici. Il nostro amico Kalifa, il rifugiato che è stato investito da un veicolo sulla statale 16 mercoledì 29 agosto, era tra i molti rifugiati che col tempo hanno cominciato ad accusare problemi di natura mentale e psicologica, dovuti alle condizioni disumane nelle quali siamo costretti a vivere, in assenza di welfare e di diritti per i rifugiati; il primo diritto fondamentale che ci viene negato è quello di poter ottenere dei documenti che possano permetterci di stabilirci altrove e di poter ottenere una residenza, in attesa del verdetto delle commissioni territoriali. Nei confronti del governo e dei suoi esponenti, come rifugiati, abbiamo perso totalmente fiducia. Questo incidente deve richiamare l'attenzione riguardo il trattamento riservato ai migranti. L'intero sistema che gestisce e controlla il welfare per i rifugiati è corrotto e caratterizzato da incuranza, disattenzione, irresponsabilità. La gestione dei profughi è sintomatica della presenza di forme di razzismo diffuso”.

MARSIGLIA, CIE DEL CANET
1 settembre. “Sabato, alle 21, dopo cena, al secondo piano è stato acceso un fuoco ed il blocco del secondo piano è interamente bruciato, hanno messo tutti i detenuti di quel blocco nei due blocchi del piano terra. Hanno quindi messo 3, 4 o 5 detenuti in ogni cella, dormiamo tutti per terra. Hanno arrestato un algerino, lo hanno mandato in galera, e ci sono dei tipi che sono stati messi in isolamento. Stanno facendo un’indagine, ogni volta mettono qualcuno in isolamento e l’interrogano parlandogli delle immagini delle telecamere. Minacciano di mandarli in galera a causa dell’incendio. Non sappiamo cosa vogliano fare delle persone che tengono in isolamento. Ieri, sono venuti a prendere un tipo nel nostro blocco, accusandolo di aver fatto passare un accendino dal secondo piano, attaccato ad un cordino. Abbiamo detto che non abbiamo visto nessun accendino nel nostro blocco. […] Ci minacciano in continuazione, ci perquisiscono e perquisiscono le celle. Cercano degli accendini. Dicono che se facciamo entrare degli accendini, saremo espulsi di sicuro. Per il momento aspettiamo, non capiamo nulla di quel che succede. […]
Hanno messo una quantità allucinante di sbirri in rinforzo. È una squadra nuova, non si comportano bene. Ogni due secondi interrogano qualcuno chiedendogli se ha un accendino o se sa chi ha un accendino, al momento non ci capiamo nulla”. “La gente qua dentro vorrebbe evadere, ma è difficile. Hanno messo degli sbirri in rinforzo, c’è molta sorveglianza, in questo momento, se tu vedessi a che punto siamo sorvegliati avresti le vertigini, è pieno di sbirri”. “Ci picchiano molto e ci minacciano. Ci trattano come merde, in questo periodo tutti i giorni perquisiscono le celle, ci picchiano e buttano tutto in aria”. “Se qualcuno protesta, gli danno delle pasticche e lo mettono in isolamento in una stanza”. “Il mattino mi hanno portato al tribunale, alle 8,30, eravamo tre, ci hanno ammanettati gli uni agli altri, ho protestato e mi hanno detto: ‘Tu parli troppo, mentre gli altri stanno zitti’ e mi hanno fatto entrare da solo in ufficio, mi hanno detto ‘Ascolta, fai attenzione, sappiamo tutto di te, sappiamo chi sono gli amici che hai fuori, sappiamo tutto di loro e presto potremo mandarti in galera’“. Solidarietà attiva contro le espulsioni!
5 settembre. Grazie alla mobilitazione di un gruppo di solidali, l’espulsione per due detenuti del CIE di Canet vengono evitate. Durante il check-in i solidali riescono a motivare i passeggeri per contribuire al rifiuto dell’imbarco dei due reclusi. Gli sbirri portano sull’aereo due detenuti ammanettati, prima che salgano i passeggeri. A. rifiuta l’imbarco, gli sbirri ne prendono atto, visto che si tratta del suo primo rifiuto, e lo fanno scendere. L’altro detenuto resta nell’aereo, ma gli altri passeggeri, che hanno potuto organizzarsi mentre erano in sala d’imbarco, si oppongono alla sua espulsione. Il detenuto scende quindi anche lui dall’aereo, senza aver avuto bisogno di esprimere il suo rifiuto (cosa che a volte può costare un foglio di via obbligatorio dal territorio francese). Ritorno al CIE…
L’8 settembre c’é stato un presidio davanti al CIE di Canet: In questa prigione per stranieri senza documenti, che nasconde quel che è, quante bastonature, persone mandate all’isolamento, camice di forza chimiche, pressioni psicologiche? Una detenuta ha sfiorato la morte a causa delle violenze e dell’assenza di cure, un altro si è impiccato, è ancora in ospedale. Nel centro, gli atti di resistenza individuali e collettivi sono frequenti: scioperi della fame, inizi d’incendio, rifiuti di imbarcarsi e di cooperare… Dopo numerose azioni all’esterno (presidi, l’occupazione di una nave per impedire un’espulsione, saluti rumorosi…) esprimiamo ancora una volta la nostra solidarietà, affinché i detenuti ci sentano! Rompiamo l’isolamento!Solidarietà con i sans-papiers!

ULTIME DAL CONFINE
18 agosto, Grecia. Crollano gli arrivi, un morto a Evros. Mentre una vasta operazione di polizia dal sapore di un pogrom razzista ha portato all'arresto di oltre 16mila stranieri senza documenti ad Atene, dal confine turco si continua a transitare verso la Grecia. Certo i numeri sono crollati da quando la polizia greca ha deciso il giro di vite. Insomma una diminuzione degli ingressi dell'84%. In minima parte bilanciato dai nuovi arrivi sulle isole dell'Egeo. E più in generale giustificato dalla crisi dell'Euro che rende l'Europa sempre meno attraente nell'immaginario di tutta una generazione nel mondo. Sulla frontiera greca però si continua a morire. L'ultima vittima non ha un nome. Solo un corpo, ripescato nelle acque del fiume Evros il 18 agosto 2012.
27 agosto, Libia. 39 egiziani sono annegati in un naufragio a Bardia, zona orientale del paese vicino al confine con l’Egitto, solo un unico superstite.
30 agosto, Cipro. Una famiglia siriana composta da 7 persone, compresi due bambini piccoli, annega al largo di Cipro, dove probabilmente volevano chiede asilo politico. La guerra in Siria ha già fatto un milione di sfollati nel paese e più di trecentomila siriani hanno trovato rifugio oltre confine, in Turchia, Giordania e Libano. Alcuni da lì stanno tentando di raggiungere l'Europa. La via dell'Europa è sbarrata dalle restrizioni sui visti, così prendono la via del mare, che può essere fatale.
6 settembre, Turchia. Naufragio sulle coste di Izmir, 58 morti su 100 passeggeri, tutti siriani.
7 settembre, Lampedusa. Naufragio 1 morto e 79 dispersi.

Milano, settembre 2012


***
Razzismo e sanità...
In data 7 settembre 2012 è arrivata comunicazione del D.G. in tutti i Reparti Ulss 6: i cittadini stranieri non in possesso di tessera TEAM o certificato sostitutivo provvisorio, (i cosiddetti clandestini) per poter accedere al ricovero-servizi, dovranno dimostrare di essere in grado di sostenere le spese del ricovero anticipatamente direttamente o indirettamente (copertura assicurativa!). E i dipendenti Ulss che non rispetteranno tali indicazioni potranno essere perseguiti con procedure disciplinari.
Cosa succedeva fino ad oggi: i pazienti non regolari venivano invitati al pagamento delle spese sulle prestazioni beneficiate, arrivava loro il “conto” da pagare a seguito del ricovero. Queste persone il più delle volte sono indigenti e non essendo grado di sostenere oneri così importanti, alla fine le spese citate venivano “saldate” dall’Azienda stessa. Cioè da noi cittadini “regolari”.
Questa era secondo noi, una politica condivisibile, perché teneva conto delle condizioni sociali estreme alle quali queste persone erano sottoposte e del fatto che il diritto alla salute non deve guardare portafogli o frontiere.
Con questa nuova indicazione quindi le regole cambiano, i cosiddetti “clandestini” dovranno pagare anticipatamente le prestazioni e l’eventuale ricovero altrimenti verrà loro negato qualsiasi tipo di intervento. Una decisione questa che cozza contro qualsiasi diritto umanitario.
Questa presa di posizione di Alessandri, è in palese contraddizione con l’art 3 della Costituzione (tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali e personali...)
Oltre alla gravità di questa decisione ci sono anche questioni meramente amministrative che rendono di fatto inapplicabile la norma: come può procedere l’ufficio accettazione nel determinare anticipatamente il costo del ricovero, di tutte le analisi e di tutti gli interventi? Faranno dei preventivi come dai DRG?
Colpiscono i cosidetti clandestini e intanto aprono il varco per tornare ad una sanità che tutti dovremmo pagarci?
Le difficoltà finanziarie della Sanità Veneta, la spending review che stanno già determinando “tagli” sul personale, servizi, posti letto ecc.. non sono certo determinate dal costo che le Ulss sostenevano per questi pochi casi di cittadini “cosiddetti clandestini”.
Ci sono invece altri aspetti e altri affari che hanno creato i debiti nella sanità: quali i “Progetti di Finanza”, le consulenze, certe libere professioni, appalti, ruberie ecc. …e se pensiamo alla nostra Ulss, il costo dell’affitto del seminario e perché non chiudere definitivamente il Reparto Dozzinanti che ha in questi anni determinato solo un costo, stante il ridottissimo numero di pazienti a pagamento che vi accedono (si parla di 1,2 posti letto al giorno, occupati).
Usb chiede allora, a gran voce che il D.G. dell’ULSS 6 , unico a prendere questa posizione, faccia subito un passo indietro e ritiri la disposizione.
La sanità pubblica, è un bene comune, un diritto universale che ha tanto valore soprattutto in questo periodo di crisi, dove sono sempre di più numerosi i cittadini, migranti che perdono il posto di lavoro e perdendolo ridiventano “clandestini”.
Usb si attiverà nei prossimi giorni, anche coinvolgendo le comunità dei migranti, in azioni di protesta se sarà necessario... abbiamo già chiesto nel merito un incontro urgente con Alessandri.

18 settembre 2012
Usb Veneto Vicenza


Lettera dal carcere di cagliari
[…] nella battitura di questi giorni la partecipazione è stata scarsa in uno dei bracci maschili mentre nell’altro e nel femminile hanno fatto unu kasinu mannu!
Qui la possibilità di poter disprezzare l’addomesticamento è considerevole data l’alta percentuale di servilismo e di procedure di annientamento che attecchiscono sull’individuo. In questo canile umanoide di Buoncammino, i detenuti presenti compresi nei due bracci maschili, nel femminile e nel centro clinico sono circa 600. La realtà sociale esistente dietro le sbarre è inserita dal contesto sociale proprio. Essendo questa un’isola con le sue specificità, di conseguenza anche la composizione reclusa è proporzionalmente differente rispetto alle galere della penisola. Siamo 1 milione e mezzo di individui in tutta la Sardegna.
Per tutta una serie di motivi ci sono pochissimi immigrati, qui al Buoncammino all’incirca 70, di cui poco più della metà proveniente da altre carceri, l’altra metà, per lo più nigeriani, sono arrestati in Sardegna dove sono venuti cercando fortuna come corrieri. Anche negli altri penitenziari dell’isola la presenza degli immigrati è decisamente minore rispetto a quella nelle carceri della penisola.
Situazione invece opposta nelle tre colonie penali (Isili, Is Arenas, Mamone) strariempite per la follia del profitto che utilizza lo sfruttamento degli immigrati (i non-immigrati lì sono appena il 18%) all’interno di questi campi di concentramento di lavoro, come condizione di accettazione psicologica sul modello di sfruttamento del lavoro all’esterno riservata agli esclusi.
Gli immigrati nelle tre colonie provengono tutti dalle prigioni della penisola; quel che conferma il progetto di potere nell’accumulazione del capitale, come relazione economica, sociale e politica in individui addestrati all’obbedienza schiavistica. Purtroppo questa realtà non viene compresa dai quei miseri e reazionari modi di pensare da parte di quella parte di detenuti che maledicono gli immigrati perché non sono al loro posto.
Anche al Buoncammino l’80% dei detenuti entra per consumo/spaccio di droga. Condizione indispensabile per la società contemporanea, altrimenti avrebbero già risolto questo problema che viene creato apposta dagli sciacalli del sistema.
Qui non ci sono sezioni per trans e gay. Nel femminile sono prigioniere circa 30 donne, la maggior parte sarde, anch’esse in carcere per motivi legati alle sostanze. I “relitti” vengono messi al centro clinico, luogo in cui dovrebbero garantire condizioni igienico-sanitarie migliori, quando invece risultano essere le peggiori del carcere. […]
Se già esistono delle realtà che appoggiano le istanze di lotta dei prigionieri vorremmo, perché necessiterebbe crearne altre, ingrossare le realtà sensibili alla questione, il nostro contributo, di chi è prigioniero, è certo che dev’essere incessante, sia nel rompere l’isolamento imposto con tutte le sue menzogne che nel coordinarsi in lotte da dentro tra prigionieri e tra dentro e fuori.
L’opuscolo, ad esempio, lo ritengo uno strumento fondamentale in tal senso ma purtroppo non lo si impreziosisce in questo verso. Alcune volte sono lettere di sfogo e analisi interessanti, il rapporto che si viene a creare tra presidi e dentro sono sensazioni bellissime ma non suscitano quelle aspettative che noi rivoluzionari o rivoltosi abbiamo, perché forse manca quella spinta, quel detonatore che bisogna ricercare tramite la complicità tra chi sta dentro e le progettualità tra dentro e fuori. Chi scrive nell’opuscolo spesso lotta individualmente, racconta, analizza le condizioni per cui si è “trovato” a lottare; ha già la sua coscienza di classe, di ribelle e vuole espanderla. Il problema è che siamo soli e quando riusciamo a trovare compagni complici è necessario utilizzare al massimo potenziale questo legame perché col trasferimento non ci si potrà più reincontrare. Quindi il sostegno fuori è fondamentale per creare l’ambiente collettivo dentro di prigionieri determinati alle istanze di libertà. Questa determinazione deve essere coltivata all’interno per raccogliere poi i sui frutti. Non si tratta ovviamente di coinvolgere tutti per “forza”.
Un abbratzu! Guerra a s’aprison!

Inizio settembre
Davide Delogu, v.le Buoncammino, 19 – 09123 Cagliari


lettere dal carcere di spoleto
[…] Ho ricevuto le lettere, ma non ancora l’opuscolo, magari arriva tra pochi giorni.
Che dirvi care compagne, come potete immaginare questi mesi estivi sono i più difficili per noi, a causa del caldo e della poca acqua che ci danno durante la giornata; ma questo è niente, perché è successo di peggio settimane fa, a causa di un pezzo di merda di appuntato cornuto che ha l’abitudine di istigare i detenuti in questo periodo, per andare in vacanza a tempo indeterminato. Vi spiego cosa è successo, ne ha parlato pure il TG regionale dell’Umbria, due palle per una settimana intera.
Questo cornutone di guardia, ha istigato per una mattina intera i detenuti in sezione. Lo conoscono tutti anche tra le guardie. Solo che questa volta gli è andata male, perché la testa di un amico e paesano è andata in tilt e gli ha dato un paio di cazzotti sistemati sul viso e gli ha rotto il naso e l’occhio.
Come sempre la guardia si è beccato 80 giorni di guarigione e tutti in vacanza con famiglia a seguito sulla nostra pelle. Questo mio caro amico ora si trova al 14bis a Rossano Calabro; un paio di amici sono stati trasferiti e noi della sezione tutti in punizione chiusi 23 ore al giorno e forse ci trasferiscono tutti! Perché, come dicono loro, noi abbiamo istigato il nostro amico a picchiare la guardia. Pensano che un ragazzo di vent’anni non faceva di sua iniziativa una cosa del genere e sicuramente, essendo pugliese, noi grandi siamo i mandanti. Vaglielo a spiegare che al giorno d’oggi i ragazzi non contano più fino a 10 e partono subito in rissa appena li offendi.
Ho aspettato un po’ a scrivervi, perché stavo aspettando l’evolversi degli eventi, per adesso sono ancora qua.
Quello che mi fa più rabbia è che questo infame seduto a terra che sanguinava dal naso se la rideva sotto i baffi, perché sapeva che aveva fatto bingo. Le solite sceneggiate alla Mario Merola, i soliti dibattiti sulla sicurezza in TV, poco personale ecc. I veri problemi vengono messi a tacere. Purtroppo da come ne parlano al TG la gente si fa delle idee sbagliate. Io, che ho visto con i miei occhi questo pezzo di merda mentre rideva, posso dire che le vere bestie sono loro e fanno di tutto per speculare sulla pelle dei più indifesi. Come sapete il 28 luglio c’è stato il ricordo del G8. La giornata più vergognosa dello stato italiano, come per un sesto senso, la notte del 28 mi svegliai di soprassalto e non riuscii più a dormire, accesi la TV e per coincidenza stava trasmettendo un film documentario sul G8 di Genova. Ciò che hanno fatto alla povera gente senza un motivo concreto - perché c’era anche gente al centro con bimbi piccoli - è pura violenza gratuita da parte delle merde con la divisa.
Poi sarei io il criminale, l’assassino, la persona da isolare, da rieducare, da impacchetare, da imbavagliare e da rendere civile fino alla vecchiaia, con una bella dose di valium e dio solo sa cosa. Come sai non guardo quasi mai la TV e il mio passatempo è la lettura, magari come vi è possibile un buon libro lo accetto volentieri.
Per quanto riguarda l’opuscolo, spesso ce lo giriamo e spesso lo spedisco pure ad altre carceri, molto interessante. Peccato che vedo solo gente demotivata, rassegnata, con idee confuse e pensano solo a se stessi e alla finta libertà che un giorno riavranno fuori di qui.
Non c’è libertà senza dignità. Un saluto a tutti i compagni e le compagne di Ampi Orizzonti. Forza e coraggio che la galera è di passaggio. Ciao a presto.
Un abbraccio a tutti.

