indice n.80

Turchia: si uniscono per la prima volta movimenti diversi
Comunicato del DHKC sul massacro di Reyhanli
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
lettere dal carcere di san vittore (mi)
Comunicato dal carcere “buoncammino” di cagliari
Resoconto sulla manifestazione di Parma del 25 maggio
lettera dal carcere di siano (cz)
lettera dal carcere di terni
IL 4 LUGLIO A TOLMEZZO ASSIEME A MAURIZIO ALFIERI
Una proposta collettiva di discussione per settembre
lettere dal carcere di viterbo
STEFANO CUCCHI: Quando l'ingiustizia si chiama Giustizia
A ROMA, PER DANIELE FRANCESCHI
lettera dal carcere si spini di gardolo (tn)
Lettera dal carcere di rieti
Lettera dal carcere di monza
lettera dal carcere di spoleto (pg)
lettera da un carcere in spagna
da una lettera dal carcere di Opera (mi)
lettera dal carcere di sulmona (aq)
lettera dal carcere di pescara
lettera dal carcere di velletri (rm)
Da una lettera dal carcere di Saluzzo
lettera dal carcere di prato
Comunicato dal carcere di Rebibbia (Roma)
sul presidio del 27 giugno a roma sui fatti del 15/10/2010
genova 2001: arrestato Jimmy, latitante a Barcellona
sul processo al movimento no tav
Solidarietà ai quattro Anonymous arreStati
Milano: Processo per la lotta innse verso la sentenza
bologna: muoversi tutti insieme!

Turchia: la permanenza delle manifestazioni contro il governo unisce per la prima volta movimenti diversi
Da due settimane il mondo guarda alla Turchia e segue con interesse come la manifestazione di 200 ambientalisti, nonostante la più brutale violenza della polizia, abbia dato vita ad un movimento di protesta esteso a tutto il paese. Ad alcune/i ricorda quanto accaduto nella “primavera araba”; altri/e vedono nelle proteste una sollevazione popolare. Secondo il governo in carica i saccheggi istigati sono opera di agenti di servizi segreti stranieri. Dove inquadrare il movimento? Per riuscire a dare una risposta si devono guardare gli sviluppi avvenuti nel corso degli ultimi mesi.

Che cosa è accaduto?
Il 29 maggio 2013 il capo del governo Erdogan ha posto la prima pietra per costruzione del terzo ponte sul Bosforo; ciò comporta la spianata del Gezi Park, in cui si trova la stessa piazza Taksim. Sul terreno del parco è stata avviata la ricostruzione della caserma Topcu. In quello stesso giorno è iniziato il disboscamento del parco. Per questa ragione a cominciare da quel giorno centinaia di ambientalisti hanno iniziato a raccogliersi e a innalzare un attendamento di protesta proprio in quei luoghi. Nella stessa notte unità speciali di polizia hanno ridotto in cenere le tende e allo stesso tempo colpito brutalmente i manifestanti.
Il secondo giorno sulla piazza Taksim si erano già oltre un migliaio di persone per condannare la violenza della polizia che, poco dopo, subiranno lo stesso trattamento. L’intervento della polizia ha suscitato un’ondata di sdegno. A partire da quel momento sono scesi in strada decine di migliaia di giovani e meno giovani. L’ondata di protesta è traboccata da Istanbul su altre città.
La resistenza si rafforza e ingrossa nonostante la violenza e si dirige non più contro la costruzione pianificata sull’area del Gezi Park e della piazza Taksim. Il proposito centrale di chi manifesta è chiaramente “Dimissioni di Erdogan e del suo governo”. La gente degli strati sociali più bassi si unisce al movimento.
Secondo un’inchiesta lampo di un’università di Istanbul, il 70% di chi è sceso in piazza non appartiene a nessun partito; il 54% è la prima volta che prende parte a una manifestazione. Oltre il 90% ha un’età compresa fra 19-30 anni. Tante/i pongono a base della propria protesta lo stile autoritario del governo, la violenza della polizia e la violazione dei diritti democratici. Circa 5mila manifestanti sono rimasti/e ferite/i, tre uccise/i. Il numero preciso della gente arrestata non è conosciuto, ma sicuramente è di parecchie migliaia.

Da dove viene la collera?
La caserma, che secondo i desideri di Erdogan dovrebbe tornare risplendere, è stata costruita nel 1780, epoca del sultano Abdulahmit e abbattuta nel 1940. Nel corso della rivoluzione borghese dei Giovani Turchi (1908) era servita come quartier generale delle forze reazionarie. Benché la piazza dovrà alla fine cedere il posto a un centro commerciale e a abitazioni di lusso, Erdogan ha motivato la decisione all’edificazione con la “tutela della storia”. Il suo “amore per la storia e per le radici osmaniche” costerà alla repubblica altri miliardi per pesanti progetti ancora in gestazione. E’ in questi progetti che ha trovato posto anche la posa della prima pietra per il nuovo ponte sul Bosforo, che prenderà nome “Sultano Yavuz Selim”. Selim all’inizio del 16° secolo in diverse scorrerie di conquista ha triplicato il territorio del regno osmanico e trucidato decine di migliaia di alatiti. E’ stato lui trasferire la sede del califfato a Istanbul.
Il retroterra ideologico di queste mosse revansciste, compiute dal governo Erdogan, ha causato e collegato innumerevoli manifestazioni di protesta.
Negli 11 anni che Erdogan, sostenuto dal suo partito AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo, da 11 anni ha in mano le redini del governo), è alla guida del governo si è sempre dimostrato un fedele alleato degli imperialisti occidentali, con particolare riguardo e premura nei confronti del riassetto del Medio Oriente. Ha perseguito con conseguenza la politica economica neo-liberale, rendendo così la Turchia uno scolaro modello del capitalismo. Privatizzazioni, licenziamenti di massa, precarizzazione, abbattimento dei diritti sociali e sindacali, l’estensione del lavoro in affitto non è stata soltanto la causa principale dell’aumento della povertà, ma anche base di migliaia di scioperi e di manifestazioni sindacali.
Con la politica estera orientata in senso neo-ottomano e con il bellicismo a servizio degli imperialisti il governo di Ankara non ha soltanto consolidato le sue ambizioni come potenza regionale. Questa politica – come mette bene in mostra il caso della Siria, dove Erdogan sostiene apertamente forze fondamentaliste-reazionarie – ha fatto nascere anche un movimento per la pace, che si oppone con numerose manifestazioni e azioni alla politica guerrafondaia. Sulla questione la direzione turca da tempo si attiene alla soluzione militare. Migliaia di politici, giornalisti, sindacalisti e intellettuali kurdi sono stati arrestati. Alla guerra in Kurdistan un popolo intero risponde con la lotta infaticabile per la libertà. Il risultato del processo di pace avviato all’inizio dell’anno, al quale Ankara si è vista costretta, non è prevedibile.
La piccola borghesia di città si sente turbata dalla politica motivata in senso religioso, di cui il governo se ne è servito per imporre profondi cambiamenti in tante sfere della vita sociale. Nell’istruzione scolastica il governo il governo ha introdotto una “riforma” motivata da Erdogan con l’intenzione di tirare su una “generazione devota e piena d’odio”. Il potenziamento delle scuole religiose, il divieto dell’alcool, le limitazioni del diritto all’aborto – sempre motivate e sostenute dal punto di vista religioso, una politica discriminante della famiglia in quanto promuove disuguaglianza soprattutto a danno delle donne, e altro ancora, sono state occasione di parecchie manifestazioni spontanee in cui si è espresso il malcontento della piccola borghesia, dei giovani, delle donne e della popolazione aluita.
La crisi finanziaria mondiale è stata superata dall’economia turca con danni relativi, poiché il governo non ha posto limiti alla privatizzazione della proprietà pubblica e perché la speculazione internazionale si è sentita attratta. L’edilizia è stata il motore degli alti tassi di crescita realizzati negli ultimi anni. E’ tuttavia esplosa a danno della natura. La costruzione di dighe, centrali idroelettriche è stata resa possibile dalla cancellazione delle norme ambientali a cui attenersi.
Questo il retroterra sul quale è nato e si è sviluppato un nuovo movimento ambientalista.

Cosa c’è di nuovo?
I gruppi di protesta accennati fino ad oggi non erano uniti. Con la sua politica differenziata il governo era riuscito ad impedire che i movimenti singoli unissero le loro forze in una lotta comune. La novità nelle lotte attuali è che quei movimenti hanno travalicato le linee che li separavano, in particolare a Istanbul, per estendersi in seguito in tutto il paese. Anche se le richieste delle singole parti componenti il movimento sono differenti, essi ne hanno una in comune: dimissioni del governo AKP.
Nei fatti in Turchia stiamo vivendo un momento storico. Il movimento di resistenza organizza le più grandi manifestazioni mai riuscite nel corso dei 90 anni compiuti dalla repubblica. Erdogan riesce ancora a rifiutare ogni compromesso, continua a definire vandali, terroristi chi manifesta. Minaccia la metà della popolazione che lo ha eletto, non riesce più a mettergli le briglie. Nessuno può prevedere dove può portare la minaccia di un’accresciuta intimidazione o quanto ampia sarà la resistenza. Un punto in ogni caso è fermo: il terrorismo di stato con il quale il governo-AKP affronta l’opposizione sociale moltiplicherà la collera. Prima o poi essa non sarà più ostacolata con l’aumento del terrorismo. Questo è il dilemma di Erdogan: che trovare posto nei libri di storia accanto ai sultani che lo hanno preceduto sarà soltanto una questione di tempo.

8 giugno 2012
Mehmet Calli (*), junge welt
(*) Mehmet Calli è rappresentante nella RFT del Partito del Lavoro – in lingua turca Emek Partisi.

***
Turchia: aggiornamenti su piazza Taksim
13 giugno 2013: la paura cede il passo alla collera
Nel pomeriggio di martedì (11 giugno) e nella notte verso mercoledì (12 giugno) i manifestanti (anarchici, comunisti, donne, anziani, giovani, curve dello stadio…) riconquistano con proteste di massa e battaglie di strada piazza Taksim occupata alla fine di maggio. Intorno alle 19 di martedì si raccolgono in piazza e nelle strade adiacenti 100mila persone decise ad ottenere il blocco dei lavori nel Gezi Park, la fine della repressione contro i movimenti d’opposizione e le dimissioni del governo.
I manifestanti urlano “Erdogan bastardo”, la polizia li attacca con il lancio di lacrimogeni, di granate paralizzanti, idranti d’acqua, proiettili di gomma. Ai manifestanti le maschere antigas, affrontano i lacrimogeni urlando “lacrimogeni olé” e li rilanciano in direzione di chi li ha sparati; tanti utilizzano le fionde per sparare di tutto contro la polizia. Vengono erette barricate, incendiate auto… Nelle retrovie si riesce a organizzare un buon servizio medico dotato di tende per il pronto soccorso.
La polizia ha assaltato la sede del partito socialista democratico dove ha arrestato 70 persone; sono arrestati anche 44 avvocati presenti nel Gezi Park; il governo vuole limitare per legge l’uso di twitter e facebook. Ciononostante verso sera (di martedì) i manifestanti riescono a tornare nel Gezi Park; battono su pentole e padelle, riempiono le strade, cacciano la polizia anche da piazza Taksim. La strategia di Erdogan di diffondere la paura è naufragata.
Alla fine due sono le persone manifestanti uccise; ferite invece saranno almeno 400.

15 giugno 2013: il bastone e la carota, Erdogan annuncia concessioni
Recep Tayyip Erdogan presidente del consiglio dei ministri, dopo un incontro di quattro ore con i rappresentanti della Lega di Solidarietà Taksim, ha ufficialmente annunciato che il governo attenderà la decisione del tribunale rispetto alla continuazione o interruzione dei lavori edili nel Gezi Park di Istanbul. Il governo si è dichiarato pronto a fermare i lavori nel caso questa sia la decisione del tribunale. Nel caso in cui il tribunale dovesse decidere a favore della continuazione dei lavori, il governo cederà la decisione finale, definitiva, alla popolazione che si esprimerà attraverso un referendum [un passo oggi inimmaginabile in Italia nel caso della Tav e altri, ndt]…
Lo stile autoritario del governo Erdogan è tornato a manifestarsi con l’annunciata chiusura del canale televisivo di sinistra Hayat TV . Il “Consiglio Superiore per la Radio e la Televisione” ha accusato questa rete di trasmettere senza permesso e di aver perciò dato ordine al gestore del satellite Tuerksat di spegnerla. In realtà Hayat TV da tempo ha presentato domanda per ottenere la licenza di diffusione sull’intero territorio turco, è il Consiglio Superiore… che non ha ancora preso una decisione in merito.
Ad Ankara ancora ieri notte la polizia ha attaccato i manifestanti con i gas lacrimogeni e gli idranti. Piazza Taksim, a Istanbul, in queste notti e giorni rimane costantemente occupata da oltre 10mila manifestanti.
giugno 2013, da jungewelt.de

Ultime da piazza Taksim: la sera di sabato 15 gugno
Dopo le promesse dei giorni scorsi sull’attesa della decisione del tribunale e di un referendum…il governo aveva lanciato un ultimatum ai manifestanti: lasciare il parco e la piazza prima di sabato (sera). I manifestanti hanno lasciato scadere l’ultimatum, mantenendo le posizioni. Il governo, Erdogan in persona, ha così dato seguito alle minacce del governo: sabato sera ha ordinato lo sgombero con ogni mezzo del Gezi Park e di piazza Taksim.
La polizia è intervenuta in modo massiccio dapprima con lo sparo di granate lacrimogeni sugli attendamenti dei manifestanti e successivamente è penetrata con manganelli ecc. proprio al loro interno.
L’attacco è durato una mezz’ora, fino a quando i dimostranti hanno lasciato dietro di sé le tende; decine di manifestanti sono rimasti feriti e anche arrestati. La polizia ha inseguito diversi manifestanti che hanno cercato di trovare riparo nel vicino Hotel Divan; ha dato l’assalto all’hotel a suon di lacrimogeni e manganellate; allo stesso modo è penetrata nelle case private, che, numerose, hanno aperto le porte a chi lottava in strada.
I dimostranti, circa diecimila, si sono quindi riuniti nel quartiere adiacente il parco, da dove hanno scandito slogan come: “Questo è solo l’inizio. La lotta va avanti”…
La polizia è intervenuta di nuovo, con gli idranti, lo sparo di proiettili di gomma… con la devastazione maniacale degli attendamenti.

giugno 2013, da www.taz.de


Comunicato del Fronte di Liberazione del Popolo Rivoluzionario (DHKC) sul massacro di Reyhanli
L’organizzazione sanguinaria é lo stato fascista! I responsabili del massacro di Hatay/Reyhanli sono gli imperialisti e il governo AKP! Nella storia dei rivoluzionari non ci sono azioni che colpiscono il popolo!
L’11 maggio 2013, sono morti 46 nostri connazionali ad Hatay/Reyhanli [cittadina turca di Reyhanli, nella provincia di Hatay, sul confine con la Siria, ndr] in seguito a due attacchi con autobombe. Cento i feriti, 24 dei quali gravemente. Una vera strage. Condanniamo nettamente i responsabili e i mandanti di questa strage.
I giornali vicini all’AKP, come Takvim, Akit, Yeni Safak cercano di costruire un collegamento fra questa strage e noi. Contemporaneamente, nei comunicati stampa, i ministri del AKP fanno allusioni alle organizzazioni di sinistra. Queste notizie sono state raccolte attraverso le dichiarazioni del governo fantoccio dell’AKP, che è ben conscio della sua colpevolezza.

