indice n.84

terrorismo di stato
Libia: due anni dopo l’abbattimento della “Jamāhīriyya”
AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
LETTERA DAL CARCERE DI ROSSANO (cs)
LETTERA DAL CARCERE DI SPOLETO
LETTERE DAL CARCERE DI PALERMO
Sugli arresti dopo la marcia No Tav degli ultracinquantenni
LETTERe DAL CARCERE DI TERNI
LETTERA DAL CARCERE DI MONZA
Lettere DAL CARCERE LA DOZZA (BO)
lettera dal carcere di opera (mi)
LETTERe DAL CARCERE DI REBIBBIA (Roma)
MILANO SAN VITTORE: una giornata contro il carcere
Sul decreto “svuotacarceri”
sull’amnistia/indulto: Più dubbi che certezze
lettere dal carcere di san vittore (mi)
LECCE: presidio sotto il carcere
29 settembre: Presidio davanti al carcere di Montorio (VR)
TORINO: Un saluto e un lavoretto
PADOVA: sulle mobilitazioni contro il carcere
LETTERA DAL CARCERE DI WINTERTHUR (SVIZZERA)
CREMONA: SOLIDARIETà E COMPLICITà CON I DETENUTI IN LOTTA
lettera dal carcere di viterbo
sulla solidarietà alla mobilitazione dei detenuti a Trento
Lettera dal carcere di perugia
lettera dal carcere di savona
LETTERA DAI DOMICILIARI
RACCONTI DA UNA CAMERA DI SICUREZZA
Bologna: “FUORILUOGO” IN UN’AULA DI TRIBUNALE!
ARRESTI A ROMA: CONTINUA L’OPERAZIONE CONTRO GLI ANARCHICI
Roma: sugli arresti durante manifestazione del 19 ottobre 2013
Sul processo per il ferimento dell’AD di Ansaldo Nucleare
Solidarietà a Herrira colpita da arresti e repressione
SOLIDARIETÀ AGLI IMPUTATI PER LA LOTTA ALLA BENNET DI ORIGGIO
Turchia: fuga dal carcere

Terrorismo di stato
Domenica 6 e lunedì 7 ottobre gli USA hanno compiuto “operazioni” di guerra in Somalia e Libia, rivendicate nei giorni
successivi da Obama con “dove sono attivi piani e reti terroriste attive noi intraprenderemo azioni contro”…
In Somalia l’attacco USA è stato portato all’alba da un’unità speciale di circa 20 armati che hanno attaccato un
edificio nella città portuale di Barawe per catturare o uccidere un presunto membro dell’organizzazione combattente
islamica Al Schabab.
I militari tuttavia hanno incontrato una forte difensiva che li ha costretti a una fuga precipitosa con il motoscafo che
li aveva portati; e lasciando dietro di sé una parte dell’armamento. Al Schabab ha mostrato le foto di questa ritirata
con particolare orgoglio, giacché l’unità USA apparteneva a Navy Seal (che tradotto sta per “Impegno, Decisione della
marina da guerra”), la stessa che nel maggio 2011 catturò Bin Laden. (Dei 25 militari che componevano quell’unità, 22
sono morti pochi mesi dopo su un elicottero colpito in volo in Afghanistan).
Il governo USA ha motivato il ripiegamento frettoloso con il fatto che, inaspettatamente dei bambini e dei “civili”
sarebbero usciti dalle case. Che in quell’edificio vivessero delle famiglie c’era senz’altro da attenderselo. Piuttosto
chi ha pianificato l’attacco non ha tenuto conto che gli attaccati avrebbero rapidamente ricevuto aiuto da dozzine di
abitanti della città armati.
Sempre il governo USA ha informato che l’azione del Navy Seal era diretta contro Mohamed Abdul-Kadir, considerato dagli
assalitori capo di alto rango di Al-Schabab, benché il suo nome fino ad oggi era completamente sconosciuto sul piano
internazionale. Gli USA accusano Kadir di aver pianificato e attuato diverse azioni armate nei confronti di politici e
istituzioni del Kenia. In particolare lo si ritiene autore dell’assalto al centro commerciale Westgate di Nairobi
(capitale del Kenia) compiuto il mese scorso dove sono morte 60 persone.
Poche ore dopo l’operazione mancata in Somalia, un’altra unità speciale armata USA ha rapito Nazih Abdul-Hamed Al-Ruqai
a Tripoli (capitale della Libia) davanti alla propria casa. Al-Ruqai è stato portato nel Mediterraneo sulla nave da
guerra “San Antonio”, dove sarebbe stato “interrogato”, senza avvocato e fastidiosi testimoni, da un’unità creata
apposta nel 2009 da forze armate, servizi segreti, FBI e ministero della giustizia.
Gli USA considerano Al-Ruqai responsabile della pianificazione e realizzazione di parecchie azioni, fra le quali il
minamento, compiuto nel 1998, delle ambasciate USA di Dar el Salam (capitale della Tanzania) e di Nairobi dove morirono
220 persone. Ma il governo USA non ha fornito nessuna prova in merito.
In Libia, dove Al-Ruqai era tornato nel 2011 e viveva completamente libero, molta gente è scesa in strada invocando il
suo ritorno immediato. Il governo libico si è detto sorpreso e irritato dal modo di agire degli USA, sottolineando che
“questi avvenimenti” comunque “non danneggiano i buoni, eccellenti rapporti fra i due paesi”. Il parlamento invece si è
espresso senza la fissa dell’armonia ed ha così condannato il rapimento come una “flagrante violazione della sovranità
nazionale”, reclamando infine il rimpatrio di Al-Ruqai e immediatamente il permesso di un suo contatto con la famiglia
unito alla garanzia della presenza-assistenza dell’avvocato.

10 ottobre 2013, da jungewelt.de



Libia: due anni dopo l’abbattimento della “Jamāhīriyya” (*)
La guerra della NATO per cancellare la Jamāhīriyya si è conclusa alla fine dell’agosto 2011. In quella guerra, chiamata
da chi l’ha voluta, “Protettori uniti”, secondo stime internazionali sono morte fra la popolazione per lo meno 50mila
persone. Con la guerra, inoltre, la Libia, il paese allora dell’Africa con il più alto standard di vita, oggi, mese dopo
mese, è sprofondato nel caos, nell’arbitrio e nella violenza.
Le esplosioni di mine hanno distrutto edifici pubblici, interrotto gli acquedotti soprattutto nelle grandi città come
Tripoli, Bengasi.
L’esportazione del petrolio, la ricchezza prima del paese, è praticamente ferma, tanto che alcuni stati-NATO stanno
allestendo un esercito comune composto da 20mila soldati per togliere ogni ostacolo al flusso petrolifero verso
l’occidente.
I diversi raggruppamenti che nel febbraio 2011, sotto la direzione e il sostegno materiale diretto degli stati-NATO,
presero le armi contro la Jamāhīriyya, oggi considerano la “democrazia” e i diritti umani come pura retorica, oggi si
combattono per la ripartizione del potere, per la ricchezza propria…
Il “Consiglio di Transizione Nazionale” installato dagli stati-NATO come governo ombra, non ha mai avuto la direzione
della rivolta. Ad eccezione della città di Bengasi, qui si trovava la sua base; qui gli insorti formarono milizie e
Consigli nelle città e, sul piano delle tribù, nei villaggi.
Questo intricato tipo di organizzazioni dopo la vittoria non ha consegnato le armi, non si è subordinato al governo ad
interim che nell’agosto 2011 prese il posto del “Consiglio di transizione”. Il numero delle località che avevano formato
ed addestrato proprie brigate mentre finiva la guerra continuava a crescere per dare sicurezza alle città e ai villaggi
nei confronti degli assalti, degli arresti e delle impiccagioni arbitrarie compite dalle milizie “rivoluzionarie”. Su
questa spinta sono anche nate in ogni località strutture civili-militari che in guerra avevano sostenuto il governo o
erano rimaste neutrali. Altre hanno utilizzato il vuoto di potere per portare sotto il proprio controllo porti marini,
impianti industriali e fonti di guadagno estremamente lucrative, quali il contrabbando. In altri casi ancora, i consigli
militari sono stati infiltrati da bande criminali saccheggiatrici, trafficanti di droga e simili.
La composita coalizione contrapposta alla Jamāhīriyya, al governo di Gheddafi, la frazione più forte, dal punto di vista
politico e militare era senz’altro formata dai Fratelli Musulmani. Mentre gli islamici dunque, compresi i gruppi di Al
Qaida, costruivano le proprie posizioni di potere, nel sud e nell’est nascevano movimenti potenti che combattevano per
una ripartizione del paese, in cui era prevista una federazione libera formata dalla Cirenaica nell’est, dalla
Tripolitania nell’ovest e dal Fezzan nel sud-ovest.
All’inizio del 2012 tremila politici e capi tribù hanno annunciato la nascita della autonoma “Repubblica Barqa” e
iniziato a costruire istituzioni governative indipendenti. “Barqa” è il nome arabo della Cirenaica, regione che si
estende dall’Egitto fino al deserto della Sirte, che comprende quasi la metà della Libia e delle sue riserve
petrolifere. Anche le tribù del Fezzan lamentano l’incuria della regione seguita dai governi e invocano l’autonomia.
Nonostante il sostegno della NATO e dell’Unione Europea il governo centrale continua a non avere prospettive, non riesce
o non vuole a mettere sotto il proprio controllo, tanto meno a sciogliere, le milizie. Le milizie islamiche, sin dal
2011 si erano fra l’altro appropriate delle armi fornite da NATO ecc., dai missili antiaerei fino ai carri armati. La
loro roccaforte si trovava e si trova nella città portuale di Misurata, composta di circa 200mila abitanti dei quali
40mila armati e addestrati.
Dopo la guerra il ministero dell’interno ha iniziato ad integrare intere milizie negli apparati di sicurezza dello
stato. Si calcola che almeno 130mila uomini siano in questo modo entrati a far parte della polizia ecc. che agiscono, in
primo luogo, su ordine dei Fratelli Musulmani (che nel frattempo hanno formato il “Partito della Giustizia e della
Ricostruzione”) e/o dei capi tribù. Sono con ogni probabilità le componenti islamiche salafite, di Al Qaida, che nel
settembre 2012 hanno fatto saltare l’edificio di Tripoli che ospitava l’ambasciata USA, in cui è rimasto ucciso anche
l’ambasciatore Christopher Stevens. Azione che ha ovviamente contribuito a surriscaldare i rapporti fra il nuovo governo
libico e gli stati occidentali comprese le potentissime multinazionali del petrolio e del gas.
Chi protesta, chi reclama lo scioglimento delle milizie unito al loro allontanamento dagli apparati statali viene
ucciso, come è accaduto alla manifestazione del 31 luglio scorso in cui sono stati uccisi 31 manifestanti, oltre 100
feriti; qualche giorno prima è stato colpito a morte anche l’attivista dei diritti umani Abdulsalam Musmari
Le elezioni del parlamento svoltesi il 12 luglio non hanno mutato la situazione descritta, ma, anzi consolidata. Su 200
seggi appena 80 sono andati ai partiti, gli altri, la maggioranza che ha formato il governo oggi in carica, è
espressione dei Fratelli Musulmani, delle tribù…
La situazione politica interna e internazionale descritta viene ulteriormente tesa dalla paralisi dell’estrazione
giornaliera media del petrolio che è crollata dai 1,4 milioni di barili realizzata prima del 2011 ad appena 150mila
barili al giorno. Il crollo dell’esportazione si è acuito a causa dei blocchi di alcuni terminal del petrolio realizzati
in Cirenaica ai quali alla fine di agosto (2013) si sono aggiunti manifestazioni di protesta di lavoratori in tutto il
paese, le cui rischieste, oltre agli aumenti salariali, sono state: decentralizzazione delle entrate, fine della
gigantesca corruzione, autonomia delle regioni…

(*) Letteralmente significa governo delle masse. La Jamāhīriyya Araba Libica Popolare Socialista” fu fondata nel 1977
dal governo, dalle assemblee popolari sorte in seguito alla cacciata nel settembre 1969 del re e della monarchia
compiuta da un gruppo di militari fra i quali spiccava Muammar El Gheddafi. Seguì la nazionalizzazione delle “proprietà”
dei coloni italiani, la chiusura delle basi militari USA e inglesi…

26 settembre 2013, da jungewelt.de


AGGIORNAMENTI DALLA LOTTA DENTRO E CONTRO I CIE
Lampedusa, Contrada Imbriacola
1 ottobre. Si è svolta "un'accesa e violenta protesta" all'interno del centro di “accoglienza” contro le condizioni di
vita ritenute impossibili. Gli stranieri imprigionati nel centro avrebbero buttato i materassi all'esterno della
struttura, sotto la pioggia, e provato a bloccare la partenza di alcuni pullman. Nei giorni scorsi il centro ospitava
oltre mille migranti, a fronte di una capienza di circa 270 posti.
Il 3 ottobre Un barcone con centinaia di profughi si è incendiato e rovesciato. Al momento 155 persone sono state tratte
in salvo, e sono stati recuperati i corpi di 130 annegati. Sono in corso le ricerche di almeno altri 150 corpi. Il fuoco
è scoppiato dopo che i migranti a bordo hanno incendiato una coperta per farsi notare, arrivati in prossimità della
terraferma (Isola dei Conigli). Il ponte era sporco di benzina, le fiamme si sono estese al resto dell'imbarcazione,
creando il panico.
I profughi provenivano dall'Africa subsahariana, soprattutto Eritrea e Somalia. Non sono trapelate informazioni su
qual'è stato il loro porto d'imbarco. La tragedia ha generato un vivace dibattito politico.
13 ottobre. Il conto delle vittime della strage di Lampedusa sembra essersi fermato a quota 359, sulla base dei corpi
effettivamente recuperati nei pressi del barcone affondato di fronte all'isola dei Conigli. Le bare verranno smistate
tra alcuni comuni della provincia di Agrigento. Altri 300 profughi invece sono stati soccorsi dalle autorità italiane e
da quelle di Malta, per poi essere smistati e imprigionati in altri Cie.
Le leggi hanno reso possibile questa strage. I fatti di Lampedusa si sono trasformati in un grande baraccone mediatico
per suscitare commozione, che si tramuta in oscena esibizione di pietà falsa di fronte a questa strage di Stato, di
morti ammazzati dal governo e da tutti quelli che lo hanno permesso e da tutti coloro che non si sono opposti.
I morti provengono da due barconi di Somali ed Eritrei, paesi cronicamente in guerra. Intanto Napolitano invita ad una
revisione delle leggi sull’immigrazione, della stessa legge di cui lui stesso è firmatario, è un teatro dell’assurdo
recitato sulla pelle della gente. Una tragedia utilizzata come strumento di propaganda politica ed utilizzata dalle
autorità per aumentare l’importanza di Frontex, l’agenzia polacca preposta a “difendere” la fortezza europa, che non ha
nessun carattere umanitario o di risposta alle richieste derivanti dal diritto all’asilo: infatti il governo italiano ha
già varato “Mare Nostrum”, un modo anche nei termini linguistici autoritari di passare dalle espulsioni ai
respingimenti, la maniera meno esposta possibile nella sua efferata ferocia, ammantandola di finta pietà e di false
promesse di protezione, di cordoglio ipocrita, in realtà rendendo ancora più esiziale l’allontanamento dalle coste
siciliane dei migranti in arrivo da Egitto (dove con il cambio di regime i siriani vengono vessati ed espulsi) e Libia,
dove la situazione è ancora più pericolosa.
La Sicilia in questi anni ha subito già una forte militarizzazione del territorio e con questi nuovi provvedimenti
questa situazione non potrà che peggiorare: droni a Trapani (che il bellicoso ministro Mauro ha dichiarato che verranno
utilizzati nell’operazione “Mare Nostrum”), sottomarini militari ad Augusta... per non parlare delle infinità di basi e
di nocività annesse come il Muos a Niscemi. Pensare che basterebbe aprire corridoi umanitari che consentano a queste
persone in fuga di recarsi dove intendono ricostruirsi una vita, consentendo l’ovvia libertà della mobilità delle
persone che hanno una loro dignità nei loro spostamenti, esattamente come chiunque si sposta per raggiungere il proprio
posto di lavoro, che sia in patria o altrove. Invece il sistema deve rimanere così perché a qualcuno conviene.

Milano, Cie di via Corelli
26 settembre. Nel pomeriggio tutti i reclusi, ormai rimasti in 27 a causa dell’agibilità di una sola sezione, si
rivoltano incendiando indumenti e materassi. Due tunisini sono stati arrestati, incastrati dalle telecamere. Due giorni
dopo altri due reclusi vengono arrestati dopo un altro incendio che ha distrutto le ultime stanze rimaste agibili.
Per informazione: i rappresentanti di Sel, Arci, Antigone, Naga e Camera penale hanno visitato il Cie e hanno chiesto la
chiusura del “centro”, in quanto “inumano”.

Torino, Cie di C.so Brunelleschi
2 ottobre. Continua la resistenza dei reclusi nel Cie. Nella giornata di ieri erano in programma alcune espulsioni ma
non tutto è filato liscio come al solito. Un recluso di origine cinese ha fatto così tanto casino sull’aereo da
riuscire a non farsi deportare, e la polizia è stata costretta a riportarlo al Centro. Deportazione riuscita con non
pochi problemi per un altro recluso di origine siriana, cui la polizia ha dovuto legare mani e piedi per fermare le
proteste.
5 ottobre, presidio davanti al Cie: “Una ad una, pezzo dopo pezzo, le prigioni italiane per stranieri senza documenti
stanno chiudendo. Su tredici Centri, sei sono chiusi. E quasi tutti quelli rimasti aperti sono più o meno seriamente
danneggiati dalle rivolte dei reclusi, e funzionano a capienza ridotta. La macchina delle espulsioni è al collasso:
nessun progetto di annientamento concepito dallo Stato ha incontrato, nella storia recente, una resistenza tanto dura
quanto efficace. Una resistenza pagata a caro prezzo dai rivoltosi, con arresti e pestaggi. Il governo e i padroni
vorrebbero schiavi mansueti usa-e-getta, ma fino a quando ci saranno frontiere e prigioni, non mancheranno uomini e
donne pronti a bruciarle”.
6 ottobre. Il Movimento Migranti Rifugiati ha organizzato una manifestazione sotto la sede Rai, per denunciare
l'indifferenza della politica italiana ed europea sui temi dell'immigrazione e dell'asilo, che sarebbe la causa della
tragedia di Lampedusa.

Cie di Gradisca di Isonzo (Go)
Il 2 ottobre la situazione rimane calda. Un recluso S. di origine marocchina, durante un tentativo di evasione, ferisce
due agenti mandandoli al Pronto Soccorso, con l’accusa di resistenza e lesioni viene arrestato. I racconti degli altri
reclusi parlano chiaramente di ritorsione: S. in tutti questi mesi di proteste è stato tra i più caldi, e la polizia
avrebbe deciso di arrestare proprio lui, sperando di sbarazzarsi di un ribelle e di spaventare gli altri reclusi.