29 agosto 2012
Antonio Romito, via Maiano, 10 - 06049 Spoleto

***
Parola di uomo ombra
"Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi". (Roberto Benigni)
Il carcere di Spoleto non ha celle per l'isolamento e gli uomini dal cuore nero del Dipartimento Amministrativo Penitenziario, per poterle fare, hanno deciso di smantellare la sezione AS1 e di deportare i suoi detenuti, quasi tutti ergastolani, nei vari carceri d'Italia. I trasferimenti sono iniziati ed ieri ne hanno fatto fuori tre, oggi quattro e domani ancora non si sa, ma continueranno fino a quando svuoteranno tutta la sezione.
Molti di noi da tanti anni sono detenuti in questo istituto, alcuni sono iscritti con profitto alla scuola dell'istituto e altri all'Università di Perugia.
E ora solo esclusivamente per fare posto ad altri detenuti molti di loro saranno costretti a interrompere il trattamento e gi studi.
Purtroppo è risaputo che gli uomini dal cuore nero di Roma giocano a dama con i detenuti come pedine e la Ministra Severino sta guardando e non dice che i prigionieri non sono cose ma sono persone. La Ministra, che è anche avvocato, dovrebbe anche sapere che la legge prevede anche: "Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza della famiglia".
E se questo non bastasse c'è dell'altro perché la legge prevede anche:"Nei trasferimenti per motivi diversi da quelli i giustizia o di sicurezza si tiene conto delle richieste espresse dai detenuti e dagli internati in ordine alla destinazione". Invece nessuno sta chiedendo nulla a nessuno e come in una roulette russa ci stanno facendo tutti fuori.
Da mesi mi sono attivato per innovare e aggiornare la biblioteca del carcere e per questo mi è stato rilasciato anche un encomio, ora dopo avermi premiato, mi danno il ben servito e mi puniscono perché all'Assassino dei Sogni gli serve la mia cella.
Voglio dire alla Ministra Severino e agi uomini dal cuore nero dell'Amministrazione Penitenziaria di Roma che dovunque andrò, pretenderò che siano rispettate tutte le vostre leggi una per una, ho studiato per questo, non vi darò tregua e tenterò con tute le mie forze, anche se non lo meritate, di educarvi alla legalità.
E chiedo innanzi tutto l'applicazione dell'articolo 42 della legge penitenziaria che prevede, ricordo ancora una volta per gli ignoranti, che "Nel disporre trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza della famiglia" per poter vedere con regolarità i miei nipotini.
A questo punto dichiaro già in anticipo che se sarò trasferito in carcere lontano di casa, per attirare l'attenzione, attuerò delle proteste pacifiche con delle fermate continue durante il passeggio oltre l'orario consentito di dieci/venti minuti.
L'Assassino dei Sogni, il carcere come lo chiamo io, in ventuno anni di carcere mi ha trasferito in tutti i carceri d'Italia lontano dal luogo di residenza della mia famiglia proibendomi, di fatto, di vedere regolarmente i miei figli. E ora a costo di rischiare la vita e le botte dalle guardie non consentirò all'Assassino dei Sogni di fare la stessa cosa con i miei nipotini. Parola di uomo ombra.

fine luglio 2012

Carmelo è stato successivamente trasferito nel carcere di Padova, l’indirizzo è:
Carmelo Musumeci, via Due Palazzi, 35 - 35136 Padova


Lettera dal carcere di Carinola (ce)
Carissimi compagni, vi spedisco queste righe per darvi notizie e informarvi che ho ricevuto l'opuscolo 71. Qui si continua ad andare avanti e a lottare con tutte le nostre forze e con la speranza che quanto prima ci possa essere qualche miglioramento anche se qui con in tanti carceri dove c'è l'AS1 ci sono dei problemi e da quello che si sente dei cambiamenti. In vari carceri hanno fatto dei padiglioni isolati da tutti gli altri e vogliono mettere tutti quelli a regime AS1 per non farti incontrare e avere contatti con gli altri prigionieri. Ci vogliono isolare sempre di più. Ma la voce dei prigionieri è così forte che supera tutti i muri e e il grido di libertà arriva fuori da questi posti di sofferenza perché la libertà e la solidarietà nessuno la può privare.
Vi informo che con i compagni delle altre sezioni è molto più difficile avere dei contatti, ci sentiamo solo con i compagni della sezione AS2, ma i compagni dell'AS2 ricevono anche loro l'opuscolo.
Per ogni prigioniero è importante non arrendersi mai e continuare a lottare perché aumentino le possibilità di uscire da questi posti e soprattutto conquistare quei diritti che sono di tutti.
Salutano tutti i compagni, un caro saluto da Mario. Saluti a tutti con affetto.

8 settembre 2012
Antonino Faro, via S. Biagio, 6 - 81030 Carinola (CE)


lettera dal carcere di tolmezzo (ud)
Riceviamo e diffondiamo una lettera arrivata al Circolo Cabana di Rovereto da un detenuto del carcere di Tolmezzo (UD) dove è stato rinchiuso Massimo prima di essere trasferito nella sezione di Alta Sorveglianza del Carcere San Michele di Alessandria.
Questa lettera testimonia dei continui pestaggi e punizioni compiuti dall’amministrazione penitenziaria per mezzo dei suoi agenti e spiega il celere trasferimento di Massimo. Leggendola troverete altri buoni motivi per partecipare al presidio che si terrà davanti al carcere di Tolmezzo indetto dai NO TAV di Udine, domani sabato 8 settembre dalle 16.

Carissimi compagni, chi vi scrive è un detenuto (del carcere di Tolmezzo), mi chiamo Maurizio Altieri. Vi scrivo da una cella di isolamento, senza perdere un momento. Ho avuto il piacere di conoscere Massimo che mi ha dato il vostro indirizzo.
Brevemente vi racconterò la mia storia sin dal primo ingresso in questo istituto “lager”.
Sono arrivato il 4 giugno dal carcere di Padova, dove avevo denunciato gli abusi degli agenti a Radio Carcere di Riccardo Arena che voi conoscerete.
Arrivato in questo carcere ho avuto subito un diverbio con un brigadiere che era arrogante, prepotente e continuava a minacciare. Così non curante delle sue minacce chiedevo i miei diritti. Finita la perquisizione, con il rifiuto di fare le flessioni, vietate dal regolamento, mi hanno fatto salire in sezione infermeria senza il vestiario.
Arrivato in infermeria, al mattino, al passeggio, iniziano a raccontarmi che qui gli agenti picchiavano senza nessun motivo. Non c’è voluto tanto a capire che erano tutti terrorizzati e avevano paura di prendere botte.
Così ho iniziato a convincere alcuni detenuti che erano stati massacrati a scrivere le denunce, per non lasciare impuniti questi trattamenti disumani.
Dopo tre giorni che ero in infermeria, e dopo aver raccolto 3 denunce dettagliate con i pestaggi a manganellate, i secchi di acqua fredda, nudi senza materasso e nulla, alle 15 arrivò una perquisizione nella cella. Cercavano le denunce. Le trovarono perché stavo scrivendo a Riccardo Arena. Mi portarono in isolamento. Dopo 6 giorni mi chiamarono al consiglio di disciplina e mi contestarono due pezzetti di lamiera. Protestai e chiesi dove fossero le tre denunce ma ricevetti solo minacce. Così mi diedero 15 giorni di isolamento per due pezzettini di lamiera di cui non sapevo nulla. Dall’isolamento ho iniziato a raccogliere denunce di pestaggi.
Sto subendo abusi di ogni genere: mi hanno lasciato senza vestiario, senza sigarette... ho denunciato tutto alla Procura di Udine con 18 denunce per violazione dell’art.27, etc. etc. Mi trovo dal 7 giugno in isolamento. Non vogliono farmi salire in sezione perché sanno che raccoglierei le firme contro la Direzione dell’istituto. Qui per far conoscere la realtà di quello che succede ci vorrebbe una manifestazione davanti al carcere.
Massimo vi ha raccontato anche di quello che è successo l’altro giorno ad un ragazzo, che per protesta dopo aver rotto alcuni mobiletti della cella, è stato convinto ad uscire dalla cella che avrebbero risolto i problemi per i quali era andato in escandescenza; invece dopo essere uscito gli hanno messo le manette dietro ed hanno iniziato a colpirlo a calci e manganellate, gli agenti in tenuta antisommossa.
Abbiamo iniziato ad urlare ed inveire contro di loro, ma non abbiamo più saputo nulla di cosa sia successo. Solo il giorno dopo abbiamo saputo che era in una cella “liscia”, senza materasso e nudo.
In tre mesi sono avvenute decine di pestaggi, non abbiamo nessun diritto, la dignità qui viene calpestata, ci trattano peggio degli animali.
Solo un presidio potrebbe dare forza e coraggio a tutti i detenuti di lottare, anche con scioperi della fame, con qualsiasi forma di protesta, atta ad interrompere l’illegalità che vige e regna insieme alla Procura di Udine.
Io combatterò sempre contro gli abusi, non mi fermerò con le loro minacce. Ho scritto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sono quasi tre mesi che mi trattengono in isolamento contro la mia volontà, trovano sempre scuse per farmi rapporto in modo da poter giustificare tre mesi di soprusi.
Proprio in questo momento hanno avvisato Massimo che domani verrà trasferito…
Noi pensiamo che sia stato il fatto che Massimo abbia detto al G.I.P. ieri, che avevano picchiato un detenuto a manganellate. Logicamente il giudice ha parlato con la Direzione che ne ha chiesto il trasferimento immediato.
Mi dispiace di cuore per Massimo perché stavamo organizzando alcune iniziative volte ad ottenere dei miglioramenti dentro a questo inferno.
Compagni, se vi è possibile far conoscere all’opinione pubblica tutto quello che succede in questo carcere, a nome mio e di tutti i detenuti di Tolmezzo, non finiremo mai di avere parole di ringraziamento per tutti voi.
Avrei tantissime altre cose da scrivervi, tutto quello che accade qui è quasi irreale.
A nome di tutti vi ringrazio per tutto quello che farete per noi, per non lasciare che tutto rimanga dentro queste quattro mura, occultato, celato dal legislatore.
AIUTATECI A FAR SENTIRE LE NOSTRE VOCI.
Fiducioso vi mando una forte stretta di mano, unito a Massimo, Valerio, Jlir, Redovane (tutti detenuti in isolamento).
Con stima, Maurizio.
N.B. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà e dolore ai familiari e gli amici di Stefano, perché Massimo ci ha raccontato tutta la storia e non abbiamo parole per esprimervi tutta la vicinanza al vostro dolore. Ciao Stefano!

31 agosto 2012
Maurizio Alfieri, via Paluzza 77 - 33028 Tolmezzo (Udine)

***
Presidio sotto il carcere di Tolmezzo
Nonostante il trasferimento di Massimo da Tolmezzo (UD) alla sezione “Alta Sorveglianza” del carcere di Alessandria, abbiamo deciso di confermare il presidio. La prima e banale ragione è che Massimo è ancora detenuto e un presidio di solidarietà non necessita di vicinanza fisica per far giungere il proprio messaggio e il proprio calore.
In secondo luogo, nel carcere la situazione è pessima, e lo stesso Massimo in questi pochi giorni ha constatato e denunciato pestaggi ai danni dei detenuti. In tal senso non basterà il suo trasferimento a far calare il silenzio su questa situazione.
Come NoTAV abbiamo intrapreso un percorso di lotta che, dalla difesa di un territorio, ci ha portato a scoprirci incapaci di assistere passivamente agli abusi del potere, e anche in questo caso non abbiamo intenzione di girarci dall’altra parte.
Infine siamo fermamente convinti che la miglior solidarietà sia dare nuova forza alle lotte intraprese da compagn* e da persone che da esse vengono allontanate con misure cautelari. La lotta contro il carcere quale strumento di controllo sociale e repressione del dissenso è una di queste e in tal senso questo presidio vuole essere un modesto contributo. Ribadiamo ancora una volta la nostra solidarietà a Massimo e ai NoTAV ancora detenuti o colpiti da altre misure repressive.

***
Il 27 agosto la procura di Trento ha ordinato l'arresto di Daniela e Massimo, oltre che decine di perquisizioni e l'inquisizione di altre sei persone, con l'accusa di associazione sovversiva. Se il mondo in cui viviamo e dominato dal profitto ad ogni costo, dalla quotidiana devastazione ambientale causata da Grandi Opere dispendiose quanto inutili, dal lavoro come ricatto, da caste di politici corrotti e corruttori, da leggi fatte ad uso e consumo di chi ha potere e privilegi e non ha intenzione di vederli intaccati, allora sovvertire tutto non è solo giusto: è imprescindibile.
Siamo al fianco di Massimo e di tutti coloro che si battono contro il TAV.
Siamo al fianco di chi ha deciso di riprendersi la libertà di disobbedire e resistere per costruire un domani diverso. Cominciando dall'oggi.
Sabato 8 settembre dalle 16 alle 19.30: presidio al carcere di Tolmezzo.
MASSIMO LIBERO! TUTTI LIBERI!

Comitato NoTAV Udine
da informa-azione.info


SOLIDARIETà CON MASSIMO E DANIELA E GLI ALTRI INDAGATI
Martedì 4 settembre si è tenuta una prima assemblea di confronto in relazione agli arresti di Daniela e Massimo e all'inchiesta che vede indagati in totale 43 persone in base all'Art. 270 (associazione sovversiva), accusa che prevede una pena detentiva dai 5 ai 10 anni e una custodia cautelare (quella che stanno già scontando Massimo e Daniela, in attesa dell'inizio del processo) fino a 18 mesi di carcere.
Dall'assemblea, che ha visto la partecipazione di molte persone, ed è aperta al coinvolgimento di altri solidali, sono emersi alcuni punti:
- le lotte reali che si stanno sviluppando nei vari territori in Italia, e anche nel loro piccolo in Trentino, sono spesso il frutto dell’incontro di gruppi e individui diversi tra loro. Queste differenze vanno esplicitate e considerate una ricchezza e una forza.
- occorre sottolineare, di conseguenza, i punti di incontro, le considerazioni comuni, frutto anche dell'esperienza "sul campo": un patrimonio comune delle varie lotte e delle persone che vi hanno sinceramente preso parte che si esprime attraverso una serie di considerazioni sintetizzabili nello slogan "fiducia nello stato non ne abbiamo". Una consapevolezza – quella della necessità di agire al di fuori delle istituzioni – che, nel nostro territorio, deriva dal vissuto di tanti e da recenti esperienze collettive (ad esempio: la vicenda Frapporti, con i suoi lati oscuri e la conclusiva archiviazione; l’ostilità delle amministrazioni locali, in particolare degli esponenti del PD, nei confronti della lotta no-tav e, in particolare, del campeggio di Marco; la vicenda dei richiedenti asilo trasformata in una questione di ordine pubblicata; le quotidiane angherie e violenze commesse dalle forze di polizia ma anche il conformismo nel quotidiano dettato da leggi e regolamenti sempre più restrittivi).
- l'inchiesta della procura di Trento costituisce un duplice attacco (giuridico e politico): un primo tentativo è quello di colpire il dissenso e l'agire di un gruppo anarchico che, a livello locale, negli anni si è sempre speso nelle lotte territoriali su più fronti. Non a caso questa inchiesta si affianca ad analoghe manovre repressive avvenute in altre città negli ultimi mesi. Un secondo tentativo è quello di dividere il movimento No-Tav, di indebolirlo attraverso la criminalizzazione di una sua parte e l'intimidazione verso il resto del movimento. A partite dalla risposta immediata che c'è stata in questi giorni da parte di tante realtà e individui, si può dire che il tentativo non sia riuscito. Tuttavia è importante dare dei segnali visibili in questo senso, a livello pubblico.
- Solidarizzare con Massimo e Daniela e gli altri indagati significa portare il loro spirito nelle lotte in corso, intensificandole, ognuno con i propri metodi e, insieme, sviluppare un percorso che riesca a intrecciare le diverse lotte.

