indice n.53
Il nuovo piano della NATO
grecia: Nuove disposizioni della legge “anti”- terrorismo
L’Europa avrà il suo Muro anti-immigrati
Gheddafi batte cassa
Torino: Capodanno al CIE
Parigi: Bruno arrestato e incarcerato
Tunisia: il popolo grida"non abbiamo più paura"
lettera dal carcere di macomer (nu)
Lettera dal carcere di catania
lettere dal carcere di cremona
lettera dal carcere di torino
Lettera dal carcere di Carinola (CE)
Lettera dal carcere di Opera (mi)
lettera dal carcere di cagliari
Lettera dal carcere di Chiavari (ge)
Da una lettera dal carcere di Nuoro
milano: Resoconto presidio di dicembre sotto S. Vittore
Livorno: dal presidio sotto il carcere per la morte di Yuri
Ivano trasferito ad Alessandria
Due parole sul 14 dicembre a Roma
padova: DISTRUZIONI AL C.P.O. GRAMIGNA DA PARTE DEI “SOLITI NOTI”
a proposito dello sgombero di Cardano al Campo (va)
rho (mi): sgomberata la fornace
Comunicato dei perquisiti in seguito ai fatti di Gemonio
Aggiornamenti dal processo agli arrestati il 10 giugno 2009
Torino: Sangue soldi, pummarola… sei anarchici a giudizio
Scoperta infiltrata nei movimenti genovesi
milano: Microspie e macrostronzi
Firenze: trovate microspie
Teramo: Fogli di via e sorveglianza speciale a 5 compagni/e
milano: CONTRO IL MERCATO DELLA NUOVA SCHIAVITÙ
è cominciata la lotta a varedo (monza)
torino: L'ACCORDO DI MIRAFIORI
fiat serbia: Zastava Auto, Ultimo Atto
Il nuovo piano della NATO
1) Nella sua Conferenza al vertice svoltasi a Lisbona il 19 novembre scorso, la NATO ha approvato il suo "nuovo piano strategico" (NPS), il terzo dalla fine del sistema bipolare. Il primo venne deciso nel 1991, epoca in cui la NATO oscillava fra l'ebbrezza della vittoria e la crisi di identità. Nel 1999, nel mezzo dei suoi bombardamenti contro la Jugoslavia, la Nato giustificò nel secondo NPS quel che nel frattempo da anni aveva praticato: "Out of area"ossia “interventi fuori dall'area”, per l'affermazione degli interessi imperialisti o geopolitici, come si dice in modo raffinato oggi. Allora la NATO si trovava allo zenit del potere grazie alla coesione delle sue alleanze politiche e della sua potenza economica e finanziaria dei suoi stati membri. Nel decennio successivo, il violento cambio del regime in Afghanistan, in violazione del diritto internazionale delle genti, il susseguente "conflitto armato non-internazionale", sempre in Afghanistan, unito alle lotte interne alla NATO, hanno rafforzato le forze centrifughe, che determinarono gli USA nell'assalto all'Irak. In questa situazione il terzo NPS ha, fra l'altro, anche una funzione di rifondazione della propria identità. Dalla fine della Guerra Fredda la NATO detiene un ampio arsenale bellico, che spazia dall'astratto al concreto, pronto ad offrire alle popolazioni degli stati membri le motivazioni sulla presunta indispensabilità dell'alleanza e del suo modo d'agire.
L'NPS 2010, è vero, concede che il territorio dell'alleanza non è esposto a nessuna minaccia convenzionale, considera comunque la formazione di nuovi centri di potere economici e militari come una minaccia potenziale della "sicurezza euro-atlantica". Questa tuttavia è soltanto una contraddizione apparente: con il termine "sicurezza euro-atlantica" non si intende infatti la sicurezza del territorio europeo occidentale e nord americano, ma bensì la sicurezza materiale e gli interessi strategici di una parte dei confini dell'alleanza.
2) Il cambio osservabile da anni - dall'ordine mondiale monopolare a quello multipolare - certamente minaccia l'egemonia globale degli USA, mette in pericolo le strutture euro-atlantiche. La NATO si difende dalle limitazioni che conosce il predominio occidentale e dal rifiuto del capitalismo occidentale assieme al suo codice di valori. In questo contesto sono osservabili altri campi di rischio e minaccia: il terrorismo internazionale, la proliferazione di armi per lo sterminio di massa, gli attacchi su Internet, l'interruzione delle vie di transito del commercio e dell'energia, la necessità crescente di energia, i mutamenti climatici, la penuria di acqua ecc. Nei capitoli "Sicurezza attraverso la gestione della crisi" e "Esigenza della sicurezza internazionale attraverso la cooperazione", la NATO sottolinea la propria pretesa ad essere potenza imperialista dell'ordine mondiale. Allo stesso tempo indirettamente essa concede che "dove possibile e se necessario", si impegnerebbe a ritirare il proprio potenziale. Oltre a ciò essa segnala generosamente il multilateralismo cooperativo nei confronti di altri stati rilevanti, dell'ONU e dell'UE, ed anche questo significa che si è indebolita. La NATO ad ogni modo non è aperta e pronta al sincero multilateralismo. Quel che essa desidera è una crescente cooperazione bilaterale - ad hoc e permanente, cioè, secondo i suoi bisogni e sempre sotto la sua direzione.
3) In fondo oggi l'UE conserva la propria rivalutazione come "partner strategico" della NATO. La stessa militarizzazione dell'Europa, dagli USA fino a ieri era considerata con scetticismo (se non addirittura come tentativo europeo di emancipazione dalla NATO), adesso viene espressamente indicata come progetto concorrenziale alla NATO di fronte alla provata posizione egemonica degli USA. In primo piano qui si fa avanti la ripartizione del carico da sostenere - gli USA dal punto di vista imperiale sono "overstretched", eccessivamente estesi. Le offerte di partnership all'ONU non valgono come riconoscimento dell'ONU, quale organizzazione mondiale determinante nella concezione della difesa e della ricostruzione della sicurezza collettiva: La NATO vede l'ONU come attore fra tanti: nel bisogno coopera e si accorda. Insomma, è un rapporto in cui è chiaro chi è il cuoco e chi il cantiniere.
4) Offerte alla Russia si trovano tanto nell'NPS che nella "Dichiarazione comune della Commissione NATO-Russia". Entrambi i documenti parlano di "significato strategico" della cooperazione e di "grado di cooperazione in direzione di una vera partnership". Altri passi in questa direzione l'NPS li fa dipendere dall'atteggiamento favorevole della Russia nei confronti della NATO, che si assume il compito di verificare tutte le condizioni. Tuttavia nei confronti della Russia esistono ancora dei punti interrogativi, fra cui, il fatto che Mosca accetti la politica della "porta aperta", ossia, l'estensione ad est della NATO con l'inclusione dell'Ucraina e della Georgia.
La difesa missilistica, in origine pianificata come progetto nazionale degli USA, adesso deve essere ricostruita dalla NATO ampliata. Nella ricerca e per lo sviluppo di un simile progetto la NATO lavora già da anni, ma fino ad ora non è ancora stato chiarito se la difesa missilistica sia tecnicamente fattibile e capace a coprire l'intero territorio della NATO. Dall'NPS emerge che deve essere costruito un simile sistema di difesa, ma se esso sia tecnicamente realizzabile (le stime considerano una spesa di oltre 20 miliardi di euro), resta come non mai nel dubbio. Come sempre conta lo scopo politico: la NATO deve consolidarsi attraverso il progetto comune. Però quest'ultimo tecnicamente non funziona e potrebbe concludersi in un boomerang, poiché, come dicono le esperienze, gli stati membri abbandonano a causa degli enormi carichi finanziari: l'unione dell'alleanza potrebbe subire ulteriori danni.
Non è stato anche chiarito come la Russia possa essere inclusa. Nella "Dichiarazione comune della Commissione NATO-Russia" è stata soltanto riportata un'ampia analisi comune sugli spazi di una futura cooperazione per sviluppare la difesa missilistica. La Russia non si lascia intrappolare in un'avventura tecnica costosissima. Resta tuttavia escluso, che a causa di ciò, si interrompa l'attuale avvicinamento fra NATO e Russia e che l'alleanza nord-atlantica riceva ulteriori stimoli.
5) La "politica dell'armamento atomico" con lo scopo di uno "global zero" è stata sepolta dall'NPS: fino a quando nel mondo esistono armi atomiche la NATO sarà, cioè adesso, anche una potenza nucleare. Considerata con più attenzione l'affermazione "global zero" di Obama aveva null'altro che il significato di facciata di un mondo libero dalle armi atomiche a svantaggio degli USA (in quanto devono compiere il primo passo nel disarmo atomico). A Lisbona l'ostinato punto di vista di Obama è stato tradotto dalla NATO come disarmo nucleare mondiale. Poiché essa vuole disporre di armi nucleari a lungo, fino a quando esistono queste armi, allora esisteranno armi nucleari fino a quando la NATO ne dispone. Questa politica non condurrà al disarmo nucleare.
La NATO nei prossimi dieci anni elaborerà un nuovo "NPS"? Non lo vedo possibile. Avverto piuttosto sintomi che essa possa essere trasformata in un involucro vuoto. Se l'economia e la reputazione degli USA continuano a indebolirsi, ciò avrà conseguenze sul loro ruolo di direzione nell'alleanza. Il crescente inasprimento della concorrenza fra la Germania e i partner dell'UE da una parte e gli USA dall'altra, non viene interrotta dalla durata del discorso politico sulla sicurezza. La Russia, in quanto esportatrice di materie prime conquista influenza e buona accettazione in Europa occidentale. La proposta di Putin di una zona di libero scambio da Lisbona a Vladivostok è stata salutata con favore dal capitale industriale e finanziario tedesco. Soltanto il conservatorismo di una parte della politica tedesca rifiuta di riconoscere i segni del tempo.
dicembre 2010
fonte: webmaster@sopos.org - Alexander S.Neu
grecia: Nuove disposizioni della legge “anti”- terrorismo
Il 26 Agosto 2010, in una sola seduta, il Governo Greco ha fatto passare il secondo più importante emendamento della legge sul terrorismo, o così chiamata legge “anti”-terrorismo del 2001 (il primo emendamento era stato apportato dal precedente governo di destra nel 2004), estendendo il suo campo di applicazione, in modo tale che ogni forma di resistenza contro il regime possa essere considerata terrorismo.
Questa specifica legge (3875/2010) classifica come atto criminale terroristico qualsiasi dimostrazione, occupazione e danneggio di proprietà. Crimini, questi, per i quali i dimostranti di manifestazioni di massa sono già spesso accusati e persuguiti dalla giustizia. La differenza ora, è che dall’approvazione della legge in poi, coloro accusati di questi atti saranno portati davanti alla “giustizia” come terroristi.
La causa del rafforzamento della legge sul terrorismo è la promulgazione da parte della Grecia del Protocollo di Palermo, emanato nel 2000 durante un convengno delle Nazioni Unite, con il pretesto di affrontare il “crimine transnazionale organizzato”. Il protocollo introduce l’idea di “terrorismo” come il principale nemico del mondo moderno. Sebbene fossero passati 10 anni, nessun governo greco si era assunto la responsabilità per la sua ratificazione. Ora, il governo di George Papandreou non solo ratifica il protocollo in questione, ma introduce anche un secondo emendamento, che prevede maggior cambiamenti per la legge sui crimini e in particolare per il cosiddetto “anti”-terrorismo.
Le nuove dsposizioni sono state votate nel Parlamento Greco dal partito al potere PASOK e dall’opposizione NEA DIMOKRATIA (nuova democrazia). Il partito di estrema destra LAOS (popolo) ha invece votato contro questi emendamenti, chiedendo norme più restrittive sia contro il “nemico interno” che contro gli immigrati.
Gli emendamenti alla “terror law” sono:
1. Fino ad ora veniva punito “chiunque crea o è membro di un gruppo strutturato con azioni sostenute di tre o più persone (organizzazione) e tenta di commettere più crimini”. Il “e” è stato sostituito con “il quale”, eliminando così l’elemento soggettivo della colpa e sostituendolo con l’elemento obiettivo collettivo. Non ha alcuna importanza che l’accusato volesse commettere o abbia effettivamente commesso il crimine: è sufficiente che l’organizzazione ne avesse l’intenzione. Il sistema legale greco fino ad ora non aveva ancora previsto l’ “intento obiettivo”, ma ora, nel nome della “lotta contro il terrorismo”, è stato introdotto anche questo. La responsabilità collettiva è ora perseguitata in nome della legge, dimostrando così ancora una volta quanto siano permeabili i confini tra democrazia borghese e fascismo.
2. Ora anche un gruppo disposto a commettere crimini (quali ad esempio: blocco del traffico, danneggiamento aggravato, ecc.) può essere classificato come organizzazione “terroristica”. In questo modo, coloro che saranno arrestati in una manifestazione militante, a cui generalmente vengono attribuiti questi reati, potranno essere processati come “terroristi”. Potranno solo ricevere pene minori se comparati a coloro che commettono crimini. Lo stesso succede per colui che è accusato di “dirigere” tale gruppo, il quale può essere giudicato come “leader” anche solo per mezzo di una sentenza ridotta. Il “leader” di un gruppo stabilito per commettere crimini, può essere punito con almeno 10 anni di reclusione.
3. Il circolo di membri di un gruppo può ora includere coloro che simpatizzano col gruppo stesso e colo che aiutano a commettere atti che la legge chiama “crimini”. In accordo con la nuova legge: “Chiunque dia importanti informazioni o mezzi materiali con lo scopo di aiutare o rendere più facile la commissione di crimini, è punito con una sentenza fino a 10 anni di reclusione”. Infatti la nuova legge rende chiaro che uno può essere incriminato con l’ “irrilevanza del/per la commissione di un qualche crimine, come previsto nel paragrafo 1”. Questo significa che se tu dici ad alcuni manifestanti (“terroristi” secondo le autorità): “Attenti! La polizia viene da quella parte”, se offri una mascherina a qualcuno per avere un minimo di protezione dai gas lacrimogeni, se dai riparo o qualsiasi tipo di aiuto a coloro che lottano contro il sistema, ebbene, potrai essere giudicato come “associato ai terroristi” e mandato in prigione per anni, perfino 10!
4. Inoltre, a fianco del “prendendo parte ad una struttura organizzata”, ora troviamo anche il reato di “minaccia”. Nell’art. 187a del codice penale troviamo un emendamento che afferma che “colui che minaccia seriamente di commettere un crimine e provoca così terrore, può essere sottoposto ad un giudizio fino a 2 anni di prigione”. L’arbitrarietà è ora senza alcun limite, dato che è apertamente e chiaramente perseguita l’opinione personale e individuale e solo l’intenzione di commettere un crimine. E visto che le autorità considerano “crimine” e “terrorismo” ogni forma di resistenza contro di loro, qualcuno potrebbe dire, estremizzando, che l’annuncio di una dimostrazione o di un’occupazione causa terrore, così che gli organizzatori potrebbero essere arrestati e messi dentro, come conseguenza della nuova legge “anti” terrore.
5. Per assicurare la massima apertura del circolo di “sospetti”, è stata abolita la disposizione della legge del 2004 che dice: “commettendo uno o più crimini fra quelli contenuti nei precedenti paragrafi, non è commesso atto terroristico se risulta dal tentativo di portare ad un regime democartico o proteggerlo o ristabilirlo o da un tentativo di azione per la libertà […] o si intende esercitare un diritto fondamentale personale, politico, sindacale o un altro diritto”. Questa previsione teoricamente preveniva la giuria dal perseguire credenze e atti politici o sindacali. Ora, con l’abolizione di questo articolo, non c’è neppure più un appiglio.Non è questa forse una dittatura?
6. Con la legge precedente la corte poteva accettare testimoni anonimi, ma era costretta a rivelare il nome del testimone, qualora questo venisse richiesto dall’accusato o da una delle parti in causa. Ora invece la corte può negarne la rivelazione, se offre una spiegazione razionale della sua decisione. Questo in pratica significa che qualcuno peò essere mandato in prigione come “terrorista” per diversi anni, in base alla testimonianza di qualcuno che non potrà mai vedere o sentire per poterne confutare la testimonianza. Con ciò vengono oltrepassati anche i tottalitarismi più duri e malati. La resistenza è chiamata “terrorismo”, è perseguita come crimine con l’aiuto di alcuni testimoni, i quali molto probabilmente non verrano mai conosciuti – sempre che esistano veramente e che abbiano effettivamente alcuna relazione con il caso. Inoltre potranno anche essere aiutati ad espatriare. In questo modo, la persistente domanda da parte dei servizi di intelligence americani per l’uso di “informatori anonimi” – che in accordo con i prototipi americani sono effettivamente degli “agenti segreti” – viene soddisfatta. E’ ovvia la tendenza ad omogeneizzare la repressione da parte delle autorità di diverse parti del mondo, e della società totalitaria che stanno preparando.
