indice n.87

turchia: pallottole contro il processo di pace
Irak: trasformato in teatro di guerra civile infinita
egitto: continuano le mobilitazioni contro i militarI
Aggiornamenti della lotta dentro e contro i cie
Lettera dal Coordinamento detenuti
Lettera dal 14bis del “Pagliarelli” (PA)
Lettera dal carcere di Viterbo
Lettera dal carcere di Rossano (Cosenza)
il regime di censura nelle carceri è sempre più arbitrario
Richiesta di solidarietà per una detenuta nel carcere di Trapani
Lettere dal carcere di Spini di Gardolo (TN)
Lettera dal carcere di Montorio (VR)
Lettera dal 14bis del carcere di Tolmezzo (UD)
Riparte il processo a Maurizio Alfieri e Valerio Crivello
Lettere dal cacere di Lenzburg (Svizzera)
lettera dal carcere di Freiburg (germania)
LetterE dal carcere di Rebibbia (RM)
da una lettera dal carcere di alba (CN)
sabato 18 gennaio: presidi contro la Lega nord
Lettere dal carcere di Monza
Lettera dal carcere di Sollicciano (FI)
Proteste nel carcere fiorentino di Sollicciano (fi)
Lettera dal carcere di Nuoro
Lettera dal carcere di Ferrara
Lettera dal carcere di Milano-Opera
cremona: SOLIDARIETÀ AI DETENUTI
padova: Capodanno di lotta e solidarietà sotto al carcere
Brevi note sugli ultimi arresti no tav
Lettera dal carcere le Vallette (TO)
Un nuovo anno, NO TAV naturalmente
Sabato 22 febbraio 2014: Giornata Nazionale di Lotta
dalle udienze del "processone" contro il movimento no tav
perugia: UDIENZA PRELIMINARE "OPERAZIONE ARDIRE"
sulle lotte operaie nel settore della logistica
milano: agguato ad un compagno dirigente del S.I. Cobas
Milano: Una schifezza chiamata Via d'Acqua
Amburgo: dichiarato lo “stato d'eccezione”, coprifuoco nella città


pallottole contro il processo di pace
Sul movimento di resistenza kurdo in Turchia
Venerdì 6 dicembre nella provincia montuosa kurda di Hakkari la polizia ha attaccato una manifestazione della
“Associazione Uccisi e Scomparsi” (Meya-Der), alla quale prendevano parte migliaia di persone, indetta in segno di
protesta contro la distruzione, compiuta dall’esercito turco, delle tombe dei guerriglieri del Partito del Lavoro del
Kurdistan (PKK). Quando i manifestanti hanno iniziato a difendersi con lancio di sassi e molotov in risposta all’assalto
della polizia, quest’ultima allora ha aperto il fuoco e sparato anche granate di gas. Sul terreno sono rimasti i
manifestanti Veysel Isbilir (34 anni) e suo zio Resit Isbilir (35 anni). Anche sabato (7 dicembre) la polizia è tornata
all’attacco, stavolta al cimitero durante i funerali degli uccisi. Due manifestanti sono stati ricoverati e si trovano
in pericolo di vita.
Sempre sabato 14 dicembre a Istanbul è invece stata attaccata, nei pressi di piazza Taksim, una manifestazione di
organizzazioni kurde e socialiste parte compresa del partito democratico in formazione, HDP (*). Alcuni giorni dopo
quattro deputati dello stesso partito eletti nel parlamento turco hanno iniziato uno sciopero della fame contro il
rifiuto della corte d’appello di Diyarbakir di applicare nei confronti di altri cinque parlamentari, in carcere, del
partito kurdo PYD (Partito democratico per la pace) una sentenza della corte costituzionale favorevole alla loro
liberazione, dato il superamento dei limiti della carcerazione preventiva. Sono in carcere da circa tre anni sotto
l’accusa di appartenenza all’Unione della Comunità del Kurdistan – fuorilegge in Turchia. Nelle stesse condizioni,
arrestate nelle stesse retate, si trovano in carcere ben 8mila persone kurde.
Il governo islamico-conservatore nonostante da oltre un anno attraverso i servizi segreti abbia incontri con Ocalan,
fino ad ora non si è deciso a concludere un armistizio con la guerriglia kurda. Da parte kurda invece sono state
avanzate precise richieste quali: l’introduzione nelle scuole dell’insegnamento della lingua kurda; maggiore autonomia
delle amministrazioni comunali; la soppressione della barriera del 10% (di voti di rappresentanza raccolti necessari per
entrare in parlamento) nelle elezioni parlamentari; la liberazione dei circa 8mila prigionieri politici arrestati sulla
base delle leggi antiterrorismo. Fra loro diversi parlamentari, sindaci e consiglieri comunali. Solo nel mese di
novembre (2013) sono state arrestate 261 persone accusate di appartenenza al PKK. Oggi scopo principale del PKK è
impedire il naufragio del processo di pace.

(*) L’HDP (Partito Democratico dei Popoli) è stato costituito con il preciso obiettivo di unire, in particolare nella
parte occidentale della Turchia, ad esempio in città come Istanbul, le forze filo-curde e quelle della sinistra turca in
vista delle elezioni dell’aprile 2014. L’HDP ha tenuto il suo primo congresso straordinario ad Ankara nell’ottobre 2013.
Sebahat Tuncel e Ertuğrul Kürkçü, militanti con decenni di galera sulle spalle, sono stati eletti co-presidenti. Questo
nuovo partito è in parte risultato dello scioglimento di altri due partiti: il BDP (Partito della Pace e della
Democrazia), e l’ODP (Partito di Libertà e Solidarietà), che aderisce alla sinistra anticapitalista europea.
Al congresso de partito è stato letto anche il messaggio di saluto di Abdullah Ocalan:
“Con l’esperienza e la conoscenza di anni, la lotta che stiamo seguendo inevitabilmente evolverà in democrazia radicale.
L’HDP dovrebbe considerare e sostenere la conoscenza e l’energia per abbandonare la mentalità politica elitaria e
conformista e costruire un’organizzazione popolare che si promulga alla gente… che si diffonde in una nuova esperienza e
in una partecipazione democratica, che a sua volta trasformerà i consigli di quartiere e comunali in meccanismi di
autorità e decisione, giocherà un grande ruolo nella realtà della Turchia.”
Riferendosi al processo di soluzione democratica alla ricerca di una soluzione pacifica della questione kurda, Ocalan ha
messo in risalto l’importanza dei negoziati e ha sottolineato che “le lotte rivoluzionarie possono trasformarsi in una
pace umana permanente solo attraverso negoziati qualificati”.

Il movimento di resistenza kurdo in Siria. Intervista con Abdusalam Mustafa, portavoce in Europa del Partito
dell’Unione Democratica (PYD)
La guerra “civile” esplosa oltre un anno fa in Siria coinvolge totalmente la popolazione kurda. Anzi, spiega Mustafa, in
Siria nei mesi scorsi il movimento kurdo è stato preso di mira con diversi attacchi, migliaia di civili sono stati
costretti ad abbandonare i villaggi…
“La situazione umanitaria nei nostri territori è drammatica, siamo sotto assedio. Veniamo attaccati dai salafiti del
Fronte-Nusra e dallo ‘stato islamico Irak e Siria’, noi lo chiamiamo ‘Daash’. Tutti questi gruppi armati arrivano
direttamente dalla Turchia. I salafiti hanno bloccato i collegamenti stradali nei nostri territori. Finora avevamo
accesso, a partire da questi territori, nel nord Irak attraverso il fiume Tigri, ma su pressione della Turchia è stato
chiuso. Si vuole costringere la popolazione alla fuga per consegnare i territori kurdi ai gruppi armati accennati. Nei
pressi della cittadina Tell Abiyad gli islamici controllano la strada sulla quale transitano i rifornimenti; oltre a ciò
controllano gli aiuti inviati nei nostri territori dalla Croce Rossa e dalla Mezzaluna Rossa…
Ci viene rinfacciato di cooperare con il governo siriano. Non è vero. Sin dall’inizio siamo stati dalla parte del
movimento di protesta; siamo all’opposizione dal 2004, ma mai con le armi in mano, perché sapevamo che il governo
avrebbe reagito. Oggi la guerra è pilotata dall’estero. Le decisioni sono state strappate dalle mani dei siriani. Noi
non abbiamo nulla a che fare con questa guerra. Qatar, Arabia Saudita, Iran, Hizbollah, Russia, USA e naturalmente
Turchia – tutti hanno le mani nella guerra in Siria, gli uni contro gli altri. La nostra storia ci insegna a non
prenderci parte. Non siamo soldati per interessi altrui; non siamo mercenari.
Alla ‘Coalizione Nazionale’ [il coordinamento sorto fra siriani, soprattutto all’estero, fra islamici, liberali,
sindacalisti… foraggiato in tutti i modi da USA, Unione Europea e dagli stati arabi a loro vicini, che combatte la
monarchia siriana, ndr] abbiamo posto la rivendicazione del diritto nazionale per i kurdi, e sosteniamo chi l’appoggia.
Spiace dirlo, ma né la ‘Coalizione’ né il governo in carica ci ascoltano. Noi prendiamo la terza via. Per questo siamo
anche membri del ‘Comitato del Coordinamento Nazionale per il Cambio Democratico’ che è contrario all’impiego della
violenza…
Alla Conferenza sulla Siria organizzata per il prossimo gennaio a Ginevra vogliamo andarci come gruppo indipendente
compreso nell’opposizione.
Dalla conferenza ci attendiamo in primo luogo l’armistizio, la fine della guerra. A mio parere la guerra continuerà. La
società siriana è ferita nel profondo; ci vuole tempo per porre riparo a quanto accaduto. Di certo sappiamo che ovunque
sono intervenuti gli USA negli ultimi anni (Afghanistan, Irak, Libia) regna il caos. I loro interessi e quelli della
Russia sono più importanti dei diritti umani. Noi esprimiamo apertamente questa verità, per questo non ci vogliono.
dicembre 2013, da jungewelt.org


Irak: trasformato in teatro di guerra civile infinita
In taluni giorni muoiono più persone in Irak, a causa di esplosioni dinamitarde, che negli USA nei dodici anni
successivi all’11 settembre 2001. Tenuto conto che l’Irak ha soltanto un decimo della popolazione USA. Nel solo mese di
settembre 2013, secondo dati ONU, le esplosioni dinamitarde in Irak hanno ucciso 979 persone, delle quali 887 sono state
segnalate dall’ONU “civili”. Nei primi nove mesi del 2013 le vittime “civili” sono 6mila, mentre l’anno scorso, in
totale, sono state 3100.
La gran parte degli obiettivi, soprattutto colpiti da “fanatici” sunniti contro la popolazione sciita, sono moschee,
mercati chiusi e all’aperto, fermate dei bus, scuole. Lo scopo dichiarato è provocare una controreazione per scatenare
una guerra civile dispiegata.
La ricomparsa e l’estensione degli attentati mirtali e delle persone ferite “civili” data dalla primavera di quest’anno,
in seguito a un’aggressione compiuta il 23 aprile a Hawija, città del nord Irak, dall’esercito contro una manifestazione
sunnita favorevole alla resistenza armata. Lì quel giorno vennero uccisi 50 manifestanti.
Il governo di Bagdad affronta gli attentati con estrema durezza. Solo nella seconda settimana di ottobre (2013) sono
state giustiziate (impiccate) 42 persone; dall’inizio dell’anno le esecuzioni sono state 132; in totale l’anno scorso
129. Il governo iracheno, anche in una recente visita del ministro degli esteri Sebari a Washington, a mantenere la
sorveglianza aerea, anzi a rafforzarla con l’impiego di interventi armati per mezzo di droni.

14 ottobre 2013, liberamente tratto da jungewelt.org


egitto: continuano le mobilitazioni contro i militarI
Ancora sangue in piazza Tahrir
Per la prima volta dopo la destituzione in luglio da parte dell’esercito del presidente Mursi, gruppi di giovani sono
tornati a riunirsi nella piazza Tahrir. Lì, nel centro de Il Cairo, hanno ricordato le vittime del massacro compiuto nel
novembre 2011 proprio dall’esercito; hanno protestato contro il governo di transizione, le forze armate e i Fratelli
Musulmani. La protesta delle componenti atee, il governo militare, ha tentato di marginizzarla denunciando i
manifestanti come “traditori” o, peggio, equiparandoli ai Fratelli Musulmani. Le forze armate cavalcando l’onda della
popolarità, si atteggiano a difensori della rivoluzione egiziana e come baluardo nei confronti dell’islamismo.
Il massacro sulla via Mohammed-Mahmoud nel centro de Il Cairo compiuto nel novembre 2011 fu la reazione del Consiglio
militare superiore, allora detentore del potere come ancora oggi, alla cui testa si trovava il gen. Hussein Tantawi, un
organo che ha governato il paese dall’abbattimento di Mubarak (febbraio 2011) fino all’elezione di Mursi (giugno 2012).
Il 19 novembre 2011 polizia e esercito cercarono di disperdere con la violenza un sit-in in piazza Tahrir; i
manifestanti disarmati per una settimana affrontarono la battaglia di strada. Almeno 47 furono uccisi, migliaia feriti.
Le forze di sicurezza impiegarono con violenza bruta, lacrimogeni, pallottole di gomma e rigide-aguzze. Quel massacro è
così diventato simbolo della protesta. Anche il primo anno (novembre 2012) in cui venne ricordato quel massacro, i
manifestanti dovettero combattere in strada contro il divieto delle polizia e dell’esercito.
Quest’anno i manifestanti atei (fra i quali trotzkisti, liberali, sindacalisti), per non confondersi e scontrarsi con i
manifestanti della Fratellanza Musulmana e dei sostenitori del governo attualmente in carica, si sono raccolti, in circa
2mila, in una piazza un poco distante da piazza Tahrir. Tutti erano in piazza, ogni parte con propri segni e idee, per
ricordare nel corso di tre giorni l’abbattimento del regime di Mubarak.
Il primo giorno l’esercito si è ritirato dalle strade, rendendo per la prima volta possibile alla protesta contro i
militari di ritornare sulla piazza simbolo della resistenza; il secondo giorno sono invece scoppiati i primi scontri,
più che altro verbali, fra chi sosteneva le forze armate e il governo e chi invece combatteva entrambi. E’ stata la
manifestazione serale, circa 5mila persone a sfociare in seguito, nel pieno della notte, in scontri fra polizia e
manifestanti. Qui, secondo fonti ufficiali, due manifestanti sono stati uccisi e 50 feriti.
La battaglia di strada si è infine riaccesa negli ultimi giorni di novembre e nei primi di dicembre, in seguito alla
promulgazione appunto di una legge contro le manifestazioni. Quella è stata la miccia. In essa erano previste pene
draconiane per chi prende parte, annuncia manifestazioni o scioperi non autorizzati; doveva essere legalizzato l’impiego
da parte della polizia e dell’esercito di munizioni rigide-aguzze; si proponeva di criminalizzate la libertà di
riunione, gli scioperi e le manifestazioni; chi manifestava non avrebbe potuto opporre resistenza alle disposizioni
dello stato senza andare incontro a sanzioni penali; consentiva l’impiego della giurisdizione militare nei confronti di
civili che non si attengono alla legge… Le donne arrestate nei giorni degli scontri hanno denunciato di aver subito
molestie sessuali da funzionari della polizia.
Lunedì 1° dicembre diverse centinaia di Fratelli Musulmani si sono riuniti nel campus dell’università Giza de Il Cairo
in segno di protesta contro quella legge e per ricordare Mohammed Reda ucciso nei giorni scorsi dalla polizia negli
scontri in strada. La polizia ha ripreso a sparare lacrimogeni, a usare gli idranti mobili e a compiere decine di
arresti. In questi frangenti, è stato sottolineato da fonti della Fratellanza, in strada i manifestanti delle diverse
correnti di pensiero si sono uniti. Le giornate si sono svolte nello stesso spirito anche nelle università di Beni Suef,
Assiut e Minya (Alto Egitto).
In seguito a queste manifestazioni il governo ha ritirato la legge, annunciando quanto meno una sua revisione.

Si approfondisce lo scontro fra esercito e Fratelli Musulmani (e non solo)
L’autobomba esplosa il 24 dicembre davanti al commissariato di polizia di Mansura (regione del delta del Nilo), che ha
causato la morte di 16 persone, è l’attentato più pesante accaduto negli ultimi 20 anni in Egitto. Domenica 29 dicembre
è intanto esplosa a Anscha (100 km a nord de Il Cairo) un’altra autobomba davanti alla sede dei servizi segreti. Sono
rimasti feriti 4 soldati.
Nello stesso tempo proseguono le proteste nell’università Al-Azhar (Il Cairo) contro la destituzione (con immediato
arresto compiuta il 3 luglio scorso dall’esercito) da presidente del paese, di Mohamed Morsi esponente dei Fratelli
Musulmani (FM). Negli scontri all’università, dove sono andati a fuoco alcuni edifici, è rimasto ucciso uno studente,
decine i feriti, circa 100 gli arrestati.
In seguito all’esplosione a Mansura il governo ha varato una legge in cui i FM viene considerata “associazione
terrorista”, perciò per i suoi membri può scattare l’arresto anche in assenza di un’azione specifica (proprio come in
Italia). In pochi giorni sono stati così arrestate almeno 300 persone. Il ministero dell’interno ha inoltre annunciato
di voler colpire con la pena di morte chi conduce la protesta.
Le prove che gli attentati accennati siano stati compiuti da membri dei FM non vengono né citate né pare interessino il
governo. Intanto nel carcere di Tora, (sud de Il Cairo), i 450 prigionieri lì rinchiusi, fra i quali ci sono parecchi
considerati appartenenti ai FM, ma anche militanti del movimento liberale “6 Aprile” (*), hanno iniziato uno sciopero
della fame contro le condizioni di prigionia. L’anniversario dell’abbattimento del regime di Mubarak (25 gennaio 2011)
cade in una fase molto tesa, colma di duri interrogativi.
(*) Fondato da un gruppo di giovani nella primavera del 2008, a sostegno dei lavoratori in sciopero a Mahalla el-Kubra.
Un movimento che è stata la ragione grazie alla quale la gente comune ha iniziato a sentir parlare di Facebook, e che ha
dato il suo contributo nel far cadere il regime di Hosni Mubarak. Il 6 aprile di quattro anni fa, infatti, due dei suoi
fondatori, ora in carcere, Ahmed Maher e Esraa Abdel-Fatah, lanciarono su Facebook l’invito a manifestare in massa, in
solidarietà dello sciopero generale previsto per lo stesso giorno da parte degli operai tessili del Delta del Nilo.

novembre-dicembre 2013, liberamente tratto da jungewelt.de


Aggiornamenti della lotta dentro e contro i cie
Milano, CIE di via Corelli
30 dicembre. Dal primo gennaio inizieranno i lavori di ristrutturazione del CIE. Gli ultimi reclusi rimasti verranno
trasferiti. La base d'asta per la nuova gestione è stata fissata a 40 euro giornalieri per recluso. L'attuale gestore,
la Croce Rossa Italiana, aveva proposto la cifra di 60 euro, che è stata giudicata irricevibile. Il bando precedente era
finito con un nulla di fatto. Il Consorzio Oasi aveva proposto una cifra di 29 euro, su una base di partenza di 30, ma
non aveva ricevuto l'appalto vista l'incapacità di far fronte alle spese che lo stesso consorzio stava sperimentando
negli altri centri ricevuti in gestione.

Roma, CIE di Ponte Galeria
22 dicembre. Otto reclusi, che si trovano internati da un mese, si sono cuciti le bocche per protesta. La notizia è
finita all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale. Con il passare dei giorni arrivano a 10 e poi a 16 i reclusi con
le bocche cucite e dormono all’aperto. Due giorni dopo in due vengono espulsi insieme ad altri tre che non avevano
aderito alla protesta.
25 dicembre. Cinque reclusi interrompono la protesta.
29 dicembre. Le proteste son terminate, bocche scucite, nessuno dorme più all’aperto, ma tutto continua come sempre!