Rovereto, 5 settembre 2012
navedeifolli@gmail.com


lettera dal carcere di san michele (aL)
Cari compagni e compagne, con questa lettera voglio raccontarvi qualcosa che mi sta a cuore e mettervi a parte di un’intenzione. Quando sono stato portato, il 27 agosto scorso, nella sezione di isolamento del carcere di Tolmezzo ho conosciuto alcuni ragazzi lì rinchiusi. Sono stato accolto in modo non solo solidale, ma anche fraterno. Sia pure per una settimana (poi sono stato trasferito nella sezione di Alta Sorveglianza qui ad Alessandria) abbiamo condiviso cibo, caffè, sigarette, urla e battiture. Quello di Tolmezzo è un carcere punitivo, dove quotidiani sono gli abusi e i pestaggi. Al gip, di fronte a cui mi sono avvalso della facoltà di non rispondere, ho denunciato tutto questo.
Tra gli altri ho conosciuto Maurizio Alfieri, in carcere ormai da diciotto anni senza aver mai goduto dei giorni di liberazione anticipata per aver sempre lottato a testa alta. Da oltre tre mesi in isolamento per le tante denunce di pestaggi che ha raccolto e fatto uscire, viene di continuo minacciato (l’ultima volta come ritorsione verso il presidio di solidarietà organizzato lì a Tolmezzo dai compagni: negazione del colloquio telefonico, consiglio di disciplina per lui e gli altri ragazzi). La capacità e la fraterna gentilezza di Maurizio mi sono andate dritte al cuore. Lo stesso vale per i compagni e le compagne con cui Maurizio è in contatto, più forte e deciso di prima. Minacciano, dopo averglielo fatto subire a lungo, di sottoporlo di nuovo al regime di 14 bis (niente tv, blindo sempre chiuso, restrizioni sulla’aria ecc.).
Con questa mia lettera dichiaro anticipatamente – di modo che ognuno si assuma le proprie responsabilità- che se la direttrice del carcere di Tolmezzo dovesse applicargli tale misura vendicativa e vigliacca, comincerò subito uno sciopero della fame. Non ho una grande simpatia per gli scioperi della fame (per il principio che, se sono gli oppressori a commettere le ingiustizie, non vedo perché dovremmo essere noi a soffrire…), ma altre forme di lotta per il momento voglio riservarle per eventuali questioni che riguardino anche gli altri compagni rinchiusi con me in Alta Sorveglianza.
Questa forma di protesta servirebbe innanzitutto per mantenere vivi il pensiero e la vicinanza con Maurizio. Questa sezione ha lo scopo di isolarci non solo dal resto del mondo e dalle lotte, ma anche dagli altri detenuti e, più in generale, dalla nostra classe. Il mio sforzo vuole andare in direzione ostinata e contraria. Parliamo spesso, nei nostri volantini e nei nostri testi, di gioventù selvaggia, di classe pericolosa, di ribelli sociali quali nostri complici “naturali” nella rivolta e nella riscossa. In fondo il potere, con le sue pretese “associazioni”, attacca preventivamente la nostra disposizione, in una società che è un “formicaio di uomini soli”, a condividere idee, sogni, bisogni, pratiche, vita. Proprio come ha fatto un rapinatore di nome Maurizio con uno sconosciuto quale ero io. Chiedo a chi condivide sentimenti e visione della vita simili di mobilitarsi affinchè questo 14 bis - carcere nel carcere - non passi. Per essere un po’ più liberi. Per non dimenticare chi ha continuato a lottare, anche in carcere, anche solo.
Approfitto di questa lettera – visto che la precedente mai giunse – per ringraziare tutti per la calorosa solidarietà che rischiara le mie giornate.
Un abbraccio giunga ai compagni detenuti, ai miei fratelli rinchiusi in isolamento a Tolmezzo, alla Valle che resiste e a coloro che si battono per la libertà di tutti, anche a rischio di giocarsi la propria.

Alessandria, diciotto giorni di settembre 2012
Massimo Passamani, Strada Casale 50/A - 15040 San Michele (Alessandria)


Resoconto del presidio davanti al carcere di san michele (al)
Sabato 15 settembre 2012, si è tenuto in presidio sotto il carcere di San Michele (AL) in solidarietà con tutti i prigionieri e con i compagni anarchici rinchiusi nella sezione AS2.

Ore 15:00 -Già allo sbocco dell’autostrada iniziano i blocchi alle auto; si capisce subito che il clima è teso. Arriviamo al carcere che si trova fuori dal paese, per raggiungerlo con i mezzi pubblici esiste solo un autobus a chiamata.
Alle 16:00 il gazebo è montato e la musica inizia ad arrivare oltre le mura del carcere di Alessandria. Ci aspettavano in alto i secondini, sulla torretta ad angolo, e la DIGOS stava già filmando.
I primi volti coperti, i primi lanci di pietre. La sterpaglia tra la rete esterna e la strada di cemento adiacente le mura era secca, dalla nostra parte. Il fuoco ha bruciato per parecchio tempo mentre le persone vicino alla rete urlavano, salutavano chi poteva vedere aldilà delle sbarre e tiravano pietre, petardi, pannocchie e zucchine; tutto quello che si trovava nella campagna. I botti ed i sassi arrivano fino ai secondini, su, sulla torretta. Dopo svariati (ed inutili) tentativi di spegnere le fiamme la situazione non sembrava cambiare. È partito il blocco stradale, all’entrata del carcere. Molte sono le scritte di solidarietà, ma era palpabile il desiderio di fondo di aprire ogni gabbia ed abbattere qualsiasi muro. La polizia penitenziaria lancia una manciata di gas CS, ma poca roba. Ci spostiamo qualche metro più avanti ed il blocco continua, insieme al lancio delle pietre, per circa un’ora. Sono ormai le 19, gli ultimi botti fluorescenti vengono sparati sopra al carcere e i detenuti ci salutano.
I giornali parlano poco, omettono (per quanto sia stato un intervento minimo e ridicolo) il fatto che l’unico modo per spostarci dall’ingresso sia stato gettare dei lacrimogeni sulla folla che stava bloccando, da poco, il traffico. I giornali locali parlano di 200 persone.
Lunedì Donato Capece, segretario generale del Sappe, ha affermato che una prima soluzione potrebbe essere quella di impiegare i militari per i servizi di vigilanza esterna degli istituti penitenziari per “garantire, oltre a quella interna, anche la sicurezza esterna delle strutture carcerarie". Niente di nuovo nelle sue parole. Questo presidio è stata l’ennesima dimostrazione che più il collare stringe e più l’animale abbaia, si ribella, è furente.
Un abbraccio ai carcerati e a tutte le vittime della repressione.
“Fuori tutti dalle galere! dentro nessuno, solo macerie.”

settembre 2012
da informa-azione.info


Lettera dal carcere di Cuneo
Pratiche di tortura nelle carceri, Il racconto di Pietro
L'inizio è l'evasione da me tentata il 6 aprile 2011 nel viaggio di ritorno dal tribunale di Massa Carrara al carcere di Genova. Nell'autogril di Sestri Levante mentre mi allontano dal furgone in sosta, vengo visto dalla scorta. Contro di me verranno sparati 19 colpi di pistola; uno mi entra dalla nuca nell'orecchio sinistro ed esce dalla guancia.
Riprendo conoscenza la sera in una stanza del reparto detenuti dell'ospedale S. Martino di Genova. L'operazione è andata per le lunghe, sono sostenuto da diverse flebo, il medico chirurgo è lì presente, mi guarda e dice: “Lei Pietro è vivo per un miracolo”.
La pallottola ha fratturato l'apparato dell'orecchio, rotto la mandibola causandomi così gravi danni permanenti come la sordità completa dell'orecchio sinistro, l'impedimento della masticazione. La patologia più acuta è l'acufene, cioè: percezione di rumori nella testa e nell'orecchio devastato anche se dall'esterno non proviene alcun suono.
L'esposizione ai rumori forti, inoltre, acuisce la patologia in generale, dalla percezione di vertigini alla perdita dell'equilibrio fino alla paralisi della masticazione, nel senso che riesco a mangiare solo cibo frullato, bagnato.
All'ospedale mi tengono due mesi, fino al 4 giugno. In quel tempo riesco a muovermi solo in carrozzella e con l'assistenza continua in ogni piccolo bisogno. Quando vengo dimesso mi reggo in piedi a fatica, le gambe le strascico appena.
Vengo trasferito nel carcere di Cuneo. Qui sono visitato dal medico di turno in modo sommario. Mi chiudono in una cella della sezione isolamento; non riuscendo a camminare rimango chiuso 24 ore in cella anche senza radiolina e TV. Dopo 16 giorni vengo portato nella nuova sezione, ma tenuto sempre nella condizione di isolamento. Nel frattempo infatti il Dipartimento dell'Amministrazione della Tortura Penitenziaria (DATP) ordina nei miei confronti l'applicazione del trattamento dell'art. 14 bis dell'ordinamento penitenziario (O.P.), motivato dalla tentata evasione. In concreto, è in ogni caso la continuazione dell'isolamento con l'aggiunta però di ulteriori limitazioni e controlli, quali la censura sulla corrispondenza, nell'acquisto di riviste, negli indumenti che posso tenere con me, oltre alle perquisizioni quotidiane – ne totalizzerò 157. La richiesta della censura proviene dal direttore del carcere di Cuneo, Carlo Mazzeo (fratello di Salvatore a sua volta direttore del carcere Marassi di Genova, da dove provengo) subito avallata dal magistrato di sorveglianza.
Il rapporto, diciamo professionale e personale fra tutti questi funzionari, dà così un segno vendicativo ed aggravante alla mia condizione. Ciò ulteriormente appesantito dalla figura di Sebastiano Ardita proveniente dalla funzione di pm in alcuni processi in Sicilia ora elevato a direttore generale trattamento detenuti presso il DATP. In pratica l'ufficio che dirige i nostri trasferimenti. Ardita si racconta in un libro di recente pubblicazione e data la carica dal titolo significativo “Giù le mani dal 41bis”. Questo gruppo di funzionari li considero responsabili della tortura a me riservata.
Una delle prime gravi conseguenze di questa condizione precaria è la negazione della risonanza magnetica prescritta dal medico dell'ospedale S. Martino: invece di essere effettuata entro un mese dall'uscita dall'ospedale, infatti, ci vengo condotto solo l'8 ottobre (2011). Ancora, l'avvocato il 25 agosto chiede il trasferimento sulla base della perizia del mio medico legale, che mi aveva visitato nel mese di luglio.
Nella sua relazione il medico scrive: “Il carcere di Cuneo non è dotato delle attrezzature e delle professionalità necessarie per seguire un soggetto in dette condizioni di salute ed il ricorso alle strutture sanitarie esterne di natura diagnostica comporta tempi di attesa assolutamente incompatibili con le esigenze sanitarie del detenuto”. Insomma, se sono in un ospedale o in un centro clinico o simili, posso usufruire, ad es. della risonanza magnetica entro i tempi naturali della cura, mentre se sono in carcere devo allinearmi alle lista d'attesa che allungano i tempi in modo pericoloso.
Il DATP solo il 26 di ottobre respingerà l'istanza per ottenere il trasferimento, dichiarando che “come da parere espresso dal responsabile sanitario (del carcere di Cuneo), codesta sede penitenziaria è in grado di assicurare un idonea assistenza medica”.
Il 7 dicembre 2011 alla scadenza dei termini del trattenimento 14 bis, vengo tradotto per diversi processi prima a Bologna, poi a Pavia, di nuovo a Bologna con ritorno a Cuneo il 28 luglio 2012.
I venti trasferimenti sono sempre avvenuti nelle più severe condizioni di controllo e limitazioni. Nel carcere di Pavia il trattamento medico, l'esposizione ai rumori, le condizioni igieniche e alimentari erano e sono ancor più deleterie di quelle di Cuneo.
Rientrato a Cuneo, alla visita dal medico di ingresso chiedo di essere messo in una sezione dove non ci siano rumori della TV e in una cella a due, non oltre, in modo da alleviare le inevitabili discussioni sul volume di TV, radio e altro. Il medico liquida tutto con un “non è competenza nostra”. Rivolgo le stesse richieste alle guardie, la cui risposta è “non è possibile”. Allora, conoscendo già la sezione dell'isolamento, chiedo di essere portato là. Il 4 agosto vado a visita dallo specialista otorino. Dopo alcuni giorni riesco ad ottenere la sua consulenza scritta in cui esorta “a evitare l'esposizione a suoni o rumori intensi, elevati e persistenti per non aggravare gli acufeni di cui già soffro e per non arrecare anche eventuali disturbi dell'equilibrio che potrebbero essere provocati a causa della sua patologia preesistente”.
Il 6 agosto vengo sottoposto ad un consiglio di disciplina in seguito alla mia decisione di andare all'isolamento. In quella sede esprimo ciò che loro conoscono benissimo: mi trovo alle celle perchè loro mi avrebbero messo in una condizione di ulteriore aggravamento della mia patologia. Sono le loro decisioni a spingermi nell'isolamento, questo è chiaro.
La “sentenza” del consiglio del resto sempre in quella direzioni: 15 giorni di punizione, il massimo previsto dell'o.p.
Il 23 dello stesso mese alla scadenza della punizione (dato che la “sanzione “ mi viene notificata solo l'8 agosto), non succede nulla.
Il 2 settembre vengo chiamato nell'ufficio dagli ispettori dove mi viene prospettato il trasferimento in sezione poiché il responsabile sanitario avrebbe loro ribadito la solita falsa conclusione relativa alla presunta “compatibilità” delle condizioni di rumore ecc. nella sezione con la patologia da cui sono colpito, ciò in contrasto con la stessa consulenza dello specialista, oltre che del medico legale, accennate. Ripeto agli ispettori che non intendo proprio aggravare il mio stato fisico; che quanto sostenuto dal responsabile sanitario non ha consistenza viste le consulenze di due specialisti e le stesse raccomandazioni dei medici dell'ospedale S.Martino. Il capo-ispettore a quel punto mi propone di andare in una cella di sole due persone, seppure in una sezione isolata, dove vigono alcune restrizioni, per esempio il divieto di usare il fornello. Per il bene della mia salute, faccio due conti, decido di andare. Attualmente mi trovo lì. Saluto tutti, inizio settembre 2012.

Pietro Noci, Carcere di Cuneo – Via roncata, 75 – 12100 Cuneo


PRESIDIO AL CARCERE DEL CERIALDO – CUNEO
DOMENICA 7 OTTOBRE - ORE 14.00
Criminalizzazione delle lotte popolari, arresti, imputazioni per reati associativi, pesanti condanne per manifestazioni di piazza: sono questi alcuni degli strumenti della strategia poliziesco-giudiziaria che il Potere mette in atto per arginare la sempre più urgente ostilità nei suoi confronti.
Perché sia chiaro che non abbiamo alcuna intenzione di subire in silenzio l’escalation repressiva in atto in questo Paese, e per esprimere solidarietà a tutti/e coloro che affrontano il carcere e lottano fuori come dietro le sbarre, indiciamo un presidio davanti al carcere del Cerialdo (Cuneo, via Roncata), dove è ancora imprigionato Maurizio Ferrari, arrestato nell’ambito dell’inchiesta contro il movimento NoTav lo scorso 26 gennaio.
Domenica 7 ottobre 2012 dalle ore 14.
Presidio davanti al carcere del Cerialdo (Cuneo, via Roncata)
Interventi musicali e microfono aperto.
Contro il carcere e la società che lo crea! Tutte e tutti liberi!

settembre 2012
Biblioteca Popolare Rebeldies, Cuneo

***
Il 26 gennaio di quest’anno è scattata un’imponente operazione repressiva che ha portato diversi compagni in carcere nel tentativo di dividere, ricattare e far ripiegare il movimento NoTav su posizioni difensive. Il tutto è stato condito da una campagna mediatica con prese di posizione nette dell’intero apparato istituzionale.
L’obiettivo di rompere l’unità della lotta è presente fin dalla genesi di questa inchiesta giudiziaria, così come per molte altre, egualmente rivolte contro movimenti rivendicativi e di emancipazione sociale.
Magistralmente riassunto nelle parole di Caselli “dei venticinque arrestati solo tre sono della Val di Susa”, ecco che emerge chiaramente l’odioso teorema che distingue buoni e cattivi, che separa la gente della valle dagli “esterni”, e che tenta di dividere il movimento tra chi difende in modo pacifico legittimi interessi parziali e chi si oppone in modo violento su basi ideologiche, di carattere generale e perciò sovversive. In questo senso sono da leggere le inchieste degli ultimi mesi, e i conseguenti arresti, sempre utili ad agitare lo spettro del “terrorismo”. Poichè rispetto al movimento NoTav, una distinzione così netta circa le idee e le pratiche di lotta adottate rappresenta una palese mistificazione della realtà storica, l’attacco della magistratura si è allora concentrato nell’opera di criminalizzazione del movimento “esterno”, attraverso l’enfatizzazione dei percorsi politici di alcuni degli arrestati, dei quali, ovviamente, vengono esibite le precedenti denunce, condanne ed eventuali carcerazioni. Risulta evidente dal procedimento stesso, con immediata eco mediatica e strumentalizzazione politica, l’intenzione di sanzionare esplicitamente il movimento in quelle pratiche di lotta che confliggono con gli argini imposti dalla democrazia dello stato e dei padroni.
L’aspetto giudiziario, tanto più se così mediatizzato, preannuncia quello penale, senza il quale perderebbe di significato e utilità. Di fronte a capi di imputazione tutto sommato generici e comuni, resistenza a p.u. e lesioni, espressione di uno scenario di lotta massificato, evidente e difficilmente manipolabile, la tesi accusatoria dell’infiltrazione di professionisti della violenza politica in un contesto sostanzialmente “sano” serve a legittimare il dispositivo della carcerazione preventiva e le condizioni particolarmente restrittive di detenzione.
Così, utilizzando le parole del tribunale di Torino nella sentenza di riesame del 13 febbraio, alle “persone appartenenti ai cosiddetti gruppi ‘No Tav’” – per distinguerli dal movimento No Tav locale e dunque ufficiale – viene riservato un trattamento carcerario esemplare, con una miscela di provvedimenti che vanno dalla reclusione in sezioni speciali, all’isolamento all’aria, alla censura della posta, alla difficoltà ad ottenere i colloqui anche con i familiari, alle pesanti restrizioni per chi ha ottenuto gli arresti domiciliari, insieme ai fogli di via dai comuni della valle, caduti a pioggia in tutta Italia e, peraltro, ovunque ignorati. Tutto ciò rende evidente lo scopo differenziante di spezzare in tante specifiche situazioni e posizioni individuali il carattere collettivo del movimento e la solidarietà che lo tiene insieme. Un tentativo, sapientemente articolato, ma decisamente non riuscito di innescare paura e desolidarizzazione non solo nelle fila del movimento No Tav ma, attraverso questo, in tutti quei movimenti che si oppongono e si opporranno alla macelleria sociale che i vari governi ci riservano e ci riserveranno in futuro.
Non è quindi un caso che un ulteriore elemento di continuità fra i vari governi stia nel progetto di espansione quantitativa del sistema carcerario e di approfondimento qualitativo delle politiche di differenziazione. Infatti, in un contesto di profonda crisi economica, che è anche crisi sociale e delle politiche del consenso, il potenziamento del sistema carcerario serve a contenere una quota crescente di popolazione in esubero rispetto al grado di assorbimento del mercato del lavoro e a reprimere quelle istanze che si pongono concretamente il problema di un’alternativa all’attuale sistema di sfruttamento delle persone e dei territori o, quantomeno, che cercano pratiche di lotta efficaci per il raggiungimento dei propri obiettivi.
Se i primi sono considerati alla stregua di rifiuti da contenere in vista di un futuro smaltimento a basso costo, i secondi divengono veri e propri nemici da isolare dal resto della popolazione, detenuta e non, al fine di impedire ogni possibile “contagio” e di piegarne la determinazione, attraverso la privazione della socialità,
A tal proposito abbiamo visto come in questi ultimi anni le pesanti restrizioni proprie del regime carcerario applicato con l’art. 41-bis siano state via via estese ai circuiti speciali cosiddetti di Alta Sicurezza, dove sempre più viene rinchiuso chi è arrestato in seguito alla sua partecipazione alle lotte.
Invitiamo tutti/e a partecipare al presidio che si terrà sotto il carcere di Cuneo domenica 7 ottobre, affinché la repressione non venga vissuta come un fatto estemporaneo ed individuale ma, viceversa, sia l’occasione per fortificare la solidarietà che lega trasversalmente le lotte, nella convinzione che la repressione, la differenziazione ed il carcere siano gli elementi fisiologici con cui ogni lotta che vuole davvero vincere deve sempre più fare i conti e combattere.