Cie di Trapani Milo
23 settembre. Il Ministero dell'Interno ha stanziato 660 mila euro per lavori di messa in “sicurezza” del centro. Entro
una decina di giorni sarà assegnato il nuovo appalto per la gestione della struttura. I fondi ministeriali serviranno
per spostare all'esterno le centraline elettriche, e per installare recinzioni più alte. Nel corso delle rivolte i
pannelli delle centraline sono stati divelti ed utilizzati come arma.
In un anno, dice il Prefetto, dal centro sono evasi oltre 700 stranieri.

Cie di Pian del Lago (Cl)
Nella notte dell’8 ottobre circa 50 reclusi si sono arrampicati sulla rete di recinzione nel tentativo di scavalcarla e
fuggire. Bloccati tempestivamente dalle forze del disordine, soltanto in sei son riusciti a dileguarsi, facendo perdere
le loro tracce. Un egiziano di 18 anni mentre tentava di superare la rete di recinzione e scivolato sbattendo la testa
per terra: è stato immediatamente trasportato presso l’ospedale S. Elia, dove si trova attualmente ricoverato.

Umbria, 6 otobre. Otto stranieri irregolari sono stati trasferiti con un volo diretto, a spese del Ministero
dell'Interno, dall'Umbria al Cie di Trapani. Un pullman della polizia è stato utilizzato per accompagnarli
all’aeroporto, è la prima volta che viene autorizzato un servizio del genere nella regione, dove non ci sono centri di
espulsione. Alcuni sindacati di polizia nei giorni scorsi hanno chiesto l'apertura di un Cie in regione, e procedure più
efficienti per le espulsioni.

Cara di Bari
A metà di ottobre si è svolta un’udienza del processo contro 31 imputati per la rivolta avvenuta al Centro di
Accoglienza per Richiedenti Asilo di Bari.
La rivolta avvenne ad agosto 2011. Una dirigente di polizia ha raccontato che “fu un inferno, le nostre macchine
completamente distrutte, decine di feriti, lanci di massi e spranghe di ferro”. La prossima udienza sarebbe fissata per
il 7 marzo. In origine gli imputati erano 45, ma 14 di loro hanno scelto il rito abbreviato, e sono già stati condannati
a febbraio scorso a pene tra i due e gli oltre tre anni. Per 9 di loro è stata disposta l’espulsione dal territorio
nazionale. Al momento della sentenza gli stranieri erano già stati scarcerati da tempo, ma avevano l’obbligo di dimora
nel Cara di Foggia.
Il motivo della protesta era la presunta lentezza delle pratiche di identificazione per il riconoscimento dello status
dei rifugiati. Un centinaio di agenti risultarono feriti durante gli scontri.

Stragi di stato
17 settembre, Spagna. Naufragio nelle acque di Ceuta, si cercano 12 dispersi in mare; ritrovata a poche miglia da Punta
Almina, a Ceuta, una piccola barca capovolta in mare insieme al corpo senza vita di uno dei suoi passeggeri.
19 settembre, Egitto. La guardia costiera egiziana apre il fuoco su un’imbarcazione carica di siriani diretti in Italia
sulla rotta del contrabbando. Due morti a bordo.
30 settembre. Sbarco nel catanese, costretti a tuffarsi in mare dagli scafisti, annegano 13 persone. Sette scafisti
arrestati con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, rilasciati dopo una settimana.
3 ottobre, Lampedusa. Affonda imbarcazione dopo un incendio a bordo, davanti all'isola dei conigli. Recuperati 143
cadaveri, tra cui 4 bambini e 49 donne. Secondo il racconto dei 155 superstiti, sul peschereccio viaggiavano 518
passeggeri. Restano disperse in mare altre 220 persone. Il bilancio della strage è di 363 morti.
8 ottobre. Sale a 289 il numero dei corpi senza vita ripescati dalle acque di Lampedusa dopo il naufragio del 3 ottobre.
Ancora dispersi in mare 74 dei naufraghi.
11 ottobre. Naufragio nel Canale di Sicilia, a 70 miglia da Lampedusa. Un'imbarcazione si rovescia in mare durante i
soccorsi. Recuperati i corpi di 34 vittime, compresi una decina di bambini. Secondo il racconto dei 206 superstiti, i
dispersi in mare sarebbero 160.
Sale a 339 il numero dei corpi senza vita ripescati dalle acque di Lampedusa dopo il naufragio del 3 ottobre. Ancora
dispersi in mare 24 dei naufraghi.
Egitto. Fa naufragio al largo di Alessandria, un'imbarcazione diretta in Sicilia. Recuperati i corpi di 12 vittime,
ancora dispersi 22 dei passeggeri.

Milano, ottobre 2013


LETTERA DAL CARCERE DI ROSSANO (cs)
Pace a tutti, sono Jarmoune Mohamed, vi ho letto per la prima volta e ho così deciso di scrivervi e aggiornarvi per
quanto riguarda la nostra condizione nell’AS2 di Rossano.
In tutta Italia c’erano tre reparti AS2 per gli islamici, uno in Sardegna, uno a Rossano e uno a Benevento.
Il migliore di questi tre era quello di Benevento che dopo proteste pesanti si è adeguato, migliorando le nostre
condizioni e fornendo ciò che la legge prevede per “rieducare”, ossia corsi, scuola, palestra, campo, sala PC, giardino,
sala preghiera. Ma tutti questi benessere davano fastidio alle guardie che cercavano di cambiare la direttrice e alla
fine a forza di segnalare al ministero, a luglio chiusero il reparto dividendoci in due gruppi, uno a Macomer e uno a
Rossano.
Qui a Rossano ci hanno buttati in un reparto d’isolamento, pensato, progettato e costruito per punire con il 14bis.
Siamo in dieci qui e non ci è concesso nulla se non la palestra, il passeggio è una tomba in cui non puoi fare niente,
non ci è permessa la radio a banda larga per sentire le notizie del nostro paese. Appena arrivati, il 17 luglio,
ispettore e comandante per tenerci calmi ci avevano fatto mille promesse e alla fine hanno cambiato ispettore e il
comandante non viene più, mandando tutto in archivio con la scusa “non ci sono fondi”, “siete Alta Sicurezza” e dopo
soli due mesi ci hanno rapportati. Era il 5 settembre, un fratello dopo 11 giorni di malattia, curato con aspirina e
antidolorifico, agonizzante e in fin di vita, chiedeva di essere portato in ospedale, e fare gli esami per sapere cosa
avesse. La loro scusa era che il personale medico era in ferie. Dunque tutti e dieci noi facemmo una battitura per pochi
minuti, per dimostrare la nostra vicinanza e solidarietà al fratello malato e fargli ricevere le cure necessarie, lo
portano infine in infermeria. Il giorno dopo scopriamo che hanno dato rapporto a cinque di noi e a cinque niente nella
speranza di dividerci e creare tensioni tra di noi. Ma il loro sporco gioco lo conosciamo bene, e il rapporto non era
per la battitura ma per aver insultato gli agenti, cosa che non era successa. A quattro di noi hanno sospeso per sette
giorni la palestra e tolto due chiamate e in più al malato 15 giorni di isolamento!!
L’aria che si respira è molto pesante, vedremo come finirà e infine la storia ci insegna che tutte le conquiste e i
cambiamenti non sono avvenuti dormendo o lasciando il caso al tempo, ma agendo. I Neri d’America ottennero diritti e
uguaglianza boicottando gli autobus, e a quel tempo non avrebbero mai immaginato che uno di loro sarebbe diventato
presidente. Una piccola azione fatta da tanti porta grandi cose. Alla prossima.
Mohammed

Rossano, 7 ottobre 2013
Jarmoune Mohamed, via Contrada Ciminata Greco, 1 - 87067 Rossano Scalo (Cosenza)


LETTERA DAL CARCERE DI SPOLETO
Carissimi/e compagni/e, come sempre vi stringo tutti/e al mio cuore sperando che stiate tutte/i bene.
Vi scrivo per comunicarvi le ultime novità inerenti al processo che avevo oggi a Udine, ma prima di tutto devo dirvi che
tutto il carcere di Spoleto ha aderito allo sciopero nazionale dal 10 al 30 settembre e nonostante il trasferimento che
ho subito da Terni dove avevo iniziato la raccolta delle firme, arrivato qui insieme a cari amici e compagni siamo
riusciti in cinque giorni a raccogliere 480 adesioni con sciopero del vitto e battitura, questo dimostra che la lotta
non si può arrestare e l’unione ci rende forti e invulnerabili, anche se devo essere sincero che da parte della
direzione non abbiamo avuto ostacoli, anzi, è stato come se avessero condiviso la nostra ricerca per migliorare il
sistema disumano che come un “carcinoma” rende invivibili questi luoghi di sofferenza, per cui vanno elogiati chi non
ostacola la ricerca di umanizzare e di non calpestare la nostra dignità (dai a Cesare quel che è di Cesare)...
Sabato 5 sono partito per Udine, arrivato in quel carcere mi hanno messo in isolamento, anche al passeggio andavo solo
nonostante non avessi nessuna sanzione disciplinare, non facevano avvicinare i lavoranti, ho protestato per questo
trattamento discriminatorio e mi hanno detto che avevano ricevuto ordini…
Domenica 6 verso le 17:30 ho sentito che fuori da quel tugurio i miei compagni/e erano venuti sotto le mura a portare la
loro solidarietà a me e a tutti i prigionieri, così abbiamo iniziato ad urlare e battere alle sbarre, sentendo scandire
il mio nome il mio cuore era in strada al fianco delle mie sorelle e fratelli a lottare per tutti/e i prigionieri/e.
Le emozioni in ogni presidio sono sempre una gioia che non si può descrivere, soprattutto tutti/e i detenuti/e che
escono devono unirsi in queste lotte, dobbiamo essere uniti sia dentro che fuori, perché la solidarietà è un’arma che
non potranno mai sconfiggere.
Stamattina, giorno 7 alle ore 8:30, parto verso il tribunale, vengo scortato da molti agenti, tra cui mi trovo anche il
commissario, tutti in camicia bianca, sembrava di andare ad un matrimonio invece di un processo… il problema erano
tantissimi/e mie/i compagni/e che manifestavano la loro solidarietà a me e tutti/e i detenuti/e in lotta… così ho
scoperto di non andare ad un matrimonio… (che tristezza)…
Finita l’udienza dove c’è stato un rinvio, ho avuto solo il tempo di dire ai miei compagni/e che gli volevo bene, che
erano tutte/i nel mio cuore, e urlare W l’anarchia… Arrivo dopo circa cinque minuti in carcere, ero in attesa di
scendere dal furgone, quando mi vedo arrivare le mie borse con gli indumenti!!!
Mi hanno rispedito al mittente senza neanche poter prendere un cappuccino e brioche… questo dimostra che la solidarietà
per loro è un incubo che appare come un fantasma e che le sbarre non potranno mai rinchiudere e mettere a tacere…
Sono quasi 20 anni che mi tengono lontano dai miei affetti famigliari, in una settimana mi hanno fissato tre processi di
denunce, con la repressione pensano di riuscire ad annichilirmi, ma ogni loro pensiero è destinato ad abortire, non ci
sono riusciti con quattro 14 bis, con anni di isolamento e decine e decine di trasferimenti, quello che non ci uccide ci
rafforza, soprattutto quando mi mandano trovo subito compagni e amici, con fratelli pronti a raccogliere firme a lottare
per i diritti di tutti/e.
Quello che ognuno deve chiedere sono i propri diritti, non farsi calpestare la dignità, ed ottenere un trasferimento
vicino ai nostri cari (perché nelle nostre condanne non c’è scritto che dobbiamo essere privati dell’affetto e
dell’amore di chi ci vuole bene) e finché avrò respiro niente e nessuno mi farà indietreggiare di un solo passo, senza
paure e senza remore. Un abbraccio con amore a tutte/i i miei compagni/e che erano a Udine e anche a tutti/e quelli/e
che oggi non sono potuti/e venire, perché per tutti/e oggi in aula ho urlato W l’anarchia. Un abbraccio forte e ribelle
da un spirito libero (l’incubo dei benpensanti), Maurizio.

P.S. La Giustizia ha parlato di un atto dovuto l’avviso di garanzia ai poveri sopravvissuti di Lampedusa, quando invece
sono profughi che fuggono dalla guerra e dalla miseria… questa è l’ipocrisia di chi vorrebbe imporre le sue leggi a
discapito di molti, e per questo mi vergogno di essere italiano e il mio pensiero va a tutti/e quelle povere vittime, di
donne, uomini e soprattutto bambini piccoli angeli, che nelle nostre lotte contro il razzismo e fascismo ricorderemo
sempre.

Maurizio Alfieri, Via Maiano, 10 - 06049 Spoleto (Perugia)

***
480 prigionieri, delle sezioni 1A, 2A, 3A, 2B, 3B dell’Alta Soveglianza, 1 e 2A, 1 e 2B della Media Sicurezza e del
reparto infermeria hanno sottoscritto il comunicato sulla protesta dei detenuti dal 10 al 30 settembre. Già il 10
settembre una battitura assordante è risuonata nella parte del giudiziario.
***
Lunedì 7 ottobre si è tenuta a Udine l’udienza filtro del processo che vede imputati Maurizio Alfieri e Valerio Crivello
per minacce e lesioni ai danni di un altro detenuto (che si auto-definisce “collaboratore di giustizia e
dell’amministrazione penitenziaria”) quando erano entrambi ancora detenuti nel carcere punitivo di Tolmezzo.
Il giorno prima un presidio di saluto si è tenuto sotto il carcere di Udine, consolidando la presenza di compagni e
familiari sotto le mura di questa struttura, all’interno della quale i pestaggi e i trasferimenti punitivi sono prassi.
Un modo per ribadire, ancora una volta, che solo la lotta paga e per trasformare ogni attacco repressivo in un’occasione
di rivalsa.
Lunedì mattina, mentre alcuni compagni sono rimasti in presidio fuori dal tribunale, altri, dopo un breve contrattempo
causato dai soliti digossini troppo zelanti, sono entrati in aula per salutare Maurizio. L’udienza si è risolta in dieci
minuti con un rinvio all’8 febbraio a Trieste, appuntamento al quale non mancheremo.
Pochi minuti per scambiare due parole con Maurizio, ma abbastanza per saldare ancor di più un legame già profondo.
L’entusiasmo di Maurizio ha pervaso l’aula del tribunale, facendoci istintivamente ribaltare il grigio protocollo
giudiziario: entra la corte, quattro avvocati in piedi nel deserto dell’aula, non fosse che per la dozzina di compagni
seduti e sorridenti che all’arrivo di Maurizio si sollevano dalle sedie e non si risiedono più. Il chiacchericcio
leguleio è stato un molesto sottofondo a questo incontro.
Uscendo dall’aula Maurizio ha salutato con un “viva l’anarchia!”, detto questo il resto è superfluo... ci rivedremo l’8
febbraio!


LETTERE DAL CARCERE DI PALERMO
Non potendo realizzare altre iniziative più efficaci, in quanto sottoposto al totale isolamento del regime del 14bis, in
una sezione d’isolamento dell’AS1, in merito alla mia “intenzione di evadere” e “promotore e organizzatore di forme di
protesta”, come cita il capo assasino del DAP.
Comunico la mia partecipazione allo sciopero della fame, dal giorno 23 settembre 2013 (totale 8 giorni) all’interno
della mobilitazione generale portata avanti dal “coordinamento dei detenuti”, che vedrà nel mese in corso (settembre)
tutti quei contributi che si riuscirà a realizzare sia fuori che dentro. Un continuo stimolo per far crescere in ognuno
di noi la consapevolezza di quanto sia importante anche il sabotaggio de “l’ordine democratico” in cui agiscono le
strutture carcerarie, comprese le ramificazioni nelle quali sono inserite, per meglio avanzare nella lotta
anticarceraria.
Per noi che siamo in carcere, la partecipazione a tale lotta, che potrebbe essere composta da vari scioperi, coi
relativi comunicati, firme, ecc. é giustamente da considerarsi come un primo approccio che ci possa permettere di
effetuare uno scambio reciproco delle proprie tensioni, sentendo quell’unità che solo nell’agire possiamo ottenere,
impegnandoci e responsabilizzandoci in prima persona, senza delegare a chi è più capace nello scrivere (per i comunicati
collettivi) anche il compito della ricerca del confronto costante! Nel carcere dove stavo prima (Buoncammino) dopo vari
scioperi, quando si è verificato quel sussulto di rivolta, se ci fossero stati questi elementi (confronto,
responsabilità e impegno cospirativo) tutti e tre i piani del braccio sarebbero stati bruciati! Le improvvisazioni di
pochi non sempre vengono seguite come si vorrebbe. Ecco perchè costruire un canale comunicativo fluido tra dentro-dentro
con l’esterno è una questione di primaria importanza.
Per tutti quanti noi detenuti/prigionieri che sono coscienti di quanto poco possa influire una mobilitazione a base di
scioperi pacifici, adoperarsi affinchè questo primo approccio, possa essere superato, dipende solo da noi!
La maniera più efficace per affrontare il problema carcerizzato del carcere, dovrebbe sempre essere la rivolta, ma
questo aspetto non è di di certo una novità. Solamente diverrebbe (penso) un’input per la solidarietà rivoluzionaria
all’esterno.
Anche se il mio piccolo contributo è un semplice sciopero della fame, vorrei sostenere questa mobilitazione come se
fosse l’inizio di uno scontro contro tutta la marmaglia politica e le istituzioni dello Stato, contro quel mandato di
cattura che è la costituzione (dato che si cita l’art.27) e della società che ha deciso di omologarsi ai voleri del
dominio. Sono loro la causa dei regimi di tortura, della differenziazione, del fine pena mai, delle violenze e uccisioni
da parte dell’apparato carcerario. Loro sono i “mandanti” come pure gli organizzatori, e quindi è più che giusto che il
nostro compito sia di far uscire la nostra voce dalle mostruosità carcerarie, si debba evolvere in un grido di rivolta!
Cerchiamo di sviluppare e rafforzare il “coordinamento dei detenuti” stabilendolo nel tempo, individuiamo uno strumento
comunicativo con il quale confrontarci e buona lotta a tutti/e!
Un caloroso e libero abbraccio a compagne/i impegnati in questa mobilitazione.
Un grintoso e libero abbraccio a tutti quei detenuti che hanno deciso di alzare la testa, con la gioia di tenere in mano
un’accendino.
Per la distruzione dei codici che fanno funzionare il sistema! Po sa libertadi!