Lampedusa: Centro di “Primo Soccorso” e “accoglienza” di Contrada Imbriacola
20 dicembre. Dopo la diffusione del filmato in cui si vedono gli stranieri che vengono sottoposti ad un trattamento
antiscabbia, nudi, all'aperto, il Governo ha deciso di rescindere il contratto con la Legacoop, consorzio Sisifo (ente
gestore).
23 dicembre. Il parlamentare del Pd Khalid Chaouki si barrica nel centro di “accoglienza”, in cui, a suo dire "tutto è
fuori dalle regole", peccato che quella situazione è l’aberrante regola da almeno 15 anni. Chaouki ha raccontato che ci
sono ancora 7 profughi sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre. Ci sono infiltrazioni d'acqua nelle stanze, manca una
mensa e gli ospiti mangiano sul letto, nulla di nuovo. Ha annunciato che rimarrà sul posto fino a quando tutti i
profughi non saranno trasferiti in altre strutture; che bella soluzione, da una tortura all’altra! Nel centro ci
sarebbero una trentina di reclusi in sciopero della fame, alcuni anche della sete. Nella sezione femminile una donna
tunisina tenta il suicidio.
25 dicembre. 169 profughi vengono trasferiti in altri lager.
26 dicembre. Chaouki lascia il centro, mentre gli ultimi 17 profughi dovranno essere ascoltati nell’ambito di un
procedimento che la procura di Agrigento sta portando avanti contro alcuni scafisti.
Se nei CIE non venissero sistematicamente distrutte le telecamere dei cellulari dei reclusi, ne avremmo viste anche di
peggio. E comunque nonostante la censura preventiva imposta dalla Polizia e dai gestori dei Centri, in tutti questi anni
non sono mancati video e foto pieni di sangue, con corpi tagliati e pestaggi di polizia e militari, bocche cucite, senza
dubbio ben più scioccanti dell’ultimo video arrivato da Lampedusa.
I responsabili sono la Croce Rossa, l’Auxilium, la Connecting People, la Misericordia e la Legacoop, i sindacati che
difendono i posti di lavoro andati in fumo, proteggendo i carcerieri. Con loro è responsabile il Governo con la Bossi-
Fini e la Turco-Napolitano, che gestiscono il business della reclusione dei senza documenti. Tutti in competizione per
spartirsi la torta milionaria degli appalti per la gestione dei Centri sparsi nel Paese. Una competizione fatta di gare
d’appalto al massimo ribasso, amicizie politiche influenti e un uso sapiente della pubblicità, diretta e indiretta,
offerta dai mass media. Intanto le torture, le persecuzioni ed i morti nel Mediterraneo continuano.

Mineo: Centro di “Accoglienza” per Richiedenti Asilo (Sicilia)
Circa 300 stranieri hanno bloccato le strade in segno di protesta, arrivando poi a scontrarsi con le forze dell'ordine.

Elmas: Centro di “Accoglienza” (Sardegna)
18 dicembre. Ci sono stati disordini ed alcuni stranieri sono fuggiti attraverso le piste dell’aeroporto di Cagliari,
provocando il blocco dello scalo per alcune ore.

Torino: CIE di C.so Brunelleschi
18 dicembre. Continua il processo a 67 antirazzisti torinesi, accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan,
di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione
comunale. Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel
mirino della magistratura. L’intero impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione.
Per ora ci sono state le audizioni dei testimoni dell’accusa.
23 dicembre. Recluse pestate al Brunelleschi. Con il pretesto di una aggressione a una crocerossina e a un ispettore di
polizia, nella mattinata gli agenti di guardia sono entrati nella sezione femminile, la cosiddetta area verde, per
picchiare le donne recluse. Il pestaggio è avvenuto sostanzialmente ai danni delle recluse di nazionalità nigeriana.
Per protestare contro la violenza della polizia, i reclusi delle sezioni maschili hanno rifiutato il pranzo e cominciato
uno sciopero della fame. Una donna nigeriana, accusata di aver morso un agente, è stata chiusa in cella di isolamento.
In uno dei blocchi maschili, invece, un recluso ha ingoiato delle batterie per protesta: è stato portato al Pronto
Soccorso, gli son state somministrate alcune compresse, e quindi è stato riportato al Centro. Un gruppetto di solidali
si è materializzato giusto fuori dalle mura, con fumogeni e petardi, per portare il proprio sostegno ai reclusi in
sciopero della fame. Una decina di minuti di urla e botti ai quali i reclusi hanno risposto rumorosamente, ricominciando
di nuovo ad appiccare piccoli incendi, spenti subito dalla polizia con gli idranti. In solidarietà con le ragazze
nigeriane pestate dagli agenti, sono comparse scritte e secchiate di vernice alla sede regionale della Croce Rossa:
“Cri=Aguzzini” “Cri, complici della violenza sulle donne nei Cie”.
16 gennaio. I reclusi appiccano degli incendi in due moduli abitativi dell’area rossa. I prigionieri vengono spostati
nella mensa dell’area gialla. A parte la sezione femminile, praticamente vuota, tutte le aree maschili sono pesantemente
danneggiate. Contando la quindicina di reclusi sistemati nelle celle di isolamento, nel Cie restano una sessantina di
reclusi.
CIE di Bari Palese
24 dicembre. Scoppia una nuova rivolta. La protesta sarebbe scoppiata poco prima delle 21, e avrebbe provocato pesanti
danni alla struttura, è stata allagata una sezione, sono state distrutte suppellettili e tentata una evasione di massa.
Una decina di contusi medicati nell’infermeria del Cie. I fatti sono durati circa un paio d'ore. Sono seguiti duri
scontri con le forze dell’ordine anche perchè gli immigrati, nella quasi totalità siriani, si sono asserragliati
all’interno di un reparto, dando fuoco a mobili, letti e altre suppellettili. E’ stato necessario anche l’intervento dei
vigili del fuoco per impedire che si propagasse un incendio, dopodiché è stato “ripristinato l’ordine”. Le Forze
dell’Ordine, per tenere sottocontrollo possibili evasioni, hanno presidiato in massa l’esterno del Cie.
Sul Cie di Bari è in corso un’inchiesta penale sul trattamento riservato ai reclusi, dopo che il giudice civile si è già
espresso sull’inadeguatezza delle procedure che violerebbero i principi di assistenza nei confronti degli immigrati. I
reclusi reclamano diritto d’asilo e la libertà di poter circolare liberamente nelle città.
A Napoli una cinquantina di attivisti antirazzisti, in solidarietà con i reclusi del Cie di Roma (in sciopero della fame
con bocche cucite) e del Cie di Bari (che invece hanno danneggiato la struttura, scontrandosi con le forze dell'ordine)
hanno occupato momentaneamente la sede regionale della Croce Rossa. E' stata scelta la Croce Rossa come obiettivo in
quanto gestisce i Cie di Milano e Torino, sarebbe candidata a gestire di nuovo il centro di accoglienza di Lampedusa
(dopo che il precedente gestore è stato mandato via a causa del trattamento antiscabbia considerato disumano) e potrebbe
assicurarsi la gestione anche del nuovo Cie campano di Santa Maria Capua Vetere, che ormai dovrebbe aprire a breve.
10 gennaio. Il Tribunale di Bari ha respinto la richiesta avanzata dall'associazione Class Action Procedimentale di
chiudere il Centro di Identificazione ed Espulsione, ma ha disposto una serie di lavori di adeguamento, che dovranno
essere svolti entro i prossimi tre mesi. In caso contrario i reclusi dovranno essere trasferiti altrove.

Modena: sul processo ad Andrea, Gabri e Sabbo del 20 dicembre
Anche lo scorso 20 dicembre la sentenza del processo che vede coinvolto Sabbo e Gabri ed Io è stata rinviata dalla
giudice Manuela Cortelloni al 24 febbraio 2014.
E' ormai chiaro, che questa giudice si è eretta alfiere dell' ufficio politico della questura di Modena e con la
collaudata prassi del rinvio (questo è il quinto consecutivo) sta facendo in modo che, questa situazione di stallo e le
misure cautelari imposteci si possano protrarre a piacimento proprio e della digos. Oggi, 23 dicembre, è arrivata la
risposta alla richiesta, avanzata in udienza dalla difesa, di un mutamento migliorativo delle misure cautelari, per un
ennesima volta ci è stata rigettata.
Nei CIE polizia e "assistenti" vari brutalizzano i detenuti con ogni umiliazione possibile, ragazzi si cuciono le labbra
pur di avere una prospettiva di libertà, parassiti si diffondono in precarie condizioni sanitarie, si somministrano
psico-farmaci per rendere sopportabile la reclusione; tutto questo per far sì che un sistema basato sullo sfruttamento
di individui subalterni da parte di pochi privilegiati possa continuare.
La clausola per entrare in Europa è quella di essere servo, infatti solo lavorando si possono avere le carte in regola
per poter rimanervi ...altrimenti si è criminali e si deve essere espulsi.
Chi lotta contro tutto questo è definito dai giudici un individuo socialmente pericoloso, mentre chi rinchiude e bastona
dei poveri, un servitore dello Stato.
Rispedisco al mittente tutte le accuse, i lager di Stato vanno chiusi con ogni mezzo necessario! L' azione diretta è
l'unica pratica che può adottare chi non ha intenzione di scendere a compromessi con i propri sfruttatori. BASTA CIE,
TUTTI e TUTTE LIBERI. Andrea.

23 dicembre. Il CIE di Modena è stato soppresso. La decisione è stata presa dal Ministro dell’Interno di concerto col
Ministro dell’Economia e delle Finanze. Il Cie era stato chiuso ad agosto scorso, a seguito dei danni subiti nel corso
delle rivolte. Avrebbe dovuto riaprire dopo lavori di ristrutturazione. La Prefettura ha comunicato di aver avviato le
procedure per la disdetta del contratto di locazione e dei contratti di manutenzione per la gestione degli impianti del
centro.

Trapani, Centro di “Accoglienza” di Serraino Vulpitta
9 gennaio. Alcuni migranti avrebbero protestato per tre ore di fronte al centro contro le lungaggini burocratiche per il
rilascio del permesso di soggiorno e le condizioni igienico-sanitarie in cui versa la struttura. Il Serraino Vulpitta
non è più un centro di espulsione, anche se il sito del Ministero continua imperterrito a segnalarlo come tale.
Gli stranieri avrebbero bloccato il traffico di una via, utilizzando cassonetti dei rifiuti e vecchie suppellettili. Tra
i motivi della protesta anche la mancanza d’acqua che ha interessato l’intero quartiere, la scarsità di cibo e la
precaria assistenza medica. Una delegazione di migranti è stata ricevuta dalla Questura. Non si sa cosa gli sia stato
detto, comunque la protesta sembra rientrata. In questo centro sono presenti 150 persone.

Cie di Trapani Milo Chiude per ristrutturazione
18 gennaio. Anche questo cie chiude per ristrutturazione, lo ha annunciato il Prefetto nel corso di una conferenza
stampa. I lavori inizieranno a febbraio. I muri di cinta verranno innalzati, per scongiurare le fughe. Secondo i dati
diffusi dall'associazione Medici per i Diritti Umani, il Cie di Milo è quello col più alto numero di evasioni a livello
nazionale. Nell’ultimo anno i tentativi di fuga riusciti son stati 613.
Un altro intervento previsto prevede di spostare le centraline elettriche, che attualmente sono a portata di mano e di
sabotaggio. I reclusi son stati forse trasferiti nel cie di Bari.
Nelle scorse settimane si era svolta la gara per l'affidamento della gestione del centro, dopo che il contratto con la
cooperativa Oasi era stato revocato. L'appalto era stato aggiudicato dalla ditta Glicine, che poi aveva rinunciato.
Questo lager è stato costruito nel 2010, inaugurata nel 2011. Il suo costo è stato di 6 milioni di euro. I lavori
costeranno altri 660 mila euro.

Bologna, 18 dicembre
Nella giornata dedicata ai migranti, ci sono state cariche della polizia contro i manifestanti che chiedevano di non
riaprire il CIE. La tensione è salita mentre gli attivisti stavano scrivendo “Mai più Cie” sul muro di recinzione della
struttura.

Sos Rosarno: la guerra delle arance
9 gennaio. In occasione dell’anniversario della rivolta del 2010, l’associazione Sos Rosarno ha organizzato, con
l’appoggio della rete Campagne in lotta, una giornata a sostegno della resistenza bracciantile e contadina, che si è
svolta a Roma, Firenze, Livorno, Milano e Bologna. L’iniziativa ha voluto sottolineare e denunciare la logistica della
grande distribuzione per comunanza di sfruttamento contadino e bracciantile nei campi, le condizioni di lavoro e lo
stato di apartheid in cui versano i lavoratori africani. A Rosarno è peggio di 4 anni fa, quando almeno gli sfruttati
dormivano in case di muratura, mentre ora sono ghettizzati in una tendopoli a 7 chilometri da Rosarno. Non c’è la
volontà di accogliere ma solo di sfruttare.

Il 18 dicembre, Anonymous ha attaccato siti del governo, del ministero dell’interno e della polizia di stato, che
risultano irraggiungibili. Questa azione è di protesta alle condizioni disumane e di tortura di tutti i reclusi nei
Cie e negli ospedali psichiatrici giudiziari; invocando l’immediata chiusura dei lager di stato (CIE e OPG) e
l’immediata liberazione di chi vi è detenuto.
Milano, gennaio 2014


Lettera dal Coordinamento detenuti
La mobilitazione all’interno delle carceri, proclamata dal "Coordinamento dei detenuti" nel mese di settembre 2013 ha
visto di migliaia di detenuti partecipare ad una lotta come da anni non si vedeva.
Nonostante le difficoltà riscontrate nel coinvolgere tutti i penitenziari, i tanti aspetti positivi della stessa ci
dicono che la strada intrapresa è quella giusta ed è unanime la convinzione che la protesta sia la sola ed unica
risposta contro un sistema inaccettabile; sistema definito da più parti come inumano e degradante, fatto di abusi e
pestaggi, che vede tra le sue ultime vittime quella di Federico Perna morto per mano dello stato nel carcere di Poggio
Reale. È ora di dire basta!
Noi non ci accontentiamo di aver creato un primo momento di conflitto, noi vogliamo e possiamo fare di più e puntiamo ad
una reale modifica di questo sistema carcerario indicendo per il mese di aprile 2014 una nuova mobilitazione con
scioperi della fame battiture, rifiuto del vitto e forme di lotta autodeterminate, tanto incisive quanto il contesto più
lo permetta, dal giorno 5 al giorno 20 dello stesso mese.
Con questa nuova protesta è nostra intenzione mettere al centro delle rivendicazione l’urgente necessità di un’amnistia
generalizzata in nome della libertà e l’abolizione dell’ergastolo. Ribadiamo il nostro NO a differenziazioni,
trasferimenti punitivi e isolamento, rinnoviamo le precedenti richieste quali migliori condizioni di vita, soluzioni
alle emergenza del sovraffollamento, il rispetto dei diritti naturali dell’uomo che qui dentro ci vengono negati,
l’abolizione dei regimi di tortura legalizzati quali: 41bis, 14bis ed alta sorveglianza dei reati ostativi e la
liberazioni di tutti i malati cronici reclusi, riporre speranze nei confronti di chi questo sistema lo ha creato e
sostenuto non serve a nulla così come lamentarsi o lagnarsi, noi e solo noi possiamo spezzare queste catene e per farlo
dobbiamo iniziare dall’interno consapevoli che la lotta ci rende liberi.
Chiediamo per tanto a tutti i detenuti di non restare indifferenti e contribuire con il massimo delle proprie forze per
far si che la mobilitazione del prossimo aprile 2014 sia la più ampia e partecipata possibile.
Ci appelliamo inoltre a tutti i movimenti, alle organizzazioni, ai famigliari dei detenuti e ogni singolo cittadino
affinché siano indetti, nelle settimane precedenti la mobilitazione presidi all’esterno delle carceri per fare arrivare
il nostro messaggio a quanti più detenuti.
LA LOTTA NON SI ARRESTA
P.S. Consigliamo ai fratelli e alle sorelle reclus* di redigere comunicati da diffondere e chiediamo ai solidali di
tutt’Italia di far tuonare il nostro grido di libertà sulla rete e nelle piazze.

dicembre 2014

Lettera dal 14bis del “Pagliarelli” (PA)
Saludos, ho ricevuto i vostri saluti con quella forza che li distingue. Invece non mi è arrivato ancora l’opuscolo (in
che data è stato spedito?), neanche altro materiale spedito da altri compagni (a parte quelli sequestrati nell’ultimo
periodo).
La collera è tanta, soprattutto quando non si ha la possibilità di concretizzare nulla rispetto all’ABC che diventa
sempre più prevaricatore. Arriveranno tempi migliori, e di questo ne sono certissimo! Intanto al di qua del muro siamo
in pieno dibattito per quel che concerne il coordinamento (sia teorico che pratico) con altri prigionieri di altre
galere. Il tempo ci dirà… Contraccambio i saluti con un forte abbraccio a tutte\i compagne\e, sempri ainnantis! Davide.

Palermo 18 dicembre 2013
Davide Delogu, v. Bachelet, 32 – 90129 Palermo


Lettera dal carcere di Viterbo
Carissimi compagni e fratelli detenuti, sono stato nuovamente trasferito qui nel carcere- lager di Viterbo e dirvi che
mi sono rotto il cazzo è poco. Ormai è una continua deportazione da un penitenziario ad un altro; sono 7 trasferimenti
in soli 11mesi, e mantenere la calma non è una cosa semplice. Non mi stabilizzo da una parte che già sono in partenza e
questo in barba alla situazione di salute di mio padre che è invalido al 100% e quindi non può venirmi a trovare. E’ un
modo di fare da infami vero e proprio e tale trattamento accresce, giorno dopo giorno, il mio odio verso questo stato
fascista e di chi lo governa.
Pensano che chiuderci in una cella può fermarci e zittirci; non ci hanno proprio capito un cazzo! Ogni loro azione mi
porta a lottare con più forza e il sostegno di chi dall’esterno si mobilita al nostro fianco mi fa capire che stiamo
creando a loro più di una grana. Non possiamo ora fermarci o tirare i remi in barca, dobbiamo alzare il tiro e puntare
sempre più in alto.
La futura mobilitazione del mese d’aprile sarà il banco di prova per noi tutti. Il coordinamento con coraggio ha indetto
questa nuova mobilitazione, ma sta a noi tutti far sì che essa riesca: noi che siamo reclusi e voi che dall’esterno fate
vostre le nostre battaglie, dobbiamo essere un tutt’uno. Il timore di essere puniti mettiamolo da parte, loro giocano
proprio su questo.
Immaginate ciò che può significare una mobilitazione in tutte le carceri italiane. Quella di settembre ha acceso la
miccia e questa di aprile 2014 può rappresentare l’incendio che distruggerà un sistema barbaro che tutti noi conosciamo
e subiamo.
Il carcere così come concepito significa sofferenza per noi e per i nostri familiari, e restare in silenzio dinanzi a
tutti i loro abusi vuol dire legittimare il loro modus operandi.
E visto che noi tutti ci lamentiamo per le condizioni in cui ci troviamo a vivere, vale la pena adoperarsi per cercare
di cambiare l’esistente; se negli anni 70 e 80 i detenuti non si fossero sollevati, ora quei pochi “benefici” di cui
godiamo neanche li avremmo.
Lo sapete che per avere il fornello in cella sono morti diversi reclusi?
Ogni conquista necessita di una lotta, quindi, non tiriamoci indietro, proviamo a coinvolgere tutti i detenuti nella
mobilitazione del prossimo aprile, parlando con i più titubanti e facendogli capire che ne vale della nostra libertà.
Fare una battitura, rifiutare il vitto, redigere un comunicato, raccogliere firme, è un modo per sentirsi vivi e per
dimostrare a chi ci vorrebbe vedere in ginocchio che noi resistiamo. Sarà difficile coinvolgere tutto il carcere, questo
lo sappiamo, quindi partiamo dalla nostra sezione e proviamo a far uscire la nostra voce fuori, tramite comunicati.
Vedrete che i solidali non tarderanno a sostenerci.
C’è una bellissima frase del “Che”, e dovremmo tenerla a mente, essa recita: “Chi lotta può perdere chi non lotta ha già
perso”. Avanti carcerati! Davide

Viterbo 12 gennaio 2014
Davide Rosci, Strada S. Salvatore 14/b – 01100 Viterbo


Lettera dal carcere di Rossano (Cosenza)
A proposito di comunicazione, fra dentro e fuori le carceri, ostacolata, censurata allo scopo di impedirla, ecco quanto
avviene nella sezione alta sorveglianza per combattenti arabi - alcuni arrestati nei campi di battaglia dell’Afghanistan
-, entrata in funzione circa tre anni fa nel carcere di Rossano Calabro. Cioè, per scelta dello stato, un luogo
relativamente distante, dove la possibilità dell’immediata solidarietà di ogni tipo è più difficile che altrove. Un
ulteriore forma di isolamento da affrontare da tutti/e coloro che si ribellano, lottano, combattono contro la
devastazione ambientale-sociale perseguita dalle ricche, potenti combriccole multinazionali e anche no che hanno nelle
loro mani le redini dello stato.