settembre 2012
Assemblea regionale contro carcere e CIE (Lombardia)


lettera dal carcere di San Vittore (mi)
Carissimi compagni l'opuscolo di luglio n.71 mi è arrivato insieme a una stupenda cartolina da voi inviata. Grazie a voi e all'opuscolo riesco a tenermi informato su quello che succede fuori e sulla situazione degli altri compagni in carcere. Come già sapete qui a San Vittore da fine luglio hanno incarcerato Marina. Cazzo è qui a due passi e non c'è modo di comunicare con lei. L'unico modo è tramite corrispondenza, ed è quello che sto facendo, ma la cosa mi fa ancora più rabbia. È da circa due anni che qua hanno tolto il servizio di posta interna, quindi se voglio comunicare con lei, devo spedire una lettera fuori. Ora di ricevere la sua risposta passano minimo una decina di giorni, incredibile ed è qui a meno di duecento metri da me. Fortunatamente, ai primi di agosto, qua al quarto piano del terzo raggio (La Nave), c'è stato uno spettacolo teatrale fatto da detenuti e detenute. A fine spettacolo sono riuscito ad avvicinare una detenuta, e prima che la portassero via le guardie, far arrivare i miei saluti a Marina. Mi ha scritto dicendomi che li ha ricevuti. Io mi trovo alla Nave ora, che è un reparto a trattamento avanzato di secondo livello. Non so cosa significhi con esattezza, vi posso solo dire i vantaggi e gli svantaggi che ho provato sulla mia pelle.
I vantaggi sono che abbiamo le celle aperte dalle nove alle diciotto (e non è poco per chi si deve fare la galera), i cellini sono composti al massimo da tre-quattro detenuti e non sei come nei piani. Io mi trovo in una cella da sette, più grande di quella da otto in cui ero rinchiuso al quinto raggio. Abbiamo la doccia in ogni cella e la borsa frigo ed addirittura, uno stanzino con il bigliardino nel piano. Gli svantaggi sono che devi partecipare obbligatoriamente alle attività che ti offrono gli operatori che lavorano qui. Attività come "educazione alla legalità", "mediazione", "misure alternative", dove devi subire una marea di stronzate che ti dicono, ed appena provi a controbattere, ti dicono che non hai capito lo scopo della "Nave" e non ti vuoi curare dalla tossicodipendenza. Altro svantaggio è che puoi capitare con detenuti con reati sessuali alle spalle e prima di salire ti fanno firmare un foglio dove ti impegni a non agire comportamenti violenti, pena la ricacciata ai piani. Ma la cosa che più mi fa rabbia è la falsità degli altri detenuti. Qui tutti fanno buon viso a cattivo gioco e cercano di arrufianarsi gli operatori. Io sono qui da quasi due mesi ed ancora non ho avuto un colloquio con loro, meno male che ci curano. Ora vi abbraccio spero a presto.

10 settembre 2012
Adamo D'Aulisa, p.zza Filangeri, 2 - 20123 Milano


Lettera dal carcere di Carinola (CE)
[...] comunico ai compagni/e che anche qui al carcere di Carinola è stata effettuata la solita battitura per le stesse ragioni (amnistia) qui in AS2 ho effettuato la battitura per un paio di minuti dove tra l'altro mi ha dato l'impressione di essere un cretino, forse perché il mio modo di lottare non è questo ma quello che si faceva trent'anni fa nelle carceri (le rivolte).
Sono anni che sento, o leggo degli opuscoli che in varie carceri portano avanti piccole lotte passive di scioperi della fame, e battiture senza però esserci stati grandi cambiamenti. Quindi, per quanto ancora dovranno leggere che nei carceri fanno battiture e sciopero del carrello? Concordo con quel detenuto smemorato dove dice: che battiture e scioperi della fame non servono proprio a nulla, e che quindi andrebbero trovate altre forme organizzative di lotte da portare avanti per intere settimane, per esempio lo sciopero della spesa, lo sciopero di tutti i lavoranti compreso quelli della cucina, scioperi degli avvocati. Ma su questo c'è anche da dire se questi detenuti sarebbero disposti a perdere il proprio lavoro, e perdere i benefici! Sempre sull'opuscolo n. 71 un detenuto scrive dicendo che avrebbe assistito un pestaggio messo in atto da tre guardie. I pestaggi nelle luride galere continueranno a esserci fino a quando serviranno a guardare e zittire. È qui che dobbiamo far sentire tutta la nostra rabbia quando viene picchiato un detenuto, perché scriverlo per poi essere pubblicato su Ampi Orizzonti non serve per risolvere il problema, i problemi di quel genere si risolvono facendo sentire la nostra incazzatura a chi ha orecchi per sentire in direzione. A mio avviso queste forme di lotta "se così possiamo definirle" facendo battiture non è una lotta ma è solo confusione per i nostri orecchi che non serve a niente.
È inutile rifiutare il cibo del carrello, se poi acquistiamo della merce, alla direzione non gliene frega più di tanto dello sciopero del carrello (...) un saluto a pugno teso al compagno Mau. Hasta siempre la vittoria.

5 settembre 2012
Rossetti Busa Mauro, via San Biagio, 6 - 81131 Carinola (CE)


Lettera dal carcere di Fossano (cn)
Cari compagni di Olga ho ricevuto 71 vi saluto e vi ringrazio. Dalla mia ultima lettera inviatavi nell'opuscolo 69 non ho più scritto, semplicemente perché non sono stato tanto bene con la salute. Comunque ora sto un po' meglio e riesco a concentrarmi un po' sullo scrivere e sulla lettura. Ho avuto notizie del compagno Alessio, che è stato trasferito a Prato, da un suo scritto. Tutta la mia solidarietà al compagno Alessio e credo che le ragioni per cui è stato trasferito sono più che ovvie, e credo anche che non siano stati nemmeno tanto cortesi nell'accompagnarlo fuori da quella struttura. Comunque questo è il mondo del carcere fatto di segregazione e tortura psicologica e fisica, a volte mascherata e a volte palese.
Fin quando poi i carceri non rispecchiano la società? Schifo fuori e schifo dentro! Nemmeno qui a Fossano sono rose e crisantemi, il malessere si taglia con il coltello, cinque persone per cella, poco lavoro per chi ne ha bisogno, attività con il contagocce…
La gente litiga per cose futili, causa lo stress e la monotonia. Una sola aria per 154 persone dove si fa tutto in concomitanza: c'è chi passeggia ai lati dell'aria, c'è chi gioca a pallone, c'è chi lava i panni, c'è chi prende il sole, c'è chi gioca a carte tutto nello stesso spazio, e c'è il rischio che ti arriva un pallone in faccia da un momento all'altro!
Comunque dialogo con l'esterno ve n'è poco, quasi zero. Ogni tanto qualcuno si taglia le vene, oppure prova a decapitarsi da sé con qualche lametta, o chi dà in escandescenza per mancanza di recezione da parte dell'area pedagogica.
L'ufficio di sorveglianza di Cuneo da cui dipende Fossano è di braccino corto e non concede più di qualche cosetta proprio quando non può farne a meno! E tutto il resto lo lascio all'immaginazione!!
Spero e mi auguro che la società "civile" si renda conto della disumanità di questi (lager) e smuova le proprie coscienze. Spero che i cervelli statali e governativi pensino prendere soluzioni per far si che magari in futuro vi sia meno bisogno e addirittura nessun bisogno di tenere esseri umani in queste condizioni, che di umano hanno ben poco! La domanda è chi è più disumano in questo gioco dei ruoli!?!
Ora termino e vi saluto con affetto.

10 settembre 2012
Francesco Carrozza, via san Giovanni Bosco, 48 - 12045 Fossano (Cuneo)


Lettere dal carcere di Prato
Ciao a tutti. Vi scrivo dal carcere di Prato dove sono stato trasferito ieri sera. Era un po’ di giorni che fiutavo puzza di trasferimento e quindi mi ero preparato all’eventualità. Nei giorni precedenti c’erano stati un po’ di casini con un brigadiere che aveva dovuto abbandonare la sezione tra insulti e battiture. Era scontato quindi che mi deportassero e quindi mi ero preparato.
Sono venuti alle 5.30 ero sveglio e ho detto che non avevo problemi a farmi il viaggetto. Ho guadagnato del tempo per andare in bagno, bermi un caffé (mai tarantelle senza caffé) e prepararmi al meglio per resistere. Alle 6.30 è tornata una sola guardia a dirmi che era ora di andare. Ho risposto che non mi sarei mosso. La guardia era sbigottita e gli ho suggerito di chiamare rinforzi. A quel punto ho allertato amici e compari in sezione dicendo che mi preparavo a resistere. Al mio nuovo concellino ho detto di non mettersi in mezzo. Più o meno un'ora dopo sono venuti in otto credendo che la stazza potesse impressionarmi e che avrei ceduto. Ero pronto, invece. Ben unto di olio di semi, un foglio con tutti gli indirizzi e tre francobolli attaccato all'uccello con lo scotch.
Per darmi un piccolo vantaggio ho riempito il pavimento dell'entrata della cella di olio. All'ennesimo rifiuto sono entrati, lo slancio ne ha fatti scivolare due sull'olio, un brigadiere ha sbattuto contro lo sgabello ed è rimasto stordito. Non ho potuto infliggere un altro colpo mi sono volati addosso. È cominciato un corpo a corpo. Grazie all'olio e a qualche nozione appresa all'aria ne ho prese ma ho resistito. Sono stato sopraffatto come previsto ma quando non puoi vincere allora devi rendere la sconfitta degna di essere raccontata. Mi hanno trascinato di peso per tutta la sezione tra urla, insulti mischiati a saluti e in bocca al lupo. Della mia roba non so nulla. In matricola ho continuato a sfidare le carogne, invitandole ad entrare nella celletta di isolamento. I vigliacchi non sono entrati. Dovevo partire alle 7.00. Ho lasciato Le Vallette alle 10.00 o poco prima. Dal blindato ho intravisto dei compagni venuti a volantinare all'uscita del carcere. Il viaggio è stato una sauna. I rottinculo della scorta si sono fermati a mangiare in Autogrill lasciandomi ad arrostire per un'oretta.
Quando siamo entrati a Prato ho visto una scritta rossa su un muro giallo vomito: "VIVA BRESCI". E che cazzo, compagni, viva Bresci. Sono entrato in sezione alle 19.00 dopo i trattamenti classici per chi entra. III sezione, media sicurezza, telecamere ovunque nei corridoi. Siamo in tre in cella, due ragazzi con me sono appena rientrati dall'isolamento. Ho detto "buonasera prigionieri si può", mi è stato risposto "hai ragione siamo carcerati non detenuti. Certo che si può". Mi hanno accolto preparandomi il letto e rifocillandomi. Per i racconti abbiamo atteso stamane. Ammetto che ieri ero un po’ stanco. Ora so che in questo carcere siamo 700, 3/4 in media sicurezza e la restante parte in alta sicurezza. Mi dicono che Prato è un istituto punitivo. Intanto stamattina dopo che si era sparsa la voce che era arrivato un nuovo pellegrino sono venuti a salutarmi. In molti conoscono "Olga" e hanno una corrispondenza. Qualcuno ha cacciato un opuscolo c'era un mio scritto sopra quindi mi hanno accolto a pacche sulle spalle. Ora cerco di risistemarmi al meglio, mi ambiento un po’ e vediamo cosa se ne cava. Dopo mesi in XII a Torino posso trarre un primo bilancio e credo che si possa fare molto organizzandoci tra prigionieri. Posso sfruttare mesi di esperienza e una determinazione accresciuta. Sono sereno, con il morale alto e consapevole che l'unica difesa possibile contro il potere è l'attacco diretto. So che molti compagni considerano la mia scelta di non avvalermi della difesa giuridica una scelta poco intelligente, poco furba e che mina l'unità del movimento NO TAV. Pensatela come volete compagni posso solo rispondervi che userò l'intelligenza, la furbizia di cui dispongo per unirmi agli uomini ed alle donne che combattono contro questo esistente per sferrare colpi sempre più precisi e per ribadire che continuerò a battermi ovunque e nonostante tutto. E fanculo qualunque accomodamento da politicanti.
Detto ciò sto bene anche se sono sprovvisto praticamente di tutto. Riscrivo presto. Fuoco e rivolta. Alessio.

6 settembre 2012

***
Ciao, purtroppo il campo dove avete allestito l'impianto non sono riuscito a vederlo, ho sentito qualche sprazzo di voce portata dal vento.
Ipotizzo che stavate (guardando l'entrata del carcere) sulla destra e che quindi eravate di fronte al Blocco dell' A.S. Io sono nell'altro blocco, in media sicurezza. Comunque mi hanno riferito che eravate in un po'.
Se avessi avuto il piacere di vedervi, più che fischiare, in saluto, avrei appiccato il fuoco al materasso. Così mi avreste visto. Sulla bandiera del Napoli (ma potrebbe essere quella laziale, gr.....), qui ce ne sono di napoletani, come in tutte le galere d'Italia, d'altronde. Intanto stamane, sono venuti a fare una perquisa in grande stile e credo che la cella dove sto fosse il vero obiettivo. L'ispettore mi ha amorevolmente detto che sto qui da poco, e già ho rotto i coglioni. L'importante é mantenersi piantagrane con brio.
Una cosa che mi viene naturale come respirare. […]

4 settembre 2012
Alessio del Sordo, via La Montagnola, 76 - 59100 Prato

***
BREVE RESOCONTO DEL PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DI PRATO
Ieri sabato 1 Settembre, si é tenuto un presidio sotto le mura del carcere di Prato, in solidarietà ad Alessio e a tutti/e gli/le altri/e detenuti/e. Erano presenti una trentina-quarantina di solidali, soprattutto provenienti da Firenze e Pistoia, ma anche qualcuno da Bologna e Reggio Emilia.
Il presidio é iniziato alle ore 16, anziché come era in programma alle 15, a causa di un forte acquazzone. E' partita la musica dall'impianto allestito, e subito abbiamo potuto vedere le braccia dei detenuti degli ultimi piani della galera, sbucare dalle sbarre delle finestre e cominciare a salutarci, anche sventolando bandiere rosse e persino quella della squadra di calcio di Napoli (città dove Alessio vive).
Abbiamo pensato che Alessio non fosse in quelle celle, dato che in caso ci fosse stato, non sarebbe mancato il suo inconfondibile "fischio", che tutti avrebbero sentito. Non abbiamo potuto dialogare con i detenuti, ma abbiamo effettuato una battitura con pietre e sassi contro la recinzione esterna del carcere. Si sono poi succeduti diversi interventi al microfono, in particolare incentrati sulla questione NO TAV, ma anche sulle condizioni odierne delle carceri italiane (vedi sovraffollamento, amnistia, ecc...), e sulla volontà di abbattere tutte le carceri esistenti e la società che ne necessita, intonando cori e slogan vari (FUORI TUTTI DALLE GALERE, DENTRO NESSUNO, SOLO MACERIE,
ecc..). Poi é stato effettuato un breve collegamento con Radio Blackout di Torino. Il presidio si é poi sciolto intorno alle ore 19.

Milano, 2 settembre 2012


lettere dal carcere “pagliarelli” (palermo)
Ciao, un saluto a te e a tutte le compagne e i compagni di Olga, ho ricevuto l'opuscolo n°71. La situazione nelle carceri italiane è sempre uguale, poco buona. Come dice il compagno Antonio Cianci ci vuole uno sciopero vero e non quelle stronzate che si fanno ma come si vede ci sono pochi pronti a fare qualcosa di serio. Io sono stato tre anni a Opera e per ottenere il trasferimento mi ero arrampicato al muro all'aria. Dopo un tira e molla con il magistrato di sorveglianza ho preso 6 mesi di 14bis e mi hanno trasferito a Sulmona. Quei vermi politici hanno costruito uno stato che è peggio del regime di Mussolini. La gente deve stare zitta, “collaborare” e deve lasciare solo i politici e altri vermi a fare quello che vogliono, rubare soldi di stato, fare leggi per proteggere loro. E non lamentarsi mai e così va tutto bene in questo paese “molto democratico” ah ah... quello stronzo del capo di stato è ancora peggiore di loro perchè lui ha potere di far qualcosa ma non lo fa, perchè? Perchè anche lui “mangia” con loro.
Io due anni fa sono stato a Voghera per un processo di “falsa” testimonianza. La verità è che non volevo denunciare altri detenuti e mi hanno dato altri due anni di galera poi quando mi hanno condannato ho chiesto al pubblico ministero se la legge è uguale per tutti, lui mi dice di sì, io allora ho chiesto perchè Berlusconi e altri politici corrotti non sono in galera, le prove le avete dei loro “affari”; lui non mi risponde niente. Io ho detto che questo è uno stato di merda e che mi fanno schifo, loro sanno bene che sono vermi senza spina dorsale ma vivono tutti bene e senza tanti sforzi. Viva la “democrazia” italiana ah ah! […]
Qui è sempre uguale, ci trattano come cani e siamo in “dieta” forzata... spero che questa lettera vi trovi tutti in buona salute, saluto tutte voi compagne e compagni.