Noi dichiariamo al nostro popolo e ai popoli del mondo intero!
1- La nostra organizzazione non ha niente a che fare con l’attentato ad Hatay/Reyhanli, dove sono morte 46 persone e 100 sono state ferite.
2- Nessuna organizzazione rivoluzionaria, che si dichiari marxista-leninista, approverebbe e neppure farebbe una simile azione che arreca danni alla popolazione. La storia dei rivoluzionari è pulita. Le azioni realizzate dai rivoluzionari perseguono sempre uno scopo politico. I rivoluzionari non compiono stragi.
3- Responsabili della morte di 46 persone e di 100 feriti sono l’imperialismo e il governo AKP, ai quali non occorre cercarsi un’“organizzazione” per deformare la verità. Gli imperialisti e agli stati fascisti, guidati dal loro scagnozzo AKP, sono l’organizzazione sanguinaria. La storia dello stato fascista è la strage. Gli imperialisti e i paesi collaborazionisti sono organizzazioni che causano terrore e dolore alla popolazione.
4- Avvertiamo i giornali di apparato dell'AKP: Akit, Takvim e Yeni Safak. Non hanno una sola prova, una sola dimostrazione che possa spiegare il collegamento fra la nostra organizzazione e questo attentato. Fatela finita con l’essere portavoce della controguerriglia. Non crediate che non si chiederà conto di queste notizie controrivoluzionarie.
L’AKP ha trasformato il nostro paese in un accampamento, gremito al confine siriano solo di agenti, che si organizzano come “opposizione designata”, collaborano coi saccheggiatori e, debitamente istruiti, vengono spediti sui confini per spargere sangue.
L’11 maggio è successa una grande strage a Reyhanli. Stragi di gran lunga maggiori vengono consumate ogni giorno da parte di organizzazioni religiose, formate nel nostro paese dall’AKP, contro il popolo siriano. Né il governo AKP, né gli imperialisti sono al corrente delle stragi compiute da organizzazioni collaborazioniste come Al-Qaida o Al-Nusra. Simili attentati furono eseguiti contro ministri, quadri dirigenti e comandanti del governo siriano.
Hanno compiuto stragi nelle moschee, sugli autobus, nelle università, negli edifici pubblici, in abitazioni, laddove molta gente si raduna. E ogni giorno se ne aggiungono di nuove. Dopo un attentato contro il popolo siriano l’AKP ha minacciato il governo siriano che presto per lui sarà la fine. L’attentato di Reyhanli rientra fra quelli compiuti quotidianamente dai collaborazionisti contro il popolo siriano. Non ha importanza quale precisa organizzazione ci sia dietro. Gli unici responsabili di questa strage sono gli imperialisti e il governo dell'AKP. L’assassinio dei nostri 46 connazionali è opera dell’AKP. Il premier presidente Erdogan è il principale responsabile di questa strage. Dovrebbe renderne conto.

Con il silenzio stampa l’AKP cerca di nascondere la propria responsabilità!
L’AKP ha imposto il silenzio stampa sulle corrispondenze, la cui ragione è evidente. Con ciò vorrebbe nascondere la sua responsabilità nella strage. Le prove vengono eliminate. Successivamente, l’AKP si troverà qualche altro “testimone occulto” o “disertore” e sosterrà di aver preso l’autore, per abbindolare la gente. Ora già cerca di scaricare la strage su una “vecchia organizzazione di sinistra”, che avrebbe rapporti con i servizi segreti siriani. Con queste bugie l’AKP non può abbindolare la popolazione. Responsabile di questo massacro è l’AKP. Il silenzio stampa gli serve solo per nascondere il proprio ruolo nella strage. Ma la verità è talmente evidente, non può dissimulare la propria responsabilità né con il silenzio stampa, né con la censura o qualunque altra deformazione.
Diciamo al nostro popolo: l’AKP è responsabile di ogni goccia di sangue versata in Siria. E non basta solo la Siria, gli imperialisti vogliono annegare nel sangue l’intera regione. L’assassinio dei nostri 46 connazionali a Reyhanli non è indipendente dalle stragi contro il popolo siriano. Perciò dovremmo chiedere conto al governo AKP, assassino di popoli e collaboratore degli imperialisti.
Abbasso Gli Imperialisti E Chi Collabora Con Essi! Abbasso Il Governo Collaborazionista Dell’Akp! Abbasso I Media Controrivoluzionari Dell’Akp! Viva La Resistenza Gloriosa Del Popolo Siriano Contro L’Imperialismo E I Collaborazionisti!
maggio 2013
Fronte Di Liberazione Del Popolo Rivoluzionario - Turchia

Tratto da: www.halkinsesi.tv/index.php/alle-nachrichten/9985-dhkpc-erklaerung-nr-411-im-zusammenhang-mit-dem-massaker-in-reyhanly.htm1
Traduzione a cura del Collettivo Tazebao – per la propaganda comunista (collettivo.tazebao@gmail.com)


AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Cie di C.so Brunelleschi di Torino
25 maggio. Due reclusi dell’area rossa sono saliti sul tetto per resistere alla deportazione in Tunisia (che sarebbe dovuta avvenire via mare, su una nave in partenza dal porto di Genova). Intenzionati a restare lassù, per passare la notte e ripararsi dal freddo, si sono costruiti una specie di tenda. In serata, un gruppo di solidali ha salutato la loro resistenza con slogan e fuochi d’artificio, dileguandosi prima che la polizia potesse identificarli.
27 maggio. I reclusi resistono sul tetto ed iniziano lo sciopero della fame, al quale aderiscono anche altri reclusi di altre sezioni. Le Forze del disordine cercano di convincerli a scendere inutilmente, anzi i due ragazzi dichiarano che le comunicazioni avverranno solo in arabo. Gli altri della sezione rossa li aiutano fornendo lenzuola per costruire la tenda ed acqua per bere e lavarsi, dando totale solidarietà.
Durante la sera un gruppo di solidali ha salutato i reclusi del Cie, con slogan, petardi e battiture sui pali. Le Forze del manganello, per sedare sul nascere ogni tentativo di risposta dei reclusi, si schiera in assetto antisommossa davanti alle sezioni.
30 maggio. Nella mattinata avvengono pesanti perquisizioni in tutte le aree, la polizia si presenta come al solito con manganelli e scudi alla ricerca di non si sa cosa. Nella serata, nell’area blu, un poliziotto apostrofa con fare beffardo un recluso che sta pregando. Il gesto causa in improvviso moto d’ira in tutta la sezione: i reclusi gridano, poliziotti, militari e crocerossini vengono insultati pesantemente, e qualcuno comincia ad appiccare il fuoco ai materassi e alle lenzuola. In un attimo la rivolta si estende anche all’area gialla e all’area bianca, dove i ragazzi cominciano a urlare e a bruciare quello che capita loro sottomano. Il direttore del centro, Antonio Baldacci, arriva addirittura a chiedere scusa ai reclusi per la mancanza di rispetto che hanno dimostrato i poliziotti, ma questo non basta a far calmare le acque. Per una buona mezz’ore dentro il Cie continuano a bruciare materassi e lenzuola, mentre fuori dalle mura una trentina di solidali si uniscono al casino con petardoni, slogan e battiture. Dopo circa un’ora la situazione sembra tornata alla normalità, quando alcuni poliziotti fanno irruzione nell’area gialla con fare minaccioso e si mettono a malmenare alcuni uomini colpevoli di aver fatto troppo casino. La risposta dei reclusi non si fa attendere e i ragazzi dell’area bianca cominciano a lanciare pietre e bottiglie di acqua contro i celerini nell’area adiacente, facendoli indietreggiare.
4 giugno. Un ragazzo dell’area rossa ingurgita una scatola di tranquillanti, incosciente viene portato all’ospedale, mentre gli altri prigionieri cominciano a protestare bruciando materassi e lenzuola. Gli aguzzini intervengono con idranti per spegnere l’incendio, ed inondano d’acqua anche la tenda e i due ragazzi sul tetto, che ormai è da 9 giorni che sono lì, vengono portati in infermeria per misurare i parametri vitali. In serata anche le altre sezioni rispondono all’accaduto bruciando materassi, ma nulla di grosso. La tensione rimane alta ed alcuni vengono braccati e portati in isolamento. La maggior parte delle sezioni è annerita dagli incendi.
Cie di Modena
Negli ultimi mesi la tensione nel Cie di Modena, continua a salire. Con le ultime rivolte, anche gli aguzzini a guardia del centro, hanno alzato il livello di repressione dentro e fuori le mura, per isolare ancora di più i reclusi, cercando di ostacolare ogni minima forma di solidarietà.
16 giugno. Presidio intorno alle mura del Cie. Purtroppo al termine del presidio, nel tardo pomeriggio, a Modena è stata fermata una macchina con quattro compagni a bordo e tre di loro sono stati arrestati.
Gli sbirri li accusano di danneggiamento, incendio doloso e lancio di materiale esplodente, in relazione a delle fiamme che si sarebbero sviluppate lungo la siepe della recinzione esterna del Cie, e che avrebbero danneggiato uno dei gabbiotti dei militari di guardia. Sostengono di essere state avvertite da un passante che ha segnalato una ventina di persone nei pressi del Cie. Una pattuglia della guardia di finanza accorsa ha fermato una delle macchine che a suo dire si stavano allontanando e, raggiunta da una volante della polizia, ha controllato i documenti e perquisito la vettura. Pur non avendo trovato nulla di rilevante, l'auto è stata sequestrata e i compagni portati in questura e chiusi in quattro celle separate, lasciati senz'acqua nonostante le ripetute richieste. Dopo oltre un'ora (!) gli sbirri si sono accorti che uno dei compagni era minorenne e che quindi non avrebbe potuto essere trattenuto in cella. Quest'ultimo è stato rilasciato a piede libero. Per gli altri inizialmente si è fissato il processo per direttissima per il giorno seguente, in seguito questo è stato annullato e si attende entro 72 ore dal fermo la convalida o meno degli arresti. Mercoledì 19 giugno Andrea, Gabriele e Sabbo sono stati finalmente rilasciati... Per loro obbligo di dimora dalle 18 alle 6 del mattino del giorno dopo, fino al 23 luglio data della prima udienza del processo per danneggiamento tramite incendio, detenzione e utilizzo di materiale esplodente.

Cie di Bologna
13 giugno. Il Cie di Bologna è al momento chiuso per lavori di ristrutturazione, dovuti alle ultime rivolte. Il Prefetto ha revocato l’incarico alla cooperativa Oasi come gestore ma solo per il mancato pagamento degli stipendi ai complici aguzzini. La Misericordia, presieduta da Daniele Giovanardi, ha annunciato che potrebbe ricandidarsi alla gestione del Cie di Bologna, “a patto che si parli di cifre diverse per l’assegnazione”, così se ne intascherà di più!
Mentre la Prefettura di Modena ha convalidato il contratto con il consorzio Oasi per la gestione del Cie in Via La Marmora e di Trapani Milo.

Cie di Trapani-Milo
24 maggio. Dieci internati evadono dal Cie, purtroppo tre di loro sono stati riacciuffati, mentre per gli altri sette volo d’uccel di bosco.

Cie di Pian Del Lago (Caltanissetta)
13 giugno. Un gruppo d’internati tenta di scavalcare la recinzione alta 10 metri, mentre altri reclusi lanciano sassi e acqua mista a candeggina contro le forze repressive, per favorire la fuga. Tre agenti rimangono contusi, uno dei quali è stato colpito agli occhi dal miscuglio micidiale. Purtroppo due ragazzi di 22 e 30 anni vengono arrestati con l’accusa di resistenza e violenza a pubblico ufficiale, altri due sono stati denunciati a piede libero, mentre altri cinque son riusciti ad evadere. Horria!

Cie di Bari
28 maggio: corteo a Bari contro i Cie.
La chiusura dei centri d’ identificazione ed espulsione, permessi di soggiorni temporanei, l’abolizione della Bossi-Fini, e migliori condizioni di vita nei centri di accoglienza richiedenti asilo: sono le richieste degli oltre 400 migranti che hanno sfilato in corteo per le vie del centro di Bari e che si sono radunati sotto la Prefettura con l’obiettivo di incontrare i rappresentanti del governo locale. I migranti lamentano in particolare l’altissima percentuale di dinieghi – 95,98% – delle richieste di asilo da parte della Commissione ministeriale competente. Nel Cara di Bari ci sono 1.500 persone rispetto a una capienza di circa 800. Tra le altre richieste dei migranti, c’è un’accelerazione dell’esame di richieste d’asilo: “Aspettiamo sino a due anni – dice uno dei manifestanti – per poi vedere la nostra richiesta respinta”.

Cara di Mineo (Centro“accoglienza” richiedenti asilo)
14 giugno. Una ventina di richiedenti asilo nel Centro di Mineo, in provincia di Catania, ha lanciato sassi contro gli agenti di polizia, che hanno fatto uso di lacrimogeni. Sei poliziotti sono rimasti feriti. I rivoltosi hanno anche danneggiato alcune strutture e dato fuoco a cassonetti dell’immondizia. Motivo della sommossa nel Cara, in cui sono presenti 2.800 migranti, i tempi lunghi di attesa per il riconoscimento dello status di rifugiato, la grande burla dello Stato.

Cie di via Corelli - Milano
28 maggio. Sarà una gara al massimo ribasso a decidere chi sarà il nuovo gestore del Centro d’ identificazione ed espulsione di Via Corelli a Milano per i prossimi tre anni. Il nuovo bando, pubblicato sul sito del ministero dell’Interno e su quello della Prefettura, stabilisce che l’appalto sarà affidato selezionando “la migliore offerta con il criterio del prezzo più basso (…) con riferimento al prezzo posto a base d’asta di 30 euro” al giorno e per persona. La scadenza per la presentazione delle domande è fissata per venerdì 31 maggio, ma al momento non sono ancora state presentate candidature. Nemmeno la Croce Rossa, che da diversi anni gestisce il Cie di via Corelli, si è fatta avanti: “Non abbiamo ancora deciso – spiega il presidente provinciale Antonio Arosio. La decisione verrà presa assieme al Comitato Centrale”. L’ultimo rapporto del Medu (Medici per i diritti umani) evidenzia le gravi conseguenze sulla gestione al ribasso. Nei Cie di Modena, Bologna, Crotone e Trapani, dove le nuove convenzioni sono già operative (a euro 29) “è stato riscontrato un livello di servizi assolutamente non sufficiente e, nel caso di Bologna e Trapani, addirittura una grave carenza nella fornitura di beni di prima necessità”.

Siculiana (Agrigento) caccia al migrante ed il mare dei morti
14 giugno. E’ caccia al migrante fuggitivo sulla statale tra Agrigento e Sciacca e nelle campagne circostanti, in seguito ad uno sbarco di circa 200 persone, dei quali 50 già braccati e pronti ad essere internati, un ragazzo di 20-25 anni morto annegato ed altri uccel di bosco, speriamo non capitino nel mirino del nemico.

Lampedusa, 18 giugno.
In quest’ultima settimana sono sbarcati più di mille migranti nei pressi di Lampedusa. 921 migranti sono stati stipati nel Cda (centro di “accoglienza”), che ha una capacità di circa 300 posti (381 secondo il sito del Ministero dell’Interno). Alcuni profughi hanno raccontato di gente caduta in mare dopo che una barca da pesca ha tagliato il cavo che trainava la gabbia sulla quale erano i rifugiati, e ha respinto quelli che tentavano di salire a bordo. Almeno dieci migranti sarebbero annegati, secondo il racconto dei superstiti, nel tentativo di aggrappparsi a una gabbia per tonni. Gli altri migranti sono rimasti aggrappati alla gabbia per tonni per ore fino all’arrivo dei soccorsi, che poi provvedono all’internamento nei vari Cie o all’espulsione.

Cie di Isola Capo Rizzuto (Crotone)
18 giugno. Alcuni reclusi tentano la fuga dal Cie e si scontrano con le forze del manganello. Negli scontri sono rimasti contusi cinque finanzieri e quattro militari dell'Esercito. Il più grave è un militare, raggiunto da un colpo di spranga alla testa e per il quale la prognosi è di venti giorni.

Milano, giugno 2013


lettere dal carcere di san vittore (mi)
Entrambi sono stati arretstati nel CIE di v. Corelli a Milano all’inizio di settembre 2011 con l’accusa di aver preso parte a una rivolta. Trasferiti a S. Vittore sono ora sotto processo per “resistenza aggravata perché in concorso con altri”, in pratica per rivolta.

Ciao come stai? Spero che state bene, sono Nahed il ragazzo che state aiutando. In carcere una cartolina scritta con due righe fa un grande piacere, mi solleva il morale. Ti ringrazio di cuore. Ti racconto un po’ di me. Sono arrivato in Italia per cercare un po’ di fortuna, nello stesso momento ho trovato un paese democratico che mi ricorda il mio paese, penso di essere ancora nel mio paese. Fino ad ora sono stato male, mi hanno massacrato e mi hanno messo pure in carcere. Ho visto che vieni pure in tribunale e te ne sono grato! Se puoi aiutami con l’avvocato, perché vedo che non dice che quando nel centro è nata la rivolta avevo la mano fratturata; e mi hanno pure picchiato di brutto.
Voi siete adesso la mia famiglia, ti saluto con tanto affetto, un abbraccio tanto forte. Aspetto una tua risposta con ansia, Nahed.