[…] spero vada tutto bene, io per quanto mi è possibile cerco di stare bene. Il 10 dicembre 2013 ho ricevuto l’opuscolo
85, ma nessuna lettera. Alla tua cartolina avevo risposto il 29 novembre 2013 con una raccomandata, ma non mi stupisco
se non è arrivata.
Dopo che ho scritto ad Ampi Orizzonti mi hanno messo la censura [nella lettera c’è il timbro del “visto di controllo”,
ndr] per impedirmi di dire la vera situazione in cui stiamo. Non capisco, ma se questo carcere agisce legalmente e con
trasparenza, perché dovrebbero preoccuparsi così tanto per ciò che scrivo all’Associazione che difende i detenuti?
Comunque, sono passati circa 2 mesi e non ho ricevuto la lettera con l’indirizzo del consolato marocchino. Non
disturbarti più, me lo faccio dare dall’avvocato.
Ti ringrazio per il tuo tempo e come sai per me che sono detenuto scrivere e ricevere lettere è un modo per conoscere
nuova gente, crescere culturalmente, sentirsi vivi ed è un sostegno morale per terminare serenamente questo periodo
della vita.
Dunque vi ringrazio per la compagnia e fiducia. A presto.
Un saluto pacifico e sereno Mohamed

Rossano, 16 dicembre 2013
Jarmoune Mohamed, Contrada Ciminata Greco, 1 - 87067 Rossano Scalo (Cosenza)


il regime di censura nelle carceri è sempre più arbitrario
Lettera dal carcere di Terni
Di seguito una lettera che Pasquale (De Feo) ha mandato alla direttrice de Il Manifesto per segnalare che a Davide
Emmanuello, detenuto in regime di 41bis, è stata vietata la lettura de Il nome della Rosa e de Il Manifesto.

Dott.ssa Norma Rangieri, Redazione Manifesto, Via A. Bargoni n. 8 - 00153 Roma
Egregia Direttrice, il suo giornale tramite abbonamento gratuito invia il quotidiano al detenuto Davide Emmanuello
ristretto nel regime di tortura del 41 bis ad Ascoli Piceno, Via dei Meli n. 218, cap 63100, Marino del Tronto (Ascoli
Piceno).
Per ragioni oscure, la direzione del carcere gli ha sospeso la distribuzione del Manifesto quando gli arriva tramite
posta.
Siccome con l’ultima legge del famigerato duo Alfano-Berlusconi, hanno reso questo infame regime simile ai centri di
detenzione psichiatrici che usano tutte le dittature per rinchiuderci i dissidenti, per annullarne la personalità e
annichilirne il pensiero.
Per farle un esempio, qualche mese addietro gli rifiutarono di fargli leggere il libro della biblioteca del carcere “Il
nome della rosa” di Umberto Eco, perché ritenuto pericoloso dall’area educativa. Con la legge n. 94/2009 di Alfano è
l’educatrice a decidere quali libri della biblioteca un detenuto può leggere; neanche Mussolini era sceso così in basso.
Ad Antonio Gramsci permettevano di avere quattro libri in cella e libertà di leggere tutti i libri della biblioteca.
Parliamo di ottant’anni fa. Le lascio immaginare il resto.
Credo che il motivo sia tutto nell’orientamento politico; nel sistema penitenziario non adorano tutto ciò che si volge a
sinistra.
Siamo nel terzo millennio e ci sono ancora le censure sui quotidiani, riviste, libri da leggere, violando la
Costituzione con la copertura del sistema penitenziario, principalmente dei magistrati di sorveglianza.
Il suo quotidiano non è un pericolo per l’ordine e la sicurezza, pertanto le chiedo un intervento affinché Davide
Emmanuello possa continuare a leggere Il Manifesto.
Le scrivo io perché la direzione del 41 bis Ascoli Piceno non farebbe mai partire una lettera del genere. Fiducioso nel
suo intervento, le invio cordiali saluti.


Richiesta di solidarietà per una detenuta nel carcere di Trapani
Ciao, vi chedo di pubblicare l'indirizzo di questa mia cara amica detenuta nel carcere di Trapani, per farle avere
solidarietà da fuori per via delle continue e costanti minaccie che le vengono fatte dalle guardie; oltre a vessazioni
per essere sempre rimasta fedele a se stessa in questi cessi dello stato, finendo sempre in isolamento o venendo
trasferita. Le hanno anche bloccato la possibilità di ricevere l'opuscolo di Olga e non le fanno avere i pacchi da
fuori, come l'ultimo mandatole per sostenere il freddo invernale con biancheria e asciugamani. Questo è l indirizzo:

Fumia Alessandra, via Madonna di Fatima 222 - 91100 Trapani

19 dicembre 2013, da informa-azione.info


Lettere dal carcere di Spini di Gardolo (TN)
[...] In qualche modo sono comunque riuscito a recuperare i numeri precedenti, nonostante i continui sequestri delle
riviste compiuti dalle guardie.
Qui dentro la lotta va avanti con scioperi e parecchie raccolte di firme: anche l’ultima per abolire il 41bis è andata
benissimo!
Ho letto la storia Daoudi Abdelaziz marocchino, ucciso da uno stato assassino e fascista e porgo alla sua famiglia le
mie più sincere condoglianze! Non si può andare avanti così, dobbiamo unirci, tutti i carceri d’Italia e decidere di far
qualcosa. Continuiamo ad assistere a “suicidi” o meglio omicidi, violenze, torture, condanne altissime e poi i froci dei
media parlano di amnistia e indulto?
Raga, ci stanno prendendo per il culo dal 2008 e noi ancora gli diamo retta! Voglio farvi una domanda: ma se iniziamo a
dar fuoco a ‘sti lager di merda, che fanno? Ci arrestano hihi-haha. Ci… quando non ci sono più carceri che fanno un bel
niente.
Strasburgo sta facendo il culo all’Italia e noi che viviamo questa situazione disumana che famo? Io sono con voi raga,
lo dico a tutti i compagni in rivolta, qui siamo pochi ma buoni.
Vorrei dire a Andrea: i 4 fasci che ti hanno menato pagheranno, tieni duro fratello mio e sempre a testa alta, un
abbraccio da Davide anti-fascista.
Raga, sono uno di voi. Con il carcere ho capito ancora meglio quale è la mia ideologia e spero che due mani in più in
prima fila in valle fanno comodo!
Gli scontri di Roma mi hanno tenuto incollato alla tv, bella lì! Ho voglia di scendere in piazza. Se tutto va bene esco
il 13 dicembre se no il 18 gennaio. A piede libero ho l’appello al tribunale di Bologna per resistenza… il 28 dicembre
sempre 2013.
Aspetto tue notizie e l’opuscolo nuovo.
Un abbraccio ribelle unito al saluto a tutti gli anarchici di Rovereto, ciao Rasta, ciao Juan.

Spini di Gardolo, inizio dicembre 2013
Davide Minelli, v. C. Beccarla 13 – 38121 Spini di Gardolo (TN)

***
Cari amici e amiche, ho ricevuto con piacere il vostro opuscolo. Mi sembra di ricordare che ci siamo già scritti. Vi
scrivo per farvi sapere che mi fa molto piacere ricevere info sull’andamento inframurario nelle schifose carceri
italiane. Mi scrivevo con l’Associazione Rebeldies di Cuneo ma non ricevo più risposta.
Vi scrivo per farvi sapere che oggi un ragazzo è morto suicida in questo carcere. Lo Stato e le sue tecniche repressive
hanno colpito ancora. È successo oggi quindi devo ancora capire bene come e perché.
Vi avviso inoltre che ho aderito insieme ad un amico allo sciopero indetto contro le torture legalizzate quali il 41bis,
14bis, contro l’ergastolo e l’isolamento. Anche qui l’isolamento è senza tv e senza la possibilità di cucinare. Ma ci
sono molti altri problemi sui quali si è provato a lottare con scioperi organizzati, istanze o raccolte di firme, come
ad esempio l’uso delle lamette, che è consentito solo quando lo dicono loro, in giorni e ore stabilite; le lamette
vengono conservate da loro e sussiste un grave rischio di trasmissione di malattie emo-trasmissibili.
Ci sarebbero molte altre cose su cui vorrei soffermarmi, come ad esempio i numeri identificativi delle guardie per
chiamarle… la scarsezza del mangiare, i pestaggi, la posta censurata senza alcun avviso o notifica, le lettere che
arrivano aperte e rincollate, i magistrati di sorveglianza che non accettano niente né la liberazione anticipata né
altro con motivazioni assurde… Vabbè, mi fermo qua, vi mando un grande abbraccio solidale, per una società senza né
classi né prigioni né stato né servi né padroni.
Ribelle ad ogni costo, Nico.

Spini di Gardolo, 28 ottobre 2013 [giunta a noi dopo Natale]
Nicola Monetti, via C. Beccarla 13 - 38121 Spini di Gardolo (TN)


Lettera dal carcere di Montorio (VR)
Qui dopo il trasferimento sto iniziando ad aprire gli occhi e vi racconto un po’ come va qui a Montorio. Mi hanno
trasferito, perché dopo la mobilitazione di settembre, c’era l’ordine del Procuratore e la Direttrice del carcere di
Spini, perché secondo loro miravo alla sicurezza del carcere, poi arrivato qua a Verona c’era l’ordine di mettermi in
sezione speciale ma siccome ho reati comuni mi hanno messo con i detenuti comuni, però qui nel box della mia sezione
hanno la mia scheda attaccata sul muro con su scritto “alta sorveglianza” e “sorvegliato speciale”, ogni minima protesta
o battitura, loro vengono subito da me a rompere i coglioni, comunque dai vi racconto un po’ di cose che non vanno!
Inizio con il dirvi che le celle sono da 4 con 4 armadietti grandi e 4 piccoli e se calcoliamo il tavolo e gli sgabelli
ci sono 5 mq calpestabili, il bagno/cucina è la metà della cella con water, bidè e lavandino e un tavolo per cucinare;
le celle sono freddissime perché c’è solo un termosifone che però è attaccato al blindo, quindi immaginatevi il caldo
dove va, in bagno non c’è, ma c’è la finestra che bisogna lasciarla socchiusa per far girare l’aria.
In sezione ci sono 4 celle in cui piove dentro perché il soffitto è pieno di buchi (vi ricordo che questo carcere ha
meno di 20 anni), acqua totalmente ghiacciata e la doccia è in sezione, e va a rotazione perché ci sono 8 docce per 100
detenuti, tipo alla mia cella tocca il lunedì, il mercoledì e venerdì dalle 13.30 alle 14.30 facendoci perdere anche
l’ora d’aria e l’acqua su 10 volte 9 volte è tiepida o completamente fredda e anche se sono abituato al freddo, però mi
scazza lavarmi con l’acqua ghiacciata, anche se sono stato per strada 4 anni! Qui a Verona che è una città umidissima e
in cella ci sono i muri zuppi di goccioline e ogni notte mi cadono tutte in testa poiché il mio letto è sotto la
finestra. Poi parliamo della palestra che c’è per la mia sezione una volta al mese, che di attrezzi non ce n’é nemmeno
l’ombra infatti si usa per giocare a calcetto o basket e anche al campo da calcio si va una volta al mese.
Poi parliamo del lavoro che lo danno solo ai lecca culo. Per farvi un esempio il mio compagno di cella è da 1 anno e 8
mesi che aspetta un lavoro, questo per farvi capire che se vuoi lavorare ti devi inginocchiare! Bastardi! Poi parliamo
della sanità che qui è praticamente assente e se vuoi parlare con un medico devi fare la domandina e dopo 1-2 settimane
ti chiama e l’unica che ti danno è tachipirina o brufen e morta lì!
Un detenuto che ha fatto un infarto, il quale già dalla mattina lamentava dei dolori e non lo hanno cagato, verso
mezzogiorno ha fatto l’infarto e solo perché passava di lì una guardia se no ciao, bè insomma è stato 20 giorni
all’ospedale ed è tornato con un taglio al petto ed un pacemaker, ha richiesto i domiciliari e gliel’hanno rigettati e
parliamo di un signore di 50 anni che ha il fine pena a marzo 2014, che miserabili!
Poi un altro ragazzo che una settimana prima del suo arresto ha fatto un incidente in macchina e il braccio sinistro era
andato a puttane, qua, l’ho visto al punto che il braccio sinistro era la metà di quello destro e non lo hanno mai
portato all’ospedale. Ha richiesto i domiciliari ma rigettati, solo dopo varie denunce al carcere e burdelli vari
l’hanno mandato a casa, mamma mia che gente indegna e miserabile!!
Parliamo del cibo, all’inizio mi sembrava buono ma solo perché ero abituato alla merda di Spini. Ma ora posso confermare
che fa cagare, è immangiabile. Poi in cella, ogni tanto senti che ci sono i topi nelle tubature dentro i muri perché
senti grattare e squittire, ogni volta che ti siedi sul water devi avere paura che non ti sbuchi un topo ed è successo
alla cella affianco alla mia e ogni tanto trovi anche qualche scarafaggio. Poi anche per le chiamate è un casino perché
è la direttrice che deve autorizzare, e anche se ho fatto mille domandine niente. Sono 2 mesi che aspetto ma ancora
niente e proprio ieri ho litigato con un capo posto perché non mi voleva far andare dalla direttrice, che poi alla fine
era in vacanza. Quindi forse inizio uno sciopero finché non mi accettano le chiamate. In caso vi faccio sapere, ok?
Insomma questi sono una parte dei problemi che ho visto con i miei occhi, quindi è la verità ma di sicuro vi riscriverò
per farvi sapere ancora tante cose.
Ieri ho visto una cella completamente bruciata che un fratello 3-4 mesi fa ha bruciato, un’immensa gioia nel cuore
appena l’ho vista!! Eh eh resto speranzoso nella distruzione di ogni lager, CIE e di tutte le cose nocive per la terra,
Pubblicatela pure con il mio indirizzo così capisco se c’è qualche compagno rinchiuso qua a Montorio. Un saluto speciale
ai miei fratelli che ho lasciato a Spini, cioè Minelli e Nico e a tutti i compagni di Trento e Rovereto che mi sono
sempre vicini e un saluto alla famiglia di Doc, il ragazzo morto al carcere di Spini. Basta morti in galera e basta con
le galere. Sta a noi abbatterli e demolirli. A fuoco ogni galera e ogni suo aguzzino! Un saluto a voi e un abbraccio
fiero e ribelle. Randagio.

Verona, 25 dicembre 2013
Garofalo Giancarlo, Via San Michele - 15 37141 Verona


Lettera dal 14bis del carcere di Tolmezzo (UD)
[...] negli istituti penitenziari della Toscana il tribunale di sorveglianza funziona, qui in Friuli Venezia Giulia,
specialmente nel carcere di Tolmezzo, sotto il tribunale di sorveglianza di Udine e nel distretto della corte d’appello
di Trieste non hanno pietà di nessuno. Nei miei confronti non sono stati applicati neanche i giorni di liberazione
anticipata, neanche i 75 giorni di liberazione previsti nel decreto legge nr.146 del 23 dicembre 2013. Qui hanno
rifiutato di applicare nei miei confronti la libertà condizionale nonostante abbia già scontato 22 anni…
L’educatrice che segue il mio caso non vuole inoltrare la mia richiesta di trasferimento, anche se sono già arrivato al
fine pena. Adesso infatti sto scontando la carcerazione per reati commessi in carcere: danneggiamento, incendio,
resistenza e lesioni nei confronti del corpo delle guardie, nonostante la vittima fossi io, mi hanno accusato di
aggressione per aver partecipato (anni fa) ad una protesta pacifica nel carcere di Lecce. Per quello mi isolarono come
promotore, applicandomi il regime d’isolamento 14bis. In precedenza, nel carcere di Novara, avevo già scontato 6 mesi
sempre di 14 bis, altri 3 mesi a Foggia infine all’Ucciardone di Palermo dove, oltre a tanti abusi, come le
perquisizioni arbitrarie, mi hanno percosso fino a rompermi la clavicola sinistra. Dopo l’intervento del consolato del
regno del Marocco di Palermo e del garante dei detenuti, Salvo Flores, oggi deputato, sono riuscito ad ottenere il
trasferimento a Roma-Rebibbia - sempre sotto il 14bis.
L’applicazione di questo articolo viene applicata con ordinanza del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP). Su
di me hanno scritto che doveva essere applicato il14bis perché “il detenuto può attentare all’incolumità del personale
della polizia penitenziaria”. Per tre volte hanno tentato di uccidermi. Al minimo movimento delle mani agiscono subito.
Dopo il trasferimento a Roma è stata aperta un’inchiesta per maltrattamenti nei miei confronti. Il ministero della
Giustizia ha incaricato quattro commissari senza divisa e due ispettori del DAP allo scopo di costringere il pubblico
ministero di quel processo a contestarmi la calunnia, altrimenti lo avrebbero trasferito per punizione ad altra sede.
Questo è accaduto realmente davanti ai miei occhi. Dopo aver subito botte, dopo essere stato denudato, picchiato e
umiliato il 22 agosto 2013 sono stato infine condannato a 2 anni per calunnia; negli stessi giorni mi è stato comunicato
il cumulo di un anno (la pena emessa dal tribunale di Novara per fatti del 2005) per “per resistenza e lesioni a
pubblico ufficiale”. Siccome ho preso una condanna superiore a due anni, unita a 300 euro di multa… mi è stato revocato
l’indulto del 2006…
Alla fine dei conti il fine-pena è previsto nel 2021… dati i precedenti non posso ottenere neanche un’attività
lavorativa.
Novità del carcere di Tolmezzo: è stato applicato un regime che prevede, nella sezione definitivi, l’apertura dei
cancelli delle stanze di detenzione dalle 8,30 fino alle 19,30 di tutti i giorni, consentendo così il libero movimento
all’interno della sezione e il libero accesso agli spazi come la saletta della socialità, alle docce ecc.. Chi viola le
regole viene portato all’isolamento 15 giorni e poi trasferito nella sezione giudiziaria dove le celle rimangono come
sempre chiuse. Nella sezione AS2 ora in cella sono in due non più in tre. Hanno installato le tv plasma con 97 canali…
Cari saluti anche a Maurizio Alfieri che si trova nel carcere di Spoleto (Perugia)

Fine anno 2013
Korachi Zouhair, v. Paluzza, 777 - 33028 Tolmezzo (Udine)


Riparte il processo a Maurizio Alfieri e Valerio Crivello
2012 - Carcere di Tolmezzo: nella sezione di isolamento Maurizio e Valerio, che da tempo si battono contro i soprusi e
le violenze all'interno delle carceri, reagiscono alla provocazione di un detenuto che si definisce collaboratore “di
giustizia” e “della direzione carceraria”. Per ritorsione entrambi vengono trasferiti. Ora sono detenuti rispettivamente
nelle carceri di Spoleto e Piacenza.
Da tempo si battono contro i soprusi e violenze che ci sono dentro le carceri; senza paura hanno fatto uscire la vera
situazione del carcere di Tolmezzo dove la quotidianità è dettata dalla violenza della direttrice, dei secondini
picchiatori, dei GOM. È la loro determinazione che gli ha fatto conoscere tanti compagni e compagne solidali.
A chi non sta in silenzio spetta isolamento e persecuzione, ma è grazie a persone come loro che il muro di silenzio che
circonda carceri e commissariati si incrina.
Le morti fuori e dentro il carcere sono all'ordine del giorno: Riccardo Rasman ucciso dalla polizia in casa sua a
Trieste, Alina Bovar morta dentro una cella nel commisariato di Opicina sul carso triestino, le ultime morti di Vargas
Zsolt detto “Doc” nel carcere di Trento e di Federico Perna in quello di Napoli. Sono alcune delle persone morte nelle
“mani” dello Stato.
Proprio perché siamo contro queste violenze e il sistema che le determina, sabato 8 febbraio saremo sotto il tribunale
di Trieste a portare la nostra solidarietà a degli uomini che hanno deciso di non restare indifferenti. Per quanto
riguarda il processo dell'8 febbraio, a Valerio il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha imposto la
videoconferenza, mentre Maurizio sarà presente in aula, pronto a rovesciare i ruoli di accusatore e accusato e ad
attaccare a testa alta il sistema penitenziario. È importante non lasciarli soli.
Come l'altra volta, non si saprà fino all'ultimo in che carcere li porteranno il giorno prima. Seguiranno maggiori
informazioni appena possibile.

22 gennaio 2013
da informa-azione.info


Lettere dal carcere di Lenzburg (Svizzera)
Dal carcere di Lenzburg, Marco Camenisch ci informa che gli è stato notificato l’ennesimo rifiuto alla concessione della
libertà condizionale a cui potrebbe già aver avuto accesso da tempo visto che ha già scontato i 2/3 della pena
inflittagli dai tribunali elvetici. Diffondiamo un estratto dalla sua lettera.

