indice n.82

Egitto, 6-7 luglio 2013 battaglie di strada in diverse città
libia: Missione compiuta?
Turchia : colpi mortali, lo scontro si approfondisce
padova: Solidarietà ai detenuti in lotta!
Chiudere i CIE, col fuoco delle rivolte
Sullo sciopero della fame dei prigionieri in California
Prigioni sarde, lotte, solidarietà e aggiornamenti
Lettera dal carcere “Buoncammino” (Cagliari)
LETTERA DAL CARCERE DI IGLESIAS (ci)
Lettere dal carcere di Terni
LETTERA DAL CARCERE DI TERAMO
trento: Resoconto dell’assemblea del 27 giugno
cremona, sabato 14 settembre: presidio sotto il carcere
comunicato degli Arrestati NoTav del 19/07/13
lettera dal carcere di torino
Sempre in marcia, la Valle non si arresta!
il decreto contro il femminicidio è un paravento
roma: resoconto del processo per il 15 ottobre 2011 a Roma
Lettere dal carcere di Rebibbia (Roma)
da una lettera dal carcere di ferrara
Aggiornamenti dall'AS2 di Ferrara sulla censura epistolare
Lettera dal carcere di Siano
Lettere dal carcere di Opera (mi)
lettera dal carcere di Canton Mombello (Brescia)
lettera dal carcere di Piacenza
Lettera dal carcere di Winterthur (Svizzera)
Lettera dal carcere di Padova
Lettera dal carcere di Viterbo
Lettera dal carcere di Torino
lettera dal carcere di Rieti
Lettere dal carcere di Velletri (Roma)
Lettera dal carcere di Trapani
lettera dal carcere “pagliarelli” di palermo

Egitto, 6-7 luglio 2013 battaglie di strada in diverse città
In Egitto la formazione di un nuovo governo prevista per sabato 6 luglio è naufragata. Il presidente di transizione dell’Egitto e del suo governo Adli Mansur ha infatti sorprendentemente revocata la nomina a ministro di Mohamed El Baradei.
Adli Mansur fino al 3 luglio era presidente della Corte Costituzionale. Il giorno successivo ha prestato giuramento davanti ai giudici della stessa Corte. Suo compito principale è portare il paese a nuove elezioni con un governo di transizione rappresentato dai partiti, ma la cui composizione è ancora sconosciuta; deve inoltre elaborare una nuova costituzione sostitutiva di quella elaborata sotto l’influenza degli islamici nel tempo del governo guidato da Mohamed Mursi. La deposizione di Mursi e il suo arresto (domiciliare), l’invalidazione della costituzione sono, assieme allo spegnimento del canale tv adoperato dai Fratelli Musulmani, azioni immediate compiute dalle forze armate. Sono stati arrestati anche quadri dirigenti dei Fratelli Musulmani, fra i quali il loro presidente, Saad Katatni.
La nomina di El Baradei è caduta a causa della resistenza posta dal partito salafita “La Luce”, parte compresa della maggioranza del governo caduto. Le forze armate, attualmente istanza politica più potente del paese, cercano di formare un nuovo governo, negoziando apertamente con il partito salafita finanziato dall’Arabia Saudita. Tutte richieste avanzate dagli USA che ogni anno versano alle forze armate egiziane 1 mld di dollari.
Gli scontri più consistenti sono esplosi nella notte da venerdì 5 a sabato 6 luglio fra militanti dei partiti islamici, Fratelli Musulmani compresi, che formavano il precedente governo, e militanti dell’opposizione laica, liberale. L’esercito ha sparato, dice per separare le parti, cmq ha ucciso almeno 51 manifestanti; 20 solo a Il Cairo.
A Luxor, nel sud del paese, la rabbia degli islamici si è abbattuta sulla minoranza cristiana. Almeno 23 abitazioni di famiglie cristiane copte sono state incendiate. La violenza non ha risparmiato nemmeno la penisola del Sinai – considerata una fortezza islamica. Qui domenica 7 luglio sconosciuti hanno fatto saltare con l’esplosivo il gasdotto che porta il gas dall’Egitto in Giordania. Nell’esplosione è rimasto ucciso almeno un soldato.

8 luglio 2013
da jungewelt.de

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egitto: LA “FIDUCIA” AD AL-SISI È UN VELENO MORTALE
I miei compagni, i lavoratori egiziani, stanno lottando per i loro diritti e per un Egitto migliore. I lavoratori egiziani sognano libertà e giustizia sociale, sognano il lavoro in un momento in cui ladri che vengono chiamati imprenditori chiudono le fabbriche per intascare miliardi. I lavoratori egiziani sognano salari equi mentre sono sottoposti al dominio di governi che pensano solo a fare investimenti a scapito dei lavoratori, dei loro diritti, e persino contro la loro vita. I lavoratori egiziani sognano una vita migliore per i loro figli. Sognano cure mediche quando sono malati, ma non le trovano. Sognano quattro mura in cui potersi rifugiare.
Già prima del 25 gennaio [2011] i lavoratori egiziani rivendicavano i loro diritti con scioperi e manifestazioni, sono le medesime richieste rimaste senza risposta anche dopo il rovesciamento di Mubarak. Sia i Fratelli Musulmani che l'esercito hanno negoziato con la sinistra, la destra e il centro, senza mai prendere in considerazione le esigenze dei lavoratori e i loro diritti. L’unico loro obiettivo è spegnere le scintille che i lavoratori hanno acceso con la loro lotta e far sì che, in questi tempi oscuri, restino scintille che ardono isolate l'una dall'altra.
È stato proprio l’esercito a stroncare con la forza gli scioperi a Suez, al Cairo, a Fayyoum e in tutto l'Egitto! È stato proprio l’esercito ad arrestare tanti lavoratori sottoponendoli a processi militari, solo perché avevano messo in pratica il loro diritto di organizzarsi, scioperare e protestare pacificamente! I militari hanno sistematicamente operato per criminalizzare il diritto di sciopero con una legislazione che vieta a tutti gli egiziani di organizzare proteste pacifiche, scioperi e sit-in!
Poi sono arrivati Mursi e i Fratelli Musulmani, che hanno proseguito sulle orme di Mubarak con licenziamenti, arresti, blocco violento degli scioperi. È stato Mursi a scatenare i cani della polizia contro i lavoratori della Titan Cement di Alessandria, coprendosi le spalle con il Ministro degli Interni e i suoi scagnozzi. E quei poliziotti e ufficiali dell'esercito che oggi vengono osannati sono assassini!
Sono gli assassini di onesti, giovani egiziani. Sono l’arma delle autorità contro tutti noi, e rimarranno sempre tali, a meno che quelle istituzioni non vengano ripulite.
Mentre i capi dei Fratelli Musulmani progettano quotidianamente contro popolo egiziano quei crimini, che hanno causato la morte di persone innocenti, da parte loro esercito e polizia li fronteggiano con altrettanta brutale violenza e con l’assassinio. Tutti noi sappiamo bene quando intervengono l’esercito e la polizia! Intervengono molto tempo dopo l’inizio degli scontri, quando stanno per finire, dopo che il sangue è stato versato. Perché non intervengono per prevenire i crimini dei Fratelli Musulmani contro il popolo egiziano? Chi ha interesse che questa lotta e questo spargimento di sangue continui? È nell'interesse sia dei capi dei Fratelli Musulmani sia dei militari. Così come i poveri sono carne da cannone per le guerre tra stati, i poveri, gli operai e i contadini egiziani sono carburante per i conflitti interni. A Mokattam e a Giza, sono stati uccisi i figli innocenti di facchini!
Oggi, ci è stato chiesto di manifestare per autorizzare l'orgia assassina di Al-Sisi, e vediamo che tutte e tre le federazioni sindacali sono d’accordo: la Federazione sindacale del governo egiziano (FSE), il Democratic Labour Congress egiziano (EDLC), e la Federazione Egiziana dei Sindacati Indipendenti (EFITU) (di cui io sono un membro del Comitato Esecutivo). Ho discusso con i membri del comitato esecutivo del’EFITU allo scopo di convincerli a non invitare i membri del nostro sindacato e il popolo egiziano a scendere in piazza il Venerdì, confermando con questo invito che l’esercito, la polizia, e il popolo sono mano nella mano, com'è detto nell'appello [di Al-Sisi].
Io sono stata messa in minoranza, con quattro voti contro nove voti, e quindi tutte le tre federazioni sindacali hanno chiesto ai lavoratori di unirsi alle manifestazioni con il pretesto della lotta al terrorismo.
Siamo quindi sul punto di cadere dalla padella nella brace. I Fratelli Musulmani hanno commesso crimini e devono essere ritenuti responsabili e perseguibili per questi crimini, proprio come gli ufficiali e gli uomini del regime di Mubarak, della polizia e dell'esercito devono essere ritenuti responsabili e perseguibili per i loro crimini. Non cadere nell’inganno di sostituire una dittatura religiosa con una dittatura militare.
I lavoratori egiziani sono consapevoli, perché le loro esigenze sono sacrosante! Vogliono un lavoro per loro e per i loro figli, vogliono un salario dignitoso, leggi che tutelano i loro diritti contro le leggi che gli affaristi di Mubarak hanno fatto per proteggere i loro interessi contro i diritti dei lavoratori.
I lavoratori vogliono uno stato che abbia un vero piano di sviluppo, l’apertura di nuovi stabilimenti che possano assorbire la crescente forza lavoro. I lavoratori vogliono la libertà, tutte le libertà, la libertà di organizzarsi, la libertà di sciopero. Vogliono un paese dove si possa vivere come liberi cittadini senza tortura o assassinii. È necessario capire che cosa si mette di mezzo tra i lavoratori e le loro richieste.
Lavoratori, non lasciatevi ingannare da chi vi vuole far combattere battaglie che non sono le vostre. Non date ascolto a chi oggi chiede il vostro aiuto e domani vi chiede di smettere di manifestare per le vostre esigenze e i vostri diritti, con il pretesto della lotta al terrorismo.

Fatma Ramadan, Membro del Comitato Esecutivo della Federazione Egiziana dei Sindacati Indipendenti

Venerdì, 26 luglio 2013, da menasolidaritynetwork.com


libia: Missione compiuta?
Una delle guerre condotte dagli stati imperialisti per il petrolio, la materia principale dell’energia… che muove/riscalda/rinfresca fabbriche, case, scuole, chiese, ospedali, carceri (un po’ meno), caserme, aerei, treni… Due anni dopo l’abbattimento dello stato, del governo di allora, della Libia - guerra alla quale l’Italia ha preso attivamente parte, con alla testa l’Eni, ricordate? Con le basi militari in Sicilia, con aerei e navi da guerra - si coglie che qualcosa nel disegno imperialista non ha funzionato come avrebbe dovuto…

Il massiccio sostegno militare fornito dall’occidente agli insorti nella guerra civile dell’estate 2011 in Libia, sembra svilupparsi in un colossale investimento sbagliato. Due anni dopo la Libia è infatti immersa in faide fra clan in lotta per il potere. Questa realtà colpisce anche anche gli interessi vitali delle potenze occidentali, poiché quanto sta accadendo in Libia è inestricabilmente connesso al settore energetico.
Secondo l’agenzia stampa Bloomberg, la produzione del petrolio in Libia nel giugno 2011 è caduta del 16% rispetto al mese precedente, raggiungendo così il livello più basso dall’inizio dell’anno. Sulla Libia adesso sarebbe “calato il buio”, ci sono “lotte” che portano alla “caduta dell’estrazione”. Le agitazioni che continuano ad impedire la produzione sarebbero da ricondurre alle tensioni fra la parte occidentale del paese unita alla capitale Tripoli contro la parte orientale ricca di petrolio, dove i raggruppamenti locali pretenderebbero una “maggiore quota di petroli”.
All’inizio di luglio i gruppi armati (dell’est) avrebbero occupato gli importanti porti petroliferi di Ras Lanuf e Es Sider allo scopo di ottenere il pagamento dei “pagamenti dovuti”. Questo sarebbe soltanto il caso più recente di una serie di disturbi che impediscono il ritorno dell’estrazione ai livelli pre-guerra. In giugno l’estrazione in alcuni campi petroliferi dell’est è stata sospesa in seguito “alle crescenti manifestazioni degli operai”, come informava nei giorni scorsi l’Agenzia Internazionale dell’Energia. A causa delle “continue recenti agitazioni e lotte esistenti in Libia” la società austriaca OMV martedì scorso avrebbe deciso di abbandonare, per il momento, l’estrazione.
I gruppi petroliferi occidentali attualmente non possono contare sulle “forze di sicurezza libiche”. L’apparato dello stato libico in disfacimento non riesce a dare una sicurezza efficace nemmeno alle proprie istituzioni nei confronti delle bande e milizie saccheggiatrici. Appena nei giorni scorsi il governo libico annunciava di aver ripreso pieno controllo del ministero dell’Interno occupato per circa una settimana da “gruppi armati”. Queste occupazioni hanno soprattutto riguardato il pagamento di riscatti, intesi come “soldo”, richiesti da miliziani e veterani della guerra civile. Le milizie, non integrate nell’apparato statale, in Libia sono fattore di irrequietezza permanente.
Quanto sta accadendo in Libia è stato di recente constato da una delegazione NATO che ha così definito la situazione: “attualmente la situazione è fragile e insostenibile… forze armate e polizia non sono nella condizione di garantire al paese sicurezza”; in Libia “adesso c’è il maggio e incontrollato arsenale di armi mondiale”. Il crollo dello stato avrebbe permesso “ai gruppi armati criminali e altri di unirsi alle reti transnazionali jihadiste, di utilizzare la Libia come base o transito per attività militari”. Queste alcune conclusioni della delegazione NATO.
Ma che cosa succede con questa montagna di armi? Il 5 luglio scorso la Russia esortava il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a indagare sulla fornitura di armi provenienti dalla Libia agli insorti in Siria. Il ministero degli esteri russo ha dichiarato che se si dovessero dimostrare vere “grosse violazioni”, allora occorre imporre alla Libia l’embargo (proibizione) delle armi (di acquistarle e venderle).

15 luglio 2013, da jungewelt.de


Turchia : colpi mortali, lo scontro si approfondisce
Dopo i colpi d’arma da fuoco sparati dall’esercito sui manifestanti nella provincia kurda di Diyarbakir, nel fine settimana in numerose città della Turchia è tornata a esplodere la protesta. Venerdì (28 giugno) i soldati nei pressi della città di Lice avevano aperto il fuoco su chi manifestava contro l’edificazione di un punto militare fortificato ed inoltre avevano incendiato le tende innalzate dai manifestanti nei pressi di quel cantiere. Gli spari hanno ucciso Mehmet Yildrim, diciottenne, e ferito gravemente altri dieci manifestanti. Ai suoi funerali sono state scandite le parole d’ordine: “Erdogan fai attenzione, non costringerci ad andare in montagna!”
Negli stessi giorni e luoghi, secondo fonti dell’agenzia stampa Dogan, sarebbe stato rapito nel corso di un controllo stradale, un ufficiale delle unità speciali dell’esercito turco.
Nonostante il ritiro della guerriglia compiuto dal PKK, nel territorio kurdo di recente sono state costruite 134 basi, fortificazioni, ripartite fra polizia e esercito.
Mentre in Kurdistan nel fine settimana i negozi sono rimasti chiusi in segno di protesta, a Istanbul migliaia di persone si sono raccolte nella piazza Taksim per manifestare contro la violenza della polizia, che nelle settimane scorse ad Ankara aveva sparato contro i manifestanti, uccidendo Ethem Sarisuluk. Sugli striscioni apparsi in piazza si poteva leggere: “Lice resiste, Gezi-Park resiste”.
Gli attacchi dell’esercito esplodono nel momento in cui i negoziati fra PKK e governo sono fermi. Nelle scorse settimane, Erdogan aveva dichiarato che le richieste centrali avanzate dal PKK, introduzione dell’insegnamento della lingua kurda nelle scuole, sfondamento (da parte kurda) della barriera del 10 percento nelle elezioni parlamentari, non sono sull’agenda del governo.
1° luglio 2013, da jungewelt.de


padova: Solidarietà ai detenuti in lotta!
Il 15 agosto Daoudi Abdelaziz, marocchino di 21 anni rinchiuso nel carcere Due Palazzi di Padova, viene ritrovato in fin di vita all’interno di una cella d’isolamento. Morirà poche ore dopo in ospedale. Secondo i media, si è impiccato con dei lacci da scarpe dopo una forte lite con una guardia. Non appena è sopraggiunta la notizia della morte del ragazzo è scoppiata la rivolta: i prigionieri hanno espresso la loro rabbia, rifiutandosi tutti quanti di entrare nelle celle dopo l'ora d'aria, oltre che attraverso delle battiture e l’incendio di lenzuola in segno di protesta per chiedere verità sulla morte di Abdelaziz. Proteste continuate nei giorni seguenti.
Quella del Due Palazzi è già da tempo una situazione limite, in cui il sovraffollamento caratterizza la quotidianità dei detenuti e fa emergere quella che è la condizione più generale dei penitenziari italiani. Nella Casa Circondariale di Padova sono attualmente rinchiusi 245 detenuti a fronte di una capienza di circa 90 posti letto e nel penale vi sono 886 reclusi su 350 posti. All’occorrenza vengono usate anche le celle destinate all’isolamento, situate in una palazzina non a norma di legge, perché non è mai stata ristrutturata.
Nel periodo estivo il malessere si acutizza ed esplode con maggiore intensità: caldo torrido, prigionieri stipati in celle minuscole, condizioni igienico-sanitarie carenti, impossibilità di svolgere l'ora d'aria e via dicendo sono tutti elementi che rendono la permanenza in carcere infernale, tanto da sfociare in episodi di autolesionismo e in “suicidi”, che, dato il contesto, sono a tutti gli effetti delle vere e proprie morti da carcere!
Una buona parte della popolazione detenuta a livello nazionale è costituita da immigrati: a Padova sono circa l'80% e sono in aumento i giovanissimi che, non trovando occupazione, vengono arrestati per reati legati alla microcriminalità. Si tratta di persone che abbandonano il loro paese d'origine per fuggire da situazioni di povertà e di guerra. Quella stessa guerra fatta di aggressioni militari promosse dai paesi occidentali, Italia compresa, per rubare il petrolio, il gas naturale e altre risorse energetiche e per garantirsi il controllo politico-economico. Guerra che ha come effetto collaterale l'immigrazione di massa di migliaia di persone, come dimostrano i continui sbarchi sulle nostre coste di profughi provenienti anche da Siria, Egitto, Palestina, Libia ecc. Inoltre, lasciando la povertà delle loro terre, dovuta allo sfruttamento da parte dei paesi imperialisti, in Italia entrano nel serbatoio di manodopera a basso costo e alta ricattabilità che i padroni possono utilizzare a seconda dell'andamento della produzione.
In questa fase di grave crisi economica e di tendenza alla guerra, aumenta anche la repressione, e il carcere diviene fondamentale per i padroni, in quanto consente loro di contenere una fetta di proletariato che si trova esclusa dal mercato del lavoro e che, per mantenersi, ricorre all'utilizzo di rimedi fuori dalla “legalità” imposta. Il carcere assolve anche la funzione di monito nei confronti di chiunque, stanco di essere sfruttato, osi alzare la testa e intraprendere la via della lotta.
La galera è lo specchio della società, in cui tutti i problemi e le divisioni che la caratterizzano si riflettono aggravandosi. Vige la regola del premio-punizione, secondo cui chi si piega alle norme umilianti imposte dal sistema carcerario riceve dei benefici, mentre chi non le accetta e si mette a lottare, subisce trattamenti punitivi, come trasferimenti, applicazione dell’articolo 14 bis, che aggrava le condizioni di detenzione, fino ad arrivare all'isolamento dal resto del corpo dei prigionieri.
Di fronte al continuo tentativo di divisione e frammentazione messo in atto dai padroni, la risposta deve essere l'unità della lotta, dentro e fuori dalle prigioni. La rivolta dei detenuti del Due Palazzi dimostra come sia possibile ribellarsi uniti contro un sistema carcerario, che con il procedere della crisi, impone sempre peggiori soprusi e vessazioni. Allo stesso modo, è necessario collegare la lotta dentro con quella oltre le mura: per la difesa del posto di lavoro, per la salvaguardia della scuola pubblica, dell'università e della sanità, contro la devastazione del territorio e contro le guerre neocoloniali. Le condizioni di oppressione sono le stesse sia per i proletari italiani che per quelli immigrati, siamo tutti dalla stessa parte della barricata.
La migliore solidarietà di classe che si può portare ai detenuti in rivolta è lottare uniti, dentro e fuori, e capire che il nemico da sconfiggere è il medesimo, ovvero il capitalismo, sistema basato sulla guerra e sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Mobilitiamoci tutti dal 10 al 30 settembre in solidarietà alla lotta dei detenuti lanciata dal “coordinamento dei detenuti”! Solo la lotta paga!
22 agosto 2013
Compagne/i di Padova, uniticontrolarepressione.noblogs.org