4 ottobre 2011
Nahed Ferchichi, p.zza Filangieri, 2 - 20123 Milano

***
Ciao cara come stai? Spero che state bene!
Se vuoi sapere di noi stiamo ancora sperando di uscire da questo incubo! Stiamo ancora aspettando l’aiuto dell’avvocato che ringraziamo insieme (a Nahed). Stiamo soffrendo qui dentro, non abbiamo niente, e non abbiamo nessuno qui in Italia, solo voi. [...]
Vi ringrazio per tutto quello che fate per noi, ora vi saluto con tanto affetto, Mohamed

4 ottobre 2011
Mohamed Mraihi, p.zza Filangieri, 2 – 20123 Milano


Comunicato dal carcere “buoncammino” di cagliari
Noi sottoscritti detenuti nel carcere “Buoncammino” di Cagliari iniziamo, a partire dal 25 maggio, fino a quando riusciremo ad andare avanti, lo sciopero del carrello, rifiutando il vitto dell’amministrazione penitenziaria, per fare presente a tutto il mondo esterno la realtà della tortura istituzionale dell’apparato della giustizia che i detenuti di tutte le carceri dello stato italiano stanno subendo da sempre! Non si può ancora aspettare e ribadiamo l’urgente necessità affinché venga applicata una forte amnistia generalizzata che prenda tutti i reati, e che vengano abrogate tutte le leggi disumane. Uno stato che prevede nei suoi codici il regime di tortura del 41 bis, realizzato per annientare il prigioniero sia fisicamente che psicologicamente e che lo priva di qualsiasi condizione umana, che prevede di fare marcire nelle galere con un “fine pena mai”, alla “morte in vita” i detenuti condannati alla pena dell’ergastolo, che ci aggravala condanna con la recidiva della Cirielli, con l’ostativo del 4 bis, che non ci permette di usufruire delle misure alternative, e che in linea generale si esce se diventi collaboratore di giustizia, con la logica di ricattarti, di castigarti e di premiarti per isolarci ancora di più. Uno stato, quello italiano, unico al mondo per il terrorismo carcerario che esso affligge, che si vendica con l’applicazione di leggi aberranti, sostenendo che questa tortura è finalizzata alla rieducazione, reinserimento sociale, e tutte retoriche di questo tipo. Che ci tiene in condizioni detentive disumane di sovraffollamento, con l’insorgenza di malattie derivate dalla detenzione, con continui atti di autolesionismo e omicidi si stato chiamati suicidi, come tragica conseguenza dell’oppressione penitenziaria, che ci tengono chiusi 21 ore al giorno senza fare niente, con carenze igienico-sanitarie, da far paura, mentre la struttura cade letteralmente a pezzi (vedi l’altro giorno è crollato un pezzo del ballatoio del secondo piano) la lista è ancora lunga purtroppo e ci riserviamo affinché più avanti possiamo intraprendere altre forme di sciopero. Ora lasciamo spazio alla nostra pacifica protesta, con l’augurio per tutti quanti noi detenuti affinché possiamo trovare la forza e l’unità per affrontare il mostro carcerario. Ricordiamo che il tribunale di Strasburgo ha più volte sanzionato e definito le carcere italiane come luoghi di tortura, e l’Italia si guarda bene nel non inserire il reato di tortura nel codice penale, come invece è espresso nella carta costituzionale della comunità europea dei diritti del uomo .
Per tutti i detenuti che non lo sanno, il 25 maggio è la giornata di lotta in cui si terrà la manifestazione nazionale /generale contro il carcere, il 41 bis, la differenziazione, e l’isolamento, indetta dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”, inviamo questo presente comunicato, che annuncia il nostro sciopero all’assemblea e a tutte le associazioni, gruppi e realtà di cui siamo a conoscenza, che supportano le lotte dei detenuti.
Per conoscenza inviamo la presente al Ministro della Giustizia, al Presidente della Repubblica, al Provveditorato, al Sindaco di Cagliari e alla stampa ufficiale.

Buoncammino, 25 maggio 2013
Seguono 301 firme di detenuti

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Un abbraccio a voi tutte/i, tutti gli articoli di giornali locali, usciti nei giorni successivi allo sciopero, i media, stranamente, hanno parlato bene, hanno riportato fedelmente il fatto che era collegato alla manifestazione di Parma. Vai a capirli.
Qui c’è il totale blocco postale in uscita, nei confronti di tanti di noi, che la direzione sta attuando per via dello sciopero del 25 maggio terminato il 28 dello stesso mese. In quei giorni sono venuti anche politici, sindacalisti, parlamentari (c’era anche quella feccia della Polverini), accompagnati dal direttore, che ha cercato, invano, un approccio individuale con alcuni prigionieri.
Comunque, questo sciopero che abbiamo fatto ci ha resi uniti (e non succede mai!), ha contribuito alla discussione sul da farsi. Abbiamo avuto risonanza mediatica, finalmente. Una quarantina di compagne/i sono venuti/e a fare un bel presidio con striscioni, cori e sputafuoco, e dunque molti detenuti sono abbastanza carichi.
La nostra prossima mossa è lo sciopero della spesa per il 22 giugno; ancor prima stiamo organizzando uno sciopero dell’aria (rifiutarsi di uscire ai passeggi, dato che il contrario non è possibile farlo, come potete immaginare). Però, dato che sta girando notizia di mobilitazione a partire dal 16 giugno, vorrà dire che anche noi inizieremo i nostri scioperi a partire da quel giorno.
Una precisazione: il 17 giugno non scade l’ultimatum per l’Italia [rispetto alla condanna europea all’Italia per la questione del “sovraffollamento”, verso cui il governo italiano a presentato ricorso, ndr], perché lo stato italiano è riuscito ad ottenere una proroga di un anno, che scade il 24 maggio 2014. Comunque non c’importa di questo dettaglio. L’importante è riuscire ad ottenere un momento collettivo interno ed esterno che rompa la campana della pacificazione.
Un’altra cosa importante è che il 16 settembre inizierà lo sciopero della fame ad oltranza degli ergastolani e non. In solidarietà noi faremo lo sciopero del carrello, per ora. Anche questa mobilitazione è importante che vada sostenuta. Non trovate?
A presto! Un forte abbraccio.

Cagliari, carcere Buoncammino, 9 giugno 2013

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presidio solidale sotto il carcere di cagliari
Ieri sera [31 maggio] è stato fatto un saluto ai prigionieri del carcere di Buon Cammino in sciopero del carrello da sabato 25 Maggio per denunciare la situazione in cui versano le carceri e in particolare il carcere cagliaritano.
Una quarantina di persone si è mossa sui due lati del carcere a salutare e far sentire la propria vicinanza ai prigionieri, torce, petardini, urla, cori e qualche intervento al megafono hanno caratterizzato il presdio che è stato accolto molto bene da dentro.
La logistica del carcere permette una notevole interazione con i carcerati, che hanno cantato insieme ai solidali i cori per la libertà, contro gli sbirri e hanno interrotto la battitura per ascoltare la lettura dei comunicati.
Questo saluto si inserisce in un recente percorso contro il carcere che ha visto la nascita della Cassa Antirepressione Sarda ed è in corso la creazione di una biblioteca dell’evasione.

1 giugno 2013
da nobordersard.wordpress.com


Resoconto sulla manifestazione di Parma del 25 maggio
Contro carcere e repressione, contro il 41 bis e l’isolamento e a sostegno delle lotte dei prigionieri
Sotto una pioggia, a tratti battente, qualche centinaia di persone provenienti da quasi tutta Italia (Sardegna compresa), e di diversa collocazione politica, hanno sfilato per le vie di Parma e tenuto un presidio al carcere sotto un tendone e dei gazebo montati all’istante. Un esempio della necessità e possibilità di lottare uniti, quando si viene colpiti dagli attacchi repressivi e si intende sviluppare la lotta e la solidarietà di classe contro il carcere e la società che lo crea.
Forte la risposta da dietro le sbarre dei prigionieri.
In testa al corteo gli striscioni: “Carceri sicure da morire - D.A.P. covo di assassini”,
“Contro carcere differenziazione, 41 bis, solidarietà ai prigionieri in lotta - abbattiamo il capitalismo” dell’assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”
Lungo tutto il corteo, e di fronte al carcere di Via Burla, dall’impianto si sono succeduti interventi sia sulle condizioni di vita in carcere sia sulla repressione all’esterno subita, nella crisi, da un numero sempre maggiore di proletari, lavoratori, disoccupati, studenti, immigrati e compagni che non subiscono passivamente le misure di lacrime e sangue che i padroni vorrebbero imporre con la forza. In particolare è stata denunciata l’incredibile militarizzazione della città, avallata dalla giunta grillina, con enorme dispendio di denaro pubblico (e la spending review?). Sono state anche lette più lettere giunte da diverse carceri italiane in occasione della mobilitazione, importanti quelle dal carcere Buoncammino di Cagliari, seguita da 301 firme, e da Viterbo che comunicavano l’inizio di forme di lotta collettive (rispettivamente sciopero del carrello e della fame).
Allucinante il clima creato ad arte nella città, per isolare e criminalizzare la mobilitazione, con il chiaro obiettivo di non far parlare i compagni tra la gente di carcere e di articolo 41 bis, simbolo dell’ultra legalità, baluardo della sinistra borghese, ma sul quale l’intera classe politica al governo si trova unita. È stata creata una zona rossa al rovescio attorno a tutto il percorso del corteo, in modo che gli abitanti di Parma non vi potessero accedere, con tanto di campagna mediatica cominciata le giornate precedenti dal tono “Arriveranno i criminali, gli anarchici...distruggeranno tutto...”, e per l’occasione sono state addirittura chiuse le scuole in anticipo, evento eccezionale che non ha precedenti. Parma completamente blindata, circa 500 sbirri schierati tra poliziotti, carabinieri e finanzieri, istituito il divieto di parcheggio anche per i residenti – biciclette comprese, eliminati i cassonetti e piombati i tombini, addirittura le squadre dell’Unità Artificieri e un elicottero costantemente sopra il corteo con il palese scopo di disturbare gli interventi, le letture dal furgone e i tentativi di dialogo con i pochi passanti rimasti in giro. Il finale della giornata forse è stato ancora più surreale del suo inizio, con decine di blindati davanti e in coda a circa 200 compagni che avevano deciso di ritornare assieme al pullman e alle auto. Un’immagine che rievoca il passato, quando le truppe nazifasciste scortavano i partigiani per la città, in modo che la gente potesse vedere e prendere paura. Un enorme disagio per i cittadini esasperati di fronte al blocco di circolazione imposto che ha finito per suscitare la loro protesta.
Questa giornata, è stata per lo stato dei padroni l’occasione di una vera e propria esercitazione per possibili scenari d’intervento repressivo nelle città, che sta diventando sempre più una tendenza anche nella "civile" Europa: basti vedere cosa è accaduto nei giorni scorsi in Svezia, con interi quartieri tenuti sotto assedio dalle forze dell'ordine.
Per i compagni, oltre che una giornata di lotta e di solidarietà un’occasione per riflettere sulla situazione attuale e su come continuare e rilanciare la lotta sia contro la repressione che contro le condizioni di vita in continuo peggioramento legate indissolubilmente l’una all’altra e sull’impellente necessità di rompere l’accerchiamento.
È chiaro che il mostrare i muscoli della demokrazia blindata è stato rivolto non solo ai manifestanti, ma a tutti coloro che oggi, nella drastica situazione in cui la crisi del sistema economico li ha cacciati, possono rispondere alzando la testa. Quella che abbiamo visto è l’altra faccia dell’aumento della coercizione che è vissuta dentro le galere, dentro i Cie, dentro tutte le istituzioni totali e va di pari passo con l’aumento del controllo del territorio e delle politiche di guerra sempre più aggressive. Allo stesso tempo è anche una dimostrazione della debolezza e della paura della classe dominante, la loro demokrazia blindata fa acqua da tutte le parti, basta vedere le ultime percentuali dei votanti alle elezioni.
Così si smaschera da sola la “protezione civile” della democrazia, come si autodefiniscono i grillini. Il PD attaccava e attacca le mobilitazioni dando dei terroristi e infiltrati nei movimenti sociali ai manifestanti, ora i grillini li appellano mafiosi. Non ci offendiamo, le bugie hanno sempre le gambe corte, durante il fascismo i partigiani venivano chiamati “banditen”.
Importante di questo corteo è non solo la giornata del 25, ma anche e soprattutto la miriade di iniziative concrete e dibattiti pubblici avvenuti in diverse parti d’Italia, dal nord al sud, la ripresa della mobilitazione da parte dei compagni di Parma e il fatto che questa iniziativa abbia dato forza ai detenuti per l’inizio di nuove lotte.
L’assemblea di bilancio collettivo dell’iniziativa si svolgerà il 22 giugno, nel frattempo la lotta e la mobilitazione continuano!
maggio 2013
Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”


lettera dal carcere di siano (cz)
[…] Riguardo la lotta per l'abolizione dell'ergastolo intrapresa da alcuni anni, potete trovare ampio materiale nei siti "carmelomusumeci" e "informacarcere", e nel blog "urladalsilenzio", ci sono le proteste e gli scritti che abbiamo prodotto.
Nel 1992 fu introdotta la pena di morte e la tortura; con l'introduzione dell'art. 41bis resero ostativo l'ergastolo a qualsiasi pena alternativa, pertanto pena perpetua, una pena di morte diluita nel tempo, anche se il boia è il tempo, rimane sempre una pena di morte. La pena perpetua viola la convenzione europea, che ritiene la perpetuità della pena una tortura. Quello che è singolare è l'ipocrisia dello Stato, di fronte al Tribunale dell'Aia l'Italia si è imposta che qualunque reato (parliamo di genocidi) la condanna non deve superare i 30 anni, invece in Italia impone ciò che vieta al Tribunale internazionale dell'Aia, che la stragrande maggioranza sono genocidi.
La corte costituzionale ha stabilito che l'ergastolo è costituzionale perché a 26 anni può accedere alla liberazione condizionale, pertanto la pena non è perpetua. Con l'art. 41bis lo è diventata, ma la stessa ha rigettato varie volte l'incostituzionalità dell'art. 41bis.
Un doppio binario del sistema, all'interno spietata e crudele repressione, all'estero massimo garantismo.
Io ho scontato oltre 30 anni, ma lo stesso mi hanno fatto l'ergastolo ostativo, perché anche se il reato è stato commesso prima della legge 1992, la Corte Costituzionale con una sentenza arbitraria l'ha reso retroattivo.
Dal 28 novembre c'è una discussione alla Corte europea dei diritti dell'uomo sull'abolizione dell'ergastolo, ma fino ad oggi ancora deve deliberare. E' un ricorso fatto da tre ergastolani inglesi: Vinter contro Inghilterra.
Riguarda la tortura del 41bis, da vent'anni c'è una censura totale, per evitare discussioni sulla crudeltà di questa infamia.
Nel 2009 con la legge n° 94 del duo Berlusconi-Alfano, il regime di tortura del 41bis è diventato come gli ospedali psichiatrici dell'era sovietica dove internavano i dissidenti per annullarne la personalità e annichilire il pensiero.
Quando ci sono stato io dal 1992 al 1996 la tortura consisteva in botte quotidiane, a parte tante altre angherie. Oggi è più sofisticata o meglio dire molto più scientifica. […]

Catanzaro, 3 maggio 2013
Pasquale De Feo, via Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (CZ)
lettera dal carcere di terni
[…] Quello che io spero e mi auguro, è che tutti i prigionieri prendano coscienza che “la dittatura” vige e regna nei carceri, con la tortura del 41 bis, del 14 bis, e tutte le torture e coercizioni fisiche che accadono ogni giorno in tutte le prigioni italiane, ribellarsi è un diritto ed un obbligo di tutti/e, le imprese che gestiscono gli appalti rubano indisturbati, con prezzi elevati e merce scadente, come si fa a pagare un kilo di pere 3 euro al kilo? 1 kg di fragole euro 5,40? Possiamo andare avanti all’infinito con i prezzi esosi che ci costringono a pagare in tutti i carceri, poi parlano di crisi economica e nessuno vigila su loro!!!
Vorrei proporvi a tutti/e voi di sensibilizzare questo problema, di farci fautori e promotori a scoperchiare questi furti legalizzati, iniziando a mobilitare tutti/e i prigionieri ad una settimana di sciopero nazionale in tutti i carceri, questa è un’iniziativa che se voi iniziate a proporla a tutti/e i compagni/e fuori e dentro, credo e sono convinto, che troveremo l’assenso di tutti/e, così non facciamo ingrassare quei porci che ci mangiano sopra! Sfruttando i poveri, gli affamati e gli oppressi…
[…] non vi ho detto che nel 2007/2008 al carcere di Viterbo, per aver raccolto firme contro i pestaggi e per l’abolizione del 41 bis, sono stato trasferito a Frosinone e mi hanno applicato il 14 bis per questo, e per aver denunciato un omicidio con un pestaggio di un detenuto avvenuto a Frosinone, dove durante l’interrogatorio dell’esposto di Viterbo per i pestaggi, i poliziotti delegati all’interrogatorio, erano solo interessati a chi avesse scritto che chiedevamo l’abolizione del 41 bis perché ritenuto disumano, e mi ripropongo di insistere su questo, e resto fermamente convinto, (che è un articolo della santa inquisizione, dove si mettevano al rogo innocenti come indemoniati) ebbene i poliziotti, non si interessavano all’esposto di quel crimine, che è stato inviato alla procura, e che nessuno ha mai svolto indagini (stato assassino).
Ci tenevo a dirvi questo, perché c’è uno stato che è criminale e indegno, e nelle aule di tribunali bisognerebbe togliere la scritta (la legge è uguale per tutti) questo è un insulto a tutti/e coloro che sono stati uccisi, che si suicidano, e che quotidianamente subiscono ingiustizie e crimini dalle istituzioni, compagni/e ora vi abbraccio tutti/e, ricordando tutti/e coloro che sono morti/e e muoiono ogni giorno nei carceri e lager italiani e nel mondo, perché non venga meno il nostro pensiero d’amore rivolto a tutti/e loro. Un abbraccio forte e ribelle e sempre a testa alta. Liberi /e tutti/e. […]