8 dicembre 2013, da informa-azione.info
Cassa AntiRepressione delle Alpi occidentali

[…] Questa volta il rifiuto viene dal TAR. A dire il vero ne ho piene le palle di occuparmi delle solite prolisse
cretinate repressive, in cui anche il TAR ‘approva’ semplicemente tutto quanto già espresso dai suoi degni compari, con
l’unica aggiunta di una grettezza e malignità di più. M’aspettavo senz’altro una conferma della negazione ma, a dire il
vero, per lo meno una punta di serietà nel trattamento degli ‘argomenti della difesa’. Con questo, in pratica, vanno di
filato verso l’internamento a posteriori, a fine pena, come prospettiva reale più probabile. Ecco l’unico elemento di
rilievo…

***
Hola compas! Confermo e ringrazio per l’opuscolo 86! Augurandovi un buon anno nuovo, ovviamente combattivo!! Il mio è
iniziato alle celle… tanto per smentire che sarei bravino… Allego bolli e nulla più [Marco invia sempre traduzioni sulle
lotte nel mondo contro la devastazione, ndr…] visto che mi hanno fregato [alle celle non gli danno il computer, almeno
su questo Svizzera e Italia stanno alla pari, ndr]…
Con amore e rabbia, marco.

Lenzburg 7 gennaio 2014
Marco Camenisch PF 75 – 5600 Lenzburg (Svizzera)


lettera dal carcere di Freiburg (germania)
Ricevuto e tradotto dall'inglese da E. D, B. (tradotto dal tedesco dalla ABC di Brighton)
Legge-nazi in Germania 2013. Da informa-azione.info.

Nel 1933 la Germania nazista creò una nuova legge, chiamata "Detenzione Preventiva" (D.P.), che ha permesso allo Stato
di tenere in prigione persone anche dopo il loro fine-pena. I tribunali della Germania Est vietano tale legge in quanto
"legge fascista"; i tribunali della capitalista Germania Ovest non hanno mai avuto alcun problema con questa legge-nazi,
così tutt'oggi continuiamo ad avere la D.P. in Germania — dal 1993 sia nella Germania Est che in quella Ovest.
Io sono una delle vittime di questa legge-nazi perché 17 anni fa il tribunale mi condannò, red-skin anarchico, a una
pena a lungo termine dopo una rapina in banca per disporre di denaro destinato ad attività legali ed illegali. I
giudici, vi aggiunsero la D.P.
Il 7 luglio del 2013 ho concluso la mia pena, dopo che mi han tenuto in isolamento dal 1996 al 2007, e ora mi tengono in
un modulo speciale per i confinati della D.P. nella prigione di Freiburg, una città nel lontano sud-ovest della
Germania, vicino al confine con la Francia.
Qui nel modulo D.P. di Freiburg siamo 55 detenuti (complessivamente in Germania ci sono 500 uomini e 3 donne confinati
per la D.P.): siamo tutti prigionieri a lungo termine. Alcuni di noi hanno vissuto dietro le sbarre per 40 anni. L'unico
motivo per cui lo Stato ci sta tenendo nei loro centri dipende dal fatto che gli esperti forensi ci credono una minaccia
per la sicurezza pubblica.
Nel 2011 il tribunale costituzionale federale tedesco ha dichiarato che le condizioni di vita nei moduli di D.P. violano
la Costituzione e ha dato al governo l'ultimatum al 31 maggio 2013 per modificarle.
Attualmente ho trascorso più di, due mesi in questo modulo di D.P. e, posso dirlo, è esattamente come una prigione, mi
fa sentire come se stessi in prigione, continua ad essere una prigione. Non c'è alcuna differenza sostanziale con le
prigioni vere e proprie.
Abbiamo pagato per quello che abbiamo fatto, e abbiamo pagato un alto prezzo, ma rimanere in galera sapendo che la pena
è finita crea qualche problema psicologico. I secondini fanno del loro meglio per sottomettere i prigionieri tutti i
giorni. Alcuni di noi stanno vivendo nei moduli di D.P. da 5, 10, 15 anni e oltre senza alcuna reale possibilità di
essere rilasciati presto.
Nel mio caso specifico, l'esperto forense ha dichiarato al tribunale che ho un "disturbo da personalità narcisista", che
ho rifiutato qualsiasi lavoro forzato (il che ha un effetto negativo sulla "prognosi") e che non collaboro né con la
prigione né con lo stesso esperto forense. Non prende in considerazione tutte le mie relazioni sociali e sostiene che
tali relazioni non siano importanti dato che devo rimanere in galera. Innanzitutto dovrei fare una "terapia" a lungo
termine, dovrei rinunciare a ogni contatto con compagni anarchici e collaborare con l'amministrazione.
Per me questo è inaccettabile, al 100% inaccettabile. Certo, è importante ottenere la libertà ma penso che sia
importante anche come la si ottenga. È dura per me non essere fuori, fianco a fianco con quei compagni che stanno
lottando ogni giorno, ma sono sicuro che sarebbe proprio un brutto segno se iniziassi a leccare il culo ai membri
dell'amministrazione. Questo non ha nulla a che fare con l'essere un martire ma si tratta di agire con dignità e fede
nei propri ideali politici.
Chiamo questo modulo di D.P. "casa di morte", perché la maggior parte dei confinati sono uomini vecchi e malati, non c'è
speranza, la gente è stanca e si sente ostaggio di una vecchia legge-nazi dal 1933. Questa è la realtà della Germania
"moderna" nel 2013, la Repubblica della signora Merkel (la cancelliera tedesca), meglio conosciuta come il nuovo
dittatore europeo, come crede anche la gente in Grecia.

Settembre 2013
Thomas Meyer-Falk; JVA (SV-Abt) Hermann-Herder-Str. 8 D-79104 Freiburg (Germany)


LetterE dal carcere di “Rebibbia” (RM)
Gentile dottore, mentre non si parla più di indulto, nonostante i ripetuti ed accorati appelli del Presidente
Napolitano, il governo sta per partorire, sarebbe meglio dire abortire, l’ennesimo decreto svuota carceri, il quale non
apporterà nessun tangibile risultato fino a quando non si deciderà di agire sul vero ostacolo che in barba
all’ordinamento Penitenziario, non permette il graduale reinserimento dei detenuti nella società: il tribunale di
Sorveglianza, divenuto un anomalo giudizio di 4°. Vi sono reclusi che espiano la pena fino all’ultimo giorno,
incattiviti, senza aver mai goduto di un permesso, della semilibertà, dell’affidamento, dei domiciliari, nonostante ne
abbiano sacrosanto diritto. Fino a quando non si cambierà questo meccanismo stritolante dei Diritti e della dignità
umana i risultati saranno sempre vani e mortificanti

Roma, 23 dicembre 2013
Achille della Ragione, Via Raffaele Majetti, 70 - 00156 Roma
***
Carissimi compagni e compagne di Olga, vi voglio augurare di vero cuore un felice anno nuovo, pieno di vittorie anche
fatte di piccoli passi, ma importanti per arrivare ad obbiettivi più importanti, con la speranza che un giorno ci si
possa incontrare. Un forte abbraccio da chi combatte ogni giorno con le ingiustizie di questo sistema repressivo!
Tanti cari auguri da Marco.

Riflessione di un cittadino italiano detenuto
La Costituzione, quando è stata scritta, raccontava un paese che ancora non c’era, rappresentava una condanna ed una
promessa. Una condanna ad una società ingiusta. Una promessa che ci si poteva aspettare qualcosa di migliore. Ad oggi
gran parte della Costituzione continua a non essere applicata, continuano ad esistere torti, perpetrare ingiustizia a
danno dei più deboli. Un giorno senza rendertene conto ti svegli cinico; cinismo ed indifferenza uccidono ogni giorno la
società perché uccidono la speranza, non permettono a nessuno di riscattare il proprio presente, di immaginare un
futuro. Accorciamo le distanze che esistono tra il paese e occasioni perdute, delle risorse sprecate, il paese ha ancora
fame e sete di cambiamento. Noi ci sentiamo spacciatori di entusiasmo e lottiamo contro l’indifferenza, lottare per il
diritto ad avere diritti ed avere opportunità, ad avere un mosto nel mondo.

Roma, 1 gennaio 2014
Marco Costantini, via R. Majetti, 70 00156 Roma


da una lettera dal carcere di alba (CN)
[...] Il mio avvocato mi ha portato una fotocopia tratta dal www.gazzettaufficiale.it che parla del decreto legge 23
dicembre 2013, n. 146, vigente dal 24.12.2013.
Questo pacchetto giustizia io l'ho letto approfonditamente ma per mio modesto parere non servirà quasi a niente per il
sovraffollamento carcerario. Magari serve in piccolissima parte. Se volessero risolvere realmente il problema questo
pacchetto giustizia di fine 2013 doveva essere accompagnato da indulto & amnistia. In Italia c'è una dittatura della
democrazia, in quanto fosse realmente un paese civile non permetterebbe mai una situazione carceraria così precaria e
schifosa (più tante altre questioni che non c'entra il discorso carcerario, quindi che non starei neanche ad aprire
altri discorsi...)
Speriamo che prima del maggio 2014 date e periodo nel quale Bruxelles e L'UE hanno ammonito l'Italia che se non vorrà
incorrere in sanzioni dovrà migliorare, quindi cambiare la situazione carceraria. Speriamo diano l'indulto e l'amnistia!
Non ci conto molto, ma ci spero. Tanto il partito 5 stelle penso si opporrà. E sono invece sicuro al 100% che anche quei
maledetti razzisti della lega nord si opporranno. Quelli del carroccio non sono solo razzisti con gli immigrati, ma
anche con molti loro connazionali. I leghisti sono dei grandissimi ipocriti, collusi...E tutti dal primo all'ultimo sono
dei pezzi di merda! Non si augura di solito la galera neanche la peggior nemico (almeno così si dice) ma credetemi sarei
super felice se ad esempio Matteo Salvini oppure quel maiale di Mario Borghezio si facessero 1 anno consecutivamente in
galera! Nelle sezioni comuni! Così vivrebbero sulla loro lurida pelle cosa significano tematiche quali l'indulto,
l'amnistia, il sovraffollamento carcerario e le molte ingiustizie che tra 'sti corridoi succedono. Gli starebbe bene e
non solo a quei due che ho nominato, anche ad altri/e che a vario titolo si oppongono sempre e comunque all'indulto o
all'amnistia... Ma che Allah (=Dio) li maledica! Criminali! Inoltre voglio sperare che questa mia lettera vi arrivi.
Questa io ve l'ho spedita normalmente usando il francobollo e facendola partire normalmente dal carcere.
Certo, lo so tutto dovrebbe in teoria essere normale ma in pratica come vi ho già detto e come già sapevate; se quelli
dei carceri, le guardie, e le direzioni in generale vedono che un scrive a voi o ad altre organizzazioni umanitarie
tipo la vostra, questi potrebbero cestinarla se la spediamo con semplice francobollo.

Alba, 29 dicembre 2013


sabato 18 gennaio: presidi contro la Lega nord
La mattina di sabato 18 gennaio la Lega ha organizzato presidi davanti a diverse carceri del Nord, fra queste San
Vittore, Monza, ma anche Opera. Sono andati anche davanti al carcere di Parma, nonostante il giorno prima si fosse
suicidato un detenuto, evidentemente per la Lega i suicidi e le morti “misteriose” in carcere sono ancora troppo poche
così come devono pensare siano poche le persone detenute.
Purtroppo abbiamo avuto notizia delle loro intenzioni solo giovedì sera e quindi abbiamo avuto poco tempo per
organizzare una degna risposta a questa provocazione. Provocazione da parte di un partito che in tanti anni di governo
non ha fatto altro che chiudere spazi in galera, inventarsi altri modi di reprimere le persone, aumentare le pene,
innalzare mura, militarizzare i quartieri proletari per discriminare i migranti. Proprio con Castelli ministro delle
galere, il 41 bis è diventato definitivo ed applicabile anche nei reati connessi al “terrorismo”.
Inoltre l’iniziativa della Lega era palesemente organizzata a scopi elettorali per ingannare il popolino che crede
ancora che la ragione della propria miseria sia dovuta alle persone che arrivano in Italia o che sono detenute in
carcere; in effetti il decreto svuota-carceri svuoterà ben poco e la sbandierata abolizione del reato di clandestinità
non esiste.
Tutto questo ci ha spinto a cercare quanto meno a rovinargli un po’ la festa e così sia a Monza che a San Vittore si è
organizzato un contro-presidio.
A San Vittore un piccolo gruppo agguerrito di compagne/i si è trovato sotto la pioggia battente a volantinare ai
colloqui e ai passanti ed a megafonare contro il manipolo di razzisti forcaioli, striscioni come “Il carcere non è la
soluzione ma parte del problema”, “Contro la Lega razzista”, “Contro la Lega forcaiola” hanno completato l’informazione
alla città. Più di cento fra carabinieri e polizia per garantire a Matteo Salvini di mettere in scena la sua
pagliacciata. Questa rapida comunicazione ha in ogni caso reso possibile il fatto, importante per il futuro, che qualche
familiare si unisse al presidio per esprimere la propria rabbia.
Milano, 19 gennaio 2013

***
resoconto del presidio a Monza
Nel corso della mattinata di sabato 19 gennaio, il collettivo CordaTesa, la Foa Boccaccio e gli studenti del COMPOST
hanno tenuto fuori dalle mura del carcere monzese di Sanquirico un presidio contro la vergognosa iniziativa promossa
dagli individui xenofobi e razzisti della Lega Nord di Monza e Brianza: questi ultimi hanno indetto una pagliacciata ad
uso e consumo della stampa in concomitanza con altre iniziative promosse dal partito davanti ad altre carceri di grandi
citta' del nord Italia.
Formalmente i leghisti si sono radunati per combattere il decreto "svuotacarceri" emanato dal governo. In sostanza la
loro presenza ha avuto carattere essenzialmente provocatorio, sia verso i parenti dei detenuti che nei confronti dei
soggetti solidali, che sono soliti, in concomitanza con l’orario di visita del sabato mattina, portare la propria
solidarietà e partecipazione alle lotte dei detenuti.
Per tre ore abbiamo comunque volantinato ai parenti dei prigionieri, facendo controinformazione circa il carattere
demagogico sia della presenza leghista sia del decreto in questione. Oltre a questo non abbiamo ovviamente potuto
esimerci dal disturbare e denunciare con nostri interventi al megafono la presenza del presidio razzista, rendendo
chiaro che Monza non tollera razzisti e forcaioli di ogni colore.
Di seguito il testo del volantino distribuito sabato a Monza e a Milano.

BASTA RAZZISMO DI STATO! BASTA GALERE! FUORI LA LEGA DALLE NOSTRE VITE!
Oggi la Lega Nord ha chiamato a una mobilitazione generale indicendo dei presidi sotto le mura di alcuni degli istituti
penitenziari più importanti del nord Italia. Come al solito con parole d’ordine razziste e populiste come, “criminali in
galera” e “basta clandestini”, prova a ritagliarsi un po’ di visibilità scagliandosi sia contro il decreto
“svuotacarceri” che contro l’abolizione del reato di clandestinità.
È sotto gli occhi di tutti come in questo periodo la Lega Nord si stia sempre più rivelando per quello che è realmente:
un partito non solo razzista, ma anche spudoratamente fascista. Dall’elezione del nuovo segretario Matteo Salvini il
partito ha esplicitato senza vergogna la sua vicinanza politica e ideologica con i partiti di estrema destra: dal
sodalizio elettorale con Marine Le Pen (Front National, partito di estrema destra francese), alla manifestazione a
braccetto con Forza Nuova di sabato scorso a Brescia, fino alla mobilitazione di oggi. Dietro lo slogan “criminali in
galera” la Lega attacca il cosiddetto Decreto Svuotacarceri dicendo che riverserà nelle strade ladri e criminali
mettendo in pericolo la sicurezza dei cittadini.
In realtà anche noi siamo contro questo decreto ma per ragioni opposte, ossia che di svuota carceri non ha nulla o
quasi. Ne beneficeranno infatti solo pochi prigionieri (si stima 3000 in tutta Italia) grazie ai 2 punti principali di
questo decreto:
- si alza a 18 mesi la soglia entro cui si ha diritto a scontare la pena residua agli arresti domiciliari; purtroppo
sono moltissimi i detenuti che non potranno usufruirne non avendo un’abitazione!!!
- Si alza a 75 giorni la scarcerazione anticipata su 6 mesi di buona condotta; peccato che i media non hanno chiarito
che tale maggiorazione nello sconto di pena è utilizzabile unicamente per un solo semestre.
A causa delle legge Bossi-Fini, l’Italia è uno dei pochi paesi europei in cui il provenire da un altro paese è un reato
penale. Ciò ha fatto sì che i tutti i centri di contenimento degli immigrati (siano essi di accoglienza o
identificazione ed espulsione) siano gestiti come veri e propri lager. Inoltre una grossa parte del sovraffollamento
carcerario è dovuto proprio al fatto che moltissimi detenuti sono in attesa di giudizio o devono scontare pene per reati
connessi all’immigrazione.
Consideriamo una gravissima provocazione il fatto che la Lega Nord abbia scelto proprio le carceri come luogo per la sua
protesta e per di più il sabato mattina, giorno in cui si svolgono generalmente i colloqui tra i detenuti ei loro
parenti. per questo invitiamo tutti gli antifascisti e antirazzisti a mobilitarsi affinché tale becera iniziativa non
abbia luogo a Monza.
18 gennaio 2014
FOA Boccaccio, CordaTesa, COMPOST
***
padova: Fuori i leghisti dalle città!
Sabato mattina, a Padova, una quindicina di compagni e compagne hanno contestato fuori dal carcere Due Palazzi il
presidio della Lega Nord, che per il 18 gennaio ha indetto una giornata di mobilitazione nazionale contro il nuovo
decreto svuota-carceri e all'insegna delle parole d'ordine “criminali in galera-basta clandestini”.
In contemporanea con i razzisti della Lega è arrivato anche un gruppo di solerti solidali con i detenuti, che da mesi
porta avanti volantinaggi sotto al carcere di Padova, che ha subito dato inizio a slogan e interventi al megafono.
Durante la contestazione si è verificato anche un lancio di uova, fumogeni e, complice la pioggia, non sono mancati
nemmeno gli schizzi di fango contro i militanti leghisti, che alla fine erano fradici come foglie. Si è tentato poi di
strappargli di mano gli striscioni su cui erano stampate frasi xenofobe del calibro di “negritudine …..”, un
insulto/affronto clamoroso se si pensa che nel carcere padovano, così come nel resto d'Italia, la percentuale di
detenuti immigrati è molto alta. E' stato, inoltre, bloccato il traffico lungo tutta via Due Palazzi con uno striscione
che recitava “Solidarietà ai detenuti in lotta - leghisti, fascisti e padroni nelle fogne” e agli automobilisti di
passaggio è stato distribuito il volantino con l'appello del coordinamento dei detenuti, che rilancia alla mobilitazione
dentro e fuori le prigioni per il mese di aprile. La contestazione è continuata anche dopo il tardivo e trafelato
intervento della digos accompagnata dal furgone della celere, che si è subito schierata a proteggere i codardi fifoni
della lega. I servi in divisa, a quel punto, vedendo che i solidali non se ne andavano così facilmente e che la
situazione era completamente sfuggita al loro controllo, non hanno esitato a disperdere i compagni con l'uso dei
manganelli e dispensando spintoni indiscriminatamente.
Quella di sabato è stata una risposta chiara e determinata a quei politicanti che, in tempi di crisi e sull'onda della
campagna elettorale in corso, soffiano sul vento della mobilitazione reazionaria delle masse, ammainando la bandiera
della sicurezza e del legalitarismo e fomentando l'odio nei confronti degli immigrati. Questi signori però non hanno
fatto i conti con la realtà dei fatti... perché i veri criminali sono loro che rubano i soldi pubblici e mangiano sulle
spalle dei proletari. Il minimo che si possa fare contro questi delinquenti è rispedirli a marcire nelle fogne!

20 gennaio 2013, fonte: collettivosoccorsorosso@gmail.com

***
TRENTO, Spini di Gardolo
Sabato 18 gennaio, la Lega Nord Trentino aveva indetto un presidio davanti al carcere di Spini di Gardolo a Trento per
manifestare la loro contrarietà al decreto svuota carceri che dovrebbe portare alla libertà alcune decine di detenuti e
quindi a rendere “insicure” le strade della Provincia Autonoma. Anche questa volta gli è andata male. Una quindicina di
compagni sono andati prima a salutare i detenuti con slogan, petardi, e a spiegare il motivo della loro presenza e di
cosa stava accadendo davanti al carcere, poi si sono spostati davanti al carcere. Ovviamente il presidio dei leghisti
era difeso dalla polizia, quindi è iniziato il lancio di uova, neve, verdura marcia. I leghisti dopo mezz'ora se ne sono
andati non dopo esser stati insultati dai famigliari dei detenuti i quali li accusano di essere loro e il loro partito i
veri ladri.
Ad un intervento sulla morte di “Doc”, ragazzo morto qualche tempo fa all'interno del carcere, i leghisti si sono
permessi di dire che è stata una cosa buona che morisse, e che tutti i detenuti dovrebbero morire. Queste loro parole
sono state riportate ai detenuti di Trento nel momento in cui prima di andarsene i compagni sono ritornati dai detenuti
per dire loro di ricordarsi, quando escono, delle parole dei leghisti in modo tale da farci quattro chiacchiere vis a
vis.