Chiudere i CIE, col fuoco delle rivolte
Un altro Centro di Identificazione ed Espulsione che chiude. Prima è toccato al Centro di Bologna, svuotato a marzo e chiuso per lavori di ristrutturazione che sarebbero dovuti durare un mese, ma ad oggi ancora non terminati. Qualche mese più tardi stessa sorte è toccata al Centro di Modena, svuotato prima di ferragosto e attualmente in ristrutturazione. Ora è il turno di Crotone, chiuso «temporaneamente, ma a tempo indeterminato», per usare il vocabolario burocratese di cui solo i migliori Prefetti sono capaci. In attesa di notizie di prima mano, riportiamo quanto raccontato da alcune agenzia di stampa e quotidiani online. Nella notte del 10 agosto muore un recluso di 31 anni, per un malore dicono, a diversi giorni di distanza, la polizia e la Misericordia che gestisce la struttura. Una scintilla che fa scoppiare l’incendio: i reclusi del Centro, una cinquantina in tutto, danno vita ad una grande rivolta e in poche ore vengono distrutti i muri e l’impianto di videosorveglianza, poi incendiate le stanze e gli arredi. E così, con una struttura completamente inagibile e ingestibile, la Prefettura decide di chiudere i battenti e trasferire i reclusi in altri Centri.
Nelle prigioni per senza documenti ancora funzionati, il mese di agosto è iniziato in maniera tutt’altro che tranquilla. A Torino i reclusi resistono come possono alle violenze e ai soprusi delle guardie, in particolare dei finanzieri, che mantengono l’ordine a suon di schiaffi e botte.
A Gradisca (Gorizia) la sera dell’8 agosto i reclusi si rifiutano di entrare nelle camerate e la polizia decide di convincerli con manganelli e lacrimogeni: per non rimanere soffocati i reclusi spaccano alcune barriere di plexiglass che circondano il cortile dell’aria.
Tre giorni dopo nuove proteste e nuovi lanci di lacrimogeni: alcuni reclusi salgono sui tetti, tentando forse di scappare, ma due cadono. Uno si ferisce gravemente, tanto che i medici non hanno ancora sciolto la prognosi.
Per cercare di riportare la calma il Prefetto è costretto a cedere ad alcune richieste dei reclusi: vengono restituiti i telefoni, che nel Centro di Gradisca erano vietati da mesi, e viene riaperta la sala mensa, chiusa da tempo per evitare pericolosi assembramenti. Sabato 17 agosto mentre fuori dalle mura del Centro si radunano quasi duecento persone per portare solidarietà ai reclusi in lotta, questi distruggono nuovamente alcune barriere di plexiglass e salgono sui tetti, restandoci fino a tarda sera.
Nella notte tra lunedì 19 e martedì 20 agosto, nuovo tentativo di evasione dal Centro di Gradisca, questa volta parzialmente riuscito. Secondo quanto riportato da alcuni quotidiani, sembra che i reclusi abbiano aspettato il momento del cambio turno per tentare la fuga. Approfittando del maltempo e della mancata riparazione delle barriere di plexiglass distrutte nei giorni scorsi, in diversi sono riusciti a scavalcare il muro di cinta. I militari di guardia, intervenuti in ritardo, sono riusciti a fermare diversi fuggitivi, ma sembra che almeno in sei ce l’abbiano fatta.

20 agosto 2013, da www.autistici.org/macerie
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modena: Attaccare un lager non è un reato
Il 16 giugno a Modena si è detto ancora una volta no ai CIE. Le sempre maggiori restrizioni da parte della questura sulle possibilità di portare solidarietà agli internati, sono culminate domenica scorsa con il fermo di tre compagni, in seguito al presidio sotto la struttura di via Lamarmora.
I ragazzi saranno processati per direttissima martedì 23, e nel frattempo hanno l’obbligo di dimora nel comune di residenza. La lotta ai CIE è attraversata da sempre maggiori tentativi miranti alla sua repressione: è questo un segno evidente che siamo davanti a una questione nevralgica per quanto riguarda il funzionamento delle nostre società. Infatti, grazie al sistema CIE, il mercato del lavoro si assicura molta manodopera a costi ridotti: introducendo la figura del clandestino è creato un nuovo tipo di lavoratore, altamente sfruttabile (poiché, essendo ricattabile con la minaccia dell’identificazione-espulsione, è utilizzato come manodopera a costi ridotti) e ricambiabile illimitatamente (poiché il ciclo delle espulsioni è seguito dal continuo ciclo dei nuovi ingressi).
Grazie allo sposalizio con la democrazia, il sistema capitalistico ha trovato in questa il suo braccio destro, la sua più grande fonte di legittimazione. La democrazia, infatti, con i suoi discorsi da un lato inculca odio verso un concorrente lavorativo imbattibile (quando in realtà è solo grazie allo sfruttamento del lavoro clandestino che può essere sfruttato l’intero orizzonte del mondo del lavoro), e dall’altro riesce a inculcare paura, poiché nel momento in cui l’essere clandestino diviene reato, allora clandestino è colui il quale mina l’ordine sociale (va quindi isolato, denunciato, eliminato).
L’ossessione per la propria protezione, per la sicurezza, che scaturisce da questa paura, ha reso complici le città nella costruzione di questi nuovi lager (che sono tali sia per le condizioni di vita alle quali sono sottoposti gli “ospiti” delle strutture – violenze, abusi, sovraffollamento, somministrazioni di psicofarmaci, condizioni igieniche precarie; sia perché ancora una volta queste strutture sono fondate su un sistema di sfruttamento del lavoro – sfruttamento che però la democrazia ha spostato all’interno della società “civile”).
E dunque davanti a questa nuova forma di struttura carceraria, a questa macchina di sfruttamento e abusi nel cuore della città, a questa polveriera che ciclicamente i detenuti fanno esplodere, a tutto questo come si può restare indifferenti? Come si fa a restare complici nel mantenimento di questi lager? Tutti/e coloro i/le quali si ribellano a questo ingranaggio, che fa parte del più globale sistema di sfruttamento delle nostre vite, e che dimostrano solidarietà agli internati di queste strutture, non sono condannabili!
Attaccare i lager non è un reato, non essere complici non è un reato.

Modena, luglio 2013

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Martedì 23 Luglio 2013, si é tenuta la prima udienza a carico di Andrea, Gabri e Sabbo, presso il Tribunale di Modena, in Via Corso Canalgrande, accusati di danneggiamento pluriaggravato per il Presidio al Cie di Modena del 16 Giugno.
Il Giudice, in occasione della convalida degli arresti, aveva imputato i tre compagni di tentato incendio, reato poi derubricato, in un secondo momento, nel reato di danneggiamentopluriaggravato, grazie agli avvocati difensori.
Il Giudice aveva poi deciso di sottoporre i tre compagni alla misura cautelare dell'obbligo di dimora nei rispettivi paesi di residenza, con l'obbligo di poter uscire di casa dalle 7 del mattino e farvi rientro entro le 18 del pomeriggio.
La prossima, vera prima udienza, in cui si discuteranno i capi d'accusa é stata fissata per il 30 Settembre 2013.
Fuori dal Tribunale dalle ore 10, una trentina di solidali, provenienti da diverse realtà , tra cui Bologna, Modena, Parma, Padova, Cremona, Reggio Emilia), ha tenuto un presidio di solidarietà con i compagni, appeso uno striscione e volantinato, date le prescrizioni della Questura, che vietavano anche l'uso del megafono.
Rimaniamo in attesa della decisione del Giudice, riguardo la rimozione delle misure cautelari, nei prossimi giorni. ANDREA, SABBO, GABRI LIBERI SUBITO!


Sullo sciopero della fame dei prigionieri in California
Più di un mese fa, l’8 luglio, oltre 30 mila carcerati delle prigioni californiane (lo Stato con più prigioni e prigionieri pro-capite del pianeta) hanno cominciato uno sciopero della fame. Dopo oltre 37 giorni, nonostante numerosi tentativi di impedire lo svolgimento della protesta, centinaia di prigionieri, principalmente quelli rinchiusi nelle Secure Housing Units (SHU, il regime d’isolamento), stanno continuando a portare avanti la protesta per il miglioramento delle condizioni nelle carceri.
Li sostiene una rete di solidarietà che parte dalle famiglie dei prigionieri e include anche attivisti della sinistra radicale,community organizers, residui di #occupy e cristiani di base. Le cinque rivendicazioni fondamentali sono semplici e mirano a ottenere risultati concreti nel breve periodo, mentre allo stesso tempo mettono in discussione tutto il sistema carcerario californiano:
* La fine delle punizioni collettive e degli abusi amministrativi
* L’abolizione delle politiche di debriefing (cioè le forme di ricatto nei confronti dei prigionieri per ottenere informazioni sulle gang, mettendo loro e le loro famiglie in pericolo) e delle modalità di etichettare dei prigionieri come attivi in gang, una delle giustificazioni principali per l’isolamento di molti prigionieri.
* Eliminazione dell’isolamento a lungo termine, adempiendo alle raccomandazioni della US Commission on Safety and Abuse in America’s Prisons del 2006, mai applicate.
* La garanzia di cibo adeguato e nutriente, e la possibilità per i prigionieri di comprare supplementi vitaminici.
* Espandere e migliorare privilegi e programmazione costruttiva (visite, telefonate, accesso a libri, strumenti culturali e artistici, accesso alla formazione ecc.) per i prigionieri rinchiusi nelle SHU.
Il primo segnale di questa mobilitazione è arrivato nella primavera del 2011, quando un centinaio di prigionieri nel carcere di Pelican Bay (una delle quattro strutture nello Stato della California che ospita SHU; le altre sono Tehachapi, Folsom e Corcoran) hanno contattato alcuni attivisti e attiviste informandoli che stavano per entrare in sciopero. Lo sciopero della fame si è allargato velocemente, finendo per includere quasi 7 mila prigionieri. La California Department of Corrections & Rehabilitation (CDCR) si è impegnato per riformare alcuni aspetti del sistema, con attenzione speciale alle SHU. Il venir meno a questo impegno ha portato alla formazione della coalizione (guidata dai prigionieri) e alla formulazione delle rivendicazione base.
Le rivendicazioni mirano ad attaccare lo strumento dell’isolamento, in quanto forma di tortura e in quando meccanismo di rafforzamento delle ingiustizie quotidiane del sistema carcerario californiano. Esse sono il paradigma dei processi che negli ultimi 3 decenni hanno trasformato gli Stati uniti nel paese con più incarcerati o monitorati pro-capite del pianeta (più di 7 milioni rinchiusi nelle carceri o sottoposti a regimi di sorveglianza). Questi tre decenni sono stati segnati dal progressivo smantellamento del welfare sociale, dall’inasprimento delle pene minime per reati non-violenti e contro il patrimonio, dal boom della costruzione di nuove carceri (settore sempre più privatizzato o attraversato da interessi privati) e dalla War on Drugs. Una guerra vera e propria, che ha massacrato le comunità più proletarizzate degli Stati uniti, in particolare quelle of color, afroamericani, ispanici, nativi. In California ci sono circa 120 mila incarcerati (di cui 10 mila in regimi di isolamento), quasi il 60% dei quali appartenenti alle comunità latino, afroamericane, indigene e asiatiche. Dal 2006 lo Stato della California ha iniziato un processo di «riallineamento», per ridurre i costi economici prodotti nei due decenni precedenti, durante i quali la popolazione incarcerata era aumentato del 500%. Il numero di prigionieri si è effettivamente ridotto, ma molte carceri rimangono sovraffollate al 200% e questo impone allo Stato della California di esportare prigionieri in altri Stati. Una guerra che colpisce direttamente e indirettamente le donne: sono quasi 12 mila quelle rinchiuse nelle prigioni californiane (più che in qualsiasi altro Stato), e la California ospita le due strutture carcerarie femminili più grandi del pianeta, entrambe a Chowchilla. A luglio, un report del Center for Investigative Reporting ha rivelato che tra il 1997 e il 2010 quasi 250 donne sono state sottoposte a interventi di sterilizzazione, sotto la pressione dell’amministrazione carceraria.
Le enormi ingiustizie del sistema carcerario californiano e statunitense rappresentano sicuramente un’evidente violazione della dignità umana, ma queste ingiustizie (come pure la lotta contro di esse, compreso lo sciopero della fame attuale) non sono analizzabili sotto un profilo meramente giuridico o dei diritti umani. A livello sociale e non solo statistico, il carcere negli Stati uniti rafforza le gerarchie razziali iscritte nella composizione di classe statunitense, si offre come complesso industriale in cui investire, e in molti casi sfrutta gli stessi carcerati direttamente come forza-lavoro. Il costo, umano, economico e sociale, sulle comunità coinvolte è enorme, e rappresenta una specie di guerra permanente del sistema giudiziario americano contro i suoi ghetti e le periferie impoverite e proletarizzate. La lotta anticarceraria negli Stati uniti rappresenta una modalità di creare organizzazione dentro queste comunità, nelle quali ogni persona conosce o ha almeno un familiare in carcere.
La risposta immediata della CDCR è stata quella di difendere il regime SHU, le politiche carcerarie rivolte alle gang e accusare le stesse gang di essere la regia occulta della mobilitazione. Questo tentativo di delegittimazione, e di abusi mirati a rompere lo sciopero (come sparare aria gelida nelle celle degli scioperanti) e stato accompagnato dal rifiuto totale di parlare con la «squadra di mediazione», composta da familiari e attivisti.
Il 22 luglio è morto Billy Sell, detto Guero, rinchiuso nel carcere di Corcoran. Diversi prigionieri e attivisti hanno attribuito la sua morte allo sciopero della fame, ma la CDCR si è affrettato ad archiviarla come un «semplice» suicidio. Non è chiaro se le dichiarazioni di Eric Holder, Attorney General degli Stati Uniti, che il 12 Agosto ha annunciato l’intenzione di riformare le leggi sulle sentenze minime per ridurre il sovraffollamento carcerario, avranno un effetto sulla negoziazione. Quello che è sicuro è che queste riforme (se mai ci saranno) sono emerse per risolvere la contraddizione del sovraffollamento, effetto collaterale di un sistema giuridico ancora molto legato alle gerarchie etniche e di classe su cui è stato fondato.
La contraddizione sollevata dei prigionieri in lotta, dalle loro famiglie e dalle comunità da cui provengono va ben oltre, e richiede soluzioni che a loro volta vanno ben oltre la riforma del sistema carcerario.
15 agosto 2013, di Sean Patrick Casey, da www.zic.it
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In California l’autorità carceraria CDCR cerca con altri tentativi di spezzare lo sciopero della fame e del lavoro di migliaia di prigionieri contro condizioni di detenzione inumane nei bracci di isolamento. La direzione del carcere di Pelican Bay nel frattempo ha chiuso in quei bracci i prigionieri da essa considerati “capi della rivolta”. Inoltre, il 19 luglio ha comunicato all’avv.sa Marilyn McMahon il divieto di ingresso proprio in Pelican Bay. Lei difende-rappresenta i prigionieri oggi giunti all’11° giorno di sciopero della fame. Il CDCR ha comunicato che quel divieto sarà in vigore fino a quando non saranno concluse le indagini su un collaboratore della McMahon, il quale rappresenta “un considerevole pericolo per la sicurezza dell’istituto”; un’accusa, spiega l’avv.sa, simile a quella imputata ai prigionieri per tentare di fermare la lotta,
“I prigionieri vengono isolati a tempo indeterminato, non è loro permesso di vedersi”.
Già nel corso dello sciopero della fame del 2011 a McMahon e alla sua collega Carol Strickman erano stati negati per settimane contatti con i prigionieri da loro difesi. Le avv.se considerano le decisioni del CDCR come “tentativi di impedire la comunicazione fra i prigionieri, chi li difende e il mondo esterno…noi non lo permetteremo”.
Mentre il CDCR ha effettivamente disposto il divieto di informazione sull’andamento dello sciopero, cresce la critica aperta dei familiari delle persone in carcere e delle organizzazioni umanitarie. Le notizie semi-ufficiali dicono che il tribunale competente avrebbe preso la decisione di liberare almeno 10mila prigionieri al fine di diminuire il sovraffollamento.