Si deve inoltre evidenziare che il Protocollo di Palermo apre la strada ad altre misure di repressione, come l’indurimento della detenzione per coloro che sono accusati di “terrorismo”. L’art. 11, paragrafo 4, prevede un diverso status per il rilascio casuale o condizionato di persone condannate per questo tipo di reati. Afferma che “ogni stato membro deve assicurarsi che il suo decorso e revisione prenda in considerazione la serietà dei reati contenuti in questa disposizione, quando si tratta di persone convinte di quello che hanno fatto”.
Lo stato vuole terrorizzare e paralizzare la nostra resistenza creando il pericolo di essere arrestato e processato per terrorismo. Funzionerà quando arriveranno le prime forti reazioni. Coloro che hanno provato ad ingannarci condannando i 2 poliziotti assassini Korkoneas e Saraliotis, non sono cambiati affatto. Non hanno esitato a condannare per terrorismo dei minorenni a Larissa nel Dicembre 2008. Non esiteranno a farlo ancora per spaventarne tanti altri.
Tutti questi cambiamenti avvengono in silenzio, con i mezzi di comunicazione che per una volta ancora affermano il loro ruolo. Solo pochissimi giornalisti hanno fatto accenno alle nuove disposizioni, e anche questi hanno criticato il governo solo per aver mal condotto la questione.
Questa non è una legge per il vantaggio e il beneficio generale. E’ un tentativo di protezione del dell’arsenale repressivo dello stato contro il “nemico interno”. La democrazia totalitaria si sta preparando contro una rivolta sociale. Stanno cercando di cambiare i significati delle cose in accordo con gli interessi dei potenti, e di farci familiarizzare con questi cambiamenti. Cercano di rompere la catena di solidarietà che ci unisce e di farci vivere nella paura, nel terrore.
Fonti: actionforliberty.wordpress.com,www.eksegersi.gr, athens.indymedia.org
L’Europa avrà il suo Muro anti-immigrati
Pattugliatori, cannoniere e motovedette non saranno più sole nella guerra contro i migranti che bussano alle porte dell’Unione europea. Christos Papoutsis, ministro greco alla “protezione dei cittadini” ha annunciato in un’intervista alla Athens News Agency (ANA) che la Grecia pianifica la “costruzione di una rete divisoria ai confini con la Turchia per impedire l’ingresso di immigrati illegali”. La struttura presa a modello è quella del cosiddetto “muro della vergogna” realizzato in California, Arizona, Nuovo Messico e Texas lungo la frontiera con il Messico: la barriera greco-turca sarà lunga 206 chilometri e dotata di sofisticati sensori elettronici e strumenti per la visione notturna. Uomini armati di tutto punto presidieranno 24 ore al giorno il muro di lamiere e filo spinato con l’ausilio di veicoli terrestri ed elicotteri. Per chi riuscirà a superare la nuova trincea militare tra la “civile” Europa e l’ignoto universo del Sud ci sarà la deportazione in uno dei tanti campi-lager che popolano i centri di frontiera dell’Unione.
“In Grecia viene intercettato attualmente il 90% degli attraversamenti illegali dei confini dell’Unione europea”, affermano i rappresentanti di Frontex, l’Agenzia per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea. “Nella prima metà del 2010 sono stati registrati dalle autorità greche 45.000 attraversamenti illegali dei confini nazionali”, aggiunge Frontex. “È in atto uno spostamento rapido e brutale dei luoghi di passaggio delle frontiere marittime verso la frontiera terrestre greco-turca a nord del Paese. Si tratta in particolare di afgani o migranti arrivati dall’Algeria e da altri paesi del nord Africa, dal Pakistan, dalla Somalia e dall’Iraq”. Donne e uomini in fuga dunque da guerre, repressioni e dai bombardamenti dell’alleanza atlantica, il cui flusso - nonostante gli allarmi terroristici dei governi - non assume assolutamente le caratteristiche dell’esodo di massa. Sempre secondo Frontex, lo scorso anno il numero di attraversamenti illegali delle frontiere marittime tra la Grecia e la Turchia ha subito una riduzione del 16% rispetto all’anno precedente, mentre quelli attraverso le frontiere terrestri di Grecia e Bulgaria sono crollati del 40%. La “pressione” al confine con la Turchia è dunque frutto di un cambio delle rotte migratorie nel Mediterraneo e nell’area sud-orientale del continente, complice la politica di contrasto iper-militarizzata dell’Ue e dei partner nord-africani.
Christos Papoutsis non ha chiarito se l’Unione è stata informata del programma di allestimento del “muro” anti-immigrati con la Turchia , ma appare poco credibile che la decisione sia stata assunta unilateralmente dal governo greco. Lo scorso mese di novembre, a seguito di una richiesta dello stesso ministro per la “protezione dei cittadini”, Frontex ha deciso d’inviare ad Orestiada, nella regione della Tracia, 175 specialisti dei Rapid Border Intervention Teams (RABIT) le squadre di intervento rapido create per essere utilizzate “in situazione d’emergenza nei momenti di forte flusso migratorio”. “L’intervento dei RABIT serve ad accrescere i livelli di controllo e sorveglianza al confine esterno della Grecia con la Turchia e le aree vicine”, spiegano gli alti funzionari di Frontex. “Si tratta del primo invio in uno stato membro dell’Ue dalla creazione dei RABIT nel 2007. Tutti gli uomini operano sotto il comando e il controllo delle autorità di polizia greche. Sono armati, ma potranno usare le loro armi solo per autodifesa. Si tratta di specialisti ed esperti in attività d’intelligence, screening di documenti falsi, ingressi clandestini, controlli di frontiera, auto rubate, perquisizioni con l’ausilio di cani”. I RABIT coordinano il loro intervento con la Joint Operation Poseidon, l’operazione terrestre e marittima anti-immigrati lanciata da Frontex nel 2006 ai confini tra Grecia, Bulgaria e Turchia.
Congiuntamente ai 175 specialisti, Frontex ha trasferito in Grecia attrezzature tecniche e di supporto logistico: tra esse un elicottero, 9 autobus, 19 fuoristrada da pattugliamento, una serie di visori termici e notturni. Le apparecchiature sono state messe a disposizione da Austria, Bulgaria, Danimarca, Germania, Romania e Ungheria, ma i costi totali degli interventi verranno assunti collegialmente da tutti i membri dell’Unione. Programmata inizialmente per durare solo due mesi, a fine anno la missione RABIT è stata prorogata sino al 3 marzo 2011.
[...] Amnesty International, in un rapporto pubblicato nel luglio 2010, ha documentato il grave trattamento subito dagli immigrati detenuti nei campi e nei posti di polizia di frontiera. “Scarse se non inesistenti sono le possibilità di accedere all’assistenza sanitaria, sociale e legale”, scrive l’organizzazione per i diritti umani. “La detenzione prima dell’espulsione può durare fino a sei mesi per i richiedenti asilo e i migranti irregolari. Essi non vengono informati circa la durata della loro detenzione o sul loro futuro. Possono essere trattenuti per lunghi periodi di tempo in strutture sovraffollate dove i minori non accompagnati sono detenuti insieme agli adulti”. Amnesty ha inoltre raccolto diverse denunce di maltrattamenti a danno dei migranti da parte della guardia costiera e della polizia greca. Uno dei campi visitati nel giugno 2009 dalla ONG è quello che sorge nei pressi di Soufli, a pochi chilometri dalla città di Oristiade, attualmente “monitorato” dai RABIT di Frontex. “Più di 40 tra uomini e donne sono tenuti separatamente in due celle che sono piccolissime e sudice”, scrive Amnesty. “Non ci sono abbastanza materassi per tutti e i detenuti devono dormire in posizione seduta o nei bagni. La luce naturale e la ventilazione sono insufficienti. È stata denunciata la presenza di scorpioni, insetti e serpenti all’interno delle celle. Segni di morsi di insetti sono visibili nelle braccia e nelle gambe di alcuni degli immigrati”.
Frontex è stata fondata con decreto del Consiglio d’Europa nel 2004 e la sede centrale è stata insediata a Varsavia nell’ottobre dell’anno successivo. Scopo ufficiale, quello di “assistere gli Stati membri in materia di formazione delle guardie di frontiera, seguire gli sviluppi nel settore della ricerca relativi al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne, offrire il sostegno necessario per organizzare operazioni congiunte di rimpatrio”. Frontex è l’agenzia che più di tutte ha visto crescere rapidamente la propria disponibilità finanziaria: da un bilancio di 6 milioni di euro al momento della sua attivazione, Frontex ha avuto a disposizione risorse per 88,3 milioni nel 2009. Nell’ultimo bilancio operativo, il 55% dei fondi disponibili è andato alla gestione delle operazioni marittime per l’individuazione delle imbarcazioni illegali di migranti, anche se “solo il 38% del numero totale di intercettazioni di clandestini nell’area operativa è avvenuto in mare, mentre circa il 62% ha avuto luogo sulla terraferma”. L’11% del bilancio 2009 è stato assegnato invece alle “attività di formazione del personale” mentre il restante 18% è stato diviso per “la cooperazione in materia di rimpatri” e “le operazioni alle frontiere terrestri”. Sono state proprio le attività di rimpatrio ad assorbire l’aumento più significativo del bilancio 2009. “Il numero di voli di rimpatrio cofinanziati ed effettuati è raddoppiato, passando da 801 a 1.622 rimpatriati e da 15 a 32 operazioni congiunte di rimpatrio”, si legge nell’ultimo rapporto di Frontex.
Che proprio la Grecia costituisca il baricentro di buona parte delle attività anti-immigrati dell’agenzia europea viene confermato dal processo di decentramento avviato da poco dall’agenzia. Nel 2009 Frontex ha attivato un “centro di coordinamento internazionale” al Pireo e quattro “centri di coordinamento locali” a Lesvos, Samos, Chios e Leros. Nell’ottobre 2010 è stato invece aperto ad Atene l’“Ufficio operativo regionale Frontex per il Mediterraneo” in cui è presente personale proveniente da Italia, Grecia, Cipro e Malta. La struttura opererà per un periodo di prova di nove mesi “per verificare la necessità e l’opportunità di rafforzare ulteriormente la presenza regionale dell’agenzia”.
5 gennaio 2011
da antoniomazzeoblog.blogspot.com
Gheddafi batte cassa
Martedì 30 novembre. Gheddafi, dalla tribuna della conferenza tra l'Unione Africana e UE, chiede soldi. E tanti. Non è la prima volta che il leader libico batte cassa: lo aveva già fatto il 30 agosto in occasione della sua visita in Italia per il secondo anniversario della stipula del trattato di Bengasi. Era trascorso un anno dalla firma degli accordi sui respingimenti in mare. L'argomento è sempre lo stesso: se volete un cane da guardia alle porte del Mediterraneo dovete pagare. Cinque miliardi di euro è la sommetta che Gheddafi pretende dall'Unione Europea, chiedendo una "maggior cooperazione tra Africa ed Europa" sul modello dell'intesa tra Italia e Libia.
Per essere più persuasivo Gheddafi usa gli stessi argomenti dei leghisti, descrivendo la Libia come unica barriera verso un continente pronto a riversarsi in Europa come un fiume in piena. Una barriera insanguinata, costellata di morti senza tomba, immonde
galere, mercanti d'uomini.
Da quando il governo italiano e quello libico hanno firmato l'accordo, migliaia di immigrati, profughi, richiedenti asilo sono stati intercettati nel Mediterraneo e ricacciati indietro, verso l'inferno da cui provenivano. […]
La collaborazione tra Libia ed Italia per il contrasto dell'immigrazione risale al 2003: le prime motovedette, assieme ai soldi necessari a pagare i voli di rimpatrio e tre campi di prigionia sono arrivate allora. Nel 2004 veniva promulgata la legge n. 271, che attribuiva al Ministero dell'Interno la possibilità di finanziare la realizzazione, in paesi terzi, di "strutture utili ai fini del contrasto di flussi irregolari di popolazione migratoria verso il territorio italiano". Il governo Prodi nel 2007 si assunse l'impegno di regalare a Gheddafi altri pattugliatori. Gli ultimi tre sono stati consegnati il 10 di febbraio di quest'anno. Il contrasto attivo dell'immigrazione, in barba alle convenzioni sui rifugiati, profughi e richiedenti asilo, è una costante della politica estera dell'Italia da un governo all'altro.
Il 13 settembre del 2010 uno dei mezzi donati a Gheddafi intercettò un peschereccio siciliano e aprì il fuoco: per poco non ci scappò il morto. A bordo della motovedetta libica c'erano sei finanzieri italiani. Le dichiarazioni ufficiali sostennero la tesi che si fosse trattato di un "errore": i marittimi italiani sarebbero stati scambiati per "clandestini". Vien da chiedersi quanti altri "incidenti" si siano verificati nel Mediterraneo.
I quotidiani in questi giorni si sono concentrati sulle "rivelazioni" di Wikileaks su Gheddafi e Berlusconi. Che Silvio e Muammar siano due puttanieri non è una novità per nessuno. Cosa abbiano significato gli accordi italo-libici per migliaia di uomini e donne invece lo sanno in pochi. Gli altri, quelli che non hanno voce, li hanno incisi indelebilmente nella loro carne.
Sulle galere libiche vi suggeriamo di rileggere il reportage pubblicato nel febbraio dello scorso anno sul blog Fortresse Europe. […]
dicembre 2010
da senzafrontiere.noblogs.org
Torino: Capodanno al CIE
Torino 1 gennaio 2011. Due blindati, due grupponi di poliziotti e finanzieri in assetto antisommossa e un folto nugolo di digos piazzati attendevano gli antirazzisti venuti a fare i fuochi di capodanno davanti al Centro di corso Brunelleschi.
In mattinata era arrivata la notizia che, grazie alla "direttiva rimpatri", la normativa europea entrata in vigore il 24 dicembre, sei immigrati accusati di non aver ottemperato al decreto di espulsione, sono stati rimessi in libertà.
A Natale i reclusi avevano raccontato ai microfoni di radio Blackout di un pranzo a base pasta fredda e immangiabile. Nel pomeriggio del 31 dicembre quattro grosse borse piene di cose buone sono state consegnate ai reclusi delle quattro sezioni "operative" del Centro, la rossa, la verde, la viola, la gialla. Sorrisi e complicità hanno accolto il dono, specie nella sezione femminile.
In contemporanea, da un balcone di fronte, ben visibile dall'interno del CIE, è stato appeso uno striscione bianco con la scritta "Freedom": un fumogeno rosso lo ha reso ben visibile. Allo scoccare della mezzanotte davanti al muro del Centro sono partiti slogan e battiture. Libertà, libertà, libertà. E poi i fuochi, i petardi, i fumogeni. Quelli dell'antisommossa si sono spostati lesti lesti un po' più in là. Gli antirazzisti, numerosi nonostante il freddo, si sono fatti sentire ancora più forte.
Un lungo anno è appena trascorso. Fuori e dentro le gabbie è cresciuta la resistenza: a noi tutti l'impegno perché non sia troppo in là un tempo senza muri e senza gabbie.
gennaio 2011
da www.senzafrontiere.noblogs.org
Parigi: Bruno arrestato e incarcerato
A gennaio 2008 si apre l'inchiesta antiterrorista dell'"affare dei fumogeni". Bruno è accusato di "trasporto e detenzione di prodotti incendiari o esplosivi", per essere stato arrestato in possesso di fumogeni artigianali mentre raggiungeva la manifestazione davanti al CIE di Vincennes (leggi l'opuscolo tradotto dal francese "Cattive Intenzioni").
A gennaio 2008 aveva già passato 4 mesi e mezzo di carcere preventivo, a luglio dello stesso anno decide di non sottoporsi più alle misure cautelari. Da allora viene emesso un mandato di cattura nei suoi confronti.
L'istruttoria avrebbe dovuto essere chiusa alla fine del 2010. Lunedì 20 dicembre Bruno è stato arrestato a Parigi e per il momento è stato incarcerato nella prigione di Fresners (periferia di Parigi).
23 dicembre 2010
fonte: nantes.indymedia
Tunisia: il popolo grida"non abbiamo più paura"
Tunisia: 17 dicembre 2010, Mohamed BOUAZIZI giovane laureato e disoccupato, con un gesto disperato si dà fuoco dopo il sequestro del suo banchetto di frutta, fonte della sua stentata sopravvivenza. Questo fatto diventa immediatamente la miccia che scatena la ribellione dei giovani, degli uomini e delle donne, contro il regime corrotto di BEN ALI che da 1987 sfrutta, opprime e affama il popolo tunisino per favorire gli interessi della borghesia locale che insieme ai loro complici imperialisti Europei e Americani controllano e sfruttano le ricchezze del paese. Non è casuale che la rivolta tunisina dura da un mese, essa è la reazione a una sfacciata contraddizione che dura da molto tempo, che ha polarizzato la ricchezza in poche mani (corrotti complici del regime, capitalisti, mafie e borghesi locali, multinazionali Occidentali) riducendo alla fame, alla disoccupazione e alla miseria la maggior parte della popolazione e chiunque osava minimamente protestare assaporava immediatamente la dura violenza della polizia.