22 gennaio 2013, da informa-azione.info

***
Abrogazione reato d’immigrazione clandestina: una mossa di facciata
Il commento dei legali del Naga
Milano, 22 gennaio 2014. Ieri il Senato ha approvato l’abrogazione del reato d’immigrazione clandestina, conservando
però il “rilievo penale delle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia”.
Il provvedimento riporterebbe la situazione ante "Pacchetto sicurezza 2009". Consideriamo positiva l’eventuale
l’abrogazione, anche se solo sul piano simbolico, vista la poca incidenza in concreto restando invariati i reati per
l'inottemperanza all'ordine del prefetto (cioè all'espulsione) e l'inottemperanza all'ordine del giudice (cioè alla
sentenza/decreto di espulsione).
La decisione del Senato, se andasse a buon fine, è da apprezzare perché migliorerebbe la norma dal punto di vista
dell'impatto teorico-comunicativo della legge: stabilire che l'immigrazione irregolare non sia più un reato è un fatto
positivo di civiltà giuridica. Si deve però rilevare come la norma non incida sulla sostanza, né sull'approccio
criminalizzante alla base della legge.
Sinteticamente possiamo, quindi, affermare che ciò che ha deciso ieri il Senato appare come una mossa di facciata con
qualche riflesso positivo e poca incidenza effettiva. In ogni caso, almeno politicamente è un segnale di parziale
inversione di tendenza o quanto meno di non uniformità nella discriminazione a priori del cittadino irregolare.
Seguiremo gli sviluppi.
23 gennaio 2013, da naga.it


Lettere dal carcere di Monza
Qui, diciamo che è sempre la stessa cosa, non c’è mai niente di nuovo, a parte che per qualche mese ci hanno aperto le
celle per 8 ore al giorno e in più come regalo di natale ci hanno messo i televisori piatti. Ma tutto questo è durato
poco, perché da una settimana ci hanno fatto cambiare sezione. Ci hanno spostato in 40 in una sezione chiusa; non si sa
quando apriranno anche questa.
Ora potete immaginare il trauma psicologico che ci hanno recato perché dalla “libertà”, intesa nel non vedere il blindo
chiuso, nel poter passeggiare nel corridoio o nell’andare in un’altra cella a prendere un caffè o a fare due
chiacchiere. Tutto questo ci faceva passare più velocemente le giornate e psicologicamente ci aiutava. Poi, è vero,
siamo sempre dei detenuti e viviamo in questi posti di merda. Ma non si può fare niente, perché se non venivamo qua di
nostra volontà ci sballavano in altre sezioni con un bel rapporto. In altre parole ci hanno ricattati. Per loro noi
siamo dei pacchi postali da spostare dove e come vogliono e non uomini chiusi in gabbia. Questo è il loro modo di
“rieducarci e inserirci nella società”. Noi quando si esce di qui siamo più incazzati di quando siamo entrati. Ci fanno
diventare delle bestie e il nostro odio verso loro e le istituzioni aumenta giorno per giorno.
Vorrei ricevere, oltre all’opuscolo Olga, altri opuscoli di controinformazione, per poter rimanere in contatto con
l’esterno e informarmi, perché qui, come sapete, c’è solo la tv che, più che informare, dice solo stronzate e non la
prendo neanche in considerazione… e i giornali ancor meno, quindi i vostri materiali sono molto buoni per me e anche per
altri. Ragazzi, spero di avere vostre notizie al più presto.

Monza 17 dicembre 2013
Luca Russo, v. S. Quirico 6 – 20900 Monza

***
Ciao a tutti i compagni/e, ho ricevuto il vostro opuscolo n. 86, leggendolo tutto vi posso dire che dentro me ha fatto
aumentare sempre di più il disprezzo, la rabbia verso chi ci ha rinchiuso in questi lager chiamati carceri; verso chi si
nasconde dietro una divisa e i loro abusi di potere, soprattutto i loro teoremi infami che vanno a colpire una o più
realtà o movimenti di chi lotta contro lo stato e i suoi servi che vogliono garantire la stabilità di questo lurido
paese e usano tutto il loro potere per processare e condannare quei compagni che vogliono cambiare questo paese con ogni
mezzo a loro disposizione. Come i tre compagni e la compagna arrestati il 9 dicembre 2013 per un sabotaggio avvenuto nel
maggio (2013) nel cantiere Tav di Chiomonte. A loro porto tutta la mia solidarietà e dico di tenere duro affinché tutti
coloro che sono fuori abbiano un motivo in più per fermare questa maledetta Tav. Perché possono processare quattro,
anche venti, ma non potranno mai processare o annientare un movimento come quello No Tav, che in questi ultimi anni ha
portato avanti una lotta con ogni mezzo a sua disposizione e che ha dato a tutti i compagni d’Italia un motivo in più
per lottare. A tutto ciò dico grazie.
Mi ha colpito molto la lettera scritta dalle detenute del carcere delle Vallette. Leggendola mi ha fatto venire una
rabbia indescrivibile nei confronti dei nostri carcerieri. E questo non l’ho provato solo io, ma anche il resto delle
persone che sono nella mia sezione.
Quello che posso dire è che i problemi purtroppo esistono in tutti i carceri, da nord a sud. Anche noi qui non ce la
passiamo bene. Vi potrei raccontare molte cose, ma sono le medesime condizioni di vita che ci sono in altre carceri: dal
carrello del cibo scarso e scadente al servizio sanitario inesistente – qualsiasi malanno che hai per loro lo puoi
curare con Aulin o Tachipirina e tante cose che già sapete.
Da un po’ di mesi ci hanno aperto le sezioni e, sentendo loro, sembra che aprendoci ci siano venuti incontro per farci
star meglio, ma non dicono che sono stati obbligati ad aprire le sezioni perché Strasburgo gli ha detto di aprire. Fosse
per loro ci tenevano chiusi ammassati in tre in celle di pochi metri quadri. Anche le guardie si sono espresse in questo
modo dicendocelo in faccia.
Vi saluto e saluto tutti i compagni/e che sono rinchiusi in questi posti di merda, che continuano a lottare in tutti i
carceri affinché questi posti di tortura non esistano mai più. La lotta è dura, ma non ci fa paura. Fuoco ai carceri, un
saluto a pugno chiuso, Buso.

Monza, 30 dicembre 2013
Luca Russo, v. S. Quirico, 6 - 20900 Monza


Lettera dal carcere di Sollicciano (FI)
Carissimi amici e compagni vi scrivo queste due righe per farvi sapere mie notizie e per informarvi che non ho ricevuto
gli opuscolo n. 84 e 85. Penso che avendo fatto il cambio di carcere mi arriverà più tardi.
Oggi voglio parlarvi della nuova fregatura che il carcere di Sollicciano ci ha comunicato. Ci hanno dato delle schede
telefoniche pre-pagate, senza che io sapessi nulla e dicendomi che potevo telefonare quando volevo. Ma in realtà non è
così. Comunque, bisogna fare ogni mese la richiesta con la lista dei numeri ai quali telefonare. Oltre al danno anche la
beffa, perché io, prima, per 10 minuti di telefonata spendevo 1,86 euro, oggi, per i soliti 10 minuti spendo invece 6
euro. Mi sembra un carcere di ladri.
Anche un mio amico cinese, prima, spendeva 4 euro, oggi, spende 13 euro; anche un italiano, prima, spendeva, 0,21 euro,
oggi, 5 euro. Non so proprio con quale azienda telefonica hanno fatto il contratto. Abbiamo reclamato all’ispettore, ma
non ci ha saputo dare nessuna risposta in merito. Potete voi darci una mano?
A tutt’oggi siamo in Siberia perché quando andiamo a fare la doccia l’acqua calda non arriva mai, è sempre fredda. I
pasti sono sempre più scadenti, la pasta arriva sempre collosa e immangiabile. Chiedo a voi di mandarmi delle notizie
nuove in merito all’indulto e all’amnistia, se tutto stia procedendo nel verso giusto.
Voglio porgere i miei più cari saluti al mio amico Davide (Rosci), che sia sempre in gamba a far sentire la sua voce a
tutto il mondo sul cattivo vivere e l’inumanità delle carceri italiane. E alla fine direi fuoco a tutte le carceri.
Distinti saluti dall’amico Marzouki.

Sollicciano, 15 dicembre 2013
Marzouki Charker, via Minervini 2/R - 50018 Sollicciano-Scandicci (Firenze)


Proteste nel carcere fiorentino di Sollicciano (fi)
Da una notizia del 3 gennaio si apprende che, nel corso di quella che poteva ridursi all'ennesima passeggiata
compassionevole da parte di un politico all'interno di una struttura detentiva, nello specifico una senatrice di SEL, i
prigionieri hanno colto l'occasione per ammutinarsi e condividere con lei alcuni pezzi di quotidianità... letteralmente
pezzi di quotidianità, visto che hanno gettato nei corridoi, ai piedi della senatrice, i brandelli di gommapiuma che
anche nel carcere fiorentino di ostinano a definire "materassi". Successivamente i detenuti si sono uniti in assemblea e
hanno descritto le condizioni di degrado, il sovraffollamento, le infiltrazioni d'acqua nelle celle e nelle sezioni
(comprese quelle che rinchiudono insieme alle madri alcuni bambini sotto i 3 anni), la mancanza di fonti di reddito e
sussistenza, l'inadeguatezza del cibo e degli ambienti in cui viene preparato, oltre ai problemi del cosiddetto
"sopravvitto", inaccessibile ai più a causa dei prezzi gonfiati dalla ditta appaltatrice. Sicuramente un momento più
interessante rispetto a molti dei reciprocamente lacrimosi incontri tra detenuti e politici, assai frequenti a margine
di ferie e festività comandate.
Questa prima protesta dimostrativa del 2014 ha prontamente avuto un seguito.
Venerdì 10 gennaio, circa 120 prigionieri hanno occupato uno spazio comune destinato alla socialità, rifiutandosi di
rientrare nelle celle e spintonando i secondini che tentavano di ristabilire la disciplina. Il motivo dell'ammutinamento
riguarda la mancata consegna del sopravvitto acquistato in quanto, a detta della direzione, da alcune settimane vi
sarebbe un guasto all'apparato informatico che registra e gestisce le domandine per la spesa. Possiamo immaginare la
complessità dell'apparato informatico per la gestione del sopravvitto a Sollicciano... altro che CERN di Ginevra... in
ogni caso per l'impossibilità di riportare sul computer gli ordini di spesa hanno negato ai detenuti tutti i beni
acquistati, compresi molti di prima necessità come detersivi e prodotti per l'igiene della persona che, come ammesso
dallo stesso direttore, "il carcere non è in grado di fornire".
Per alcune ore hanno tenuto testa alla direzione e sono rientrati in seguito alla promessa della consegna di tutti gli
ordini entro il giorno successivo.

da “Bello come una prigione che brucia” - trasmissione anticarceraria di Radio Blackout
13 gennaio 2014, da informa-azione.info


Lettera dal carcere di Nuoro
Carissimi amici, come sempre ho ricevuto il vostro opuscolo, mi scuso se non mi sono fatto più sentire. Purtroppo qua,
in questo istituto di pena non si riesce a trovare un po’ di serenità, nel senso che siamo ergastolani ostativi (che
dobbiamo morire in carcere), per cui dovremmo avere un po’ di serenità visto che la maggior parte di noi abbiamo
superato i 20 anni di carcere. Invece non è così; siamo in una cella in quattro ergastolani, per cui ognuno di noi vuole
il suo spazio, invece non è così, non solo ergastolo ostativo, ma sofferenza su altra sofferenza.
Il mio desiderio: vorrei che tutti gli ergastolani si svegliassero e capissero che lo Stato vuole che noi dobbiamo
morire in carcere, per cui di noi sene frega; puoi fare tutto il reinserimento che vuoi ma non otterrai mai quello che
vuoi.
Cari amici chiudo con un affettuoso abbraccio di vero cuore. Con stima Salvatore.

Nuoro, 3 gennaio 2014
Salvatore Pulvirenti, v. Badu e Carros, 1 - 08100 Nuoro


Lettera dal carcere di Ferrara
Carissimi amici tantissimi saluti e tantissimi auguri di buon Natale e buone feste…
Ho ricevuto gli ultimi due opuscoli e, come al solito, rimane il rammarico di quanto leggi, della sofferenza di persone
che purtroppo hanno sbagliato [questo andrebbe affrontato per bene, per primi in ogni caso vengono gli “sbagli” della
società e del suo stato, ndr] e stanno pagando con le proprie vite.
Capisco ogni singola persona che ha scritto sull’opuscolo per raccontare fatti accaduti dietro le sbarre, perché ne ho
passati anch’io tanti di momenti simili. Ho letto la lettera che ha scritto Vanessa dal carcere la Dozza di Bologna; mi
ha colpito anche perché a Bologna ci sono stato e vissuto per più di 7 anni e nel carcere ho scontato tre condanne. Poi
mi hanno trasferito, non so il perché, sempre in altri istituti peggiori, come Pagliarelli di Palermo o a Nuoro in
Sardegna.
Adesso non diciamo che nel carcere di Ferrara si sta meglio, perché da quando sono tornato dal carcere di Tolmezzo sto
combattendo per essere trasferito in una Casa di reclusione o a Bologna o a Padova. Visto che il ministero della
Giustizia ha altre cose da risolvere, come la legge elettorale, Berlusconi, Cancellieri… non può tener conto di una
semplice richiesta di trasferimento.
Non parliamo del magistrato di sorveglianza che c’è qui: è come non ci fosse. Io per esempio sto cercando di incontrarlo
da molto tempo, ma senza risultato, non so nemmeno come si chiama?! Fate un po’ voi. Quando si tratta di vecchie
condanne da scontare, sappi che non si scorderanno mai di te, ma per la liberazione anticipata invece devi aspettare e
aspettare, a volte si perdono persino le richieste: per loro questo non è affatto un problema. Quindi, meglio non
contare molto su questi cosiddetti “giorni”. Ragazzi fate casino quando serve e mai abbassare la testa.
A Ferrara, intendo dire nel carcere di Ferrara, i maltrattamenti ormai sono quotidiani ed è difficile non protestare…
Tanti detenuti qui si son dovuti tagliare per i loro diritti, ma la cosa più assurda è il giornale. I giornalisti non
scrivono la realtà, ma bensì, al contrario, cercano sempre di dare bella immagine del direttore e dei secondini. Subito
dopo aver scritto questa lettera è successo che uno si è tagliato perché non vuole essere menato di brutto, l’altro
perché è stato menato; un altro è ferito in ospedale, vivo per miracolo. Il giornale cosa scrive? Che i detenuti
dell’Arginone si tagliano per avere una telefonata o per motivi famigliari! Un altro si è tagliato perché hanno aperto
il suo pacco arrivato da fuori senza la sua presenza… E potrei andare avanti così per una pagina intera.
Proprio oggi al telegiornale si parla della sparatoria nel carcere di Torino. Si vede che non vanno d’accordo manco tra
di loro - e non c’è nemmeno la pietà? Comunque, volevo solo sottolineare questo fatto per dire che, figuriamoci se c’era
di mezzo un detenuto! Lo avrebbero tagliato a pezzettini addirittura!
Cari amici, finché siamo dentro chiusi abbiamo le mani legate e non possiamo reagire se non con la protesta. Una volta
liberati, beh, ognuno ha il suo obiettivo.
Concludo con tanti cari saluti e tanti abbracci. Buone feste a tutti e buona fortuna.

Ferrara, 20 dicembre 2013


Lettera dal carcere di Milano-Opera
[…] qui sono cambiate un po’ di cose ma in sostanza è sempre uno schifo come prima, in pratica: hanno svuotato mezzo S.
Vittore e li hanno portati tutti qui, anche quelli non-definitivi; hanno mandato via tutti quelli con l’associazione
(416bis “stampo mafioso”);
mentre i “comuni” li hanno messi nel reparto dove c’erano quelli con l’associazione; dove eravamo noi ora hanno portato
quelli con l’associazione, ma non-definitivi.
Questi gli spostamenti-trasferimenti.
Inoltre, la circolare della Cancellieri, secondo la quale i detenuti debbono restare aperti almeno fino alle 19, qui a
Opera funziona nel reparto “comuni”: i detenuti sono aperti dalle 8,30 fino alle 19 appunto. Però in questa sezione non
ci sono attività, si ozia dalla mattina alla sera. Avessi qualcosa da leggere sarebbe una bella cosa, ma non posso
permettermi neanche quello.
Il direttore è sempre quello, finché c’è lui Opera non cambierà mai, sarà sempre una tortura. Non ci sono educatori, i
pochi volontari che vengono debbono attenersi a regolamenti molto rigidi, e, se anche volessero portarti qualcosa è
impossibile. Al massimo ti fanno qualche telefonata… tutto perché il direttore vuole così… nessuno può allargarsi più di
tanto. Se non è tortura questa! Si mangia da merda, forse nel Terzo Mondo mangiano meglio; il sopravitto costa un occhio
di Dio, i prezzi sono quasi il doppio di quelli di un supermercato, chi è che ci mangia sopra?
Il direttore in una riunione a cui hanno partecipato alcuni detenuti diceva che avrebbe cambiato Opera in 6 mesi,
portandola ai livelli di Bollate, balle! Qui neanche per il 3000 cambierà qualcosa se non va via lui. Qui c’è da
soffrire nel vero senso della parola, ci sono abituato e non ho paura! Tanto un giorno per forza dovranno buttarmi fuori
e qualcuno dovrà piangere pere tutte le sofferenze che ci stanno facendo patire… un abbraccio…

Gennaio 2014
***
saluti al carcere di opera
Saluti con impegno di fine anno scambiati nonostante muri, inferriate, reticolati, telecamere, blindati, guardie armate,
fari… Anche i prigionieri nel carcere di Opera hanno potuto sentire l’estendersi della nuova atmosfera.
Un gruppo di solidali verso la mezzanotte del 30 dicembre 2013 ha raggiunto le risaie sul retro del carcere e da lì è
riuscito a farsi vedere, sentire e scambiare parole con i prigionieri. Si è fatto sentire con i botti che hanno
svegliato l’estesa risaia, spingendo alle sbarre delle finestre le persone dentro.
Si è fatto vedere con l’incendio della scritta “LIBERTA’ NO 41BIS” (a Opera la sezione 41bis conta circa 100
prigionieri) raccolta con urla di “libertà” alle quali si è unito il gruppo con il sostegno del megafono. I messaggi
“sosteniamo le proteste e le lotte dei prigionieri …contro censura, isolamento, pestaggi, prepotenze della direzione,
delle guardie…” lanciati dal megafono rimandati dall’eco chiarissima sono stati uditi benissimo dai prigionieri che li
rimandavano con “è vero …ci siamo … fa schifo tutto…”.
Insomma, una nottata comunicativa, buon presagio per il 2014.

Milano, gennaio 2014


cremona: SOLIDARIETÀ AI DETENUTI, LO SPIRITO CONTINUA!
Di questi tempi politicanti, rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria e associazioni caritatevoli fanno a
gara per dire la propria sulla situazione delle carceri italiane.
Indulto e amnistia, parole usate anche molto spesso dai detenuti come questioni da affrontare in modo urgente, sono
diventate ormai cavalli di battaglia di quegli stessi loschi personaggi che hanno provveduto a riempire negli scorsi
anni le medesime galere.
In particolare, nel carcere di Cremona il tanto “atteso” nuovo padiglione è entrato in funzione nel mese scorso. Il
sovraffollamento del carcere non ha subito alcuna modifica, dato che il nuovo padiglione è destinato ai trasferimenti
dal carcere milanese di San Vittore, come detto dall’impavida senza vergogna ministra Cancellieri. Non solo. E’ notizia
di questi giorni che la situazione all’interno di Cà del Ferro è ancora peggiorata a causa della chiusura della sezione
E a causa di “gravi infiltrazioni d’acqua” (parole delle guardie stesse). Questo è l’ennesimo esempio che il carcere e
l’aumento della sua capienza non sono la soluzione, ma parte del problema.
Inoltre, è emerso che nell’ultimo mese cinque immigrati sono stati deportati ed espulsi nell’immediato momento in cui
hanno finito di scontare la loro detenzione.
Nel momento in cui il sistema CIE è visibilmente inceppato (principalmente a causa delle rivolte degli immigrati che vi
si trovano rinchiusi) è il carcere stesso ad assolvere alla funzione di espellere i cosiddetti clandestini.
La nostra solidarietà e complicità va a tutti i detenuti in ogni tipo di gabbia.
Per esprimerla si terrà un presidio Sabato 4 gennaio dalle ore 9,00 alle ore 12,00 sotto le mura del Carcere di Cremona
Ca’ Del Ferro, in via Palosca 2.