10 maggio 2013
Maurizio Alfieri, via delle Campore, 32 - 05100 Terni


IL 4 LUGLIO A TOLMEZZO ASSIEME A MAURIZIO ALFIERI
Giovedì 4 luglio, presso il tribunale di Tolmezzo (Udine), si svolgerà un processo a carico di Maurizio Alfieri. Maurizio è accusato di aver reagito alla provocazione di un infame (collaboratore di giustizia e della direzione carceraria) durante la sua permanenza nella sezione di isolamento del carcere cittadino. A fronte delle decine di denunce di pestaggi inoltrate alla Procura dai detenuti, il tribunale di Tolmezzo ha sempre coperto l'operato della direttrice del carcere, del ROS e delle squadrette di secondini picchiatori, riservando le proprie attenzioni solo ai prigionieri ribelli. Niente di nuovo.
Al di là dell'episodio specifico, l'intento di Maurizio è fare del processo un'occasione per riscoperchiare con fermezza tutte quelle porcherie che il suo trasferimento ha voluto mettere a tacere. E anche incontrare i compagni e le compagne con cui da mesi è in contatto.
A qualche settimana dalla sentenza sull'assassinio Cucchi, e mentre dalle carceri arrivano segnali significativi di protesta e di solidarietà, il processo a Tolmezzo è un momento importante per manifestare la nostra rabbia nei confronti del carcere e più in generale della violenza di Stato, nonché per esprimere la nostra vicinanza a un detenuto in lotta, a un fratello che si è esposto con coraggio. Un modo per ribadire che i trasferimenti non hanno allontanato il problema da Tolmezzo. Una tappa nella lotta contro il carcere.
Quanto è accaduto e accade nella prigione di quella città dimostra come la presenza di sezioni di 41 bis (e di conseguenza dei Gruppi Operativi Mobili della polizia penitenziaria) abbia delle ricadute concrete per tutti i detenuti, come i comunicati collettivi dei prigionieri hanno messo in evidenza.
I ponti che le lotte creano tra dentro e fuori vanno rafforzati ed estesi. Chi si ribella non va lasciato solo. Per questo invitiamo le compagne e i compagni a partecipare numerosi al presidio di solidarietà.
Giovedì 4 luglio, ore 9,00 davanti al tribunale di Tolmezzo: presidio di solidarietà con Maurizio Alfieri e con tutti i detenuti in lotta.

19 giugno 2013
compagne e compagni

P.S. Nell'ultimo telegramma spedito ai compagni, Maurizio scrive: "Confermata mia presenza Ci vediamo il quattro luglio Sempre impavido se mi cercano mi trovano Senza paure non vedo l'ora di vedervi tutti/e compagni/e un abbraccio forte e ribelle".


Una proposta collettiva di discussione per settembre
…Tolmezzo, Saluzzo, Terni, Spini di Gardolo, Buoncammino, Bolzano.
Non è vero che in carcere non succede niente.
Ci incontriamo sotto le carceri o in strada in occasioni sempre più spesso dettate dalle urgenze repressive. Organizziamo presidi, mettendo in campo strumenti atti all’attivazione della solidarietà. Quanto sono affilate le armi di cui disponiamo?
Solidarietà attiva, nella relazione con tutti i detenuti; presìdi e manifestazioni, sporadiche azioni dirette. Come possiamo assottigliare le mura che dividono chi sta fuori da chi sta dentro?
Come poter essere, come qualcuno ha voluto nominarci, un “giubbotto antiproiettile” per chi si trova dentro un carcere se la risposta all’ingerenza, sempre più insistente e preventiva, della repressione non ci permette di essere incisivi? Quali sono allora gli strumenti di cui vogliamo dotare la nostra cassetta degli attrezzi? Come possiamo condividerli, al di fuori dello specialismo e della territorialità?
Siamo in grado di cogliere, nella loro complessità e potenza, le istanze di lotta e di rivolta che in modo sempre più frequente provengono da dentro e fuori i lager di stato? Ad esempio sull’amnistia: come farne una battaglia per un’obiettivo generalizzato che non spiani il terreno ad un’ulteriore differenziazione?
Sono queste le domande da cui vorremmo partire, per dare il via ad un incontro, da tenersi per il prossimo settembre con lo scopo di approfondire la comprensione collettiva del ruolo e del funzionamento del sistema carcerario, per contrastare quei dispositivi di criminalizzazione, differenziazione, divisione e isolamento che lo sviluppo carcerario generalizza nella società per imporre sfruttamento e sottomissione.
Da tempo, con altri/e, sentiamo la necessità di condividere sia l’analisi di questa realtà che le pratiche per incidere concretamente su di essa.
Il progressivo estendersi e intensificarsi delle lotte, anche dentro le carceri, ha dato una spinta allo sviluppo del lavoro politico sulle carceri, alle relazioni fra dentro e fuori e ha suscitato una maggiore attenzione collettiva verso iniziative di lotta appena passate, in corso e prossime a venire: dai processi alle lotte (in particolare al movimento No Tav, per la manifestazione del 15 ottobre 2010 a Roma, il processo contro Maurizio Alfieri e le iniziative di denuncia pubblica dei morti per mano dello stato), ai recenti comunicati collettivi usciti dalle carceri di Tolmezzo, Saluzzo, Cagliari, agli scioperi del vitto, del carrello, della fame sia individuali che collettivi, allo sciopero della fame promosso dagli ergastolani previsto per metà settembre… Condividere esperienze, analisi e prospettive può fare la differenza nel modo di affrontare la lotta in maniera efficace e coordinata, fuori e dentro le mura.
L’obiettivo di un tale incontro è quello di rafforzarci, condividendo gli strumenti di lotta e approfondendo l’analisi. Approfondire l’analisi, conoscere per capire, ma al di fuori di ogni intento compilativo o indagatorio.
Nel condividere gli strumenti urge chiederci come possiamo determinare i necessari rapporti di forza: quali sono le strategie dello Stato? Come ci opponiamo ad esse?
Di seguito proviamo brevemente a sintetizzare le tematiche sottese ad un ragionamento intorno al sistema carcerario: aumento delle sezioni speciali e della differenziazione carceraria, sviluppo dell’edilizia penitenziaria e aumento parallelo delle pene cosiddette alternative, lavoro come premio o come obbligo, CIE e sviluppo della “detenzione amministrativa”, militarizzazione dei territori e di ambiti originariamente civili, carceri minorili, OPG e sviluppo della psichiatria nella gestione di nuovi circuiti carcerari, carenze sanitarie e abuso di psicofarmaci, trasferimenti punitivi, funzione e utilizzo del 14 bis e del 41 bis, violenza della polizia e omicidi di stato, maggiorazioni dei prezzi per la spesa interna...
Abbiamo pensato a settembre, nonostante la situazione esigerebbe maggiore tempestività, per avere tempo sufficiente per socializzare e precisare meglio la proposta. Come collettivo ci siamo assunti il compito di sintetizzare la discussione emersa in questi ultimi mesi in questa prima bozza di appello che vuole arricchirsi di tutti i contributi che questo percorso sarà capace di stimolare.
OLGa
Milano, giugno 2013


lettere dal carcere di viterbo
[…] Il tempo per meditare e riflettere è ormai passato, ora bisogna passare alle vie di fatto, la situazione esplosiva delle carceri non è più tollerabile così come è irricevibile il mondo come ci viene presentato.
I dati parlano chiaro, le carceri scoppiano e sono una zona franca per perpetrare ogni tipo di ingiustizie e il nostro povero paese ormai è un campo di battaglia dove giacciono a terra i corpi degli ultimi trivellati dalle pallottole di una finanza meschina manipolata dalle lobby capitaliste. È sotto i nostri occhi quello che accade ne il silenzio assordante di tutti noi sta giovando ai nostri carnefici; non passa giorno in cui non muoiano in circostanze sospette i detenuti e coloro che si tolgono la vita a causa della crisi ormai non fanno quasi più notizia. Fa male sapere che dinnanzi a ciò il popolo rimane indifferente ed allora il compito di tutti noi, compagni e semplici cittadini, è quello di creare un filo rosso che unisca tutte le vittime di questo sistema. Bisogna fare come i compagni di Lotta Continua che costruirono strutture per mettere in contatto studenti, operai e carcerati perché consapevoli che nessuno andava lasciato solo. In forme diverse tutti siamo sfruttati e tutti subiamo la loro cieca repressione, quindi oggi più che mai è necessario tronare a parlare di certi temi e soprattutto, e non mi stancherò mai di dirlo, tornarsi a parlare. Siamo troppo divisi e ognuno pensa al suo orticello quando ci sono praterie da seminare. Il fatto che le nostre voci sono soffocate è perché non c’è più un movimento che dia vigore alle stesse. Questo non vuol dire che dobbiamo aspettare il giorno che questo accada, ma dobbiamo da subito agire e far vedere che noi siamo disposti a dare tutto.
L’esempio dei fratelli carcerati di Cagliari (Buoncammino), come penso anche allo sciopero che io e altri compagni abbiamo intrapreso in vista della manifestazione del 25 di Parma sono un primo chiaro segnale. Ora bisogna alzare il tiro e far si che tutti i detenuti siano informati quando faremo altre iniziative. Sarà importante quindi costruire una rete che appoggi logisticamente chi vuole darsi da fare e chi è in carcere. Qui dentro siamo in tanti a voler far sentire la nostra voce, ma voi che siete fuori dovete essere uniti per far arrivare in carcere le lotte che intraprenderemo. Vi invito per tanto a stabilire la data di una prossima iniziativa e invitare tutte le realtà territoriali ad appoggiarla. È utile, ma poco incisivo, fare uno sciopero in un carcere, ma immaginate uno sciopero collettivo della fame in tutti i penitenziari. Avremmo allora portato fuori la nostra voce e riusciremmo a far conoscere all’Italia intera quegli strumenti infami chiamati 41 bis, 14 bis, AS e via discorrendo. Sarà dura e lo sappiamo tutti, ma il primo ostacolo che dobbiamo superare è quello di aver paura di osare.
Viva la lotta, viva la rivoluzione. Un abbraccio forte a tutti coloro che non piegheranno mai la testa.

Viterbo, maggio 2013
Davide Rosci, via San Salvatore, 14/b - 01100 Viterbo

***
Cari amici vi scrivo questa lettera dall'inferno del carcere di Mammagialla, sono un ragazzo tunisino di 34 anni, mi trovo qui da più di un anno con condanna di 4 anni e 8 mesi, qui purtroppo non funziona niente e quello che funziona, funziona male. L'educatrice e gli assistenti sociali hanno una lista con i soliti noti, qui c'è gente da tre anni che non ha avuto neanche un colloquio con questi signori, per parlare con la direttrice devi fare una cavolata per avere la possibilità di vederla durante il consiglio disciplinare così ti spara 15 giorni di isolamento e rapporto, perdi 45 giorni di liberazione anticipate e hai finalmente avuto l'onore di vedere la direttrice.
Per quanto riguarda la sanità qui hanno 2 medicine antidolorifico e antibiotico nient'altro; io ho avuto problemi di reni, non solo io, ci sono tanti che hanno problemi per colpa dell'acqua, quando poi abbiamo saputo tramite il telegiornale che l'acqua di Viterbo è piena di arsenico abbiamo capito il perché.
Qui come me c'è tanta gente con malattie diverse e nessuno se ne cura, siamo abbandonati al nostro destino, preghiamo solo che non dobbiamo continuare in questo mondo giallo come il nome del carcere. Dico questo perché qui succedono cose a cui nessun essere umano può credere, gente che è picchiata a morte, a un napoletano hanno spaccato il timpano dell'orecchio, a un marocchino hanno rotto la spalla, qui puoi anche morire tanto per loro è uno in meno, questa è la loro risposta.
Quando arrivano i giornalisti o qualche associazione li portano nella sezione dei lavoratori, gente che usufruisce dei permessi premio, dove hanno le celle aperte, dove tutto è in regola, questa sezione noi la chiamiamo "Beverly Hills", lì tutto sembra bello, ma non li portano dove la gente sta davvero male, dove la gente soffre come, anzi peggio, dei cani, qui manca solo quella tuta arancione e siamo a Guantanamo; qui non puoi chiedere i tuoi diritti sennò ne prendi di santa ragione e vieni messo nella lista nera. Cosa che significa non poter chiedere più niente e i tuoi famigliari quando vengono a trovarti ai colloqui vengono spogliati e trattati come criminali.
Qui la dignità non ce l'hai più e la cosa peggiore è che anche i tuoi cari non vengono risparmiati pur non avendo alcuna colpa. Questo è il Mammagialla ma non è tutto.

Viterbo, 17 maggio 2013
Marzouki Chaker, via San Salvatore, 14/b - 01100 Viterbo


STEFANO CUCCHI: Quando l'ingiustizia si chiama Giustizia
Abbiamo visto tutti le immagini del corpo tumefatto di Stefano Cucchi.
La sentenza di assoluzione della polizia penitenziaria è grottesca, vergognosa, infame. Un insulto all'intelligenza e alla dignità.
Lo Stato, ancora una volta, assolve se stesso. La polizia non si tocca, essendo l'ultimo riparo di un sistema politico completamente delegittimato.
Ma la violenza impressa sul corpo di Stefano non verrà cancellata da alcuna sentenza.
Come familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti torniamo in piazza per ribadire che noi non scordiamo né Stefano né tutti gli altri uccisi dallo Stato.
Unitevi a noi, perché oggi l'indifferenza è complicità.
Venerdì 21 giugno: dalle ore 17 alle ore 20: presidio in piazza Loreto, a Rovereto (TN)

19 giugno 2013
assemblea dei parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti
nonsipuomorirecosi@gmail.com, frapportistefano.blogspot.com, www.circolocabana.sitiwebs.com



A ROMA, PER DANIELE FRANCESCHI
Lunedì 17 giugno dalle ore 10.30 alle ore 13.00 una delegazione di Viareggio sarà a Roma di fronte all’ambasciata francese, in Piazza Farnese, per sostenere la battaglia di Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, deceduto nel carcere di Grasse in Francia il 25 agosto del 2010. Poche settimane fa, nello stesso carcere, è deceduto un altro giovane, Claudio Faraldi, di 29 anni di Ventimiglia.
La madre di Daniele rivendica verità e giustizia e la restituzione degli organi di suo figlio. Chi è interessato e disponibile lo comunichi quanto prima.