29 settembre 2012
Sabanovic Jasmir, via Bachelet, 32 – 90129 Palermo

***
Ciao a tutt*, scrivo queste due righe per spiegare al situazione che esiste all’interno della sezione femminile del carcere di Pagliarelli di Palermo… ritengo sempre giusto far uscire da queste mura come i nostri carnefici gestiscano queste strutture, dare un resoconto reale di come è dal e al suo interno.
Apro una piccola parentesi su di me, giusto per chiarire una volta per tutte la mia posizione. Troppe voci son girate sul mio conto, all’interno del cosiddetto movimento… so bene che molte persone mi vedono in cattiva luce, solo perché per parecchie volte, purtroppo, mi sono ritrovata imbrigliata nelle fottute galere di stato. Innanzitutto premetto che non considero in alcun modo chi si erge a giudice d’altri, senza prima conoscere di preciso tutto quello che può stare attorno a determinate azioni e ancora meno valuto le opinioni di chi parla senza neanche conoscermi personalmente… il fatto di ritrovarmi nuovamente in galera di certo non è perché mi piaccia! O perchè “me la cerco” (come ritengono molti ignoranti che si insudiciano la bocca con parole, per me, troppo offensive!) già il pensare o dire certe cose mi pare dar valore a tutta una serie di punizioni, regole e leggi che ci impediscono di muoverci e vivere liberamente! In ogni caso quello che faccio e voglio fare della mia vita lo posso sapere bene solo io! Non devo giustificare nulla a nessuno… delle mie azioni ne rispondo sempre e se le porto avanti di certo non è per nulla di casuale ma un motivo valido, un ragionamento, c’è sempre!
In ogni modo, quando per anni ci si trova incatenati ad un meccanismo di “entrare-uscire” da questi posti, otre ad avere i nervi scoppiati, una rabbia accumulata contro tutto ciò che s’è visto e subìto è tanta, viene inglobata e non si può scordare mai… questo innesca anche una scintilla di rivalsa e riscatto che alle volte, spesso, può esser causa di azioni troppo avventate e/o precoci… ma mai giudicabili su due piedi, da altri, giuste o sbagliate, che bisogna o meno fare! Questo giudicare mi pare che sia compito d’altri, di coloro che per me viaggiano su binari opposti ai miei. Il fatto di essere anarchica me lo rivendico sempre a pieno petto, per me però non vuol dire l’appartenere ad un determinato movimento, ma è il come ci si pone con chi e con quello che ci sta attorno, è l’affrontare quotidianamente la sfida tra se stessi contro chi ci nega la libertà. Poi, ovviamente, sta a ognuno di noi decidere le modalità per ottenere in ogni modo quello che si vuole, che si ritiene opportuno e giusto… ma chiudiamo qua il discorso… semmai ci sarà chi vorrà dibattere su quello che scrivo, lascio il piacere o il dispiacere di farlo un a volta fuori… anche se, sicuro, fuori, ci sono ben altre cose e più importanti a cui dare energie… torniamo all’apertura della lettera invece.
Qua la situazione è il solito schifo… vabbè… la sezione è divisa in braccio destro e braccio sinistro. Il primo ospitava le ex ”protette” (cioè le detenute con reati contro i minori, sui minori!) e il secondo le cosiddette “comuni”. Da quando la direzione ha chiesto alle altre detenute di accettare le “protette”, aria e attività si fan tutte insieme, oltre ad essere mischiate… questa situazione l’han creata per poter arrivare, così dicono, all’apertura delle celle!!! Secondo me è una minchiata, non c’avevano personale! Mai vista una dinamica del genere!
La mia situazione è la solita del cazzo, oltre ad essere stata ficcata al braccio destro (quello in cui ci stanno le ex protette e poche comuni) sto in cella singola (che qua dentro a sto punto è meglio), perquisizioni due volte al giorno, le detenute non mi possono passare nulla dalle altre celle e viceversa… non ho capito se è una minchia di disposizione o se questi lo fanno per ripicca per il mio comportamento come dicono “poco educato”! Questo mi disse il sovrintendente. Ba’, io son ficcata in mezzo proprio alle “brave detenute” remissive, coloro che si scartano appena una guardia apre bocca! Mica casuale il posizionamento, maledetti bastardi! Per tutte quante le perquisizioni le fanno ogni volta che si va e si torna dall’aria… ci fu un giorno in cui spogliarono me e 2 ragazze che si trattennero a parlarmi durante le due ore d’aria! Come m’incazzai quel giorno! Non lo hanno più fatto… anche perché sarebbe successo un casino! Già vieni palpeggiata costantemente, se poi pure ti devono umiliare con questi metodi dimmerda! Oltre a cagarti il cazzo su come vestirti per scendere a “respirare”!
Per quanto riguarda la solidarietà è come a Trapani, pari a zero… anzi peggio ancora. È più il numero di “detenute cagnolino” che si confidano con le guardie che non quello di chi si fa “i cazzi propri”… uno schifo! Solita solfa, domandine perse, minacce di rapporti disciplinari… il solito minestrone di disagio, nervosismo e tensione che spesso sfocia in litigi tra detenute. Qua, come in ogni carcere “grande” ci sta il “capo posto” uomo, oltre alle guardie donne che di routine controllano la sezione… lasciamo stare i viaggi a vuoto che si fanno per arrivare alla mia cella… controllata costantemente… l’animale raro allo zoo! Porca madonna il nervoso! Sopra la sezione c’è l’OPG [Ospedale Psichiatrico Giudiziario, Ndr]… non so come sia la loro situazione, ma sentendo le costanti urla immagino le infamità siano molte… insomma, il carcere… mando intanto queste due righe in modo che ci si faccia un’idea della situazione aspettando di tronare presto fuori.
Scusate l‘italiano, non son mai stata una brava scrittrice ehehee. Comunque, sempre morale alto, nonostante ti ritrovi sola a mantenere la tua dignità integra. Un saluto e abbraccio a chi mi è sempre stato vicino e continua a farlo! Sempre a testa alta! Ribelli sempre! Un bacio, Madda

2 settembre 2012

***
[...] Due parole per farvi capire la situazione in cui sono... è che, pur stando in una sez. di "comuni" (dato che il reato contestatomi è favoreggiamento) il trattamento rimane quello di un AS2 con perquise costanti anche due volte al giorno alla cella (in cui sto sola), posta trattenuta e vigilanza costante nel reparto.
L'ultima menata è stato un isolamento punitivo per cinque giorni per aver, come dicon loro, istigato altre detenute al "fuori cella" dopo che una nostra compagna fu menata e portata in cella liscia senza vestiti! Il fuori cella era dovuto all'ottenimento dei suoi vestiti! Almeno quello porco dio!
Questi maledetti non si fanno remore ad adottare metodi infami e torture (fisiche oltre che psicologiche) per mantenere la sottomissione e la paura delle detenute! E poi chi sarebbero i terroristi? Fanculo!
Insomma questo rapporto pigliato mi costò questa fottuta punizione che, sinceramente, poco mi tocca! Non si può star zitte vedendo certe infamie! Peccato che le lotte alle volte, molto spesso, ti tocca portarle avanti da te... ma queste, fidatevi, che tutte le detenute le ritengono giuste... anche se non vi partecipano per paura... nella loro testa, internamente pensano siano giuste [...]

17 settembre 2012
Maddalena Calore, p.zza Cerulli, 1 - 90129 Palermo


lettera dal carcere di Trapani
Cari/e compagni/e! Saluti a tutti! Vi invio questa mia missiva per mettervi al corrente dell’ennesima infamità che sti sbirri hanno fatto nei confronti della mia compagna Maddalena Calore.
Il 31 luglio, dopo aver terminato il colloquio con la Madda, quest’ultima si recò alla fermata dei bus, per far rientro ad Alcamo, presso la mia abitazione. Dopo essersi messa in viaggio da Trapani verso Alcamo, giunta a quest’ultimo paese, gli sbirri fecero irruzione sull’autobus e con un mandato di perquisizione, con un articolo di merda come loro, la portarono in questura e proprio lì, fu perquisita e gli furono rinvenuti alcuni “biglietti” e fu arrestata con l’accusa di favoreggiamento, in quanto quei biglietti provenivano dall’interno del carcere! Bhe, il suo arresto è stato dovuto al fatto che la Madda al momento dell’arresto non disse [di chi erano i biglietti] e proprio questo suo comportamento di “persona onesta” l’ha portata in gabbia e rinchiusa nel carcere di Trapani.
Lunedì 27 agosto mi venne a trovare l’avvocato e mi comunicò l’ennesimo trasferimento della Madda in altro istituto ancora da me sconosciuto. Ancora la corrispondenza epistolare (tra me e lei), oltre a giungermi con un notevolissimo ritardo, a volte non arriva proprio! L’ultima sua missiva risale al 9 agosto ed è l’ultima notizia che ricevetti da parte sua e proprio sta situazione/giochetti che stanno facendo sti infami di merda per allontanarci e far troncare ogni tipo di contatto, mi sta mandando col cervello in tilt! Ma di certo non saranno loro ne i loro fottuti “giochetti” a far troncare ogni tipo di contatto con la Madda… Adesso, quello che mi interessa principalmente è che lei stia bene e che quanto prima possa ricevere sue notizie.
Cari/e compagni/e qui, vi invio un forte e caloroso abbraccio e un bacione alla mia Madda. Fate la cortesia di pubblicare questa lettera sull’opuscolo.

29 agosto 2012
Francesco Domingo, via M. di Fatima, 222 – 91100 Trapani


Lettera dal carcere di Iglesias (CI)
Carissimi; Compagni e Compagne! In data odierna ho ricevuto l'opuscolo di luglio, vi ringrazio tantissimo. Qui non si finisce mai di vedere gli sbirri compiere delle vere opere fasciste, l'ultima la settimana scorsa, "perquisa generale con i cani". Quindici persone chiuse in una sala m 5 x 4 senza servizio igienico, per due ore, non si respirava, qualcuno puzzava, indescrivibile, dal giorno stesso ho messo il divieto di incontro con tutta la popolazione detenuta, sciopero della fame, e della sete, come al solito sono stato l'unico a lamentarmi, oggi è il 5° giorno che non mangio e non bevo, rifiuto le visite mediche per impedirgli di essere da loro monitorato, in un modo o nell'altro andrò via da questo carcere con regime fascista. Non farò un passo indietro, fino al trasferimento. Vi saluto caramente tutti scrittori e lettori, compagni/e. Ciao

13 settembre 2012
Davide Matta, Loc Sa Stoia, 16 - 09016 Iglesias (Carbonia-Iglesias)


Lettera dal carcere di Badu 'e Carros (nuoro)
Carissimi amici, mi dispiace che io solo ho risposto al vostro invito, l'ho fatto per mera educazione e riconoscenza verso voi e l'operato. Qualcuno da qui è partito, probabile che tra questi ci fosse qualcuno destinatario dell'opuscolo.
Non è più in atto (da molto) il mio sciopero della fame, la prossima volta sono più orientato a prendere una denuncia per aggressione HA HA!!
La coesione nei carceri manca da moltissimo tempo è un po' come il paradosso della grotta, quindi è difficile comunicare anche tra di noi. Io ne ho le tasche colme di scioperi inutili, ma non faccio mai il detrattore, se la causa è giusta.
Io sono un empatico misantropo in carcere sono quasi tre anni che "vivo" in questi circuiti e ne vedo di tutti i colori, a 41-bis (ci sono stato sette anni) è un po' diversa la situazione. Ad oggi sembra che hanno mollato sul limite del vestiario anche perché stanno infilando persone nelle carceri, in più del prescritto. Sarei bugiardo a dirvi che qui sto male, in gran parte gli agenti di custodia sono educatissimi e preparati, come in tutti i carceri manca (per un motivo o per l'altro) il rispetto dell’O.P.
Spero che quest'anno fanno la scuola superiore altrimenti vedo cosa inventarmi per partire. Io scrivo da quando ero ragazzo e continuerò a farlo, mi aiuta ad elevarmi. […]
L'ignoranza in questi luoghi è abnorme. [...]
“Ho compassione per coloro che credono che la libertà vada difesa col sposarsi a 40anni”. Vi abbraccio.

29 luglio 2012
Vincenzo d'Alessandro, via Badu 'e Carros, 1 - 08100 Nuoro


lettera dal carcere di perugia
Ciao, malgrado gli 11 anni trascorsi è ancora ben chiaro nella mia mente il ricordo che ci portò in quelle giornate a Genova, eravamo felici e pieni di speranze, eravamo più di 300.000 mila, tutte e tutti con la voglia di contestare i potenti, tutti e tutte con la voglia di costruire un mondo diverso (nel nome di un così detto movimento dei movimenti). Poi purtroppo qualcosa è andato storto, se così vogliamo dire, ed è successo quello che è successo: le violenze, i massacri e la morte (omicidio di Stato) di uno di noi, il nostro caro Carlo. Mi ricordo anche molto bene l’ipocrisia di chi giù in quei giorni cominciava a cavalcare l’onda dividenti i buoni da cattivi.
Il dopo Genova fu poi caratterizzato da quell’accanimento, da quella caccia alle streghe da parte della magistratura nei confronti di 25 tra compagni e compagne con l’accusa assurda del reato di devastazione e saccheggio.
A seguire poi il buio più completo, fino a quel 2008 quando la Corte d’Appello portò da 25 a 10 i compagni e le compagne accusate per quell’abominevole reato e, ricordo ancora bene quello che si percepiva dalla dichiarazione (in rete) rilasciata da Casarini dopo la sentenza, i “suoi 15″, i manifestanti modello e per questo giustamente assolti (alla faccia della solidarietà militante!).
Gli altri 10 invece cani sciolti, brutti, zozzi e cattivi e, così giustizia fu fatta. 10 per lo più anarchici, i subbugliatori du 300.000 persone e, non lo dico per vittimismo, forse sarà una coincidenza o forse un dato di fatto, chissà…?
Poi di nuovo calarono le tenebre e tutto andò al dimenticatoio sino alla sentenza finale del 13 luglio del 2012 quando la Cassazione confermò per noi 10 la condanna per il reato di devastazione e saccheggio (con pene dai 7 ai 15 anni di reclusione).
Ed ora, momentaneamente dietro alle sbarre siamo in 2 io e Marina, quella sorella che ho sempre desiderato avere e che non ho mai avuto la possibilità di conoscere.
Ma che sia ben chiaro, io no vivo di rancore perché ho ben chiaro chi è il mio nemico e, colgo l’occasione per ringraziare dal profondo del mio cuore chi comunque in questi anni c’è stato sempre vicino, come chi si è prodigato in questo ultimo periodo con le poche forze rimaste ad aprire e portare avanti la campagna 10×100.
Ma, adesso la cosa più raccapricciante è che con questa sentenza si è venuto a creare un precedente confermato dalla Corte di Cassazione e da ora in poi (e mi auguro che non sarà così) chi oserà ribellarsi, chi oserà difendere la propria dignità e chi scenderà nelle piazze per lottare dovrà convivere con l’idea di questo alone repressivo nascosto dietro l’angolo e pronto a colpire in qualsiasi momento.
Malgrado la prigionia, io cerco di resistere e tenere duro grazie anche alla vostra solidarietà che mi state dimostrando in questi giorni e che non mi fa sentire solo. Non sarà sicuramente questo sequestro legalizzato a frenare la mia voglia di far “saltare” questo ingranaggio del potere e costruire insieme un mondo diverso.
Un forte abbraccio a tutti e tutte e, con Renato sempre nel cuore.
In ogni caso, nessun rimorso.