La Tunisia ha conosciuto negli ultimi anni diverse rivolte, ultima quella del 2008, ferocemente repressa nel sangue, ma oggi grida "non abbiamo più paura","lavoro, dignità e libertà" è il grido dei giovani di Sfax, di Sidi Bouzid, di Biserta, di Tunisi, contro lo Stato poliziesco e dittatoriale di Ben Ali, un grido nella ricca Avenue Bourghiba che fà paura e fà scappare quella minoranza corrotta che in questi anni è ingrassata alle spalle della sofferenza del popolo tunisino. Un grido che fà anche paura a tutti i regimi del Nord Africa (Algeria, Egitto, Marocco ..) A questo grido ci uniamo anche noi, perchè sia più forte, perchè si estendi con più forza! La solidarietà con i popoli sfruttati e oppressi ci chiama! La loro lotta è la nostra!
Sportello Sindacale SI COBAS per Lavoratori Immigrati:
Piazza Republica (Porta Palazzo) domenica ore 11-14, V.Baveno, 23 Torino lunedì ore 16-20
Info tel. 329 98948927/348 2640440 - collegamenti.lottasolidarieta@gmail.com
lettera dal carcere di macomer (nu)
Ciao, ti ringrazio per la tua lettera e il tuo interessamento della mia vicenda. Ti mando due fotocopie di articoli di giornale. Li c'é tutto. Purtroppo dopo la condanna mi hanno riportato di nuovo in Sardegna. Da quel giorno non ho più visto le mie figlie, e mia moglie. Loro non possono venire a trovarmi per tanti motivi. Basta sapere che sono diventati clandestini; gli hanno tolto il permesso di soggiorno dopo 7 mesi dal mio arresto, tre bambini nati qui e cresciuti qui. Ho chiesto di avere una possibilità di un trasferimento per un mese in un carcere del nord (Asti, Vigevano, carceri di appoggio per noi classificati Alta Sorveglianza 2), per avere la possibilità di vedere la mia famiglia (colloquio); fino ad oggi nulla. Non ho ricevuto neanche una risposta dal DAP. Nell'ultima lettera ricevuta da mia moglie, mi ha detto che la figlia piccola (5 anni) chiede sempre come mai non possiamo andare a trovare papà. Aiutala te a trovare la risposta (ti invio il suo numero di telefono).
Nota: a Milano il 12-01-2011 ci sarà un processo contro Ben Mabrouk Adel, viene da Guantanamo.
(lettera firmata)
Macomer, 30 dicembre 2010
Lettera dal carcere di catania
Cari compagni/e, ho voluto dare un titolo a questa lettera, facendo riferimento alla bilancia, figura che spesso compare in molti tribunali, come senso di giustizia e di precisione, dietro cui si nascondono vigliaccamente e disonestamente coloro che decidono le nostre sorti. Tutti noi sappiamo che quel simbolo giorno dopo giorno viene oltraggiato e disonorato, poiché nessuna giustizia e precisione viene applicata nei nostri tribunali, specie in quelli di sorveglianza, dove vi sono assegnati magistrati fanatici, con seri problemi mentali, incapaci di relazionarsi e di confrontarsi con la gente e con i nostri difensori.
Magistrati a cui lo stato ha dato semplici compiti nell'applicare quel vecchio codice Rocco che oggi, 2010, dovrebbe già essere stato riscritto, perché superato. Magistrati che giorno dopo giorno, animati di protagonismo, sadismo, sete di gratuita vendetta, autonomamente, in barba alla povera gente e allo stato, si sono arrogati il potere di dare una "interpretazione personale" a ciò che sono gli articoli di legge, una sorta di modalità illegittima che costantemente inasprisce le nostre pene e porta in carcere innocenti.
Ogni magistrato oggi interpreta la legge a suo piacimento con poteri che, come si apprende da tv e mass media, nemmeno lo stato riesce più a togliergli e che gli si sono rivoltati contro.
Carceri affollati che scoppiano, in condizioni igieniche disastrose, con una sanità operante solo sulla carta, che, altro non è che uno sporco business, dove magistrati onesti dovrebbero far luce; trattamenti disumani, cibo insufficiente, niente acqua calda, niente termosifoni, dove ti tocca pagare anche l'aria che respiri.
80 mila detenuti a fronte di una capienza di 45 mila, numeri destinati ad aumentare.
Per zittire gli animi e qualche associazione, è stato deciso di dare un contentino. Pochi giorni addietro è stata approvata la legge che dà la possibilità a coloro che devono scontare l'ultimo anno, di poter usufruire della detenzione domiciliare. Ma anche in questo caso ecco presente il famelico magistrato, il beneficio è a sua discrezione, deciderà lui a seconda di pregiudizi, antipatia e simpatia, quanti ne usciranno? Sicuramente molto pochi ed è certo che dopo pochi mesi le carceri saranno nuovamente al collasso. Inoltre, senza nulla togliere a chi ha diritto a questo beneficio, perché non dare qualcosa anche a chi deve scontare di più? Perché questa disparità? Perché, tra l'altro non è il mio caso, non abolire la pena dell'ergastolo che altro non è che una pena di morte camuffata?
Purtroppo non cambia nulla ed è proprio vero che, fatta la legge si trova l'inganno.
Colgo l'occasione per dare La mia solidarietà al compagno Antonino Faro attualmente sotto sequestro per mano degli aguzzini del carcere di Carinola; ho avuto modo di conoscerlo, pur se per breve tempo, in uno dei nostri lager italiani. E' ormai certo che l'Italia e il potere in Italia sono in mano a pm e magistrati che lavorano sporco e in modo disonesto, anche se è pur vero che ci sono quelli onesti, umani e imparziali, purtroppo in minoranza, contrariamente a come si pensa. E proprio quella frangia di magistratura marcia che gode delle nostre sofferenze che uniti dobbiamo combattere con ogni mezzo e così riacquistare la dignità e i diritti che abbiamo da molti anni perso.
Un fraterno saluto a tutti.
(lettera firmata)
4 dicembre 2010
lettere dal carcere di cremona
Prima di tutto vorrei ringraziarvi per avermi risposto […] vi faccio anche i miei più sinceri auguri di buon anno nuovo.
La mia situazione qui è drammatica, non ho nessun famigliare e non ho nessuno che mi sostiene moralmente ed economicamente. Sono dentro perché accusato e condannato a 3 anni, con espulsione, per "spaccio di stupefacenti" oltre ad una multa di 12 mila euro. La condanna è troppo dura, anche l'avvocato mi ha mollato perché nessuno l'ha pagato. Ho voluto fare l'appello, ma ho trovato tante difficoltà. Le leggi cambiano spesso, ogni guardia ti dice una cosa diversa.
Sto soffrendo in carcere. Sono venuto dal sud, dove lavoravo nei campi agricoli di Salerno. Sono venuto al nord per cercare lavoro e mi sono trovato in carcere dopo aver tanto sofferto dormendo fuori e nei giardini pubblici nonostante il freddo e la pioggia. E adesso ho solo che mi aiuta e voi […] Volevo anche chiederevi sul periodo tra primo grado e appello, perché qui ognuno dice una cosa diversa. Sono stato arrestato il 20 febbraio 2010 e condannato il 6 giugno dello stesso anno. Non so che strada devo fare per nominare un avvocato e per fare appello. Vostro amico Samir, buone feste e auguri.
4 dicembre 2010
Lakhmiri Hicham, v. Palosca, 2 - 26100 Cremona
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Cari compagni, vi scrivo per farvi sapere che qui a Cremona abbiamo apprezzato molto il vostro ultimo presidio, con il quale ci avete regalato un po' di umanità.
Qui purtroppo le situazioni non cambiano, mancano gli educatori e quei due che ci sono non chiamano quasi mai per le chiusure delle sintesi.
Faccio decine di domandine per parlare con loro, assistenti sociali, direzione sanitaria, direttore, ma nessuno di loro risponde alle nostre necessità, sono arrivato a pensare che le stesse domandine vengano cestinate.
Faccio continue richieste di trasferimento per essere riavvicinato a casa, dove purtroppo sono incorsi problemi seri, che da qui non riesco ad affrontare. Continuo a pensare alla famiglia, moglie e bambini, questo perché hanno purtroppo avuto un provvedimento di sfratto, cosa che non sarebbe successa se un giudice non mi avesse revocato i domiciliari perché superavo i 2 anni di pena.
Quando ero ai domiciliari avevo trovato un'occasione di lavoro, dovevo avere il colloquio per previa assunzione, ma il giorno antecedente il colloquio mi hanno ricondotto in prigione, rovinando così la mia situazione famigliare ed economica.
Lo stato, la magistratura se ne infischiano se così facendo rovinano le famiglie… non mi sento di continuare perché provo un immenso senso di vuoto interiore.
Spero che continuiate con i presidi a darci la forza necessaria per non crollare, visto che grazie a voi non ci sentiamo completamente abbandonati. Un caro saluto a tutti voi.
(lettera firmata)
13 dicembre 2010
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Ciao ... sono Angelo dal lagher di Cremona, sono molto felice che tu ti sia ricordata di me, veramente mi ha fatto molto piacere. Il 5 dicembre eravamo con voi, ascoltavamo le verità sulle condizioni che ci sono dietro le mura.
Rispondo alla tua domanda sulle biblioteche del carcere, è pressochè scadente, confusionaria perchè non trovi mai libri a cusa del disordine di non catalogazioni e quindi il più delle volte ne esci a mani vuote, poi sono in condizioni pessime.
Sono felice che sia stato bloccato il ricorso della discarica d'amianto, è un altro traguardo raggiunto con la costanza nel fare sentire le vostre voci.
Sono pienamente solidale con gli studenti che manifestano contro la riforma Gelmini, una riforma che farà regredire le università italiane e il diritto agli studi, perchiò concordo nella continuazione delle manifestazioni. Per tutto ciò vi chiedo di continuare a manifestare, di portare le voci degli oppressi, a chi di dovere.
Si le riviste arrivano, e per quanto riguarda le cure mediche, lasciamo perdere, "inesistenti". Ora ti saluto e ti mando un forte abbraccio e un caloroso saluto.
(lettera firmata)
dicembre 2010
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[…] Purtroppo qui i problemi sono sempre gli stessi, "dal vitto all'acqua", pensate che due volte la settimana la nostra cena sono: due uova bollite, pure marce all'interno, e gli altri giorni una scatola di formaggini. Questo è solo una piccola parte del mantenimento in fatto di cibo che ci danno.
Ora vi mando un grande saluto e un grosso abbraccio a tutti, Angelo.
26 dicembre 2010
Angelo Margiotto, v. Palosca, 2 - 26100 Cremona
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Carissimi/e compagni/e… Anche qui è arrivato il buon anno ed ha portato con sé delle sorprese non proprio piacevoli (sic!).
Per chi non lo sapesse oggi se ne vanno due anni (in galera funziona così), quello che ci siamo lasciati alle spalle e quello che andiamo ad affrontare con il coltello tra i denti ed i libri in mano.
E'una difesa, una forma distorta della realtà (secondo i canoni ufficiali!) messa in atto per sfuggire alla realtà che ci è programmata davanti agli occhi, per farla breve (nel mio caso), ieri avevo cinque anni da scontare e oggi sono diventati quattro, tutto questo in un giorno (potere della mente) e senza effetti magici.
Voglio cogliere l'occasione per dirvi che grazie all'opuscolo ho avuto la possibilità di conoscere la verità contestuale nelle galere di stato, nei CIE (un giorno vi racconterò di come ho trascorso due settimane in un CIE in cui ero l'unico prigioniero comunitario), le lotte politiche all'esterno, aver conosciuto tanti compagni e prigionieri come me con cui corrispondo.
Devo però dire che da alcuni giorni sono demoralizzato perché costantemente mi metto alla prova di essere un buon compagno ma non sempre ci riesco.
Mi riferisco al fatto che ho deciso a priori di rifiutare il lavoro all'interno del carcere semmai mi fosse offerto, riterrei incoerente accettare in carcere ciò che in libertà lo stato ha fatto di tutto per impedirti di svolgerlo.
Per lo stesso motivo ho intenzione di non usufruire del beneficio della liberazione anticipata (art.54 op); non ho niente da farmi perdonare e la mia condotta è lineare quindi corretta con le mie idee. Non sarà di certo un'istituzione a valutarla, peraltro fascista!
Non è però facile restare coerenti con se stessi e a volte si rischia di cadere nei tranelli del nemico, questo mi demoralizza tantissimo ed è pericolosissimo, mi fa sentire un perfetto dilettante.
Un compagno dev'essere d'esempio!
Mi riferivo sopra a sorprese non piacevoli venute con il nuovo anno, in merito all'aumento di alcuni prezzi nella lista spesa che possiamo fare qui in carcere a Cremona.
Faccio due esempi: stuzzicadenti "Samurai" euro 1,51, "Pomi" 500 gr. (ingredienti polpa di pomodoro - sale) euro 0,89. Entrambi i prodotti hanno subito un aumento di circa il 70% sul precedente prezzo, alla faccia del "paniere" e del ricalcolo dell'inflazione. In sostanza c'è stato il famoso sorpasso tanto agognato dall'economia che aspettavamo da decenni. Ora 1000 gr. Di Pomì hanno raggiunto il prezzo di euro 1,78, più della benzina
Le considerazioni da fare sono più d'una: o i grandi magnati del petrolio sono tutti scemi, quando uno diventerà ricco piantando pomodori a manca e a destra, oppure qualcuno ci campa. In questo caso comunque ci sono degli indiziati, la signora Ornella Bellezza direttrice dell'istituto di Cremona e la Bernabé Rosa & C. di Jermi Maurizio (gestioni appalti statali con sede a Cremona v. Lugo 7 ed uffici in v. Larga 16).
Per il resto, come al solito qui al carcere di Cremona non funziona nulla, dai corsi finanziati da chissà chi e a cui viene imposto di rifiutare "volontariamente" alla borsa di studio, al fatto che oltre a non svolgersi più di 3-4 corsi nell'arco dell'anno, chi partecipa ad un corso non ha più diritto a partecipare ad un altro.
Sostanzialmente viene pilotato tutto. Salta il principio di ipotetica e presupposta rieducazione, allo stato delle cose attuali, non sussiste nessuna plasticità, perché la situazione economica è così grave (siamo perlomeno d'accordo che è l'economia che fa la politica senza essere accusato a priori di marxismo!) da non lasciare spazio ad alcuna iniziativa che si svincoli anche parzialmente dai parametri imposti. Dulcis, l'apparato burocratico diviene più fine a se stesso solo alla sua sopravvivenza economica pura. Salta così anche la faccia politica di quel ceto (se pure ne era provvisto) e il detenuto diviene così semplice strumento per i propri fini e privo di ogni contenuto umano.
Non mi resta che salutarvi e ringraziarvi ancora per la manifestazione di dicembre, il ricordo è ancora vivo.
Solidarizzo con tutti/ i prigionieri/e rinchiusi nelle galere di stato.
A tempi migliori, bollenti, esplosivi.Un abbraccio fraterno, Andrea
1 gennaio 2011
Andrea Orlando, v. Palosca 2 - 26100 Cremona
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Saluto tutti, qui ci sentiamo disastrati a causa della mancanza di tante cose. Ciò che di più importante manca è la cura della salute. Se vuoi fare una visita medica devi consegnare, per riuscirci, almeno due domandine con relativi giorni di attesa e avere fortuna. Si rischia di diventare disordinati, perché non si ha il minimo di certezze, perché si viene sottoposti all'arbitrio delle guardie. Questo riguarda in particolare noi stranieri, tanto che per soddisfare i tuoi bisogni di salute e altri diritti devi tagliarti con la lametta braccia, gambe, gola… In questo clima di grande pressione e nervosismo non riesci più a controllare te stesso, puoi arrivare a brutte soluzioni.
Sulla sanità e sui medici vi racconto una storia vera. Di questi casi, anche dentro, si conosce appena la superficie, in fondo a loro non interessa niente della vita dei prigionieri. Per circa due mesi mi hanno tenuto nelle celle dove vi potevo vedere quando venivate sotto il carcere. Adesso sono in cella con un uomo di 55 anni, italiano, ammalato di diabete, perciò deve seguire la cura dell'insulina ecc., una malattia che ti porti dietro tutta la vita. Quest'uomo viene dal carcere di Mantova dove lo seguivano decentemente. Qui appena arrivato ha fatto domanda di visita medica, al termine della quale il medico gli ha detto "non sei ammalato", quindi sospensione della cura. E' tornato in cella disperato, scioccato e arrabbiato.