13 luglio 2013, da jungewelt.de

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alimentazione forzata per i detenuti in sciopero di fame
Lunedì 19 agosto un tribunale federale del distretto di San Francisco, in California, ha stabilito che i medici e i funzionari carcerari potranno imporre l'alimentazione forzata ai detenuti in sciopero della fame che si trovano in pericolo di vita, anche se questi avessero precedentemente firmato dei documenti in cui chiedevano di non essere sottoposti a rianimazione in caso di perdita di coscienza o arresto cardiaco.
Il regolamento delle carceri della California prevede infatti che i detenuti possano protrarre lo sciopero della fame fino alla morte, a patto che abbiano firmato i cosiddetti mandati do-not-resuscitate (Dnr). Il giudice Thelton Henderson ha però deciso che i documenti non sono validi se firmati durante lo sciopero della fame o poco prima di iniziarlo.
Il caso è stato portato in tribunale dai responsabili delle prigioni californiane e da una struttura federale che si occupa della salute dei detenuti, che si sono detti preoccupati delle condizioni di salute di 69 persone in sciopero della fame dallo scorso 8 luglio: da quella data hanno rifiutato consecutivamente tutti i pasti serviti dal carcere.
Lo sciopero era stato iniziato da 30 mila delle 133 mila persone incarcerate in California, e al momento lo stanno portando ancora avanti 136 persone in sei prigioni diverse.
I funzionari del carcere potevano già chiedere al giudice di imporre l'alimentazione forzata per un singolo detenuto, ma grazie alla decisione di Henderson potranno applicarla direttamente a tutte le persone incarcerate, senza doversi rivolgere di volta in volta al tribunale. D'ora in poi i detenuti ritenuti in pericolo di vita o in stato di incoscienza potranno venire alimentati con una flebo o con tubicini che arrivano direttamente allo stomaco, nonostante avessero richiesto esplicitamente il contrario.
Joyce Hayhoe, portavoce della struttura federale che si occupa della sanità dei carcerati, ha detto che finora nessuno è stato alimentato a forza e che il permesso è stato richiesto per poter agire rapidamente in futuro, dato che la condizione dei detenuti - che non mangiano da un mese e mezzo - può peggiorare rapidamente. (Estratti da notizia Adnkronos, 21 agosto 2013)


Prigioni sarde, lotte, solidarietà e aggiornamenti
Fine primavera - inizio estate 2013
In Sardegna sono presenti ben 12 prigioni dislocate in tutta l'isola, per un totale di 2.097 prigionieri, a queste se ne aggiungeranno presto altre quattro. Pare che almeno due sostituiranno le strutture storiche di Cagliari e Sassari.
La Sardegna ha una triste tradizione di isola galera, sia intesa come galere vere e proprie sia come allontanamento punitivo, isolamento appunto.
I militari più testardi venivano mandati in punizione nei poligoni e nelle caserme sarde, i fascisti mandavano gli oppositori del regime al confino nei paesini dell'entroterra sardo, i romani mandavano i Patrizi scomodi alla repubblica e poi all'impero a gestire il granaio di Roma, ovvero la Sardegna.
Probabilmente il fatto di essere l'unica vera isola (non me ne vogliano i siciliani, ma per vera isola intendo la vera difficoltà nei collegamenti con la penisola) dello stato italiano, di essere storicamente spopolata e di aver avuto spesso dei caratteri resistenti e ostili a invasori e cambiamenti imposti, ha fatto si che venisse individuata come territorio ideale per alcune attività, tra queste le prigioni.
Nel 2013 siamo ancora perfettamente in linea con i ragionamenti che i romani facevano circa 2000 anni fa. Lo stato Italiano ha infatti deciso, come già detto, di costruire quattro nuove mega carceri, di alta sorveglianza e in due casi anche con i reparti di 41 bis, cioè il carcere duro, l'isolamento. Il motivo di questo investimento secondo le dichiarazioni governative è quello di migliorare le condizioni dei prigionieri, dandogli delle celle più grandi, più luminose, meno umide, queste cose per quanto riguarda le carceri sarde sono un obiettivo abbastanza facile da raggiungere in quanto gli stabili attuali versano in condizioni veramente pessime, sovraffollamento esagerato oltre ogni limite di tollerabilità, impianti idrici e elettrici antiquati, celle malsane, assenza di spazi comuni. Nel carcere di Cagliari, le celle di isolamento sono state riadattate a celle comuni per fronteggiare il problema del sovraffollamento.
Parlando delle nuove costruzioni si nota che hanno tutte almeno uno stesso aspetto, sono fuori dai centri abitati, alcune sostituiranno carceri attualmente nel centro delle città. Non si tratta certo di una scelta casuale, è stato fatto per creare dalla prigione un ulteriore avamposto del controllo dello stato sui territori, per evitare i contatti tra il mondo esterno e il mondo interno e per evitare che delle future ondate di lotte e proteste possano coinvolgere un elemento complesso come quello delle prigioni.
Le inaugurazioni delle nuove carceri dovevano avvenire mesi fa; ritardi nei lavori, problemi e mancati pagamenti hanno rallentato i lavori e continuano a spostarne la data di apertura.
Solo il carcere di Bancali (SS) ha aperto i battenti, proprio pochi giorni fa, la ministra Cancellieri è stata ben lieta di tagliare il nastro e dare il benvenuto ad alcuni prigionieri trasferiti dal carcere di San Sebastiano. In realtà a Bancali da un mesetto c'erano già una trentina di prigionieri di mafia.
Per quanto riguarda Uta invece, i circa 600 posti dovrebbero ospitare prigionieri provenienti da tutta l'Italia, per questo da un pò di tempo si vocifera che la chiusura di Buoncammino verrà perlomeno rimandata, in quanto come già detto la struttra è in sovraffollamento e di certo non sono in diminuzione i reati e conseguentemente i nuovi condannati. E' notizia freschissima che il nuovo mega carcere non aprirà prima del 2014 per ulteriori ritardi e problemi nei lavori.

E fuori?
Da quando sono stati aperti i cantieri delle nuove carceri non c'è stata nessun tipo o quasi di opposizione al progetto, i numerosi posti di lavoro di mano d'opera locale hanno stroncato sul nascere qualunque tentativo di opposizione, in più la perifericità dei siti non ha di certo favorito chi volesse provare a dire qualcosa, oltre l'informazione non si è mai andati. Gli unici ad aver fatto una protesta sono stati gli operai del cantiere di Uta quando quest'inverno hanno smesso di ricevere lo stipendio, per qualche tempo hanno bloccato i lavori, poi lentamente la situazione è rientrata, ma i lavori continuano ad andare a rilento e l'apertura, come già detto, ad essere posticipata. C'è stata anche un'ondata di "indignazione" capeggiata da politici in cerca di riciclo che criticava l'esagerato numero di carceri in Sardegna, che denunciava il rischio di contagio mafioso in caso di trasferimento di capi cosca e reclamava tutti i posti di lavoro per i sardi, non vale la pena dire altro.

Altro...
Negli ultimi mesi qualcosa ha iniziato a muoversi intorno al carcere di Buoncammino, i parenti stimolati dai volantinaggi e dalle chiacchiere con alcuni compagni e compagne hanno iniziato a capire cosa vorrà dire il trasferimento dei loro cari a Uta, il nuovo carcere dista 25 km da Cagliari, in una zona industriale, puzzolente e non collegata con mezzi pubblici, inoltre a Cagliari è abitudine andare appena al di fuori delle mura e chiacchierare con i prigionieri quando si vuole e per quanto si vuole, quest'ultima cosa in particolare sarà assolutamente impossibile, in quanto il nuovo carcere è stato costruito secondo i paramentri di alta sicurezza, cioè con recinzioni lontane dalle mura, mura così alte che a stento si vedono le celle.
Inoltre i prigionieri nell'ultimo mese si sono mobilitati non poco, la prima protesta è scattata il 28 Maggio giorno del corteo a Parma contro il 41 bis, i prigionieri hanno iniziato lo sciopero del carrello contro le condizioni disumane e contro il 41 bis, il tutto spiegato e rivendicato in una lettera firmata da decine e decine di carcerati, l'assemblea contro il carcere e la Cassa Antirepressione Sarda hanno organizzato due giorni dopo l'inizio dello sciopero un saluto fuori, c'è stata una buona partecipazione e una buona risposta da dentro.
Nelle settimane successive sono stati fatti dei volantinaggi negli orari di visita dei parenti e il 15 Giugno è stato fatto un secondo saluto, con un pò di musica e microfono aperto, i secondini viste le interazioni della volta precedente hanno ammutolito i prigionieri del lato destro che non hanno così potuto partecipare ai cori e alle chiacchiere per il timore di ritorsioni, allo stesso modo è andata dal lato sinistro anche se qua la maggiore vicinanza ha permesso un minimo di dialogo.
Pochi giorni fa, per la precisione il 9 Luglio sera è iniziata una nuova battitura sul lato destro, i prigionieri dell'ultimo piano si sono barricati nelle celle e hanno dato fuoco a suppellettili vari, il resto del braccio li supportava con la battitura, hanno esposto degli striscioni dalle celle contro le condizioni del carcere e contro l'isolamento, la direzione del carcere ha pensato di staccargli acqua e corrente, dichiarando poi che si è trattato di un blackout.
La risposta della repressione non si è però fatta attendere: tre prigionieri sono stati trasferiti a Lanusei allontanandoli dai loro cari e cercando di isolarli per far si che la protesta venisse soffocata. Un nutrito gruppo di solidali tra compagne e compagni parenti ed amici ha organizzato un presidio di solidarietà il 10 luglio, il giorno successivo, che ha cercato di portare appoggio ad una lotta che non potrà risolversi con i decantati trasferimenti nel maxi carcere di Uta ma che troverà soluzione solo nell'abbattimento della struttura carceraria.
La situazione è in divenire, in quest'ultimo mese e mezzo i prigionieri hanno dimostrato di voler lottare per cambiare qualcosa e di non aver paura delle minacce dei secondini e della direzione, non sappiamo se l'inasprirsi delle ritorsioni (i traferimenti) fermerà la lotta, di sicuro noi cercheremo di star vicino e dar manforte con idee, mezzi e determinazione.

Cassa antirepressione sarda
21 luglio 2013, da informa-azione.info


Lettera dal carcere “Buoncammino” (Cagliari)
Compagni saluti, qui si accentua un po’ di agitazione. Sono diversi i casi individuali di ribellione, come quel detenuto che ha scaraventato un carrello nella rete, purtroppo senza agganciarla; oppure un altro che ha distrutto e ridotto in polvere i suppellettili della cella.
Martedì 9 luglio invece si barricano i detenuti di una cella da 6: dalle tre finestre che si affacciano nella parte della libertà hanno collocato tre striscioni “NON SIAMO BESTIE”, riassume tutto il concetto esposto. Subito con un tam-tam vengono informati parenti e amici e una quindicina di compagni. L’ambiente si surriscalda, è già tramontato il sole, si producono diversi black-out all’interno del braccio, per cui il buio totale viene squarciato da un baccano di rabbia infernale (battiture) con decine di bombole di gas esplose all’esterno e pezzi di lingue di fuoco che calavano all’interno, mentre un grande fuoco riscaldava una finestra dei barricati. Fuori, una calorosa risposta dei presidianti che contribuiva ad alimentare il kaos facendo scoppiare dei petardi. Accorrono 3 pattuglie della polizia, che saranno bersagliate di insulti dai detenuti, fino a farle andare via. I barricati pretendono che vengano i giornalisti qua fuori. Arrivano la sera stessa e i ribelli dalle finestre descrivono (loro) condizioni detentive da medioevo, inaccettabili, tutto lo schifo di Buoncammino.
Il giorno dopo ci si da appuntamento con compagne/i più numerosi e determinati. Il direttore passa in ogni cella e minaccia trasferimento immediato a chi apre bocca. Quando vengono i compagni, la risposta dall’interno è nulla! L’intimidazione ha fatto il suo effetto nonostante le raffiche di petardi lanciati da fuori a dentro. Il black-out scatta molto più tardi, mentre arde una bomba di gas dentro la sezione che esplode danneggiando la rete. Il giorno dopo verranno trasferiti i ribelli barricati. E uno di essi verrà pestato e trasferito a Lanusei.
Tutto è apparentemente calmo per ora. A volte si mostra la propria rabbia senza che si riceva la solidarietà per poter andare avanti. Diversi detenuti vorrebbero iniziare a mordere e non solo a mostrare i denti. Per la proposta letta in più parti, per uno sciopero della spesa in tutte le carceri, noi ci siamo! Se a settembre dovessero iniziare altre lotte è meglio sbrigarsi: detto soprattutto a tutti i carcerati. Intanto qua diversi di noi sono stati spostati, su ordine del DAP, in celle singole.
Un saluto caloroso per la rivolta.

13 luglio 2013


LETTERA DAL CARCERE DI IGLESIAS (ci)
[...] Le patrie galere continuano a riempirsi, i signori della politica che continuano a riversarci un sacco di cazzate e tutti noi zitti! Aspettando… Ma che dobbiamo aspettare ancora?! Le celle vanno date alle fiamme, inutile lamentarci tanto e poi lavorare per loro per 100 euro al mese. Mi viene da chiedermi chi siano i veri coglioni… Siamo noi! Tutto ‘sto casino degli scioperi del carrello, battiture, aria, sono cazzate che a loro non toccano, tocchiamo il portafoglio del ministero di Grazia e Giustizia, tempo tre mesi e lo Stato italiano è in ginocchio e credetemi… non faranno un passo indietro, ma dieci! Quindi sta a noi partecipare oppure no. Non c’è bisogno di comandi, di elaborare dei piani, no! Ognuno di noi sa come comportarsi, o no? Cosa sono 45 giorni se li dovete paragonare ad anni di galera risparmiata? Vi saluto tutti.

22 luglio 2013
Davide Matta, Sa Stoia, 16 - Iglesias 09016 (Carbonia-Iglesias)


Lettere dal carcere di Terni
Carissimi/e compagni/e, con immensa gioia ho appreso dall’opuscolo che a settembre ci sarà una forte mobilitazione e proteste dentro e fuori dalle prigioni-lager. Sapevo già qualcosa, adesso tutto questo deve solo entrare nelle coscienze di tutti/e i detenuti/e perché c’è il sostegno di tutti/e fuori, associazioni, Cobas, Fiom, anarchici, NoTav, USB, compagni/e e tutti/e coloro che da sempre lottano contro il razzismo, la repressione, la tortura, gli abusi e i fascisti. Proprio come questo manipolo di politici che sono paragonabili ai gerarchi del Terzo Reich…
Compagni/e voi siete il nostro “giubbotto anti-proiettile” siete la speranza contro chi si è rassegnato, siete il futuro contro la mattanza che quotidianamente la “necrologia” ci informa di nuovi suicidi, di morti causati dall’incuria e dalla mancata assistenza sanitaria. Quello che è infame e ignobile, è che i quotidiani non riportano mai le notizie. Sappiamo tutto solo grazie a Radio radicale il martedì e il giovedì. Viviamo in condizioni disumane dove gli animali hanno più diritti dei detenuti, in un canile per un cane spendono 5 euro al giorno, per noi detenuti 3 euro!!!
Abbiamo mille ragioni per mobilitarci e aderire tutti/e ed invito tutti/e a riunirsi e parlare per questo sciopero, anche dei lavoranti che vengono retribuiti con 30 euro al mese! I portavitti, gli scrivani, i lavoranti di sezione ecc. Queste sono umiliazioni, sono insulti così si fa il loro gioco. Capisco l’importanza di 30 euro per chi non ha nulla, e proprio di questo voglio dire a tutti/e i miei compagni/e detenuti/e che a Padova nella sezione A secondo piano, ogni settimana chi aveva le possibilità spendevano 10 euro a testa in più, per acquistare olio, pasta, caffè, zucchero, shampi, saponi e altri beni di prima necessità per i bisognosi, per evitare e non permettere queste umiliazioni. Sarà mio compito proporre questo appena finito il 14bis, dobbiamo essere uniti alla solidarietà, per debellare lo sfruttamento e l’umiliazione del salariato. Questo servirà a svegliare chi si rassegnato, chi subisce passivamente, chi viene maltrattato e umiliato come ai tempi dell’apartheid (scioperiamo-lottiamo).
Passate la voce che a settembre iniziamo una mobilitazione e una lotta giusta (diffidate da coloro che vi dicono che non serve a nulla uno sciopero) costoro sono sporchi vigliacchi che fanno l’interesse delle direzioni per vi loro sporchi fini per ottenere e ingraziarsi benefici e favoritismi. La nostra dignità e i nostri principi non si vendono, diffidate ed emarginate questi sporchi ruffiani e lecchini, perché proprio costoro sono quelli che ci pugnalano alle spalle.
Aderire è un dovere, un diritto e un obbligo di tutti/e, soprattutto nel ricordo di tutti/e i fratelli e sorelle che ogni giorno muoiono e che sono morti nelle prigioni e lager italiani.
Compagni/e finisco il 12 agosto il 14bis (salvo imprevisti)! L’isolamento e niente potrà spaventarmi e far terminare le lotte contro le ingiustizie, l’illegalità, gli abusi e i crimini che questo stato ha istituzionalizzato (lottiamo, al cuor non si comanda). Un abbraccio sincero e testa alta. Maurizio
No allo sfruttamento, alla sottomissione, alla differenziazione, all’isolamento, al 41bis, al 14bis, alle coercizioni e alle torture, l’articolo 27 della Costituzione impone reinserimento e non violenze.

13 agosto 2013
Maurizio Alfieri, Strada delle Campore, 32 - 05100 Terni

***
Care compagne e compagni, ho appena ricevuto la vostra lettera con un bollo, un paio di fogli, grazie. E’ sempre bene specificare quello che arriva per posta per ovvii motivi… qui dentro, non si sa mai.
Io sto bene, contrasto la reclusione tenendo allenata e sempre reattiva sia la mente che il fisico. Quindi: attività fisica (ginnastica, corsa, palestra, ecc.) anche se svolta nel cortile dell’aria che è una vasca di cemento (tipo piscina senz’acqua), con guardia sulla garitta più telecamera. Qui c’è un impiego smisurato di telecamere e cancelli elettronici e le immancabili guardie.
Attività “cerebrale” attiva con buone letture, scrittura e meditazione. Del resto le porte, i cancelli, le sbarre, i muri, ecc. possono contenere solo il corpo. La mente EVADE e non potranno MAI ARRESTARLA, MAI!!!
Qui sono arrivati alcuni libri, l’opuscolo ma mai il catalogo…
Mi dite delle proteste per settembre, io ne so poco e niente e vi prego di farmi sapere qualcosa di più preciso. Come penso di avervi già detto, qui a Terni, almeno tra i detenuti “comuni” vige la regola dell’attesa passiva e, sinceramente, ho seri dubbi che si possa organizzare qualcosa di serio e veramente incisivo.
Ritengo che le solite battiture, almeno per questo carcere situato in aperta campagna, non servano a molto. Ci vorrebbe ben altro (es. sciopero dei lavoranti, blocco della spesa ecc.) ma, ripeto, qui non è proprio aria di andare in “paradiso”.
In AS2 ci sono i compagni BR completamente isolati e con i quali è impossibile comunicare.
Al 14bis, in isolamento, c’è Maurizio Alfieri e anche con lui non è possibile comunicare. Quelli che stanno al 41bis… peggio che mai. E anche tra le sezioni dei “comuni”, per come è strutturato questo carcere, è difficile comunicare tra le varie sezioni. Nessun disfattismo né rassegnazione, solo una reale e oggettiva constatazione della situazione.
Comunque attendo di conoscere le proposte per le lotte di settembre…
Un abbraccio antagonista a tutte e tutti! Per la liberazione di tutti i prigionieri! Per l’abolizione di tutte le galere!

Carcere di Terni, 3 luglio 2013


LETTERA DAL CARCERE DI TERAMO
Cari fratelli carcerati ci siamo! Il mese di settembre, con lo sciopero indetto dal “coordinamento dei detenuti”, sarà un momento importantissimo per tutti noi. Finalmente avremo la possibilità di dimostrare a tutti che noi non restiamo in silenzio e che non ci limitiamo ad attendere alla finestra gli sviluppi che riguardano oggi il nostro presente e domani il futuro di migliaia di detenuti.
Con l’ iniziativa di settembre contribuiremo ad aprire una discussione sul tema delle carceri, che in questi ultimi mesi ha riempito le bocche di alcuni politicanti e porteremo fuori la realtà in cui viviamo, che condanna noi e le nostre famiglie ad abusi di ogni sorta. Se saremo uniti e determinati le nostre voci rimbomberanno in ogni luogo e così, come una pietra lanciata in uno stagno si allargheranno sempre di più toccando il cuore di chi è fuori.
La frase “tanto non otterremo niente“ e “se lo fanno gli altri lo faccio pure io“ dovete togliervela dalla mente, ora bisogna solo agire e credere che insieme si può.
Noi conosciamo benissimo le sofferenze che una carcerazione comporta e la nostra rassegnazione ha fatto sì che i nostri carcerieri (lo Stato) potessero fare contro di noi quello che volevano in spregio alle elementari regole civili.
Hanno ammazzato negli anni centinaia di noi, ci hanno mandato all’ospedale, ci hanno messo in isolamento, trasferito e umiliato senza che nessuno di noi si sia mai indignato ed oggi, con lo sciopero di settembre, potremo far sentire la nostra voce urlando a tutti che noi siamo degli esseri umani e non bestie al contrario loro. La riuscita dell’ iniziativa passa attraverso di noi, quindi diamoci da fare tutti!
Almeno noi che riceviamo l’opuscolo facciamo lo sciopero della fame e inviamo una nota ai quotidiani locali dicendo dell’iniziativa, poi parliamo con gli altri carcerati e illustriamogli la protesta invitandoli a diffonderla ai loro conoscenti detenuti nelle altre carceri e se siamo bravi facciamo anche una raccolta firme. Iniziamo a parlare con le persone più fidate poi sarà come un’onda che travolge ogni cosa. Ad oggi non sappiamo se l’iniziativa riuscirà o meno ma se non facciamo niente le cose non cambieranno mai. Ricordatevi che ogni conquista è stata ottenuta da una lotta. Vi saluto con una frase che ho fatto mia e che Ernesto Che Guevara coniò anni fa: “ chi lotta può perdere chi non lotta ha già perso “.