Palermo, 23 settembre 2013 (sez. isolamento AS1)
Davide Delogu CC Pagliarelli Via Bachelet 32 - 90129 Palermo

***
Saluti, ho ricevuto il bustone con i 2 due bolli e i cinque libri che non mi hanno consegnato, li ho visti solo di
sfuggita. Dovrei fare richiesta per leggerne uno alla volta, consegnando quello già letto, quindi sono in attesa. Non
vedo l’ora di averli, anche perché sono continuamente a secco, dato che quando ne arriva qualcuno lo divoro
immediatamente!! Grazie a tutte/i!
Ieri vi ho mandato una cartolina con la quale vi avvisavo del sequestro avvenuto del mio comunicato sullo sciopero della
fame che ho intrapreso dal 23 al 30 settembre, in merito alla mobilitazione, che avevo cercato di spedire ad “ampi
orizzonti”. Dalla posta censurata non si scappa.
Ora mi sto riprendendo le forze imponendomi di fare ginnastica, il resto va da sé. L’aria che sembra un loculo è di due
ore giornaliere, come hai ben capito, le motivazioni per cui avevamo protestato collettivamente riguardavano l’A-B-C-D-
E-F-G della giornata in quell’isolamento. Proprio in sette punti avevamo spiegato le motivazioni di quel rifiuto a
rientrare nelle celle. La cosa bella è stata l’unione tra di noi anche nel momento delle intimidazioni. Alla fine
abbiamo accettato che una delegazione andasse dal comandante (dato che a lui era indirizzato il documento) per esporre
il contrasto creato.
Ho fatto in tempo a sentire i lavori che stavano facendo nei loculi (era uno dei punti esposti), dopodiché sono stato
spostato.
Immagino le battute della repressione nei boschi della valle, come quelle contro il “banditismo” nella Sardegna centrale
ai suoi tempi. Solo che quando le forze colonialiste andavano a “caccia grossa”, a parte i conflitti a fuoco che si
verificavano, c’era anche da mettere in conto delle trappole messe nei monti contro i rastrellamenti. Bisognerebbe farci
un pensierino in merito… Il fatto fondamentale era che si viveva nei monti sempre e ciò ha prodotto una forte resistenza
contro il nemico e ha dato la forma di attacco che i banditi culturalmente hanno sempre espresso: bardane, assalti ai
carichi di denaro, vendette, sequestri, ecc. e che ripercorreva nel sardo tutte le manifestazioni anticolonialiste
dell’epoca, ricordando che si sono imbracciate le armi per questo, la ribellione “spontanea” nonché il furor di popolo!
La paura del potere è l’unione di tutte queste pratiche, tanto da diramare una repressione inaudita come sta avvenendo
in valle, che resiste in maniera combattiva. [...]
Nel punto in cui [il provvedimento del DAP sul 14bis] decreta che posso fare la socialità è una grandissima presa per il
culo dato che non è attuabile. Il DAP si diverte a creare problemi, anch’io. Vi abbraccio forte compagni!

Palermo, 3 ottobre 2013
Davide Delogu, CC Pagliarelli Via Bachelet, 32 - 90129 Palermo


Sugli arresti dopo la marcia No Tav degli ultracinquantenni
Vogliamo ripercorre gli avvenimenti riguardanti la marcia degli ultracinquantenni in Clarea, avvenuta il 10 Agosto, per
la quale siamo imputati per presunte minacce e violenze (i pm addirittura contestavano la tentata rapina) ad una
giornalista.
Quella giornata, che tutti ricordiamo bene, ha visto una partecipazione ampia e una manifestazione davvero riuscita,
senza incidenti di sorta ma con un piglio deciso. L’idea risultò azzeccata: portare i meno giovani, colonna portante del
movimento no tav, al cantiere per una battitura delle reti a suon di martellate. Ci fu davvero una grande partecipazione
e la battitura andò avanti per circa due ore, interrompendosi solo per dare voce agli interventi al megafono. Si
riscattavano in qualche modo gli arresti di fine luglio e qualche manganellata di troppo, per non parlare delle molestie
all’interno del cantiere ai danni di una ragazza fermata. Inoltre ancora una volta sfidavamo platealmente il dispositivo
prefettizio della “zona rossa”. Il movimento no tav riaffermò che non riconosce zone rosse, e che le reti del cantiere,
con tutto quello che c’è dentro, legali o illegali restano illegittime. Fu dimostrato ancora una volta che a combattere
il cantiere non ci sono solo “i giovani venuti da fuori” e che il movimento non si divide in buoni e cattivi.
Insomma una vittoria totale su tutti i fronti, che smentiva tutte le costruzioni giornalistiche e repressive sul
movimento.
Durante quella giornata il quotidiano La Repubblica manda allo sbaraglio una giovane giornalista, che si infiltra nel
corteo come manifestante per fare foto durante i danneggiamenti. Quelle foto e quei filmati, però, non le pubblicherà
mai sul giornale per portarle direttamente in procura. Evidentemente l’inviata è “servitor di due padroni”.
Comunque è maldestra e si fa notare, sia perché filma i singoli manifestanti sia perché saluta gli agenti della digos
all’interno del cantiere. Beccata con le mani nella marmellata la malcapitata nega, dichiara di non essere una
giornalista ma una manifestante, si trincera dietro sorrisi imbarazzati. Inoltre non sa riconoscere nessuno del
movimento e anzi, in un tentativo ridicolo di dimostrarsi una no tav scambia Guido Fissore con Alberto Perino.
Nonostante ciò nessuno la offende verbalmente o altrimenti, senz’altro fare che tenerla d’occhio. Di più, nel tragitto
di ritorno del corteo sono diverse le persone che si avvicinano e le parlano, persuasi che la ragazza possa in fin dei
conti essere una manifestante. Lei non risponde e ascolta, osserva, manda messaggi e parla col telefonino.
Giunti a Giaglione finalmente ammette di essere una giornalista, mostra il tesserino e ritorna a prendere la propria
macchina, senza che più nessuno si curi di lei dal momento in cui si allontana.
Quanto vi abbiamo raccontato succedeva nel bel mezzo del corteo, con decine di persone che intervenivano, le parlavano o
ascoltavano, tutte testimoni che non è successo nulla più che chiederle chi fosse e smentire le sue bugie. Ma di tutto
questo lei ricorda solo tre persone, che a suo dire l’avrebbero circondata, chiedendole di consegnare il telefono e
riaccompagnandola alla macchina scortandola fisicamente e qualcuno brandendo addirittura un bastone (molti dei
partecipanti alla marcia avevano un bastone per affrontare la camminata). Per questo, siamo stati arrestati con
richiesta di custodia cautelare in carcere, sostituita con i domiciliari in virtù della legge Severino, e permaniamo con
gravi restrizioni della libertà.
In tutto ciò rileviamo ancora una volta che il teorema Caselli di “non colpire il movimento ma singoli reati” è smentito
nei fatti. A parte l’insussistenza dei reati, perché non si capisce in cosa codesta aspirante giornalista sia stata
offesa, è evidente agli stessi pm che le misure cautelari sono spropositate ma ci vengono appioppate comunque, ben al di
là delle condotte individuali, proprio in virtù “del contesto della lotta no tav” come ha chiosato senza alcuna
esitazione il pm Rinaudo.
La nostra è certo una piccola vicenda ma vale forse la pena di provare a coglierne il senso complessivo.
Nel ragionamento di Rinaudo di fronte al Riesame sta il senso profondo dei nostri arresti e della gran parte delle
inchieste che colpiscono il movimento. Per Rinaudo i No Tav sarebbero dei “paranoici” che vedono ormai all’esterno solo
nemici. Sarebbero “usurpatori” delle prerogative di controllo del territorio che spettano allo Stato, perché si
premurano di controllare chi devasta il territorio, chi si adopera perché questo disastro che si chiama TAV vada avanti.
Infine i No Tav sarebbero responsabili di una “pressione ambientale ben nota in altri contesti criminosi”. Cioè
scimmiotterebbero un controllo mafioso del territorio e in questo senso i fatti vengono riletti dalla procura. Per
questo agli inquisiti va vietato ogni contatto con gli altri no tav, applicando il massimo delle restrizioni. Nella
teatrale arringa di Rinaudo non abbiamo sentito un solo riferimento alle nostre condotte. Semplicemente ha citato un
paio di episodi di attrito con le forze dell’ordine o con altri giornalisti per inventare un contesto in cui i No Tav
spadroneggiano indisturbati prefigurando un controllo del territorio criminale e criminogeno… Noi? Il mondo alla
rovescia, insomma.
C’è solo ideologia dietro a queste sparate oppure qualche fondamento lo ritroviamo? Qualcosa ci suona in questo
piagnisteo sullo Stato vuotato delle proprie prerogative. Uno Stato, ridotto a debole governance di processi che non
controlla, scevro della minima parvenza di legittimità democratica, ostaggio di un accumulo di capitale finanziario che
lo sovrasta e lo controlla, accusa noi di volerne usurpare le prerogative? Sicuramente siamo colpevoli di volerci
provare. Provare a riprendere il controllo delle nostre vite, del nostro futuro, dei nostri territori.
Crediamo in definitiva che questa vicenda sia stata montata ad arte per essere catapultata in prima pagina, per evocare
presunte intimidazioni giornalistiche che rimandano a scenari passati. Ma all’orizzonte noi non vediamo nessun caso
Pecorelli. Si tratta, piuttosto, di un altro “caso pecorella”.
Non è un segreto che siano i tormentoni giornalistici a creare la predisposizione nell’opinione pubblica per le manovre
repressive. Il battage mediatico c’è stato, e la copertura politica “di larghe intese” pure. Gli organi competenti sono
quindi abbondantemente coperti per il loro operato.
Si sa che gli apparati repressivi in Italia si muovono su precise indicazioni politiche: ricordiamo per esempio cosa ha
portato l’impunità garantita dalle alte cariche dello Stato a Genova nel 2001 e sotto questa luce rileggiamo
l’intervento di Napolitano di questi giorni che suona come un sinistro imprimatur repressivo. Il tentativo, ampiamente
preannunciato e già altre volte fallito, è ancora quello di spaccare il movimento tra “sinceri no tav” e “frange
estremiste” che approfittano della lotta per altri scopi. A questo scopo servono caricature umane da sbattere sui
giornali come tocca ormai a chiunque si spenda per questa lotta. Un crescendo isterico che non risparmia neppure chi
semplicemente si esprima in favore del movimento, trasformando Erri De Luca in un “cattivo maestro” o Stefano Rodotà in
un filobrigatista.
Non ci soffermiamo su quanto poco si sia parlato dei casi Lorenzetti o Azzolini, che da soli dovrebbero bastare a
spazzare via un’intera classe politica. Facciamo solo presente che Pd e Pdl non sono nemmeno più in competizione
(governano insieme), a dimostrare de facto che il concetto di governo è oggi assimilabile allo svolgimento di un
compitino dettato dalla troika. Al servizio dei grandi capitali ovviamente, condividendo lo spazio del mercato, senza
alcun imbarazzo, con imprese esplicitamente mafiose. Non lo diciamo noi, ma la cronaca.
Per chi si oppone si rispolverano vecchi codici o se ne congegnano di nuovi: dai reati associativi, alla “devastazione e
saccheggio”, dai reati d’opinione alle molte leggi emergenziali che sono da cinquant’anni il sale della nostra italica
democrazia. Ultimo arrivato, il divieto di fotografare o filmare le attività del cantiere pena l’accusa di “spionaggio”,
introdotto con il ddl sul “femminicidio”.
Aggiungiamo una nota sullo strumento del “divieto di comunicazione”, applicato come misura cautelare ma che in verità è
solo una pena afflittiva che mira a colpire non la condotta del supposto reo, ma la sua identità: colpisce i suoi
affetti quanto le sue relazioni con i compagni di lotta, impedendogli di prendere parte in qualunque modo alla vita
collettiva. Chi ha “tutte le restrizioni” deve scomparire e tacere, piegandosi al ricatto dell’isolamento in attesa di
abiurare le proprie idee.
Il divieto di comunicazione è stato sostenuto come misura necessaria dal pm, secondo il quale è proprio con la
comunicazione che il movimento no tav agisce, si coordina, prosegue nelle sue battaglie.
Un banale truismo, certo, che denuncia però, una volta di più, quanto sostenuto finora: il nostro movimento non è
pericoloso soltanto per ciò che fa ma soprattutto per ciò che è.

Gli imputati del 10 agosto
13 ottobre 2013, da notav.info



LETTERe DAL CARCERE DI TERNI
Miei cari amici, vi avevo comunicato che avrei aderito allo sciopero della fame del 16 settembre fino al 25 (settembre)
per sostenere la lotta del “Coordinamento dei detenuti”, per chiedere l’abolizione dell’ergastolo e del 41bis.
Ho intrapreso lo sciopero dal 16 fino al 21, dopodiché la mattina di quel giorno ho dovuto comunicare che lo avrei
sospeso e così ho fatto. L’ho smesso perché quella mattina sul tardi ho vomitato marrone; ciò non mi era mai successo e
mi sono preoccupato. Nei giorni dello sciopero mi nutrivo solo di the e zucchero e acqua. Ho aderito a questo sciopero
nonostante le mie condizioni di salute non me lo permettessero, ciò dovuto alla gravità delle mie patologie. Anche se ho
aderito per un paio di giorni, credo di essere stato presente. Qui termino con un mio saluto, Mauro.

22 settembre 2013
Mauro Rossetti Busa, via delle Campore, 32 - 05100 Terni
***
Inizio questa mia lettera con i saluti, mi dispiace che non avete più ricevuto mie notizie, però io ho scritto una
lettera circa un mese e 20 giorni fa. Non so perché non vi è arrivata. Forse sono le poste o forse “qualcuno” non
gradisce questa corrispondenza. Vorrei scrivere più cose nelle lettere, ma qua non si sa mai chi le può leggere. Non che
sono un vigliacco, ma manco voglio essere un martire. Pensate che qua le ritorsioni da parte delle guardie sono
all’ordine del giorno e il comandante è il più pesante di tutti.
Tempo fa si suicidò un ragazzo rumeno che aveva finito quasi tutta la pena; gli mancavano 6 mesi circa. Nessuno si è
chiesto: perché? Chi comanda forse lo sa. Non credo in Dio, ma credo che prima o poi questi “boia” pagheranno per tutto
quello che ci fanno.

Terni, ottobre 2013

La sparizione della posta in arrivo e in partenza in questo carcere è realtà quotidiana. Qui c’è una sezione del 41bis,
dove la circolazione della posta è censurata, cancellata da scelte-regole non-scritte, non-dette comunque sempre contro
i prigionieri di ogni sezione, di ogni “regime”, per spezzare le relazioni con l’esterno, il principale sostegno per
respingere la “rieducazione”, cioè, l’aggressione continua, meticolosa alla dignità-identità di chi finisce dentro. La
lotta contro l’isolamento-annientamento deve inevitabilmente affrontare questa aggressione.


LETTERA DAL CARCERE DI MONZA
Ciao compagni/e, ho ricevuto l’opuscolo n° 83 vi ringrazio molto, cercherò di farlo girare in sezione anche se a
leggerlo e a capire ciò che c’è scritto siamo in pochissimi.
Leggendo le varie lettere scritte dai vari carcerati la sostanza è sempre quella, il sovraffollamento e qui si sono
inventati le sezioni aperte per far vedere che non ci sono problemi di spazio e di metratura che ogni detenuto deve
avere per vivere, diciamo che è anche una sezione aperta a tempo determinato cioè se uno di noi fa casino ci chiudono il
blindo a tutti per vari giorni e questa è la loro punizione quindi siamo costretti a fare i “bravi detenuti” e a subire
le loro prepotenze e i loro soprusi.
Poi c’è da dire i tagli sulla fornitura mensile dei prodotti che ogni mese dovrebbero passare cioè spugne stracci carta
igienica e molto altro da vari mesi ci viene consegnato solo 5 rotoli di carta igienica a persona e quando la finiamo e
chiediamo alle guardie un paio di rotoli ci viene risposto: sulla spesa c’è compratela, ma ce da dire che molte persone
qui non fanno la spesa e non possono permettersi di comprarsela e questo è solo un esempio, come anche il carrello del
vitto che giorno per giorno il cibo diminuisce sia la qualità che la quantità per farvi un esempio ieri il carrello ci
ha dato acqua sporca che doveva essere brodo con verdura ma invece era solo acqua e non c’era neanche un pezzo di
verdura poi per secondo un bel piatto di cavolfiori bolliti, al massimo 100 grammi per tre persone, ulteriore presa in
giro effettuata dal nostro carcere e da altri istituti è il carrello doppio la domenica che dovrebbe consistere nel
servire a pranzo anche il vitto serale tutto ciò fatto per ridurre le spese; la cosa ridicola che più delle volte la
roba in più consiste in una fetta di formaggio.
Ora passiamo al punto saliente, la riabilitazione di un detenuto secondo loro si attua con dei corsi presso che
inesistenti in questo istituto i loro corsi sono laboratorio artistico musica inglese ma la presa in giro è che chi sa
un po’ di inglese non può fare il corso e la cosa più divertente è il corso di enigmistica che vi giuro ancora non ho
capito a cosa serve.
Nella loro ottica ci dovrebbero rieducare in questo modo ma è la loro ottica borghese, ma l’unica rieducazione per
l’intera umanità è quella della distruzione dell’istituzione carceraria e dei tribunali che ci condannano a vivere in
questi lager.
Ci sono tante cose da dire su questo posto come il lavoro, pensate che uno scopino gli vengono pagate 15 ore di lavoro
quando ne lavora molte di più in 15 giorni di lavoro con la modica cifra di 64 euro, un porta vitto 40 euro e sempre per
15 giorni di lavoro, ditemi se questo non è sfruttamento di detenuto.
Questo è più o meno quello che succede in questo posto, si parla tanto di mafia fuori ma la vera mafia è qui dentro e
sono le guardie e chi le comanda, si sentono superiori a noi ma non perché hanno una merda di divisa il loro unico
potere sono quelle cazzo di chiavi che li fanno sentire dei grandi uomini ma sono solo dei servi dello stato.
Qualche tempo fa ci è arrivato il documento che parlava dello sciopero di settembre ma qui nessuno ha aderito un po’ per
paura di ritorsioni e un po’ perché molta gente se ne fotteva, in questo posto è difficile essere uniti e lottare per i
nostri diritti, molte persone hanno paura di perdere i famigerati 45 giorni che maturi ogni 6 mesi, sabato 14 settembre
qui fuori c’è stato un presidio organizzato dalle varie realtà lombarde è stato bello sentire che c’è gente fuori che si
interessi a noi che ci supporta e non ci fa sentire soli, noi si è risposto alla battitura ma sempre in pochi solo 2
sezioni hanno fatto la battitura ma le uniche che hanno avuto le palle sotto e hanno fatto un casino pazzesco è stato il
femminile.
Ora mi fermo qui anche perché si è fatto tardi spero di sentirvi presto e ricevere materiale controinformativo, grazie a
tutti/e per il supporto e le lotte che portate avanti io nel mio piccolo ci proverò qui a lottare e a resistere fino a
che ho fiato per urlare tutta la mia opposizione al loro sistema e regole. [...]
Vi saluto a tutti/e e un grosso saluto a tutti compagni/e individui e canisciolti che lottano e sono detenuti
illegalmente in questi posti di merda chiamati carceri, perché i nostri ideali di libertà sono più forti di loro e delle
loro sbarre.
Ciao a tutti/e. Un Grosso Abbraccio. Fuoco ai carceri. Liberi tutti/e.