27 dicembre 2013, da informa-azione.info
Compagne e compagni di Crema e Cremona



padova: Capodanno di lotta e solidarietà sotto al carcere
La sera del 31 dicembre si è svolto un presidio di solidarietà sotto al carcere di Padova. Una cinquantina di compagne/i
e solidali, provenienti da Padova, Bassano del Grappa (VI), Montecchio Maggiore (VI), Trento e Udine, si sono ritrovati
nel parcheggio davanti alla casa circondariale.
La serata è stata caratterizzata da parecchi interventi al microfono, lancio di slogan, saluti ai reclusi, lettura di
lettere dalle carceri, come l’ultimo documento del coordinamento dei detenuti, le lettere pervenute dal carcere dei
Nuovi Giunti di Torino, nonché il volantino diffuso durante il mese di dicembre ai familiari dei detenuti nel carcere di
Padova. In particolare, col grido “Per tutti i No Tav, libertà” si è voluto esprimere in maniera chiara e forte anche la
vicinanza e la solidarietà ai quattro compagni No Tav Mattia, Chiara, Claudio e Nicco, arrestati lo scorso 9 dicembre
nell’ambito dell’ultima operazione repressiva diretta contro il movimento. Musica etnica e di vario genere ha fatto da
sfondo alla mobilitazione e, a ridosso della mezzanotte, ha avuto luogo il concerto dei Mistura Mortale, gruppo hip hop
militante da Bassano, che ringraziamo di cuore!
Durante il presidio siamo riusciti a sentire chiaramente la risposta dei detenuti, che si vedevano anche sporti dalle
finestre.
A mezzanotte uno spettacolo di fuochi d’artificio ha colorato il cielo notturno del carcere, non senza creare qualche
piccolo grattacapo alle guardie presenti. Infine, con uno scambio di auguri arricchiti da panettone e spumante abbiamo
augurato ai detenuti un buon nuovo anno di lotta e libertà. L’intera serata è stata registrata sui canali di
Radiazione.info e verrà mandata in onda in questi giorni.
Abbiamo appreso in seguito che la direzione carceraria ha negato la classica fetta di panettone ai prigionieri durante
il periodo natalizio.
Di conseguenza, chi si è visto costretto a comprarlo dentro ha speso ben 14 euro a panettone. Inoltre, sono stati tolti
per l’intera giornata del 31 dicembre fornelletto e sigarette ai detenuti per evitare rivolte e proteste, ennesima
conferma che accendere fuochi dentro e fuori il carcere è la strada giusta per farla finita con tutte le gabbie e la
società capitalista che le produce.
Padova 3 gennaio 2014
Compagne/i solidali con i detenuti in lotta


Brevi note sugli ultimi arresti no tav
Quando il nemico parla chiaro
Era nell'aria, l'operazione che il 9 dicembre ha portato all'arresto di tre compagni e una compagna, accusati di aver
partecipato, nella notte tra il 13 e il 14 maggio scorso, all'azione contro il cantiere del Tav di Chiomonte.
Non si sapeva naturalmente chi sarebbe stato colpito, né precisamente per cosa. Ma il ritornello ripetuto ossessivamente
negli ultimi mesi un po' su tutti i media nazionali, dai più noti esponenti del trasversale Partito del Tav, non
lasciava spazio a molti dubbi.
Ai più attenti non era poi sfuggito l'annuncio del procuratore capo Caselli di anticipare di qualche mese la data del
proprio pensionamento. Una notizia che non lasciava certo presagire nulla di buono: difficile supporre che un simile
personaggio abbandoni le scene in silenzio.
Così, dopo aver saggiato un po' il terreno in estate, indagando e perquisendo diversi no tav per l'art. 280 (“attentato
con finalità di terrorismo”), l'immancabile duo Padalino-Rinaudo ci riprova alcuni mesi più tardi, porgendo, con gli
arresti di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, l'ultimo ossequioso saluto al proprio Padrino, e sperando in questo modo
di scalare qualche altra posizione nella corsa alla sua successione.
Oltre al già citato 280, i reati contestati sono: “atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi, danneggiamento
a mezzo di incendio, violenza contro pubblico ufficiale, detenzione e trasporto di armi da guerra”.
Reati che precludono la possibilità di ottenere misure cautelari alternative (arresti domiciliari, obblighi o divieti di
dimora ecc.), consentono tempi di carcerazione preventiva molto lunghi e minacciano, se il castello accusatorio dovesse
rimanere del tutto integro anche dopo il processo, di trasformarsi in condanne lunghissime che potrebbero superare i
vent'anni di reclusione.
Nello specifico, i quattro compagni arrestati sono accusati tra le altre cose di aver, in concorso tra loro e con altri
“in fase di identificazione”, attentato alla vita e all'incolumità delle persone addette alle opere di costruzione del
tunnel esplorativo e delle persone preposte alla tutela del cantiere e dell'ordine pubblico, al fine di “costringere i
poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto” (in questo
caso il finanziamento e la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione), “arrecando così un
grave danno all'Italia e all'Unione Europea”, come recita l'art. 270 sexies c.p.
Se è una semplice constatazione rilevare come in quest'azione contro il cantiere del Tav nessuno, operaio, militare o
poliziotto che fosse, abbia riportato il benché minimo graffio e prodotto il benché minimo referto medico, vale la pena
invece addentrarci un po' tra le pieghe dell'art. 270 sexies.
Contenuto all'interno del cosiddetto “Pacchetto Pisanu” (luglio 2005), quest'articolo doveva servire a riformulare,
ampliandola notevolmente, la definizione di “condotta terroristica”, sfruttando l’onda emotiva suscitata dalle stragi di
Madrid del 2004 e di Londra del 2005. Le nuove norme, apparentemente approntate contro le bombe di Madrid (che
costrinsero il governo di Zapatero a ritirare le truppe dal’Iraq), si caratterizzavano per una voluta vaghezza.
Che a farne le spese in futuro avrebbero potuto essere diversi contesti di lotta era già allora consapevolezza di
compagni e avvocati. Che l’articolo 270 sexies appaia oggi in un’inchiesta contro dei no tav non è una sorta di anomalia
giudiziaria, bensì l’applicazione di un dispositivo pensato sin dall’inizio contro il conflitto sociale.
Non è certo un caso che questa carta sia stata calata per la prima volta proprio a difesa del cantiere di Chiomonte,
dove ci avevano già pensato il filo spinato israeliano, i militari ed i tank provenienti dall'Afghanistan a rendere
sempre più labile il confine tra guerra interna e guerra esterna.
Ad essere incendiati quella notte sono stati un generatore, la cabina di alimentazione del ventolino di areazione,
alcuni cavi elettrici e dei tubi di prolunga per il ventolino stesso. Tutte attrezzature atte alla realizzazione del
cunicolo esplorativo, il cui danneggiamento ostacola o rallenta concretamente il proseguimento dei lavori. Un atto
tutt’altro che indiscriminato, un gesto che afferma direttamente il proprio obiettivo.
Un'azione di sabotaggio esemplare, insomma, uno zoccolo lanciato nella macchina del cantiere per incepparne il
funzionamento.
Cosa tra l'altro ben compresa dal movimento no tav, come dimostrano le dichiarazioni e i comunicati dei giorni
successivi. Per la prima volta in Italia, da almeno trent'anni a questa parte, un movimento di massa rivendica la
validità del sabotaggio. Nella storia reale, che è ben altra da quella delle carte giudiziarie, la pratica del
sabotaggio è stata assunta pubblicamente dal movimento proprio perché le costanti e inequivocabili forme del dissenso di
massa alla Grande Opera sono state costantemente e inequivocabilmente ignorate. Prova ne sia il fatto che un cantiere
per un cunicolo esplorativo è diventato “sito di interesse strategico nazionale” (la cui definizione, nelle carte di
Rinaudo e Padalino, è ripresa non da qualche norma governativa, bensì da un periodico dello Stato Maggiore della
Difesa...). Tutto ciò ha creato dei bei grattacapi al Partito del TAV, vista l'autorevolezza di cui gode la lotta in
Valsusa. Anche altrove – pensiamo ad esempio alla lotta no Muos – la parola sabotaggio è tornata di attualità, rendendo
ancora più preoccupante “la madre di tutte le preoccupazioni”, come disse la signora Cancellieri-Ligresti.
È sotto questa luce che vanno lette le carte dell'inchiesta.
In seguito agli arresti del 9 dicembre molti hanno giustamente sottolineato come le accuse di terrorismo, starnazzate da
tutta la stampa, servissero a tentare per l'ennesima volta di dividere il movimento. Dopo il “siamo tutti black bloc”
sostenuto a gran voce in seguito al 3 luglio, anche questa volta il tentativo di dividere il movimento in buoni e
cattivi, in valligiani pacifici ed estremisti di fuori, cercando di mettere in un angolo i 4 compagni arrestati, è
miseramente fallito.
Ormai ben pochi potevano nutrire dubbi e anche gli stessi inquirenti non si facevano troppe illusioni a riguardo.
Attraverso queste accuse di terrorismo, dunque, l'obiettivo che le autorità si prefiggono sembra essere piuttosto un
altro.
Nelle carte dell'inchiesta, gli inquirenti, forzando il piano strettamente giuridico, sostengono una tesi squisitamente
politica. Dopo aver fatto una breve storia degli atti legislativi e dei vertici internazionali che hanno portato
all'installazione del cantiere di Chiomonte, i magistrati sostengono che si tratta di procedure democratiche. L'azione
contro il cantiere – assieme allo stillicidio di pratiche di contrasto di cui il faldone giudiziario fornisce un ampio
elenco – viene definita “terroristica” non tanto per le sue caratteristiche specifiche, ma in quanto si oppone alla
democraticità di una decisione intergovernativa. Seguiamo questa logica. Tutte le imposizioni dello Stato hanno un
involucro legale, cioè sono formalmente basate sul Diritto. Tutto ciò che mette realmente in discussione un progetto
statale è dunque passibile di “terrorismo”. Rimane solo il dissenso platonico. Dare concretezza al proprio NO, che in
fondo è la caratteristica essenziale del movimento no tav, risulta quindi antidemocratico. Benito Mussolini avrebbe
detto “nulla fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato”. Il totalitarismo parla oggi un linguaggio diverso. Non ti stanno
bene le nostre imposizioni democratiche? Sei un terrorista.
La democrazia è una porta blindata ad ogni dissenso (tranne quello, consentito, della lamentela); il dissenso non si
ferma, la porta viene blindata con filo spinato e militari; il dissenso si fa sabotaggio, e questo rivela le “finalità
terroristiche” della lotta no tav. In qualche modo, i due magistrati torinesi dicono esplicitamente ciò che era finora
implicito: le decisioni di uno Stato democratico sono incontestabili. Qualsiasi lotta, foss'anche una vertenza
sindacale, vuole sempre spingere la controparte a “compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto” (come recita il
270 sexies). Il cosiddetto patto sociale, o la dialettica tra le parti sociali, si fondava formalmente su questo: domani
può diventare diritto ciò che oggi è illegale. Era l'epoca, cominciata nel Dopoguerra, in cui si volevano integrare
contadini e operai nel Grande Compromesso: se mi date la forza lavoro, vi concedo diritti. Ebbene, quella Storia lì è
finita. Questa è la Democrazia. Fuori e contro di essa, c'è il Male, il terrorismo. Dire che tutto ciò potrebbe
riguardare qualsiasi movimento di lotta è a questo punto banale. Meno banale è trarne le debite conseguenze. Nei
passaggi epocali, la classe dominante attacca frontalmente il nemico nei suoi punti di forza, non in quelli più deboli.
L'impiego della categoria di terrorismo contro il movimento no tav – per ciò che questo esprime e che simboleggia – è,
in tal senso, un avviso per tutti.
A seguire fino in fondo la logica di Rinaudo e Padalino, la natura “terroristica” della lotta contro il TAV non sta in
un suo preteso “salto di qualità”, bensì nelle sue stesse premesse: in quel NO di cui vent'anni di esperienze, saperi,
confronti, azioni non sono che il coerente sviluppo.
Non essersi rassegnati nemmeno di fronte ai manganelli, ai gas, alle ruspe, ai Lince, agli arresti, al terrorismo
mediatico: ecco il crimine che contiene tutti gli altri. In tal senso, la difesa dei compagni arrestati e indagati per
“terrorismo” non è solo un atto di doverosa solidarietà, ma è la rivendicazione testarda della lotta e delle sue
ragioni.
Cogliere la posta in gioco di questa operazione repressiva e rilanciare le resistenze, in Valle come altrove, è faccenda
di ciascuno e di tutti.

3 gennaio 2014, da informa-azione.info


Lettera dal carcere le Vallette (TO)
Il testo che segue è stato scritto da Niccolò, Mattia e Claudio, arrestati il 9 dicembre scorso insieme a Chiara. I tre
compagni, per quanto isolati dal resto dei detenuti, hanno la possibilità di incontrarsi quotidianamente (Claudio e
Niccolò condividono la stessa cella e si vedono con Mattia durante le ore d’aria e di socialità).
Chiara è invece in un isolamento pressoché assoluto da ormai più di un mese, dato che nella sezione dove si trova non ci
sono altre prigioniere in regime di Alta Sicurezza. La censura cui è sottoposta tutta la loro corrispondenza provoca
notevoli ritardi alla posta in entrata e in uscita e così solo ora è possibile rendere pubblico questo testo scritto
quasi un mese fa.
È di ieri la notizia che il Tribunale del Riesame ha rigettato ogni richiesta della difesa, compresa quella di
derubricare i reati e le aggravanti di terrorismo. In aula i Pm Padalino e Rinaudo hanno ribadito come la condotta
terroristica dei reati contestati ai compagni non sia da ravvisare tanto nelle modalità più o meno violente dell’azione
contro il cantiere del maggio scorso, quanto nel contesto complessivo all’interno del quale questa si inserisce:
l’opposizione alla realizzazione della Torino-Lione. A preoccupare realmente la procura torinese e l’intero Partito del
Tav è la lotta ormai ventennale contro il treno veloce, il tentativo di dare concretezza a quel No attorno al quale il
movimento si è sviluppato.

Sono appena le 4 del pomeriggio e il sole sta calando dietro l’imponente termovalorizzatore metallico, mentre in
lontananza si intravedono le prime montagne della valle e l’immaginazione completa i contorni accennati del Musiné.
Siamo qui rinchiusi da 10 giorni ma il nostro pensiero viaggia ancora lontano…
Che la procura di Torino stesse preparando qualcosa di grosso lo sapevano pure i sassi. Lo si capiva dal crescendo di
denunce contro il movimento, ma soprattutto da quell’intenso lavoro di propaganda con cui inquirenti, mass media e
politici hanno cercato di traghettare la resistenza No tav all’ombra di quella parola magica che tutto permette:
«terrorismo». Per mesi interi non hanno parlato d’altro, in un mantra ripetuto ossessivamente volto ad evocare una
repressione feroce.
Infine hanno preso alcuni dei tanti episodi di lotta di questa estate su cui questo immaginario suggestivo potesse fare
più presa e li hanno stravolti e piegati alla loro visione del mondo fatta di militari e paramilitari, gerarchie,
controllo e violenza cieca.
Così hanno fatto per giustificare le perquisizioni di fine luglio, così fanno ora per argomentare i nostri arresti.
Ma c’è un abisso tra ciò che vogliono vedere in noi e quello che realmente siamo.
Non ci interessa sapere chi in quella notte di maggio si è effettivamente avventurato tra i boschi della Clarea per
sabotare il cantiere - probabilmente non interessa neanche agli stessi inquirenti. Quello che vogliono è avere oggi
qualcuno tra le mani per far pesare la minaccia di anni di galera sul movimento e sulla resistenza attiva, per arrivare
tranquilli e indisturbati all’apertura del cantiere di Susa.
Vogliono che le persone restino a casa a guardare dal balcone il progetto che avanza.
Eppure queste persone hanno già gli strumenti per mettersi in mezzo: abbiamo imparato a bloccare quando tutti insieme si
gridava «No pasarán» e a passare a colpi di mazza quando il cemento dei jersey ci sbarrava la strada; abbiamo imparato a
guardare lontano quando l’orizzonte si riempiva di gas e a rialzare la testa quando tutto sembrava perduto. Non sarà il
terrore che seminano a piene mani a rovinare i raccolti futuri di questa lunga lotta. Occorrerà continuare a costruire
luoghi e momenti di confronto per scambiarsi idee e informazioni, per lanciare proposte e per essere pronti a tornare
nelle strade e in mezzo ai boschi.
Si è fatta sera alle Vallette, ma a parte il buio non c’è una gran differenza col mattino, dato che il blindo della
cella resta chiuso ventiquattr’ore su ventiquattro: alta sicurezza!
Rispetto ai Nuovi Giunti c’è molta più calma e pulizia, ma l’assenza di contatto umano ci debilita. La bolgia dei
blocchi B, C o F (a parte l’isolamento cui è costretta Chiara) è un pullulare di storie ed esperienze di vita con cui
impastarsi, in cui trovare complicità e solidarietà. Già nel mese scorso, Niccolò, già arrestato a fine ottobre per un
altro procedimento, ha potuto constatare come l’eco della lotta contro il Tav sia giunto fin dentro le galere e per
molti rappresenti il coraggio di chi ha smesso di subire le decisioni di uno stato opprimente.
Per noi, costretti all’isolamento in una sezione asettica, è di vitale importanza rifiutare la segregazione e la
separazione tra detenuti: siamo tutti «comuni». Anche per questi motivi sarebbe bello se all’interno del movimento si
sviluppasse un ragionamento e un percorso su e contro il carcere.
La maggior parte delle guardie delle Vallette vive qua, in dei grandi palazzoni all’interno delle mura, loro non si
libereranno mai della galera. Per quanto in questa sezione ci trattino educatamente, non si tireranno indietro nel farci
rapporto su ordine di un superiore quando decideremo di lottare per qualsivoglia motivo. Allora, coi ricordi che ci
teniamo stretti, faremo rosicare questi «portachiavi» per la limitatezza dei loro orizzonti.
«Avete mai visto il mare farsi largo in mezzo ai boschi in un bel pomeriggio di luglio, e scagliarsi e andare contro le
reti di un cantiere?»
«Avete mai sentito il calore umano di ogni età saldarsi spalla a spalla mentre gli scudi avanzano, l’asfalto
dell’autostrada si fa liquido e le retrovie si riempiono di fumo?»
«Avete mani visto un serpente senza capo né coda o una pioggia di stelle nel cuore di una notte di mezza estate?» Noi
sì, e ancora non ci sazia.
La strada è lunga, ci saranno momenti esaltanti e batoste clamorose, si faranno passi avanti e si tornerà indietro,
impareremo dai nostri errori.
Per ora guardiamo il nostro carcere negli occhi e non è facile, ma se «la Valsusa paura non ne ha», noi di certo non
possiamo essere da meno.
Niccolò, Claudio, Mattia.

Per scrivere:
Mattia Zanotti, Niccolò Blasi, Claudio Alberto, Zanobi Chiara
via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10151 Torino
***
Torino: Blocchi dei colloqui e delle strade
“Finalità investigative” queste le ermetiche motivazioni, che tutto spiegano senza nulla spiegare, fornite da Rinaudo e
Paladino riguardo la decisione di bloccare i colloqui dei compagni e familiari con Chiara, Mattia, Claudio e Niccolò.
Del resto la procura, fino alla conclusione delle indagini preliminari può fare e disfare a proprio piacimento riguardo
la concessione dei colloqui, senza neanche fornire una precisa motivazione. Non si sa quindi oltre al perché neanche
quanto durerà questa sospensione che isola i 4 compagni dal mondo esterno.
Oggi intanto in un palazzo di giustizia blindato, dentro come fuori, da celerini ed agenti in borghese (che a quanto
pare presidiavano con particolare attenzione le tante toilettes), si sono svolti gli interrogatori dei quattro compagni
che ripetendo quanto accaduto durate gli interrogatori di convalida si sono rifiutati di rispondere.
Prima ancora che gli interrogatori terminassero l'edizione online de La Stampa riportava già la decisione dei Pm di
richiedere il giudizio immediato, e saltare dunque a piè pari l'udienza preliminare, per tentare di iniziare il
dibattimento già in tarda primavera o al limite agli inizi dell'estate. Sempre sul sito internet de La Stampa si poteva
poi leggere nel corso del pomeriggio, di come anche la stazione di Porta Nuova fosse presidiata da celerini e digossini
per prevenire possibili iniziative in solidarietà con Chiara, Claudio, Mattia e Nico. Un nutrito numero di agenti
antisommosa, a quanto sembra affollava l'atrio della stazione insieme a molti uomini in borghese dall'aria più o meno
distratta e con una radiotrasmittente nella tasca dela giacca. Particolare attenzione era riservata ai binari da cui
dovevano partire i Frecciarossa e alla Sala riservata ai clienti dei treni ad alta velocità.
La delusione della sbirraglia di non aver acciuffato nessuno si dev'esser poi tramutata in aperto rancore alla notizia
che qualcuno, ben lontano dal Palazzo di giustizia e dalla stazione di Porta Nuova, si era affacciato con cassonetti,
striscioni e cavi d'acciaio a bloccare la rotonda che congiunge corso Principe Oddone, via Cecchi e corso Vigevano.
Alcune scritte fatte sui pannelli attorno alla rotonda spiegavano come di fronte al blocco dei colloqui deciso dai Pm
qualcuno fosse deciso invece a bloccare tutto, partendo proprio da questo importante snodo stradale.
In alcuni tratti il traffico sembrava addirittura ancora rallentato un paio d'ore dopo quando alcuni solidali si sono
diretti verso il carcere delle Vallette per salutare i quattro compagni prima di un ormai probabile ed imminente
trasferimento. Qui petardoni ed urla hanno rotto un po' il silenzio prima nei pressi della sezione femminile dove si
trova Chiara e poi davanti al blocco D, dove sono rinchiusi Claudio, Mattia e Nico.
Mentre, dopo un'abbondante mezz'ora i solidali stavano ormai andando via, arrivano di gran corsa alcuni blindati e
alcune auto della digos. Scesi dai furgoni i celerini inseguono allora i compagni lungo le vie del quartiere riuscendo
infine a fermarli nei pressi di una fermata del tram. Dopo averli circondati bloccando le rotaie del tram con uomini e
furgoni, le forze dell'ordine provvedono poi a identificare i fermati. Dopo un'ora e mezzo, il fermo finalmente finisce
e termina così una giornata molto lunga in cui ai blocchi dei colloqui decisi dalla procura qualcuno ha scelto di
rispondere bloccando un piccolo pezzo di città.
Una pratica che è auspicabile continui anche nei prossimi giorni lungo le strade e i binari anche di altre città.