Davide
Teramo, 24 luglio 2013


trento: Resoconto dell’assemblea del 27 giugno
su carcere, repressione, lotte dei detenuti
L’assemblea ha preso il via da alcune considerazioni a carattere generale sul carcere come rapporto sociale e sull’articolazione sul territorio del dispositivo carcerario, successivamente ci si è concentrati in particolare sulla scadenza dei 20 giorni di mobilitazione proposti dal “coordinamento dei detenuti” per il mese di settembre. L’analisi e le proposte riguardati questo appuntamento specifico hanno consentito di toccare vari dei punti proposti nel testo di indizione dell’assemblea, mettendoli in relazione con un’occasione concreta.
Le occasioni di settembre: le mobilitazioni dei detenuti all’interno di alcune carceri dovrebbero partire il 10 settembre e proseguire per una ventina di giorni di lotta.
Il comunicato d’indizione della lotta lancia la proposta di uno sciopero della fame della durata di una settimana, seguito da un’altra settimana di mobilitazione per la quale la scelta delle modalità è lasciata ai detenuti delle singole carceri. È stata condivisa la necessità di approfittare del periodo estivo per divulgare il comunicato con la proposta all’interno delle carceri, spedendolo ai detenuti con cui si hanno contatti e volantinandolo ai colloqui con i parenti dei detenuti. È stato ritenuto un passaggio fondamentale capire come viene recepita questa proposta all’interno delle varie strutture carcerarie. Più in generale è stato sottolineata l’importanza del rapporto con i detenuti per le lotte che si apriranno a settembre.
Alcune riflessioni per una rinnovata lotta all’istituzione carceraria: considerando che il dispositivo carcerario non è rappresentato esclusivamente dalla struttura-carcere, ma è formato da enti istituzionali che lo gestiscono (ad esempio il D.A.P., particolarmente odiato dai detenuti), da figure giuridiche che decidono l’applicazione delle misure alternative o la concessione dei domiciliari (magistrati di sorveglianza), da cooperative o ditte che sfruttano la manodopera carceraria, da aziende che lucrano sul vitto dei detenuti e da persone o strutture che si occupano della “sanità” nelle galere.
Sono stati portati vari esempi su come questi rapporti rendano possibile il funzionamento concreto della struttura carceraria ed è stato ribadito che mappature locali sul funzionamento del dispositivo carcerario sono da considerarsi utili per capire nel dettaglio le dinamiche carcerarie ed il loro rapporto con la situazione locale e nazionale e per creare delle occasioni di intervento. Percorsi di approfondimento in questo senso sono già stati intrapresi da varie realtà. In sostanza, si è cercato di uscire dall’ambito specifico delle “tipiche” forme di solidarietà ai detenuti come il presidio sotto le mura del carcere (a cui però viene riconosciuta tutta la sua importanza) per cercare di riflettere su un’opposizione più diffusa, articolata ed efficace al dispositivo carcerario, con l’obiettivo di provare a mettere i bastoni tra le ruote del meccanismo della detenzione.
Cercando di calibrare le riflessioni precedenti sul terreno pratico dell’azione in solidarietà ai detenuti in lotta, è stato sollevato il problema di provare a raggiungere con questa lotta anche i non-detenuti, con iniziative nei quartieri delle città più toccati dal problema del carcere, visto che la funzione principale di quest’ultimo è e rimane quella della deterrenza. L’idea è di uscire dal giro stretto dei compagni che si occupano di questo ambito per far capire che il carcere non è così lontano dalla realtà quotidiana di uno sfruttato. Per riuscire a far ciò è importante avere un punto di unione fra la realtà quotidiana di un individuo ed il discorso anticarcerario.
E’ stato affrontato l’esempio dell’utilizzo degli psicofarmaci come strumento di oppressione sia all’interno che all’esterno delle mura carcerarie, inoltre è uscita la proposta di affrontare la discussione su “donne e carcere” da un’angolazione femminista.
Si è inoltre valutato che per le nostre possibilità può essere più efficace e incisivo coordinare all’interno di una stessa giornata presenze di vario tipo in alcune città in cui la mobilitazione dei detenuti avesse un’adesione ed un’intensità particolarmente significative, piuttosto che concentrarci sulla costruzione di un corteo nazionale (proposta presente nel comunicato del Coordinamento dei detenuti. La decisione di eventuali iniziative comuni è stata rimandata a quando si avrà un’idea più chiara della situazione dentro le carceri e dell’adesione alla mobilitazione. Si è ribadita l’importanza di mettere in campo, al di là delle chiamate che necessitano della presenza di compagni da più città, una molteplicità di iniziative locali che diano sostanza e diffusione sul territorio ai percorsi di solidarietà e che siano progettate sulla base delle caratteristiche delle singole situazioni locali.
Alcune proposte pratiche: ribadita l’importanza del mese di settembre per una rinnovata lotta all’istituzione carceraria, considerando che la situazione che si sta creando all’interno delle carceri non si presentava da tantissimi anni, si è provato a ragionare su alcune proposte di intervento pratico: approfittare di quello che rimane del periodo estivo per far circolare il più possibile la proposta di lotta a settembre fra i detenuti e i loro parenti o familiari, far uscire un manifesto comune (in fase di condivisione) tra varie città sulla mobilitazione dei detenuti, ritrovarsi in vista della mobilitazione di settembre per condividere idee e proposte, contattare le varie trasmissioni radio sul carcere in modo che diano supporto e facciano circolare le notizie relative alla lotta, mantenere “libero” il weekend del 20-21-22 settembre per coordinare iniziative a livello nazionale. Inoltre sono stati ricordati i presidi in programma sotto il carcere di Tolmezzo e di Udine indicativamente per la metà di agosto, oltre che il processo a Maurizio Alfieri e Valerio Crivello che si terrà il 7 ottobre a Udine. Infine si è ritenuto opportuno spostare l’assemblea nazionale su carcere e repressione proposta dall’Assemblea contro carcere e CIE della Lombardia da metà settembre alla seconda metà di ottobre, in modo tale da rincontrarsi dopo le varie scadenze dei prossimi due mesi (lo sciopero dei detenuti, il processo a Valerio e Maurizio, le giornate in solidarietà con gli arrestati per il 25 ottobre, il processo a Nicola e Alfredo, la ripresa del processo dell’operazione Outlaw).
Si è sottolineata l’importanza di incontrarsi fra i vari individui e varie realtà che hanno intenzione di solidarizzare con le mobilitazioni dei detenuti e di rinnovare la lotta contro il carcere e la società che lo crea, di confrontarsi su come sostenere le mobilitazioni nelle carceri sul proprio territorio e di proporre iniziative comuni.

compagni e compagne presenti all’assemblea
14 agosto 2013, da informa-azione.info


Sull’estate 2013 nelle carceri in Italia
La data del 10 settembre si sta avvicinando e sono già molte le attenzioni nate attorno alla mobilitazione che come “Coordinamento dei detenuti” abbiamo lanciato per dire basta alle condizioni disumane che migliaia di carcerati ogni giorno devono vivere.
Finalmente notiamo uno scatto di orgoglio da parte ci molti di noi e l’appoggio che ci viene dai tanti movimenti creano il giusto clima per iniziare questa prima grande mobilitazione che non sarà l’ultima.
La ferma convinzione che solo la lotta paga, è il nostro punto di riferimento e dall’insegnamento che ci viene delle battaglie fatte negli anni 70 e 80, che aprirono una nuova stagione e la conquista di migliori condizioni, noi vogliamo partire.
Oggi, come allora, necessaria una presa di coscienza di coloro che oggi sono reclusi e solo se saremo uniti, convinti e determinati riusciremo nei nostri intenti.
Nessuno può tirarsi indietro perché la situazione è veramente al collasso, noi in prima persona, così come i nostri cari, soprattutto i nostri bambini, siamo i diretti testimoni di questo scempio tutto italiano.
L’iniziativa che vedrà 8 giorni di sciopero della fame e 12 di mobilitazioni autodeterminate, vuole attirare l’attenzione dell’intera popolazione italiana sul tema carceri che negli ultimi mesi è tornato di moda tra i politici inconcludenti.
Abbiamo deciso pertanto di proclamare una mobilitazione nazionale per il mese di settembre, che avrà inizio il giorno 10 e fine il giorno 30 dello stesso mese.
E’ nostra intenzione far sentire la nostra voce e protestare contro la situazione esplosiva delle carceri italiane, la quale vede un sovraffollamento intollerabile con detenuti ammassati in celle lager, in condizioni igieniche e strutturali al limite dell’indecenza, speculazioni sui prezzi della mercede, sfruttamento vero e proprio nei confronti dei detenuti cosiddetti “lavoranti”, trattamenti inumani di ogni sorta, abusi di qualsiasi genere e troppo, troppo altro ancora.
Noi, lo ribadiamo, vogliamo che sia data una risposta al sovraffollamento,che l’art. 27 della Costituzione venga perseguito e non calpestato ma soprattutto chiediamo che vengano abolite le forme di tortura legalizzate quali il 41bis, 14bis e Alta Sorveglianza.
Facciamo inoltre nostre le rivendicazioni degli ergastolani in lotta. Non possiamo più restare in silenzio e accettare che migliaia di detenuti vengano trattati come bestie, noi abbiamo una dignità e vogliamo difenderla.
Chiediamo con questo comunicato a tutti i fratelli carcerati di appoggiare la nostra protesta legittima e quindi di impegnarsi al massimo affinché tutti sappiano che settembre sarà un mese di lotta.
Con il confronto, il passa-parola e la voglia di fare possiamo convincere i più titubanti, con la stesura di comunicati e raccolte di firme possiamo far uscire la nostra voce fuori da queste mura.
Fino ad oggi hanno potuto fare di noi quello che volevano, è arrivato il momento di alzare la testa e guardarli diritti negli occhi.

agosto 2013
Coordinamento dei detenuti


comunicato degli Arrestati NoTav del 19 luglio 2013
Come imputati dei fatti avvenuti il 19 luglio, sentiamo l’esigenza di esprimere la nostra più completa gratitudine a tutti e tutte quelli che in questi giorni ci hanno fatto arrivare la propria solidarietà. Gratitudine, ma è molto di più. Mai, nemmeno per un secondo, lo sconforto si è impossessato di noi, perché siete riusciti a farci sentire parte di quel qualcosa di immenso che è la comunità notav, comunità il cui cuore pulsante batte in valle, ma le cui vene scorrono ormai in tutta Italia (e oltre).
Scriviamo questo comunicato non solo per ringraziarvi, ma per chiedervi di allargare il vostro abbraccio a tutti i detenuti del carcere “Lorusso e Cotugno” e più in là a tutta la popolazione carceraria del nostro Paese. Infatti, dopo essere stati arrestati e maltrattati, dietro quelle sbarre abbiamo trovato solo facce amiche, persone solidali e fratelli. Lì dentro, in un contesto creato per cancellare la dignità e l’umanità, queste persone non hanno mai perso la propria.
Dal primo minuto siamo stati aiutati, medicati e protetti dagli altri detenuti. Durante tutta la nostra permanenza abbiamo parlato delle nostre esperienze di lotta con persone realmente interessate a capire le ragioni del movimento. D’altro canto, loro ci hanno raccontato di come il carcere ti toglie tutto, mirando a distruggerti come essere umano; ti mette alla mercè di persone abbruttite da un lavoro infame come quello del secondino.
Il valore della condivisione che in Valsusa abbiamo imparato a considerare sacro, in prigione è questione di vita o di morte. È proprio attraverso la condivisione che queste persone resistono ogni giorno. Quando si è reclusi, resistente lo diventi a forza, perché in ogni cella si resiste quotidianamente agli abusi, all’abbandono, al sovraffollamento.
Per queste ragioni vi stiamo chiedendo di mettere da parte tutti i pregiudizi e guardare alla galera in maniera diversa rispetto a quanto ci propina il mainstream. La vita, per uno che viene privato della propria libertà, è veramente difficile. Ma questa difficoltà non risiede nell’essere a stretto contatto con altri detenuti, bensì in una quotidianità fatta di cancelli, sbarre, divieti, ordini, insulti e prevaricazioni. Per questo, compagni e compagne, amici e amiche, vi chiediamo di sostenere la mobilitazione nazionale organizzata dai detenuti per il mese di settembre.
E a voi detenuti, che in questi giorni avete saputo farci sentire il vostro calore, diciamo questo: Non vi dimenticheremo mai, vi porteremo sempre con noi nei boschi e nelle città.
Continuate a resistere e a dare a chiunque la stessa accoglienza e solidarietà, ma soprattutto un po’ del vostro coraggio.
La vostra forza è stata un’importante lezione di vita. A sarà düra. Liberi tutti/e!

Arrestati NoTav del 19 luglio
30 luglio 2013, da infoaut.org

***
resoconto del presidio sotto il carcere di torino
Alcune centinaia di persone hanno partecipato oggi [21 luglio] ad un presidio convocato in giornata sotto il carcere delle Vallette di Torino nel quale si trovano rinchiusi i No Tav arrestati nella notte di venerdì.
Dalle ore 20 il campo di fronte alla cancellata che delimita l’area del carcere si è riempito di circa 300 persone che hanno fatto sentire la propria vicinanza ai No Tav in attesa dell’udienza di domani mattina nella quale il giudice deciderà se convalidare o meno gli arresti. Grazie ai cori e agli slogan scanditi a gran voce le centinaia di solidali sono riusciti a segnalare la propria presenza e a far arrivare il messaggio oltre le mura del carcere per far sentire ai compagni e alle compagne rinchiusi la vicinanza e il calore del movimento No Tav che da subito si è stretto attorno agli arrestati.
Durante il presidio alcuni detenuti hanno risposto al saluto solidale portato questa sera sporgendosi dalle sbarre delle celle e sventolando alcuni indumenti mentre da fuori venivano ricordati i nomi di tutti e 7 gli arrestati seguiti dal grido di ‘libero!’.
Il presidio si è sciolto dopo circa un’ora con l’esplosione di alcuni fuochi d’artificio mentre centinaia di persone si allontanavano con un breve corteo…
Ennio, Luke, Marcello, Piero, Matthias, Gabriele, Alberto liberi subito!
Si parte e si torna insieme!

21 luglio 2013
da infoaut.org

A tutti, tranne Gabriele, sottoposto all’obbligo nel comune di Milano, martedì sono stati imposti gli arresti domiciliari.
Qualche giorno prima, sempre su iniziativa della procura di Torino, sono stati invece arrestati i compagni Giorgio e Frank per “aver infranto l’obbligo di dimora”.
Erano stati sottoposti all’ “obbligo di dimora” oltre un anno fa in seguito alla manifestazione No Tav del 1° maggio 2012 per la liberazione degli arrestati del 26 gennaio 2012. Giorgio era stato relegato a Brescia, mentre da anni viveva a Torino; Frank era stato ristretto in uno spizzico del quartiere Barriera di Milano (Torino).
A metà luglio 2013 sono stati arrestati e portati nelle carceri di Brescia e di Torino.


lettera dal carcere di torino
Carissime compagne e compagni di lotta vi abbraccio tutti.
Grazie di tutto quanto state facendo per me, il mio pensiero va a voi che resistete in Clarea od ovunque sia. Il morale è alto e sono in forma (mi alleno per tornare a correre dietro a Giacu in Clarea).
Avrei voluto dirvi di non spendere energie per me, ma di concentrarvi nella lotta.
Non temo nulla perchè la mia famiglia è una stirpe di partigiani "sfrosatori", scampati o internati nei lager, montanari scesi in miniera o nelle officine, che mi hanno insegnato a lottare per i miei ideali anche di fronte alle pallottole del nemico, ai padroni prepotenti, alle guardie in divisa.
Ma credo ci sia ora un'esigenza politica che va oltre la mia vicenda personale, che si evince anche dalle parole del gip nel rigettare la scarcerazione, cioè che " le azioni [...] appaiano estranee ai motivi della protesta no-tav".
Ora, l'uso di gravi imputazioni, come anche quella di associazione sovversiva, sono il tentativo di delegittimare ogni opposizione che non sia simbolica.
Dobbiamo opporci a tali castelli accusatori perchè se passassero ce li troveremmo davanti domani ad ogni passo.
Evidentemente blocco e picchetto sono due strumenti molto fastidiosi, pensiamo anche alle lotte della logistica: anche lì fogli di via, accuse di furto e via andare.
Ma il blocco è un patrimonio storico di tutti i movimenti di lotta e come tale va difeso.
Dunque può valere la pena dare un segnale di unità sotto queste mura per poi tornare nel cuore della lotta. Ogni cosa fatta per contrastare il TAV la considererò anche in solidarietà mia e degli altri indagati che abbiamo.
Se permettete una riflessione, credo ci troviamo in una fase di guerra "totale" dove c'è una regia unica a manovrare l'informazione, l'operato poliziesco e dei magistrati, la politica e l'esecuzione dell'opera.
L'intervento in Val di Susa è militare e tutto si subordina ad esso.
Lo vediamo con il decreto di allargamento della "zona rossa", ma ancor più con l'uso dei "bravi ragazzi", che dopo i massacri delle popolazioni delle montagne afgane ora hanno girato i fucile verso "casa". Si allenano a contenere il malcontento che la guerra del capitale contro di noi non mancherà di creare.
A mio parere, quindi, dovremmo guardare anche a quello che accade fuori dalla valle.
Per l'oggi invece direi di non disperare. La repressione è forte perchè il movimento oggi è un problema più grosso di un tempo. Non sottovalutiamo quanto fatto finora: l'accanimento dimostra che non ritengono possibile portare avanti l'opera con questo livello di opposizione. Quindi, senza prestare il fianco alla repressione, continuiamo con la varietà delle inizitive e con l'osservazione del cantiere. Come dice Mimmo "l'importante è non stare a casa davanti al televisore" (o al computer).
Questa è la nostra forza, ognuno può fare un pezzettino perchè la valle diventi impossibile per cantiere e occupanti. Occhi aperti e buona lotta.
"NOI FELICI QUANDO VOI ARRABBIATI" (Giacu). Ciao, Giobbe.