Carcere di Monza, 1 ottobre 2013
Busota e Baslotto


lettere DAL CARCERE LA DOZZA (BO)
[...] ciao a tutti!!! Noi abbiamo aderito alla mobilitazione dal 10 al 30 settembre...sono stata trasferita qui da pochi
giorni e ho cercato di muovermi da subito, ma tra le donne non c'era molto interesse, un po' per timore, un po' per poca
fede. Quindi lo sciopero della fame è saltato, ma abbiamo fatto la battitura dal 18 al 23, dalle 20 alle 20.30...

13 ottobre 2013

***
Riportiamo le testimonianze di alcune ragazze rinchiuse al carcere della Dozza (Bologna) che ci hanno scritto
raccontandoci quello che ha significato per loro la battitura che hanno portato avanti durante la mobilitazione
nazionale (da GiùMuraGiùBox - Forlì)

19.55... l’orologio indica che il momento del nostro grido è vicino... tra 5 minuti potremo innalzare la nostra voce
oltre quelle mura che limitano il vedersi dei nostri visi. Quel momento in cui noi detenute riuniremo il nostro dolore,
la nostra rabbia, la nostra speranza in un unico atto, quello di battere con tutta la forza che abbiamo in corpo contro
le gelide, arrugginite sbarre morte a cui appoggiamo le mani ogni volta che il nostro sguardo si posa sul cielo
sconfinato. Le 20.00, partiamo all’unisono con una carica eccezionale che pochi possono comprendere. Sale il rumore
assordante di tante mani di PERSONE piene di voglia di vivere e di tornare a far parte del mondo... Quel mondo che tanto
amiamo e che appartiene a noi quanto a chiunque altro. I pensieri scorrono incessantemente e viaggiano lontano…
Arrivando a chi abbiamo di più caro al mondo e mentre sale la nostalgia dallo stomaco, sale anche l’energia per battere
ancora più forte. Anni... tutti questi anni… perché… mi guardo indietro e so di non essere una persona cattiva, anzi
sono una persona normale che si batte per ciò in cui crede... Ed eccomi qua, unita alle mie compagne detenute ad
alimentare l’urlo. Un urlo che si chiede perché qualcuno ha deciso che ciò che facevo era reato, perché i sistemi creano
il problema per poi darci le sue “geniali soluzioni”. Siamo solo pedine dei potenti e dopo esserlo stata per 24 anni
interi ho deciso di non seguire più la corrente e chiedere di vivere in un mondo migliore senza guerre, senza crudeltà
tra esseri viventi (preciso animali compresi), con rispetto e amore verso il mondo che ci ospita, senza gabbie che
rinchiudono persone che non meritano di essere private della loro libertà.

***
Il mio pensiero personale su questa battitura che abbiamo fatto è che è stato molto liberatorio e son contenta di aver
contribuito in tutto ciò. Spero che venga riportato tutto ciò. Ho urlato il mio odio contro questo sistema sbagliato e
ipocrita dove lo stato ci ha messo in ginocchio e noi paghiamo i danni per aver fatto cose per sopravvivere. Ma rifarei
tutto dall’inizio. Non mi pento di niente. Viva la libertà, anche di parole ed espressione.

***
Cosa si può provare dietro ad una finestra e dentro un 3 metri quadrati di spazio in tre? La sensazione di una battitura
contro a queste sbarre non è determinata solo dal fatto di una persona condannata o non! Ma è determinata dalla propria
unione psicologica o morale all’interno di un contesto non proprio. La sensazione di libertà, del proprio spirito, della
propria mente, del sentirsi vivi dentro all’inferno, consapevoli che fuori il mondo va sempre di più al contrario, della
troppa ed eccessiva industrializzazione morale, psicologica ma soprattutto umana. Al risposta ad un quesito. Perché? Non
si parte dall’idea di aver vinto! Ma si deve pensare, agire e proclamare e soprattutto far capire di quanta ingiustizia,
corruzione, ipocrisia vige dentro all’apice “della legge è uguale per tutti”. Questa battitura dovrebbe sentirsi
all’interno del proprio io e seguire per un’utopia migliore con le giuste proporzioni. Cosa che molto spesso rimane
un’utopia.

***
Tutte le mattine la sveglia era quell’orribile rumore alle sbarre chiamata battitura: l’agente entra sbattendo
quell’orribile manganello alla grata. Quel rumore rimbomba nelle orecchie e viene fatto apposta per svegliarti e
buttarti giù dal letto. Siamo classificati senza cuore e senza intelligenza ma il nostro grido alle sbarre è “ridateci
la nostra libertà”. In galera si trovano persone per i seguenti reati: rapina, prostituzione, spaccio, ecce cc ma i
politici ci hanno rovinato togliendo il lavoro senza poter portare a casa un pezzo di pane. Ma i giudici si rendono
conto che con la crisi economica stanno aumentando i reati ma si chiedono dove sono le fondamenta del problema? Oggi
sono IO a fare la battitura cercando di buttare giù quelle sbarre e il mio grido per farlo sentire al mondo intero che
non sono criminale o ladra ma sono una persona con sani principi e con la mia intelligenza posso dire al giudice
“Giudice lei è giudice perché ci sono IO per il reato commesso. Ma lei non si chiede il motivo del mio reato?” Al popolo
grido “datemi della colpevole ma lo stesso vivo con il mio rispetto con il mondo intero”. Un giorno con questa battitura
potrò avere giustizia con i miei sani principi.
Se occorre di rifarlo sbatterò il piatto alle sbarre finché le mie mani non si riempiranno di lividi. Per poter avere la
mia libertà. La battitura è stata uno sfogo emotivo, una liberazione della rabbia che cresce poco per volta. Rinchiusa
dentro una cella con poche cose personali che ti legano, condividendo tutto con almeno altre 3 persone, che poi
diventano una famiglia momentanea. Non avendo un modo di sfogo la battitura in quel preciso momento ha potuto farmi
scaricare tutta la tensione emotiva, per arrivare alle orecchie di chi deve ascoltare un detenuto.


lettera dal carcere di opera (mi)
Trattamento sanitario di merda: in una cella di questa sezione hanno messo, assieme ad un altro prigioniero, un signore
di 70 anni con diverse malattie, tra le quali l’incontinenza. Ci si è rivolti al “dottore” una prima volta, assieme
all’anziano in imbarazzo dato che effettivamente quasi ogni giorno e notte sporcava lenzuola, vestiti e, soprattutto,
che la richiesta alle guardie di lenzuola pulite (il signore fra l’altro non fa colloqui) finiva sempre in battute
odiose. Si è tornati una seconda volta dal dottore a ripetere la richiesta di pannoloni, che gli davano anche nel
carcere di provenienza. Il dottore non ne ha voluto sapere, ci si è presi a prole, infine ci ha sbattuti fuori dicendoci
“non dovete voi insegnarmi il mio lavoro”.
Il compagno di cella del signore anziano è stato, prima, immediatamente portato in un’altra cella, poi, dopo tre giorni,
trasferito in un’altra sezione.
Non voltarsi dall’altra parte quando uno di noi ha bisogno di una mano, quando subisce abusi dalle guardie, dalla
direzione di questo carcere (purtroppo non solo) è considerato reato, comportamento da punire. Lo schifo è aggravato
dalla realtà che per comodità, ordinaria vigliaccheria, interesse personale e simili, in questo tranello scivolano
diversi prigionieri invece di praticare, rivendicare immediatamente la dignità.

Carcere di Opera, 3 ottobre 2013


LETTERe DAL CARCERE DI REBIBBIA (rm)
Carissimi, …ahimè Rebibbia non ha minimamente accolto l’appello che mira all’attuazione di una qualsivoglia forma di
protesta, anzi la proposta è caduta nel vuoto più assoluto. L’immobilismo è a dir poco imbarazzante ed è la prima volta
che mi capita di assistere ad un’indifferenza così diffusa nonostante la tragicità dell’attuale situazione carceraria…
Sembra che tutti aspettino non si sa quale intervento “divino” che li liberi dal carcere. Vi allego, meglio di niente,
un contributo “molecolare”…


A proposito di bestie
Pur ribadendo con forza e convinzione il Nostro Amore per il Mondo Animale, pur auspicando la demolizione e la
cancellazione dei parchi pseudo-naturali. Degli zoosafari, circhi e quant’altri privino la libertà degli Animali o
peggio la loro vita in nome di assurdi quanto discutibili esperimenti scientifici, pur gridando con forza che anche loro
devono nascere, vivere, riprodursi e morire liberi, dobbiamo lagnarci perché gli stessi criteri che garantiscono la
qualità della vita di questi esseri e la loro dignità non vengono applicati anche a Noi Esseri Umani.
Abbiamo assistito sui mezzi d’informazione, alla polemica sollevata dalle Associazioni Animaliste condividendo e
partecipando all’indignazione generale provocata per i maltrattamenti subiti dai delfini dell’acquario di Rimini
costretti a vivere in spazi angusti e prontamente trasferiti in un habitat più idoneo e confortevole: L’acquario di
Genova!
I titolari della struttura sono stati denunciati per maltrattamenti ed esposti, giustamente, alla pubblica indignazione
con la prospettiva di un’auspicabile sanzione per non aver rispettato i diritti dei simpatici mammiferi.
Anche Noi detenuti, alla luce di tutto ciò, desideriamo essere posti sotto la tutela delle Organizzazioni Animaliste le
quali, crediamo, siano più incisive e determinate nel far ripristinare tempestivamente i canoni sacrosanti della
Legalità.
L’inerzia cronica e l’inutilità dei rari interventi operati dalle Istituzioni per ristabilire una decenza minima di
vivibilità nelle carceri italiane che sono vergognose e sconfortanti, ci inducono a porci sotto l’ombrello di dette
Associazioni. Chi è preposto a vigilare e denunciare i maltrattamenti che subiscono i detenuti, i cosiddetti garanti,
escluse rare eccezioni combattono contro i mulini a vento con risultati privi di rilievo.
Desideriamo quindi essere “catalogati” anche formalmente come BESTIE visto che sostanzialmente ci trattate come tali,
forse, così facendo, riusciremo a svegliare coscienze consapevolmente assopite quali quelle di politici e “bravi
cittadini”.

Rebibbia, 19 settembre 2013
Un gruppo di detenuti di Rebibbia

***
Per la prima volta nelle carceri in Italia…
dal 1° ottobre la direzione di Rebibbia ha deciso che ci troviamo nel 200 e non nell’ottocento, per cui i detenuti
possono inviare e ricevere mail, servendosi di una società di servizi, ad un costo inferiore al vetusto francobollo. Il
servizio per il momento non sarà in tempo reale. Ma in un massimo di 72 ore.
Si tratta della prima iniziativa del genere in Italia e costituisce il primo significativo passo per passare quanto
prima a Skype e finalmente tanti detenuti stranieri, a costo zero, potranno parlare con i propri cari e soprattutto
vedere crescere i propri figli, in attesa della tanto agognata libertà.

8 ottobre 2013
Achille della Ragione, via Majetti, 70 - 00156 Roma


MILANO SAN VITTORE: una giornata contro il carcere
Sabato 28 settembre ci siamo trovati per un’iniziativa comunicativa contro il carcere intorno a San Vittore.
Dopo il volantinaggio-incontro con i famigliari in entrata e uscita dai colloqui e la stesa in piazza Aquileia degli
striscioni “Il carcere non è la soluzione ma parte del problema”, “No Tav bandiera di resistenza contro l’arroganza di
stato e padroni”, “Carceri sicure da morire”, è partito il giro intorno a quelle maledette mura.
Non eravamo le migliaia che la tematica meriterebbe, ma siamo riusciti in ogni caso a comunicare rabbia ed odio verso le
galere, ed anche a scuotere un po’ quelle certezze paralizzanti diffuse dai media alle persone sulla necessità del
carcere.
Ci siamo fermati, con in testa lo striscione “Prigionieri e solidali contro il carcere”, nel punto centrale del mercato
di Via Papiniano frequentato da moltissime persone. Attraverso un fitto volantinaggio e lo speakeraggio abbiamo parlato
della necessità di una lotta decisa contro la miseria delle condizioni di lavoro e di vita attuali, condizioni che fra
l’altro portano ad una crescente possibilità di finire in galera; abbiamo insistito sulle condizioni pestifere delle
carceri italiane, sulle violenze (che spesso portano alla morte) a cui sono sottoposti i/le detenuti/e, alle pesanti
pene sempre più spesso comminate a chi non vuole accettare di vivere inerme in miseria, a tutti quei sistemi escogitati
dal potere per dividere le persone ed impedire loro di ribellarsi. Le persone presenti al mercato hanno dato segno di
approvare molti dei nostri discorsi… in ogni caso molti/e sembravano interessati/e alle nostre motivazioni.
A proposito della violenza e dei ricatti a cui sono sottoposti i detenuti abbiamo raccontato la storia di una signora
che avevamo appena incontrato ma che era troppo timorosa per parlare lei stessa: suo nipote, appena trasferito ai
domiciliari aveva trascorso 6 mesi a San Vittore, 6 mesi nei quali è stato ripetutamente pestato dalle guardie tanto da
procurargli una frattura ad una gamba… nei mesi di detenzione non è riuscito a fare i colloqui perché, per nascondere
ciò che subiva, i parenti giunti a colloquio venivano mandati via con la scusa che lui non voleva scendere o che stava
male. L’uomo non ha voluto denunciare le violenze nemmeno quando è stato ricoverato per la frattura, in quanto aveva
troppa paura delle minacce di morte che subiva dalle guardie.
Abbiamo poi continuato il nostro giro intorno a San Vittore nel tentativo di far sentire dentro la nostra presenza
solidale, riuscendo più volte a sintonizzare grida e battiture dentro-fuori, in particolare quando siamo riusciti ad
innalzare un grosso striscione con scritto “Fuoco alle galere” visibile dai piani alti del 5° e 6° raggio. Siamo
riusciti a salutare anche i nostri compagni Lollo e Simone, rinchiusi a San Vittore da più di un mese grazie ad una
delle solite macchinazioni del potere contro i no-tav.
Alcuni parenti hanno avuto la possibilità di salutare i loro cari detenuti.
Dopo un breve concerto hardcore in strada, siamo ripartiti per un breve e rumoroso saluto pirotecnico rivolto a tutti/e
i/le detenuti/e.
Milano, settembre 2013

Dopo un mese e mezzo di carcerazione preventiva a San Vittore Simone è stato scarcerato con obbligo di firma ma non a
Milano, la città dove vive, mentre Lorenzo per ora resta dentro. Saremo felici di poterlo salutare alla prossima udienza
del “processone” contro i no Tav.


lettere dal carcere di san vittore (mi)
[…] Rispetto ad alcuni anni fa qui non è cambiato molto; il numero è un poco aumentato: adesso il carcere è veramente in
pieno sovraffollamento. Per es. ai piani terra ogni cellone per l’attesa quando ci portano nei vari uffici, è stato
trasformato in cella abitata.
Ieri sera alla notizia della firma ufficiale del documento per svuotare le carceri abbiamo festeggiato un po’
vivacemente…dal casino che c’era l’infermiera della terapia è andata via veloce veloce. Alla fine, ognuno qui la intende
a proprio modo ma (amnistia-indulto-svuotacarceri o altro) è davvero l’unica cosa unificante tra “categorie e
sottocategorie/gruppi” tra italiani e non, definitivi e in attesa di processo… è una cosa che può fare tanto. Ieri,
immaginavo, che se casualmente fuori ci fosse stato un presidio-saluto ecc. tra il fuori e il dentro sarebbe stata
un’intesa e coordinazione davvero bella!
In questi giorni ci dovrebbero essere trasferimenti più del solito: pare 300 detenuti (penso definitivi) e a quello che
sento tutti non vedono l’ora di andar via di qui.
All’aria del mattino saremo una ventina (su 140), quando si è tanti, e dato il freddo saremo ancora meno; al pomeriggio
siamo un poco più numerosi. Le nazionalità sono le solite (America del Sud, Europa dell’Est, Paesi Arabi, Asia, Africa e
Italia (forse un quinto del totale, di origine tendenzialmente del sud) e con questa fotografia si è completato il giro
del mondo; non c’è bisogno di fare grandi viaggi, basta venire a S. Vittore ah ah!
Per il resto c’è attenzione anche per la questione dei reclami alla Corte europea. Alcuni hanno già scritto e alcuni lo
faranno individualmente. Se fosse fatta insieme credo che potrebbe diventare una cosa seria e concretamente unificante,
certo unita ad altro magari! Purtroppo, lo dico in generale, il fatto che molti aspettino di partire per trasferimento
complica un po’ le cose perché quando ci si sente di passaggio, penso, non aiuti a soffermarsi sulle cose, sull’agire
collettivamente.
Poche settimane fa c’è stata una battitura interna veloce quanto efficace per uno che stava male di sera e al sesto
raggio hanno aperto le celle, come succede solo d’estate. […] Un saluto a tutte e tutti. Il carcere non é la soluzione
ma parte del problema!