Il dentista, altro capitolo, nel suo lavoro è molto approssimativo ed inoltre ha bisogno del dermatologo. Ha mani e braccia, lo si vede, ricoperte da pelle rovinata.
La moschea l'hanno tolta, anche se ci sono numerose celle vuote, inutilizzate.
Nella biblioteca non c'è nemmeno un libro in lingua araba; in particolare non ci sono libri islamici e neppure il Corano.
Non c'è una palestra, c'era. Quando andiamo al campo sportivo non riusciamo neppure a giocare al calcio perché non c'è il pallone
Il presidio che avete fatto per tutti noi è stato un dolce vento, tutti ce ne ricordiamo. Purtroppo quello che avete detto è caduto nel vuoto. La situazione è quella di prima. I prezzi del sopravitto aumentano di continuo. Tiriamo avanti come automi, sembriamo corpi senz'anima. Salem, baci per tutti, Samir.
(lettera firmata)
Cremona, 7 gennaio 2011
v. Palosca 2 - 26100 - Cremona
lettera dal carcere di torino
Segue la lettera di Khalid F., uno dei ragazzi della rivoltaal CIE di Torino del luglio 2010, ora rinchiuso al carcere Lorusso e Cotugno a Torino.
Ciao, come stai? Sono K. Hai chiesto come sto. Io sono sempre a contare i giorni. Lo sai che la tua lettera mi ha fatto sentire di nuovo la speranza. Sono da solo, però, grazie a dio, che c'é ancora gente con cuore. Veramente ti ringrazio molto per la tua lettera. Almeno c'é qualcuno che chiede come sto. Dio ti benedica e ti aiuta per sempre. Oggi in Italia sono da solo però dio non dimentica nessuno. Scusa che ti chiedo questa cosa però la verità é che sono senza aiuto. Nessuno mi aiuta. Anche i ragazzi del Centro con cui abbiamo fatto casino insieme, sono usciti. Mi vergogno a chiedere la cosa, però sono senza sigarette, senza vestiti, qui non c'é proprio niente. Qui senza fare spesa, non si vive. Ti ringrazio. Buon Natale, Buon anno 2011. Auguri. Ciao a presto.
Torino, 27 dicembre 2010
Strada Pianezza 300 - 10151 Torino
Lettera dal carcere di Carinola (CE)
[…] Vorrei fare un intervento su quanto scrive L.Q.P. da Poggioreale. Concordo con lui, in parte, quando espone i problemi di Poggioreale, ma non condivido laddove si parla di rieducazione del detenuto e del reinserimento nella società.
Di quale società si parla? Della società-galera, quella che vorrebbe certezza della pena e pena di morte? No grazie! Questa società giustizialista borghese va bene ai nostri politicanti di turno, ai secondini, a tutta quella sbirraglia che sa solo alzare i manganelli sui manifestanti sardi, in nome della propria sozza democrazia fascista.
E di quale rieducazione del detenuto si parla? L'unica rieducazione del detenuto di cui sento parlare o di quello che ho potuto constatare, è il sistema del bastone e della carota. Questa è provato da quello che succede nel carcere di Parma, dove i detenuti vengono picchiati gratuitamente; questa è la rieducazione del detenuto.
Finiamola di raccontare la/le storielle che nelle patrie galere si possa rieducare i detenuti e che il carcere sia un luogo dove un detenuto può essere reinserito nella società. Nella società posso essere inserito se lo voglio io, non sono né il regime carcerario né gli educatori o gli assistenti sociali, i quali sono i primi ad essere partecipi nella repressione.
Dove mai è esistito che nei carceri ci siano diritti umanitari, se i detenuti vengono definiti "camosci", cioè un numero? Quando un detenuto si suicida i mass-media borghesi censurano e se qualche volta ne danno notizia non lo fanno per umanità né per attivare l'opinione pubblica. Mo metto a ridere quando sento dire da detenuti che il carcere lo ha aiutato ad integrarsi nella società e che lo ha rieducato. Beh, beati loro, a me il carcere non mi ha rieducato né tantomeno mi ha integrato nella società…
Vorrei inoltre rispondere alla lettera proveniente dal carcere di Parma, pubblicata sull'ultimo opuscolo. In quella lettera viene scritto che i detenuti comuni si lamentano degli abusi subiti quotidianamente; che le guardie, in gruppi da 10, li attendono all'uscita dai passeggi. Si riesce a capire che i detenuti verrebbero picchiati all'uscita dai passeggi; che però nessuno di loro farebbe qualcosa per fermare i pestaggi messi in atto gratuitamente.
Chi scrive la lettera sembra voglia colpevolizzare i compagni fuori che non fanno molto. I compagni fuori fanno il possibile per far sentire la voce dei detenuti fuori dalle mura delle carceri, quindi, evitiamo di dire che i compagni non fanno il possibile. Mentre quanto succede nel carcere di Parma, sempre sia vero, se quotidianamente avvengono questi pestaggi credo che un po' di colpa sia anche vostra, per il fatto che nessuno si dia da fare per smetterla di non alzare più le teste. Evitate di piangere. Se non siete voi a portare avanti una lotta dura per far cessare quegli abusi, i compagni fuori cosa possono fare? Siate più determinati - solo lottando si può vincere e non stare zitti nel continuare ad abbasare la testa. Quei secondini inculcano il loro terrore, solo per il fatto che hanno più paura di voi. Per il resto non sono altro che dei "camosci" servitori di un autoritarismo borghese fatto di cani e porci. Le guardie che in qual carcere si scambiano il saluto fascista, sono sicuro, prenderebbero botte anche dai fascisti.
Un saluto solidale e ribelle comunista-anarchico, Mauro.
Kampo di Carinola, 30 dicembre 2010
Mauro Rossetti Busa, v. S. Biagio, 6 - 81030 Carinola (Caserta)
Lettera dal carcere di Opera (mi)
Vi saluto, sono un colombiano, abito a Madrid "Spagna". Mi hanno estradato in Italia e l'ingiustizia che vedo è troppo grande. Sono condannato in contumacia a 13 anni senza commettere alcun reato.
La più pericolosa è l'umiliazione che soffro "in comune" in cella singola, perché omosessuale. Prima ero in AS, "Alta Sicurezza" e là c'era rispetto, qui è tutto diverso.
Abito in una cella sporca, grazie a qualche compagno che mi ha portato qualcosa per l'igiene ho potuto fare pulizia. Ci danno solo 2 rotoli di carta igienica e un poco di detersivo, tutto per un mese; niente per pulire (lavare) i vestiti e niente shampoo. Non ho soldi, perché la situazione è questa? Per forza il carcere deve portarmi le cose. Parlare con il direttore è come parlare con il papa, ossia impossibile.
Pensavo che l'Italia fosse un paese avanzato più della Spagna, ma non è così. In Spagna gli omosessuali abitano con gli eterosessuali, "qua no", mi hanno detto gli agenti, aggiungendo che sono il solo a non aver vergogna di dirlo (di essere omosessuale). E in verità sono orgoglioso di esserlo.
Collaboro con la ONG "CEAR", Madrid Spagna: www.cear.es
Ringrazio per l'aiuto che potete fare per me. Ringrazio con tutto il cuore.
PS: Sempre parlando per me, in verità posso dire che ci sono tante persone che hanno bisogno e che non vedo giustizia per i detenuti.
Scusatemi per il mio italiano. Buon Natale e Buon Capodanno.
(lettera firmata)
28 dicembre 2010
v. Camporgnago, 40 - 20141 Opera (Milano)
lettera dal carcere di cagliari
Carissimi/e compagni/e!! Intanto vi ringraziamo e informiamo di aver ricevuto “l’opuscolo n 52”. Ormai sono diversi anni in cui sono venuti a mancare la “solidarietà di massa” al di là del muro di Buoncammino, come sono venuti a mancare il necessario per costruire delle progettualità di intervento contro il regime carcerario, ritenuta una “bestia” troppo grande e forse non prioritaria rispetto alle tematiche antiautoritarie che il variegato movimento ritiene opportuno affrontare.
Cercare di dare vita a prospettive contro il carcere significa individuare i suoi punti deboli, composto da strutture e personaggi. Ecco perché riteniamo il presidio come “stimolatore” di tali prospettive, oltre la solidarietà incondizionata che esso crea e la sensibilizzazione per tutti quei detenuti che non riescono a vedere una società senza galere.
La situazione qui a Cagliari è sempre al massimo della sopportazione: le docce fatiscenti e acqua gelata, viviamo in una “cella” di 24 metri quadrati in 6 persone, non ci viene distribuita la fornitura necessaria per il lavaggio personale e dell’ ambiente e purtroppo molti detenuti sprovvisti da quei fottuti soldi non possono permettersi una doccia.
Circa 3 mesi fa (opuscolo 48 o 49) fu pubblicato un pestaggio nel carcere cagliaritano nei confronti di un ragazzo extracomunitario da 6-7 “signori dell’amministrazione penitenziaria” e tale lettera fu firmata Domingo Francesco. Quest’ ultimo fu subito convocato dal commissario del carcere dott. Michela Cangiano, la quale confermò di non aver “comandato” il pestaggio, bensì il “portatelo via con forza”! Ma con tutto ciò lei è complice di tutto questo!
Con alcuni detenuti assistemmo alla “scena infame”! tale pubblicazione sull’ “opuscolo” gli diede fastidio e mi ordinò di fare una smentita! Ma essendo che non svolgiamo lo stesso “lavoro” portai/porto avanti la realtà! E proprio questo nostro comportamento di “non stare zitti e abbassare la testa” ci viene pagata a loro modo :“mal carcerazione”, ti fanno tutte le “meschinità” che sono abituati a fare!!!
Per questo chiediamo a tutti/e compagni/e sardi e non, di organizzare un presidio anticarcerario sotto il carcere di buoncammino! In modo da far capire che non siamo soli e prima che succeda “qualche disgrazia” sulla nostra pelle far capire che i/le compagni/e ci sono e di conseguenza non lasceranno tacere nulla!
Speriamo (quanto prima) di ricevere la data del presidio, in modo che ci organizzeremo per bene noi da qui dentro e voi da fuori per arrivare al nostro unico scopo “la distruzione del carcere e la distruzione di tutto il modello socio coercitivo che ha bisogno come strumento di annientamento il carcere e, possibilmente ballare sulle loro macerie”!!!
Le nostre idee sono frutto di una pratica quotidiana in cui ogni individuo decide da dove partire per creare prospettive per la distruzione dell’esistente.
In attesa di vostre notizie concludiamo questa nostra lettera inviandovi un caloroso abbraccio e un saluto a pugno chiuso rivolto verso l’alto!!!
W L’ANARCHIA, FUOCO ALLE CARCERI, CAPITALE, CAPITALISTI, CHIESA E SERVI DELLO STATO!!
Ribelli sociali anarchici rivoluzionari
Domingo Francesco e Davide Delogu
Casa circondariale, Viale buon cammino 19 - 09123 Cagliari
da informa-azione.info
Lettera dal carcere di Chiavari (ge)
Ciao ragazzi, mi chiamo Andrea (Di Bello), vi scriviamo dal carcere di Chiavari dopo aver letto l'opuscolo portato dal mio amico Massimiliano dal carcere di S. Vittore.
In questo carcere fa veramente tutto schifo, siamo in 20 mtq in 7 persone; la settima branda scompare d'incanto solo quando arriva un politico, un vescovo e così via. Personalmente mi sono rotto i coglioni. Ok, va bene pagare il nostro debito con questa specie di società, ma nella maniera giusta. Qui la gente sembra aver perso i principi morali, perché se non sei un leccaculo non vai da nessuna parte.
Il giorno 11 parto per un processo a Savona, stessa cosa, condizioni igieniche uguali alla spazzatura che devasta Napoli. Vorrei dire, ragazzi, ma 'sto cazzo di Angiolino Alfano che cazzo fa? Penso che i detenuti che si sono battuti per farci avere i più semplici diritti del carcerato si rivoltino nella tomba.
Vi scrivo piccoli aneddoti quotidiani: test dell'urina, acqua fredda (doccia), luce (illuminazione) pressoché inesistente, in poche parole non funziona niente. Abbiamo chiesto il trasferimento per motivi famigliari, ma nessuna risposta ancora. Vorremmo scontare la nostra pena innanzitutto con gente come noi, anche perché di vedere detenuti che per un cazzo di stipendio si umiliano e diventano molto più pericolosi degli sbirri secondini. Vediamo se e cosa ci rispondono. Colgo l'occasione per chiedervi gentilmente di farci avere l'ordine penitenziario e altri due libri a vostra scelta, inerenti alla causa.
Auguri, a presto, Andrea e Massimiliano
9 gennaio 2011
Massimiliano Visconti, v. Al Gasometro, 2 - 16043 - Chiavari (Genova)
Da una lettera dal carcere di Nuoro
Comunicato di lotta, denuncia e solidarietà.
Agli amici, ai compagni e a tutti coloro che, oppressi e sfruttati dai Mafiosi della Bipolare Apolitica Cupola Italiana e Mondiale, lottano e resistono contro i sicari e i lacchè del capitalismo imperialista, di cui l'Italia ne è la più marcia e perversa espressione. Agli studenti che in questi giorni legittimamente protestano contro gli arroganti e prepotenti usurpatori della Sovranità Popolare e rapinatori della Res Publica, che con una vergognosa e diuturna commedia per idioti, osano giustificare l'occupazione del Parlamento, a tutti i Prigionieri nei cloacali Lager di regime nazista che resistono allo scellerato programma di annichilimento, messo in atto dai servi e collaborazionisti del sistema criminale, per il quale gestiscono i Lager di sterminio. A tutti voi, come militante Guevarista Prigioniero, esprimo la centralità della solidarietà attiva nella lotta rivoluzionaria Anticapitalista, Anticlericale, Antimperialista e Antimafiosa, per la riconquista della Sovranità del Popolo del Mondo, per la rivendicazione degli inalienabili diritti dell'uomo, per la Libertà, la Giustizia e la Fratellanza senza confini e discriminazioni, all'insegna del Biosocialismo di Mutuo Soccorso Libertario Guevariano.
E denuncio la criminale condizione della mia attuale prigionia nella Guantanamo italiana, la prigione di Nuoro, nella quale sono segregato in uno stato di assoluta illegalità ove subisco tortura psicofisica giorno e notte e dietro cui, vi è la volontà, palese, di eliminarmi, minando gravemente il mio sistema immunitario e la mia resistenza psichica, attraverso: la privazione del sonno, la negazione del diritto ad alimentarmi sufficientemente, secondo la propria dieta vegana, l'impossibilità di soddisfare i propri fisiologici bisogni, che un buco sul pavimento, come cesso, non consente a causa di un ginocchio non più articolabile per i passati pestaggi delle "squadrette" in altri Lager, già denunciate (inutilmente!) e per ovvi blocchi psicologici dovuti alla presenza di altri prigionieri in cella che si "godono in bella vista" e olfatto, le "dinamiche cessoarie" dell'aperto buco alla turca, nonostante io abbia certificato l'autorizzazione ad avere un vero cesso con tazza dal dirigente sanitario; per l'impossibilitùà di ripararsi dal freddo, in quanto, dalle scassate finestre, entra vento e pioggia che in assenza di riscaldamenti fanno battere i denti e dolore alle ossa; per la privazione degli spazi nel,la legale misura stabilita dalla recente sentenza del Tribunale dei diritti dell'uomo di Strasburgo; per l'impossibilità di avere ilo cibo ministeriale corrispondente al, non rispettato, menù redatto dai nutrizionisti del Ministero, cibo scarso e non commestibile a causa delle modalità e dei tempi in cui esso viene distribuito, le quali violano veementemente tutte le norme igienico-sanitarie stabilite dalle leggi; per l'impossibilità di svolgere le ore d'aria al riparo delle intemperie climatiche, dalla ruggine bagnata e dalle putrefatte carni di piccioni che piovono in testa; per il costante pericolo di infezioni a causa di topi, blatte e volatili che circolano all'interno del padiglione e delle celle; per l'impossibilità ad effettuare colloqui con i propri cari a anche con i propri difensori a causa della distanza e dei proibitivi costi dei viaggi per raggiungere in aereo/nave questa prigione; in questa prigione non è neanche garantito il pronto soccorso e se si ha un attacco cardiaco, prima che il secondino senta, individui la cella, risponda e venga ad aprire cancello e blindato, si è già cadaveri!