Vallette, dessét de Agost
Davide Giacobbe C. C. “Lorusso e Cutugno”, Via M. A. Aglietta 35 - 10151 Torino

***
Martedì 13 agosto, verso le 19, il nostro compagno Giobbe, è stato arrestato su mandato della Procura di Torino (i soliti p.m. Rinaudo e Padalino), mentre si trovava in casa propria a Dumenza. La casa è stata perquisita dalla Digos di Torino e di Varese.
Sono stati sequestrati due pc, materiale stampato, appunti personali, una maglietta No TAV, un foulard da ciclismo. I reati per cui è indagato, in concorso con altri, sono: tentata rapina, sequestro di persona, violenza e minacce contro pubblico ufficiale, resistenza a pubblico ufficiale. L’episodio, risalente al novembre 2012, riguarda un poliziotto che scattava fotografie a Chiomonte (Val Susa). Per gli stessi fatti sono indagati altri due No TAV. Ora si trova nel carcere di Torino.
Giobbe è un anarchico ed è fra quelli che più generosamente partecipano alle lotte contro il Treno ad Alta Velocità in Val Susa e non solo. Proprio dai comitati popolari che animano i presidi e le assemblee della “valle che resiste” sono giunti infatti i primi messaggi e comunicati solidarietà.
Anche in provincia di Varese è sempre presente, insieme a tutti noi, nelle lotte contro le grandi opere che distruggono il territorio, contro il razzismo, per gli spazi sociali autogestiti, contro l’orribile assassinio di Giuseppe Uva avvenuto a Varese nel 2008, in seguito ad un fermo effettuato da carabinieri e polizia.
Quindi per noi Giobbe non è né colpevole né innocente, ma un compagno che lotta da sempre in prima persona contro le devastazioni ambientali e sociali.
In questo momento di crisi, in cui il rischio di esplosione di conflitti sociali si fa sempre più alto, arrestando chi lotta lo Stato spera di criminalizzare e indebolire il movimento.
IL MOVIMENTO NON SI ARRESTA
LIBERTÀ PER GIOBBE, LIBERTÀ PER TUTTE E TUTTI
A SARÀ DURA! (PER LORO)

14 agosto 2013
Kinesis (Tradate), Anarchiche e anarchici del Varesotto, TeLOS squat (Saronno), Collettivo Ultimi Mohicani (Gallarate), Assemblea popolare No elcon

Il 27 agosto Giobbee è stato dato l’obbligo di dimora e il rientro notturno.

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Resoconto del presidio alle “Vallette” di Torino
Centinaia i notav che ieri 18 agosto hanno portato il proprio saluto a Giobbe, notav arrestato il 13 agosto per i fatti del 16 aprile 2012.
Ingente lo schieramento di polizia e carabinieri che fin da subito si sono dimostrati nervosi e provocatori: arrivati all’appuntamento davanti al capolinea del 3, i notav sono stati bloccati da polizia e carabinieri che in assetto antisommossa impedivano di giungere al presidio indetto da giorni. La determinazione e la rabbia per l’ulteriore arresto, commissionato dalla procura torinese tramite i mastini pm Rinaudo e Padalino, non ha fermato i notav che, facendosi largo fra lo schieramento di polizia e carabinieri, ha raggiunto il punto d’incontro.
Invaso il campo di fronte al carcere, l’impianto audio dei notav comincia a mandare messaggi di solidarietà a tutti i detenuti, salutando Giobbe con cori e slogan, ribadendo che la valle non si arresta, che la lotta notav continua. Interventi e musica per un’ ora, dopodiché il presidio si sposta sul lato opposto, sempre sul prato, sempre in tanti e tante. Qui l’arroganza poliziesca si fa più incisiva, cercando di fermare i notav ad arrivare alle sbarre di recinzione del carcere per evitare la battitura, modalità consueta per farsi sentire dai detenuti rinchiusi nel carcere.
La stupidità e l’arroganza delle forze dell’ordine fa sì che si accaniscano su un notav, un signore sulla sedia a rotelle deciso ad arrivare alle sbarre di recinzione del carcere per far la battitura. L’apparato poliziesco cerca di dissuadere il notav dal suo intento, circondandolo, intimandogli verbalmente di allontanarsi, il tutto sotto lo sguardo vigile e attento dei notav. I notav cominciano a far pressione sulla polizia, riuscendo a spostare l’attenzione poliziesca su altri notav che nel frattempo si erano dislocati sul perimetro del carcere per la battitura. Ancora una volta i notav riescono ad eludere le forze poliziesche che di fronte ai numeri e alla determinazione fanno “finta” di gestire una situazione a loro ingestibile. Battiture, interventi e come finale, anche questo ormai consueto, si lanciano alcuni fuochi d’artificio come ultimo saluto della giornata.
Giobbe libero, liberi tutti e tutte!
19 agosto 2013, da notav.info

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Resoconto 14a udienza (19 luglio 2013) del processone Notav e qualche nota sulla passeggiata notturna in valle compiuto nella notte dello stesso giorno
E’ stata una bella giornata. E’ concentrata sul “controesame” da parte della difesa del capo della Digos di Torino, Petronzi. Dopo poco meno di un’ora di quell’ascolto i compagni “imputati”, cogliendo l’occasione di una diatriba procedurale che ferma il “controesame” e la protesta di un avvocato della difesa, rintuzzato da pm e co. (interviene senza indossare la toga, perché “in quell’aula, differentemente da ogni altra aula di tribunale, non ci sono toghe”), uno di noi inizia a leggere una dichiarazione comune di protesta contro la prosecuzione del processo nell’aula bunker. Questo il testo:
“Alcuna motivazione ‘tecnica’ è stata addotta per giustificare la permanenza di questo processo nell’Aula bunker delle Vallette. Per il semplice fatto che non vi è alcuna esigenza di carattere tecnico nella scelta di questo Tribunale nel voler permanere in questa aula, che già da sola caratterizza il valore di un procedimento.
Da parte della Procura torinese vi è solamente una scelta ‘politica’. Voler appunto caratterizzare il Processo al Movimento No Tav come un processo a pericolosi criminali.
La Procura ha ben dimostrato che essa è schierata dalla parte di un’opera inutile, distruttiva, solo dispendiosa di denaro pubblico.
Il rifiuto di voler accertare la Verità sul comportamento illegale di taluni operatori in divisa al momento degli arresti del 3 luglio. La manipolazione accertata delle prove, con la cancellazione di parti di video in cui appunto si evidenzia il comportamento illegale degli agenti di polizia e carabinieri. Il non voler accertare un utilizzo spropositato della forza (4357 candelotti al gas C.S. lanciati in un arco di tempo di circa 5/6 ore il 3 luglio), la pone in condizione di non essere garante di alcuna giustizia.
Allora si ricorre ad una campagna denigratoria e di criminalizzazione di tutto il Movimento No Tav. Giù le mani dalla Valsusa! Il movimento NoTav non si arresta!”
Nonostante il parere e l’agire contrario di tribunale, pm e carabinieri, il compagno protetto da noi tutti porta a termine la lettura.
Mentre si lascia l’aula si urla, fra l’altro, “Giù le mani dalla Val Susa” e si dichiara la volontà di lasciare l’aula anche per andare a portare un saluto a Frank, arrestato nei giorni scorsi e rinchiuso nell’adiacente carcere delle Vallette e a tutte le persone chiuse lì. Usciamo insieme al “pubblico” composto da venti-trenta persone, e assieme, con furgone e casse andiamo a portare il saluto, a far sentire la nostra solidarietà anche con interventi di sostegno alle donne imprigionate lì, alla resistenza e proteste individuali-collettive che si sviluppano dentro, in particolare facendo riferimento alla mobilitazione di settembre.
Alcuni “imputati” e compagni/e del “pubblico” decidono di rientrare per seguire il “controesame”; a quattro di noi viene detto che non è possibile rientrare perché considerati, per quel giorno, “espulsi dall’aula”.
La prossima udienza è fissata per l’11 ottobre 2013.

Milano, 19 luglio 2013
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perquisizioni in valle
Il 29 luglio, le case di 11 attivisti no tav di Torino e della Valle, assieme all’osteria la Credenza di Bussoleno, sono state perquisite dalla Digos su mandato dei PM Rinaudo e Padalino, gli stessi magistrati che hanno autorizzato in diretta le violenze delle forze dell’ordine contro i no tav durante la passeggiata notturna del 19 luglio in Valsusa.
Durante le perquisizioni sono stati consegnati degli avvisi di garanzia con l’accusa di “attentato con finalità di terrorismo”. L’accusa si riferisce alla passeggiata notturna del 10 luglio contro il cantiere-fortino del TAV in Val Clarea, nel corso della quale decine di no tav avevano danneggiato le recinzioni.
Il Partito Unico della Polizia che è al governo ha fatto un altro passo nella repressione del movimento no tav. Dopo i gas lacrimogeni, le manganellate, la distruzione dei presìdi no tav, i fogli di via, i divieti di dimora e gli arresti, ora arriva l’accusa di “terrorismo”.
Così come le forme e gli strumenti della guerra – filo spinato, soldati, Lince – hanno da tempo abolito ogni separazione fra “civile” e “militare”, fra “esterno” e “interno”, portando nei nostri territori ciò che pensavamo lontano, allo stesso modo accuse mosse per anni alle minoranze rivoluzionarie vengono oggi usate per impaurire e fermare un movimento di lotta sociale.
Quando sono in gioco i suoi interessi, l’intera classe dominante si compatta. La campagna mediatica, volta a presentare i no tav come “terroristi”, ha preparato il terreno per le manganellate del 19 luglio e per queste perquisizioni. Da un certo punto di vista, i termini del conflitto diventano sempre più chiari.
Ci troviamo ora a dire, rispetto alla lotta in Valle, ciò che abbiamo detto fin troppo spesso rispetto ad operazioni repressive contro compagne e compagni. Se il terrorismo, come fino a non molto tempo fa riportavano persino i dizionari, è “l’uso indiscriminato della violenza al fine di conquistare, consolidare e difendere il potere politico”, gli unici terroristi sono lo Stato, i padroni e i loro servitori. Mai chi si batte per la liberazione degli esseri viventi e della terra.
Non ci interessa sapere se i no tav perquisiti abbiano o meno partecipato ai danneggiamenti del cantiere della Clarea. Ciò che sappiamo è che le azioni dirette e i sabotaggi contro la macchina del TAV continuano, e che nessuna repressione potrà fermarli. Ciò che sappiamo è che quei danneggiamenti erano giusti. Se i perquisiti sono "innocenti", hanno tutta la nostra solidarietà. Se sono "colpevoli", ce l'hanno ancora di più. Ciò che lorsignori non possono proprio tollerare è che il movimento no tav – che continua a resistere dopo più di vent’anni di lotta – abbia negli ultimi mesi assunto in modo chiaro la pratica del sabotaggio, distinguendo nettamente il piano dell'etica da quello della legge.
Per questo strillano al "terrorismo". In questo mondo alla rovescia, fracassare le teste dei manifestanti è perfettamente legittimo (come ha ribadito senza fronzoli il democratico Esposito...), mentre attaccare ciò che devasta i boschi e la vita di chi li abita sarebbe "terrorismo".
Chi perpetra quotidianamente la violenza indiscriminata – con la guerra, con lo sfruttamento, con l'inquinamento dell'aria e della terra, con la manipolazione delle più piccole particelle della vita – definisce "attentato con finalità di terrorismo" la resistenza e l'azione dei no tav. La violenza che il potere esercita sul linguaggio riflette e protegge la violenza che esso esercita sugli esseri viventi.
Lo Stato può militarizzare una valle intera e mistificare il senso delle parole. Ma non può fermare un movimento capace di intrecciare con determinazione e fantasia le diverse forme di lotta, dal presidio al blocco al sabotaggio, dal campeggio alla camminata all'azione decentrata e imprevedibile.
Ogni pianificazione repressiva ha i suoi imprevisti. L'imprevisto siamo noi. Perché possiamo essere dappertutto. Perché i nostri cuori non si possono perquisire.
Solidarietà a tutte e a tutti i no tav colpiti dalla repressione.
TRIVELLE E RECINZIONI NON NE VOGLIAMO PIÙ COLPO SU COLPO, LE TIREREMO GIÙ

29 luglio 2013
anarchiche e anarchici di Rovereto e di Trento
da informa-azione.info

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All'alba di martedì 27 agosto 2013, la procura di Torino (Caselli) con i soliti pm passionari della repressione (Padalino e Rinaudo) ha disposto diverse perquisizioni e misure cautelari a carico di resistenti No Tav, inquisiti per alcuni episodi avvenuti nel corso del tentativo di bloccare i tir che trasportavano gli elementi della "talpa". Per il momento si è a conoscenza di 6 perquisizioni e 4 misure cautelari di obbligo di dimora e rientro notturno in Valle di Susa; 2 perquisizioni e un'analoga misura cautelare anche a Genova, a carico di un compagno. La procura di Torino, a poche settimane dalla sperimentazione repressiva finalizzata a sovrapporre il reato di terrorismo a episodi di scontro di piazza (o di valle), cerca ora di appioppare i reati di "violenza privata" e soprattutto di "sequestro di persona" per la pratica dei blocchi stradali.

liberamente estratti da notav.info, 27 agosto 2013

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Aggiornamento ore 11,30: l’operazione nei confronti di Giuliano, iniziata stamane all’alba, si è conclusa. Come riportato da alcuni giornali si tratterebbe di un’indagine rispetto la giornata della marcia no tav degli over 50, in cui la magistratura torinese accusa Giuliano di “intimidazione” ai danni di una persona di cui viene celata l’identità. Non sorprende nessuno che, anche in questo caso, Giuliano sia un attivista del movimento con la passione della fotografia, infatti dalla sua casa, oltre pochi indumenti, sono state sequestrate tutte le sue macchine fotografiche professionali, pc, hard disk e telefoni cellulari.
Da riportare l’aggressività con cui tale operazione è stata eseguita, con la digos che arrivando in casa ha svegliato volutamente tutto il palazzo, non ha subito rivelato i motivi della perquisizione (sono in realtà tenuti a mostrare l’atto prima della perquisizione) ed ha impedito a Giuliano di avvisare l’avvocato e lasciare i verbali alla sua compagna, portandolo via per l’identificazione in Questura, con l’obiettivo di non far trapelare informazioni immediate a parenti, amici e il movimento tutto.
Dopo le perquisizioni di ieri mattina, quella di oggi si aggiunge alla lunga serie di intimidazioni che la procura torinese capitanata da Caselli sta perpetuando a danni degli attivisti del movimento No tav, alla ricerca ossessiva e compulsiva di qualche presunto reato da sbattere in prima pagina, per continuare la campagna mediatica sostenuta dalla lobby del Tav. Semplicemente ridicoli, il movimento resta unito e respinge al mittende tutte le accuse. Solidarietà a Giuliano!

da notav.info, 28 agosto 2013

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Claudia, Marianna e Simona condannate a 8 mesi
Claudia, Marianna e Simona sono state condannate in primo grado a 8 mesi di carcere ciascuna per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, al termine dell’occupazione dell’Unep dell’11 marzo scorso. Per quanto riguarda le misure di custodia cautelare cui Marianna e Simona sono sottoposte (vale a dire arresti domiciliari con tutte le restrizioni), il giudice si è riservato di decidere nei prossimi giorni. Per questo motivo, entrambe continuano determinate il loro sciopero della fame per chiedere la revoca delle restrizioni.
Arrivate alla stazione di Porta Susa, le imputate hanno trovato ad attenderle un nutrito gruppo di compagni e solidali, che le ha accompagnate a debita distanza con un breve corteo. All’ingresso del tribunale un cordone di celere ha impedito ai solidali di entrare in massa, lasciando passare due o tre persone per volta “per non intasare i tornelli”, fino al riempimento della piccola aula in cui si teneva l’udienza.

19 luglio 2013
da www.autistici.org/macerie


Sempre in marcia, la Valle non si arresta!
A proposito della passeggiata notturna del 19 luglio
Durante la passeggiata notturna in Val Clarea, le forze dell’ordine hanno caricato il movimento No Tav che cercava di raggiungere il cantiere tramite i sentieri; è evidente che la brutalità dell’aggressione non è stata dettata dal caso, ma dalla precisa volontà di fare molti feriti e arresti. Il bilancio dei fermati di venerdì è di 9 persone: per 7 di loro è stato confermato l'arresto, mentre gli altri due denunciati a piede libero sono stati portati ieri in ospedale per le pesanti ferite causategli dall'aggressione della polizia.
Marta ha subito una frattura al braccio e la lacerazione del labbro, dopo essere stata percossa a freddo ripetutamente e palpeggiata mentre veniva portata all’interno del cantiere. Mattia di 17 anni è stato portato all’ospedale diverse ore dopo il fermo, in stato di incoscienza, dopo aver subito un lungo e violento pestaggio da parte dei carabinieri.
La polizia ha sparato centinaia di lacrimogeni ad altezza uomo utilizzando i candelotti come proiettili. Questo attacco subito nei sentieri e nelle vigne è diretto all’intero movimento, non solo per ferire i presenti ma anche per intimorire tutta la Valle.
Sono da rimarcare anche le responsabilità della Procura, che venerdì era presente all'interno del cantiere, nelle figure degli ormai immancabili pm Rinaudo e Padalino, protagonisti di un vero e proprio accanimento contro i No TAV. La loro presenza dentro il cantiere durante le cariche della polizia è un fatto anomalo, che rivela l’intenzione premeditata di colpire il Movimento con gli arresti, per impedire la possibilità di recarsi in Clarea, di manifestare e resistere alla devastazione della Valle.
Come in Clarea viene istituita una zona rossa, in cui la circolazione è impedita in funzione del proseguimento dell’opera di devastazione, così anche a Susa e nei comuni della Valle la polizia attua forme di controllo del territorio tipiche delle occupazioni militari, con posti di blocco diffusi, perquisizioni e identificazioni. La presenza massiccia all’hotel Napoleon di Susa degli stessi responsabili dei pestaggi della scorsa notte è un fatto inaccettabile per chi ha a cuore la Valle e lotta per difenderla. Le squadre di carabinieri in borghese per le vie del centro, tra bar, edicola e pizzeria, non sono ospiti graditi, ma truppe di occupazione.
E’ il momento di restare vicini ai ragazzi arrestati e a tutti i feriti. Nonostante il duro attacco subito la forza più grande del Movimento No TAV sta nella capacità di continuare a testa alta a partire dalla solidarietà e dall’affetto comune che ci lega nella lotta. Ribadiamo una volta di più che non sarà certo l'inasprimento della stretta repressiva o l'atteggiamento sempre più spregiudicato delle truppe di occupazione a fermare il Movimento e impedire ai No TAV di tornare a solcare i sentieri della val Clarea. [...]

da www.autistici.org/mailman/listinfo/chebello

Seguono stralci dall’intervista fatta a Mattia (compagno di 17 anni di Mi), fra i fermati la notte fra il 19-20 luglio in valle Clarea, pestato, portato in ospedale a Rivoli (To), dimesso e liberato dopo oltre 10 ore, comunque denunciato per “violenza… interruzione di pubblico ufficio… in concorso…”. L’intervista è realizzata a Venaus, subito dopo l’uscita dall’ospedale, da TG Maddalena “Informare per resistere”.