15 giugno 2013
Assemblea 29 giugno, assemblea29giugno@gmail.com
da viareggiok.it


lettera dal carcere si spini di gardolo (tn)
Qui è sempre la solita merda e siccome non ho più ricevuto posta da voi ho deciso di riscrivervi! Un paio di giorni fa mi ha scritto un compagno e mi ha riferito che provava a mandarmi delle lettere ma gli tornavano indietro dicendogli che ero irreperibile. Così ho pensato che anche a voi, se mi avete risposto, tornano indietro.
Ho avuto un po' di problemi con la posta perché il 30 aprile sono stato chiamato dal vice-commissario dicendomi che mi aveva bloccato una mia lettera, in uscita, al compagno Juan e dicendomi che mirano alla sicurezza del carcere. Comunque sia ho chiamato il mio avvocato ma purtroppo non era in zona e quindi niente!
L'unico problema è che dentro la busta c'erano nomi, cognomi, via, ecc. ecc. di alcune guardie indagate per i pestaggi ai detenuti della rivolta di Bolzano. Guarda caso su tutte le lettere che ci siamo inviati soltanto questa me l'ha bloccata. Lui dice fortuna io dico bastardata! Comunque lui ha mandato il tutto al Magistrato e sicuramente verrò denunciato per calunnia (questo è quello che dice lui) e per adesso la posta non è censurata ma sicuramente da qui a poco lo faranno!
Comunque i problemi di sto "infame" carcere, sono sempre gli stessi che vi ho spiegato nell'ultima lettera di marzo e un compagno mi ha detto che l'avete pubblicata su OLGA quindi vi è arrivata; perché pensavo che non le facevano neanche partire ma invece è il contrario, non mi fanno avere la risposta! […]

Spini di Gardolo, 15 maggio 2013
Giancarlo Garofalo, via Beccaria, 13 - 38122 Spini di Gardolo (TN)


Lettera dal carcere di rieti
Ciao a tutti, sono Jacopo. Rieccomi qua. Vi avevo avvertito che darei dovuto uscire il 5 maggio. Mi sono arrivati altri 6 mesi di definitivo da scontare e quindi, libertà rinviata a novembre. Vi informo cosa è successo con i vostri opuscoli qua a Rieti, il mese scorso mi hanno trattenuto il vostro invio, e dopo 10 giorni, me lo hanno consegnato. Allego copia del verbale di trattenimento degli opuscoli. Invece oggi, mi è arrivato il nuovo opuscolo, il n° 79, sono stato chiamato all'ufficio comando, ma non me lo hanno trattenuto. Hanno detto che il Magistrato di Sorveglianza ha autorizzato il ricevimento e quindi non mi fanno più problemi. Però mi fanno firmare un foglio dove c'è scritto che l'ho ricevuto. […]

Rieti, 29 maggio 2013
Jacopo Battiata, via Maestri del Lavoro, 2c - 02100 Rieti


Lettera dal carcere di monza
Non per fare il galeotto vissuto, ma la galera non è più come una volta... sono cambiate molte cose, sia dal punto di vista di noi detenuti, sia dal punto di vista degli assistenti (guardie). La prima volta che ho messo piede in un carcere, in questo caso minorile (Beccaria), i nostri compagni erano molto disponibili. Siccome quando vieni portato in un istituto penitenziario non hai niente per i primi giorni e i vecchi o gli amici ti danno una mano con tabacco, acqua, un fornello, pasta, shampoo... insomma un po' di cose base ed essenziali.
Gli sbirri erano molto più malleabili, si poteva ragionare con loro (stando sempre sulle proprie logicamente) ma ora non è più così. A distanza di 4 anni mi hanno riarrestato e portato nel primo carcere per adulti, il c.c. di Lecco... e non vi dico come ci sono rimasto vedendo l'indifferenza che c'era tra i compagni! Questa volta niente più aiuto ma solo molta indifferenza. Se chiedevi del tabacco o una sigaretta la risposta era sempre la stessa: “no!”... Prima c'era molto dialogo tra compagni ma ora non più... Come volti le spalle ti parlano dietro montandoti biciclette che quando ti giungono all'orecchio finisce sempre con una rissa sulle scale o addirittura all'aria!!! A me mi hanno spostato in 5 carceri: Lecco, Canton Mombello, Verziano, Cremona, e infine Monza, e la causa di questi spostamenti in alcuni casi è lo “spaccio interno” ma credetemi che erano solo voci che giravano per pura e semplice invidia. Vi sto raccontando tutto questo solo per farvi capire come è cambiata la vita all'interno di questi istituti, tra noi compagni e non solo! Ormai sono 8 anni che sono in galera e ho imparato a starmene sulle mie... solo qualche caro amico e basta!!
Poi ci sono molte altre cose di cui parlare, la 1° è il “vitto” da noi chiamato “carrello”... credetemi che fa veramente schifo il cibo... tutta roba scadente e il più delle volte passano una brodaglia come minestra e questo succede anche nei mesi più caldi... cazzo la brodaglia nel mese di agosto proprio non si può vedere. Il pane dopo mezza giornata diventa un mattone e le mozzarelle o i formaggini che passano 1 volta a settimana hanno una scadenza immediata!!
2° punto sono i prezzi del sopravitto (“la spesa”): chi economicamente non sta bene è fottuto! Pensate che qui a Monza vendono una radiolina che si trova a 3€ dai cinesi e a noi la rivendono a 22.50€... Il cibo della spesa varia sempre, un giorno portano la pasta Barilla e a volte marche sconosciute e il prezzo è sempre troppo alto. Noi nella mia cella spendiamo fino a 700€ al mese solo in cibo e sogarette e tutto questo vivendo discretamente!!!
Poi c'è la questione del modello 393 da noi chiamata “domandina”. Questa si fa per ogni cosa interna alle mura, dalle telefonate familiari, al colloquio con pezzi grossi graduati, all'acquisto di profumi e altro tramite sopravitto, in poche parole se ti trovi uno sbirro bastardo che ha i cazzi suoi o gli stai sul cazzo te la strappa o la butta. Il più delle volte salti le telefonate a casa e la loro scusa è sempre la stessa “la domandina è stata smarrita”...
Pensate che qui a Monza se fai la domandina per parlare con un'educatrice possono passare mesi prima che ti chiamano a colloquio con loro, un esempio è il mio concellino che essendo “spesino”, cioè lavorante, è un anno che fa domandine per parlare con un'educatrice e credetemi che fin ora non si è visto nessuno. Cazzo a pensare che il 7 settembre dovrò presentare un'istanza e non mi immagino quante liti con guardie o altro per farmi chiamare dall'educatrice!!!
Poi c'è il fatto dei colloqui. Noi qui abbiamo un'area estiva che però è tutta disastrata e fuori uso. Ci tocca fare i colloqui ammassati in varie salette senza un briciolo di aria, quindi i signori più anziani nei mesi più caldi hanno collassi e noi stiamo sempre più male vedendo ste cose... ma il non essere uniti e combattere per i nostri diritti sta mandando tutto allo sfascio... molti compagni non sono come noi e a quanto pare gli sta bene questa situazione...
Poi abbiamo la cosiddetta “osservazione”, lì ti portano quando ti arrestano prima di salire tra i “comuni” (come dicono loro), bisogna spararsi tra i 30 e i 40 giorni ammassati in 5 in una cella di 4m x 3m, in cui dormono sulle classiche brande di ferro e 3 in terra, su un materasso vecchio di anni a volte pure “pisciati”...
L'aria dell'osservazione è una cosa indescrivibile 3m x 3 m in 10 cristiani stipati, senza tettoia o posto per sedersi e d'estate si sta lì sotto a 30/40 gradi a cuocere. Nemmeno un animale si tratta così!!!
Stiamo soffrendo veramente tanto per queste situazioni e ne siamo stanchi. Siamo coscienti che dobbiamo pagare per i nostri sbagli ma così è troppo!!!
Io e mia moglie Aurora, “ora ex detenuta”, abbiamo mangiato molta merda per far valere i nostri diritti di marito e moglie. Abbiamo perso molti semestri che sarebbero i 45 giorni che ti scalano ogni sei mesi “se fai il bravo”... Discussioni con sbirri e l'ultima volta nella casa di reclusione di Verziano, sono arrivato alle mani pure con uno di loro. Durante il trasferimento di lei al carcere di Bergamo, uno sbirro gli ha messo le mani addosso e io da uomo e marito ho reagito, però ho guadagnato soltanto un trasferimento qui a Monza. 30 giorni di osservazione e subito dopo 15 giorni di isolamento liscio. Ma ne è valsa la pena perché i compagni di Verziano mi hanno scritto che da quel giorno sono cambiate un po' di cose in meglio ma, cosa più importante per me, è che sono riuscito a dare un bacio a lei, visto che per sei mesi non ci siamo visti. E questa è un'altra ingiustizia perché il tribunale e qualche fottuto giudice, aveva deciso che io e lei non potevamo vederci fin quando eravamo rinchiusi... una vera sofferenza per me!!!
Esiste pure molta corruzione ma questo si sa già. Io l'ho vissuta in prima persona, corrompendo uno sbirro con 100/200 euro a settimana, per 12 ore e mezza di colloquio al mese con mia moglie, invece che le 6 ore ministeriali. Ho avuto pure occasione di corrompere con mp3, mp4 con film già scaricati e salvati e in molti casi ho visto corruzione pure per droga: fumo, cocaina, eroina.
In questi anni ne ho viste veramente molte ma la più importante è la sanità. Ho visto gente con mal di denti per mesi interi e senza cure, denti estratti senza alcuna misura d'igiene, e a volte estrazione di denti sbagliati. Non esiste aiuto psicologico per chi ne ha bisogno . L'unica cosa che fanno è imbottirti di antidepressivi, stabilizzatori e sonniferi. Pensate che io mi sono dovuto fare da solo il prelievo del sangue una volta, perché l'infermiera non ne era capace e qui a Monza mi è capitato che il prelievo me l'hanno dovuto fare dalla cella, con il braccio disteso tra le sbarre!
So che questa mia non cambierà nulla ma almeno potrà farvi conoscere un po' com'è cambiato e come funziona la struttura penitenziaria italiana. Un saluto.

Monza, maggio 2013


lettera dal carcere di spoleto (pg)
Saludos Compagni, In giornata odierna ho ricevuto la vostra tanto gradita lettera, sono stato molto contento che avete ricevuto le ultime due missive, l'ultima gli ho messo il nastro adesivo io, con ciò non ci sono problemi.
Mi dite che nel prossimo numero pubblicate tutto il materiale che vi ho inviato, è veramente un'ottima cosa, caso mai se a qualche d'uno gli servono fotocopie o consigli ditegli di scrivere a me, ovviamente ci vuole nome, cognome, data e luogo di nascita, così gli posso risparmiare un po' di lavoro all'Avvocato Setzu.
Proprio oggi ho ricevuto una lettera dell'avvocato che vi allego, anche questa è da pubblicare, poiché in quelle carceri del Nord è un vero casino, la popolazione detenuta è ammassata in quelle celle che non ne può più, leggetevi quest'ultimo comunicato sullo spazio nelle celle e potete constatare che non è un utopia farci risarcire. […]
Dunque voi mi chiedete se l'Avvocato Setzu è disposto a prendere in considerazione le vostre lettere per risolvere i tanti problemi e le tante persone che si rivolgono alla vostra Associazione? L'Avvocato senza ombra di dubbio prenderà in considerazione tutte le pratiche che gli vengono proposte.
Vi parlo un po' di lui. Io non lo conosco di persona (ma è come che lo conosco una vita, poiché è un amico degli amici ed in prima persona ci metto la faccia sulla sua bravura e sulla sua onestà), oltre che per lettera quando vado in permesso (per necessità) ci sentiamo per telefono.
Non sono alla prima esperienza con gli Avvocati. Sono nato il 14/02/1961 il 16 febbraio 1979 (avevo 18 anni e due giorni) sono venuto per la prima volta nella penisola da solo a fare colloquio ai miei parenti, praticamente vi voglio dire che sono dal febbraio del 1979 che entro ed esco dagli studi degli Avvocati, vi dico questo poiché non sono l'ultimo arrivato in conoscenza di Avvocati, ebbene vi posso dire che l'Avvocato Setzu unitamente al povero Avvocato Busia di Nuoro è l'unico che mi ha dato soddisfazioni... è un galantuomo, è puntualissimo, è un Avvocato con la A maiuscola, per l'appunto vi esorto a consigliarlo a quei miei compagni di sventura che stanno portando in Sardegna ed ovviamente a tutti quelli che ne hanno necessità.
Bene termino pure, con l'auspicio di avere da parte vostra (quando avete tempo) buone notizie ed ovviamente l'opuscolo...
Con osservanza Nicola dettori

Presone de Ispoleto, 15 maggio 2013
Nicola Dettori, via Maiano, 10 - 06049 Spoleto

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Oggetto: sovraffollamento carcerario
Dopo aver intrapreso la battaglia per l'equa retribuzione dei detenuti per il lavoro prestato in favore dell'amministrazione penitenziaria, l'associazione "Casa dei Diritti", della quale i sottoscritti sono i legali, intende promuovere un'altra iniziativa.
La Corte europea dei diritti dell'uomo sentenza Torreggiani ha inflitto una dura condanna all'Italia per il sovraffollamento carcerario, La Corte europea ha criticato lo stato della carcerazione italiana e l'inerzia dei suoi politici. Il principio sancito dalla Corte non lascia spazio a dubbi: «La detenzione non comporta perdita dei diritti garantiti dalla Convenzione». La Corte ha imposto all'Italia l'adozione di idonee misure entro un anno, in grado di risarcire i propri detenuti.
La Corte europea ha ribadito il diritto dei detenuti ad essere risarciti nel caso in cui nella cella non vi siano le condizioni per una detenzione dignitosa e, perlomeno, 4 mq. di spazio vitale a testa. Ciò significa che qualora per esempio si dividano cella da 22mq. in 6 persone, tale spazio è insufficiente, per la semplice operazione matematica che una cella da 6 persone avrebbe bisogno almeno di 24 mq. di spazio complessivo (6 persone x 4 mq. = 24). Nel caso esaminato dalla Corte europea, i detenuti ricorrenti riceveranno dall'Italia € 99.600,00.
In questi mesi, dei consulenti "affrettati" hanno scritto ai detenuti d'Italia promettendo semplici atti ai Magistrati di sorveglianza per ottenere un risarcimento. Queste proposte sono state tutte travolte dalla Corte di cassazione (sent. 4772/2013) che ha stabilito l'incompetenza del Magistrato di sorveglianza a decidere su questi casi! Pertanto, tutte le iniziative finora proposte davanti alla magistratura di sorveglianza sono destinate inesorabilmente alla dichiarazione di inammissibilità.
L'associazione Casa dei Diritti, dopo aver tolto il velo sul triste fenomeno del mancato adeguamento delle mercedi dei detenuti, raccogliendo oltre 200 adesioni in pochi mesi da tutta Italia, traccia una mappa della vergogna sul sovraffollamento carcerario. I propri aderenti reclusi inondano da settimane l'associazione di richieste d'intervento. Grazie a queste comunicazioni, l'associazione dispone di dati precisi ed inconfutabili sulle disumane condizioni nelle singole carceri italiane. L'associazione intende tutelare i propri aderenti che intendano richiedere allo stato i danni per le disumane condizioni di detenzione cui sono stati o sono attualmente sottoposti, evidenziando che la Costituzione ispira la reclusione alla rieducazione del condannato.
Dopo aver concretamente agito per la tutela del lavoro dei detenuti, l'associazione agirà ora con tutta la sua propulsione su questo secondo fronte.
In particolare, occorre l'espressa adesione a questa rivendicazione, con la firma e la compilazione delle tre procure allegate a questa comunicazione, e il racconto, anche se sintetico, delle condizioni di detenzione alle quali si è stati sottoposti, dove venga spiegato nel dettaglio: a) luoghi di detenzione; b) periodi di detenzione; c) dimensioni delle celle; d) altri disagi all'interno degli istituti considerati (acqua calda, luce scarsa, poche ore d'aria, etc...); e) indicazione delle prove delle condizioni di detenzione, con particolare riferimento ad eventuali testimoni, come i compagni di cella, dei quali dovrà essere però indicato con precisione l'attuale residenza o luogo di detenzione per un'eventuale convocazione. Attendiamo con fiducia Suo riscontro.
Avv. Pierandrea Setzu
Avv. Renato Chiesa


lettera da un carcere in spagna
[…] dall'ottobre 2011, un gruppo di prigionieri, distribuiti in 20 carceri diverse, ha iniziato una campagna di lotta contro la tortura e i maltrattamenti nelle carceri.
La proposta è nata dopo mesi di discussioni e assemblee tra i prigionieri e alcuni gruppi di appoggio del territorio dello stato sulle tattiche da adottare in questa lotta.
L'iniziativa comune fu la realizzazione di scioperi della fame (simbolici) il primo giorno di ogni mese, accompagnati da denunce al congresso dei deputati, per la loro responsabilità politica nel persistere di torture, maltrattamenti e morti nelle carceri.
Furono spedite denunce anche ai giudici di sorveglianza e alle diverse istituzioni ufficiali, statali ed internazionali (ginevra e strasburgo), che si occupano di prevenzione della tortura e diritti umani.
Il lavoro dei gruppi d'appoggio e comitati vari fu quello di stabilire una buona coordinazione dentro-fuori per far si che le informazioni circolassero nella forma più fluida possibile.
Un altro lavoro importante che fu realizzato (il più importante di tutte le lotte portate avanti da quando sono entrato in carcere nel 1996) è stato la creazione di una rete di appoggio solidale per aiutare giuridicamente i compagni in lotta contro le rappresaglie del sistema penitenziario. Questo aiuto, chiamato apojo juridico, sostiene tutti i compagni che partecipano alla campagna. Non assiste chiunque abbia un problema e sia interessato solamente alla sua situazione personale, senza solidarizzare e dimenticando i problemi che riguardano il resto dei compagni. Purtroppo abbiamo dovuto inserire questa decisione per evitare che i soliti furbacchioni approfittino della situazione senza fare niente per risolvere le questioni, o protestare contro le ingiustizie, che riguardano tutti.
L'obbiettivo di questa iniziativa è informare l'opinione pubblica e denunciare la terribile realtà vissuta dentro le mura delle carceri con lotte collettive da dentro e l'appoggio e la diffusione, da fuori, del messaggio che i maltrattamenti e le torture nelle carceri non sono solamente fisiche, ma anche psicologiche. La dispersione [continui trasferimenti, ndr], l'isolamento, il regime f.i.e.s. (schedario dei prigionieri in sorveglianza speciale), l'ergastolo (nascosto), l'abbandono sanitario, la censura delle comunicazioni scritte e parlate con la famiglia, il ricatto delle sezioni terapeutiche (dove la persona carcerata è sorvegliante di se stessa), il ricatto dei permessi di uscita... etc, etc... tutto questo è tortura.
dopo un anno e mezzo la lotta continua; anche se il numero dei partecipanti non è aumentato (60 prigionieri in 20 carceri), si è però consolidata una forma di resistenza permanente dentro le mura, e uno strumento di rivendicazione e denuncia, che conta sulla protezione e l'apojo juridico fuori, fatto di manifestazioni, concentramenti, invio di fax, pubblicazioni che permettono alle nostre voci di uscire in libertà, dimostrando al sistema di punizione e castigo che non siamo soli.
Una lotta questa, di lunga durata e di carattere riformista. Questo è quanto però si può fare per questa addormentata popolazione in carcere.
Il carcere è lo strumento più efficace che il sistema ha per imporre la disciplina del dominio e della repressione a tutti quelli che potenzialmente possono rappresentare un ostacolo ai suoi interessi […].