Io sono stato qui deportato per essere eliminato!
In questi 10 mesi sono già finito due volte in ospedale, per fortuna sopravvivendo, ma sento che la mia salute peggiora di giorno in giorno…
Amici e compagni, considerata la situazione e la regnante ingiustizia prevalente, esercitata dai fascisti mafiosi che la controllano sui rarie ostracizzati uomini giusti, di cui sono vittima dal 1994 e nella convinzione che tale continuerà ad accanirsi sul sottoscritto fino alla mia suicidazione di regime, che fino ad oggi conta di SESSANTRE' vittime, e consapevole che tutta la mia resistenza dipende, purtroppo, dai limiti del mio sistema immunitario, al quale non voglio soccombere in quanto sono determinato a difendere la libert-à di ciò che sono fondamentalmente nelle idee e nella volontà di on accettare ingiustizie, per me e per gli altri, rivendicando la Sovranità di individuo sociale, libero e pensante di agire e reagire per i propri diritti/doveri, secondo veri principi umani e democratici, a costo della propria vita, non avendo altro con cui lottare, oltre al mio corpo, userò questo per resistere allo stupro della mia identità e della mia libertà, costituente le mie idee, i miei sogni, il mio spirito, i miei sentimenti, i miei valori umani, intellettuali e politici; pertanto, vi comunico che è mia intenzione ricorrere allo sciopero della fame e della sete ad oltranza, in una lotta estrema in cui sarà anche quella di tutti i prigionieri che non hanno più voce, perché questo regime ha suicidato. E di tutti gli altri che giornalmente rischiano la suicidazione negli illegali campi di concentramento e sterminio italiani.
E sin da ora dichiaro che, a sciopero iniziato, non permetto a questo regime il trattamento sanitario obbligatorio né alcun altro tipo di trattamento.
Chiedo agli amici e compagni avvocati di far rispettare questo mio diritto e una solidale volontà d'azione di difesa contro i miei futuri assassini affinché non restino impuniti.
Nomi e cognomi di costoro nonché dei collaboratori e dei responsabili di quanto ho subito e continuo a subire in questo Lager, sono i firmatari di tutti i provvedimenti che mi hanno impedito di avere giustizia, boicottato la mia libertà e quelle misure premiali, vitali alla resistenza contro la tortura che mi si infligge quotidianamente impunemente nei confronti dei quali, individualmente, nei prossimi giorni presenterò azioni penali,, dandovene comunicazione, dopodiché inizierò lo s sciopero della famme e della sete.
Insieme a tutti i combattenti, ovunque nel mondo, obbedendo alla mia coscienza e senza papura, io lotto e continuerò a lottare per la libertà, i diritti umani e la giustizia Vera.
Hasta la Victoria, Siempre!!!
dicembre 2010
Giuseppe Fontana
v. Badu 'e Carros, 1 - 08100 Nuoro
milano: Resoconto presidio di dicembre sotto S. Vittore
Il presidio sotto il carcere è stato tenuto nel pomeriggio alle 18, dopo la manifestazione in ricordo della Strage di Stato del 12 dicembre 1969. Manifestazione quest'ultima, sulla cui partecipazione molto scarsa bisogna riflettere per non lasciarla cadere nel revisionismo dello Stato e dei suoi governi, vista l'importanza che quella Strage ha nella storia del Paese.
Al presidio sono giunti direttamente dalla manifestazione contro la Strage di Stato un centinaio di compas provenienti anche da città vicine.
Come i presidi precedenti (14 agosto e 9 ottobre) anche questo è stato voluto e preparato per dare un sostegno sempre più concreto ala resistenza e alle lotte dei prigionieri, contro l'isolamento, i forti ostacoli alla posta, i pestaggi, le condizioni sanitarie pessime etc, etc.
Dalla pur scarsa corrispondenza con l'interno e dalle comunicazioni avvenute durante i presidi, è sempre emerso che queste manifestazioni stabiliscono un rapporto di solidarietà molto costruttivo e ciò determina la consapevolezza della loro necessità come momento di lotta collettivo. Questo rapporto è stato intensificato dai contatti con i famigliari incontrati attraverso i volantinaggi di fronte all'entrata dei colloqui.
Il presidio si è svolto con interventi dal microfono, musica e canti amplificati dalle casse, e diversamente dalle volte precedenti i prigionieri hanno risposto con una complicità inaspettata, che ci ha sorpreso, alla quale abbiamo risposto con battiture, botti, razzi, slogan quali "fuoco alle galere... da s Vittore all' Ucciardone un solo grido evasione... e noi che siamo compagni abbiamo un sogno nel cuore, bruciare S. Vittore.... Da dentro hanno lanciato urla fra le quali "distruggeteli".
Senza dilungarci troppo, il contenuto degli interventi è stato vario, dagli studenti che hanno portato la loro solidarietà di lotta, si è ricordata la strage del carcere di Santiago del Cile, la manovra truffa del governo per "svuotare le carceri" ( ma dando fondi per l'aumento dell'organico delle guardie e predisponendo altri fondi per nuove carceri)
Il presidio è riuscito a rompre l'isolamento in modo efficace, sull entusiasmo dell evento ci si è dati appuntamento al più presto impegnandosi con i detenuti a farci sentire di nuovo sotto le mura del carcere.
Milano, dicembre 2010
Livorno: dal presidio sotto il carcere per la morte di Yuri
Questa volta Livorno ha risposto. Forse sempre la solita parte, ma oggi fuori dalle Sughere c'era veramente tanta gente. I parenti di Yuri, gli amici, il Csa Godzilla, i compagni del movimento, i collettivi politici di Pisa e Viareggio che lavorano sui temi carcerari e tante altre persone accorse per dire basta.
Ma in particolare c'erano Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi morto nel medesimo carcere nel 2003 e Cira, la madre di Daniele Franceschi, il ragazzo di Viareggio morto quest'estate nelle carceri francesi in mezzo a omissioni e insabbiamenti. Le due mamme sono subito andate ad esprimere la propria solidarietà alla sorella di Yuri.
I manifestanti hanno appeso uno striscione sull'ingresso principale del carcere con scritto "Si vive di ingiustizie, si muore di carcere. Basta omicidi di Stato". Perchè la posizione comune è una sola: a prescindere da cosa sia successo, non importa essere per forza essere morti per percosse per affermare che esiste una responsabilità penale, politica e morale da parte dell'aministrazione penitenziaria. Un giovane di 28 anni non può morire in carcere e se ciò avviene è perchè qualcuno ha delle responsabilità.
E i primi dubbi sorgono proprio dal modo misterioso con cui vengono gestite queste morti. Dopo due giorni e mezzo un alone di mistero continua ad avvolgere tutto come conferma la sorella: "Yuri è entrato alle Sughere sano, era un ragazzo forte e robusto. Abbiamo messo un perito perchè alcune cose non ci quadrano e probabilmente non quadrano nemmeno agli inquirenti". La sorella alla fine del suo intervento ha ringraziato tutte le persone venute al presidio. Prima di lei era stata la volta di Maria Ciuffi e Cira Franceschi che hanno ribadito la loro critica al sistema carcerario, la loro non fiducia nella giustizia e la loro solidarietà alla famiglia.
Poi i manifestanti si sono spostati in corteo ed hanno percorso tutto il quadrato esterno del carcere, anche nelle zone interdette, scandendo slogan contro polizia e carceri e tirando petardi all'interno del perimetro.
Sia gli amici che molti dei manifestanti hanno espresso la volontà di andare fino in fondo per scoprire i motivi di questa morte e denunciare le condizioni di inciviltà ai limiti della sopravvivenza che si vivono all'interno ddlle carceri. Nessuno vuole compiere l'errore di credere alle versioni ufficiali o di svegliarsi tardi come è successo con il caso Lonzi. Il Comitato verità per Yuri andrà dunque avanti e sosterrà sia la famiglia sia iniziative al riguardo.
Il carcere è sempre più il luogo degli ultimi, di coloro deboli fuori e dentro al carcere, di coloro che vengono distrutti e sedati con psicofarmaci e che vengono ammassati nelle celle.
9 gennaio 2011
da www.osservatoriorepressione.org
Ivano trasferito ad Alessandria
Ivano Fadda il 22/12/2010 è stato trasferito ad Alessandria
Strada Casale 50/A - 15040 Alessandria San Michele (AL)
fonte: lasolidarietaeunarma@libero.it
Due parole sul 14 dicembre a Roma
Il 14 dicembre è stata una giornata storica. Dopo anni di passività e rassegnazione, migliaia di giovani hanno deciso di riprendere in mano il loro futuro e sono scesi in piazza per sfiduciare questo e tutti i governi che negli anni hanno contribuito alla sottrazione sistematica dei diritti sociali. Scendere in piazza quel giorno era, per noi studenti, una scelta obbligata. Non inserire la lotta al ddl Gelmini in un quadro più ampio avrebbe, infatti, portato il movimento a compiere gli stessi errori fatti durante l’Onda del 2008 in quanto solo l’ampliamento dello spettro di azione, trascendendo dal singolo atto legislativo, può portare ad un reale cambiamento.
Alla manifestazione c’erano più di 100.000 persone e, per quanto politici e sedicenti intellettuali (la lettera di Saviano è esemplificativa) abbiano condannato fermamente gli scontri di Roma riducendoli all’azione di provocatori, infiltrati e teppisti, noi sappiamo che la realtà è molto diversa. Eravamo in quella piazza. Eravamo dietro quegli scudi. Eravamo con il casco in testa a pretendere un futuro che ci stanno togliendo giorno dopo giorno. E ricordiamo benissimo che, ogni volta che in tantissimi siamo tornati alla carica in via del Corso e ogni volta che le camionette sono arretrate, tutta Piazza del Popolo ha applaudito. Applaudiva chi non era in prima fila, chi era sul Pincio a guardare, chi era arrampicato sull’obelisco: ognuno sentiva come suo quel momento.
Non siamo “esperti della rivolta” o “ultras del caos” come hanno voluto definirci, ma nemmeno sprovveduti ragazzini nelle mani di cattivi maestri. Siamo semplicemente le migliaia di precari che lavorano in ristoranti e call center per quattro spiccioli, gli operai in cassa integrazione, gli studenti che pagano sempre più tasse ed hanno sempre minor accesso al diritto allo studio, i laureati senza un lavoro obbligati a mesi di tirocini totalmente gratuiti presentatici come opportunità di formazione e che sono solo un’altra forma di sfruttamento. Se però tutte queste figure vogliono essere racchiuse dalla sigla black-block, ebbene si, eravamo tutti black-block.
Hanno fatto passare gli scontri come uno sfogo di violenza ingiustificata, ma non è così. La rabbia derivava dalla constatazione che, nonostante proteste e mobilitazioni, le nostre richieste continuavano ad essere ignorate e che la piazza, unica vera realtà rappresentativa delle nostre necessità, veniva militarizzata, rinchiusa, repressa.
Durante la giornata molti sono stati i fermi e gli arresti e, ad oggi, 22 degli arrestati sono a piede libero ed uno è agli arresti domiciliari. Benché la legittimità degli arresti sia stata confermata e le udienze siano state fissate per il mese di febbraio Maroni ha dichiarato di non condividere questa decisione. Il ministro ha, infatti, dichiarato che avrebbero dovuto rimanere in stato di fermo fino alla fine della discussione sul ddl 1905 per impedire la reiterazione del reato. Ricordiamo a Maroni e agli altri che nelle settimane precedenti al 14 dicembre in tutta Italia si è assistito ad una mobilitazione radicale e diffusa e che, a fronte di 23 compagni arrestati, fuori ne sarebbero comunque rimasti migliaia che non hanno esaurito le loro energie e la loro rabbia a Piazza del Popolo.
Abbiamo smesso di essere spettatori, pretendiamo di essere protagonisti!
Questo è solo l’inizio!
I diritti non si meritano, si conquistano!
dicembre 2010
Red Net - Rete delle Realtà Autorganizzate Universitarie
www.red-net.it
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roma: Mario Libero, tutti Liberi
Durante la prima udienza per il Processo contro 5 delle 26 persone rinviate a giudizio tra i fermati del 14 dicembre a Roma, il Tribunale di Roma ha confermato le misure di restrizione della libertà per tutti gli imputati. Mario continua ad essere costretto agli arresti domiciliari senza poter vedere nessuno, se non i genitori, né comunicare con l'esterno. Lo studente di 16 anni (giudicato l'altro giorno al tribunale minorile) rimarrà ai domiciliari fino a giugno e l'unica concessione è stata il poter andare a scuola la mattina. Agli altri è rimasto l'obbligo di firma 2 volte al giorno.
Non è stata concessa nessuna attenuante alle restrizioni, adducendo come motivazione il "clima di tensione sociale": una chiara scelta politica da parte dei magistrati nei confronti di chi si ribella alla crisi che i padroni vogliono imporre e all'offensiva del governo Berlusconi.
Il comune di Roma si costituisce parte civile contro tutte quelle persone che hanno nei capi di imputazione il "danneggiamento". Una decisione chiaramente intimidatoria del fascista Alemanno, che è tanto bravo nel dare i numeri, quanto incapace nel considerare le questioni sociali della città, ormai ridotta ad una discarica dopo di due anni di sua amministrazione.
I magistrati hanno dimostrato di essere rimasti fortemente intimoriti dalle sparate dei vari Alemanno, La Russa e Gasparri e dagli atti intimidatori del governo tramite il Ministro Alfano che, dopo le udienze di convalida degli arresti, ha inviato gli ispettori del ministero, per far capire che aria tirava per chi non seguisse il volere del capo.
Il 14 Dicembre c'è stata una sacrosanta esplosione di rabbia popolare, un tumulto contro uno stato e una classe politica marcia e corrotta, che ha continuato a mostrare il suo vero volto dentro al parlamento tramite la compravendita dei parlamentari a vantaggio della maggioranza per superare la mozione di sfiducia al governo.
Quel giorno a Roma è scesa in piazza una parte di quell'Italia vessata e offesa da anni di Berlusconi e di politiche neoliberiste sottomesse agli interessi degli industriali e degli speculatori; quell’Italia con cui il governo non parla, non tratta, non media: esperienze di lotta che il governo non ascolta, ma che gestisce esclusivamente attraverso la repressione.
I terremotati dell'Aquila, i dannati della monnezza di Terzigno, le tante altre lotte del territorio contro le nocività e le speculazioni, gli studenti e i ricercatori dell'Università e i lavoratori di tutto il mondo della scuola da anni in lotta contro i tagli, i senza casa e senza lavoro, gli occupanti di casa e dei centri sociali, le persone migranti che non cedono al ricatto dello sfruttamento e si ribellano fuori e dentro i CIE per non essere internate e deportate, i metalmeccanici a cui Marchionne e confindustria stanno imponendo il ricatto del lavorare come schiavi o la chiusura degli stabilimenti, un'intera generazione precaria a cui è negata qualsiasi prospettiva di presente e di futuro: nei loro confronti, nei giorni e nei mesi scorsi, l'unica risposta è stata quella dei manganelli e delle denunce giudiziarie.
Il 14 Dicembre è stato un giorno di rivolta popolare e malgrado i tentativi di criminalizzazione, le sparate dei giornalisti e le becere analisi sociologiche, i movimenti e tutti quei singoli che vogliono lottare non hanno ceduto alla logica “buoni e cattivi”, ma hanno rivendicato quella forza espressa nelle strade come loro rabbia e loro dignità, come rabbia e dignità di ciascuno di noi. Quella rivolta ha fatto scrollare di dosso la paura che stato e capitale vogliono imporre e restituisce la consapevolezza che l'unica fiducia che si può avere è quella nei propri mezzi.
Sosteniamo e solidarizziamo con tutti gli arrestati, tutti i rastrellati, tutti i denunciati di quella giornata e delle lotte sociali di questi mesi.
Mario Libero tutti Liberi
25 dicembre 2010
L38 Squat / Laurentinokkupato - Roma
da www.tmcrew.org
padova: DISTRUZIONI AL C.P.O. GRAMIGNA DA PARTE DEI “SOLITI NOTI”
La mattina di sabato 18 dicembre abbiamo constatato che alcune persone non identificate, nei giorni precedenti erano entrate all’interno del Centro Popolare Occupato Gramigna tagliando la catena del cancello esterno. Dentro sono stati sistematicamente divelti tutti i tubi dei termosifoni non funzionanti ma l’acqua che era rimasta al loro interno, negli anni di abbandono dello stabile, ha quasi completamente allagato il centro popolare. Tutta la spesa del bar e il necessario per le pulizie sono stati rubati, per un totale di centinaia di euro, oltre ad uno spara aria elettrico che serviva per il riscaldamento del posto, è stato chiuso l’allacciamento dell’acqua (funzionava già al momento dell’occupazione), sono stati “ispezionati” tutti gli armadi, cassetti, ripiani ecc. Il tutto aggiunto al soqquadro generale creato.