9 ottobre 2013
Lorenzo Kalisa Minani, P.za Filangieri, 2 - 20123 Milano

***
[...] comunque tutti abbiamo visto e sentito il presidio molto positivamente [...] Per il presidio del 28 alcuni lo
sapevano ma credo che in maggioranza no... non è facile anche per me saperlo con esattezza perché il carcere comporta
per forza di cose diffidenza verso alcuni [...] Calcola che su 140 circa che siamo se va bene all'aria pomeridiana siamo
una quarantina... calcola che non tutte le celle hanno una buona intesa: un esempio, la sera un paio di celle hanno
l'hobbie dopo cena di prendersi a sgabellate in testa e la settimana scorsa unoè uscito tirato per i piedi... si
sentiva: "basta basta basta..." e non credo si riferisse a "basta versare caffè"!
Il presidio comunque è stato valutato (almeno al 5° raggio) molto seriamente e con attenzione. Sulla percezione...
molti, almeno alcuni, sapevano che non erano i Radicali... alcuni, chiaro, erano delusi sulla risposta da dentro perché
volevano di più... della serie: "questi prendono un sabato e stanno 5 ore fuori e noi non li aiutiamo come dovremmo" e
il solito "il carcere non è puiù quello di una volta" (altro ritornello che si sente)... Alcune battiture sono
partite... saluti... e molti erano entusiasti delle lettere lette da fuori (sulla "voce dei detenuti") scritte da chi è
dentro.
Su un saluto che c'é stato pochi giorni prima parecchi hanno provato piacere ma anche fastidio sui cori continui contro
i secondini... non per paura ma i commenti andavano da i "non si fa" al chiaro "se mai quello lo diciamo noi"... per
essere più chiaro calza il detto savonese "son tutti bulicci col culo degli altri".
In definitiva il presidio del 28 c'é parso ben riuscito sia per il fuori, 5 ore è quasi un record, che per la
determinazione.
Sul coordinarsi è un po' dura per quanto riguarda una battitura e per quanto bello ed entusiasmante (bello sarebbe una
battitura fuori e dentro) in concreto è più utile la battitura interna. Un esempio: 2 settimane fa. Qui siamo chiusi 21-
22 ore al giorno e dopo le 21 c'é il deserto e se qualcuno ha bisogno non arriva nessuno... Certo, chi chiama dalle
celle per minchiate non aiuta (tipo alle 23 se uno chiama per pastiglia mal di testa o è la tattica per un qualcosa o è
un rompicoglioni, perché qui è carcere e magari poi non vengono per una roba seria tipo crisi epilettiche, svenimenti o
cadere da brande, ieri ne ho preso uno al volo dio bastardo e meno male che era al primo piano e stanotte ho rischiati
io... [...]

San Vittore, 6 ottobre 2013

***
1) Da aprile di quest'anno si è formato un gruppo di scrittura collettiva composto da detenuti del centro clinico,
coordinato da un volontario esterno, il dottor Dario Guerini, già assessore al bilancio del comune di Bergamo
(centrosinistra) e docente di economia presso la Bocconi.
2) Questo gruppo, molto composito (banchieri-imprenditori-rapinatori-spacciatori e vari detenuti in custodia cautelare)
ha già organizzato e scritto quasi per intero un libro, un thriller-romanzo (omicidio e/o suicidio) di un noto banchiere
italiano avvenuto il 16 maggio 2013 in una cella del centro clinico di S. Vittore.
3) Il romanzo (richiesto da varie case editrici – Rizzoli e Mondadori comprese) è lo strumento che ci ha permesso di
parlare di carcere – di fabbrica di disciplina – di fabbrica dell'esclusione sociale – di magistrati – di giustizia – di
recidiva – ecc. ecc.
4) La scrittura del romanzo/giallo è quasi alla fine, l'ultimo capitolo è la rivolta del carcere e il carcere come
assassino sociale seriale.
5) Fino qui tutto bene! Però mercoledì 25 settembre, invitati a presentare a Radio Tre, nella trasmissione “Piazza
Verdi”, una piccola parte del lavoro (3 minuti e mezzo) a San Vittore è scoppiato il caos e che caos!
6) Mi spiego meglio: abbiamo letto due paginette su cento già scritte (la 1° pagina e pezzi di altre).
7) Dopo la lettura delle paginette (applausi scroscianti di tutti i presenti) sono intervistato dalla conduttrice del
programma: presento il metodo di scrittura e termino su come il carcere sia una vera esclusione di intere generazioni di
giovani dai vent’anni ai quarant’anni. Ovviamente in totale disaccordo con la direttrice del carcere dottoressa Gloria
Manzelli che in apertura della trasmissione aveva presentato il carcere come un servizio per la collettività.
8) Il risultato?
a) il volontario è stato immediatamente sospeso, già durante la trasmissione
b) S. il giorno dopo è stato redarguito dalla educatrice quale “minchione”, perché doveva sapere in anticipo quello che
si poteva dire e quello no.
c) Al sottoscritto è stata ventilata la possibilità di querele in caso di pubblicazione del romanzo (qualcuno ha già
chiesto i diritti per uno sceneggiato televisivo).
d) Importante!!! Sabato 28 settembre la nostra lettura e l’intervista sono state saltate dalla trasmissione (censurate).
Quanto letto e dichiarato cancellati da una radio pubblica, sicuramente sotto minaccia di querela.
9) Finora il tutto potrebbe essere anche ridicolo! Ma l’aria che si respira comincia ad essere pesantina… Il
condizionamento psicologico che ci sta stringendo è fortissimo e temiamo di essere imputati anche di istigazione ed
opposizione al regolare svolgimento della vita del carcere.
A questo punto non vogliamo proteste e/o manifestazioni intorno a San Vittore, saremmo immediatamente perseguiti con il
14 bis. Chiediamo una difesa sulla censura.

San Vittore, settembre 2013


Sul decreto “svuotacarceri”
I numeri delle carceri italiane parlano da soli : 65.831 detenuti, a dispetto di una capienza di 47.045. A questo si
deve aggiungere uno stato delle carceri drammatico con strutture fatiscenti, strutture sanitarie insufficienti che
funzionano soltanto quando devono coprire pestaggi, malattie contratte dentro le mura per le condizioni vergognose, o
morti di cui è meglio “non far sapere troppo in giro”. Spazi minimi di vivibilità, che rendono i luoghi di detenzione
inumani e degradanti dal punto di vista fisico, mentale e morale.
Per ovviare a questa situazione drammatica – sanzionata in modo formale anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo,
con la sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia, che ha assegnato allo Stato italiano il termine di un
anno entro cui procedere all’adozione delle misure necessarie a porre rimedio alla constatata violazione dell’articolo 3
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti – il
decreto “svuotacarceri” è divenuto una legge, con l'approvazione in Senato con 317 sì e 106 no e 1 astenuto. In breve:

1) Sono state modificate le condizioni per applicare la custodia cautelare in carcere in attesa dello svolgimento del
processo. Prima si rischiava la carcerazione preventiva in caso di contestazione di un reato con pena massima non
inferiore a 4 anni. Ora tale limite è stato portato a 5. Nella sostanza poco cambia tenuto conto che pochi sono i reati
comuni con pena inferiore a 4 anni nel massimo. Ad esempio per un reato, a volte banale, come la resistenza sarà
possibile ancora essere detenuti in attesa di giudizio.
2) E’ stato modificato l’art 656 del codice di procedura penale relativo alle esecuzione delle pene detentive
definitive. Una piccolissima modifica. Per la sospensione dell’ordine di carcerazione bisogna tener conto anche della
eventuale concessione del beneficio della liberazione anticipata. In sostanza poco cambia. Anche prima di questa
modifica i condannati in stato di libertà ad una pena non superiore a tre o sei anni (tossicodipendenza) non finivano
direttamente in carcere in quanto l’ordine di esecuzione veniva sospeso per permettere di chiedere una misura
alternativa al carcere. Semplicemente ora bisogna tener conto della possibilità, per chi ha già scontato parte della
pena ed ora è libero, di usufruire anticipatamente dello sconto di 45 giorni a semestre della liberazione anticipata ai
fini del calcolo del residuo di pena da scontare (es. se mi mancano 3 anni e 45 giorni non finisco in carcere perché
posso usufruire della liberazione anticipata e il mio residuo è quindi di tre anni. Questo se ovviamente al momento
della notifica dell’ordine di esecuzione sono libero.
3) È stato modificato l’elenco dei reati per cui non è previsto la possibilità di sospendere l’ordine di esecuzione
(casi in cui si entra direttamente in carcere anche con pene non superiori a tre anni). Sono stati tolti da questo
elenco i furti aggravati (era ora perché si poteva entrare in carcere per una pena di due mesi per aver rubato una
maglietta in un centro commerciale), ma non i furti in appartamento. Sono stati aggiunti all’elenco il reato di
maltrattamenti in famiglia e stalking (ma solo nei casi pù gravi).
4) Sicuramente la modifica più importante all’art. 656 del cpp e ritengo di tutto il decreto svuota carceri è la
modifica relativa alla recidiva. Ora anche a coloro che in sentenza di condanna era stata riconosciuta la recidiva
reiterato (recidivo che commette un altro delitto – qunidi almeno tre delitti) viene sospeso l’ordine di esecuzione
(ovviamente sempre che siano liberi e abbiano un residuo pena non superiore a tre anni).
5) Chi invece volesse assumere un ex detenuto otterrà sgravi fiscali per 18-24 mesi a seconda dei casi.
6) Vengono ampliati i poteri del Commissario Straordinario per l’ “emergenza carceri”.

Milano, ottobre 2013


sull’amnistia/indulto: Più dubbi che certezze
Promemoria su recenti accadimenti, mosse e dichiarazioni di partiti e stato sul “sovraffollamento” e sul come
affrontarlo
L’ 8 ottobre 2013, Napolitano in un “messaggio a Camera e Senato” ritorna sulla questione carceraria. E’ una sorta di
esortazione in cui dice: “servono rimedi straordinari tra i quali una decisiva depenalizzazione… La prima misura su cui
intendo richiamare l’attenzione è l’indulto che non incide sul reato e può applicarsi ad un ambito esteso”. Lui indica,
in sintesi, che si possono far uscire migliaia di persone senza toccare la recidiva, i “reati gravi”, lasciando dunque
dentro chi ne è stato condannato.
Il governo per bocca di Letta afferma che “continuerà a fare di tutto per recepire indicazioni e sollecitazioni giunte
dal capo dello Stato”.

Tre giorni dopo, l’11 ottobre 2013
Il ministro della Giustizia Cancellieri in conferenza stampa dichiara di aver pronta una “proposta di legge su indulto e
amnistia – che non riguarda Berlusconi… Proporrò una legge su indulto e amnistia che potrebbe riguardare 20mila
detenuti… quelli con pene lievi”.
Ed aggiunge: “Risolveremo i problemi delle carceri rispettando i termini, in merito alla scadenza del maggio 2014
imposta dalla Corte di Strasburgo sull’emergenza del sovraffollamento carcerario”. Entro quella data, mancano pochi
mesi, il “sovraffollamento” deve perciò diminuire.
L'Unione europea ha promesso sanzioni, già applicate in decine di ricorsi. L’Italia deve pagare 100 mila euro ogni sette
detenuti che fanno ricorso. Questo significa pagare ogni anno 60-70 milioni di euro. Il Comitato per la Prevenzione
della Tortura (CPT), parte della Corte di Strasburgo sin dal 1999 ha “raccomandato” agli stati membri dell’UE dei limiti
minimi, che definiscono “umana”, secondo quella Corte, la condizione carceraria. Fra questi la possibilità di avere a
disposizione, da parte dei prigionieri, celle dotate di acqua calda, di uno spazio areato, illuminato in cella
collettiva, per ciascun carcerato, non inferiore a 4 mq, escluso lo spazio occupato dal gabinetto.
Dal 2005-06 diversi prigionieri in Italia, in particolare detenuti a Busto Arsizio e Piacenza in condizioni ben peggiori
di quelle “raccomandate”, hanno avanzato ricorso presso la Corte di Strasburgo. Sette di questi ricorsi sono stati
accolti e diventati definitivi l’8 gennaio 2013, riconoscendo loro di essere stati chiusi in “celle di detenzione in
cattive condizioni”; impongono allo stato italiano il pagamento di somme da 1.500 fino a 12mila euro a ciascuna delle
sette persone ricorrenti (220 euro per ogni giorno di galera).
Contro la sentenza lo stato italiano ha avanzato un contro-ricorso a sua volta dichiarato “inammissibile” il 26 maggio
2013 dalla Grande Chambre della Corte di Strasburgo, che nella stessa occasione, piuttosto, torna ad esortare lo stato
italiano ad adoperarsi contro il sovraffollamento…
Ancora oggi, autunno 2013, a fronte della capienza – secondo i parametri europei – di circa 47.500 detenuti, nelle
carceri in Italia sono rinchiuse oltre 64.500 persone, dunque 17.000 in eccesso posti i parametri “raccomandati”
dall’Europa, di queste 38.600 sono condannati definitivi, mentre 27.700 sono quelli in custodia cautelare.
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha sede a Strasburgo e non è una istituzione che fa parte dell'Unione Europea; da
non confondere con la Corte di Giustizia dell'Unione Europea con sede in Lussemburgo, istituzione effettiva dell'Unione
europea.
I partiti, ad esclusione della Lega e del Movimento Cinque Stelle (pur se su posizioni diverse), si dicono d’accordo con
Napoletano.
Secondo il segretario del Pd Epifani: “Non è che possiamo andare avanti ogni due anni a fare un’amnistia-indulto. Se
parti dall’indulto e dall’amnistia fra due anni siamo qui a richiederli. Bisogna quindi intervenire sulle leggi che
riempiono le carceri, dalla Bossi-Fini [reato di “clandestinità”], alla legge Fini-Giovanardi [sulla “modica quantità”
in tema di stupefacenti, loro consumo e coltivazione], alla ex Cirielli [appesantimento delle pene per i recidivi] fino
a una riforma della custodia cautelare”.
Data questa scelta di uno dei maggiori partiti della coalizione di governo, di cui è membro lo stesso Letta, capo del
governo, anche il ministro della Giustizia dovrà rivedere le soluzioni.

Dieci giorni dopo
Così per affrontare il “sovraffollamento” il ministro Cancellieri preparebbe il “piano B”.
Ai giornalisti ha annunciato di essere pronta a “trovare altre soluzioni” nell’impiego della “custodia cautelare” e
nell’ “aumento della capienza degli istituti di pena” (costruire altre carceri o nuove sezioni sui campi sportivi delle
carceri già esistenti, come è già accaduto a Cuneo,Terni… o in cantiere come ad Opera).
A compiere questo passo il governo è stato anche costretto dalla riuscita raccolta di firme conclusa dal partito
radicale a fine settembre (2013) per indire l’anno prossimo referendum, fra gli altri, “per l’abolizione dell’ergastolo”
e “contro l’abuso della custodia cautelare”- cioè l’applicazione del carcere preventivo, prima della condanna,
ridotto“solo per reati gravi”.
Sul totale delle persone oggi in carcere in Italia il 42% è ancora in “attesa di giudizio” (in Francia il 23%, Spagna
20%, Inghilterra e Germania 16%).
In concreto il ministro Cancellieri dice alla stampa che proporrà a Camera e Senato di voler dare maggiore possibilità e
discrezionalità ai giudici in modo che possano applicare misure come “affidamento in prova”, firme… al posto del
carcere, oltre e assieme a depenalizzare i “reati minori”- come indicato da Napolitano. Comunque, precisa, che “non
usciranno assassini, stupratori e ladri”, né chi condannato a pene superiori a 4-5 anni.

Milano, ottobre 2013


LECCE: presidio sotto il carcere
“Il primo passo per spezzare queste catene è rompere il muro dell’indifferenza. La solidarietà è un’arma, usiamola”.
Si chiude con queste parole il comunicato diffuso da un coordinamento di detenuti delle carceri che ha lanciato una
mobilitazione per il mese di settembre. Protesta che nasce contro determinate condizioni di invivibilità all’interno
delle carceri quali “sovraffollamento intollerabile con detenuti ammassati in celle lager, in condizioni igieniche e
strutturali al limite dell’indecenza, speculazioni sui prezzi della mercede, sfruttamento vero e proprio nei confronti
dei detenuti cosiddetti “lavoranti”, trattamenti inumani di ogni sorta, abusi di qualsiasi genere e troppo, troppo altro
ancora”, protesta che si estende “contro tutte quelle forme di tortura legalizzata in cui versano gli internati nei
regimi di 41bis, 14bis e Alta Sorveglianza, che vengono quotidianamente uccisi, psicologicamente e fisicamente”, sempre
per citare il suddetto comunicato. Motivi per i quali la protesta si sta svolgendo anche con lo sciopero della fame dei
reclusi.
Si cerca di fare in modo che le galere siano lontane da noi sia fisicamente che idealmente, che chi vi è detenuto sia
cancellato dalla vista, non esista più, isolato in una condizione, quella della privazione della libertà, che lo escluda
dalla società di cui avrebbe intaccato le regole. Il carcere, struttura totalitaria impossibile da umanizzare, dimostra
così la sua vera funzione, che non è quella – dichiarata – della rieducazione, bensì quella – reale – della messa da
parte, dell’esclusione.
Ciò che ci preme è proprio impedire questo isolamento, rompere i muri dell’indifferenza come dell’iniquità, cause per le
quali molti sfruttati sono reclusi, perché una società che rinchiude massicciamente chi non si adegua e che fa del
controllo totale la sua ambizione è una società che rifiutiamo. Per questo siamo solidali e complici con i detenuti in
lotta, perché i ponti che uniscono gli esclusi e gli sfruttati sono un mezzo per opporsi alle condizioni disumane dentro
come quelle di sfruttamento fuori. Perché la lotta spontanea che nasce dall’interno del carcere è un consiglio pratico
da seguire anche fuori, autorganizzandosi e facendo sentire la propria voce.
Solidarietà con i detenuti in lotta, per un mondo senza galere.
Domenica 29 settembre dalle 16 alle 19: presidio e microfono aperto nei pressi del carcere di Lecce, via Borgo San
Nicola.
L’unica chiesa che illumina è quella che brucia, l’unica prigione utile è quella distrutta.