22 gennaio 2014, da informa-azione.info


Un nuovo anno, NO TAV naturalmente
Inizia così per i NO TAV il nuovo anno, presidi, cortei e disturbi notturni.
La sera del 31 dicembre in numerosi hanno raggiunto e superato la zona rossa del cantiere Clarea. La sera del 2 gennaio
pressione alla mensa ristorante dove le truppe di Polizia si rifocillano dopo i turni di guardia al cantiere. Non c’è
sosta e non c’è riposo in Valle di Susa, né per il movimento né per le truppe.
Sarà dunque il 2014 un nuovo anno all’insegna della resistenza NO TAV? Noi ci auguriamo di sì. In questa pratica, la
resistenza popolare NO TAV un’intera valle ha trovato il suo ritmo e il suo disegno di vita e di futuro. Partendo ancora
una volta da una necessità reale, la difesa della propria terra e della ricchezza pubblica, si è scelto il cammino.
Resistere allo scempio e alla distruzione con la pratica della lotta, fatta insieme, nei momenti di festa e in quelli
più difficili.
Il cantiere del cunicolo esplorativo difeso da centinaia di uomini prosegue, tra mille difficoltà, lento, rinchiuso tra
le impervie pendici della val Clarea. Questo dunque un motivo di resa? La domanda non si è neanche posta, troppo cammino
è stato fatto per fermarsi a queste difficoltà. In Valle di Susa il concetto di lotta e resistenza ha superato
l’impianto teorico e nella pratica ha trovato la sua strada, semplice e continua. In sintesi, non mollare mai, costruire
iniziative, creare disturbo, infastidire le truppe, rendere ogni giorno la vita difficile al cantiere e a tutte le sue
articolazioni.
La bontà la si riconosce subito, negli occhi degli assediati, delle truppe e degli operai. Spavento, disorientamento,
nervoso, negli occhi di chi non comprende, non capisce e rimane ogni volta spiazzato. Questo è ciò che accade in valle
di Susa, terra di un popolo che non si arrende, che stappa le bottiglie di spumante spingendo sugli scudi della polizia
e che rincorre i poliziotti con la pizza che gli si ferma sullo stomaco. Questa insomma è la storia, l’inizio di un
nuovo anno, non il primo non l’ultimo. Scritta dai NO TAV, protagonisti del loro tempo, protagonisti del loro futuro…

3 gennaio 2014, da notav.info


Sabato 22 febbraio 2014: Giornata Nazionale di Lotta
Il Coordinamento dei comitati no tav riunito a Villar Focchiardo mercoledì 8 gennaio 2014 ha valutato attentamente la
gravissima situazione giuridica venutasi a creare con gli ultimi arresti di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, per i
quali è stato costruito un castello accusatorio studiato apposta per intimorire tutte le sacrosante lotte che anche
grazie al Movimento NO TAV stanno crescendo in tutto il Paese. Ha infatti rilevato che nelle carte dell’inchiesta gli
inquirenti, forzando il piano strettamente giuridico, hanno sostenuto una tesi squisitamente politica. Infatti, dopo
aver fatto una breve storia degli atti legislativi e dei vertici internazionali che hanno portato all’installazione del
cantiere di Chiomonte, i magistrati sostengono che si tratta di procedure democratiche.
Quindi l’azione contro il cantiere – assieme allo stillicidio di pratiche di contrasto di cui il faldone giudiziario
fornisce un ampio elenco – viene definita “terroristica” non tanto per le sue caratteristiche specifiche, ma in quanto
si oppone alla democraticità di una decisione intergovernativa.
Se tutte le imposizioni dello Stato hanno un involucro legale, cioè sono formalmente basate sul Diritto, tutto ciò che
mette realmente in discussione un progetto statale è dunque passibile di “terrorismo”. Con questa impostazione rimane
solo la possibilità di dissentire in modo platonico, di diventare un movimento di opinione.
Dare invece concretezza al proprio NO, che in fondo è la caratteristica essenziale del movimento no tav, risulta quindi
antidemocratico : il totalitarismo parla oggi un linguaggio diverso. “Non ti stanno bene le nostre imposizioni
democratiche? Dunque sei un terrorista, ti sbatto in galera e butto via la chiave”.
Ricordando che nei momenti epocali, lo Stato ed i “poteri forti” attaccano frontalmente il nemico nei suoi punti di
forza e non in quelli più deboli, diventa evidente che l’impiego della categoria di terrorismo contro il movimento no
tav – per ciò che questo esprime e che simboleggia – è un avviso per tutti, per qualsiasi movimento di lotta.
Diventa terrorista dunque chiunque contesti le decisioni dello stato e viene smantellato il patto sociale pensato
dalla costituente.
A seguire fino in fondo la logica della procura torinese, la natura “terroristica” della lotta contro il TAV non sta in
un suo preteso “salto di qualità”, bensì nelle sue stesse premesse: in quel NO di cui vent’anni di esperienze, saperi,
confronti, azioni non sono che il coerente sviluppo. Non essersi rassegnati nemmeno di fronte ai manganelli, ai gas,
alle ruspe, ai Lince, agli arresti, al terrorismo mediatico: questo è il crimine che contiene tutti gli altri.
Per questi motivi il Movimento no tav indice e propone per il 22 febbraio una giornata nazionale di mobilitazione e di
lotta ognuno nel proprio territorioa tutte quelle realtà che resistono e si battono contro lo spreco delle risorse
pubbliche, contro la devastazione del territorio, per il diritto alla casa, per un lavoro dignitoso, sicuro e
adeguatamente remunerato. Una giornata nazionale di lotta, territorio per territorio in difesa del diritto naturale e
costituzionale di opporsi alle scelte governative che tengono solo conto degli interessi dei potentati, delle lobby,
delle banche e delle mafie a danno della popolazione.
Una mobilitazione comune contro il delirante utilizzo delle leggi da parte della procura e della magistratura torinese e
in solidarietà ai compagni di lotta incarcerati, ai compagni di lotta già condannati, a quella innumerevole schiera di
resistenti che ancora deve affrontare il giudizio per aver difeso i beni comuni, una giornata di lotta alla quale
seguirà nella metà di marzo un appuntamento a Roma per la difesa e la legittimità delle lotte sociali.
In preparazione della giornata di lotta si invita ad effettuare assemblee sui territori per sensibilizzare la
popolazione sia su questi temi sia sui progetti che si contrastano.
In Valsusa sui progetti di spostamento dell’autoporto di Susa a San Didero, di spostamento della pista di Guida Sicura
da Susa ad Avigliana e della ferrovia nel territorio di Borgone. Proposta approvata dal coordinamento dei comitati del
Movimento NO TAV.

13 gennaio 2014, da notav.info


dalle udienze del “processone” contro il movimento no tav
Udienza del 23 dicembre 2013, aula bunker carcere le vallette (To)
Finalmente è presente anche Lollo, arrivato in mezzo a noi (imputat*) direttamente dagli arresti domiciliari da solo,
con le sue gambe, lo abbracciamo, sta bene. Doveva essere un’udienza dedicata soltanto al solito “ascolto” di testi
digos, carabinieri… invece subito dopo l’ascolto del primo poliziotto leggiamo il comunicato del movimento No Tav
sull’arresto avvenuto due settimane prima di Chiara, Nico, Mattia, Claudio accusat* di “terrorismo” in seguito alla
distruzione di un generatore usato nel cantiere Tav in Val di Susa, azione compiuta in una notte del maggio scorso. La
lettura conclusa dal coro “Sabotare non è reato - Terrorista è lo stato” non piace alla corte né ai pm. Insieme ordinano
“l’allontanamento degli imputati”, rallentato dagli interventi di numerosi avvocati tesi a dimostrare che non era
accaduto alcun “reato”, che la situazione era distesa. Niente da fare: siccome non abbiamo “ottemperato all’ordine di
cessare la lettura” dobbiamo venire “allontanati”, messi fuori dall’aula. Nell’uscire ci uniamo anche nei cori al
“pubblico”, una ventina di compagn*.
Dentro continua la rivoltante farsa dei poliziotti che quando si esprimono sulle nostre identificazioni hanno solo
certezze addirittura assolute, ma mai una volta che abbiano visto, tanto meno preso parte, a un pestaggio delle compagni
e dei compagni arrestat* il 27 giugno e il 3 luglio 2011. Si arriva fino all’assurdo di accettare come “teste” una
donna-digos sempre presente in aula sin dalla prima udienza; la corte non ne accetta la esclusione richiesta dagli
avvocati.
In chiusura d’udienza, su richiesta degli avvocati, la corte mentre conferma il calendario delle udienze (80 nel
prossimo anno) in cui è accettata la richiesta di un’udienza alla settimana, conferma invece che il processo continuerà
nell’aula bunker. Gli avvocati si riservano di dare una risposta a questo ennesimo rifiuto, che intacca la possibilità
dell’ “esercizio della difesa” in generale e in specifico rispetto a questo processo, poste la distanza dell’aula bunker
dalla città, la cadenza delle udienza… Prossima udienza 10 gennaio 2014.

Udienza del 10 gennaio 2014, aula bunker carcere delle Vallette (To)
Subito dopo l’appello gli avvocati chiedono le ragioni del mancato trasferimento della sede processuale nel tribunale in
città; una decisione (assieme a quella di tenere una udienza alla settimana) da loro sollecitata nei mesi scorsi, e che
il tribunale si era impegnato a rispettare proprio con l’inizio del 2014. Mentre una richiesta è stata esaudita, sono
state così fissate nell’arco dell’anno 40 udienze, per l’altra il tribunale ha risposto che il processo proseguirà
nell’aula bunker; che questa decisione ancora “informale” è stata presa dalla questura per “questioni di ordine
pubblico” e a causa della lettura di un comunicato da parte degli “imputati” nell’ultima udienza.
Gli avvocati hanno fatto notare che il tribunale aveva loro garantito il trasferimento della sede del processo, che il
23 tutto si è svolto in modo sereno, che l’udienza non è stata interrotta… Niente da fare, il processone continuerà
nell’aula bunker.
L’udienza è così iniziata e andata avanti per oltre cinque ore con l’ascolto di una quindicina di poliziotti,
carabinieri rimasti “feriti, contusi…” nelle giornate in valle del 27 giugno e 3 luglio 2011. Una passerella odiosa,
ricca in gran parte di ricostruzioni puerili, di referti medici artefatti, conclusi però in mesi di malattia… di
“oggetti contundenti”, tipo un estintore che avrebbe colpito un numero imprecisato di sbirri. I particolari in questo
caso sono esposti con meticolosità, ma appena c’è accenno alle/ai manifestanti fermati nel corso degli scontri, tutto
scompare, nessuno sbirro ha visto nulla, nessun giudice approfondisce e, peggio, permette l’approfondimento. Le/i
manifestanti con teste braccia rotte, vengono cacciati nel dimenticatoio, non esistono - per loro. Glielo ricorderemo.

Udienza del 17 gennaio 2014, aula bunker carcere delle Vallette (To)
E’ continuato l’ascolto di sbirri feriti, messisi in malattia per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011. Ne sono
stati ascoltati una decina; molti non si sono costituiti parte civile, cioè hanno preso giorni di malattia (settimane,
mesi), denaro (mille, duemila… euro) da mutue e assicurazioni senza ricorrere a avvocati. Gli avvocati della difesa
hanno diffuso un comunicato (riportato più avanti) sull’“impossibilità della difesa” in questo processo. La difesa, in
ogni processo contro la lotta, tanto più in processi ai quali è affidata la pretesa di essere dei “modelli”, è
strettamente collegata alla determinazione di far parlare in aula le lotte, le azioni di rottura rivendicandole
apertamente; cioè superando d’un balzo la funzione intimidatrice, ricattatoria nei confronti di chi sotto processo.

Udienza del 20 gennaio 2014, aula bunker carcere delle Vallette (To)
Stesso andamento delle precedenti. C’è stata la conferma dell’ormai completo adagiamento della corte sulla procura. E’
emerso proprio in chiusura quando la corte ha sollecitato il collegio della difesa a impegnarsi per la prossima udienza
(giovedì 30 gennaio) a presentare la richiesta di udienze necessarie per l’ascolto dei testi portati dalla difesa. Il
collegio difensivo finora aveva tergiversato per premere sulla corte affinché il processo tornasse nel tribunale in
città. La risposta “basta con questa storia, stiamo qui come e perché già comunicato” è stata data immediatamente dai
pm, col benestare del presidente che in un’udienza del novembre scorso aveva invece smentito l’attribuzione del
trasferimento del processo nell’aula bunker a fatti ingiustificati accaduti in aula (interventi degli imputat*, saluti
con il “pubblico”…) con un perentorio “non è così, siamo qui perché l’aula più spaziosa del tribunale ora è occupata da
un altro processo (processo Eternit concluso all’inizio di dicembre), appena concluso torneremo in tribunale”… Un
ulteriore segnale dell’appiattimento della corte sulla volontà della procura.
Fra imputat* e avvocati si sta discutendo per trovare dei comportamenti comuni, o comunque compresi e riconosciuti da
tutt*, per smettere di subire l’irruenza organizzata del tribunale nel suo complesso. Vedremo nelle prossime udienze.

Milano, gennaio 2013

***
COMUNICATO STAMPA AVVOCATI PROCESSONE NO TAV
I sottoelencati difensori, parti processuali nel proc. pen. n. 18038/11 a 54 attivisti NO TAV per i fatti relativi alle
manifestazioni del 27/6 e del 3/7/2011, attualmente in corso presso la IV Sezione del Tribunale di Torino, osservano
quanto segue:
sin dall’inizio del suddetto processo, complesso per il numero degli imputati, delle persone offese e dei testimoni
indicati dalle parti e per la rilevanza sociale della questione sottesa ai fatti per cui è processo, il Collegio
difensivo aveva sottolineato la necessità di gestire il dibattimento in termini di normalità ed aveva rilevato, invece,
come la scelta di tenere il processo presso l’Aula delle Vallette, con cadenza bisettimanale e con un orario dalle ore 9
alle 17, rendesse sostanzialmente impossibile ai sottoscritti difensori un esercizio pieno e sereno del diritto di
difesa. Onde evitare inasprimenti della questione, si è cercata, allora, la via di una conciliazione tra gli interessi
in discussione; il tentativo, lungo e faticoso, aveva finalmente prodotto un risultato positivo nell’incontro
organizzato del Presidente del Tribunale, in data 3/12/2013 alla presenza del Collegio giudicante, delle parti
processuali e del Presidente e della Consigliera Segretaria del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
In quella riunione, era stato raggiunto un sostanziale accordo, in base al quale il processo sarebbe proseguito presso
il Palazzo di Giustizia, con udienze con cadenza settimanale e con l’impegno delle parti ad elaborare un calendario con
il nominativo dei testi da escutere, udienza per udienza, onde avere certezza sulla conclusione in tempi accettabili
(indicati nell’ottobre 2014) dell’istruttoria dibattimentale.
Sempre in un’ottica di collaborazione, i sottoscritti avevano accettato che le udienze dei giorni 7 e 23 dicembre si
svolgessero ancora nell’Aula presso il Carcere delle Vallette, convinti che il percorso concordato sarebbe stato
rispettato, convinzione confermata, tra l’altro, da una bozza provvisoria di calendario redatta dal Presidente del
Collegio e dalla predisposizione da parte del P.M. del calendario delle udienze riservate all’escussione dei suoi testi.
Secondo accordi informali con il Presidente del Collegio all’udienza del 23/12 sarebbe stata data ufficialità al nuovo
calendario di udienza e sarebbe stato sancito il rientro del processo alla sua sede naturale, il Palazzo di Giustizia.
Inopinatamente, invece, alla conclusione dell’udienza del 23/12, non solo il processo è stato rinviato al 10/1/2014
sempre presso l’Aula c.d. “bunker”, ma è stato, altresì, comunicato che nemmeno il calendario già predisposto poteva
ritenersi confermato.
Alla successiva udienza del 10/1/14, poi, è stato informalmente comunicato che il processo sarebbe proseguito sempre
presso la c.d. Aula Bunker, riservando, altresì, l’ufficializzazione del calendario d’udienza.
Tutto ciò premesso, i sottoscritti difensori, certi di aver cercato ogni via per una definizione di buon senso, e che
tenesse conto dei diversi interessi contrapposti, delle questioni in discussione, ritengono ingiustificato e
incomprensibile il diniego alla prosecuzione del processo nella sua sede naturale e la mancata ufficializzazione del
nuovo calendario delle udienze.
Ribadiscono l’oggettiva impossibilità di garantire, nelle attuali condizioni, un sereno e concreto esercizio del diritto
di difesa.
Rilevano come le attuali modalità di svolgimento del processo sottolineino una asserita “diversità” del processo in
corso rispetto agli altri processi, che si svolgono presso il Palazzo di Giustizia e con modalità ordinarie, per
presunte ragioni di ordine pubblico che parevano, peraltro, superate in esito agli incontri tenutisi con il Presidente
del Tribunale, alla presenza delle parti processuali.
Ritengono fondamentale informare l’opinione pubblica di quanto sta accadendo, che contrasta con lo svolgimento di un
processo nel pieno rispetto delle garanzie per gli imputati, in un clima di serenità e di imparzialità, come la
Costituzione impone.
Riservano ogni ulteriore iniziativa a tutela del diritto di difesa dei propri assistiti.