Teixeiro, 2 giugno 2013 domenica a Coruña
Claudio Lavazza, Carretera Paradela s/n – 15319 Teixeiro-Curtis (A CORUÑA)


da una lettera dal carcere di Opera (mi)
Cara compagna, mi è arrivata la tua lettera ed eccomi qui a risponderti, […] voglio trascorrere questi anni studiando e cercando di fare aprire gli occhi ai prigionieri che con questi cavolo di giorni di liberazione anticipata e altre varie forme di misure si fanno calpestare la dignità. Sarebbe bello far pigliare coscienza alle persone fuori su come sono le galere e quali sono i trattamenti che fanno e fare pigliare coscienza ai detenuti per far sì che finiscano i loro ricatti, le squadrette e tutte ‘ste porcherie che fanno ‘sti porci schifosi.
Per fare questo ci vorrebbe più solidarietà tra i prigionieri e avere anche l’appoggio fuori. Penso che l’appoggio fuori non sia un problema. Mettere d’accordo tante teste diverse in galera è un problema perché ostacolato dai ricatti di ‘sti porci schifosi e molti detenuti si abbandonano e sio piegano a questi ricatti; hanno paura di essere trasferiti lontano dalle famiglie o di perdere i giorni di liberazione anticipata.
Mi sono documentato sul trasferimento. C’è una regola che dice che non possono trasferirti a più di 300 chilometri dal comune di residenza, ma come saprai fanno quello che vogliono e ti sballano dove gli pare. E per i giorni di liberazione anticipata, quando ti fanno il rapporto disciplinare, lo puoi impugnare e lo vai a discutere con il magistrato di sorveglianza, non che il magistrato sia meno schifoso delle guardie, però in alcuni casi è stato tolto il rapporto disciplinare e sono stati concessi i giorni di liberazione anticipata. Questa cosa penso non sia da sottovalutare.
Quello che sono riuscito a sapere sul 41 bis è che comunque è un carcere quasi a parte dal nostro perché gestito dall’antimafia.
Qui c’è anche la sezione alta sicurezza (AS). Lì i detenuti hanno 4 colloqui con i familiari e non 6 come quelli a regime comune e le telefonate, al mese, ai familiari, sono 2 al posto di 4; poi per il resto è uguale alla sezione comuni. AS e comuni siamo divisi, non ci possiamo incontrare. L’AS è un padiglione a parte. Comunque come dicono i detenuti più vecchi, dopo il 1992 i carceri sono andati in mano alle guardie, e gli abusi sono all’ordine del giorno perché i prigionieri si sono arresi ai loro ricatti.
Credo che bisogna mettere al corrente le persone di come sia una galera, con volantini, e magari riuscire a trovare qualche ex prigioniero che sia disponibile a dare la sua testimonianza a persone all’oscuro di come siano le galere, e anche i prigionieri dentro possono contribuire con lettere di testimonianza. Cosa ne pensi?
Con le nostre voci si può abbattere il muro di omertà che gira intorno alle galere, soprattutto ora che, da come mi hai scritto, la nuova generazione ha preso coscienza nella lotta contro il carcere ed è sensibile nelle varie lotte. Questo mi riempie il cuore di gioia. Avrei voluto esserci alla manifestazione per Dax, ma vi sono stato vicino con il cuore e vi sono solidale in qualsiasi lotta contro questo stato infame […]
Ti lascio a malincuore con questa penna augurando a te e a tutte le compagne e i compagni tutto il bene possibile, ti abbraccio forte…

Maggio 2013


lettera dal carcere di sulmona (aq)
Carissimi compagni, come vi ho già scritto nella mia lettera precedente (da Carinola) ci hanno trasferiti tutti in diversi carceri ma il gruppo più grosso, 17 prigionieri AS1, ci hanno concentrati tutti qui a Sulmona.
In questo penitenziario hanno aperto una nuova sezione. Le celle sono molto più grandi di Carinola e tutti da soli. Le cose di primaria necessità qui funzionano, come le attività culturali e trattamentale, il lavoro per una parte di prigionieri funziona certamente non per tutti i lavori. Per AS1 sono minimi nella sezione.
Purtroppo anche se ci sarebbe un po' di libertà nell'interno del carcere, tutti i circuiti di alta sorveglianza sono luoghi di sofferenza. Il carcere non offre nessuna prospettiva né migliorare la vita e poter uscire o avere la possibilità di potersi dedicare a qualcosa di utile che possa impegnare la persona a vivere un po' meglio anche se sappiamo che nel carcere non c'è futuro; i carcerati sono condannati ad un eterno presente immutabile, disumano in un luogo indefinito e senza speranza perché sono tante le problematiche e le sofferenze per tutti quelli che si trovano rinchiusi nelle prigioni in Italia. La situazione è molto difficile, si dovrebbe considerare di prendere delle sagge decisioni e: mettere fuori le persone e non di costruire altri carceri.
Il degrado della vita nelle carceri è sempre di più, come l'assenza dei diritti umani e della dignità dell'uomo. Nelle carceri non si può parlare di diritti perché qui dentro viene annullata la dignità umana.
Occorre più "attenzione" e una maggiore stima delle persone: è giusto che tutti possano avere la possibilità di fare un cammino di riabilitazione e poter uscire da questi posti. Importante è dare fiducia e credere nell'uomo da rispettare e dare la possibilità di vivere da uomo libero fuori da questi posti. Personalmente sono contro tutte le galere e per un mondo di uomini liberi. Perché il carcere non è la soluzione ma un grande problema dove c'è sofferenza e brutalità.
Purtroppo oggi dentro le carceri, come nella società in cui viviamo, le condizioni generali di vita si aggravano sempre di più, e per i carcerati le sofferenze di vita sono molto di più. Anche se provano a rendere più vivibile le carceri, rimane sempre un posto di sofferenza, si deve provare con tutte le forze a fare uscire le persone da questi posti dove non ci dovrebbe stare nessuno. Dobbiamo essere tutti uniti per l'abolizione dell'ergastolo e del 41bis perché sono due cose disumane e abominevoli per uno stato che si programma democratico.
La nostra solidarietà a tutti i prigionieri che lottano per i propri diritti. Sappiate che il rapporto di vicinanza e solidarietà è importante per chi vive in questi posti. Il vostro aiuto fuori ci aiuta e ci dà la forza per continuare ad andare avanti e non abbattersi mai. Saluti a tutti i compagni. Sempre grato della vostra solidarietà. Con grande stima.

Sulmona, 29 maggio 2013
Antonino Faro, via Lamaccio, 2 - 67039 Sulmona (AQ)
lettera dal carcere di pescara
[…] Nella mia ultima lettera facevo riferimento a quanto fosse difficile provare a ribellarmi qui dentro, quando i tuoi primi nemici sono proprio quelle persone che con te condividono la tua stessa sofferenza, il tuo stesso disagio e insieme al fatto di trovare degli alleati, trovi delle guardie in borghese che non fanno altro che remarti contro e sabotare ogni tuo tentativo di ribellione. Nella sezione dove mi trovavo prima di scrivere questa lettera, era un serbatoio destinato a tutte le tipologie di prigionieri, giudicabili e definibili tutti insieme, disperatamente a condividere il sovraffollamento e la promisquità (per promisquità intendo gli infami che questo sistema di merda ha creato), nocivo per l’intero genere umano. Finalmente queste merde hanno avuto una struttura adiacente a questa, destinata a tutti i prigionieri definitivi e io faccio parte di questa.
In questo nuovo luogo di sofferenza devo ammettere che le condizioni di vivibilità sono migliorate, qui in parte vengono rispettati lo spazio vitale e le condizioni igieniche, le celle sono full-optional, televisore al plasma con dvd incorporato, doccia in cella etc etc…
Per i più tutto questo bel vedere é appagante e funge da morfina per vedere tutto quello che accade e che solo i più acuti riescono a notare, oggi, che questo posto è infestato da telecamere, da citofoni in cella, da condizioni e patti da rispettare per fare in modo che questo cancello di merda rimanga spento dalle 8.30 alle 18.30, che ogni minima presa di posizione per rivendicare quello che in realtà ti tocca viene sanzionato con rapporti disciplinari, denunce e trasferimenti. In compenso or ora condivido la cella con un vecchio galeotto che anche lui, suo malgrado, è stato ospite delle prigioni di mezza Italia e quando gli ho parlato dell’opuscolo e di tutto quello che mi sta accendendo dopo aver fatto la vostra conoscenza, l’ho trovato molto entusiasta all’idea di promuovere qualcosa che smuovesse l’animo anestetizzato dei compagni di sezione. Perciò a differenza della sezione dove mi trovavo prima, qui il terreno mi sembra più fertile. Non ti assicuro niente, perché anche qui ci sono alcuni delatori, che ormai esistenti in tutte le carceri, sono la piaga e i reali sabotatori di qualsiasi azione di forza. Nonostante ciò, il mio impegno per onorare il merito di chi combatte sia fuori che dentro sarà massimo. […]
Mi chiedevi come mai con i miei concellini è difficile trovare complicità. Be’ semplice, perché hanno una paura della vita che fa spavento, alimentata dall’ipnosi dei benefici e questo ordine di cose non fa altro che annientati come persona, riducendo il tuo orgoglio e la tua dignità a zero. Non ti nascondo che anche io entrai nel meccanismo della premialità, ma se così è avvenuto, è stato solo per dimostrare a questi infami che anche uno come me è in grado di ottenere ottimi risultati e di persone come me le prigioni sono piene zeppe. Ho dimostrato a questa sottospecie di operatori che si può andare avanti anche senza avere la necessità di assumere atteggiamenti vili e diffamatori, contando solo ed esclusivamente sulle proprie capacità che albergano in ognuno di noi.
Nella sezione dove mi trovavo di solidarietà ne ho trovata ben poca e per solidarietà non intendo supporto economico per i più disagiati e per fortuna di questo non ne ho bisogno, un supporto morale per chi cerca di rivendicare i diritti che questi figli di puttana ogni giorno ci calpestano. Dove mi trovo adesso le cose sembrano diverse, ma non mi voglio sbilanciare, è ancora tutto da sperimentare.
Rifiuta, resisti, lotta sempre.

29 marzo 2013
Elian Osman, Via San Donato, 2 – 65129 Pescara


lettera dal carcere di velletri (rm)
[…] L'altro giorno è venuto il magistrato di sorveglianza e mi ha fatto uno strano discorso, mi è parsa un po' scema. Credevo che un magistrato che tanto ha studiato, fatto concorsi etc. sapesse usare meglio il cervello, credo volesse chiedermi se volevo collaborare, invece l'ho sentita assoggettata e impacciata un po'. Mah! Il mondo è strano. C'è ancora chi crede che tutti gli uomini percorrano itinerari prestabiliti e che la loro vita sia il risultato di una serie di equazioni. Non è così! C'è anche una volontà, un'autocoscienza da difendere oltre i limiti del materiale.
Ora vi saluto, per altri due mesi sono a posto, (forse si scrive apposto?). Un abbraccio fraterno. Andrea.

Velletri 28 maggio 2013
Andrea Orlando, via Campo Leone, 97 - 00049 Velletri (RM)


Da una lettera dal carcere di Saluzzo
[…] Non mi ricordo il giorno esatto, ma una sera verso le 19 un ragazzo, credo nigeriano, è stato portato giù nell’isolamento per aver insultato un assistente.
Dopo una settimana sono stato chiamato in matricola e passando vicino all’isolamento ho visto questo ragazzo col gesso al collo, gli ho cosa fosse successo. Lui riusciva appena a parlare e mi chiedeva – Aiuto! Mi hanno picchiato –- facendomi vedere la zona delle costole completamente nera. In quel momento è venuto un agente e mi ha mandato via. Gli chiesi cosa fosse successo a quel ragazzo e mi rispose di farmi i fatti miei per non finire come lui…
Un altro ragazzo marocchino, di nome Baba, una sera chiedeva delle pastiglie perché stava male. Non gli hanno dato ascolto e il secondo giorno ha continuato a insistere… a vuoto. Così il terzo giorno si è cucito la bocca in segno di protesta dato che nessuno lo ascoltava. Il quarto giorno piuttosto che curarlo, è stato portato in isolamento. Non so poi cosa gli sia successo.
Il ragazzo nigeriano non se la sente di dirmi il suo nome perché siamo nella stessa sezione. E’ normale qui, perché la paura e la diffidenza si sentono da lontano. Questo carcere è pieno di persone diffidate perché per avere un lavoro, anche se maltrattati e picchiati, se la cantano con le guardie e tengono la bocca chiusa sui sopprusi che a loro stessi vengono fatti. Così funziona, oltre la paura c’è un grande menefreghismo e quelli che vogliamo essere rispettati siamo in pochi, massimo 5 su una sezione di 75 persone che desiderano avere una dignità.
Buona parte dei detenuti sono imbottiti di psicofarmaci e il resto sta meglio in galera che fuori. Perciò cosa possiamo fare noi? Qui, poi, nessuno di fida di nessuno.
Quando qualcuno viene portato in isolamento le guardie chiudono i blindi, così non possiamo vedere, e il ragazzo che lavora lì in isolamento o è all’oscuro di tutto o è uno dei loro infami. Proverò ad informarmi su ogni cosa che succede in questo carcere. Tra sezioni e sezioni non abbiamo tanto contatto, ma farò del mio meglio.
Il problema qui è che se facciamo casino ci puniscono. Ma non solo prendendo botte (quelle passano), ma ci fanno rapporti, denunce, e queste cose ti fanno fare tutta la galera e nessuno vuole farsela tutta. Perciò capisci anche tu ciò che siamo costretti a sopportare. Per me voi potete aiutarci, divulgando tramite le vostre esperienze e le lettere che ricevete, la vita maltrattata che si vive qui e negli altri istituti d’Italia.
Nel carcere di Como, per esempio, sono stato punito due volte per aver chiesto rispetto verso di noi. Hi difficoltà a fidarmi dei detenuti, perché quelli che mi danno ragione sono andati dal comandante ad infamarmi, dicendo che giravo all’aria col regolamento penitenziario, dicendo a tutti che non si poteva punirci tutti per aver battuto i blindi in segno di protesta (ma questa è storia vecchia).
Qui chiudo, non so quanto posso essere utile a te e ai tuoi compagni, ma spero di poter riuscire insieme a voi a far conoscere questo schifo. Grazie a te e ai tuoi compagni per ciò che fate. Un abbraccio.