Anarchici e solidali
settembre 2013, da inventati.org/rete_evasioni


29 settembre: Presidio davanti al carcere di Montorio (VR)
In risposta all'appello dei detenuti in lotta per una mobilitazione anticarceraria.
Come in molte altre città italiane, da Tolmezzo a Viterbo, fino a Cagliari, i detenuti di Montorio hanno preso parte
alla mobilitazione rifiutando il vitto per tre giorni.
[...] Se la prigione è sempre più la parodia della società, è perché in un inquietante movimento convergente della
società - nel suo spazio pubblico come nei suoi luoghi privati - assomiglia oramai così tanto ad una vasta prigione da
trarre in inganno: magazzini sotto alta sorveglianza, alloggi di tipo cellulare nelle città operaie, videosorveglianza
delle strade, pattuglie di sbirri della stessa risma che suddividono i quartieri, spionaggio discreto o palese delle
"risorse umane" da parte dei gestori, e più in generale la disumanizzazione utilitarista delle condizioni di esistenza
che tanto ha imparato perfezionando i regimi carcerari - ed il cui segreto come metodo operativo sono la paranoia.
L'architettura carceraria è una cristallizzazione caratteristica e centrale di quel delirio morboso che moltiplica gli
ostacoli alla vita e le separazioni tra viventi: le prigioni moderne sono state spesso concepite da architetti "sociali"
e integrate nel deserto di cemento delle periferie da urbanisti alquanto polizieschi. Il principio del panopticon
immaginato, come d'uso delle prigioni del XVIII secolo, da razionalisti borghesi, si è anzitutto esteso alle fabbriche
prima di contaminare lo spazio pubblico e poi l'habitat. L'occhio del padrone - sia questo datore di lavoro o governo -
esige da lunga data di essere ovunque e l'intrusione generalizzata delle tecnologie digitali gliene offre attualmente la
possibilità, mentre l'apatia affetta da amnesia degli schiavi favorisce come mai prima i diversi progetti di
addomesticazione assoluta. [Dalla introduzione a "Au pied du mur", Ed. L'Insomniaque, Paris 2000]
Ore 16, via Mattarana (incrocio via Monti Lessini) - autobus 98 direzione Montorio


TORINO: Un saluto e un lavoretto
Il 25 settembre una dozzina di solidali con i detenuti in lotta si ritrova sul retro del carcere delle Vallette a Torino
per un veloce saluto con slogan e petardi. Mentre i detenuti rispondono gridando “Libertà!”, i solidali ne approfittano
per tagliare il filo spinato che durante l’estate era stato messo lungo il perimetro, per evitare saluti troppo
ravvicinati e battiture. Terminato il saluto e il lavoretto, i solidali se ne vanno.
Nei quartieri Barriera di Milano e Rebaudengo sui muri, anche di edifici religiosi e statali, sono apparsi messaggi di
odio contro le forze dell’ordine, le istituzioni e gli inviti alla rivolta per coloro che oggi vivono nelle prigioni.
Scritte come “Fuoco alle galere” (il più presente), “10-30 settembre 2013: Solidarietà con i prigionieri”, “Secondino
mestiere infame”, “Guardie e guardiani tutti infamoni” e “Non abbassare la guardia colpiscili”, coprono ormai tutta la
città.

26 settembre 2013
da autistici.org/macerie e liberamente estratto da “Torino Today”


PADOVA: sulle mobilitazioni contro il carcere
Come compagni di Padova impegnati nell’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione” abbiamo risposto all’appello
circolato durante l’estate del coordinamento dei detenuti in cui lanciavano la mobilitazione dentro le carceri dal 10 al
30 settembre. Questo si è rivelato un ottimo stimolo per rilanciare la lotta dentro e fuori le galere.
A Padova, è stato intrapreso un percorso sul carcere Due Palazzi, che ci ha portato a scendere in centro città con una
mostra il 14 e a un presidio sotto alla casa circondariale il 21 settembre, momenti in cui affrontare in città il tema
del carcere e, allo stesso tempo, fare da eco alle istanze che arrivano dalle prigioni.
Sabato 21 settembre fuori dalle mura della casa circondariale si è svolto un presidio di solidarietà partecipato da una
quarantina di compagni/e, provenienti principalmente da Padova e Bassano del Grappa (Vi). Nelle circa quattro ore di
presidio, gli slogan si sono alternati a diversi interventi, anche in lingua araba, dato che buona parte dei prigionieri
proviene dal Nord Africa. Si sono letti alcuni contributi scritti dai detenuti in vista della mobilitazione e altri
pervenuti in questi giorni. Durante il presidio c’è stato un concerto hip-hop, in cui hanno suonato i Cacotopia e i
Mistura Mortale, rap militante da Bassano, e in fine qualche fuoco artificiale ha concluso la giornata.
La risposta da parte dei detenuti è stata forte e siamo riusciti in più occasioni a sentire dal carcere le loro grida di
risposta. L’importanza di questa iniziativa è stata avvalorata anche dalla presenza di alcuni familiari di prigionieri
ed ex detenuti con cui siamo entrati in contatto nelle precedenti settimane. Grazie a loro abbiamo appreso quale sia la
dura realtà dentro al carcere di Padova.
Sabato 14 settembre abbiamo allestito in P.zza dei Signori una mostra dal titolo “L’altro volto del Due Palazzi”, che
smaschera il falso mito del penitenziario padovano come modello di rieducazione, per arrivare a spiegare il ruolo che
riveste il carcere nella società capitalista. Sono stati esposti due striscioni, uno in solidarietà alla lotta dei
detenuti in Italia e uno in solidarietà ai prigionieri turchi per i fatti di Piazza Taksim, in quanto il 12 settembre
era una giornata di solidarietà internazionalista indetta dall’MLKP .
Diverse persone si sono fermate incuriosite dalla mostra durante tutto l’arco del pomeriggio. Si è distribuito il
comunicato del coordinamento dei detenuti e il volantino prodotto come Assemblea di lotta e ci sono stati degli
interventi rivolti alla cittadinanza con lo scopo di fare controinformazione e sensibilizzare su questo tema. Inoltre,
si è cercato di dare voce ai reclusi tramite la lettura delle varie lettere e comunicati scritti in quest’ultimo
periodo. Il tutto è stato accompagnato da un banchetto con diversi materiali informativi e un dj set.
Queste due iniziative sono state precedute da un lavoro, cominciato già a fine agosto, con volantinaggi ai parenti
durante il giorno di visita. La necessità di attivarci in una maggiore inchiesta sul carcere di Padova è stata dettata
anche da quanto accaduto lo scorso 15 agosto, quando un giovane marocchino si è tolto la vita, dopo un forte alterco con
una guardia penitenziaria. A seguito di questo evento, i prigionieri hanno fatto esplodere una rivolta.
Durante il presidio in centro e durante il presidio sotto al carcere sono stati fatti dei collegamenti in diretta con
Radiazione. Proprio sui canali di questa radio è possibile ascoltare in diretta quasi tutte le iniziative di solidarietà
che si sono svolte in questo mese di lotta al link: radiazione.info/category/mobilitazioni-carceri-settembre-2013.

1 ottobre 2013
I compagi e le compagne di Padova
da uniticontrolarepressione.noblogs.org


LETTERA DAL CARCERE DI WINTERTHUR (SVIZZERA)
A tutte/i i prigioniere/i in lotta.
Vi saluto a pugno chiuso, come lo feci in occasione della mobilitazione davanti al carcere di Parma, del 25 maggio, da
dove, il “coordinamento dei detenuti” lanciò la proposta per la mobilitazione del “settembre caldo” nelle carceri
italiane!
Il mio saluto non arrivò, perché la censura del carcere, dove dal 13 maggio mi trovo, aveva giocato il solito scherzetto
con la censura....
Grazie all’opuscolo 82, potevo seguire la vostra iniziativa e rieccomi con un piccolo gesto, molto simbolico, un giorno
di sciopero del carello.
Un piccolo gesto di solidarietà internazionale - perché siamo convinti che la solidarietà è una parte del concetto di
lotta, cioè un’arma da impiegare nella lotta di classe, per la costruzione della prospettiva rivoluzionaria. La
solidarietà riveste una funzione centrale nel collegamento tra dentro e fuori, tra vari fronti di lotta e in varie
situazioni sociali ed è spesso una prima risposta alle divisioni, differenziazioni e disgregazioni, che da parte della
borghesia sono sistematicamente accelerate e sostenute, anche a livello mediatico.
La lotta contro il carcere nello specifico, contro la repressione nel generale, deve essere legata a la lotta contro la
società, il sistema capitalistico che la crea. La lotta al capitalismo è sempre in qualche modo anche legato alla lotta
contro il suo apparato controrivoluzionario. Con l’avanzare della crisi aumenta e differenzia i suoi strumenti contro
chi lotta: in fabbrica, nelle scuole, nei quartieri, nelle valli, in piazza e ovviamente anche nelle carceri.
“Abbattere il capitalismo” è la prima parte della parola d’ordine del Soccorso Rosso Internazionale, “Costruire e
diffondere la solidarietà di classe” la seconda!
La solidarietà di classe, internazionale collegata alle prigioniere e prigionieri in lotta, ai prigioniere/i
politiche/i è parte integrante di questo concetto di lotta.
La solidarietà di classe, internazionale usata come arma, oggi è scomoda più che mai, proprio perché permette di
collegare la resistenza che i prigionieri portano avanti dietro le sbarre con quella di chi lotta fuori, rafforza e
collega tra di loro le diverse lotte, anche a livello internazionale.
Usiamola, questa arma, perché dal settembre caldo 2013, diventino 100, 1000 mesi caldi, dentro e fuori – uniti nella
lotta di classe!

Winterthur, fine settembre 2013
Andrea Stauffacher, Palmstr. 2 CH - 8411 Winterthur (Svizzera)


CREMONA: SOLIDARIETà E COMPLICITà CON I DETENUTI IN LOTTA
Apprendiamo dai giornali locali che sei nemici delle galere sono entrati nel ristorante “Il Violino” e hanno gettato
addosso agli ospiti secchi pieni di fango misto a letame. Lasciato nel locale un volantino con la scritta: “Stasera i
ricchi mangiano merda”.
Un compagno è stato preso e identificato, ma solidali ci confermano che “In questa azione di solidarietà ai detenuti, il
compagno preso è stato rilasciato bdopo un ora dal suo fermo con i seguenti capi di imputazione: danneggiamento e
deturpamento. Il compagno sta bene! Fuoco alle galere.
Segue il testo del volantino lanciato durante l’iniziativa.

stasera i ricchi mangiano merda!
Tra il 10 e 30 settembre i detenuti in lotta hanno indetto delle mobilitazioni di protesta contro il sistema carcere
all’interno delle patrie galere.
Questo è il nostro modo complice e solidale per attaccare la società carceraria in cui esistiamo ma non respiriamo!
Da una parte i ricchi che mangiano e ingrassano a dismisura, dall’altra segregati di Stato che combattono anche
attraverso lo sciopero della fame e del carrello in alcune carceri e anche in quella di Cremona.
Sappiamo da che parte stare. Dietro quella barricata ci siamo tutte e tutti, oppressi dentro le gabbie e sfruttati
all’interno di questo mondo invivibile.

27 settembre 2013, da informa-azione.info


lettera dal carcere di viterbo
Carissim* compagn*, Fratelli e sorelle carcerat*, torno a scrivervi questa volta non dal carcere di Teramo ma
dall’inferno del Mammagialla di Viterbo. In soli otto mesi sono stato trasferito cinque volte di carcere ed ora inizio a
rompermi i coglioni. Un pacco postale si fa meno giri di me.
Sono consapevole che lo stato mi considera un nemico ma questa è una vera e propria tortura psicologica, non faccio in
tempo ad abituarmi ad un ambiente che sono già in partenza. Per l’ennesima volta utilizzano i loro infami sistemi fatti
di inganni per non farmi ribellare e credere di essere isolato.
Lavatina del 4 ottobre vengo svegliato da un ispettore che esordisce dicendo, “per colpa dei tuoi amichetti ti
trasferiscono”. Inizio a dare di matto e lui cerca di “tranquillizzarmi”, asserendo che sarei stato portato a Pescara,
quindi a soli 60 km; cerco di non fare troppo casino, avevo già preparato le pile da mangiarmi, ma so che tutto sommato
non rta troppo lontano dalla ia amata Teramo.
Scendo in matricola centrale e vengo informato che sarei stato rispedito a Viterbo. Protesto e faccio presente che era
stato stabilito che la mia assegnazione era Teramo. Ma la guardia caccia una carta dove c’è scritto che stavo lì solo
per pochi mesi. Mi cade il mondo addosso! L’ispettore prova a giustificare la mia partenza dando la colpa a chi era
venuto sotto il carcere a sostenere la nostra protesta di settembre.
Il coglione cerca di addossare la colpa ai solidali per spezzare quel ponte che in questi mesi si è creato tra noi
dentro e chi fuori ci sosteneva. Non ci riuscirete mai a mettermi contro i miei fratelli! Figli di…!
Ho provato solo tanta rabbia in quei momenti e questo perché sapevo che i miei famigliari avevano fatto un lavoro
enorme in tanti mesi, riuscendo ad arrivare anche alla Cancellieri, che gli aveva risposto che per i problemi legati
alla malattia di mio padre sarei restato nel carcere della mia città
Sapere che la massima autorità in tema di giustizia aveva preso per il culo delle persone che hanno come loro unica
“colpa” quella di essere i famigliari di un detenuto politico, mi ha fatto capire che queste carogne sono in grado di
fare tutto. Dopo i trasferimenti, isolamenti, blocco della corrispondenza e abusi di ogni tipo, questi, alla luce del
sole, ormai si comportano come si comportavano i fasci con i compagni durante il ventennio.
Possono però sapere da subito che come le migliaia di compagni incarcerati anche io resisterò. Sonio sorretto dalle idee
di libertà e giustizia sociale e per queste sono disposto anche a morire, al contrario di voi cervi dello stato, che
agite solo sotto comando e per un misero stipendio.
Siete al soldo di un sistema fascista, siete i testimoni di migliaia di abusi e la miglior parte di voi ci prova gusto a
vederli e perpetrarli.
Sappiate che un giorno arriverà anche per voi il momento di rendere conto del vostro operato e spero per voi che sarà
dinanzi a Dio e non al Popolo, perché se così sarà non aspettatevi altro che ricevere quello che avete fatto.
Nell’attesa che arrivi questo momento mando un forte abbraccio a voi tutti, soprattutto al fratello Davide che si trova
in regime 14bis a Palermo e che oggi più che mai ha bisogno del nostro sostegno.
Fino alla libertà. Non in passo indietro. Davide

9 ottobre 2013
Davide Rosci, via S. Salvatore 14/b – 01100 Viterbo


sulla solidarietà alla mobilitazione dei detenuti a Trento
In concomitanza con l'inizio della mobilitazione indetta dal "Coordinamento dei detenuti" dal 10 al 30 settembre a
Trento, oltre ad essere comparse scritte e manifesti in diverse zone della città, sono stati calati due striscioni ("10
- 30 settembre solidarietà con i detenuti in lotta") dalla facoltà di sociologia e dal cavalcavia della stazione.
Durante la mobilitazione e nel mese precedente sono stati volantinati ai colloqui i comunicati dei detenuti e delle
iniziative solidali.
Giovedì 19 settembre un presidio solidale ha fatto sentire la propria voce sotto le mura del carcere di Spini di
Gradolo, dove è in corso una raccolta firme contro le condizioni di detenzione e alcuni detenuti avevano aderito anche
allo sciopero della fame. Mercoledì 25 si è invece svolto un presidio informativo in città, con la diffusione del
pieghevole "I tentacoli del carcere: ditte e strutture collaborazioniste o responsabili del funzionamento della casa
circondariale di Spini di Gardolo (Trento)".
Inoltre, secondo i giornali locali, nella notte del 25 settembre il tribunale di Trento sarebbe stato danneggiato con
vernice, sassate contro i vetri, serrature incollate e la scritta "Forza ai detenuti in lotta" (fatto per cui il 2
ottobre tre compagni hanno subito una perquisizione), mentre nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre lo stesso
trattamento sarebbe stato riservato all'edificio che ospita il tribunale di sorveglianza (quì con la scritta
"Solidarietà ai detenuti").
9 ottobre 2013, da informa-azione.info


Lettera dal carcere di perugia
Al Circolo Culturale “Cabana” di Rovereto
Maurizio mi ha raccontato la storia del caro fratello Stefano Frapporti, di cui il circolo ha preso il nome dal suo
soprannome che era “Cabana”.
Un fortissimo abbraccio ai familiari di Stefano, a tutti gli amici e compagni e compagne e ai solidali del circolo,
Maurizio mi ha anche detto che al 21 luglio di quest'anno sono 4 anni che è morto, ma noi non lo dimenticheremo mai
perché lui è sempre con noi.
Cari amici oggi ho ricevuto la vostra straordinaria cartolina con la solidarietà di tutti voi, con un calore tale che mi
dà l'impressione che ci conosciamo da tantissimo tempo, ed è una sensazione bellissima, perché a torto un po' eravamo
disgustati dai nostri simili, ma mi accorgo che io come molti altri stavamo sbagliando tutto, fuori scopriamo che c'è
tanta gente che è solidale e lotta per una vita migliore di chi si trova in difficoltà, e non ha nessuna voce che lo
affianchi nella sua lotta, voi siete la parte più sana del popolo, le vostre idee dovrebbero essere seguite più
coralmente da quella parte del popolo in difficoltà e discriminata perché oppressa dallo sfruttamnto degli uomini di
potere.
Voi avete ragione di urlare il vostro No che oggi è anche il mio a tantissime cose, perché il vostro No è un No sano
piene di buone idee, mentre il sì dei governi, quello delle banche e delle multinazionali, è un sì pieno di insidie,
malsano, è un sì che succhia il sangue al popolo e alla natura, è un sì che distrugge, quindi questo No deve essere
urlato tanto forte da diventare ultrasuono dove non ci sia angolo della terra dove non arriva.
Non mi dilungo raccontandovi il romanzo tragico della mia vita, penso che Maurizio vi ha messo al corrente di tutto, poi
la mia storia potete approfondirla entrando nel mio sito Facebook "Mario Trudu (l'ostativo)". Certo sono degli scritti
messi su da uno ignorante, ma se riuscite a districarvi nei meandri tortuosi della mia esposizione, potete riuscire a
capire cosa ho e sto subendo, in 34 anni da prigioniero di uno "stato" infame e miserabile, spero che in tanti entriate
nel mio profilo o così potete esprimere un vostro commento sul fatto che sono da tanti anni in stato detentivo e delle
mie lotte fino ad oggi solitarie, ovviamente anche voi e i vostri amici, non c'è bisogno di dirvelo potete scrivere
tuttoquello che ritenete giusto e opportuno, anzi più interventi ci saranno più posono smuovere le acque anche sul fatto
della mia lotta per il trasferimento nella mia patria sarda, lotta che si trascina da 10 anni.
Anche se la mia protesta non è stata ascoltata da nessuno, capirete che sono uno che non mi sono arreso, e mai mi
arrenderò, ho già scritto che nemmeno alla morte mi arrenderò figuriamoci a questi meschini di miei simili dispettosi e
vendicativi che ancora mi tengono dentro.
Beh, ora finisco di annoiarvi e vostro fratello vi invia un forte abbraccio a tutti, grazie, sappiate che vi ammiro
molto, a presto carissimi compagni e compagne.
Viva L'ANARCHIA. Il vecchio compagno, Mario.

Prisone de Ispoleto su 9 de cabudanni de su 2013
Mario Trudu, via Maiano 10 - 06049 Spoleto (Perugia)


lettera dal carcere di savona
Da quasi un anno Francesco si trovava sottoposto agli arresti domiciliari in attesa del processo che lo vede imputato
per aver partecipato alla rivolta del 15 ottobre 2011 di Roma. Il 28 settembre è stato riportato in carcere per “aver
infranto le restrizioni”.