...mi sono voltato e ho visto dei carabinieri in tenuta antisommossa avanzare verso di noi, ho girato dall’altra parte dove ho trovato un muro di persone che mi impediva di andare oltre… i carabinieri mi sono arrivati addosso, mi hanno buttato a terra, si sono accaniti con calci, manganellate… ho un momento in cui non ricordo cos’è successo…
mi sono svegliato ai bordi di una strada asfaltata, mi hanno dato una bottiglia d’acqua, ero una maschera di sangue… ho aspettato un’ora e mezzo che arrivasse un’autoambulanza… al primo ospedale mi hanno rifiutato, al secondo (Rivoli, vicino a Torino) mi hanno preso hanno detto che non mi avrebbero più ricoverato, che ci avrebbero pensato loro…
Era la prima volta che venivo in valle… ci sono venuto perché è un movimento che dura da 20 anni… se mai nella mia vita intraprenderò delle lotte spero che le generazioni future le portino avanti nel caso non riesca a concluderle… quindi ora che sono giovane dò una mano a chi ha portato avanti questa lotta per 20 anni e si è fatto il culo quando io ancora non sapevo nemmeno distinguere…
Tornerò assolutamente a manifestare in val di Susa… assolutamente solo in questo momento, è una parola che non mi piace… tornerò perché non è giusto che ci siano questi soprusi… è bene far conoscere queste storie ed è bene continuare queste esperienze che mi danno altre forze, altra energia per combattere…


il decreto contro il femminicidio è un paravento
Approfittando della calura estiva, che rende tutti un po’ più disattenti, giovedì scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge – che, in quanto tale, è immediatamente attuativo, anche se dovrà essere approvato dal Parlamento entro 60 giorni – intitolato «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province».
Tale decreto, il cui testo completo non è ancora stato reso noto ma di cui è stata diffusa una sintesi, costituisce un vero e proprio «pacchetto sicurezza» che, come i suoi illustri predecessori, è stato presentato all’opinione pubblica sotto tutt’altra veste.
In questo caso, Letta e il suo governo – seguiti acriticamente da tutti i principali media e anche da personaggi celebrati da una certa “sinistra”, come la presidente della Camera Boldrini, che con un tweet si è dichiarata soddisfatta del dl – hanno presentato questo insieme di misure come l’inizio «di una lotta senza quartiere contro il femminicidio», come «un intervento duro di contrasto al femminicidio».
Una serie di misure che – agli occhi dell’opinione pubblica – potrebbero apparire come frutto di un nobile intento ma che, in realtà, dimostrano ancora una volta come il tema della violenza contro le donne venga utilizzato strumentalmente ai fini delle politiche securitarie e repressive.
E se, nel passato, alcuni orribili stupri erano stati utilizzati come volano per promuovere legislazioni restrittive e razziste contro gli immigrati, ora il governo sussume l’obiezione che le compagne e i compagni gli hanno più spesso mosso negli anni, ovvero che la violenza contro le donne avviene nella stragrande maggioranza dei casi tra le mura domestiche, o comunque a opera di parenti, partners, amici o conoscenti e non per mano del «barbaro» e dello «straniero».
È così stato approvato questo pacchetto di misure che, dietro il paravento della prevenzione e della repressione di tali violenze, cerca di far passare norme che reprimono le forme più forti e vitali di mobilitazioni politiche e sociali di questo periodo: prima tra tutte, ovviamente, la lotta contro il Tav in Valsusa.
Se teniamo conto che, secondo l’articolo 77 della Costituzione, il Consiglio dei ministri può emanare decreti legge solo «in casi straordinari di necessità e d’urgenza», si capisce infatti immediatamente che non sono tali per il governo né il femminicidio (di cui non si è mai curato finora), né i furti di rame (attività che prosegue indefessa dall’immediato dopoguerra), né le rapine ai danni degli over 65 anni, né il furto informatico di identità, né tanto meno il prolungamento della possibilità di arresto differito per gli ultras, ma proprio la lotta contro il Tav in Valsusa.
Del resto è stato lo stesso Letta ad affermare in conferenza stampa che il pacchetto riguarda «alcuni aspetti che riteniamo in questo momento fondamentali» e la stessa sintesi sul sito del governo parla di un’iniziativa legislativa mossa «dalla unitaria esigenza di porre mano alle più evidenti necessità di prevenzione e contrasto di fenomeni delinquenziali divenuti particolarmente acuti».
Nelle ultime settimane, si è assistito a una vera e propria escalation della repressione contro il movimento No Tav: tanto con la sperimentazione di nuove forme di repressione delle manifestazioni (che hanno portato sia all’arresto di Piero, Matthias e di altri 5 compagni durante la passeggiata notturna del 19 luglio, sia al fermo di decine di persone e all’arresto di 3 compagni durate lo sgombero del presidio di Chianocco lungo l’autostrada martedì scorso), quanto con la contestazione, per la prima volta, dell’accusa di «attentato per finalità terroristiche o di eversione» (articolo 280 del codice penale, che tra l’altro riguarda l’omicidio o il tentato omicidio) ai e alle militanti No Tav raggiunti da avvisi di garanzia e perquisiti lo scorso 29 luglio. Un’accusa, questa, che anche in assenza di cose consente perquisizioni e lunghi periodi detentivi.
Nel caso del nuovo pacchetto sicurezza, le misure previste contro il movimento No Tav sono tutt’ora un mistero. E non pensiamo che la scelta del governo sia casuale. Stranamente, infatti, non se ne fa cenno nella sintesi del decreto legge presente sul sito del governo, nonostante tale provvedimento sia stato annunciato dal ministro dell’Interno Alfano nella conferenza stampa di presentazione del «pacchetto». Una conferenza che forse vale la pena di vedere integralmente, anche per farsi due risate sulle scarse capacità oratorie del ministro (ad un certo punto parla di «anni di sperimentazione dello stalking»: il governo sperimenta lo stalking?). In particolare, dal minuto 20.40, Alfano – sospirando quasi in modo imbarazzato (forse perché non sa quali parole usare per dire senza dire) – afferma:
“Un’ulteriore decisione riguarda anche il principio che quando lo Stato decide un’opera pubblica, quell’opera pubblica deve essere realizzata e coloro i quali aiutano lo Stato a realizzare il proprio intendimenti vanno difesi. Per cui d’ora in poi anche gli ingressi abusivi nei cantieri di Chiomonte e della stazione di Susa saranno puniti con la sanzione più rigorosa prevista per tutte le introduzioni in luoghi di interesse strategico”.
Parole dure, che non nascondono una visione autoritaria dei rapporti tra lo Stato e i cittadini. Posto che le pene per gli eventuali reati vengono decisi dalla magistratura e non dal governo e che la legge è uguale per tutti (non ci può quindi essere una legge specifica per i No Tav), ci chiediamo quindi cosa abbia voluto dire Alfano in questo misterioso passaggio: quali possono essere queste sanzioni più rigorose? Sparare contro i manifestanti, forse? Un’indicazione viene forse dalla «Stampa» che, in un articolo, afferma che l’articolo 10 del decreto legge abbia il titolo, definito dallo stesso quotidiano torinese come minaccioso, «Norme in materia di concorso delle Forze armate nel controllo del territorio e per la realizzazione del corridoio Torino-Lione, nonché in materia di istituti di pena militari». Secondo il «Messaggero», il dl prevede che «l’accesso abusivo nei cantieri Tav Torino-Lione sia esteso anche ad un altro tratto dell’opera». Quello che non è chiaro, tuttavia, è se il cambiamento delle funzioni dell’esercito nel controllo del territorio (nella sintesi si parla di «nuove norme anche per quanto riguarda una maggiore flessibilità dell’impiego del contingente di 1.250 appartenenti alle Forze armate nel controllo del territorio stabilendo che questo possa essere impiegato anche per compiti diversi dai servizi di perlustrazione e pattugliamento») – un provvedimento già grave di per sé, che conferma la tendenza a utilizzare l’esercito in funzioni di ordine pubblico, come già si fece a Napoli nel 2008 durante «l’emergenza rifiuti» – riguardi anche la Valsusa.
Non è chiaro, quindi, cosa il governo abbia previsto questa volta per il movimento No Tav, ma siamo certi che anche questa volta troveranno pane per i loro denti: in quella Valle non passerà mai una linea ad alta velocità. […]

10 agosto 2013
da militant-blog.org


roma: resoconto del processo ai 18 compagni indagati per i fatti del 15 ottobre 2011
Tribunale di Roma, 18 Luglio, Aula 6 dibattimentale.
Fuori dal tribunale é presente un presidio con ben 200 solidali agli imputati. Dentro l'udienza prevista per le 10 inizia quasi a mezzogiorno sono presenti tra imputati e solidali una decina di compagn@.
Molti imputati non hanno potuto presenziare vista la lontananza da Roma delle loro abitazioni. Già all'ingresso in aula si capisce che l'atmosfera e il processo non saranno per niente "normali": sono presenti a presidiare l'aula ben una ventina di agenti in divisa tra carabinieri e polizia più i soliti digos in borghese.
Un compagno in custodia cautelare ai domiciliari con ancora il divieto di comunicazione é scortato in aula da tre agenti della polizia penitenziaria che lo cureranno per tutto il processo impedendogli di scambiare qualche parola e neanche un saluto con i suoi coimputati men che meno con i solidali presenti in aula. Appare ovvio come la volontà della corte sia di isolare gli indagati per farli sentire soli durante questo processo, nel quale, ricordiamo, sono accusati di “devastazione e saccheggio” e “resisenza”; in più tre di loro pure per “tentato omicidio”.
Questa volontà si manifesta subito all'inizio dell'udienza quando la corte rigetta tutte le richieste di modifica delle custodie: chi era in obbligo di firma ci rimane e così pure coloro ai domiciliari. A nulla sono servite le richieste dei difensori che hanno fatto notare come queste custodie vadano avanti ormai da 8 mesi.
L'udienza è molto tecnica si tratta di valutare le ammissioni delle “parti offese” e le eccezioni presentate dai nostri legali. Le obiezioni le ha sollevate principalmente la Banca del Lazio, che ha presentato in cancelleria i suoi atti in ritardo; e le municipalizzate che ormai hanno preso come prassi il presentarsi come parte civile in ogni processo. L' Atac, l'azienda di trasporti romana, riesce a raggiungere quasi l'assurdo chiedendo ai compagn@ i danni per i ritardi e i cambi di percorso degli autubus, cambi che, come i difensori hanno fatto notare, erano stati precedentemente concordati con la questura come avviene in ogni manifestazione pubblica. Alla fine nonostante le obiezioni tutte le parti civili sono accettate dalla corte. Eventuali eccezioni verranno discusse in dibattimento.
Come “parti civili” si sono presentati, in conclusione: i ministeri Interno, Difesa, Economia e Finanza; Comune di Roma; a.m.a., a.t.a.c., supermercato Elite, distributore Eni, Man Power, Banca del Lazio.
La seconda parte dell'udienza ha riguardato l'ammissione delle prove da parte dell'accusa. Il presidente si dà un gran da fare per calmare i nostri legali. La questione verte su più di 100 ore di riprese video presentate dall'accusa. I difensori chiedono di poter sapere con certezza quali parti di questi video si riferiscono a ciascun imputato. Anche in questa controversia la corte dà ragione all'accusa accettando tutte le 100 ore di video senza riferimenti specifici.
Alla fine la corte ha calendarizzato le prossime udienze fissandone ben 8 entro dicembre, a dimostrazione di quanto voglia andare spedita in questo procedimento.
Il processo riprende il 16 settembre ore 9:00 aula 6 dibattimentale tribunale di Roma.

Milano, luglio 2013

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Segue la lettera di uno degli imputati agli arresti domiciliari.

Ciao a tutti, sono Francesco mi trovo agli arresti domiciliari da ormai 9 mesi per i fatti accaduti a Roma il 15 ottobre 2011.
Durante le più o meno lunghe giornate trascorse tra le mura di casa ho potuto fare molti ragionamenti sulla repressione e comprendere maggiormente quanto sia importante la solidarietà e quanto basti poco per attuarla.
Anche solo due righe su un foglietto da parte di un amico o di uno sconosciuto o un saluto dal vicolo sotto casa riempiono il cuore e danno la forza di andare avanti e resistere, per questo voglio ringraziare tutti coloro che mi sono stati e sono vicini senza i quali non so davvero come avrei potuto fare.
Sono già parecchie le condanne inflitte per quella giornata e a settembre ripartirà il processo, derivante dal terzo filone d'indagini, nel quale con altre 17 persone siamo imputati con l'accusa di devastazione e saccheggio per tutti, resistenza e tentato omicidio per alcuni. Con pene che vanno dagli 8 ai 15 anni di reclusione, lo stato vuol renderci dei veri e propri spaventa passeri, degli esempi di cosa succede a chi osa alzare la testa e ribellarsi in questo sistema marcio e infame. Così succede anche in Val Susa con perquisizioni, fogli di via e arresti mirati a valligiani e compagni più presenti e attivi, operazioni che tendono a smorzare la forza d'animo di un movimento popolare che vive da più di vent'anni.
Ebbene io non voglio essere uno spaventa passeri per nessuno, anzi... convinto del fatto che la miglior difesa sia l'attacco e che bisogna rispondere colpo su colpo alla repressione, la giusta reazione è continuare a lottare con più determinazione e rabbia ad ogni arresto, e pensare ai prigionieri come compagni da liberare e non come esempi di quello che può succedere lottando... essere consapevoli dei rischi vuol dire accettarli, con timore magari, ma non averne paura!
Questa mia situazione attuale di detenzione la vivo come una fase, un periodo di rafforzamento interiore contro il sistema a cui mi oppongo cercando di continuare a combattere come posso, non sono certo il rimorso o il pentimento che mi pervadono, anzi la rabbia e la determinazione a continuare a lottare.
Un pensiero particolare va al mio amico e compagno Albe anche lui costretto agli arresti domiciliari per essersi opposto alla devastazione, al saccheggio e alla militarizzazione della Val Susa, speriamo di rivederci presto tra i vicoli e i sentieri!!
Tutta la mia solidarietà va ai prigionieri nelle case, nelle carceri e nei cie, ai detenuti in lotta, e a chi continua a ribellarsi nelle strade, valli e città... non c’è miglior solidarietà dell'azione diretta. Ogni giorno 15 ottobre.
Fra

luglio 2013

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roma: Domenica 1 Settembre ore 14 Assemblea al L38 Squat
Il 27 Giugno si è svolta a Roma, presso l’università La Sapienza, un’assemblea tra compagn* provenienti da diverse parti d’Italia, per confrontarsi su come far crescere la solidarietà nei confronti di coloro che sono stati colpiti dalla repressione a seguito della giornata del 15 Ottobre 2011.
Sin dai giorni successivi la solidarietà ha iniziato a muovere i suoi primi passi e nessuno degli arrestati e degli imputati è rimasto solo.
Da allora tanto si è fatto ma la delicata e complessa situazione richiede ancora di più. E’ necessario andare avanti con maggiore determinazione. E’ indispensabile far crescere l’attenzione, stare vicini e sostenere gli imputati in ogni modo possibile.
“Solidarietà” non deve essere un semplice slogan ma qualcosa di concreto e tangibile in grado di muoversi su diversi aspetti: dalla difesa comune in tribunale alla vicinanza nei confronti di chi è privato della propria libertà, senza dimenticare il sostegno economico e materiale che richiede un processo del genere. Per questo sarà importante sostenere la “Cassa di solidarietà 15 Ottobre” e far si che questa sia visibile e presente in ogni città.
La storia di quella giornata ha parlato di una costellazione di ragazzi e ragazze, compagni e compagne, che tanto nelle azioni intraprese quanto nello scontro con le forze dell’ordine hanno preso una posizione netta.
Se la rivolta sancisce i campi di appartenenza dello scontro in atto tra sfruttati e sfruttatori, vogliamo rivolgere lo sguardo a quella costellazione e alla rabbia dei tanti che hanno animato la resistenza di piazza san Giovanni. Riportarla nel quotidiano non può essere un ritornello buono da ripetere in ogni occasione, ma deve divenire qualcosa di consistente ed efficace. In questo senso è necessario andare oltre le scadenze giudiziarie e impedire che la stretta repressiva ci metta con le spalle al muro. Bisogna dotarsi di tempi e ritmi non imposti dagli apparati repressivi e il sostegno agli imputati e il rilancio delle lotte non possono essere sganciati. In un momento in cui la possibilità di vivere come vogliamo coincide sempre di più con la necessità del conflitto, la solidarietà deve esprimersi nelle lotte, essere presente in ogni frammento del nostro quotidiano.
Vogliamo ricominciare a muovere questi passi insieme a coloro che nella giornata del 15 Ottobre e in tante altre battaglie sono stati fianco a fianco, dalla stessa parte della “barricata”, con l’obiettivo di costruire e lanciare a Roma, nella seconda metà di ottobre, delle giornate di lotta. Perché la nostra solidarietà passa soprattutto attraverso ciò che siamo in grado di costruire insieme nelle lotte che scandiscono l’esistenza di ognuno di noi: dalla riappropriazione delle case alle lotte sui posti di lavoro, dal carcere ai CIE, dalla difesa dei territori a quella dei quartieri, dove la polizia uccide e rende invivibili i luoghi che abitiamo.
La solidarietà è un’arma che nessun apparato repressivo può sottrarci e per questo bisogna organizzarsi. Creare legami nuovi e rafforzare quelli già esistenti, portare la forza e la potenzialità di queste relazioni nello scontro in atto è un passo imprescindibile verso i prossimi scenari di conflitto.
Lanciamo dunque un altro appuntamento per il 1 Settembre a Roma, al L38 Squat in Via Giuliotti 8, alle ore 14, per confrontarci, discutere e organizzare le giornate di lotta dell’ottobre romano. Nel frattempo invitiamo i compagni di ogni città a muovere le trame della cospirazione e della solidarietà, a far crescere l’attenzione in vista di un ottobre che riporti di nuovo l’insubordinazione nelle strade e nei luoghi dove lo sfruttamento e l’oppressione sono presenti quotidianamente. Niente è finito…

Complici e solidali a Roma
27 agosto 2013, da inventati.org/rete_evasioni


Lettere dal carcere di Rebibbia (Roma)
Ciao a tutti, vi inviamo la “seconda parte” delle nostre impressioni dal carcere.
Continuano le penose passeggiate di “cortesia” di questi squallidi figuri preoccupati solo che la situazione carceraria non esploda. Purtroppo riescono a sedare gli animi con manovre coordinate: visite all’interno degli istituti e lanci di notizie che velatamente aprono piccole finestre di speranza nei detenuti. Mentono sapendo di mentire e, quel che è ancora più triste, è che molti, anzi la maggior parte dei ristretti ci crede. Conseguenza immediata: inerzia totale “perché tanto qualcosa prima o poi uscirà”… Non illudiamoci, nulla sarà fatto se noi in prima persona non ci attiviamo.
Sono sempre stato contrario agli scioperi della fame, se desideriamo, o meglio, vogliamo farci sentire bisogna alleggerire loro le tasche.
Sciopero di tutti i lavoranti totale ed astensione dagli acquisti di sopravvitto, eccezion fatta dei generi di stretta necessità.
E’ la sola ed unica protesta che credo possa stimolarli a mettere mano a questa vergogna che è il carcere italiano. Pensiamoci. Ciao a tutti/e.