Una chiara provocazione della polizia con il consenso della giunta comunale.
Da mesi la giunta Zanonato si scaglia contro l’occupazione del Gramigna, non è stata però così solerte a recuperare tutto il materiale scolastico lasciato muffire dentro, come nessuno di loro si è mai presentato a vedere con i propri occhi i banchi, le sedie, le lavagne, gli armadietti, i computer abbandonati. Se non ricordiamo male, fu proprio l’assessore alla scuola Piron a dichiarare che avrebbe accertato di persona la “presunta” presenza del materiale scolastico all’interno del Gramigna.
Così, dopo aver lasciato a marcire per anni l’ex scuola Zanella-Davila, le istituzioni e i loro servi in divisa pensano di distruggere quello che l’occupazione del Gramigna sta creando: attività, iniziative e prime manutenzioni dello spazio.
Quello che è accaduto è solo un particolare all’interno di un clima generale di repressione che viene scagliata contro tutti coloro che, in questi tempi di crisi e perdita di ogni credibilità istituzionale, pensano di autorganizzarsi e lottare per i propri diritti e il proprio futuro. I mandanti di chi ha rubato e distrutto al Gramigna, sono gli stessi che hanno manganellato gli studenti a Roma massacrando più di 80 persone, sono gli stessi che caricano gli operai in sciopero, le popolazioni che protestano, come a L’Aquila o a Napoli, e che mostrano sempre più apertamente i vero volto autoritario e sfruttatore di questa società.
Da parte nostra continueremo a far vivere l’occupazione con ancora più numerose attività, essendo la migliore risposta a simili provocazioni.
DOVE REPRESSIONE E SPECULAZIONE CREANO IL DESERTO DELLA DISTRUZIONE
IL GRAMIGNA RICRESCE E RICOSTRUISCE!
L’ERBA CATTIVA NON MUORE MAI!
25 dicembre 2010
Centro Popolare Occupato Gramigna-Via Fornaci 397 Torre Pd
www.cpogramigna.org
Il Re è nudo!
A proposito della nuova occupazione, della militarizzazione e dello sgombero di Cardano al Campo (va)
Nel primo pomeriggio di domenica 19 dicembre viene occupato uno stabile a Cardano al Campo (VA), per continuare il percorso interrotto due mesi prima dallo sgombero dello spazio sociale occupato "Edera". La precedente occupazione era stata un intenso laboratorio di vita comune, di critica dei ruoli, di scambio di saperi, di libera espressione della creatività: un tentativo concreto di soddisfare bisogni e desideri.
Poco dopo l'inizio dell'occupazione (all'interno sono presenti circa venti persone) un ingente dispiegamento di Polizia e Carabinieri, dopo aver allontanato sfoggiando caschi, scudi e manganelli, il presidio di solidali accorsi sotto lo stabile, chiude l'accesso alla zona, spaccando a metà il paese.
Per l'occasione vengono mobilitati due volontari della Protezione Civile, il cui viscido collaborazionismo si rende evidente quando, interrogati in merito al proprio ruolo ed alla propria responsabilità, rispondono col menefreghismo arrogante di chi è addestrato alla deresponsabilizzazione tipica delle organizzazioni militari. Rispondono qualcosa del tipo: "eseguiamo le indicazione che ci vengono date, non facciamo domande, ciò che succede lì non è affar nostro". Cosa questo genere di Protezione Civile stesse proteggendo dagli sguardi dei cittadini di Cardano è evidente: l'arrogante strapotere dei palazzinari locali e la violenza degli sgherri in divisa che li difendono.
Tranquilli, tranquilli: domani ricomincia il civile schifo quotidiano che avete protetto con tanta solerzia.
Dopo circa due ore, al sopraggiungere di un'ambulanza con l'indicazione di "restare in attesa", è ormai chiaro che l'intenzione è quella di fare irruzione nello stabile e gli occupanti decidono di barricarsi all'interno e di salire sul tetto. Arrivano a breve anche i Vigili del Fuoco, anch'essi spudorati complici di quella che non può essere interpretata in altro modo che come un'operazione di guerra. Sono questi ultimi che, illuminando la zona e sfondando gli ingressi, permettono a Polizia e Carabinieri di fare il loro sporco lavoro.
Il nuovo spazio sociale viene sgomberato, gli occupanti portati in Caserma e denunciati per aver violato la legge di tutte le leggi, quella della proprietà privata, quella che condanna milioni di persone ad affitti insostenibili, mentre i pochi palazzinari della zona si spartiscono i proventi.
È chiaro come una repentina operazione militare di questa portata sia parte di una gestione del territorio della provincia di Varese come di un laboratorio totalitario di forzata pacificazione, annientamento del conflitto sociale, tentativo di nascondere le contraddizioni e l'accelerazione dello sfacelo sociale generalizzato.
Di fronte a tutto questo è sempre più necessario uscire dall'oblio dell'indifferenza e della rassegnazione. Trovare forme, tempi e luoghi di agibilità politica per resistere e per sviluppare percorsi di lotta reale. Autorganizzarsi, anche in piccoli e piccolissimi gruppi diffusi sul territorio, per contrastare un progetto di controllo e repressione che ci vuole tutti ferventi collaboratori o silenti rassegnati.
Contro la speculazione edilizia dei palazzinari. Contro la repressione.
CASE E SPAZI SOCIALI SONO BISOGNI IRRINUNCIABILI: PRENDIAMOCELI.
AUTOGESTIONE, RESISTENZA.
20 dicembre 2010
Kinesis autogestito, Tradate
rho (mi): sgomberata la fornace
Lo sgombero di stamattina a Rho del Centro Sociale Sos Fornace è un nuovo tentativo di pacificare il territorio della metro-regione Milano proiettata verso Expo 2015.
Fornace è sicuramente il luogo più simbolico della nostra lotta; al pari dei presidi permanenti di Venaus o Chiaiano o Vicenza, lo spazio occupato di Fornace ha costituito in questi anni una presenza ingombrante per chi dei territori, dei diritti e dei beni comuni pensa di fare solo carne da macello per profitti e speculazioni. Da Fiera a Bracco, passando per Trenitalia, Expo Spa e Compagnia delle Opere, per arrivare la sistema di potere della destra milanese e del sindaco di Rho Zucchetti; questi i tanti mandanti di questo sgombero che pensa di fermare le lotte che hanno trovato in Fornace motore, casa, capacità di elaborazione di saperi e produzione di conflitto: dalla battaglia contro Expo 2015, a quella contro il Pgt di Rho, le denuncie contro l’illegalità e il malaffare del Sindaco Zucchetti, di Fiera, delle ‘ndrine, le vertenze con i pendolari, la difesa dei diritti di rom e migranti, lo sportello SanPrecario e le azioni contro il lavoro nero e precario in Fiera, la lotta a difesa del lavoro e contro la speculazione sull’area Alfa Romeo di Arese.
Sembrerebbe solo un elenco, ma non è così. Queste lotte, questi saperi sono anche relazioni, solidarietà, reti territoriali che vivono e che da oggi avranno un motivo in più per esistere/resistere alla pressione che i poteri forti e le politiche securitarie esercitano sul territorio per uniformarlo alle logiche del profitto e preparare il grande sacco di risorse pubbliche, diritti e territorio per Expo 2015.
Lorsignori credono di aver risolto il problema, non sanno cosa gli aspetta, a partire già dai prossimi Stati Generali della Precarietà che, come annunciato, si terranno comunque a Rho; chi crede con lo sgombero di fermare le nostre lotte si sbaglia di grosso. Fornace vive ancora e presto tornerà a disturbare il manovratore.
Solo dei fessi possono pensare che manganelli, ruspe e sigilli possono fermare la forza di chi ha le idee e la ragione dalla propria parte.
Solidarietà a Fornace e tutti a Rho stasera alle 20.30 in piazza del Municipio.
4 gennaio 2011
Comitato No Expo
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Con determinazione ci si è dati appuntamento ieri per le 20.30 davanti al Comune di Rho, per partire in un folto corteo di protesta che ha toccato la stazione, tirando petardoni e affidando ai muri la risposta a uno sgombero orchestrato da Zucchetti (sindaco) e Formigoni (entrambi ciellini), con la partecipazione entusiasta del Ministero dell’interno.
Nel mentre un manipolo di attivisti prendeva possesso della nuova sede della Fornace, in via Moscova 5, dopo lo scioglimento del corteo durato un paio d’ore. Nella notte centinaia di occupanti hanno espresso il proprio giubilo dalle balconate della palazzina di quattro piani, posta in una zona industriale con prati accanto a una torretta-serbatoio, fieri della pronta risposta dei compagni della Fornace, del resto la loro vitalità e forza sono note a tutti da anni. [...]
5 gennaio 2010
da www.milanox.eu
SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA
Comunicato dei perquisiti e delle perquisite in seguito ai fatti di Gemonio
La notte del 29 dicembre 2010 due petardi danneggiano la vetrina della sede della Lega Nord di Gemonio, (VA), a poche centinaia di metri dalla residenza di Umberto Bossi. Sul muro viene tracciata la scritta "antifa 2° atto", da cui gli inquirenti deducono una pista "anarco-antagonista" legata ai centri sociali della zona che, tra l'altro, non esistono, mentre le dichiarazioni sui giornali trasformano il danneggiamento in un "attentato con ordigni esplosivi". La mattina del 31 il comando dei carabinieri di Luino e la Digos di Varese eseguono arbitrariamente una decina di perquisizioni durante le quali viene arrestato un giovane di Gemonio. I risultati dell'operazione sono inconsistenti, sia a carico del giovane, rilasciato due giorni dopo per l'esiguità di indizi a suo carico, sia per altri: ci sono alcuni denunciati e alcuni indagati anche per violazioni che non riguardano i fatti nello specifico. É bene riportare come durante le perquisizioni e i fermi alcuni siano stati sottoposti a pressioni e tentativi di indurre alla delazione. Ad altri invece sono stati requisiti opuscoli, manoscritti, dossier antifascisti e sulla Lega, ad altri ancora forbici, biglie, bombolette spray. Gli agenti sanno chi intimorire, chi provocare, chi "interrogare" con giri di parole e domande apparentemente vaghe.
Contro la scarcerazione dell'arrestato, di famiglia leghista ma che si dichiara genericamente "di sinistra", è stato fatto ricorso dalla procura. Le indagini sono ancora aperte; nonostante i denunciati, l'inchiesta è "contro ignoti".
Segue il comunicato che alcuni dei perquisiti hanno redatto per far conoscere il loro punto di vista sull'accaduto. Lo scritto è stato in seguito sottoscritto dalle realtà organizzate della provincia.
M. P., 21 anni di Gemonio, è stato arrestato in base ad una spiata di un concittadino perché considerato sospetto, cioè, portava i capelli lunghi e suona in una band di musica “metal”. In casa della famiglia sono stati ritrovati, l’ultimo dell’anno, “una sostanza dall’aspetto di miscela pirotecnica” (quella dei botti di capodanno), una bandiera dei pirati, un imbuto. Il giovane perciò diventa “fortissimamente sospettato” per i danneggiamenti alla sede locale della Lega. Invece questi oggetti, così comuni che potrebbero trovarsi in ogni casa, non giustificavano il fermo, infatti è stato scarcerato: siamo contenti per lui, poteva capitare a chiunque.
Ma chissà se, invece di essere figlio di “buona famiglia” sostenitrice del Carroccio e conosciuta dal “Senatur”, fosse stato figlio di nessuno, se i giornali avrebbero fatto attenzione a riabilitarne l’immagine, a “tutelarne l’onorabilità”, come giustamente chiede il padre. Chissà, se l’arrestato fosse stato un dichiarato contestatore della Lega, se i vari Borghezio e Bossi avrebbero poi dichiarato che si trattava di “una ragazzata”, “unacosa non tanto grave”. Se gli stessi oggetti fossero stati ritrovati in casa di qualche “pericoloso anarchico” o “giovane dei centri sociali” o supposto tale, costui sarebbe ancora dentro.
Sui giornali, dove la guerra è “missione di pace” e gli assassini in divisa sono “bravi ragazzi”, due petardi e un piccolo foro in una vetrina diventano “terrorismo”, sfiorata “strage”. Ma le parole hanno il loro senso, il terrorismo è un’altra cosa: vogliamo parlare delle stragi di Stato?
Se vogliamo trovare il terrore, oggi, dobbiamo cercare tra quelle migliaia di persone costrette a vivere nell’ombra, a lavorare in silenzio in condizioni disumane, a morire senza cure per paura di essere denunciate in ospedale. Persone che vivono in mezzo a noi e che da un giorno all’altro diventano “criminali” perché se perdono il lavoro perdono anche il permesso di soggiorno. E questo in Italia è reato, punito con la reclusione in quelle galere per stranieri chiamate “centri di espulsione” dove soprusi e violenze non si contano.
Non è questo, forse, un legalissimo sistema di terrore, che colpisce gente qualunque, gente come noi, ma nata altrove?
LA LEGA SEMINA ODIO E DISCRIMINAZIONE, COSA SI ASPETTA DI RACCOGLIERE?
Di attacchi a sedi della Lega ce ne sono stati e probabilmente ce ne saranno ancora, ma mai avevano raggiunto tanta risonanza. La strumentalizzazione a fini politici è evidente, in una Varese che Maroni vorrebbe fosse l’esempio di una polizia pronta a scattare anche solo per un petardo o una scritta su un muro. Salvo poi, come in passato, lasciar sgonfiare tutto dopo aver ottenuto i titoloni sui giornali. Ma il rifiuto del sistema di terrore leghista è forte, e i fatti di Gemonio sono solo un altro piccolo segnale.
gennaio 2011
Alcuni dei perquisiti e delle perquisite
Aggiornamenti dal processo agli arrestati il 10 giugno 2009
Il 16 dicembre scorso si è tenuta l’ottava udienza del processo ai compagni del 10 giugno che vede sette indagati con l’accusa di associazione sovversiva e banda armata. Cinque di loro sono in carcere da oltre un anno e sette mesi.
Attraverso i testi, i pm Erminio Amelio e Luca Tescaroli hanno voluto affrontare due argomenti di peso nell’inchiesta: il ritrovamento di armi e la presenza di programmi di criptazione, quest’ultima utilizzata come motivo per la custodia cautelare in carcere di due dei sette imputati a sei mesi di distanza dai precedenti arresti.
In particolare rispetto alle armi hanno testimoniato un ispettore capo della polizia scientifica, sezione balistica, ed un agente sempre della polizia scientifica, sezione balistica, specializzato in matricole obliterate.
I pm hanno cercato di sottolineare la natura da guerra delle armi sequestrate, facendo passare come elemento di secondo piano o comunque confuso, il fatto che alcune non funzionassero a causa di parti mancanti o che addirittura di qualcuna non fosse stata nemmeno rilevata la funzionalità a causa della eccessiva quantità di ruggine.
L’udienza è proseguita con l’ascolto di un ispettore capo, sezione indagini elettroniche, e di un perito tecnico della polizia scientifica rispetto alla validità dell’identificazione vocale nelle intercettazioni che è emerso essere basata sulla probabilità e quindi non è una dato certo.
Infine è stato il turno di un ispettore capo, sezione anticrimine, e un funzionario della polizia postale che hanno analizzato il materiale informatico sequestrato. È stato detto come la polizia postale non ispezioni tutto il materiale informatico sequestrato, ma solo quello che la digos suggerisce ed inoltre, sul totale dei files, fa accertamenti a campione.
I pm hanno voluto insistere sul fatto che la sola presenza di programmi come PGP o Stools o Winrar (che consente l’inserimento di password) devono essere considerati come elementi probanti una condotta pericolosa. In linea, del resto, con quanto sempre sostenuto durante questo processo in cui sono più che altro le interpretazioni e non i fatti che costituiscono la colpevolezza.
E poi, come ormai in tutte le udienze, si è assistito ai soliti siparietti, durante i quali pm, corte e avvocati si lasciano andare a battibecchi o scambi di battute, consapevoli dello scontro in atto tra i ruoli che rivestono. Nel gioco delle parti, ciascuno accusa l’altro di non tenere un comportamento conforme o rispettoso, facendo appello alla corte, presieduta da Anna Argento, che evidentemente propende per uno degli attori e non tenta neppure di camuffare la propria particolare comprensione nei confronti dei testi dell’accusa verso cui ha un atteggiamento conciliante, anche in caso di contraddizioni o “dimenticanze”.