Ciao a tutti, sono ormai cinque giorni che mi trovo nel carcere Sant’Agostino di Savona.
Sinceramente sono ancora sconcertato e stupito di trovarmi in questa situazione, non sono di certo il tipo che si fida
della sbirraglia o che ripone fiducia nello Stato e nella sua giustizia, ma resta il fatto che non mi aspettavo un colpo
basso del genere.
La motivazione per cui sono stato trasferito dai domiciliari al carcere è l’aver infranto le restrizioni, in altre
parole l’aver ospitato a casa i miei amici. L’assurdo è che da Febbraio di quest’anno mi è stato revocato il divieto di
comunicare e di incontrare persone diverse dai miei coinquilini. Quindi cosa avrei infranto?
Il carabiniere che ha comunicato al giudice di avermi trovato a casa con i miei compagni nel momento del controllo, che
avveniva sabato 21 Settembre, rifiutò di voler vedere la notifica che specificava la revoca delle restrizioni dicendo
che era tutto a posto e che non ce n’era nessun bisogno. Stando in carcere ho potuto appurare che il suddetto sbirro è
avvezzo ad infamate di questo tipo, ma anche qui non c’è molto da stupirsi.
Fa molto più pensare che un giudice firmi un’istanza del genere senza nemmeno controllare prima gli obblighi ai quali
una persona è sottoposta fino a mandarla dai domiciliari al carcere.
Anche questa esperienza non può far altro che rafforzare i miei ideali e il mio astio verso questa società infame e
sfruttatrice composta da sbirri assassini, giudici sadici e porci politicanti. Non posso far altro che ringraziare i
miei compagni di cella e non solo, che fin da subito mi hanno dimostrato la loro umanità e solidarietà.
Tutto il mio affetto va alle persone a me vicine e alla mia famiglia che da sempre mi supportano e mi danno la forza di
andare avanti.
Vi saluto con la promessa che, se non si risolverà al più presto questa situazione, sarò pronto a combattere anche
chiuso in questo fottuto lager con ogni mezzo a mia disposizione, invitando chiunque a fare lo stesso fuori.
FUORI TUTTI DALLE GALERE, DENTRO NESSUNO SOLO MACERIE
Ciao, Francesco cella 8 sez. 2

Francesco, dopo alcuni giorni passati nel carcere di Savona, è stato trasferito nel carcere di Sanremo e infine in
quello di Rebibbia a Roma.
Per scrivergli: Francesco Carrieri, via Majetti, 70 - 00156 Roma



LETTERA DAI DOMICILIARI
Cari compagne e compagni, non sapete con quale gioia io scriva questa lettera! Il sapere delle tre giornate di lotta
indette per sostenere noi imputati del 15 ottobre 2011 mi riempie il cuore di speranza.
Per anni ci siamo ripetuti lo slogan: “la solidarietà è un arma”; rischiavamo a furia di ripeterlo di farlo diventare
stantio. Per fortuna il comunicato che annunciava le tre giornate ha fatto fare un grande passo per rendere questo
slogan realtà. Perché quand’è che la solidarietà diventa una vera e propria arma? Secondo il mio parere, ispirato a
grandi pensatori rivoluzionari anarchici, la solidarietà è un arma quando non si limita ad assistere ed aiutare i
compagni arrestati ma quando le azioni che li hanno portati nella tenaglia della repressione vengono ripetute senza
farsi spaventare dalla mano pesante della giustizia borghese. Per questo leggere un comunicato così deciso che indice
tre giorni di mobilitazione al grido: “perché la nostra guerra non è finita” non può che riempirmi di euforia e far
sentire questa mia carcerazione inutile allo scopo dei miei aguzzini, fare di me e dei miei coimputati uno spauracchio.
Spero che tutti gli anticapitalisti votati all’azione diretta, alla disobbedienza e al boicottaggio partecipino agli
eventi decisi perché è il momento di iniziare una nuova stagione di lotta dove gli ultimi sono alla base dei gruppi
orizzontali con l’unico scopo di far valere i diritti che ormai sono alla mercé dell’élite economica.
Dobbiamo spostare la dialettica politica dalle stanze del potere alle piazze, fabbriche, valli e quartieri, ovunque
quindi ci sia uno sfruttato da difendere e un padrone da combattere.
La città è un ambiente putrido che cova al suo interno ciò che lo stato e i suoi mastini non possono né prevedere né
tantomeno contenere. La scena mondiale sta dimostrando che la rivolta urbana è diventata un tratto distintivo dei tempi
in cui viviamo. “Basta una scintilla per accendere il corpo della rivolta” dicono il ribelli di piazza Taksim, facendoci
capire l’importanza che può assumere essere presenti in un determinato luogo e momento. Quando l’ordine e il disordine
si fronteggiano. Nessuno può sapere quando, dove e quale sarà la scintilla ovviamente, ma essere sempre presenti e
combattivi nei luoghi dove lo sfruttamento si consuma è di vitale importanza: può essere la difesa di una famiglia dallo
sgombero della sua casa o la difesa di una valle.
Spero che questa tre giorni sia intensa ma soprattutto sia seriamente, come auspicato dai promotori, l’inizio di un
periodo dove grazie alla nostra generosità , fantasia e alle nostre pratiche di lotta riprenderemo il posto che ci
spetta nella difesa degli sfruttati, come sempre senza se e senza ma, non x diventare protagonisti ma solo per spirito
di giustizia sociale.
Prima di chiudere vorrei precisare una mia affermazione iniziale: non vorrei che qualcuno interpretasse questa lettera
come una denigrazione verso coloro che si sbattono per aiutare i compagni arrestati, anzi a loro va tutta la mia stima e
i miei più sinceri ringraziamenti. Non posso esprimere a parole quanto anche solo una lettera di un compagno mi abbia
aiutato durante il mio periodo in carcere. Da il 22 Giugno sono stato scarcerato e sottoposto ai domiciliari e per
questo motivo non posso più spedire o ricevere lettere. Inutile dire che non riesco a comprendere il motivo, se non
quello di farmi stare zitto e solo.
Ora salutandovi e augurandomi che questa tre giorni richiami più compagni possibili voglio abbracciare tutti voi che
siete in piazza con questa lettera: un piccolo gesto di disobbedienza di cui io mi prendo tutte le responsabilità. Non
vedo l’ora di tornare in piazza assieme a voi. Ogni giorno 15 ottobre.
Dayvid Ceccarelli
RACCONTI DA UNA CAMERA DI SICUREZZA
Riceviamo e diffondiamo questa testimonianza che descrive un’esperienza di detenzione nelle “camere di sicurezza”,
dispositivo detentivo di breve termine selezionato dai ragionieri delle pene e dei supplizi come antidoto al cosiddetto
fenomeno delle “porte girevoli”, ovvero l’entrata e uscita dal carcere, in “pochi” giorni, delle persone catturate in
flagranza di reato. Introdotto come blando rimedio al sovraffollamento strutturale e fisiologico dell’apparato
detentivo, si manifesta nella duplice natura di punizione particolarmente afflittiva e di estensione molecolarizzata dei
posti-gabbia, in cui per rispondere alla bulimia del mostro carcerario ogni anfratto deve essere trasformato in sua
appendice da riempire di corpi.

Ciao a tutti compagni anarchici, sono un ragazzo di 32 anni della zona di Reggio Emilia e, causa motivi che qui non
posso spiegare, mi sono trovato in stato di arresto con flagranza di reato alcuni giorni fa; essendo incensurato era la
prima volta che mi trovavo a fare questa drammatica esperienza e sono rimasto profondamente scosso dai metodi che sono
stati applicati per restringere la mia persona, oltretutto senza avere opposto alcuna resistenza all’arresto, e vorrei
quindi il vostro aiuto per rendere disponibili sulla rete maggiori informazioni in merito all’argomento di cui vi voglio
scrivere perché, cercando informazioni io stesso, ho trovato veramente poco in merito e credo sia una pratica
disgustosamente applicata con leggerezza in tutte le zone di Italia (per esempio nella mia “pacifica” Emilia...).
Ciò di cui sto parlando è l’usanza di mettere per due giorni gli arrestati in flagranza di reato nelle cosiddette
“camere di sicurezza” che si trovano all’interno delle caserme dei carabinieri e nelle stazioni di polizia.
Da quello che ho potuto capire ciò è diretta conseguenza del cosiddetto “decreto svuota-carceri” ed è una soluzione
contestata dalle stesse forze dell’ordine anche se con motivazioni differenti da quelle di chi ne è stato vittima.
Questa è dunque la mia testimonianza che spero pubblicherete in prima persona e diffonderete in rete anche attraverso
altri mezzi…
Arrivato in caserma ammanettato dopo l’arresto e dopo essere stato fotografato e prese le impronte queste sono le
procedure attuate su di me.
Mi sono state tolte le scarpe, la cintura dei pantaloni, tutti gli orecchini e gli occhiali (nonostante il vetro
infrangibile e nonostante sia praticamente cieco senza il loro ausilio, mi è stato detto che tanto era buio e non c’era
nulla da vedere) e sono stato inserito in questa camera di circa 3 metri per 3 illuminata unicamente da una luce
artificiale fissa (nessuna differenza tra giorno e notte, alle 13.30 pensavo fossero le 20.30) proveniente da dietro una
grata posta sopra una porta di ferro munita di spioncino.
Ho chiesto, per sopportare l’ansia dovuta al trauma dell’arresto e alla situazione di isolamento, di poter avere
qualcosa da leggere (sono davvero molto miope ma da vicino mi posso arrangiare a leggere con un po’ di sforzo) e ho
ricevuto, con estrema fatica ed essendo quasi esploso in lacrime, una rivista dell’arma che mi è stata tolta poche ore
dopo (aggiungo che mia madre mi ha portato un libro che è stato rifiutato categoricamente) non avevo diritto a nessun
tipo di uscita temporanea e per andare in bagno dovevo farmi aprire da almeno due guardie, se una era di pattuglia
dovevo aspettare o farla tornare di urgenza, e fare i miei bisogni con la porta aperta.
Il “letto” era una piastra di materiale duro con un sottilissimo materasso e tre coperte di lana grezza il tutto lercio
e puzzolente all’inverosimile, il pavimento era di cemento grezzo e irregolare sul quale ho consumato entrambi i calzini
girando in tondo per ore al fine di alleviare il senso di claustrofobia e l’ansia che mi impedivano di dormire, causa
anche la durezza del letto che impediva qualsiasi posizione comoda a causa delle ossa che cozzavano contro di esso.
L’unico modo che avevo di uscire oltre ad andare in bagno erano alcuni minuti semiclandestini offerti da alcuni ragazzi
che facevano la guardia ma evidentemente erano turbati loro stessi dalla mia situazione e che mi hanno trovato in non
più di un paio di occasioni una sigaretta e mi hanno accompagnato in un bagno adiacente a consumarla.
Non è stato permesso ai miei familiari di vedermi nemmeno dietro lo spioncino e non mi sono stati somministrati i miei
farmaci per la gastrite; invece sono riuscito a ottenere il metadone senza troppa difficoltà devo dire.
Più in generale le misure adottate mi hanno causato un fortissimo stress emotivo che andava oltre quello dell’arresto e
della detenzione (seppur di sole 48 ore) poiché l’unica distrazione che potevo avere era il girare ossessivamente in
tondo in uno stato di cecità e in un ambiente sporco e insalubre.
Credo sia chiaro che la sicurezza e la salvaguardia della persona arrestata con tutto questo non ha nulla a che vedere e
che questa prassi ha un carattere evidentemente punitivo, infatti se in un primo momento non pensavo a nulla di
autolesionistico, in queste condizioni ho meditato più volte di mordermi la lingua o crearmi un trauma cranico sbattendo
con la testa contro le pareti e sperando in questo modo di essere tirato fuori e portato al pronto soccorso. Mi sono
sentito sepolto vivo per 48 ore e oltretutto nello stato mentale in cui ero sono venuti a pormi delle domande alcuni
ufficiali ventilandomi la possibilità di una sigaretta se gli davo le informazioni che volevano (informazioni che avrei
dovuto eventualmente fornire solo in presenza del mio avvocato e, ritengo io, in uno stato mentale il più possibile
normale) ma la sigaretta non mi veniva invece data e, anzi, alcuni ragazzi scoperti a fornirmela sono stati anche
leggermente rimproverati.
In tutta questa spiacevole situazione devo dire che non mi è stata fatta violenza fisica e che i ragazzi che mi hanno
fatto la guardia, pur obbedendo agli ordini, hanno mostrato il massimo dell’umanità che gli era possibile, biasimo
invece, come ho già scritto, gli ufficiali di cui sopra che mi hanno interrogato in quello stato come fossi un asino con
davanti una carota.
Mi viene da piangere al timore di essere messo ancora lì dentro quando mi arresteranno nuovamente tra due mesi in
seguito a una seconda fase delle indagini, spero che sia vero che se il reato non è in flagranza questa misura
restrittiva particolare non si applichi, perché preferirei mille volte passare 48 ore in un carcere vero che non in
quella camera che con la sicurezza ha davvero poco a che fare e molto ha invece in comune con la punizione e la perdita
di dignità.
Spero che nel vostro piccolo mi aiutiate a far pervenire questa mia all’opinione pubblica e la usiate nei modi più
opportuni mettendola in evidenza ovunque vogliate, magari correggendo gli errori che ho sicuramente fatto scrivendo a
quest’ora del mattino e in modo concitato, vi chiedo solamente di non divulgare il mio nome perché sono ancora
minacciato ampiamente da ulteriori repressioni che non sono però conseguenza azioni di politiche (nulla di violento
comunque, solo azioni dettate dalla situazione economica e di salute mie e della mia famiglia) quindi la mia persona in
se non ha nulla di interessante, credo sia invece “interessante” il fatto che nel nostro paese si applichino con tale
leggerezza e all’insaputa della maggioranza della popolazione metodi come questo che sfiorano la tortura e che
sicuramente predispongono le persone al suicidio e all’autolesionismo; io sono una persona che non ha mai sofferto di
claustrofobia, ho sempre avuto un certo controllo sulla mia emotività e gli spazi chiusi in se non mi hanno mai
spaventato, ma in questo caso mi sono sentito davvero trattato come una bestia in gabbia e ho letto che anche altre
persone e addirittura il sindacato delle forze di polizia riportano il dato di fatto che sia preferibile il carcere alla
camera di sicurezza dal punto di vista della dignità umana, dunque non sono le lamentele isolate di qualcuno
particolarmente fragile ma una situazione oggettivamente degradante contro la quale bisognerebbe qualcuno si ergesse.
Da una camera di sicurezza di Reggio Emilia
30 settembre 2013, tratto da informa-azione.info


bologna: “FUORILUOGO” IN UN’AULA DI TRIBUNALE!
Venerdì 11 ottobre 2013, dalle 15 presso il tribunale di Bologna, andrà in scena la prima vera udienza dibattimentale
del processo per l’operazione “Outlaw” che vede 21 compagni imputati dell’accusa di aver dato origine ad
un’“associazione a delinquere finalizzata all’eversione dell’ordine democratico”.
Un’inchiesta “contro la minaccia anarco-insurrezionalista” della procura di Bologna che nell’Aprile 2011 aveva portato
ad arresti, allontanamenti e alla grave chiusura dello Spazio di Documentazione Fuoriluogo.
Concretamente ciò che l’accusa mira a sostenere è che l’essersi distinti per l’impegno speso nelle lotte (contro Cie,
carceri, nucleare, tav, guerra e sfruttamento) da parte degli attuali imputati farebbe di loro i promotori o i
partecipanti ad un’associazione a delinquere. La posta in gioco è evidente: se in questo processo la tesi di
associazione a delinquere per colpire le lotte degli anarchici passa potrà essere utilizzata contro chiunque lotti e si
organizzi un domani. Segue il resoconto delle udienze dell’11 e del 18 ottobre.