6 agosto 2013

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Nonostante i nostri accorati appelli rivolti ai politici, nei quali esprimevamo loro il desiderio di astenersi dal compiere visite che risultano essere di puro formalismo e circostanza, eccoli riapparire alle prime luci del mattino nel N(uovo) C(omplesso) di Rebibbia.
L’incursione, anche questa volta, è stata rapida, silenziosa, annunciata con scarso preavviso e chirurgica, in quanto ha interessato esclusivamente alcune parti che il personale del carcere ritiene possano essere mostrate.
Guidati dai cerimonieri di turno, gli “ospiti” hanno scambiato pochissime battute con alcuni detenuti completamente ignari di chi fossero gli interlocutori e quali funzioni rappresentassero.
Tutte le delegazioni, e questa non è stata da meno, piombano nelle carceri come consumati marines: colpiscono veloci per poi sparire con una ritirata ancor più rapida della loro venuta, lasciando dietro di sé il vuoto pari solo al nulla che hanno portato in carcere.
La loro presenza è fugace, prediligono i corridoi periferici delle carceri e non toccano mai il cuore delle sezioni, soprattutto evitando con cura quelle che versano in condizioni estreme e disperate di sovraffollamento.
Temono che il virus dell’indignazione, quella reale, non di circostanza, li possa aggredire e li costringa ad agire.
Hanno terrore che il morbo della verità gli si presenti nella sua drammatica autenticità, tanto che non possano più astenersi dal guardare in faccia la realtà, realtà, è bene ricordarlo, creta dalla loro inerzia, incapacità, inefficienza ed indifferenza.
Abbiamo associato le loro movenze ed i loro atteggiamenti prudenti al comportamento che hanno i ratti quando si apprestano a prendere d’assalto una dispensa di cibo.
Come loro, guardinghi, si assicurano che l’ambiente sia privo di elementi di pericolo, tali quali detenuti che senza mezze frasi espongano come realmente si vive in carcere.
Sono stati osservati sgattaiolare, pardon “popolare” (scusate il neologismo), dall’aula concessa agli studenti dell’istituto, per introdursi nei locali della cooperativa che gestisce la preparazione dei cibi extra vitto carcerario; due “gioiellini” all’interno dell’istituto che vengono mostrati sempre con orgoglio a tutti gli ospiti di turno, orgoglio pari solo a quello manifestato da Cornelia, madre dei Gracchi, quando esibiva i propri figli.
La loro fugace e discreta presenza è stata subito segnalata nel reparto “d’elite” G8 dell’istituto, dove hanno incontrato anche detenuti di “rango” che con toni pacati, ma altrettanto fermi ed inequivocabili, gli hanno comunicato, tante volte non ne fossero a conoscenza, che l’ultimo decantato Decreto Legge, il cosiddetto “svuota carceri”, è la solita, ennesima, gigantesca, inutile e solenne FREGATURA.
Si sono astenuti e ben guardati dal visitare altri reparti dove regna sovrano il sovraffollamento, il degrado. La disumanità e il dolore.
Pochi metri li separavano dal reparto G14, dove agonizzano, realmente e non metaforicamente, detenuti comuni privati, oltre che della libertà personale, anche del sacrosanto diritto alla salute ed al rispetto della loro dignità.
Diritto che viene riconosciuto immediatamente ai “ladri di Stato” che si approfittano del loro ruolo istituzionale per saccheggiare le tasche dei cittadini, ai quali viene invece immediatamente riconosciuta la cosiddetta ; questo sì che è criminale!
Avrebbero potuto visitare il reparto adibito a regime di 41bis, dove sopravvivono detenuti letteralmente murati vivi; le istituzioni si preoccupano di loro esclusivamente per accertarsi che il loro stato di “morti viventi” perduri inalterato.
Avrebbero potuto affacciarsi, con un piccolo sforzo, nelle sezioni di alta sicurezza dove il clima di repressione non è da meno.
Attraverso il carcere le istituzioni rinchiudono migliaia di cittadini italiani e stranieri che devono espiare pene esigue per reati di bassissimo profilo criminale, per non parlare poi di quelli che passano anni in attesa di giudizio.
Il concetto comune per tutti loro è sempre lo stesso: con buona pace per tutti i cittadini che quotidianamente vengono disinformati dai mass-media, che fomentano l’isteria di massa con il solito futile ritornello della , manipolando ad arte l’informazione.
Crediamo fermamente nell’inutilità di queste visite di circostanza, che mistificano una presa di coscienza del problema carcerario, i governanti conoscono perfettamente il problema, ma continuano a girarci intorno senza la concreta volontà di cambiare le cose.
Crediamo di contro che spetta a noi detenuti riappropriarci delle lotte anticarcerarie e non attendere che qualcuno, il politico di turno o chiunque altro, si faccia carico di un problema che è tutto nostro.

agosto 2013
Un gruppo di detenuti

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Cari compagni, ringraziandovi per l’attenzione che dedicate ai miei scritti, ve ne invio un altro.
L’epidemia di suicidi nelle carceri si virulenta sempre più. Pare che il governo faccia affidamento su di essa, più che sul recente decreto, per sfollare i penitenziari.
Privi di assistenza psicologica, in preda alla disperazione, tra il silenzio dei mass-media, spesso a pochi mesi dal fine pena, sempre più detenuti, ritengono che l'unico modo per liberarsi dalle sbarre consista nello scempio del proprio corpo, impiccandosi o tagliandosi la gola, come è capitato ieri l’altro nel reparto G8 di Rebibbia, un reparto modello, non certo l’inferno di Poggioreale o dell’Ucciardone.
Che dio li perdoni e castighi severamente i responsabili di questa inarrestabile e penosa epidemia.

Carcere di Rebibbia, 28 luglio 2013
Achille della Ragione, via Majetti, 70 - 00156 Roma


da una lettera dal carcere di ferrara
[...] C'è gente che è qui da 4 o 5 anni che attende per un affidamento, [...] ma questo cazzo di magistrato di sorveglianza, dott.ssa Abbiosi, non fa uscire nessuno, e c'è un malumore generale che non è bello - escono solo le persone a fine pena!
E questo ti prego di scriverlo, ci sono sezioni, la I e la II, che appena arrivi ti ammassano anche in 3 per cella, chiusi 20 ore al giorno, con un'aria che è un buco!
I colloqui vengono fatti come negli anni '80 con un divisorio in mezzo, su un unico tavolo in marmo, con un divisorio di plastica che separa i parenti dai detenuti.
L'aria del II reparto è piccolissima e quando scende tutta la sezione non si riesce neanche a camminare. Io sono alla V sezione, quella dei definitivi, e sto un poco meglio!
[...] Ti ricordo che quello di Ferrara è il carcere più caro d'Italia per il sopravvitto. Con gente che non ha soldi neanche per comprarsi il caffè! [...]
p.s. Sono passati a farmi firmare un referendum sulla tortura e le ingistizie in carcere!

Ferrara, 17 luglio 2013


Aggiornamenti dall'AS2 di Ferrara sulla censura epistolare
Il tribunale di Genova (g.i.p. Baldini in sostituzione estiva del g.i p.Giacalone) nell'ambito del procedimento per 280 c.p. nei confronti di Nicola ed Alfredo per il ferimento Adinolfi, ha disposto la censura della corrispondenza per la durata di sei mesi nei confronti di Sergio e Stefano, rinchiusi a Ferrara per l' operazione Ardire.
Leggendo il decreto risulta che il pretesto sia la possibilità di aggirare la censura da parte di Alfredo e Nicola, già sottoposti al rinnovo del controllo corrispondenza negli ultimi mesi, tramite i compagni di sezione, ''potendovi nella medesima essere contenuti riferimenti ad imminenti azioni delittuose'' a sostegno di ciò viene sottolineata la circolazione in rete dei testi in memoria di Mauricio Morales scritti da Sergio, Nicola ed Alfredo con cui '' hanno rinnovato la propria adesione ai propositi sovversivi delle frange anarchiche''. Aldilà dei toni ottocenteschi,le motivazioni sono quanto mai esplicative delle tecniche che magistratura ed amministrazione penitenziaria mettono oggi in atto nei confronti di quanti hanno deciso di non abbassare la testa.

Per scrivere ai compagni:
Sergio Maria Stefani, Stefano Fosco, Nicola Gai, Alfredo Cospito
Casa Circondariale di Ferrara, Via Arginone 327 - 44122 Ferrara

per info: nidieunimaitres@gmail.com
7 agosto 2013, da informa-azione.info


Lettera dal carcere di Siano
Cari compagni, purtroppo viviamo in uno stato fascista e pregiudiziale.
In questi giorni si è parlato tanto per il nuovo decreto emanato il 3 luglio 2013 dal ministro della Giustizia (il cosiddetto “svuotacarceri”). Mi viene da ridere quando si parla che devono uscire più di seimila detenuti, come si fa a dire queste cazzate? E a prendere in giro l’opinione pubblica? Dico questo perché ne ho sentite molte di queste cazzate.
Io dico, che più tempo passa e più andiamo a peggiorare, perché sotto sotto si nasconde uno stato fascista, che emerge piano piano e fa passare tutto in modo “democratico”: come il 41bis, che è una tortura democratica; come l’ergastolo ostativo – lo stato è consapevole che gli ergastolani ostativi devono passare gli ultimi giorni della loro vita in carcere.
Nel tempo del fascismo le persone venivano uccise subito senza perdere tempo. Oggi il sistema è cambiato, non ti possono uccidere, ma ti fanno morire piano piano.
Un abbraccio a tutti i compagni, Salvatore.

Siano, 27 luglio 2013
Salvatore Pulvirenti, via Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (Catanzaro)


Lettere dal carcere di Opera (mi)
Care/i compagne/i di ampi orizzonti, mi è arrivato l’opuscolo di giugno insieme ai libri e al catalogo, li ho fatti girare tra i prigionieri, fidatevi, perché qui oltre a lottare contro le guardie dobbiamo combattere contro l’ignoranza dei detenuti arresi ai ricatti, ai lecchini delle guardie e ai 58 terra (i collaboratori interni delle guardie), che ci remano contro e infamano i prigionieri/e che non ci stanno a farsi schiacciare dai loro ricatti e abusi e che cercano di far aprire gli occhi agli altri detenuti.
E’ uno schifo, credetemi, se sono degni di essere chiamati così, ridere e scherzare con le guardie, lavorare sempre con loro, ad avere un trattamento privilegiato rispetto ad altri detenuti.
Ma io mi chiedo, come fa un uomo ad andare contro un suo simile privato, come lui della libertà e stare dalla parte del suo carceriere. E’ una follia. Ma purtroppo gli sbirri con i loro ricatti sono riusciti a distruggere la solidarietà che c’era una volta tra prigionieri/e.
Ormai in galera i detenuti sono divisi in categorie: gli arresi che vegetano tutto il giorno tra terapia e televisione, gli infami che si vendono gli altri detenuti e i bravi ragazzi che non ci stanno a farsi cancellare come uomini. E credetemi, in galera a volte siamo in pochi, e leggere sull’opuscolo che non sei solo ti da la forza di andare avanti nella lotta contro le galere e a non farsi calpestare la dignità.
I libri ci aiutano a non vegetare a elevare la nostra conoscenza e a evadere dalla monotonia della galera; il materiale di controinformazione serve a conoscere e a mettere a conoscenza quei prigionieri che usano i mezzi di informazione forniti dallo stato, giornali, riviste, telegiornali falsi e ipocriti che fanno credere quello che vogliono e incantano il popolo a loro uso e consumo. Quindi invito tutti i prigionieri/e che ricevono materiale di controinformazione di farlo girare così che più prigionieri/e vengano a conoscenza di informazioni giuste e vere e non si fanno incantare dalle favole.
E cerchiamo di far aprire gli occhi ai prigionieri/e, lo so che a volte è dura, ma non siamo soli, i compagni/e fuori ci sono e sono solidali con noi e l’unione fa la forza. Basta leggere l’opuscolo per vedere che non siamo in pochi. L’esempio ce lo dà il compagno che ha scritto sulle iniziative di resistenza nelle carceri spagnole che in lotta erano tra i 40-60 compagni sparsi in 20 prigioni diverse.
Basta che tra noi prigionieri/e che si ribellano ci sia l’unione anche se siamo in galere diverse possiamo portare avanti iniziative e la lotta contro le galere con l’appoggio dei compagni/e fuori che ci sono solidali. Non siamo pochi.
Ora vi lascio con un abbraccio solidale a tutte/i coloro che lottano contro le galere, i CIE e contro lo stato infame, con affetto Pietro.

2 agosto 2013
Pietro Citterio, via Camporgnago, 40 - 20090 Opera (Milano)

***
Ciao! Cari compagni/e, […] sono un vecchio galeotto e ho fatto molte battaglie nelle carceri già negli anni 70 a S. Vittore in tutte le rivolte scoppiate sono stato partecipe e come premio mi sono ritrovato sempre nei lagher dell’Asinara e Pianosa. Purtroppo, vista la mia triste esperienza posso confermare che i carceri non sono più quelli di una volta, a parte i secondini che se la cantano e suonano come vogliono, sono i detenuti che sono cambiati radicalmente nel loro intimo. Non esiste più la solidarietà e, pur di ottenere i benefici, ne combinano una più del diavolo. Confidarsi con qualcuno è diventato un optional e sei costretto a tenerti tutto dentro.
Per fortuna, tramite il vostro opuscolo con piacere scopro tanti compagni detenuti che la pensano come me; e poi sapere che fuori ci siano compagni/e che nel loro piccolo possono aiutarci, mi fa stare meglio e pieno di speranze, anche perché sono dentro dal 2005 e ho un fine pena nel 2023.
Mi piace molto leggere. Ho visto il catalogo che un compagno qui mi ha passato; ho scelto alcuni titoli che, se fosse possibile,vorrei poter leggere. Voglio sperare che la mia corrispondenza con voi possa proseguire in questa mia carcerazione.
Saluto tutti i compagni/e, sempre in gamba e alla prossima, il compagno Armando.

4 agosto 2013
Armando Carlone, via Camporgnago, 40 – 20090 Opera (Milano)
lettera dal carcere di Canton Mombello (Brescia)
Da due mesi sono detenuto nel carcere di Canton Mombello a Brescia per un vecchio reato del 2008. Come viene soprannominato lager è uno dei peggiori e sovraffollati d’Italia: passiamo 20 ore al giorno in una cella di 8 metri quadrati da dividere in quattro. Qui ci sono solo doveri e nessun diritto. Quello che la direzione dovrebbe passare di regola ( prodotti per l’igiene e la pulizia) non arrivano, dobbiamo comprarlo; chi non ha soldi si arrangia così da alimentare il business della spesa, con prezzi maggiorati. Direttrice e brigadieri fanno tanti e tanti soldi con noi, il cibo in cucina è scadente e scaduto, mentre quello buono arriva sulla tavola di chi gestisce il tutto. L’assistenza sanitaria è inadeguata, le paghe per il lavoro interno sono le più basse d’Italia e sei sottoposto a ricatto “ se non ti sta bene c’ sempre uno che è più disperato di te pronto a sostituirti”. Nella palestra e nelle aree ricreative non c’è nulla nemmeno le sedie. Chi tenta di denunciare la situazione agli organi di stampa (facendo passare lettere dall’esterno altrimenti verrebbero censurate) è uno scomodo ed indesiderato e rischia il trasferimento in altri carceri lontani da casa. Gli italiani hanno coscienza di tutto ciò, ma abbiamo troppo da perdere, proporre uno sciopero della spesa sarebbe un biglietto di andata per un altro carcere, magari in Umbria o nelle Marche. La direzione ha i suoi confidenti e spioni in mezzo a noi, sapendo chi promuove queste iniziative. [...] Il carcere di Brescia fa venire in mente quegli allevamenti intensivi di polli dove i pennuti sono perennemente rinchiusi in minuscole gabbiette…. il sovraffollamento è un grosso problema, una miscela esplosiva, amplifica ogni piccolo fastidio esasperando i detenuti, le tensioni che si moltiplicano portano a episodi di violenza e autolesionismo [...]

19 agosto 2013, da radiondadurto.org


lettera dal carcere di Piacenza
Cari amici, vi scrivo avvelenato come poche altre volte perché mi è stato vietato di presenziare all’udienza del 4 luglio 2013 a Tolmezzo, ugualmente al mio coimputato Maurizio Alfieri. In questo primo procedimento che ci vede uniti contro quella cloaca (sia morale che strutturale) denominata C.C. di Tolmezzo, siamo accusati di aver minacciato, offeso e cercato di picchiare un collaboratore di giustizia allocato nella nostra stessa sezione “isolamento”.
È quanto meno strano che di tutte le denunce fatte da noi, quali testimoni di pestaggi, percosse e vari abusi, inviate sia al tribunale di Tolmezzo che al Magistrato di Sorveglianza, nessuna è stata presa in considerazione, ma alla prima lamentela di un uomo da nulla, subito il tribunale si è affrettato a tirar su questo teatrino giuridico al quale non abbiamo potuto presenziare (sapevano che sareste venuti amici cari) e al quale potremo a settembre partecipare solo tramite video conferenza da Trieste.
Già è terribile essere da più di un anno e mezzo in carcere in attesa del primo processo, per informazioni in de relato di 3^ e 4^ persona (per fatti di 10 anni fa) dette da un “pentito” – “boss” ed in passato guardia carceraria, ma l’essere imputato per aver offeso un collaboratore è quanto meno crudelmente comico!
Forse anche i giudici ignorano che il termine da me dato a quell’uomo da nulla, infame, ha come significato colui che biasima pubblicamente, non potevo quindi apostrofarlo con termine più adeguato. D’altronde chiamare pentiti tali soggetti è blasfemia (per chi è religioso), il pentimento anche non accostato a un ideale di fede è un atto profondo che non ha nulla a che fare con tribunali e calcoli giuridici, il pentimento (benché biologicamente non esista ma condizionato dall’empatia) eleva l’uomo che cerca di rimediare ai suoi errori e non può essere confuso con la pavidità, con la pusillanimità di chi rifugge dalle proprie responsabilità salvandosi la vita in un naufragio, dove i salvagenti sono i corpi enfiati dei “compagni di merende”.
In un mondo dove il coraggio di agire è ormai merce rara, derubare qualcuno per adeguarsi a dei vezzi consumistici o sparare a un uomo da dietro un muro non è certo prova ardita, ma consegnare anche solo un conoscente al boia per salvarsi dalla prigione (che è la proiezione della società malata che vorrebbe paradossalmente guarire) è una meschinità che merita come unica tortura la crocifissione (visto che ai tribunali piacciono tanto i termini ecclesiastici e fascisti).
Ancora peggiore è leggere “collaboratore di giustizia”, quando il termine più adatto sarebbe collaboratore di ingiustizia, di mendacità, sia dei fatti raccontati che dell’intero sistema giuridico. Sorrido sarcastico quando sento enfatizzare su tv e giornali riguardo la trattativa stato-mafia, ma il gioco collaborazione-premio non è forse una continua trattativa?
L’infame non è solo colui che utilizza quel compromesso statale a suo favore e a discapito dei suoi coimputati come un fortunato beneficiario, agevolato dalla legge, per dare la possibilità alla giustizia e alle forze dell’ordine di illudere l’opinione pubblica di aver fatto “pulizia”, ma è ormai troppo spesso solo una pedina guidata da forze politiche e di gendarmeria (guardare la riapertura del caso strage di Capaci per le dichiarazioni di Brusca contrastanti, che nascondevano l’utilizzo di esplosivo dell’esercito impacchettato dal boss di Ciaculli militante nell’estrema destra) o da forze “criminali” che partecipi usano quest’arma dello Stato contro lo Stato stesso. Ma in fondo è la stessa cosa! Il crimine organizzato non è altro che una creatura nata dalla costola dello Stato stesso che l’allatta all’ombra di sguardi altrui.
La realtà carceraria nasce e viene alimentata da burle, menzogne in cui la legge infrange la legge, è uno stagno che uccide solo chi non ha il denaro per comprarsi un salvagente, il carcere è un cadavere che partorisce un morto, l’inferno mascherato da giustizia morale.
Cari amici non mi dilungherò più; vi mando un abbraccio ed uno ancor più forte a Maurizio, chiederà lo spostamento del processo visto che a Udine saranno presenti gli stessi giudici di Tolmezzo, e speriamo che i nuvoloni passino in fretta. A presto.