2 settembre 2012
Alberto Funaro, Via Pievaiola, 252 - 06132 Perugia

da www.10x100.it


lettera di un compagno agli arresti domiciliari
Un pensiero per tutti - Il 15 ottobre del 2011 eravamo tanti a Roma ed eravamo convinti che qualcosa si potesse cambiare, eravamo determinati ed uniti nel chiedere un cambio di rotta al mondo politico affinchè la crisi del sistema capitalista, che si stava abbattendo su di noi, potesse essere arginata.
Quello che poi successe lo sappiamo tutti e non devo essere io a commentarlo o giustificarlo, ma tuttavia mi sento in dovere di dire a voi tutti che l'obbiettivo che quel giorno le menti dello stato perseguivano, lo hanno raggiunto. Sono riusciti a spaventare il popolo, soffocare ogni voce di protesta, isolare ogni dissidente e fare intorno ai movimenti terra bruciata, e tutto questo per spalancare le porte a coloro che da lì a neanche un anno di distanza, si sono resi i protagonisti indiscussi del più grande attacco ai diritti dei lavoratori ed i più grandi attori di una squallida stagione politica fatta di tagli, austerità e speculazioni finanziarie.
Uno di quelli che forse maggiormente ha subito l'ira cieca di questo stato sono io che, insieme ad altri compagni e compagne, si trova a scontare da cinque mesi precisi gli arresti domiciliari con l'accusa di devastazione e saccheggio (legge fascista!), per degli scontri di piazza architettati e voluti dalle forze del disordine.
Non sono con questa lettera a commiserarmi o chiedere di essere liberato, sappiano loro signori che quello che sto subendo mi dà come contrapasso forza e determinazione, ma a chiedere, con il cuore in mano, a tutti voi di riorganizzarvi nel più breve tempo possibile e in ogni parte d'Italia perchè è giunta l'ora di dire basta.
Basta piangersi addosso ed aspettare che dal cielo arrivi qualcuno a lottare per noi, basta sfogare la rabbia sui social network, basta vivere nell'indifferenza assoluta e attendere che tutto migliorerà come per magia.
Dicono che questo autunno sarà caldo, io me lo auguro perchè veramente non c'è più tempo da perdere dietro a questi tecnici, amministratori di passaggio nelle mani della BCE, pronti a compiere riforme inique e restrittive pur di calmierare il famoso spread ed i mercati finanziari, a vantaggio di una piccola elite di lobbisti e speculatori di borsa e il tutto a danno di noi cittadini.
E accade che mentre loro compiano una vera e propria macelleria sociale, piangendo lacrime di coccodrillo, essi si permettano anche di prenderci in giro dicendo che questi sacrifici ci faranno uscire dalla crisi, ma di fatto i loro provvedimenti non stanno portando ad alcun risultato, visto che gli indicatori economici sono tutti negativi.
Questo non lo dico io, ma i fatti!
La disoccupazione è aumentata, quella giovanile è ai massimi storici, i consumi delle famiglie sono peggiori di quelli del dopo guerra, milioni di persone sono al limite della soglia di povertà, un numero impressionante di nuclei campa solo con l'assegno della cassa integrazione, padri e madri sono costretti a bussare ai centri di assistenza per dare da mangiare ai propri figli, intere famiglie hanno dovuto rinunciare alla tanto attesa vacanza e godersi il meritato riposo per poter pagare la rata dell'IMU e, nonostante io sia convintamente comunista, mi sento di prendere posizione anche a favore di quelle migliaia di piccoli imprenditori e artigiani, che si trovano costretti a chiudere i battenti perchè strozzati dalle tasse e da un sistema bancario marcio che impiega i soldi ricevuti a tasso agevolato dalla BCE per l'acquisto speculativo di titoli di stato più remunerativi e sicuri. E' una vergogna!
Non riesco a capire cosa possa ulteriormente accadere per svegliare le coscienze di ognuno di noi e quindi con queste righe sono a chiedere alle persone di buona volontà, della parte sana di sindacato e partiti, quelli che ancora hanno sangue nelle vene, quelli che ancora si ricordano cosa significhi la parola uguaglianza e lotta al capitalismo e in generale a tutti voi, di aprire da domani una discussione seria e costruttiva, per creare insieme una piattaforma in grado di raccogliere e ascoltare le esigenze della popolazione, che sappia opporsi con forza alle politiche neoliberiste e sopratutto che riesca a portare di nuovo le persone in piazza.
A questo proposito propongo di fare come in Canada (Quebec) e scendere nelle piazze a cadenze mensili, magari ruotando di regione in regione, per far sentire il fiato sul collo a costoro, affinchè le loro scelte politiche siano indirizzate alla soddisfazione dei bisogni di tutti e non delle esigenze di pochi.
E' arrivata l'ora di essere uomini e fare quello che i nostri nonni e i nostri genitori hanno fatto per noi immaginando un futuro migliore. E' ora di lottare per noi e per ricostruire un paese dove poter crescere e avere fiducia in un futuro migliore.
Che la crisi diventi rivoluzione.
Scusate se mi sono dilungato, ma non riesco a condividere questo stato di rassegnazione e restare a casa in silenzio. Un abbraccio a tutte/i

Davide
21 settembre 2012
da controlacrisi.org


lettera dal carcere di “Rebibbia” (roma)
Ciao a tutti gli Ampi Orizzonti, ho ricevuto ieri n. 2 dell'opuscolo 71 luglio 2012 di cui vi ringrazio... li stiamo facendo girare tra le interessate! Di certo altre vi scriveranno...
L'opuscolo è interessante e si legge volentieri...
Ho notato con piacere che avete, tra gli altri, pubblicato anche il mio comunicato dell'undici agosto scorso. Si tratta di un comunicato in due parti: una relativa alla mia/nostra liberazione/riarresto (che è stata da voi riproposta integralmente :-) e un'altra relativa allo sciopero della fame da me intrapreso dal 20 al 31 agosto (che, ne son sicura, vi è sfuggita). Vi chiedo troppo (non vi conosco e spero tanto non ve ne abbiate a male) se vi chiedo, appunto, di riproporla (quando e come riterrete più opportuno, naturalmente)?
Il fatto è che credo moltissimo allo sciopero della fame come metodo di lotta rivoluzionario e, anche se consapevole di fare parte di una minoranza, sarebbe bello avere anche qualche interessante e nuovo dibattito a tal proposito! Che ne dite?
A mio avviso le divergenze e le peculiarità di ognuno rappresentano, nel rispetto reciproco, una preziosa fonte di confronto e crescita... che ne dite?
In attesa di una vostra risposta, vi ringrazio ancora e vi mando, sempre col morale che vola oltre queste sbarre e queste mura, un grande abbraccio ribelle!

6 settembre 2012
Elisa Di Bernardo, via Bartolo Longo, 92 - 00156 Roma

***
Sciopero della fame non rivendicativo
Con grande gioia mi unisco a Marco Camenisch nello sciopero della fame non rivendicativo dal 20 agosto al 3 settembre 2012. Il mio corpo sarà il mezzo di lotta preferenziale contro la cosiddetta “operazione Ardire” e la repressione che lo Stato ordina sempre più frequentemente ai suoi burattini da guardia al fine di fermare chiunque osi mettere in discussione il suo potere con parole e azioni.
Contro le galere che in ogni dove pretendono annientare l’individuo e i suoi inevitabili slanci di vitale libertà accanendosi ancor più laddove regnano ribellione, dignità e determinazione.
In solidarietà ai compagni e fratelli Marco Camenisch, che si è visto rifiutare per la seconda volta la libertà condizionale e Gabriel Pombo da Silva, in attesa di essere estradato in Spagna come da lui desiderato. Svolte che proprio quest’anno avrebbero dovuto caratterizzare le loro vite e che l’ardita razzia anti-anarchica del 13 giugno scorso vuole evidentemente ostacolare. Vi abbraccio forte con cuore pieno di complice sovversione.
In solidarietà a@ compagn@ della cospirazione delle cellule di fuoco (determinato il loro comunicato “ccf - il caos è alle porte”) che nelle prigioni greche non fanno un passo indietro rimanendo rimanendo a testa alta anche ora che sei di loro sono sotto indagine perché inclus@ nell’“operazione Ardire”: continuate a combattere la paura come avete sempre fatto... non siete soli! “Sempre in battaglia...” (Olga Ikonomidou dal suo comunicato sulla fine dell’isolamento).
In solidarietà agli anarchici Eat e Billy prigionieri delle carceri indonesiane: l’oceano che ci separa non è altro che un trampolino per la complicità rivoluzionaria internazionale.
In solidarietà al fratello Luciano Pitronello (Tortuga) in sciopero dell’affetto: le tue parole dal lontano/vicino Cile danno conferma della tua forza, del tuo coraggio e della tua natura individualista.
In solidarietà al compagno messicano Mario López rimasto ferito il 26 giugno scorso dall’esplosione accidentale dell’ordigno che pare stesse trasportando, e alla sua compagna Felicity Ryder da allora latitante e ricercata da chi ha già pianificato un’altra feroce ondata repressiva in terra messicana. Resisti Mario! Non sei solo in ospedale oggi, non sarai solo in cella domani! Corri Felicity! Che il vento della rivolta ti accompagni il più a lungo possibile allontanandoti dai tuoi aguzzini!
In solidarietà ai perquisiti e agli indagati della recentissima “operazione Mangiafuoco” messa in atto tra Italia e Germania all’alba dell’8 agosto su iniziativa della famigerata procura di Bologna.
In solidarietà a tutti coloro che, dentro e fuori le galere, combattono con ogni mezzo l’autorità precostituita e il potere predeterminato.
Un grazie a chi non smette di dimostrarmi tutto il suo appoggio e la sua solidale vicinanza. Onore ai compagni caduti in combattimento! Sono sempre con me!

Con amore e anarchia, Elisa di Bernardo
Prigioniera politica anarchica e vegana


lettera dal carcere di Lenzburg (svizzera)
Per questioni di spazio e, come ci scrive Marco, “per i tempi postali/repressivi” che hanno ritardato le comunicazioni, pubblichiamo soltanto uno parte degli scritti inviati da lui stesso tralasciando le riflessioni di inizio agosto sull’inchiesta in corso nominata “Ardire” (info n.3) e quello sulle ragioni del recente sciopero della fame da lui intrapreso che in parte sono riprese nella lettera precedente.

Ehi bella gente sul cammino della solidarietà e della lotta! C’è anche piccola gente con voi? Non per dire che voi donne ne dovreste scodellare a caterve perché ovviamente dovremmo avere anta piccola gente da poterla nutrire senza togliere nulla all’altra gente umana e non umana, tanta da poterla proteggere e portarcela in un braccio quando dobbiamo scappare.
Ne parlo perché mi è stata messa la pulce nell’orecchio e sto riflettendo molto sul problema della grinta che a volte ci manca. Ma nulla di strano che a volte ci manca, con tutta la inutile morte, la inutile fatica e la inutile confusione che ci buttano addosso, e che troppo spesso ci buttiamo addosso anche noi. Avete presente la mamma che difende i suoi cuccioli? Ecco la grinta! La grinta sempre figlia dell’amore! La grinta sempre dentro di noi! Che dobbiamo solo tirare fuori quando serve. E’ come ciucciare il latte o cominciare a camminare da piccoli. Abbiamo tutto dentro di noi per diventare grandi e vivere bene con noi e con il mondo. Abbiamo tutto dentro di noi per camminare sulla via della solidarietà e della lotta, per vivere ogni delizia e per affrontare ogni pena, ogni fatica e ogni morte che incontriamo e ci assumiamo nella nostra vita. La grinta sempre figlia dell’amore nasce con noi. Ma tanta inutile morte, tanta inutile fatica e tanta inutile confusione ci ha fatto diventare gente complicata in un mondo reso complicato e ostile. E per questo è anche vero che la grinta diventa grande con noi solo se la nostra coscienza fa l’amore con il giusto e con la libertà. Diventa grande solo quando la coscienza fa l’amore con l’istinto…
Vi abbraccio, e con voi abbraccio sempre e ancora la nostra libertà, la nostra lotta per un mondo semplice e giusto!
Con voi abbraccio il popolo NoTav, il fratello Mau, la sorella Olga, le sorelle e i fratelli che stanno subendo l’aggressione del vigliacco e fascista “ardire” di Stato e coloro che giusto ieri hanno subito l’ennesima aggressione dei reparti operazioni sporche e falsari, abbraccio Sole e Baleno, e con tutte e tutti loro e con voi abbraccio ogni resistente, ogni prigioniera e ogni combattente per un mondo libero, semplice e giusto. E questo mondo siamo noi proprio perché siamo sul cammino della solidarietà e della lotta, e perché sempre più lo siamo con ogni grinta necessaria, con ogni mezzo necessario.

19 agosto 2012
Marco Camenisch, PF 75 CH – 5600 Lenzburg (Svizzera)


LETTERe DAL CARCERE DI VELLETRI (roma)
Cari/e companeros, in evidente ritardo è giunto anche qui l’opuscolo (71). […] Qui a Velletri va tutto bene, la solita maretta, niente di particolare. Per esempio vi riporto i fatti di quest’ultima settimana della sezione in cui mi trovo e che sono: un tentativo di suicidio, i soliti atti di autolesionismo e da quattro giorni manca l’acqua, sta settimana solo una rissa. Il terzo giorno ha iniziato a circolare uno strano profuno in sezione (merda), così sono venuti in sezione con il carrello del vitto ricolmo d’acqua e ci consegnano un secchio pieno d’acqua a cella per far scaricare il loro fetente cesso. […]
Ho iniziato a corrispondere con Claudio Lavazza. Nel nostro scambio epistolare emergono similitudini inquietanti tra la realtà carceraria spagnola e italiana, val la pena a parer mio aprire un confronto dialettico onde individuare forme di lotta comuni.
Salta agli occhi come il capitale asservisca il ceto medio a livello globale, spogliandolo della capacità intrinseca del proprio contesto culturale-nazionale di regolamentare specificatamente la pacificazione sociale. Tossicodipendenti, ex-, extracomitari o comunque quella realtà organica uscita dal risentimento sociale, riempiono le galere d’Europa e non solo. Il carcere come strumento di controllo sociale, mantiene prigionieri tra le proprie mura solo ciò creare destabilizzazione sociale, non svolge quindi più l’effettiva funzione di merda per la quale era nato. In questo preciso contesto storico, questa è la funzione che deve svolgere, è un sintomo che la specificazione tecnologica sta prendendo il sopravvento sulla morale e la sociatà classista (prendo spunto da Ocalan).
Dove alla fine anni ’80 inizi ’90 il metadone come terapia suscitava non poche polemiche a cui gli addetti ai lavori rispondevano, statistiche alla mano, con la teoria del contenimento del danno – e tante grazie alle multinazionali farmaceutiche – ora è diventata prassi il suo utilizzo per la pacificazione sociale extra e intramuraria.
Il compagno Claudio mi faceva notare come l’abuso di certi farmaci porti all’insorgenza di determinate psicosi. Chiunque ha avuto la sfortuna di alloggiare nelle patrie galere può ben rendersi conto dell’affermazione. Nelle carceri dottori, psicologi, psichiatri e compagnia bella concedono a volontà psicofarmaci pur di togliersi di torno un detenuto con problemi di tossicodipendenza o alcoolismo, tutto deve restare calmo, proseguire regolarmente senza rompicoglioni che intralcino il buon funzionamento della macchina burocratica.
Quello che però noto da tre anni con particolare interesse è una determinata patologia che riesco a diagnosticare facilmente grazie ai testi di neuroanatomia e neurofisiologia che ho studiato tanto tempo fa. Riconosco infatti in carcere un’alta percentuale di persone affette da forme lievi di schizofrenia. Non la considero propriamente una malattia e inoltre voglio volutamente riservarmi di darne una mia definizione. […] Laddove viene diagnosticata, lo specialista imbottisce il paziente di psicofarmaci, nella peggiore delle ipotesi finisce all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG). […]
Credo che ci sia un disegno istituzionale finalizzato allo studio di questa patologia e Velletri a parer mio è destinato a divenire un centro sperimentale. Due giorni fa parlavo a grandi linee di questo con un lavorante e mi ha riferito che la sezione C adiacente all’infermeria è stata chiusa perché aprirà tra pochissimo come padiglione psichiatrico. […]

6 settembre 2012
Andrea Orlando, via Campo Leone 97 – 00049 Velletri (Roma)

***
Cari/e compagni/e, ho ricevuto oggi il vostro bollettino e l’affettuosa cartolina ad esso allegata. Vi ringrazio. Vi informo innanzitutto di avere posto termine, dopo 12 giorni, allo sciopero della fame, ciò per non mettere a repentaglio la mia salute, salute già in parte minata da un precedente e ben più lungo sciopero della fame portato avanti, sempre a Rebibbia, sedici anni fa. Attualmente mi trovo detenuto nella casa circondariale di Velletri, in una sezione cosiddetta “a bassa pericolosità sociale” (e di tale classificazione non so sinceramente se rallegrarmi o dolermi). Le mie condizioni di salute sono buone, oserei dire ottimali se non fosse per il fatto di vivere in un luogo di per sé patogeno. In poco più di un mese di carcerazione ho trascorso circa venti giorni, tra Rebibbia e Velletri, al “transito” per motivi di sovraffollamento. Non c’è male. Per quelli che non mi conoscono preciso di aver militato per moltissimi anni nell’area dell’anarchismo insurrezionalista, rimanendo anche coinvolto nel processo Marini alla fine degli anni novanta. Quelli che mi conoscono sanno che da circa sei anni mi sono ritirato in una sorta di autismo politico. Le ragioni sono molteplici e in parte personali. Ciò non mi ha però impedito di sentirmi profondamente vicino all’unica lotta in grado, negli ultimi anni, di farsi comunità: quella contro il Tav. Certo, assistere a una lotta è profondamente diverso dal farsene attore ma, ripeto, alla base della mia scelta ci sono anche delle ragioni personali. Proprio per questo mi sono trovato un po’ in imbarazzo nel ritrovare pubblicata sul vostro bollettino la mia dichiarazione, soprattutto se l’accosto a quelle di un amico di un tempo, Marco Camenisch, che ancor oggi, a dispetto della lunga carcerazione e di dolori personali, continua a lottare per una società egualitaria e libera. Che il coraggio e la forza vi accompagni sempre nel vostro lavoro cari/e compagni/e. Un abbraccio solidale a tutti/e i/le compagni/e detenuti/e.