Alla fine del dibattimento è stata presentata un’istanza di liberazione per reintegro lavorativo per Bruno Bellomonte, licenziato dalle Ferrovie dello Stato, e per la quale, da ‘collegato lavoro’, deve fare domanda entro gennaio del 2011. L’udienza si è conclusa con l’acquisizione da parte dei pm della documentazione per la richiesta e dei precedenti analoghi al fine di valutare. La prossima seduta si terrà il 25 gennaio 2011.
16 dicembre 2010
Assemblea contro il carcere e la repressione
Torino: Sangue soldi, pummarola… sei anarchici a giudizio
Giovedì 13 gennaio si è svolta la seconda udienza del processo che vede alla sbarra sei anarchici imputati di imbrattamento di edificio storico in occasione delle iniziative torinesi contro il G8. Ricordiamo brevemente i fatti.
Il PM Antonio Rinaudo, indefesso cacciatore di anarchici, sprezzante del rischio di cadere nel ridicolo, accusa sei compagni per "i delitti 81 cpv, 110, 639 comma 2 perché con più azioni esecutive di un medesimo episodio criminoso (…) deturpavano e imbrattavano parte di un immobile sito in via Fanti 17, facente parte di un edificio parzialmente costruito nel 1700 e quindi ritenuto di interesse storico, luogo dove ha sede il centro congressi dell'Unione Industriali di Torino". Una roba dal tono dannatamente serio. "Delitto", "disegno criminoso", "deturpare ed imbrattare". D'altra parte i compagni, complici le norme approvate proprio lo scorso con il pacchetto sicurezza, rischiano anni di reclusione.
Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati i testimoni dell'accusa, un carabiniere dei Ros e due responsabili dell'Unione industriali e i due periti della difesa. Il carabiniere, nonostante ce la mettesse tutta, non è riuscito a gonfiare la faccenda, i due dipendenti dell'Unione Industriali hanno di fatto negato di aver subito danni. I periti della difesa hanno illustrato una lunga relazione tecnica che dimostra che l'edificio di via Fanti, costruito begli anni Sessanta, non è né "storico" né sotto tutela, come non è "storica" né sotto tutela la limitrofa palazzina di fine Ottocento di via Vela. I compagni hanno fatto una dichiarazione spontanea leggendo un documento sulle ragioni delle iniziative del luglio 2009 contro il G8.
Il processo è stato rinviato al 6 aprile per le arringhe e la sentenza.
Di seguito il testo letto in tribunale ieri.
***
L'8 luglio 2009 cominciava all'Aquila la riunione dei G8.
All'Aquila i padroni del mondo facevano la loro passerella tra le rovine della città distrutta dal terremoto. La gente in tenda circondata da uomini armati, i potenti in una caserma/fortezza milionaria. Roba da brividi. Un G8 tra le macerie. Metafora reale di un tempo segnato dalla ferocia e dalla forza, dalla guerra e dalla miseria, dal banchetto di una minoranza di ricchiepotenti sulle spalle dei più. Un'arroganza che nemmeno si maschera dietro la retorica, nemmeno finge i buoni sentimenti.
L'Aquila è il simbolo inquietante di un futuro che è già presente. Un'intera popolazione sotto controllo, mentre i soliti noti costruiscono fortune "umanitarie".
Non si può tacere di fronte alle macerie trasformate in palcoscenico per i potenti, mentre tanta gente, che nel terremoto aveva perso le persone care, la casa, lavoro, fin la speranza di un futuro, soffriva sotto le tende, prigioniera nei campi militarizzati.
Non si può tacere di fronte ad una città chiusa, transennata e sorvegliata da uomini in armi, perché nessuno la vuole ricostruire, perché rifare un centro storico costa e non rende. Non si può tacere di fronte alla parata di politici e faccendieri che si preparano a spartire la torta succosa del dopo terremoto.
Non si può tacere quando capi dei governi più forti della terra discutono il destino dei sei miliardi di esseri umani, incuranti che, di G8 in G8, di vertice in vertice, la gran maggioranza della gente del pianeta sopravviva e stento con meno di un paio di dollari al giorno. Non si può tacere e noi non abbiamo taciuto.
Abbiamo voluto con un'azione comunicativa ricordare che chi lucrava sulla "ricostruzione", sulla New Town erano gli stessi che si erano ingrassati costruendo con la sabbia case destinate a venire giù. Come dimenticare l'ospedale S. Salvatore, nuovo di zecca, appena finito dall'Impregilo, crollato come un castello di carte?
Come dimenticare che le ricchezze dei padroni sono costruite con il sudore ed il sangue di chi, per vivere, deve lavorare? Ogni giorno, ogni ora, in qualche dove, qualcuno muore sul lavoro.
Nella serata del 7 luglio abbiamo fatto un'iniziativa di protesta davanti alla sede dell'Unione Industriali in via Fanti. Sulla cancellata esterna della palazzina abbiamo appeso uno striscione bianco con la scritta "G8: guerra, schiavitù, oppressione", siglato FAI.
Sul marciapiede antistante il cancello esterno dell'edificio abbiamo gettato una secchiata di pomodoro, alcune mazzette che imitavano le banconote da 20, 50, 100 euro e una decina di sacchetti azzurri pieni di carta con all'esterno il simbolo dell'euro.
L'azione, chiaramente di carattere simbolico - il palazzo che ospita l'Unione Industriali non è stato neppure sfiorato - aveva l'intento di richiamare l'attenzione sul vertice dei G8, denunciandone le responsabilità nei confronti della maggioranza della popolazione del pianeta, condannata alla miseria e all'oppressione. Un piccolo gesto per rompere il muro grigio dell'informazione, che narra la favola indecente e falsa di un mondo da cartone animato. È pertanto evidente l'infondatezza della contestazione e la contraddizione tra le accuse che ci sono rivolte e la concreta dinamica dei fatti, come peraltro già emerge sin dalla descrizione che ne fa il capo di imputazione.
Lo dimostrano le foto scattate nell'occasione, che abbiamo prodotto.
Se oggi siamo qui in quest'aula di tribunale, se veniamo accusati di un reato che non abbiamo commesso, le ragioni sono tutte nelle nostre idee. Queste sì corrosive per l'ordine folle che governa questo mondo. Queste sì corrosive per i palazzi del potere.
Se ci condannate è per quello che abbiamo detto e scritto non certo per una secchiata di pomodoro sul marciapiede.
gennaio 2011
estratti da comunicati della Federazione Anarchica Torinese
Scoperta infiltrata nei movimenti genovesi
Ciò che scriviamo in seguito tratta di un fatto estremamente grave e pericoloso che riguarda da vicino l'insieme dei movimenti antagonisti genovesi. Scriviamo solo ora che ne abbiamo la certezza assoluta e ne possediamo le prove.
Da due anni una ragazza che ha frequentato parecchi ambiti dei movimenti antagonisti genovesi è stata contattata e pagata dai servizi di intelligence per dare informazioni rispetto alle attività (assemblee, benefit, occupazioni, contestazioni, etc.) e alle persone che ne prendevano parte. Tale lavoro era svolto con incontri in cui venivano fatte domande più o meno specifiche e in seguito supportati da relazioni scritte su ciò che lei osservava e sentiva. Il tutto era poi consegnato al suo “referente”.
Sappiamo che il contatto è avvenuto nei primi mesi del movimento dell'Onda (ottobre 2008), tramite la scusa di collaborare a delle ricerche sulle politiche giovanili. Soltanto nell'estate del 2009 questa ragazza avrebbe realizzato che si trattava di “un'operazione di polizia”; di fatto, a partire dall'occupazione anarchica della Casa (29 luglio) di Castelletto, le domande dell'agente di contatto si sarebbero fatte più pressanti e le richieste più puntuali e particolareggiate (nomi, contenuti e prese di posizione). Il rapporto si sarebbe così manifestato e chiarito per ciò che era (infiltrare una persona per prevenire e monitorare il movimento antagonista genovese) e si è consolidato in un pagamento fisso mensile. I rapporti sono continuati (anche sporadicamente) fino a dieci giorni fa. La ragazza in questione, Ana Pillaca di 22 anni, di origine peruviana, studentessa universitaria, in attesa di cittadinanza, è dunque consapevole da almeno un anno e mezzo di lavorare per fornire informazioni all'apparato repressivo. Una volta contattata da alcuni compagni, ha confermato e rilasciato una completa “confessione” (orale e scritta, depositata presso un legale di fiducia che per ovvie ragioni di sicurezza resterà anonimo).
Ogni realtà antagonista genovese e italiana si senta in dovere di allontanare questa persona. Riterremo altrettanto grave che dei compagni continuino ad intrattenere dei rapporti con quella che si è rivelata un'informatrice.
Per ragioni di sicurezza e incolumità dei compagni che hanno avuto la necessità di esporsi particolarmente in questa odiosa faccenda, auspichiamo che venga garantita l'incolumità di Ana Pillaca. Sappiamo con chi abbiamo a che fare e ci attendiamo una reazione da parte degli apparati. Con questo documento, dunque, vogliamo rendere pubblico il fatto che qualunque attacco repressivo che potremmo subire in risposta a questa denuncia è da inscriversi nell'ottica di una montatura.
Genova, 20 ottobre 2010
Le compagne e i compagni da Genova
da liguria.indymedia.org
milano: Microspie e macrostronzi
Dopo la microspia ritrovata nel contatore elettrico della Panetteria Occupata, nel mese di novembre sono stati rinvenuti a casa di alcuni compagni (in un amplificatore, nella cappa della cucina e in un televisore catodico) degli apparecchi con microfono e trasmettitore da 300 Mhz con una portata di 2-300 metri. In un caso con l’aggiunta di un telecomando di attivazione a distanza (da alcune centinaia di metri) e in un altro con l’aggiunta di una microcamera collegata a trasmettitore in banda UHF della medesima portata.
Non è la prima volta e di certo non sarà l’ultima che compagni e compagne si accorgono di essere oggetto di attenzioni particolari da parte della magistratura, delle forze di polizia, dei servizi segreti ma ci preme sottolineare quanto la presenza di una videocamera nella propria abitazione risulti una violenza particolarmente odiosa.
Non ci deve stupire che nell’attuale congiuntura economica, segnata profondamente dalla crisi e dalle ricette padronali antiproletarie, il lavoro che da anni i compagni e le compagne portano avanti con determinazione possa assumere oggi maggiore rilevanza sia nel campo proletario che, di conseguenza, da parte dello stato.
L’enorme produzione legislativa bipartisan di questi ultimi anni in materia di “pubblica sicurezza” ha reso via via più agile lo squallido lavoro degli agenti della repressione: dall’uso più che disinvolto delle intercettazioni ambientali all’introduzione di nuove fattispecie di reato dai contorni sempre più aleatori e discrezionali, dalla facilità con cui viene disposta la carcerazione preventiva all’inasprimento delle condizioni detentive, fra le quali certamente l’uso prolugato dell’isolamento.
Questa legislazione che si nasconde dietro l’impronta emergenziale unitamente al grado di militarizzazione e alla crescente presenza di gruppi neofascisti nei quartieri se da una parte rivela i timori padronali ed il tentativo di contenere preventivamente una possibile ripresa dello scontro di classe su scala allargata, dall’altra disegna i contorni del modello di società che si apre di fronte di noi, di una democrazia autoritaria.
Eventi come questi non devono farci paura né intimidirci ma spingerci a lottare con maggior coraggio e determinazione e ad unire le forze.
Milano, 12 dicembre 2010
Panetteria Occupata - via conte Rosso, 20 (Lambrate)
rossoconte@hotmail.com
Firenze: trovate microspie
Nelle ultime settimane sono state trovate 2 microspie nella sede del nostro collettivo.
La prima è stata trovata in una scatolina elettrica, sospettosamente calda. Questa prima microspia era formata, oltre che da un microfono, da una telecamera. A distanza di poco più di una settimana ne abbiamo trovata un’altra in una presa industriale.
12 gennaio 2011
Spazio liberato 400 colpi
da informa-azione.info
Teramo: Fogli di via e sorveglianza speciale a 5 compagni/e
Negli ultimi giorni sono stati notificati a 5 compagni/e che vivono in provincia il foglio di via per tre anni con procedura d'urgenza dalla città di Teramo, in seguito alla manifestazione del 27 novembre scorso contro Forza Nuova.
Il 18 gennaio è stata invece fissata l'udienza per la sorveglianza speciale per un compagno che da poche settimane aveva terminato di scontare dua anni della stessa misura. La procura di teramo per non far scadere l'avviso orale ha immediatamente fatto richiesta di questa nuova udienza, richiedendo un provvedimento della durata di tre anni con obbligo di dimora.
22/12/2010
da informa-azione.info
milano: CONTRO IL MERCATO DELLA NUOVA SCHIAVITÙ
Lunedì 17 gennaio, in via Cavezzali 11, ci troveremo alle 8.30, per dare sostegno ad una famiglia marocchina che rischia lo sfratto. Il palazzo è tristemente conosciuto perché lì, 5 anni fa, fu ucciso un ragazzo marocchino da una delle guardie private, pagate dalla proprietà per riscuotere gli affitti in nero. Quel ragazzo, come tanti altri, si rifiutava di pagare affitti altissimi (si parla di 500€ al mese per meno di 20mq di appartamento) e di subire condizioni inaccettabili, perché manca l'acqua calda, l'ascensore e l'impianto elettrico sono fuori norma e pericolosi per gli abitanti. Una vera e propria truffa.
Una truffa allestita nella stessa logica di quella della "sanatoria" del 2009, che ha colpito migliaia di immigrati. Lavoratori che, dopo aver pagato, sotto ricatto, migliaia di euro a speculatori d'ogni risma, sono ancora in attesa d'un permesso di soggiorno, per poter vivere e lavorare decentemente.
É a causa della condizione di “clandestinità” che i padroni (e tra questi la proprietà dello stabile di via Cavezzali) riescono a sfruttare meglio le persone, pagando salari da fame e imponendo affitti altissimi. Ma, come gli operai delle cooperative hanno da tempo deciso di alzare la testa per non essere schiacciati in condizioni di lavoro servili, come gli immigrati senza permesso di soggiorno hanno per settimane rotto l'omertà generale sulla truffa di cui sono stati vittime, salendo per settimane su una gru e su una torre, così anche le famiglie di via Cavezzali hanno deciso di rompere con la paura e di contrastare i soprusi di cui sono oggetto.
Per questo invitiamo tutti a partecipare all'iniziativa di lunedì 17 gennaio alle 8.30 in via Cavezzali 11 (traversa di via Padova, dopo il ponte ferroviario).
Uniamoci per impedire che una famiglia intera, con due bambini piccoli, finisca in mezzo alla strada. Un piccolo passo, ma davvero importante.
gennaio 2011
Comitato inquilini via Cavezzali - Comitato di lotta Torre Imbonati
***
L'assemblea del 10 gennaio 2010 decide di costituire il "comitato inquilini di via Cavezzali 11". L'obiettivo del comitato è quello di difendere gli interessi degli abitanti dello stabile (circa 150 famiglie) di fronte all'atteggiamento inaccettabile da parte della proprietà.
Denunciamo gli sfratti che colpiscono molte famiglie costrette allo stato di morosità da affitti insostenibile (senza un contratto regolare), e allo stesso tempo la condizione di disservizio a cui l'amministrazione condanna tutti gli abitanti del palazzo.
Per questi motivi il comitato rivendica quindi i seguenti punti
1) Nuovi e regolari contratti con affitti adeguati alla metratura, da concordare tra la proprietà e il comitato inquilini
2) Cancellazione delle pratiche di sfratto in corso e di ogni richiesta di arretrati
3) Ripristino dei servizi essenziali all'interno dello stabile ed in particolare dell'ascensore, del riscaldamento e di un impianto elettrico a norma
Il comitato si impegna a portare avanti questa piattaforma coinvolgendo tutti gli inquilini e a sostenere tutte le famiglie sfrattate di fronte agli sfratti esecutivi sia attraverso presidi di autodifesa sia attraverso le azioni legali necessarie.
Milano, 10 gennaio 2011
Comitato inquilini "via Cavezzali 11"
è cominciata la lotta a varedo (monza)
Avevamo appena avuto il tempo di rendere pubblico l'appello a ragiungere il presidio di venerdì notte a Varedo messo in piedi dagli operai della T.A.I.M. Ci prendiamo ora quello necessario a raccontare l'intera vicenda e a tracciare qualche linea di prospettiva per una lotta appena cominciata.
La vicenda assomiglia moltissimo a quella da noi vissuta esattamente un anno fa a Brembio. Anche in questo caso con la fine dell'anno solare è cessato l'appalto che legava la cooperativa "Lavorando.it" (appartenente al consorzio "Helios") alla committente T.A.I.M., una delle tre aziende milanesi che si occupa di incellophanare e distribuire riviste. Al momento del cambio di appalto erano in forza presso lo stabilimento 57 operai, di cui circa il 50% immigrati.