Piacenza, 6 luglio 2013
Valerio Crivello, Via s.s. delle Novate, 65 - 29100 Piacenza


Lettera dal carcere di Winterthur (Svizzera)
Cari/e compagni/e, con grande interesse leggo in Olga le notizie dai vari carceri italiani; leggo, in particolare, con interesse le proposte che riguardano l’agire insieme, tra prigionieri, di darsi degli strumenti di lotta e di solidarietà.
Stiamo sviluppando, come Commissione per un Soccorso Rosso Internazionale, anche noi una proposta – appena pronta ve la manderemo. Comunque siano le diverse proposte, importante è e sarà trovare unità comune per poter agire, in modo solidale – agire per poter girare il manico della lama (coltello) della repressione contro di loro.
Tanta solidarietà a voi e a tutti che vi leggono, Andy

6 agosto 2013
Andy Stauffacher, Palmstr. 2 - 8411 Winterthur (Svizzera)
La compagna ha unito al saluto il comunicato del Soccorso Rosso sulla rappresaglia dei carcerieri svizzeri alla partecipazione di Andy a una mobilitazione internazionale. Nel comunicato si spiega che:

“Dal 30 giugno al6 luglio Andrea (Andy) Stauffacher e Marco Camenisch si trovavano in sciopero della fame come atto di solidarietà a prendendo parte alle giornate internazionali di azione con Georges Ibrahim Abdallah (comunista libanse che si trova da quasi 30 anni in carcere). Durante il quarto giorno, Andrea ha ricevuto un ultimatum da parte dell’ufficio delle esecuzioni giudiziarie (Amt fuer Justizvollzug): o si distanziava chiaramente con una nota scritta dallo sciopero della fame o sarebbe stata trasferita in un’altra prigione. Successivamente è stata trasferita nella prigione distrettuale di Zurigo (Bezirkgefaengnis Zuerich) e ritrasferita di nuovo a Winterthur il mercoledì 10 luglio.
Il distanziamento scritto e esplicito dallo sciopero della fame non sarebbe significato solo la fine dello sciopero stesso ma sarebbe stato anche una dissociazione politica. Qui possiamo vedere il carattere di classe della giustizia svizzera che cerca di sopprimere esplicitamente le iniziative politiche dei prigionieri. Come reazione all’ultimatum, Andy ha aggiunto un altro giorno di sciopero della fame…”

Andy precisa in un comunicato:
“Grazie all’intervento dell’avvocato, che li ha [i carcerieri, ndr] informati del diritto dei prigionieri di mettersi in sciopero della fame, sono stata ritrasferita a Winterthur.
La minaccia di trasferimento immediato e permanente in una prigione con un regime più rigido rimane! Il distanziamento pubblico dallo sciopero, che è stato domandato come ultimatum, non aveva niente a che fare con ragioni mediche ma piuttosto con ragioni politiche. E’ un attacco contro l’identità politica dei prigionieri a dispetto della loro orientazione rivoluzionaria…”


Lettera dal carcere di Padova
Cari compagni/gne, lo sciopero della fame che avevo organizzato per il 16 settembre sarà sicuramente rinviato a data da destinare.
Riguardo a me, ultimamente ho un po’ di problemi, proprio in questi giorni mi hanno tolto computer e stampante. E per me adesso sarà più difficile lottare, ma non mi arrendo.
Buona lotta anche a tutti voi, Carmelo

26 luglio 2013
Carmelo Musumeci, Via Due Palazzi, 35 - 35136 Padova

Segue un’ “istanza” significativa scritta il 5 luglio 2013 dal compagno sulle porcherie cui è sottoposto, diretta a ministero, provveditorato, direzione del carcere di Padova…

Richiesta di trasferimento in qualsiasi sezione AS1 di qualunque carcere nell’universo che dia la possibilità di abitare in una tomba singola.
Il sottoscritto Carmelo Musumeci, a sostegno della richiesta, espone quanto segue:
Premesso che questo Vice Capo del Dipartimento Luigi Pagano deve essere un mago dell’edilizia carceraria perché il carcere di Padova, con un solo colpo di penna, s’è inventato e creato venticinque posti letto (raddoppiando la capienza della sezione AS1 Blocco “7” lato “A”) mettendo nelle tombe degli uomini ombra, (così si chiamano gli ergastolani ostativi fra loro) abituati a stare in celle singole alcuni da venti anni, un altro cadavere;
premesso che il sottoscritto con le buone o con le cattive, è sicuro che riuscirà ad ottenere una tomba singola perché gli uomini ombra sono invincibili, immortali e non possono morire dato che sono già morti;
premesso che non esiste nessun potere al mondo che potrà obbligare l’istante a dividere la sua tomba con un altro cadavere perché pur di ottenere la certezza di una tomba singola il sottoscritto è disponibile a farsi punire per tutta la carcerazione (anche con i regimi di tortura del 41bis e del 14bis) pur di avere una cella singola, una penna e un quaderno per poter almeno essere felice nell’infelicità;
premesso che il sottoscritto è condannato alla “Pena di Morte Viva”, così viene chiamato l’ergastolo ostativo senza nessuna possibilità futura un giorno di uscire, e che in compagnia di un altro uomo ombra si sta consumando e spegnendo come una candela
p(er).q(uesti).m(otivi).
L’istante chiede di essere trasferito in un carcere o in una sezione d’isolamento o di punizione per poter stare in una tomba senza alcun altro cadavere.


Lettera dal carcere di Viterbo
Cari amici di ampi orizzonti, chi viene a voi con questo scritto è il vostro amico Antonio. Vi faccio sapere che il15 luglio ho terminato la punizione del 14bis. Scusatemi se non vi ho risposto prima, perché l’opuscolo che mi mandaste prima, cioè il nr 79, dove fu pubblicata la mia lettera fu sequestrato e mandato al magistrato di sorveglianza; dopodiché mi fu sbloccata dopo 15 giorni. Ho aspettato a riscrivervi perché con la censura della posta non volevo che leggevano le mie e le lettere di altri. Vi faccio sapere che ho ricevuto da voi gli opuscoli 80 e 81.
Ora mi trovo in sezione, al penale, e ho trovato tanti amici con le mie stesse condizioni. Volevano sapere come possiamo fare per firmare i 12 referendum di Marco Pannella. Vorremmo essere più utili, vorremmo sapere da voi se esistono moduli per la violazione dei diritti umani. Siamo alcuni detenuti pronti a esporre un’istanza alla corte di Strasburgo. Vorremmo da voi sapere come muoverci e se ci potete mandare l’indirizzo dove inviare il reclamo.
Vi invio questo scritto augurandovi tutto il bene di questo mondo.
Ciao a presto Antonio

26 luglio 2013
Antonio Speranza, strada S. Salvatore 14b - 01100 Viterbo


Lettera dal carcere di Torino
[...] Vorrei sapere, se possibile, di avere informazioni su chi rivolgermi (non ho soldi per l’avvocato) per fare ricorso alla Corte Europea di Strasburgo per il sovraffollamento ed eventuale dolo da parte della direzione sanitaria per non aver riconosciuto che mi sono ammalato in carcere di profonda depressione e conseguente anoressia.
La direzione sanitaria ha sempre sostenuto che ero curabile e non solo nega che tutto sia iniziato durante la carcerazione ma, nonostante, abbia passato 10 mesi ai domiciliari non sono seguito dalla ASL2 di Torino sezione salute mentale. Risultato? Dopo un mese di libertà, dopo 5 anni di galera sono di nuovo dentro. Forse non e la sola concausa, però… non mi era mai successo una privazione della libertà così repentina.
Vi ringrazio ancora e vi leggo volentieri. Con voi mi faccio forza… ho quasi 60 anni!

28 giugno 2013
Giuseppe Bruno, via Pianezza, 300 - 10151 Torino


lettera dal carcere di Rieti
Gentile Olga, ti scrivo per dirti che stiamo continuando ad arrivarci i tuoi opuscoli + i libri. Poi volevo scriverti due righe da postare sul vostro opuscolo.
Qui a Rieti ho recuperato 35 detenuti, ed insieme al mio avvocato stiamo chiedendo il rimborso a Strasburgo per danni morali e materiali.
Ho faticato 3 mesi e mezzo per avere i prestampati da compilare, perché in Internet quelli in lingua italiana sono stati oscurati. E si trovavano solo inglese e francese. Ovviato il problema tramite un avv. del partito radicale, ho risolto il problema a 35 detenuti. Il resto verrà da sé.
Su questi prestampati c’è una differenza del risarcimento richiesta. Se lo si chiede attraverso il partito radicale si battono 20mila euro; se si chiede attraverso Antigone 15mila; attraverso il proprio avv. di fiducia so 1.500 euro.
Da questo ho capito che il loro comportamento è stato quello, per avere più adesioni ai ricorsi presentati dal partito radicale.
Volevo mettere a disposizione questa cosa, pure per i detenuti che non sanno a chi chiedere. Il mio avv. si “accolla” le spedizioni di raccomandate con ricevuta di ritorno per ogni detenuto che ricorre., così mi ha detto. E quindi, se voi siete così gentili da pubblicare il seguente testo, vi ringrazio. Eccolo:

***
Lettera alle persone detenute nelle carceri italiane
(Ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo)

Nel gennaio di questo anno (2013), sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza hanno avuto ragione dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, in merito ad una denuncia fatta per il trattamento inumano e degradante inflitto agli ospiti delle strutture carcerarie.
Oltre a prescrivere urgenti modifiche alle strutture detentive, i giudici europei hanno imposto all’Italia un’ammenda di 100mila euro per i danni arrecati ai denuncianti.
Contro questa sentenza è ricorsa l’avvocatura dello Stato (italiano) in cui chiedeva che il caso venisse riesaminato davanti alla “Grande Camera Torreggiani”. La Corte di Strasburgo ha respinto tale ricorso, così la sentenza è diventata definitiva oggi (27 maggio 2013). L’Italia ha ora 1 anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e per introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono state vittime. [Tratto da: redazione online, 27 maggio 2013 ore 16,02 Corriere della Sera]

Per le istruzioni e il prestampato del ricorso da compilare si può scrivere:
all’avv. Massimo Iannetti, via di Vigna Stellati 176 – 00191 Roma; fax 06/3292314.

In concreto, per arrivare all’invio bisogna anche: fare la “domandina”, nel carcere dove si è, per richiedere:
la fotocopia di un documento valido d’identità;
il certificato storico di detenzione;
questi sono documenti da compilare e allegare al modulo del ricorso che vi verrà spedito, anch’esso da compilare, tenendo presente i suggerimenti dell’avv.
Una volta fatte tutte queste operazioni non rimane che spedire il ricorso a Strasburgo.
Al momento sono già più di 4mila i ricorsi presentati.
In poche parole compagni/e, richiedete il ricorso le indicazioni all’indirizzo sopraccitato. Ne vale la pena. Sempre tutti/e liberi/e

23 luglio 2013
Jacopo Battiata, via Maestri del Lavoro, 24 - 02100 Rieti


Lettere dal carcere di Velletri (Roma)
Carissimi… ho ricevuto il vostro opuscolo di giugno!! Grazie…
E’ un po’ di tempo che mi chiedo e chiedo come può essere che ogni volta che devo fare un colloquio devo fare la conta scegliere quale figlio vedere… perché ‘sti geni e ben pensanti di Velletri “ci” hanno costruito nuove salette di colloqui senza vetro e bancone, questo è vero, ma il massimo delle persone che possono entrare sono 3 quindi chi come me ha 4 figli e ovviamente più un adulto deve scegliere o far scegliere quale figlio o figlia vedere… Che bello!!
La mia diciamo fortuna è che hanno un’età quasi idonea a capire cosa succede e perché. Ma penso a quei tanti compagni di Velletri che hanno il mio stesso problema con figli piccoli… Certo la fortuna di aver la famiglia vicino è importante, anche se a rate… purtroppo!! Un abbraccio a tutti!!! Con affetto Max.

23 luglio 2013
Massimiliano Girelli v. Campoleone, 97 – 00049 Velletri Roma

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Ciao, eccomi nuovamente con notizie non proprio belle. Mi trovo in isolamento assieme al mio compagno di cella perché l’altro ieri quattro fasci mi hanno imboccato in cella e menato.
Più che altro il fascio è uno, quello che girava con l’accappatoio con il teschio di Mussolini e che ha coinvolto gli altri tre.
Prima, già mesi fa, hanno provato con le prepotenze, ma non ha attaccato, poi hanno messo in giro la chiacchiera che ero infame; anche lì nessuno ha abboccato, ma il problema è che spesso si affianca con i coatti, per vigliaccheria ed infamia. Fatevene una ragione per i propositi di rivoluzione carceraria.
Io, che in un anno e mezzo non ho effettuato colloquio con alcuno degli operatori, tanto meno fatto richiesta, devo passare da infame da quattro stronzi.
Comunque mi trovo qui in via cautelare per incolumità e mi ha chiamato il comandante, nomi non ne ho fatto, ma le telecamere hanno filmato tutto. Così si sono fottuti con le loro mani.
Io non so che fine farò, eventualmente vengo trasferito, vi scriverò…
Un abbraccio fraterno Andrea.

25 luglio 2013
Andrea Orlando, v. Campo Leone, 97 – 00049 Velletri (Roma)
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Ciao amici di ampi orizzonti sono Araldo vi informo, vi scrivo, vi chiedo se potete aiutarci, stiamo in protesta. Venuti a sapere che la signora direttrice, dopo ordine del ministero ad aprire le sezioni non considera l’ordine e anzi lo nasconde, dicendo che sono aperte, così ha risposto al garante dei detenuti quando gli ha chiesto se le avesse aperte.
Ci nega il campo sportivo dicendoci che non è importante, in più i colloqui, a me è accaduto lo scorso sabato, fanno fare 40 minuti di colloquio e non un’ora come da regolamento. Gli educatori continuano a non rispondere alle domandine. C’è gente che si sente male e viene lasciata in cella; c’è chi si segna a visita medica e viene visitato dopo 4-5 giorni; non c’è nulla per quanto riguarda l’attività sportiva; la palestra è non idonea, i macchinari sono tutti rotti.
La direttrice e la sorveglianza ci ricattano, dicendoci che ci faranno partire con relazioni che dove andremo ci tratteranno nel modo in cui meritiamo. Ora io non so quale sia il modo, ma so che ci minacciano. Qui tutti gli assistenti ci dicono che dobbiamo protestare, che è giusto, ma che dobbiamo stare attenti perché appena ci organizziamo partiamo e prenderanno chi fa i colloqui, chi lavora, così ti rovinano. Ecco come ci tengono per le palle. Ma a me non possono perché penso è meglio rispettarsi e vivere un giorno da leoni che andare avanti a subire, accettare e passare da coglioni.
Un giorno mia madre appena uscirò, mi chiederà solo una cosa, non come sono stato o come passavo le giornate, mi chiederà se mi sono fatto rispettare. Io voglio guardarla in faccia diritto negli occhi e dirle, sì mamma mi sono rispettosi, ho sempre pensato che prima di fare i muscoli a andarsi a tatuare per sembrare e dire siamo duri, siamo maschi, sono un detenuto. Prima devi vedere se ha l’unica cosa che ti fa sentire uomo, le palle. E chi oggi negli istituti si nega per mille scuse a farsi rispettare e non ha coraggio di prendere decisioni, ma solo gli serve guardare l’altro, è uno che non può andare avanti nella vita e non è un vero prigioniero perché i detenuti sono, siamo, solo prigionieri e veniamo usati da un sistema dittatore e io mi ribello, io lotto, ma tutti dobbiamo unirci e lottare per i nostri diritti.

Velletri, 7 agosto 2013
Arnaldo Selnistri, via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)


Lettera dal carcere di Trapani
We ragà, come vi va? Qui la situazione va sempre a peggiorare. Ogni giorno se ne spuntano con una legge nuova dato che ormai gli han fatto prendere troppo abuso di potere e si sentono chissà chi sti sbirri di merda. Una mia amica per solo rispondergli a un agente dopo aver fatto il colloquio, l’hanno fatta restare giù per poi chiamare i “rinforzi”, l’hanno picchiata e dopo anche aver subito questo abuso l’hanno lasciata nel P.T. in cella liscia.
Volano rapporti a mischia anche se si fa un solo fischio, già fanno rapporto e chiamano la sorveglianza. Io salendo in sezione ho detto “e ora inizia il bordello” e l’ispettrice mi ha subito rapportata come una minaccia. Mi han messa nel cubicolo di transito e man pure tolto il frigo e la tv. Per loro forse sono messa in punizione, se mi arrendo. Ma ormai qui non se ne può più, il mangiare e da tirare in faccia a sti sbirri, poi non solo, l’acqua ha un determinato orario, ormai neanche questo. Se al giorno aprono l’acqua 4 ore dobbiamo dirci grazie. Ho proposto una specie di protesta, ma per evitare un rapporto se la farebbero mettere pure in culo. Porco dio collaborazione al femminile. Figuratevi che non vogliono darmi nemmeno l’opuscolo, dicono che non è consentito.
Ragà se potete darmi un aiuto da fuori o qualche consiglio è ben gradevole, ma ci vorrebbe un urlo di libertà, a presto compà, noi che non piegheremo mai la testa alla rassegnazione. Fuoco alle carceri!!!

26 luglio 2013
Alessandra Fumia, via Madonna di Fatima, 222 – 91100 Trapani


Lettera dal carcere “Pagliarelli” di Palermo
[…] sono un detenuto del carcere di Pagliarelli di Palermo e sono venuto a conoscenza del vostro opuscolo. Sono molto interessato perché anch’io la penso nella stessa maniera (che il carcere sia uno strumento per l’isolamento e l’annientamento di molti prigionieri). Ma penso anche che le carceri italiane tutt’oggi sono così per colpa di noi stessi prigionieri, perché non siamo tutti uniti, e non facciamo abbastanza per impedire quello che accade. […]
Al carcere di Pagliarelli gli abusi vanno di moda. Si viene, ad esempio, condannati dal consiglio disciplinare a 15 giorni di isolamento, in cui la legge dice che si deve avere il televisore, invece nell’isolamento qui i televisori non esistono. Si finisce di scontare la punizione dell’isolamento, per esempio di 15 giorni, senza spiegazioni te la prolungano a piacere sempre senza tv, senza fornello (anch’esso invece previsto dal regolamento). Questo, oltre a essere un vero e proprio abuso, è un 14bis senza averlo. E chi è più debole, se ne pagano le conseguenze, per danni morali, mentali e fisici.
Per chi ha il 14bis non vengono rispettati i diritti (quei pochi che lasciano al 14 bis).
Perché il regolamento del 14bis dice che si può tenere la radiolina, ma però qui nella spesa non vendono le batterie, perché? Il 14bis dice che la mattina si può usare il fornello per la colazione, ma qui nella spesa non vendono i gas, perché?
Perché vendono le sigarette e non l’accendino? Che si deve accendere di fortuna.
Perché vendono la borsa-frigo ma senza ghiaccio? In mezza giornata il cibo è avariato.
L’unica risposta a tutte queste domande è solo una, “abuso”.
E inoltre se si cerca di ribellarsi, chiamando i propri diritti, ci mettono a cella liscia e nudi, e in molti casi con pestaggi.
Quello che voglio dire è che è difficile difendersi da questo, è come prendere il coltello dalla parte della lama, e vi chiedo un vostro consiglio benché d’aiuto, che spero di ricevere al più presto. Vi ringrazio e vi saluto.

21 agosto 2013