10 settembre 2012
Salvatore Gugliara, S.P. Cisterna Campoleone Km 8,600 - 00049 Velletri (Roma)
lettera dal carcere di siano (cz)
Processo PCP-M, un bilancio
Ad oltre cinque anni dai nostri arresti, a maggio si è svolto un ulteriore processo PCP-M. A conclusione del quale si è posta la necessità di fare chiarezza sul significato della nostra diversa tattica processuale, rispetto alle passate scadenze.
Un diverso approccio determinato da alcuni cambiamenti, il principale dei quali il fatto che il processo avrebbe affrontato essenzialmente il nodo del reato associativo. "Associazione sovversiva e banda armata": semplici o con finalità terroristica?
Pensiamo che questo sia un terreno minato, perché può portare a posizioni autogiustificatorie, di differenziazione legalista. Specialmente se si lascia gestire questa "battaglia" agli avvocati che, nonostante le loro apprezzabili qualità, restano interni al piano legalitario e (è bene ricordarlo) all'ordine giudiziario borghese.
Qualsiasi fase di vera lotta rivoluzionaria (quindi armata), o anche singoli episodi significativi, vengono qualificati come terrorismo. [...] In pratica, ogni forma di rivolta, opposizione, organizzazione di avanguardia, armate, contro l'ordine imperialista, vengono bollate dalla qualifica terroristica.
Ciò che si ricongiunge ad un altro concetto fondamentale: [...] è la classe dominante a scatenare la guerra di classe! Perché sa che la guerra diventa sempre più l'orizzonte sociale di un sistema che, bloccato nelle sue possibilità di sviluppo economico-sociale, diventa sempre più distruttivo-mortifero per la gran parte delle popolazioni. Non lasciando altra via d'uscita ad esse che la rivolta o, magari l'avvio di processi rivoluzionari.
[...] L'ossessione del terrorismo, la "guerra al terrorismo", e "l'esportazione di democrazia e diritti umani" sono le categorie-guida della macchina da guerra imperialista, nelle sue articolazioni ideologiche, politiche e giuridiche. Che vengono rivolte persino contro i movimenti sociali, di fabbrica e di piazza. Figurarsi rispetto alle organizzazioni rivoluzionarie, sia di classe che di liberazione antimperialista!
La "battaglia giuridica" su questo terreno non solo è illusoria, ma tende ad entrare in contrasto con le esigenze della lotta rivoluzionaria. Diciamo questo anche col senno acquisito dal ciclo precedente, anni '70/'80: distinzioni, giustificazioni innocentiste, furbismi a pretesa ideologica diventano rapidamente arretramento politico opportunista.
Tali considerazioni ci hanno portato ad una tattica che fosse più chiara e netta possibile: impostazione processuale solo in termini politici di riaffermazione della linea e strategia politico-militare e rifiuto della suddetta diatriba attorno ai reati associativi. Perciò, revoca degli avvocati.
In particolare era inaccettabile l'argomentazione circa "l'inidoneità organizzativa", vero controsenso per chi cerca di costruire una forza organizzata. Argomentazione svalutativa, appunto da arretramento politico. L'atto della revoca ha dato consistenza all'impostazione. Essa si è precisata nei nostri interventi: "Non abbiamo nulla da cui difenderci, tantomeno dalla qualifica di terrorismo che, invece, è espressione propria del dominio di classe dello Stato borghese e imperialista. Siamo qui a rivendicare ed affermare il legittimo ricorso all'uso della forza da parte proletaria, all'organizzazione politico-militare per sviluppare il processo rivoluzionario di liberazione del proletariato". "Rivendichiamo i percorsi fatti, nell'indirizzo di costruzione del PCP-M, e ne riaffermiamo l'esigenza attuale".
Interventi che, volendo anche impedire il ruolo collaborativo degli avvocati imposti d'ufficio, finivano puntualmente in espulsioni dall'aula.
Tutti i momenti in cui abbiamo cercato di far vivere vari contenuti politici: "In quanto operai comunisti abbiamo preso le armi, perché solo con queste si può abbattere il potere borghese dello sfruttamento e dell'oppressione, e costruire la società nuova, senza classi". Cosa ancora più evidente oggi: dal carattere di genocidio sociale assunto dalle politiche di crisi, al carattere dittatoriale dei nuovi governi sovranazionali (la troica) che rendono ancora più tangibile il profilo dello Stato Imperialista delle Multinazionali. Dalla sempre più evidente esigenza rivoluzionaria come unica prospettiva di classe possibile, alla necessaria organizzazione politico-militare come sua concretizzazione.
Proprio per ciò abbiamo anche salutato l'azione contro l'Ansaldo di Genova, come contributo al processo rivoluzionario. Abbiamo dovuto fronteggiare l'ennesima presenza provocatoria del prof. sen. Ichino (per altro spalleggiato da qualche notabile governativo) ricordando a questo eminente servo della borghesia, che ama (come i suoi padroni) presentarsi da vittima virtuale, le incalcolabili vittime reali del sistema capitalistico e tutta la violenza insita nelle loro politiche economiche, vera e propria guerra di classe. Alla cui risposta, da parte proletaria noi cerchiamo di contribuire.
Alcuni di questi concetti sono rimbalzati con toni scandalistici sugli organi di informazione. I funzionari governativi presenti non hanno gradito e, su segnalazione della Digos di Milano, è stata aperta un'indagine per "istigazione alla violenza", la cui prima conseguenza è stata una perquisizione generale delle celle, e il sequestro di documentazione. Infine la sentenza che, raccogliendo i dubbi della cassazione, ha tolto l'aggravante terroristica e ridotto le pene massime (fra i due, quattro anni e i tre, sette a testa). Cioè riduzioni contenute, e a conferma dell'impianto accusatorio e probatorio (altro che "sentenza scoordinata"...).
Il tutto si è svolto nella consueta e forte dialettica con la solidarietà e componenti del movimento di classe. Tra cui una delegazione internazionale, con compagni/e da Svizzera, Germania, Belgio Francia. L'udienza finale è stata molto partecipata, con la risonanza degli slogan da una parte all'altra delle sbarre. Tra gli slogan, "per i compagni dentro, nessun lamento - linea di condotta, combattimento!". Questo rende esplicito e caratterizza pienamente il concetto di solidarietà attiva, compresa in funzione dello sviluppo del processo rivoluzionario. Infatti la repressione va intesa, e affrontata, come sua parte inevitabile. Nel senso preciso dello sviluppo dialettico dello scontro: i colpi repressivi dello Stato vanno trasformati in occasioni di maturazione ed ulteriore elevamento dei nostri livelli politici.
[...] Pur consapevoli dell'importanza di lavorare per l'unità (sia fra proletari che fra comunisti) pensiamo che in Italia e purtroppo nei centri imperialisti in generale, si debba ancora fare i conti con pesanti eredità storiche. Le quali, precisamente, sono all'origine della persistente frammentazione, inadeguatezza e incoerenza. Che vanno superate per riuscire a compiere il salto di qualità così necessario al movimento comunista, di fronte alle grandi e gravi possibilità del presente.
Alcuni importanti avvenimenti, oggi, offrono occasioni a questo percorso di maturazione. La sentenza definitiva sul G8 di Genova ha ratificato le condanne più pesanti mai viste, per scontri di piazza. Scontri e attacchi anche rivendicati politicamente da alcuni compagni/e condannati/e. E giustamente, perché il valore e significato di quelle giornate rimangono come un passaggio importante per tutto il movimento di classe. E questo ancor più nella "dialettica" con una repressione che, fra i massacri di piazza e queste condanne, assume veramente i caratteri da guerra di classe preventiva. L'operazione, poi, contro il movimento NO-TAV è entrata nella fase processuale, attorno cui si vede lo sviluppo del dibattito tendere chiaramente verso la tattica di assunzione collettiva di ragioni e pratica di una lotta.
E potrà essere un bel banco di prova, data la forza e la portata di interesse generale ormai acquisite da questo movimento. Certo, ci sono differenze importanti fra repressione contro i movimenti di lotta di massa e quella contro l'organizzazione rivoluzionaria armata. Però, come dicevamo al nostro processo: la guerra di classe esiste e, per ora, è la borghesia che la sta conducendo (a suon di massacri sociali e imperialistici). Il proletariato deve imparare a condurre la propria. Ne fa parte l'affrontare la repressione come guerra di classe. E, combattendo, imparare a combattere!

Alfredo Davanzo, Vincenzo Sisi militanti per il PCP-M
via tre fontane 28 - 88100 Siano (Catanzaro)


Terni: Repressione per solidarietà ai compagni sotto processo
Durante questa calda estate della repressione – come se non bastassero i 10 arresti di Perugia dellOperazione Ardire, i 2 arresti di Trento della fascistissima Operazione Zecca, l'arresto di due compagni a Torino per i la gambizzazione di Adinolfi…per non parlare degli indigati a piede libero di tantissimi altri procedimenti del regime, dall'op. Thor all'Op, Mangiafuoco – tanto per cambiare ancora una volta in Umbria arriva una nuova ondata repressiva.
Sono infatti in viaggio, alcuni già arrivati altri forse in attesa del ritornno dal mare degli sbirri, 8 decreti penali di condanna per altrettanti compagni di Terni e di Spoleto per manifestazione non autorizzata. La condanna è di 10 giorni di carcere, sostituita da un'ammenda di 2600 euro. La manifestazione non autorizzata sarebbe stata svolta nel settembre 2009 durante una delle prime udienze del processo Brushwood. Il processo, seguito all'inchiesta che portò nel 2007 all'arresto di 5 spoletini, si è concluso con 2 (due) condanne (cosa alquanto soprendente) per associazione sovversiva con finalità di terrorismo (art. 27 bis), nei confronti di Fabiani Michele (3 anni e 8 mesi) e Dinucci Andrea (2anni e 6 mesi). A sostenere l'accusa era la famigerata pm Manuela Comodi, la quale dimostrò la propria moderazione liberale con richieste di carcerazione che partivano dai 6 anni per una scritta su un muro.
Non è un caso che questi decreti di condanna sono stati emessi, tre anni dopo il presunto reato, ma negli stessi giorni in cui scattava l'Operazione Ardire. L'intento, evidentemente minaccioso, è quello di intimorire chi volesse esprimere solidarietà a questi nuovi arrestati, mostrando come viene perseguitato chi è stato solidale con gli altri compagni.

Cosa è un decreto penale di condanna?
E' a tutti gli effetti una condanna penale, che avviene senza che l'imputato sia informato di essere sotto inchiesta ed abbia l'opportuità di difendersi. Quando un reato non è grave, rischia la prescrizione, e le prove contro l'imputato sono "schiaccianti", il giudice può decidere di condannarti senza udienza preliminare, rinvio a giudizio e regolare processo. Se non si accetta la condanna, come è evidente in questo caso, si può fare "opposizione" ed inizia il processo vero e proprio.
Così è successo che 8 compagni di Terni e Spoleto sono stati "condannati" a 10 giorni e 2600 € per aver partecipato ad un'udienza a porte aperte del processo Brushwood.
Respingiamo questa ennesima operazione repressiva come di tutte le altre, che stanno facendo della fù verde Umbria un lager a cielo aperto.
Ricordiamo inoltre che il 31 Ottobre ricomincia, presso il tribunale di Perugia il processo Brushwood, in quanto è stata fissata la prima data del Processo di Appello. Non faremo mancare la nostra solidarietà.
Solidarietà ai compagni sotto processo per l'operazione brushwood!
Soliderià ai perseguitati per le manifestazioni al tribunale di terni!
Libertà per tutti i ribelli prigionieri!

25 settembre 2012
da informa-azione.info


Tanti amici, un nemico fragile
La piccola grande storia dell’Estate No Tav
Tre mesi sui sentieri
L’estate di lotta che il coordinamento dei comitati No Tav aveva indetto lo scorso giugno si è conclusa con l’assemblea del 16 settembre, dopo tre mesi intensi, e l’assemblea ha condiviso un giudizio positivo su questa esperienza. Il campeggio Gravella di Chiomonte aveva cominciato ad essere attivo il 15 giugno, in una fase in cui il movimento emergeva da due mesi difficili. Gli espropri dell’11 aprile, che avevano sancito la lenta ma effettiva trasformazione del fortino militarizzato in un cantiere, avevano posto il problema delle strategie da adottare nella nuova fase, e il movimento aveva saputo, in quei due mesi, rispondere solo in parte.
Nella seconda metà di giugno gli studenti No Tav giunti da tutta Italia hanno ripreso l’azione diretta contro le recinzioni del fortino e le truppe di occupazione, scuotendo il movimento dal pericolo di un immobilismo di fatto, praticando uno scambio di idee e progetti anche sul piano strettamente studentesco: un piano che lega direttamente la questione degli investimenti nelle grandi opere con l’assenza di fondi e l’aumento dei tagli nei confronti dell’istruzione pubblica, cui fa da sfondo un continuo restringimento delle agibilità politiche all’interno e all’esterno degli istituti di formazione.
Al termine del campeggio studentesco, il 27 giugno, il movimento ha circondato il cantiere nel primo anniversario dell’invasione militare della valle, praticando il taglio delle reti e subendo il consueto attacco poliziesco con idranti e lacrimogeni. A luglio, dopo pochi giorni, centinaia di compagne e compagni del resto d’Italia e di vari paesi europei hanno ingrossato il campeggio fino a far raggiungere le ottocento presenze nei giorni tra il 20 e il 22. In quelle settimane, con l’estate di lotta che entrava nel vivo, la precisazione delle pratiche di autogestione collettiva (dai turni dei comitati in cucina fino alla pulizia dei bagni e l’organizzazione degli eventi, passando per la gestione del bar e dei concerti) ha accompagnato le passeggiate in Clarea, i saluti “rumorosi” alle forze d’occupazione presso gli alberghi di Cesana e Sestriere, e la prima invasione estiva di via dell’Avanà.

Tutt* in Clarea!
La sera del 21 luglio centinaia di No Tav si sono incamminati dal campeggio e da Giaglione in direzione cantiere, circondandolo e portando al suo rapido ed efficace danneggiamento: il muro è caduto in pezzi in diversi punti, decine di metri di rete sono stati tagliati, due New Jersey sono stati abbattuti. Alcuni compagni sono entrati nel perimetro, a dimostrazione che è già possibile fare in parte ciò che vorremmo fare tutti insieme, e in modo definitivo, il giorno della vittoria. La reazione della casta politica è stata scomposta, con dichiarazioni deliranti che descrivevano il campeggio Gravella come un “campo paramilitare” e invitavano il prefetto a disporne lo sgombero in seguito agli scontri. Ciò che ha infastidito di quella giornata, ben al di là del ferimento di un funzionario di polizia, è stato il carattere organizzato, di massa, ben coordinato ed efficace di quello che è stato probabilmente uno degli attacchi meglio riusciti al cantiere; il primo da quando il cantiere è diventato effettivamente tale.
Se il movimento ha dichiarato subito, serenamente, di non temere lo sgombero (infiniti sono i luoghi della valle dove possiamo organizzarci e da cui possiamo muoverci, quando e come vogliamo), prefetto e questore hanno preferito non seguire gli strateghi da bar di PD, PdL, IdV e Lega, ben sapendo (probabilmente anche su monito del ministro Cancellieri) che l’azione di forza sarebbe loro costata cara sul piano politico, più che al movimento sul piano repressivo. Frustrati e demoralizzati, i funzionari di ps hanno coordinato una delle più patetiche messinscene degli ultimi tempi: il 23 luglio, a Bussoleno, centinaia di No Tav sono stati fermati e identificati per impedire il blocco di un treno pieno di scorie nucleari che attraversava la valle diretto in Francia, e i poliziotti hanno dato la caccia ai No Tav anche a Borgone, con un atteggiamento arrogante, che si è spinto fino a minacce con armi da fuoco. Questi gesti hanno espresso tutta l’impotenza di un apparato militare che si è limitato a mimare l’attacco al campeggio, non avendo alle spalle istituzioni abbastanza forti da metterlo in pratica. Un centinaio di poliziotti, accompagnati da una ruspa e un idrante, si sono posizionati quella notte sul ponte della Centrale, ma sono tornati sui propri passi alcune ore dopo. Dietro l’esibizione di forza, si celava la fragilità politica del nostro avversario.
La risposta del movimento a queste provocazioni e a quelle della politica istituzionale (che con l’ausilio di sciacalli e sciacallini dei mezzi di (dis)informazione si sperticava nell’insulto sistematico del più esteso movimento popolare del paese) è stata riprendersi i sentieri della Val Clarea in massa, di giorno e a viso scoperto. Il 28 giugno migliaia di valsusini hanno percorso il tratto boschivo da Giaglione a Chiomonte nonostante i divieti della prefettura, passando per i sentieri più alti, e molti di loro erano gli stessi che avevano partecipato alla passeggiata notturna del 21, che avevano tagliato le reti e abbattuto i New Jersey con l’approvazione di tutto il movimento. Un valligiano portava in spalla la caricatura in gomma piuma di un poliziotto con bastone e manganello, con scritto sopra in modo eloquente: “Isoliamo i violenti”. Il giorno dopo La Stampa pubblicava la foto tagliata, in cui compariva la scritta ma non era visibile il poliziotto, a cui essa si riferiva, e la vendeva come espressione della presunta divisione incolmabile tra “valligiani” e “violenti”. Nell’approfondire il divario tra propaganda e realtà il fronte Sì Tav prepara, nella storia di questa lunga battaglia, il terreno della sua sconfitta.

Lotta vs militarizzazione
Passata la grande marcia popolare, le forze di polizia hanno tentato di strangolare il campeggio attraverso la militarizzazione della valle e la negazione di ogni agibilità politica contro l’alta velocità, dentro e fuori i paesi. Decine di posti di blocco venivano predisposti dai carabinieri a Susa, a Gravere, a Chiomonte, e a Exilles; chiunque fosse sospettato di essere No Tav, ma anche residenti e turisti, veniva fermato, perquisito, interrogato e identificato; chiunque avesse in auto qualcosa che potesse essere considerato “sospetto”, se straniero, veniva rispedito al paese d’origine per decreto di polizia. Una colonna di auto diretta in bassa valle veniva bloccata pericolosamente sui tornanti del belvedere di Susa, con automezzi dei carabinieri che tagliavano la strada alle macchine dei No Tav in corsa, al fine di impedire un’iniziativa ad Avigliana. Un centinaio di No Tav venivano circondati durante un semplice volantinaggio a Chiomonte, bloccati e tenuti in stato di fermo sostanziale per cinque ore. Nel frattempo dodici compagni venivano colpiti da misure cautelari per un nuovo processo, quello relativo agli scontri in Clarea dell’8 dicembre, con obblighi o divieti di dimora volti ad impedire la loro partecipazione alle iniziative in valle.
Per qualche giorno, il movimento ha accusato il colpo di questa militarizzazione completa, di questa chiusura di ogni spazio di opposizione all’alta velocità in alta valle. Poi l’assemblea ha precisato le strategie di reazione. Volantinaggi a tappeto sono stati organizzati nei mercati di Bussoleno, Condove, Exilles, Susa e Chiomonte; in occasione del fermo di tre auto No Tav, a Chiomonte, tutto il campeggio ha circondato i carabinieri che, dopo aver chiamato rinforzi, hanno battuto in ritirata tra i cori per la liberazione della valle; la sera stessa, a causa del fermo di due compagni romani, la stessa caserma cc di Susa è stata assediata per diverse ore, fino al loro rilascio. Lentamente, tutti i posti di blocco venivano assediati e circondati (non senza la solidarietà dei residenti, sempre più esausti per la tensione e la militarizzazione del territorio) e i carabinieri dovevano abbandonare le postazioni: è successo a Exilles, a Chiomonte, a Gravere.
L’obiettivo più importante era però, al di là della libertà di movimento, rompere il muro creato contro la nostra azione politica. Il campeggio ha allora adottato la strategia vincente della condivisione segreta delle iniziative, contando sul fattore sorpresa. L’esperimento di una passeggiata notturna, silenziosa e senza torce, dalla Ramats all’area archeologica ha inaugurato una serie di azioni analoghe, faticose ma importanti, volte a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che controllare il movimento No Tav è impossibile: battiture, filo spinato tagliato, spostamenti per i boschi in modo organizzato e imprevedibile, con la polizia regolarmente colta di sorpresa. Il passo successivo è stato passare all’azione anche contro le ditte del Consorzio Valsusa (il consorzio creato nei giorni dell’invasione militare, che dovrebbe portare avanti i lavori per il Tav), contro la Sitaf (società autostrade che fornisce agibilità ai mezzi delle ffoo e delle aziende del consorzio), contro Equitalia (a Susa) e contro gli operai stessi del cantiere, umiliati in quanto collaborazionisti con uova e secchi di vernice.
Queste iniziative hanno dato seguito alle campagne contro l’intero apparato Sì Tav in valle, decise dall’assemblea popolare lo scorso aprile, e in primavera realizzate quasi soltanto a livello informativo. L’occupazione della Geovalsusa a Torino, unendo compagni partiti da Torino e da Chiomonte, ha destato smarrimento tra gli Sherlock Holmes della questura, e lo stesso è avvenuto in occasione dell’apertura forzata dei caselli autostradali di Avigliana, per un’ora, dando un esempio di come i movimenti possono praticare la riappropriazione popolare dello spazio, del tempo e del denaro per tutte e tutti. Unico strumento possibile, ma inefficace, contro i No Tav, la repressione ha colpito ancora nella seconda metà di agosto: a decine di compagni sono stati notificati fogli di via dalla valle, e altrettanti No Tav trentini sono stati colpiti da denunce nell’ambito di un’inchiesta parallela (a uno di loro è stata inflitta la misura cautelare in carcere, ed è tuttora rinchiuso ad Alessandria).