Torino, 13 gennaio 2014
Avvocati Bertone Stefano, Bisacca Simone, Bongiovanni Massimo, Ciarlantini Gabriella, Colletta Valentina, Cognini Paolo,
D’Agostino Aurora, D’Amico Emanuele, Deorsola Manuela, Fattizzo Lea, Ghia Danilo, Grenci Ettore, Lamacchia Roberto, La
Matina Maurizio, Losco Eugenio, Lucentini Marco, Melano Marco, Milano Federico, Molè Andrea, Novaro Claudio, Panini
Tiziano, Patrito Cristina, Pellegrin Enzo, Pezzucchi Sergio, Rasulo Maria Teresa, Romano Giuseppe, Sabattini Simone,
Straini Mauro, Stroppiana Roberto, Vitale Gianluca

15 gennaio 2014, da infoaut.org


perugia: UDIENZA PRELIMINARE “OPERAZIONE ARDIRE”
Ieri, 17 gennaio, si è svolta l'udienza preliminare dell'operazione Ardire. Contro ogni aspettativa la Pm Comodi ha
richiesto il "non luogo a procedere" per l'accusa del 270 bis. Il Gup ha accettato la richiesta ed è rimasto solo il
capo di imputazione per il reato specifico (danneggiamento) per tre degli accusati.
Al di là dell'ovvio sospiro di sollievo di tutte e tutti al pensiero di essersi tolti dalle spalle lunghi anni di
processi con tutto quello che ciò avrebbe comportato, rimane addosso oggi - dopo i festeggiamenti della serata - tanta
amarezza, rabbia e un profondo senso di frustrazione nel vedere come le vite delle persone possano essere stravolte,
manipolate, rinchiuse, buttate in pasto alla pochezza di chi vive alle spalle degli altri senza pagare mai, senza dover
mai trovarsi di fronte alla responsabilità delle proprie azioni.
La "signora" Pm ieri ha detto che lei proprio non se la sentiva di far spendere i soldi dei contribuenti per mettere su
un altro "baraccone" (sue testuali parole) che poi altri giudici - nonostante i suoi sforzi - le avrebbero buttato giù.
Baraccone. Un baraccone che è costato un anno di vita per alcune, anche di più per altri. Sì, proprio un baraccone, un
circo, un teatro del grottesco, della miseria, della pochezza, del lato più infido, malvagio, sporco, mediocre, basso di
una donna che si è prestata a qualsiasi richiesta, desiderio, capriccio dei suoi "ros" - veri burattinai di tutta la
vicenda - senza avere la più pallida idea, spesso, di cosa stesse facendo.
E' difficile sorridere oggi. Molto difficile scrollarsi di dosso la brutta sensazione che in qualsiasi momento possano
fare della tua vita quello che ritengono più opportuno per i loro programmi politici, per la loro gestione dell'ordine,
per le loro carriere, per indirizzare l'attenzione delle teste, poco pensanti, dei più.
Così ti chiamano terrorista. Ti rinchiudono come peggior nemico e pericolo per la società. Ti imputano un ruolo e un
modo di agire che in realtà è sempre stato di chi ha nelle mani il potere delle armi, della polizia, degli eserciti, del
voto, del governo, della stampa, della magistratura. Di chi ha il Potere di disporre delle vite delle persone, di
decidere che in una terra non si debba più vivere come lo si è sempre fatto, ma si debba far passare un mostro di binari
e alta velocità. Di chi ha il potere di stravolgere il senso delle parole e il senso della giustizia (quella vera,
quella che crea il discrimine tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, non quella scritta sui codici), quel potere
che, con le sue mille mani, con una devasta, con un'altra punisce e rinchiude e con un'altra ancora diffama e stravolge
il senso della realtà. Quel potere che permette di dare più valore ad una vetrina sfasciata che alla vita di un uomo,
che protegge chi ammazza le persone rinchiuse in galera, che ti spia la vita fin dentro le mutande, che impunemente
cambia, stravolge, lacera le vite delle persone, che nella guerra costante che porta contro chi è sotto il suo controllo
non ammette nessuna replica, nessuna opposizione.
Così oggi i terroristi dell'ultima ora sono la compagna e i compagni arrestati a Torino. Oggi l'etichetta è per loro.
Scomodi, fastidiosi, ingestibili, cocciuti come tutti quelli che si ostinano a non cedere alla Tav e che lo fanno con
tutti i mezzi che ritengono necessari alla lotta, alla difesa della loro terra e delle loro vite.
Oggi alcuni si sono scrollati di dosso, perché così è stato deciso, la parola terrorista. Altri ce l'hanno sulle spalle.
A questi tutta la solidarietà e la vicinanza.
In merito alle vicende perugine, nella speranza che si siano concluse una volta per tutte e che siano finiti i deliri di
Ros e pm, non può che scendervi sopra un velo pietoso, sperando che copra la puzza di marcio che ancora esalano e che
ancora esaleranno per molto.

19 gennaio 2014, da informa-azione.info


sulle lotte operaie nel settore della logistica
Bologna, 20 dicembre: picchetti alla Granarolo
Dall'alba i facchini della Granarolo hanno presidiato insieme ai tanti solidali i cancelli della multinazionale
cooperativa. Blocchi determinati che intendono ancora una volta affermare i diritti di questi lavoratori. Una lunga
mattinata (dalle 5 alle 11) in cui ben 5 sono stati i tentativi di sgomberare il picchetto da parte delle forze
dell'ordine che, accorse in massa, non hanno esitato a rispondere come sempre alla chiamata dei padroni del
cooperativismo emiliano. Tuttavia il picchetto non si è fatto intimidire da quest'ennesimo attacco repressivo e ha
resistito tutta la mattinata. (Un lavoratore a causa della rimozione forzata delle forze dell’ordine è finito
all'ospedale riportando numerosi traumi).
La Granarolo è il fiore all'occhiello della Lega delle Cooperative, tanto che il suo presidente Giampiero Calzolari è
contemporaneamente massimo rappresentante sia della medesima associazione padronal-cooperativa LegaCoop, che dell'ACI
(Alleanza Cooperative Italiane).
Per questo non ci stupiamo che a gestire “l'accoglienza” nel lager di Lampedusa fosse proprio una cooperativa aderente a
Legacoop, che ormai abbiamo iniziato a conoscere fin troppo bene per il trattamento che riserva ai migranti.
La Granarolo per anni ha appaltato il lavoro del facchinaggio a consorzi cooperativi (SGB) che non rispettavano
l'applicazione del già misero contratto nazionale. Sapevano e hanno taciuto i signori dell'impero del latte perché
questo silenzio per anni ha garantito loro i massimi guadagni sulla pelle di chi si pensava non si sarebbe mai
ribellato. Ma quando i lavoratori hanno alzato la testa organizzandosi nel loro sindacato Si.Cobas e hanno preteso un
ripristino delle minime condizioni di giustizia sono stati per questo puniti e licenziati tutti.
I facchini della Granarolo lottano da più di sette mesi per vedere riconosciuta la propria dignità di persone e di
lavoratori. La loro lotta è diventata ormai un patrimonio comune delle lotte di quei lavoratori che stanchi di subire
condizioni di lavoro fuori da ogni regola e basate sullo sfruttamento hanno deciso di ribellarsi al sistema
schiavistico che imperversa nelle cooperative della logistica.

23 dicembre: sciopero ai Magazzini Carrefour e Sephora di S. Cristina
Dopo lo sciopero della settimana scorsa che ha respinto 4 licenziamenti poltici, cancellato il regolamento interno della
cooperativa e affermato la costituzione del SI.Cobas, gli operai sono entrati di nuovo in sciopero. Il casus belli è il
ritado di 4 giorni nel pagamento degli stipendi di novembre e il recupero degli istituti arretrati (in tutto circa 2
mila euro a testa per i 150 operai dello stabilimento) da parte della Cooperativa Atena che, dopo appena tre mesi, a
fine novembre aveva abbandonato l'appalto, e aveva lasciato il posto alla cooperativa Cosmet, che hanno in appalto i
magazzini della multinazionale Kuehne-Nagel.
Come la settimana scorsa, fin dalle 4 di mattina gli operai del Cobas presidiano i cancelli della fabbrica e bloccano
l'accesso dei camion. Come la settimana, in assenza di una sponda sindacale (CGIL-CISL-UIL sono state defenestrate per
palese compromissione coi piani di risparmio economico messi in atto dalla KN) le forze dell'ordine, impossibilitati
(per vari motivi) ad usare la forza, si ergono a mediatori della vertenza.
Dopo 8 ore di sciopero il consorzio fa sapere, tramite la Digos, di essere disposto ad incontrare i delegati del Cobas
per concedere un anticipo e sanare tutta la situazione pregressa in tempi ...definiti dalle disponibilità economiche
aziendali. A quel punto gli operai, dopo un'assemblea volante, abbandonano il teatro dello scontro e si ridanno
appuntamento per venerdì mattina, per riprendere lo sciopero. L'obiettivo è semplice: scavalcare consorzio e cooperativa
e arrivare a trattare direttamente con la Kuehne-Nagel per affermare il rispetto del CCNL di categoria.
In ballo però non c'è solo l'aspetto economico (un Natale senza soldi, per intenderci) ma la volontà di tenere in mano
l'iniziativa di lotta. Gli operai evidentemente hanno intuito che la controparte ha bisogno di un "accordo di pace"
utile a perseguire il suo piano strategico basato sull'intensificazione dei ritmi di lavoro e sulla riduzione del
salario; e hanno capito che il loro interesse è ottenere, una volta per tutte, il minimo che gli spetta, unendosi così
al movimento che vede i facchini protagonisti di lotte importanti a livello nazionale, finalizzate all'affermazione del
CCNL di categoria e alla demolizione del sistema di caporalato basato sulle cooperative
Pavia, 25 dicembre: Terzo sciopero alla Kuehne-Nagel di S. Cristina
Dopo aver rifiutato la mediazione proposta dalla questura, durante lo sciopero di lunedì 23 dicembre, gli operai si sono
dati l'ennesimo appuntamento davanti ai cancelli. Il solito scenario del picchetto questa volta è arricchito dalla
presenza di numerose famiglie degli operai in lotta, mentre i carabinieri si prodigano nel respingere il tentativo di
alcuni crumiri di entrare in fabbrica. Uno scenario quasi surreale che, fin dalle prime luci dell'alba, definisce
l'esito della giornata; nessun altro operaio/a tenterà di forzare il picchetto mentre 22 bilici si parcheggiano
nell'ampio parcheggio in attesa di poter entrare ed essere scaricati ...da nessuno.
Alle 10,00 viene avviata la trattativa che verte su tre aspetti: il pagamento delle competenze pregresse relative
all'ultimo cambio appalto; la piena applicazione del CCNL (turni di lavoro, istituti al 100%, malattia, premio di
produttività); il risarcimento delle giornate di sciopero causate "dall'irruzione violenta" della Cosmet (la cooperativa
appena subentrata nell'appalto gestito dalla B&M srl).
Su tutti e tre gli obiettivi la B&M è costretta a cedere e anche se i risultati effettivi verranno sanciti in via
definitiva solo nell'incontro fissato per il 7 gennaio (a parte il versamento degli arertrati), tutti i protagonisti
degli scioperi, dopo quindici giorni di battaglia davanti ai cancelli e dentro lo stabilimento, riescono finalmente a
conquistare la strada maestra per entrare a pieno titolo nel movimento nazionale di lotta che punta ad affermare
l'applicazione generalizzata del CCNL di categoria, come passo fondamentale per aprire una nuova stagione di lotta
contro le multinazionali della logistica e smantellare il sistema di caporalato rappresentato dalle cooperative
L'entusiasmo degli operai che finalmente hanno potuto ribaltare i rapporti di forza all'interno della fabbrica (con un
danno quantificabile in circa 100 mila euro per i tre blocchi degli ultimi dieci giorni) può scegliere adesso due
strade: accomodarsi sui risultati della lotta oppure estendere il movimento alle fabbriche vicine.

Milano, gennaio 2014


milano: agguato ad un compagno dirigente del S.I. Cobas
Ieri pomeriggio il compagno Fabio Zerbini è stato attirato in una specie d'imboscata e pestato a sangue. Con la scusa di
un incontro per risarcire i danni di un incidente automobilistico (uno specchietto rotto) avvenuto a fine dicembre, è
stato attirato in zona Affori. Appena sceso dall'auto, è stato assalito a tradimento e pestato a sangue.
Gli aggressori si sono quindi allontanati promettendogli una brutta fine se si occuperà ancora dell'organizzazione delle
lotte operaie.
Questo pestaggio è la continuazione della strategia repressiva che combina l'intervento delle forze del disordine, con
quelle dell'ordine di mafia, n'drangheta e camorra di cui hanno fatto le spese i nostri militanti sindacali , con
minacce, processi, pestaggi, incendi d'auto ecc... Più lo scontro politico si accentua, più si intrecceranno queste
azioni atte ad intimidire la lotta dei lavoratori della logistica, ma solo l'estensione di questa, l'organizzazione di
essa e dei COBAS potrà garantire una maggior difesa agli attacchi posti in atto dal padronato e dai loro sgherri, contro
i sindacalisti attivi. Non ci faremo intimidire!
Un caloroso saluto e una pronta guarigione va a Fabio, uno dei nostri compagni più in vista nelle lotte portate avanti
tra gli operai della logistica.

14 gennaio 2014, S.I. COBAS nazionale
Milano: Una schifezza chiamata Via d'Acqua ma il film non cambia
Lo dicevamo nel 2008 quando Milano si è aggiudicata Expo, l'abbiamo ripetuto in questi cinque anni, lo diciamo con
ancora più forza oggi supportati dalle schifezze che giorno dopo giorno spuntano davanti ai nostri occhi: Expo 2015 è un
evento nocivo che genera debito, cemento e precarietà, che utilizza poteri speciali per imporre le sue decisioni, che
alimenta le mafie criminali e politiche.
La Via d'Acqua è il caso da manuale che sintetizza le nefandezze di Expo: un'opera inutile, dannosa, costosa, nociva,
calata dall'alto senza tenere minimamente in considerazione il contesto paesaggistico e umano dentro cui voleva
inserirsi.
La rete dell'Attitudine No Expo si è opposta fin da subito a questa patacca venduta come oro: nel 2008/2010 quando
ancora si usava il plurale "le Vie d'Acqua" e il sogno era quello dei canali navigabili della "Milano come Venezia", e
nel 2012 quando i signori di Expo sono stati costretti a dirottare verso una più modesta "Via d'Acqua" al singolare.
Modesta ma altrettanto nociva.
Come rete No Expo siamo stati parte della lotta parco-per-parco di questi ultimi quattro mesi dentro al percorso del
comitato No Canal. Abbiamo portato il nostro contributo critico e informato sul mega-evento del 2015, avendo ben chiaro
che l'orizzonte della lotta andava ben oltre i parchi devastati dalla Via d'Acqua. Quei parchi per noi sono
l'equivalente delle case attraversate dall'autostrada Rho-Monza a Paderno Dugnano, sono il parco della Lura danneggiato
dalle vasche anti-allagamento del sito di Expo, sono i terreni agricoli rovinati per sempre dalla Teem, sono le ultime
cascine del nord-ovest milanese sfrattate dal mega-evento, e potremmo andare avanti ancora per un bel po'. C'eravamo
all'alba del 10 dicembre quando insieme a decine di cittadini del gallaratese abbiamo fermato la ruspa di Expo dentro al
parco Trenno, eravamo in mezzo al fiume blu che ha abbattuto le reti arancioni come un fiume in piena in una assolato
sabato pomeriggio d’autunno, c'eravamo ai volantinaggi ai mercati e ai presidi davanti a Palazzo Marino e alla sede di
Expo.
Ora l'assemblea del comitato No Canal ha deciso con un voto a maggioranza di accettare le modifiche al tracciato
proposte da Expo Spa, Comune di Milano ed MM sui soli parchi di Trenno e Pertini, con una logica più simile a una
trattativa sindacale che a una lotta popolare.
Avere costretto il gigante Expo a rivedere un po' dei suoi programmi è sicuramente un risultato apprezzabile e che
dimostra, ancora una volta, che solo la lotta e la partecipazione critica possono portare a dei risultati. Ma proprio
per questo non possiamo accontentarci ed essere complici della realizzazione di un'opera e di un evento che mantiene
tutte le nocività iniziali: lo sperpero di soldi pubblici, 89milioni di euro per la Via d'Acqua e oltre 10 miliardi per
Expo, il danneggiamento dei parchi dentro cui entreranno le ruspe per sotterrare il tubo, l'uso disinvolto dei poteri
speciali del commissario che ha declassato il livello degli inquinanti per cercare di aggirare le bonifiche, il ricatto
di via Quarenghi dove la bonifica dell'area è stata condizionata alla realizzazione del canale pur essendo un atto
dovuto e non un punto di mediazione, i lavori affidati a una ditta già sotto indagine per altri lavori in giro per
l'Italia.
Come possiamo tornare nelle nostre case sapendo tutte queste cose? Come possiamo stringere accordi al ribasso con chi
confonde partecipazione con imposizione e propaganda?
Expo 2015 è un castello di carta che prometteva Vie d'Acqua e Vie di Terra e oggi ripiega, smentendo se stesso, su un
canale semi-interrato come una fogna qualunque.
Noi siamo e saremo No Expo e No Canal, agendo da No Expo e No Canal. E siamo sicuri che incroceremo di nuovo le
centinaia di persone conosciute in questi mesi, accordo o non accordo.
A partire già da lunedì 27 gennaio, ore 7, in via Caldera, a Quinto Romano, dove le ruspe stanno lavorando incuranti
della trattativa.
Ci si rivede nei parchi: tra ruspa e albero sappiamo da che parte stare.

22 gennaio 2014, Rete No Expo - noexpo@autistici.org

***
Dopo l’incontro a Palazzo Marino di venerdì 17 gennaio con Expo Spa e Comune di Milano, dobbiamo valutare e decidere
assieme, rispetto alle proposte, che ci sono state fatte di modifica e intervento sul progetto della Via d’Acqua per
Expo2015.
In sintesi le proposte sono:
1) interramento totale del canale al parco di trenno, a eccezione di un’ansa di ristoro nel parco in un punto non
alberato e di uno sfiatamento in via mafalda di savoia; comune di milano ed expo hanno dichiarato che il parco verrebbe
restituito identico a ora dopo il lavoro di scavo e reinterramento; su nostra richiesta verrebbe istituita una
commissione di verifica in corso d’opera dei lavori, con la partecipazione dei cittadini da noi delegati e dei consigli
di zona competenti.
2) Spostamento del cantiere di scavo nel parco di trenno in aree soprattutto non alberate e verifica del tracciato di
scavo con cittadini da noi delegati. impegno che le eventuali ripiantumazioni siano identiche in quantità e qualità agli
alberi eventualmente abbattuti.
3) Bonifica integrale e totale dell area inquinata di via Quarenghi con impegno politico ed atto formale di delibera da
parte dell’amministrazione comunale e della giunta con impegno di spesa (nostra richiesta specifica); con annesso ruolo
di verifica da parte del consiglio di zona e dei cittadini come da noi richiesto.
4) Verifica del tracciato di scavo nel parco Pertini in maniera tale da evitare l’abbattimento degli alberi più
pregiati, scavando soprattutto all altezza della pista ciclabile già esistente Rispetto al Parco delle Cave, argomento
affrontato a latere del confronto su Trenno, vi è stata la disponibilità di Comune ed Expo, a mantenere un tavolo di
confronto con comitati e cittadini per verificare i problemi di impatto degli scavi sul parco, con riferimento anche
alla proposta di Italia Nostra e comunque alle criticità evidenziate dai cittadini e dalle realtà associative presenti
sul territorio. Per quanto riguarda le bonifiche, rimane un impegno generico a bonificare dove l’ opera dovesse
incontrare aree inquinate.
Martedì 21 gennaio alla coop. Labriola:ASSEMBLEA PUBBLICA
Via Falck 51 – m1 San Leonardo

gennaio 2014
COMITATO NO CANAL nocanal@autistici.org
Su Facebook: DifendiamoilParcoTrenno


Amburgo: dichiarato lo “stato d'eccezione”, coprifuoco nella città
Dopo le recenti manifestazioni ad Amburgo contro lo sgombero dello storico centro sociale Rote Flora, è stato dichiarato
lo stato d'eccezione nella città tedesca. Da due giorni infatti, la polizia ha fatto irruzione nei quartieri centrali di
Altona, San Puli e Sternschanze, dichiarandole “zone di pericolo” a tempo indeterminato.
Lo stato d'eccezione vigente infatti permette alla polizia di identificare e arrestare qualsiasi persona anche in
assenza di sospetti concreti su di essa, adibendo autobus di linea a “questure mobili”, sulle quali le persone fermate
vengono identificate. Attraverso numerosi controlli stradali e identificando arbitrariamente qualsiasi persona che
incrociano per la strada, la polizia cerca quindi di intimorire, facendo vivere gli abitanti dei quartieri in questione,
la prepotenza e l'abuso di potere che si sta esprimendo non solo attraverso i controlli aggressivi nei confronti della
popolazione, ma anche con la ridicola quanto violenta, indizione del coprifuoco attraverso il quale i cittadini e le
cittadine sono invitate a non uscire di casa dopo le 20, limitando così i diritti fondamentali e lasciando a briglia
sciolta qualsiasi arresto arbitrario nella zona.
I fatti che hanno portato alla militarizzazione della città di Amburgo, risalgono al 21 dicembre, quando una
manifestazione nei pressi del Centro Sociale Rote Flora, alla quale hanno partecipato più di 10mila persone, venne
caricata selvaggiamente dalla polizia con idranti, spray al peperoncino e manganelli, cariche davanti alle quali i
manifestanti hanno resistito, continuando a manifestare e rispondendo all'attacco della polizia.
Alla radice di questa dura repressione, numerose altre iniziative sono state svolte nelle settimane successive, sempre a
difesa dello storico centro sociale. La polizia di Amburgo, nella sua evidente difficoltà di gestire la situazione, ha
quindi deciso di attuare con la militarizzazione coatta dei quartieri. Ma a fare davvero paura, e questo lo dimostra
l'atteggiamento della polizia, non è solo la reazione di un ipotetico sgombero del Rote Flora, bensì quello che lo
sgombero dell'ennesimo centro sociale potrebbe scaturire. Il Rote Flora rappresenta infatti solo uno dei molti luoghi
che attualmente riproducono il conflitto all'interno di una città notoriamente sovrastata, tra l'atro, da un lungo
processo di gentrificazione.
7 gennaio 2014, da infoaut.org