L’11 e 18 ottobre 2013 si sono tenute le prime due udienze dibattimentali del processo contro i compagni e le compagne
del Fuoriluogo, frutto dell’operazione repressiva “Outlaw”.
La partecipazione di solidali in aula è stata, in particolare per la prima udienza, davvero molto numerosa riuscendo a
creare uno spazio a parte, uno spazio di forza al fianco degli imputati e delle imputate in assoluto contrasto con la
meschina farsa organizzata al centro della scena.
Dopo la deposizione del geometra Giuseppe Mazzitelli trascrittore delle intercettazioni, un uomo sull’orlo di una crisi
di nervi per le difficoltà incontrate nell’encomiabile lavoro svolto: “è stato difficilissimo… ore e ore per dare un
senso a ciò che sentivo… costruire una frase con sostantivo, verbo e complemento” (son anarchici, che ci vuoi fare?), è
il turno di Antonio Marotta.
Il vicequestore Antonio Marotta, coordinatore dell’inchiesta della digos, testimonia interrogato dalla pm Morena Plazzi.
Nella prima udienza i due, pm e vicequestore, danno spettacolo con domande raffazzonate e risposte balbettanti che
rasentano, fino a raggiungerlo, il patetico. La testimonianza si risolve in un lungo elenco, partito dal 2006 e che si
ferma per questa prima udienza a dicembre del 2008, di “malefatte” del gruppo del Fuoriluogo: manifestazioni non
autorizzate, cortei organizzati in città e fuori per i quali nessuno di loro è stato per altro denunciato, presidi,
volantinaggi e momenti di tensione in strada per i quali alcuni si sono beccati accuse e/o condanne per resistenza.
A qualcuno dei presenti, dopo ore di ascolto, viene da chiedersi se il processo per terrorismo non si stia per caso
svolgendo in un’altra aula. Comunque, a questo riepilogo si arriva secernendo il materiale di ore di dichiarazioni
fumose in cui i due tentano di spiegare perché proprio contro di loro, gli anarchici del Fuoriluogo, siano partite le
indagini e le intercettazioni con due microspie all’interno del locale, una su un’auto e una videocamera all’esterno.
Dopo attacchi all’Unicredit l’attenzione si è concentrata contro il gruppo, sostengono. Ma mai verrà detto che per
questi attentati nessuno di loro è stato incriminato. Cercano di dare sostanza all’accusa di associazione a delinquere
dicendo che non tutti al Fuoriluogo avevano le chiavi e che per entrare… occorreva suonare. Lo ripetono dai tempi
dell’udienza al Tribunale del Riesame, aprile 2011, come se ciò potesse costituire una prova inconfutabile del fatto che
il Fuoriluogo era un covo. Per supportare l’aggravante di eversione dell’ordine democratico, tentano di definire gli
imputati anarco-insurrezionalisti, ma sostenendo che loro stessi si definirebbero tali. Qui danno il via al delirio
conclamato, su domanda della giudice il teste cerca per lungo tempo una presunta e mai trovata intercettazione, nella
quale si dovrebbe celare la prova cercata. Poi parte per la tangente e fa riferimento a un incontro a Piombino a cui
alcuni degli imputati avrebbero, forse!, partecipato e dove erano state trattate questioni tipicamente ed esclusivamente
anarco-insurrezionaliste… carcerario e, niente di meno, antifascismo. Davanti a tanto, insorge pure la giudice che fino
a quel momento aveva più e più volte imboccato i due barcollanti protagonisti dello show per trarli d’impaccio, dicendo
che no, questo proprio no, l’antifascismo è di tanti. La pm allora tenta il recupero e dichiara che c’è modo e modo di
esserlo e quello degli imputati è senz’altro… esitazione… “cattivo”. Infine si perdono, i due, inesorabilmente e la
giudice aggiorna in anticipo rispetto ai tempi l’udienza al 18 ottobre aggiungendo: “così c’è il tempo per tornare più
preparati”.
Al secondo venerdì di dibattito, la pm arriva più vispa e precisa nelle domande. Partono, i due, con la descrizione
delle solite “malefatte”, ma questa volta del 2009 e 2010. Poi, evidentemente si stancano anche loro e interrompono
bruscamente dopo il giugno 2010 senza arrivare al 2011. Nel resoconto Marotta mente vistosamente, racconta di mai
realizzati cordoni con bastoni contro la polizia in occasione di un presidio il 12 dicembre 2009 davanti alla sede di
Forza Nuova (che non chiama con il suo nome ma come generico movimento di destra), del fatto che quel giorno al presidio
c’erano solo loro, gli anarchici fuoriluogo (caso raro in città, erano presenti tutte le cosiddette realtà di
movimento), di partecipazioni a cortei con caschi inesistenti, di travisamenti in cortei non meglio specificati mai
rilevati nelle carte, di prove inconfutabili rispetto al possesso di martelli usati contro una mensa universitaria
portando come elemento l’esistenza di filmati di una mera presenza in un reparto vendita della Decathlon (che neppure
vende martelli di quel genere) di due degli imputati, di sequestri di caschetti per edilizia al Fuoriluogo spacciandoli
come caschi di altro genere e di altre innumerevoli scorrettezze su indagini mai partite, denunce mai arrivate e
processi in realtà mai tenuti o nei quali gli imputati sono stati addirittura assolti. Non si sprecheranno nemmeno a
portare sostegno alla tesi dell’associazione a delinquere e della suddivisione in capi e sottocapi se non con la storia
delle chiavi, di una mail in uso “statisticamente” prevalente ad una delle imputate, dei soliti libri di Bonanno
ritrovati, dell’area (ma Marotta dirà imperterrito: “aria”) di appartenenza e della assoluta differenza di pericolosità
rispetto ad altre aree (“arie”, ovviamente). Arriverà a sostenere, su domanda di uno degli avvocati, che nessuno, a
parte quelli del Fuoriluogo, ha mai scritto nella storia volantini in cui si sollecita a reagire contro i soprusi e gli
omicidi della polizia. Solo loro lo hanno fatto, in un volantino trovato, per altro, appeso a una colonna.
Inizia con alcune domande, oltre a quella riportata, sull’apertura al pubblico del Fuoriluogo che mettono in difficoltà
Marotta costretto a rispondere che bastava suonare per farsi aprire, il controinterrogatorio degli avvocati. La giudice
rende sin da subito difficile porre domande al teste con continue opposizioni sulla forma… non sarà semplice
interrompere l’atmosfera ciarliera da tè delle cinque in un salotto privato tra giudice, pm e teste che si è respirata
fino ad ora.
Si proseguirà nella prossima udienza di venerdì 15 novembre (dalle ore 12 al tribunale di via Farini, 2 a Bologna).

Anarchiche e anarchici a processo
22 ottobre 2013, da informa-azione.info


ARRESTI A ROMA: CONTINUA L’OPERAZIONE CONTRO GLI ANARCHICI
Nel pomeriggio di mercoledì 18 Settembre alcune squadre dei carabinieri del Ros si sono introdotte nelle abitazioni di
quattro ragazzi/e dei Castelli Romani. Sono state portate a compimento perquisizioni e sequestri di oggetti personali e,
con l’accusa di associazione a scopo terroristico, sono stati arrestati due giovani: Adriano e Gianluca, ai quali
vorrebbero ricondurre azioni firmate da diverse sigle, sono ora in cella di isolamento nelle carceri romane. L’articolo
usato questa volta è il 270bis del codice penale in materia di antiterrorismo che recita “associazione con finalità di
terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordinamento democratico”. A solo un mese dalle mobilitazioni
previste a Roma e in tutto il paese la macchina repressiva si è messa in moto scatenando la solita bufera mediatica
della disinformazione e dell’allarmismo preventivo. I due ragazzi, che come migliaia di altri abitanti dei Castelli
Romani sono scesi in piazza per mobilitarsi contro la messa a profitto dei territori, potranno esser visti dalle
famiglie solo tra qualche giorno. In attesa di ulteriori informazioni invitiamo tutte e tutti ad attivarsi per portare
solidarietà agli arrestati per non farli sentire soli. Terrorista è chi ogni giorno mette in pericolo la salute di
migliaia di persone per costruire piccole e grandi opere di profitto, chi sfrutta ogni giorno migliaia di persone sul
lavoro quando restano ormai solo poche famiglie ad arrivare alla fine del mese, è chi reprime e uccede nelle strade e
nei quartieri restando impunito, chi sta colonizzando e devastando ogni giorno di più i nostri erritori in nome del
dio denaro.
La nostra arma è la solidarietà. Tutte e tutti fuori dalle galere.
ADRIANO E GIANLUCA LIBERI SUBITO

Per scrivere:
Iacovacci Gianluca, Regina Coeli, Via della Lungara, 29 - 00165 Roma
Adriano Antonacci, CC di Ferrara, Via Arginone, 327 - 44122 Ferrara

Compagni/e e amici/e dei Castelli Romani
da inventati.org/rete_evasioni


Roma: sugli arresti durante manifestazione del 19 ottobre 2013
Durante la manifestazione di sabato 19 ottobre 2013 a Roma e nello specifico durante le cariche avvenute in via XX
Settembre dinnanzi il Ministero dell’Economia e delle Finanze e in un breve episodio a Porta Pia, sono stati effettuati
10 fermi.
Tra questi, 6 ragazzi/e sono stat* infine arrestat*. Il reato loro contestato è quello di resistenza pluriaggravata.
Mercoledì 23 ottobre, alle ore 10,30 nel carcere di Regina Coeli, avrà luogo l’udienza di convalida dell’arresto in cui
sarà il PM Luca Palamara a svolgere le funzioni dell’accusa e il Gip Riccardo Amoroso a giudicare la loro posizione.
Invitiamo tutti e tutte a partecipare ad una presenza solidale dalle ore 10 sul Lungotevere Farnesina c/o Ponte Mazzini,
davanti l’ingresso del carcere, al fianco dei 4 ragazzi e delle 2 ragazze sotto accusa. Non lasciamo nessu@ sol@ davanti
la repressione.

21 ottobre 2013, da inventati.org/rete_evasioni

Mercoledì, sono stati tutti/e scarcerati/e.


CONTI CHE NON TORNANO?
Sul processo per il ferimento dell’AD di Ansaldo Nucleare
2 anni passati dall'ultimo incidente ad una centrale nucleare, Fukushima, un numero mai calcolato ed incalcolabile di
morti, feriti e contaminati, danni a livello globale che la comunità tecnico-scientifica, il governo e la stampa
giapponesi ed internazionali cercano maldestramente di celare, fino all'ultima farsa tragica dei prossimi Giochi
Olimpici in Giappone con cui la propaganda vorrebbe rifare il belletto ad un territorio devastato, mortifero ed
impraticabile.
Un numero mai calcolato di fusti di scorie radioattive dispersi e stillanti morte e veleni tra le campagne di Saluggia e
Trino Vercellese, a ridosso del bacino del Po vestigia dell' ultima centrale nucleare dismessa in territorio piemontese,
quella di Trino Vercellese. Un regolare passaggio di treni carichi di scorie nucleari destinate al riprocessamento
(leggi riuso) tra il Nord Europa, L'Italia il corridoio della Val di Susa e la Francia.
Un gruppo industriale, la Finmeccanica, con interessi diversificati tra cui nel Nucleare ad uso civile(manutenzione
delle già esistenti e costruzione di nuove centrali nucleari) nella produzione e traffico di armi e sistemi di controllo
nelle nuove frontiere di espansione (centrali nucleari in Romania, traffico d'armi con l'India, solo per fornire qualche
plateale esempio) oltre che il tipico esempio di truffa,corruzione, sfruttamento, connaturati a qualsiasi espressione
del dominio e del capitale. Interessi diversificati che arrivano fino ad accordi con l'Università, attraverso borse di
studio e finanziamenti di progetti, col duplice scopo di indirizzare da subito la ricerca verso fini militari e creare
“accettazione” o peggio indifferenza e commistione con tali meccanismi.
Con la nomina di De Gennaro a presidente di questa holding, il cerchio si chiude. Capo della polizia e del Dipartimento
pubblica sicurezza nei giorni del G8 di Genova del 2001,in seguito ad una promozione, De Gennaro arriva a Finmeccanica
dopo esser stato sottosegretario ai Servizi Segreti.
In una città come Genova dove Finmeccanica e Ansaldo sono prese in considerazione dall'opinione pubblica soprattutto per
le notizie relative alla cessione delle quote aziendali... quasi avulsi dalle loro responsabilità nel mondo...
Un progettista di centrali nucleari, un paladino di una clamorosamente falsa e fallace sostenibilità dell'utilizzo del
nucleare ad uso civile, nonchè amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, gruppo Finmeccanica, Roberto Adinolfi,
ferito da un colpo di pistola sotto casa sua, il 7 maggio 2012 , azione rivendicata dal nucleo Olga della Federazione
Anarchica Informale.
Due compagni, gli anarchici Nicola Gai ed Alfredo Cospito, risponderanno il 30 ottobre 2013, tribunale di Genova, all'
accusadi attentato con finalità di terrorismo per il suddetto ferimento.
Salutiamo con gioia e rabbia chi si oppone alle devastazioni perpetrate dal dominio e a testa alta continua a
rivendicare valore ed efficacia delle pratiche di lotta e critica reali.
30 0ttobre, dalle ore 8.30 presenza solidale con Alfredo e Nicola al tribunale di Genova, via 4 novembre.
19 ottobre 2013
da nidieunimaitres@gmail.com


Solidarietà a Herrira colpita da arresti e repressione
Questa mattina in Euskal Herria una grossa operazione repressiva ha portato all’arresto di 18 persone appartenenti a
Herrira, l’organizzazione per la liberazione delle prigioniere e dei prigionieri politici baschi.
Centinaia di agenti della Guardia civil spagnola hanno fatto irruzione negli uffici di Herrira ad Hernani, Bilbao,
Iruñea, Gasteiz e in alcune abitazioni.
Le accuse mosse contro i compagni e le compagne sono per ‘incitamento al terrorismo’, ‘appartenenza a banda armata’ e
finanziamento di ”‘anda armata’. Più semplicemente fanno riferimento all’organizzazione degli ongi etorri, atti politici
che festeggiano il ritorno a casa de* prigionier* che hanno finito di scontare la pena ed escono dal carcere.
Contestualmente l’audiencia Nacional ha ordinato la chiusura di tutte le sedi di Herrira, dei siti internet, FB e
Twitter e dei suoi conti correnti bancari.
La spagna è solita procedere con operazioni del genere, troppo spesso ha messo fuori legge giornali, radio, partiti,
associazioni e collettivi giovanili. Sono ancora in corso processi giudiziari con accuse simili a quelle di oggi per
appartenenza a quelle strutture. Mentre Eta cessa definitivamente l’attività armata, e la sinistra indipendentista ha
aperto un processo democratico di trasformazione interna, per la spagna il tempo sembra non passare.
Herrira non è una piccola struttura militante, ma una delle organizzazioni più larghe e rappresentative dell’intero
Paese Basco. Attraverso un discorso pubblico tenta da anni di portare avanti campagne per il rimpatrio delle prigioniere
e dei prigionieri politici baschi. Anche il nostro comitato ha collaborato con Herrira, organizzando lo scorso anno a
Roma e a Teramo delle iniziative con uno dei loro portavoce.
Fin da ora si stanno tenendo mobilitazioni in diverse città per manifestare ancora una volta l’infame politica spagnola
volta a frammentare la lotta della popolazione basca, attraverso repressione, tortura, leggi speciali e complicità
internazionali.
Ci uniamo alla rabbia dei compagni e delle compagne basche, complici e solidali con gli arrestati e le arrestate, per la
liberazione di tutt* i prigionieri e le prigioniere politiche basche. Lander Libero! Tutti Libere! Borroka da bide
bakarra!

30 settembre 2013, da uncasobascoaroma.noblogs.org


SOLIDARIETÀ AGLI IMPUTATI PER LA LOTTA ALLA BENNET DI ORIGGIO
Lunedì 7 ottobre 2013 sono riprese presso il Tribunale di Busto Arsizio le udienze del processo che vede imputati 20
compagne e compagni del sindacalismo di base e del Coordinamento di sostegno, solidali con la lotta dei lavoratori delle
cooperative in appalto ai magazzini Bennet di Origgio iniziata nel mese di luglio del 2008 e durata diversi mesi.
Una dura lotta autorganizzata, risultata vincente, che ha conquistato un deciso miglioramento delle condizioni salariali
e normative, che ha rotto l'onnipresente condizione di sfruttamento e schiavitù presente negli appalti della logistica,
che ha costretto la cooperativa datrice di lavoro a reintegrare un operaio arbitrariamente licenziato per l'adesione al
sindacalismo di base e che ha visto tutti i lavoratori riappropriarsi di quanto negli anni sottratto loro in termini di
diritti, salario e sicurezza.
Intendiamo denunciare l'essenza prettamente politica delle accuse contestate a un intero movimento di sostegno delle
lotte dei lavoratori delle cooperative che, proprio a partire dalla lotta di Origgio del 2008, si è sviluppato e
radicato nell'intero settore della logistica e della distribuzione italiano, confrontandosi con un sistema fondato su
rapporti di lavoro schiavistici e di sfruttamento dove il caporalato (più o meno legale) disciplina in maniera
fortemente autoritaria la manodopera impiegata.
Non è un caso che le comunicazioni di rinvio a giudizio siano arrivate dopo tre anni e mezzo dagli scioperi di Origgio,
proprio mentre si stavano diffondendo le lotte dei lavoratori nel settore della logistica (Esselunga, Ortomercato
Milano, il Gigante, DHL), con accuse pretestuose per intimidire i lavoratori e i solidali. A ciò si aggiunge, durante le
prime udienze del processo in corso, anche la costituzione di parte civile di Bennet, dell'Italtrans e delle cooperative
appaltatrici con richieste di risarcimento del mancato guadagno durante gli scioperi, come monito e deterrente ulteriore
per le lotte in corso.
La logistica è divenuto un sistema sempre più centrale e strategico per l'economia italiana, nel quale l'accumulazione
del profitto e la valorizzazione del capitale impiegato da committenti e appaltatori sono il risultato di ritmi di
lavoro disumani, della pressoché totale assenza di sicurezza e dell'assoluta precarietà dei rapporti di lavoro. Ma è
proprio in tale contesto che i lavoratori addetti hanno costruito un percorso autorganizzato nel quale si riconoscono
quali protagonisti diretti per la rivendicazione dei propri diritti, nel quale l'unità e la solidarietà tra lavoratori,
seppur di diversi poli e con differenti committenti, è perseguita e praticata nel riconoscersi parte attiva di una
medesima classe.
Ecco allora che le lotte degli operai della logistica, soprattutto se immigrati ricattati dalla necessità del Permesso
di Soggiorno, assumono un valore strategico sia per tutti i lavoratori che per lo Stato, per i padroni, per le
multinazionali che sullo sfruttamento intensivo di questa forza lavoro costruiscono le proprie strategie politiche ed
economiche.
Sono questi gli strumenti che, nell'attuale momento di acuta crisi strutturale del capitalismo, rivelano in tutta la sua
brutalità l'aggressione di classe portata dal padronato: peggioramento delle condizioni di lavoro, ricatti,
licenziamenti politici, pestaggi della polizia, violenza da parte di capi, capetti e caporali, fogli di via, uso
strumentale e complice della Commissione di Garanzia per l'arbitraria estensione degli stringenti limiti imposti dalla
legge sullo sciopero nei servizi essenziali (cd. legge antisciopero) anche alle operazioni di movimentazione merci.
Come sempre, non si tratta affatto di una “tragedia inevitabile”, ma di una chiara e complessiva scelta strategica dei
padroni e dello Stato per ottenere sempre più profitto e superare la crisi mantenendo intatti il loro potere e la loro
ricchezza. Tutto ciò con l'esiziale connivenza dei sindacati concertativi (CGIL in testa) esemplificata, in tutta la sua
dirompenza, nel recente accordo interconfederale sulla rappresentanza che regolamenterà, con una decisa stretta in senso
autoritario, le procedure per la sottoscrizione dei contratti collettivi e la costituzione delle rappresentanze
aziendali escludendo dalla formazione i sindacati non firmatari e le organizzazioni dissenzienti e prevedendo sanzioni
per scioperi e azioni di contrasto agli accordi raggiunti.
E' quindi evidente che questa lotta, come le numerose altre che si sono succedute in questi anni, non potevano che
determinare anche la reazione violenta di un padronato colpito nel proprio comando assoluto sulla forza lavoro. Risposta
che non poteva peraltro ottenere che complicità, appoggio e sostegno dalle forze di polizia contro i lavoratori e contro
chi pratica in maniera militante la solidarietà di classe.
Rimaniamo convinti che, in una fase di crisi strutturale dell'economia capitalista, ogni conflitto sia da valorizzare e
generalizzare per sviluppare un'alternativa reale alla società capitalista.
No alle nuove schiavitù, contro il razzismo padronale e di stato, contro la criminalizzazione di chi lotta, contro
l'attacco al diritto di sciopero, a sostegno di tutte le lotte dei lavoratori delle cooperative. La solidarietà è
un'arma, usiamola!
Presidio al tribunale di Busto Arsizio durante le udienze nei giorni:
lunedì 28 ottobre ore 10,30/12,30; lunedì 18 novembre ore 10,30/12,30; lunedì 2 dicembre ore 9,30/11,30; lunedì 16
dicembre ore 12.

23 ottobre 2013, da sicobas.org



Turchia: fuga dal carcere
A 18 prigionieri del Partito del Lavoro del Kurdistan (PKK) è riuscita la fuga dal carcere di Bingol nella provincia
orientale turca. Secondo l’informazione ufficiale i prigionieri sarebbero fuggiti attraverso un tunnel scavato
dall’esterno. Nelle carceri turche sono rinchiusi circa 10mila kurdi sotto l’accusa di “appartenenza al PKK”.

26 settembre 2013
da jungewelt.de