Riprendersi la valle
Il 15 agosto, nella tradizionale notte dei fuochi in valle, quattro alti falò sono stati accesi intorno all’area militarizzata: a Chiomonte, su via Roma e alla Centrale, alla Ramats e sul ponte del torrente Clarea. Centinaia di persone hanno mostrato, in un clima di festa, la loro ostilità alle truppe di occupazione, che hanno bersagliato i No Tav con idranti e lacrimogeni prima in Clarea, poi alla Centrale. Purtroppo per loro, il vento ha loro riportato indietro tutto ciò che hanno lanciato, bagnandoli e intossicandoli: forse la notte prima, S. Lorenzo, qualcuno aveva espresso un desiderio contro di loro. Dopo aver affrontato la militarizzazione delle strade statali, e dopo aver riconquistato in notturna l’agibilità della Val Clarea, occorreva rivendicare la possibilità della mobilitazione anche di giorno. Tutti i giorni quindi, prima e dopo pranzo, gruppi di No Tav hanno raggiunto la Clarea da Chiomonte attraverso i sentieri, per sistemare il presidio No Tav a ridosso del cantiere e monitorare la situazione; e una manifestazione ha raggiunto il presidio di Giaglione, sotto minaccia di sgombero, per una merenda sinoira, percorrendo un lungo tratto di via dell’Avanà. Rispetto ai primi giorni di agosto, i rapporti di forza stavano decisamente cambiando direzione.
Il 29 agosto, in questo clima, si è aperto il raduno degli universitari No Tav per quattro giorni di “Università delle lotte”: dal rapporto tra media e movimenti alla crisi, passando per un confronto tra le esperienze studentesche e le occupazioni universitarie di tutto il paese, il campeggio è stato nuovamente punto di incontro di diverse esperienze di opposizione all’attuale modello sociale e di trasmissione dei saperi. Il movimento universitario ha anche organizzato una passeggiata notturna per il 31 agosto, la prima pubblica dopo quella del 21 luglio. Centinaia di compagni hanno raggiunto il cantiere da Chiomonte e da Giaglione, ma hanno trovato, stavolta, presidi di polizia a bloccare i sentieri in prossimità delle reti, nei pressi del torrente Clarea e in prossimità dell’area “delle vasche”. La polizia, convinta di dissuadere facilmente il movimento con questa ennesima dimostrazione muscolare, non aveva messo in conto la disponibilità dei No Tav a una resistenza concepita in tantissimi modi, ma mai come un pranzo di gala…
Tre ore di cammino per incontrarsi presso i Mulini superiori del Clarea, in alto, fuori dalla vista delle forze dell’ordine, protetti dal buio e dal bosco; una breve assemblea presso il ruscello, poi la discesa in centinaia, in fila indiana, per raggiungere – alle quattro del mattino – l’unico segmento di recinzioni che la questura aveva pensato di poter lasciare sguarnito: l’area archeologica. Ben presto New Jersey e cancello sono venuti giù, una voragine si è aperta nella parte del fortino presidiata dall’esercito, e la polizia ha risposto con idranti e lacrimogeni. Il movimento, che aveva fatto davvero di tutto per aggirare la polizia e non accettare il terreno dello scontro fisico – obiettivo della marcia erano le recinzioni, come sempre – si è trovato costretto ancora una volta ad affrontare l’aggressione della controparte con la resistenza. I carabinieri sono usciti allora dal varco della Centrale e hanno raggiunto il campeggio: prima hanno minacciato lo sgombero, poi hanno detto di voler aspettare il rientro dei compagni dalla Clarea per arrestarli, infine hanno battuto in ritirata e sono rientrati nelle loro gabbie… La confusione è grande nelle file nemiche.

Ritorno… al futuro!
Il primo settembre si è svolta, in un clima di grande serenità e soddisfazione, l’assemblea nazionale degli studenti universitari, che ha cercato di coordinare le proposte di mobilitazione contro l’austerity e la crisi, nella consapevolezza che, oggi, gli studenti sono nei fatti anche e soprattutto forza lavoro precaria, settore massificato della classe dei salariati su cui lucra, ad ogni livello, il partito trasversale degli affari che devasta la valle e governa l’Italia. Il giorno successivo ospiti del campeggio sono stati gli oppositori liguri al progetto del Terzo Valico, dopo che ad agosto il movimento aveva ospitato gli alessandrini e i comitati di Arquata Scrivia. Per la prima volta dopo anni, lotte popolari (e non semplicemente espressione di realtà politiche già organizzate, che pur svolgono un ruolo importante sui territori) si affermano contro le grandi opere anche fuori dalla Val di Susa, e il campeggio ha voluto dare la possibilità per un approfondimento delle strategie comuni.
Tra il 7 e il 10 settembre, nuovamente, gli studenti delle scuole superiori della valle e il Komitato Giovani No Tav hanno accolto i collettivi di molte città italiane per un’assemblea nazionale in vista del primo corteo studentesco, il 5 ottobre in tutte le città. È stata un’occasione per assediare ancora il cantiere, buttando giù ampie porzioni di muro in pieno giorno, nonostante le cariche della polizia fuori dalle recinzioni, e per entrare ancora una volta, a sorpresa, in via dell’Avanà. Le azioni degli studenti hanno preceduto di poco l’assemblea conclusiva del campeggio, il 16 settembre, che ha sancito la costruzione di un presidio permanente dopo lo smontaggio delle strutture, ma anche l’adesione del movimento all’importante manifestazione del 29 settembre, quando tutte e tutti accompagneremo Luca in Clarea: sarà la prima volta che tornerà sul luogo del tragico (ma per fortuna non letale) incidente dello scorso 27 febbraio. Sarà un modo – per usare le sue stesse parole – per chiudere una fase e guardare al futuro, ben sapendo che la valle potrà avere un futuro soltanto se sapremo fermare il Tav, un mostro i cui “difensori” hanno rischiato di non permettere a Luca di avere un futuro, nel senso più terribile di questa espressione.
I giorni della rabbia che seguirono la caduta di Luca mostrarono al governo e alla classe politica quale fosse la forza che il movimento aveva saputo accumulare in un anno di occupazione militare. Una forza che in gran parte, come è tipico della valle, si è accumulata nello sdegno e nell’orgoglio, nella reazione alle aggressioni di cui la valle è stata vittima in questi quindici mesi: l’invasione del 27 giugno 2011, gli arresti del 26 gennaio scorso, l’allargamento del cantiere il 27 febbraio.
Con gli espropri dell’11 aprile, però, è iniziata una fase nuova: l’aggressione non arriva soltanto dalle statali e dall’autostrada, o quantomeno non esclusivamente da lì, e non porta soltanto le divise dell’esercito e della polizia. Oggi l’aggressione, l’occupazione e la devastazione hanno anche l’aspetto più subdolo delle trivelle e dei macchinari, e ai caschi della celere e dei carabinieri si affiancano i caschetti di lavoratori senza dignità e senza cuore, disposti a sottomettersi alla distruzione e al malaffare pur di intascare uno stipendio. A tutto questo il movimento deve saper essere abbastanza maturo da resistere, ben sapendo che sarà anche necessario contrastare ed attaccare i devastatori dove sono rinchiusi, blindati, fortificati, come abbiamo fatto quest’estate. Un’estate di lotta che ha sbloccato le energie del movimento; e in questa direzione, a partire dal ritorno di Luca, dobbiamo andare avanti.

24 settembre 2012
da notav.info


Marcia popolare Serravalle – Arquata: spezzone rosso/nero
Sabato 6 ottobre 2012 si terrà la marcia popolare contro il Terzo Valico per dimostrare ancora una volta come quest’opera inutile e devastante sia unicamente voluta dai soliti “potentati economici” e dagli amministratori locali asserviti ai loro interessi ma osteggiata da chi vive sul territorio. Infatti sempre più persone stanno prendendo coscienza di come sia fondamentale bloccare le cosiddette “grandi opere” poiché espressione di un capitalismo in crisi che cerca di recuperare soldi e credibilità attraverso opere speculative quali l’alta velocità. Opere di nessuna utilità, come ampiamente dimostrato da studi e dati tecnici, ma pagati con i nostri soldi e con la devastazione ambientale nonchè l’inquinamento di aria (con materiale nocivo come l’amianto) e delle falde acquifere. Ma l’estate appena trascorsa ha dimostrato che mettersi di traverso sia possibile. Infatti sia dal versante piemontese che da quello ligure i presidi contro gli espropri voluti dal COCIV hanno visto la partecipazione di un numero sempre maggiore di persone che si sono mobilitate per opporvisi con determinazione ma anche con la solidarietà e la consapevolezza di lottare per la propria terra e per un futuro diverso da quello prospettatoci da chi vuole speculare sulle nostre vite e sulla nostra salute.
Tutto ciò è stato utile e propedeutico ad una lotta di lunga durata come sarà quella contro il Terzo Valico… MA NON BASTA!!!
Se vogliamo che questa lotta assuma un’ampiezza popolare che ponga seriamente in crisi l’alta velocità tra Piemonte e Liguria, occorre ricordare che essa non si esaurisce nell’impegno contro gli espropri ma occorre allargare il fronte a quei territori che verranno coinvolti con la presenza di cave per lo smarino, con cui l’intera provincia di Alessandria verrà pesantemente coinvolta. Cave volute e gestite da aziende in odore di mafia che, oltre allo smarino, serviranno per smaltire ed occultare rifiuti industriali altamente tossici e nocivi.
Noi alla marcia ci saremo, così come siamo stati presenti in tutti i presidi e in tutte le assemblee che hanno contraddistinto quest’estate di lotta. Così come abbiamo trascorso interi mesi nelle piazze e nelle strade della nostra provincia per informare le popolazioni dei danni che saranno provocati dall’alta velocità in generale ed in particolare per il problema cave. Ma ci saremo nell’unica maniera in cui siamo capaci ossia ribadendo la nostra specificità perché unica nel creare momenti aggregativi di vera rottura con l'inerzia del presente e per boicottare efficacemente l'alta velocità e tutto il suo apparato mafioso. Per questo motivo ci siamo costituiti come "Comitato Autogestito No Terzo Valico" e per questo motivo promuoviamo uno spezzone rosso/nero all'interno della marcia Serravalle – Arquata perchè siamo fermamente convinti che, anche in questa lotta, azione diretta ed autogestione siano gli strumenti più consoni per una reale alternativa di cambiamento dell'attuale sistema e per la costruzione di una società di liberi ed uguali.
Invitiamo quindi i Compagni e tutti coloro che desiderano fermare l'alta velocità in provincia di Alessandria ad unirsi al nostro spezzone.
Concentramento alle ore 14,00 in piazza Coppi a Serravalle (AL).
CONTRO IL TERZO VALICO, PER L'AZIONE DIRETTA E L'AUTOGESTIONE

COMITATO AUTOGESTITO "NO TERZO VALICO"
da ca.no3valico-a-gmail.com


Torino: rivolta contro gli sfratti, un giorno di barricate
Non c’è stata una battaglia vera e propria. Ma la costruzione di un grandissimo campo di battaglia, quella sì: disegnato con inseguimenti, comizi volanti, blocchi stradali, barricate di cassonetti, cortei, tamburi e slogan per tutto il giorno per tutta la Barriera di Milano - e un po’ anche in Aurora e a Porta Palazzo. Da una parte quelle famiglie del quartiere che sono sotto sfratto e che hanno deciso di resistere e resistere ancora e che dalla primavera sono riuscite a rendere quasi impossibile il lavoro agli ufficiali giudiziari in zona; dall’altra la Questura e il Comune che hanno deciso fiaccare la resistenza concentrando gli accessi tutti nella stessa mattina - una al mese - e di usare scudi e manganelli. All’alba tutte le porte delle famiglie che avevano deciso di resistere sono barricate, con un picchetto sulla strada che le protegge. Ad occhio e croce, tra sfrattati e solidali, sono impegnate centocinquanta persone.
Le truppe sferrano il primo attacco intorno alle sei e mezza, quando arrivano sgommando sotto l’appartamento di via Montanaro di fronte al quale erano dovuti indietreggiare a giugno. Questa volta sono tanti, e determinati, e si trovano davanti un picchetto esiguo. La casa è subito conquistata ma… sorpresa! È vuota. Tanti sforzi per niente: la famiglia in questione è andata a vivere già da qualche settimana, tranquillamente, in una casa occupata della zona. Uno specchietto per le allodole in divisa, insomma, ma pagato caro: tre del picchetto vengono portati in Questura, uno picchiato mentre tenta di allontanarsi. Un quarto d’ora dopo, un altro blitz, in Via Cuneo. Le camionette - una decina - sbucano furtive dal lato delle macerie della Grandi Motori in demolizione. Occupano tutta la strada, che a quell’ora è deserta e non incontrano alcuna resistenza. I celerini tirano giù dal letto una coppia con un bambino: dormivano tranquilli giacché non pensavano che la situazione fosse “tanto grave” e avevano deciso di non provare neppure a resistere. Ma per tutti gli altri, per tutti quelli del quartiere che avevano deciso di mettersi assieme, di organizzarsi e di lottare, la musica della mattinata è stata un’altra: in via Feletto, all’incrocio con corso Giulio, le camionette sono state accolte con cassonetti rovesciati e fumogeni e sono dovute indietreggiare; non sono riuscite ad avvicinarsi a via Soana, chiusa coi cassonetti, e quando le truppe - casco in testa e mangannello alla mano - hanno provato ad avvicinarsi al picchetto di piazza Crispi sono stata respinte di nuovo con blocchi stradali e cassonetti in strada; via Bra è rimasta chiusa al traffico sostanziamente tutta la mattina, con barricate di cassonetti che si aprivano e si chiudevano per far passare la gente della zona e non far passare la polizia; un picchetto festoso, e tranquillo, ha colorato il mercato di piazza Foroni e un lato di Piazza della Repubblica, ed un altro ha chiuso una strada nei dintorni di corso Palermo. A fine mattinata polizia, carabinieri e finanzieri si ritirano in buon ordine; ora tocca agli ufficiali giudiziari far il giro dei picchetti e contrattare i rinvii. Operazione che durerà tutto il giorno, tra tira-e-molla e ufficiali messi al muro per avere proroghe adeguate. Ora che scriviamo (ed è quasi sera, e siamo ospiti nel retrobottega di una attività solidale della zona) si aspetta l’ufficiale ancora ad un picchetto solo e non si sa bene se e quando avrà il coraggio di passare: la strada è ancora bloccata dai cassonetti e lo spazio liberato grazie alle barricate è diventato il campo di gioco per una partita di pallone e per una festa. Tra un picchetto e l’altro, però, un gruppone di solidali è riuscito pure a dare vita ad un lungo corteo tra una barricata e l’altra del quartiere e poi ad un assedio alla Caserma dei Carabinieri di corso Palermo; battiture, scritte, telecamere oscurate, per chiedere che i tre fermati della mattina venissero liberati. Un’ora, fino all’arrivo di nuovo della Celere, poi ancora un piccolo corteo. Ora che scriviamo dei tre fermati due sono stati liberati, senza conseguenze, mentre invece il terzo è in viaggio, coatto, verso la Spagna. Già da qualche anno pendeva sulla sua testa un ordine di allontanamento dall’Italia e la polizia ha approfittato del fermo di questa mattina per eseguirlo: vi daremo notizie più dettagliate di lui nelle prossime ore.
Aggiornamento del 19 settembre: il compagno espulso ieri è stato rimpatriato, scortato da due poliziotti, con il volo Torino - Madrid delle ore 18.35 (e per gli amanti dei dettagli, la compagnia aerea era la Air Nostrum, affiliata di Iberia). Mezz’ora prima della partenza, una ventina di compagni hanno raggiunto l’aeroporto di Torino Caselle per una veloce manifestazione di protesta contro la deportazione: oltrepassata di corsa la barriera del check-in, i manifestanti hanno scandito slogan e fatto qualche intervento al megafono di fronte ai passeggeri, fino a quando non sono stati respinti da un gruppo di celerini di guardia all’aeroporto.
18 settembre 2012
da autistici.org/macerie