12 maggio 2013


lettera dal carcere di prato
Salve compagni e compagne qualche giorno fa ho seguito la trasmissione di Pomeriggio 5 condotta dalla famosa "ana" Barbara Durso.
E bene amici e compagni veniva dalla stessa intervistato un medico se non erro un chirurgo in età avanzata insomma anziano ridotto a dormire presso le stazioni ferroviarie sopra i treni. La mite ana in tutta risposta gli rispondeva quasi con le "lacrime" di coccodrillo come da copione che avrebbe cercato di contattare i sindaco ecc.
Devo dedurre che questa donna è senza vergogna spudorata e che gode di un cospicuo guadagno alle spalle della povera gente di chi soffre di chi disperato non ce la fa più e il tutto passa come informazione come occuparsi delle problematiche e delle difficoltà del prossimo. Invece questa ana con la spudoratezza che la contraddistingue, da questa gente attinge solo vantaggi ne trai profitto. Perché non contattava un'agenzia e a questo povero cristo gli affittava una casa lei magari pagandogli anche un anno d'affitto?
Tutte le volte che parla di detenuti vuole sempre fare il paladino della giustizia. Parla sempre di certezza della pena. Cara Barbara Durso se ti finisse un figlio in prigione verrebbe violato di tutti i suoi diritti anche quelli più elementari con molta probabilità non parleresti così. In tutta onestà sai cosa mi viene da dirti che ci hai rotto i coglioni, vuoi fare la giornalista quando giornalista non sei. Chissà come mai non parli mai male di Berlusconi è normale perché questo uomo ti sfama, Fabrizio Corona ha fatto solo bene quando ti ha caricato di merda.
Cari compagni/e volete sapere quanto ho pagato un uovo di pasqua Kinder quelli che dureante il periodo pasquale facevano vedere in TV durante la pubblicità 9.50. In televisione 4.50 praticamente più del 50% questa come si chiama estorsione legalizzata, truffa. Il bello di tutto questo sapete qual'è? Che l'uovo mi è stato consegnato anche senza il fiocchetto perché? Perché sul fiocco vi era il prezzo. Si son detti leviamo il prezzo occhio non vede cuore non duole. Sono proprio dei cani oltre che ladri legalizzati.
Alessio Del Sordo, attendo un tuo scritto OK.
La libertà non è un frutto proibito. Sempre per una piena libertà.

Prato, 14 maggio 2013
Giuseppe Trombini, via La Montagnola. 76 - 59100 Prato


Comunicato dal carcere di Rebibbia (Roma)
Egregi signori, siamo un gruppo di detenuti di Rebibbia N.C. Stanchi per le tante chiacchiere, atte a sedare i presumibili spiriti bollenti dei carcerati, invece che rispondere alle loro legittime richieste.
Questa lettera non si rivolge a un determinato interlocutore; è rivolta a tutti, e per tutti intendiamo sia chi si occupa delle carceri solo per obblighi di lavoro, sia chi, sensibile all'annoso problema carcerario, ha già a cuore questa lotta e si batte per essa.
Questa lettera tende a raggiungere chi manifesta in pubblico, con palese ipocrisia, la propria vergogna per le condizioni d'illegalità delle nostre prigioni, ma poi, pur avendo l'autorità ed il potere necessari per intervenire (potere conferitogli dai cittadini elettori e dalla legge), non compie il benché minimo gesto per rendere l'attuale sistema penitenziario meno drammatico di quello in vigore oggi.
Per ultimo intende rivolgersi a tutti coloro ai quali poco o nulla importa delle carceri, e a coloro che ci definiscono “ospiti”, e a volte “ospiti privilegiati” delle stesse e manifestano apertamente la loro avversione contro qualsiasi provvedimento di clemenza, preoccupati solo di raccogliere facili consensi e compiaciuti applausi tra quei cittadini che si nutrono e vivono di luoghi comuni e pregiudizi, artatamente costruiti dai maghi dell'informazione falsa e mendace.
A tutti costoro chiediamo di astenersi dal fare “qualcosa”. Siamo stanchi di assistere ogni anno a gesti formali dettati dalla ragion politica, privi di qualsiasi significato di vera solidarietà e, quindi, di qualsiasi efficacia morale e materiale.
Vi esortiamo pertanto, con l'approssimarsi dell'estate, che almeno quest'anno ci vogliate risparmiare le solite apparizioni televisive atte a tranquillizzare la popolazione detenuta, miranti a rabbonirla con parole del tipo... « non vi abbandoniamo... stiamo lavorando per voi»...etc., messaggi soporifici ed accattivanti, degni dei migliori pubblicitari... non vi crediamo più!
Non soffriremo per la mancanza delle vostre rapide incursioni negli istituti di pena; esse creano aspettative tra i detenuti e speranze nelle loro famiglie, aspettative e speranze che poi puntualmente vengono smentite dai fatti a fine stagione.
Ogni anno assistiamo a queste tristi recite, a queste passeggiate di circostanza; risparmiateci la vostra ipocrisia.
Sappiamo che il solo suono delle parole “amnistia e indulto” scatena pruriti incontenibili e vi si accappona la pelle, attenti come siete a valutare esclusivamente l'impatto negativo che esse avrebbero sul vostro elettorato.
Quando poi vi si propongono argomenti che smonterebbero, pezzo per pezzo, il perdurare criminale di questo stato di illegalità, tirate fuori dal cilindro la parola buona per ogni governo: Sicurezza sociale.
Il vostro motto, al di là della facciata di circostanza, è sempre lo stesso: più gente in prigione = più sicurezza nelle città.
Niente di più falso! I tassi sulla recidiva di chi ha scontato tutta la sua pena tutta in carcere vi smentiscono. Non potete non saperlo!
Per alleggerire il peso che grava sulle prigioni non occorrono nuove leggi, non occorrono complotti di corridoio, alleanze, discussioni e riunioni di partito per valutare l'impatto negativo di un provvedimento di clemenza sugli elettori; occorrerebbe, più semplicemente, l'abrogazione di alcune leggi.
Parliamo delle famigerate leggi Bossi-Fini, Fini-Giovanardi, dell'art.4bis O.P. E della criminale legge Cirielli.
L'effetto di una loro abrogazione avrebbe il risultato di riportare ad un livello di civile vivibilità le carceri italiane, senza produrre quegli effetti negativi sull'opinione pubblica e sui cittadini, effetti che hanno invece le parole: indulto ed amnistia.
L'abrogazione di queste leggi permetterebbe la realizzazione del dettame Costituzionale, che sancisce che la pena non sia solo afflittiva, ma anche e soprattutto rieducativa.
Gli strumenti per agire ci sono e voi li avete, quello che vi manca è la volontà di usarli.

giugno 2013
Un gruppo di detenuti di Rebibbia


Nè spettatori, nè vittime
Comunicato sul presidio del 27 giugno a roma sui fatti del 15 ottobre 2010
Tra lunedì 20 e mercoledì 22 maggio si è svolta all'università La Sapienza di Roma una tre giorni di dibattiti e discussioni, che si è poi conclusa, la settimana successiva, con una serata musicale a sostegno degli imputati e delle imputate per i “fatti del 15 ottobre” 2011.
Le discussioni hanno visto la partecipazione di diversi gruppi e collettivi, di ragazzi e ragazze, compagni e compagne di Roma e di altre parti d'Italia.
I collettivi autorganizzati di Scienze Politiche e Giurisprudenza, la Fucina 62 e la Rete Evasioni, hanno proposto dibattiti intorno a temi quali il carcere, le pratiche di piazza e l'organizzazione del controllo poliziesco e statale nel suo assetto attuale. È stato un momento importante per parlare a distanza di tempo del 15 ottobre, sia rispetto alla repressione che ne è seguita, sia per scambiarsi sensazioni e riflessioni che quella giornata ancora suscita in molti di noi; si è avuto inoltre modo di misurare complessivamente l'inasprimento della repressione nei confronti dei movimenti di lotta.
Un'opportunità per discutere, incontrarsi e per organizzare quella solidarietà che, per chi lotta quotidianamente contro questo sistema, diviene ormai una tappa fondamentale e una pratica da assumere collettivamente.
È stata anche l'occasione per ribadire la necessità di supportare la “cassa di solidarietà 15 ottobre”, indispensabile per affrontare le prossime scadenze processuali e le spese di chi è ancora detenuto.
Il prossimo 27 giugno si terrà presso il tribunale di Roma, a Piazzale Clodio, la prima udienza del processo del terzo troncone di indagini a carico di 18 persone accusate, tra le altre cose, di “devastazione e saccheggio”. Invitiamo tutti e tutte a partecipare numerosi, per far sentire le nostre voci e ribadire ancora una volta in modo determinato la nostra solidarietà e complicità.
Sentiamo forte l'esigenza di continuare, e possibilmente allargare, questo percorso: organizzare una rete solidale che sia in grado di affrontare al meglio, su un piano materiale e politico, i prossimi passaggi che riguardano il processo del 15 Ottobre e non solo. L'accanimento poliziesco e giudiziario che nell'ultimo periodo si è scagliato contro ogni forma di conflitto non deve passare. Esige invece una risposta all'altezza della situazione.
Lanciamo un appello generale, rivolto a coloro che come noi ritengono necessario tenere alta l'attenzione rispetto alla questione della repressione, per dare inizio a un percorso determinato che sia in grado di rilanciare in modo efficace la solidarietà e la complicità nelle lotte. Invitiamo tutti e tutte a partecipare all'assemblea che si terrà dopo il presidio, il 27 giugno all'università La Sapienza alle 17,00.
Sarà un momento di confronto per aggiornarci rispetto il processo per il 15 Ottobre e decidere insieme quali iniziative intraprendere nei prossimi mesi.
Tutte libere, tutti liberi!

13 giugno 2013
Complici e Solidali a Roma
da inventati.org
genova 2001: arrestato Jimmy, latitante a Barcellona
Dopo la notifica di una condanna a 3 anni e 6 mesi ai domiciliari recapitata ad Ines nei giorni scorsi, ieri un altro degli imputati nel processo per i fatti di genova 2001 è stato arrestato a Barcellona.
Si tratta di Francesco Puglisi, latitante da mesi in Spagna dopo l’emissione della sentenza di condanna con l’accusa di devastazione e saccheggio emessa a luglio dello scorso anno dalla Cassazione.
Dopo quasi un anno di latitanza, ieri mattina è stato fermato ed arrestato dalla polizia a Barcellona e ora verrà tradotto in carcere dove dovrà scontare una delle pene più alte tra quelle emesse contro i vari imputati.
Al momento sono altri due i compagni in carcere che stanno scontando la vendetta dell’apparato statale e giudiziario per le tre giornate di manifestazioni contro il g8 di Genova, mentre Ines si trova ai domiciliari e altre 5 persone sono in attesa dell’udienza incaricata di rivedere le accuse. Uno degli imputati risulta invece ancora latitante.
A Francesco arrestato ieri e agli altri compagni condannati va una volta di più la nostra solidarietà, liberi/e tutti/e!
5 giugno 2013
da infoaut.org

Per scrivergli:
Francesco Puglisi, Centro Penitenciario MADRID V, Carretera Comarcal 611 - 28791 Soto del Real (Madrid) Spagna


sul processo al movimento no tav
Resoconto 10a udienza del processone contro movimento No Tav
31 maggio 2013 aula-bunker del carcere Le Vallette di Torino
“I sondaggi (del suolo) sono i chiodi per la bara della Valsusa”, (striscione della manifestazione in valle del 16 ottobre 2005)
Dopo circa un mese e mezzo il processone contro 52 compagne/i per le giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011 in Val di Susa ha ripreso a camminare - spedito.
In aula siamo presenti 12 “accusati” assieme a una ventina di compagne/i che compongono il “pubblico”. Lo schieramento di polizia e co. è come al solito vistoso.
Nel corso dell’udienza, dedicata alla chiusura della “fase preliminare”, il tribunale ha affrontato è risolto a modo suo tre punti: la costituzione delle “parti civili”, la ultime “eccezioni”, la “richiesta-opposizione delle prove” (unita alla richiesta di documentazione, filmati, deposizione di testi, interrogatori…).
Il presidente dopo un’ipocrita, noiosa introduzione ha concluso alla fine di accettare tutte le centinaia di “parti civili” richieste (180 sbirri, 3 ministeri, tutti i sindacati di polizia ecc.) ad esclusione della presidenza del consiglio e del Coer, il sindacato dei carabinieri. Del resto la prima si era proposta solo per “salvaguardare l’immagine del governo” mentre il secondo non può essere accettato, essendo l’arma dei carabinieri parte delle forze armate. Nell’ammettere come “parte civile” i sindacati di polizia il tribunale ha sostenuto che quanto lamentato dai poliziotti negli scontri delle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011 “è avvenuto in ambito lavorativo” quindi di stretta competenza sindacale.
Anche rispetto alle prove ecc. il tribunale ha seguito la linea accusatrice-prevenuta adottata dalla procura nel definire il carattere della retata del 26 gennaio 2011. Ad es., nel rispondere agli avvocati della difesa, che avevano definito generiche, dubbiose e inattendibili gran parte delle “prove raccolte contro i/le manifestanti, il presidente se l’è sbrigata con: “dati i numerosi (73) ‘capi d’accusa’, è difficile selezionare le prove d’accusa, mentre si potrà determinare (caso per caso) quali escludere”. Insomma, il tribunale dice e fa: oltre al concorso vedremo, singolo per singolo, comportamento per comportamento…, che cosa escludere a carico di ognuna/o.
Questo il clima che ha concluso la “fase preliminare” e immediatamente aperto il “dibattimento”, cioè il processo vero e proprio. In seguito a questo passo difesa, “parti civili” e pm ciascuno per parte sua ha esposto nella richiesta-opposizione di prove, l’ammissione di filmati, documenti, compreso l’ascolto di testi, “imputate/i”… che ciascuna parte porterà in aula sin dalla prossima udienza - fissata per venerdì 7 giugno sempre nell’aula bunker. Dopo quell’udienza il processo “dovrebbe” ritornare nel tribunale in città.
Le udienze già fissate sono sette di cui quattro in giugno e tre in luglio. Perciò la sentenza, grosso modo, dovrebbe venir emessa nel primo autunno. Di tempo per delegittimare processo e condanne, per togliere loro le funzioni terroristiche che vorrebbero esercitare sul movimento di resistenza generale, ne abbiamo; sta a noi tutte/ì socializzare idee, proposte, spinte, determinazione nella necessaria coesione.

Resoconto 11a udienza processo No Tav
7 giugno 2013 aula bunker carcere Le Vallette Torino
Quella di oggi è stata un’udienza diversamente interessante. Noi “imputate/i” siamo stati/e presenti in otto.
Subito dopo l’appello tre di noi hanno dichiarato, ognuno con proprie parole, estraneità a ogni riconoscimento nei confronti del tribunale, del processo unita alla decisione di revocare l’avvocato nominato al momento dell’arresto. Il tribunale si è immediatamente ritirato in camera di consiglio per trovare un avvocato d’ufficio cui affidare la difesa dei tre compagne/i che avevano fatto la revoca. Il processo è ripreso circa un’ora e mezza dopo, presente l’avvocato d’ufficio. Abbiamo ripreso la parola per ribadire che ci saremmo autodifesi, che perciò non riconoscevamo nulla all’avvocato d’ufficio, il quale ha chiesto i termini per poter leggere le carte ecc.; gli sono stati concessi 10 giorni. Tuttavia, la corte, decisa a riprendere a tutti i costi l’udienza, ha dato mandato agli avvocati di fiducia revocati di “assistere” noi per il tempo dell’udienza. Gli avvocati hanno tentato di respingere l’incarico anche appellandosi alla legislazione dell’Unione Europea che prevede l’ “autodifesa”. Un pastrocchio evidente, “imbarazzo tangibile” come dichiarano gli avvocati. I pm intervengono precisando che la legge italiana non riconosce l’autodifesa, che quindi la “difesa tecnica è irrinunciabile… che la normativa europea è stata riconosciuta in Italia negli ultimi decenni, concedendo all’imputato la possibilità della ‘dichiarazione spontanea’.” La corte, riparatasi anche dietro queste argomentazioni, è così riuscita a far proseguire l’udienza.
Nel seguito sono state ancora una volta dibattute, precisate prove, testimonianze, consulenze, filmati ecc. che difesa da una parte e accusa dall’altra vogliono far entrare negli atti del processo. Per esempio: i pm hanno ribadito che il processo deve affrontare “i reati commessi”, lasciando completamente da parte il “contesto, la legalità, legittimità ecc. dell’opera-Tav” - si sono opposti ai filmati tratti dalla difesa da youtube, considerando questa fonte inattendibile e/o simili, ma in poche parole solo quelli che gli fanno comodo (cioè i filmati "selezionati" con cura dalla procura sempre in sintonia con l'inchiesta sfacciatamente a senso unico: SI TAV) come si sono opposti alle richieste di testimonianze-consulenze, rispetto alla legalità dell’ “opera Tav”; all’ordinanza di sgombero del presidio della Maddalena eseguita il 27 giugno 2011, all’impiego – il 3 luglio 2011 – dei devastanti lacrimogeni CS unito ai pestaggi subiti da diversi manifestanti; alle “regole d’ingaggio” cioè gli ordini effettivi affidati in quelle giornate agli sbirri; alle testimonianze su questi e altri episodi…
Gli avvocati della difesa hanno ribattuto invece il proposito delle prove ecc. portate e la particolarità politico e sociale di questo processo, che continua fra l’altro a svolgersi in un’aula militarizzata… I PM ammettevano l'anomalia del processo ribadita dagli avv della difesa (tra carcerazioni e restrizioni pesanti per imputazioni minime, aula bunker, "condanne preventive" anche a mezzo stampa…) ma a loro dire solo per "colpa" del comportamento degli imputati/e.
Nella replica alla replica della difesa hanno cercato di rimettere in discussione le prove ecc. richieste dalla difesa. Questa si è invece opposta con forza reclamando “opposizione” verso il tentativo di rimessa in discussione del proprio lavoro e di legittimazione dell’aula bunker in quanto, hanno sostenuto i pm “in aula nelle prime udienze sono avvenuti episodi ingiustificati”… il presidente del tribunale li ha interrotti con un “non è così” a cui si sono uniti tutti gli avvocati. Così si è scoperto quel che si era intuito: dietro la scelta dell’aula bunker non c’è la mancanza di spazi nel tribunale in città, come ha sempre argomentato il presidente della corte, ma piuttosto una decisione dei vertici di polizia, carabinieri, procura, corte d’appello ecc. Insomma, anche la prossima udienza, rinviata al 21 giugno, dati i termini di 10 giorni concessi all’avvocato d’ufficio, si svolgerà nell’aula-bunker vicina al carcere.
Di seguito la dichiarazione di Maurizio, Marta e Juan.
“Revoco l’avvocato da me nominato al momento dell’arresto. Voi farete altre nomine, è chiaro, parleranno per voi, mai e poi mai per me! Questo processo e questo tribunale fanno parte dello stato che, l’ho visto con i miei occhi, sta devastando la val Clarea. Per me qui parlano le lotte portate avanti nel mondo contro le vostre devastazioni sociali e ambientali. A parlare qui per me sono i movimenti in cui vivo e mi identifico anche qui” (Maurizio).
“Oggi sono in quest'aula per dichiarare la revoca dell'avvocato perché non voglio essere difesa e non accetto nessuna accusa. Rivendico totalmente le giornate del 27 giugno e del 3 luglio: ero lì percontrastare ogni singolo meccanismo di questo sistema tecno industriale che ogni giorno ci subordina, trasforma e uccide. Non intendo legittimare questo processo, che vuole sanzionare la lotta, così da paralizzarla, distruggerla; i processi servono solo per sancire i vostri poteri, non certo per sancire la verità. La lotta NOTAV non si riduce a leggi, la realtà non è dentro a quest'aula, essa non si nutre di invenzioni coercitive come le vostre leggi. Sono e sarò in valle per fermare il TAV, come fanno ogni giorno compagne e compagni da ogni dove, che rifiutano con determinazione il TAV, i vostri giudizi e le vostre leggi”. (Marta)
“Ho deciso di revocare qualsiasi avvocato perché non voglio far parte di questo teatrino giudiziario e statale che io rifiuto e di cui non faccio parte”. (Juan)

Milano, 8 giugno 2013


Solidarietà ai quattro Anonymous arreStati
Questa mattina 4 persone, di cui non sono ancora note le generalità e nemmeno le identità virtuali, sono state arrestate con l'accusa di aver effettuato attacchi informatici a grandi aziende e siti istituzionali. Questo accade in un clima piuttosto teso rispetto alla rete da parte del nuovo governo di unità mafiosa-democristiana nazionale, che da settimane porta avanti una battaglia culturale contro la libertà della rete, accusando pubblicamente essere causa di "violenza" e vilipendio, e scagliando provvedimenti legali, utenti dei social media e blogger, che esprimono le proprie idee tramite il web.
Quattro persone finiscono dietro le sbarre, accusate di essere i vertici di Anonymous nel nostro paese e non solo, addirittura tacciate di essere traditori dei loro stessi compagni di lotta e di aver usato Anon per scopi personali, in un chiaro tentativo di screditarle agli occhi di possibili solidali. Non sappiamo chi siano questi arrestati ma poco ci importa: ci importa più capire quello che comporta lasciare scorrere le dichiarazioni della Boldrini e dei Saviano di turno. Ci importa più che da episodi come questo si scatenino meccanismi solidali e partecipati di lotta per la libertà del web, contro la censura, per il libero accesso alle informazioni e ai saperi piuttosto che pericolosi teoremi giudiziari come quello dell'associazione a delinquere telematica. Perchè dalle parole che vediamo arrivare dagli odiosi media mainstream ci pare solo un altro vile tentativo di diffamare alcuni per dividere molti, e cercando di spaccare quelle moltissime persone che mettono il loro volto dietro alla maschera degli anon e far passare nella confusione provvedimenti pericolosi per le libertà di tutt*
Ma noi sappiamo bene che Anonymous non è un collettivo, è un'idea, e non si può arrestare un'idea, ne decapitare un movimento acefalo. E non è con le manette che fermeranno Anonymous, ogni giorno nuove persone entrano nei canali IRC per organizzarsi e attaccare in rete chiunque minacci libertà, diritti e giustizia. Siamo solidali e complici con tutti gli hacktivisti che combattono ogni giorno nella rete, al loro fianco dalle piazze e dagli spazi occupati. SIAMO TUTTI ANONYMOUS! EXPECT US!

18 maggio 2013
da lombardia.indymedia.org


Milano: Processo per la lotta innse verso la sentenza
L’udienza del 5 giugno è cominciata con la deposizione del medico di un agente che ha provato a giustificare i 60 giorni di infortunio concessi al suo assistito per una contrattura muscolare che il pronto soccorso aveva liquidato con 3 giorni. Dopo l’ascolto del consultente medico chiamato dalle difese che ha fatto emergere quantomeno la mancanza di serietà dei medici delle forz dell’ordine è stata la volta del carabiniere che si era preso ben 90 giorni di infortunio e che si era classificato tredicesimo in una gara di triatlon durante il periodo di convalescenza. Si è avvalso della facoltà di non rispondere alla notizia di un procedimento penale aperto contro di lui.
Sono quidi seguite le testimonianze degli operai della INNSE che hanno ricostruito il contesto in cui si è svolta l’occupazione della tangenziale e i fatti per cui è stato imbastito il processo. Quella mattina del 2 agosto sembrava che gli operai dovssero rassegnarsi ad essere sconfitti di fronte all’ingente forza di polizia che circondava il presidio appena sgomberato e allo smontaggio dei macchinari che procedeva all’interno della fabbrica. L’occupazione della tangenziale e la successiva salita sul carroponte da parte di alcuni operai ha permesso invece di vincere quella battaglia durata 14 mesi.
La prossima e ultima udienza è fissata per il 3 luglio.
Segue la dichiarazione collettiva fatta dai cinque “imputati” di resistenza e lesioni a p.u. che non hanno accettato di farsi interrogare.
“Le immagini video, le dichiarazioni dei testi dell'accusa, così come le certificazioni non di parte, sono tutte lì a oggettivare che la mattina del 2 agosto 2009, sulla Tangenziale Est di Milano, si è verificata poco più che una baruffa condominiale. Per questo crediamo ci sia ben poco da aggiungere a quanto detto dagli avvocati da noi nominati e dai testi convocati a nostra difesa contro le argomentazioni dell'accusa e delle parti civili costituitesi contro di noi.

La resistenza degli operai della INNSE che, lo rammentiamo, è durata ben più di un anno e di cui, quello del 2 agosto 2009 è stato solo un episodio, seppur non secondario rispetto al suo epilogo. Un epilogo di risonanza nazionale, favorevole alla resistenza operaia ed ai suoi sostenitori, riconosciuto in termini positivi da forze sociali, partiti politici, organizzazioni sindacali e anche dalle istituzioni dello stato, tra cui la stessa Prefettura di Milano! Una lotta che certamente ha fatto scuola per quei settori produttivi operai che hanno deciso di opporsi alle decisioni altrui di scaricargli addosso il peso di una crisi economica subita e non causata.
Quegli operai non sono stati lasciati soccombere ad un destino che si pensava ineluttabile, ma hanno invece trovato il sostegno e la solidarietà attiva di settori di militanza politica e sociale, che non si sono tirati indietro di fronte alla loro richiesta di aiuto. Questo crediamo noi sia il cuore del problema in corso in questo processo: cercare di colpire la resistenza unitaria e fattiva di operai e militanti politici per dare un chiaro segnale intimidatorio.
Dal canto nostro, al di là dell’esito di questo processo, siamo convinti di aver agito secondo coscienza schierandoci con tanti altri e tante altre dalla parte degli operai della INNSE in una lotta di resistenza che è durata più di un anno e che ha mostrato a tutti l’importanza di lottare uniti e con determinazione per vincere e non per contrattare il prezzo della sconfitta”.

Milano, giugno 2013


bologna: muoversi tutti insieme!
In pochi giorni nella nostra città sono accaduti episodi davvero gravi: la prefettura di Bologna su consiglio del Garante Nazionale per il diritto di sciopero, attacca tutte le iniziative dei facchini, dallo sciopero, al picchetto, fino al blocco dei cancelli delle azienda, demandando alla questura il compito di reprimere il movimento operaio; e poi i recenti eventi di Piazza Verdi con l’aggressione, giovedì scorso, alle operaie della Sodexo, invitate dagli studenti, da parte dei vigili, carabinieri e poliziotti; e poi l’ignobile forca caudina di lunedì, allestita dalle autorità cittadine, che voleva opprimere il diritto d’espressione e d’assemblea rivendicato dagli studenti.
Crediamo che questa gravi provocazioni di inusitata violenza da parte delle istituzioni contro il diritto di sciopero, d’espressione e d’assemblea, non riguardino solo il movimento dei facchini, e gli studenti di piazza Verdi, ma invitano tutte le lotte della città ad esprimersi, e ad alzare la voce insieme, per costruire un coro che spinga in avanti i nostri diritti e la piena legittimità delle lotte sociali ad esprimersi nella città.
Proprio come stanno facendo i facchini, che una volta ricevute le prime intimazioni delle istituzioni, non si sono fatti intimidire, ma hanno spinto avanti con gli scioperi, con i picchetti, e con i blocchi ai cancelli delle azienda, una tra tutte la Granarolo.
Proprio come hanno fatto gli studenti e i precari lunedì scorso che davanti alla provocazione cilena volta ad umiliare e oltraggiare il diritto d’espressione e all’assemblea, non hanno chinato la testa, ma anzi a testa alta hanno spinto, e spinto ancora per conquistare un diritto su cui non si transige e che segna un limite invalicabile per cui la resistenza non solo è legittima, ma necessaria!
Se questa è la prima manifestazione di governo territoriale delle lotte ai tempi della crisi e dell’austerità, non si può restare indifferenti! E’ necessario che dalla Bologna ribelle, solidale, e degna ci si muova nella direzione giusta di un secco e deciso “No!”, e ci si muova ancora tutti e tutte insieme in avanti, e a spinta, per conquistare i nostri diritti. [...]

3 giugno 2013
da univ-aut.org

***
bologna, 23 maggio: Come e perchè si libera una piazza
"Una disfatta, una resa umiliante, una pagina nera. L’umore dei poliziotti del reparto mobile, arrivati la scorsa settimana a un passo dall’ammutinamento dopo il rifiuto di prestare servizio in piazza Verdi, è quello dei giorni peggiori" e poi sempre dal Corriere di Bologna: “Dietrofront. La forza dovrà essere l’extrema ratio, da usare solo in caso di atti violenti. Altrimenti ci si limiterà a identificazioni e denunce, nell’eventualità di violazioni dell’ordinanza comunale. Il pugno duro, invocato dal sindaco Merola dopo i primi scontri in zona universitaria, potrà essere sfoderato solo quando la situazione lo richiederà davvero. Insomma, non basterà una riunione in piazza con i megafoni a far muovere gli agenti in tenuta anti-sommossa. Il Comune dovrà ammorbidire la sua linea, perché la situazione non degeneri”. Si incrina così, anche con una decisa profondità, il sistema di potere cittadino ai tempi della disfatta nazionale del Partito Democratico. Tutte le autorità di Bologna avevano convenuto l'allestimento della forca caudina di Piazza Verdi. Nel loro progetto, la morsa di carabinieri e polizia che avrebbero stretto gli studenti diretti verso l'assemblea, doveva essere il simbolo politico della conquista della piazza e della neutralizzazione pubblica dei movimenti. Ma la tattica della forca caudina gli si è rovesciata contro. E a che prezzo! Dopo la sonora bastonata del referendum contro i finanziamenti alle scuole private, e la promessa non mantenuta di “colpire con metodo quelli di piazza Verdi”, il PD e il suo sindaco, tacciono, basiti, mentre scoprono che gli effetti della crisi iniziano a salir su, organizzati nei percorsi politici antagonisti, facendo tremare la terra sotto i loro piedi. Oggi nella cronaca locale parlano solo i poliziotti, tra il vittimismo e il realismo di chi è “la funzione ultima” della catena di comando (“ci hanno mandato a impedire l'assemblea in una piazza universitaria, ma come si può?”), il questore e il pm di turno che promettono denunce “ma ci vorrà del tempo, non è un'operazione facile”, e il prefetto che dice che le istituzioni hanno vinto perché non hanno usato “il bazooka”! Ma...!?
Intanto il VII reparto mobile verrà tenuto lontano a sbollire, mentre si annuncia che carabinieri e polizia non presidieranno più la zona universitaria, ma al massimo agenti in borghese semineranno qualche denuncia qua e là. Ma a chi e a che cosa? Lunedì scorso infatti a conquistarsi il diritto di prendersi la piazza a spinta, c'era una variegata composizione studentesca e precaria che con spontaneità organizzata si è resa indisponibile ad accettare il sopruso, e soprattutto ha mostrato di riconoscersi politicamente nel proprio territorio. Ha saputo compattarsi, libera dai tappi dei professionisti delle mediazioni, e ha spinto in avanti, facendo in modo che la controparte fosse talmente compatta nelle sue contraddizioni al punto di non reggerle e scappare a gambe levate. E' questa dinamica che ci interessa considerare oggi: l'uso degli effetti della crisi economica e istituzionale da parte nostra, antagonista. La fuga della celere da Piazza Verdi di Bologna può essere un piccolo esempio di come le governance territoriali possano saltare grazie a quella capacità nel “fare autonomia”, e non rappresentazione del conflitto, che si radica con decisione e pazienza nei territori, e poi sa dare lo sviluppo politico alle spontaneità dei soggetti sociali insieme a cui lotta giorno e notte. Non devono interessarci le celebrazioni di Piazza Verdi Liberata, ma al contrario deve attirare l'attenzione quel saper stare dentro ai processi di soggettivazione, quel produrre ipotesi collettiva di lotta che in queste giornate di iniziativa è emersa come capacità determinante. L'umiliazione e il sopruso che le autorità avevano voluto imporre alla piazza di lunedì, non era un caso isolato, ed è certo che in futuro le ritenteranno. Ciò che questa volta ha funzionato, al contrario di qualche narciso “evento” di tempo fa, è che, non solo i militanti del collettivo universitario autonomo avevano riconosciuto l'ingiustizia del gesto, ma tutta la composizione sociale che attraversa piazza Verdi e via Zamboni aveva percepito come inaccettabile la forca allestita dalle istituzioni. E a questo non ci si arriva per caso, ma è un nodo di forza politica che si conquista con metodo e presenza nel territorio.
Le cariche si sono scaraventate con violenza su una massa di centinaia di precari e studenti incordonati e a mani nude, che hanno resistito senza retrocedere, e poi hanno spinto insieme al momento giusto, gridando collettivamente “assemblea!”. E non si creda che non ci siano braccia, e dita rotte, occhi pesti, zigomi fratturati, e contusioni più o meno gravi tra i manifestanti, se sui giornali non si è data la battaglia dei feriti tra celere e manifestanti. Le ossa rotte e i visi tumefatti ci sono e come, ma è stata una decisione collettiva il non far cadere nella retorica della vittima, una piccola e importante vittoria conquistata dalla piazza antagonista bolognese, coerentemente al sentimento comune dell'andare avanti ben sapendo il prezzo che si sarebbe pagato. Dopo le barricate e la resistenza della scorsa settimana era certo che questa volta la spinta intransigente avrebbe fatto il passo in avanti davanti alla provocazione, e così è stato.
Un passo avanti che sta costando caro al PD e ai poteri cittadini che all'orizzonte scorgono i primi effetti radicali della crisi economica e del sistema della rappresentanza nel territorio bolognese, politicizzati dalle capacità antagonista e da quel “fare autonomia” che accompagna e cammina insieme alle tante lotte diffuse nella città. Tra soli 3 giorni scenderanno in piazza anche i facchini per dare battaglia contro l'attacco istituzionale alle forme di lotte prodotte dai tanti scioperi nei grandi e piccoli magazzini della logistica, muscolo pulsante del modello produttivo locale e non solo. Ed è in queste giornate che emerge, per dirla in prosa, quanto il movimento antagonista a Bologna non abbia mai ceduto dal lavorare per avvicinare i propri obiettivi complessivi con determinazione e anche pazienza, ma anzi, si è considerevolmente avvicinato, ma non per una strada rettilinea, bensì con un movimento aggirante... i cui effetti hanno appena iniziato a farsi sentire.

29 maggio 2013
da infoaut.org