Come sempre accade il cambio di appalto non porta mai con sè nulla di buono; risponde invece all'esigenza ben precisa di ridurre il costo del lavoro ed in particolare colpire il salario e i diritti degli operai.
La cooperativa viene liquidata e l'appalto viene rilevato direttamente dal consorzio Helios che sottopone agli operai un nuovo contratto che apporta tre cambiamenti sostanziali rispetto a quello precedente: 1) Non verrà più applicato il contratto dei grafici ma quello dei trasporti, con predite salariali secche per tutti (e la promessa, ma solo per gli addetti alle macchine, di recuperarli fuori busta).
2) Il nuovo regolamento, tra le altre cose, prevede una clausola che permette all'azienda il trasferimento degli operai entro un raggio di Km ...illimitato.
3) Esistono in ogni caso 12 esuberi.
Di fronte all'aut-aut della Elios gli operai si dividono: 32 decidono di firmare l'accordo capestro (nei giorni scorsi lo avevamo definito un piccolo piano Marchionne) e di riprendere l'attività: altri 25 invece non ci stanno e danno inizio allo stato di agitazione.
Prima tentano di entrare in fabbrica ma vengono fatti uscire (pare con le buone) dai carabinieri che fanno valere la legge del padrone; poi si riuniscono in assemblea il 6 gennaio insieme al SI.Cobas e al coordinamento di sostegno alle lotte nelle cooperative che da due anni accompagna la crescita di questo movimento dal basso; infine, di fronte all'irremovibilità dei padroni, decidono di passare all'azione e si piazzano davanti ai cancelli della fabbrica con l'obiettivo di bloccare l'accesso ai camion: sono le 20 di venerdì 7 gennaio.
A questo punto parte un tam tam frenetico per cercare di raccogliere il maggior numero di forze possibile e raggiungere il picchetto operaio che nel frattempo comincia a bloccare l'accesso dei camion. Compagni, dirigenti aziendali e forze dell'ordine affluiscono più o meno contemporaneamente mentre all'interno della fabbrica proseguono le attività anche con l'ausilio di lavoratori in nero chiamati a sostituire quelli in lotta.
Per un paio d'ore non succede nulla se non i consueti capannelli di discussione; ci si conosce, si scambiano esperienze e opinioni, ci si dà coraggio a vicenda, si ragiona sulle prospettive; in poche parole il picchetto va assumendo la sua fisionomia politica.
Poco prima dell'una però i carabinieri tentano una forzatura. Secondo loro protestare è giusto ma il blocco va rimosso; l'attività aziendale deve riprendere, non sono ammissibili intralci alla macchina del profitto. Ma l'attacco è debole, si basa su semplici spintoni nella speranza di intimidire i manifestanti e di ottenere il risultato senza eventi traumatici.
Ma le cose non vanno come previsto: gli operai non mollano e i solidali, manco a dirlo, li seguono con decisione. Dopo meno di mezz'ora le forze dell'ordine desistono.
Giunge quindi il presidente del consorzio che offre un tavolo di trattativa (ma solo con i dirigenti sindacali) in cambio del passaggio dei camion bloccati dal picchetto.
Tempestato dalle domande degli operai (non molto gentili nei toni) il presidente in poco tempo è costretto a ribadire che al tavolo non potranno essere messi in discussioni i termini che regolano i nuovi contratti di assunzione ma, semmai, valutare la posizione dei 12 esuberi e prevederne una ricollocazione.
Nulla da fare. Il picchetto non si sposta e con il successivo arrivo di una ventina di solidali provenienti da Milano, appare chiaro a tutti che non vi è al momento nessuna possibilità di rimuovere il picchetto. I carabinieri comunque continuano ad aumentare ed arrivano anche tre cellulari della polizia; ma tutti si collocano a debita distanza (i cellulari addirittura fuori dalla visuale).
Trascorrono così altre tre ore di picchetto mentre la digos cerca di capire le intenzioni degli operai in attesa dell'arrivo dei prossimi camion previsto per le 8 di mattina.
Gli operai dicono chiaramente che non possono permettersi di perdere questa battaglia e che quindi non hanno paura delle forze dell'ordine. Alle cinque l'ultimo colpo di scena. Si fa una valutazione collettiva asembleare e si decide di abbandonare, improvvisamente e senza comunicazioni, il teatro di questa prima battaglia.
Il ragionamento degli operai che hanno deciso di concludere questo primo picchetto (lasciando a bocca aperta dirigenti aziendali e sbirraglia) è stato grosso modo il seguente: noi abbiamo deciso quando iniziare questa prima puntata e noi decidiamo quando interromperla; d'altra parte abbiao agito d'improvviso, con una forzatura senza avere il tempo per organizzarci sufficientemente nella prospettiva di una resistenza a oltranza.
Questo avrebbe esposto il picchetto, nelle ore successive, ad un attacco delle forze dell'ordine e, anche se non si fosse deciso di accettare uno scontro (peraltro impari) gli si sarebbe dato modo di manifestare la loro forza che invece, in questo modo, è stata costretta a restare a guardare. Una mossa a parere di tutti molto intelligente strettamente legata alla prospettiva di rilancio della battaglia per i giorni a venire.
In particolare é stato fissato l'importante appuntamento di sabato 16 gennaio con un presidio manifestazione che avrà inizio alle ore 8 e si protrarrà fino al pomeriggio. L'obiettivo è quello di sviluppare una grossa mobilitazione esterna e, allo stesso tempo, di costruire lo sciopero anche all'interno consapevoli che i 32 firmatari, per il momento, hanno ceduto di fronte alle pressioni aziendali ma che, allo stesso tempo, le loro stesse prospettive lavorative sono legate all'esito di questa lotta, unica vera chance, anche per loro, di difendere seriamente le proprie condizioni di lavoro e di resistere all'offensiva padronale.
Per raggiungere il luogo della manifestazione: uscita Varedo/Monza-Saronno della superstrada MI-Meda, riprendere immediatamente la superstrada in direzione Milano (in pratica un inversione di marcia), prima uscita a destra dopo 50 m; la T.A.I.M.M. è la prima azienda che si incontra.
11 dicembre 2010
fonte: info@antirazzistimilano.org
torino: L'ACCORDO DI MIRAFIORI
Rispetto al primo, accordo di Pomigliano, quello di Mirafiori del 23/12/2010 si presenta più completo ed interessante. Si passa infatti da un testo di due pagine in sedici punti ad un vero e proprio contratto collettivo che - con gli allegati - giunge a circa cento fogli. Non a caso il medesimo testo è stato immediatamente trasportato a Pomigliano il successivo 29/12. Nell'accordo per Mirafiori sono descritte due fasi da analizzare separatamente: quella transitoria sino all'avvio dell'attività produttiva della new.co. e quella successiva e definitiva. La fase transitoria partirà il 14/02/2011 con "la cassa integrazione guadagni per tutto il personale per la durata di un anno" (art.7), rispetto a cui l'azienda e i firmatari precisano che "non sarà previsto e richiesto a carico Azienda alcuna integrazione o sostegno al reddito sotto qualsiasi forma diretta o indiretta" e ciò anche durante i programmati corsi di formazione "per preparare i lavoratori e metterli in condizione di operare nella Joint Venture" (art.8). Il primo aspetto assai rilevante è che la Cassa integrazione non viene chiesta per l'annunciata ristrutturazione, di cui per altro nell'intero accordo non vi è traccia essendosi al riguardo le parti limitate ad allegare un generico comunicato stampa Fiat ove si fa riferimento ad un "investimento previsto". Al momento della validazione referendaria l'accordo sarà vincolante per i lavoratori ma non per l'azienda che nel testo non si obbliga a detto investimento e mai l'applicazione delle norme viene condizionata alla sua effettiva attuazione. Ed allora se la prima fase di ristrutturazione non si fonda su rilancio dell'azienda, su cosa si basa? La risposta ce la da lo stesso punto 7: e cioè su "la grave crisi che ha interessato e continua ad interessare il mercato dell'auto" a cui si aggiunge anche un non meglio precisato "evento improvviso ed imprevisto", che un lettore malizioso non potrebbe che individuare nella decisione di Cisl, Uil e Confindustria di aderire festosamente il giorno prima di Natale al medesimo testo che avevano ritenuto inaccettabile appena tre settimane prima. Chiarito il destino delle intere maestranze Fiat per l'intero 2011 - con piccole eventuali eccezioni per il solo personale che potrebbe essere richiamato in servizio per produrre, in caso di richieste, i modelli "Fiat Idea, Lancia Musa e Alfa MiTo" (presumibilmente inesistente, almeno per i primi due modelli praticamente scomparsi dal mercato) - viene affrontato il dopo con una dichiarazione davvero sorprendente: il personale verrà assunto dalla Joint Venture "senza l'applicazione dell'art. 2112 c.c. in quanto nell'operazione societaria non si configura il trasferimento di ramo d'azienda" (art.10 Regolamentazione per la Joint Venture). Per non tediare il lettore è sufficiente rilevare come la nozione di "trasferimento di ramo azienda" afferisce ad un qualsivoglia evento in cui vi sia il mutamento della titolarità di un'un azienda o di una sua parte con conservazione della sua identità; e l'art.2112 c.c. - che recepisce tre successive Direttive Europee - è proprio quella norma del nostro codice civile che prevede come in tali casi il rapporto dei lavoratori prosegua con la nuova proprietà dell'azienda automaticamente e con conservazione di tutti i pregressi diritti di cui risponde anche il nuovo acquirente. Per quanto male si voglia pensare di Marchionne e dei suoi consulenti non si può supporre che non sappiano che un accordo sindacale non possa derogare ad una legge. Ed allora la mente non può che correre all'unico caso nella storia della ristrutturazione aziendale in Italia ove un'azienda è stata ceduta senza l'applicazione dell'art.2112 c.c. ovverosia l'Alitalia, modello a cui l'intero accordo sembra ispirato […]. Ed allora c'è da chiedersi il perché di tale affermazione, facendosi aiutare da alcuni interessanti indizi: primo, come si è detto la società il 14/2 sostanzialmente chiude per "la grave crisi che ha interessato e continua ad interessare il mercato dell'auto". Il secondo aspetto riguarda il personale che dovrebbe essere riassorbito dalla futura Joint Venture Fiat-Chrysler. Ma con quali mansioni? Le stesse che svolgeva precedentemente penserà il lettore ingenuo. Ma non è proprio così perché esse potranno essere assegnate "anche sulla base di quanto previsto dall'art.4 comma 11 L.223/1991" (art.10) e qui va ricordato come tale comma prevede che in caso di "licenziamento collettivo" sia possibile demansionare permanentemente i dipendenti se ciò è ritenuto strumentale al mantenimento dell'occupazione. Ed ecco come l'accordo che - pur a fronte di dolorosi sacrifici - per i nostrani riformisti ha l'indiscutibile pregio del rilancio dell'azienda e dell'occupazione e non obbliga la Fiat ad alcun investimento e prevede invece l'apertura dei licenziamenti collettivi; terzo, il riformista potrebbe sempre ribattere che la preannunciata dequalificazione è un ulteriore boccone amaro ma comunque il bene prevalente della tutela del posto è comunque protetto. Ma ancora una volta - purtroppo - pecca di ottimismo: l'accordo, infatti, non dice che tutti i dipendenti saranno riassorbiti ma solo che "il fabbisogno degli organici della Joint Venture sarà soddisfatto in via prioritaria con l'assunzione del personale proveniente dagli stabilimenti di Fiat Group Automobiles s.p.a. di Mirafiori" (art.10). Certo in ragione del comunicato stampa Fiat allegato all'accordo, la Joint Venture avrà bisogno di talmente tanto personale per giungere ai 6 milioni di auto da produrre l'anno previsti in base al piano industriale e addirittura occorrerà procedere a assunzioni addizionali (e l'accordo, sempre al punto 10, già precisa che "eventuali ulteriori fabbisogni di organico saranno soddisfatti con il ricorso a contratti di lavoro somministrato, contratti a termine, apprendistato professionalizzante", tanto per chiarire le prospettive dell'occupazione giovanile dell'area). Ma nella remota ipotesi che nel corso del 2011 la crisi dell'auto dovesse proseguire o aggravarsi e l'assenza di nuovi modelli in uscita dovesse ulteriormente peggiorare, nessun passo dell'accordo prevede che dopo i licenziamenti collettivi vi sarà per tutti la riassunzione. Fatta questa precisazione si torna allora alla domanda da cui si era partiti: perché l'accordo mente quando afferma che non si applica l'art.2112c.c..? L'unica risposta è che lo fa per costringere i dipendenti - messi di fronte ai licenziamenti collettivi e senza alcuna guarentigia contrattuale […] - a firmare nuovamente il contratto, atto che la legge ritiene non dovuto in questi casi proprio grazie all'operatività del suddetto art. 2112 c.c. che prevede il passaggio automatico dal vecchio al nuovo datore. E perché, allora, occorre far firmare nuovamente un contratto di assunzione a lavoratori già dipendenti Fiat da decenni? La risposta ce la da l'art.2 dell'accordo ove afferma che "le clausole del presente accordo integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce sanzione disciplinare"; il contratto individuale che i lavoratori dovranno firmare noverà (e cioè estinguerà e sostituirà) il precedente, conterrà l'intero accordo e farà sì che come Bonanni e soci hanno aderito alle richieste di Marchionne, il singolo dipendente aderirà alla adesione di Bonanni, vi sarà quindi coincidenza perfetta tra contratto collettivo, contratto individuale e comando d'impresa in base alla quale la volontà del lavoratore sarà formalmente scolpita nell'intero prosieguo del rapporto: egli cioè sarà volontariamente chiamato a dichiarare di non avere volontà. Ma questo aspetto è il punto cerniera tra la disciplina transitoria e quella futura e permanente che va quindi ora affrontata […]. La prima notazione da fare è che l'accordo di Mirafiori non ha pressoché nulla a che vedere con la "produttività". Il punto più estremo, infatti, della narrazione "produttivista" è la creazione di 18 turni settimanali con turnazione su sei giorni settimanali a scalare su base trisettimanale e con giorno di riposo settimanale al secondo cambio turno limitato tra le 22 del sabato sera e le 22 della domenica (art.1 regolamentazione Joint Venture). Ebbene, tale penosa turnazione è stata a lungo in vigore presso lo stabilimento di Melfi, a sintetica e definitiva riprova del fatto che non occorreva certo uscire dal c.c.n.l. metalmeccanici per ottenere tale risultato. A ciò va aggiunto come tale turnazione sia già fallita proprio a Melfi e presumibilmente avrà ben poca vita anche a Mirafiori, parendo difficile immaginare che occorrerà mandare a regime una tale necessità di saturazione degli impianti. Ed ancora non certo nel solco della produttività cinese si colloca l'altra previsione utilizzata dai primi commentatori per sottolineare gli aspetti incrementali della produttività: e cioè la previsione di un ulteriore possibile orario di 10 ore giornaliere […]. Ed allora quale è il punto dell'accordo? Il punto non è la maggiore attività prevista ma l'acquisto potenziale dell'intera vita; esso non disciplina cioè la normale attività dello stabilimento (che, presumibilmente, cambierà in misura non eccessiva) ma lo straordinario potere unilaterale dell'azienda di gestione dei picchi. L'aspetto infatti davvero eccezionale (questo sì "cinese", ed anzi ancora più) è il combinato disposto tra tali possibili turni e l'avvenuta estensione dello straordinario a 200 ore annue di cui 120 comandabili unilateralmente dall'azienda (art.2 reg. Joint Venture). Se si pone a mente che tale orario straordinario va espletato "a turni interi" ciò significa che può cadere (in caso di turnazione a sei giorni settimanali) nel solo giorno di riposo e quindi con la possibile prospettiva di prevedere ben 15 settimane annue (quasi quattro mesi) in cui l'azienda potrebbe obbligatoriamente far lavorare i dipendenti 7 giorni su sette, che potrebbero giungere a ben 25 settimane annue con l'accordo dei sindacati firmatari e a ciò va aggiunta la gestione dei "recuperi produttivi", prevedendo l'accordo all'art.9 che "le perdite della produzione non effettuata per causa di forza maggiore potranno essere recuperate collettivamente, a regime ordinario, entro i sei mesi successivi nelle giornate del sabato o nei giorni di riposo individuale per lo schema a 18 turni". Certo non accadrà, ma la stessa notazione che un accordo preveda in Italia nel 2011 la possibilità che operai alla catena di montaggio possano lavorare sei mesi l'anno su turni senza neppure il giorno di riposo settimanale dà la reale dimensione della posta in gioco: non come si vuole organizzare la produzione ma lo smisurato potere sui corpi dei lavoratori che Marchionne ha preteso e i sindacati complici hanno concesso. Ma ancora, fermandosi a questo, non si comprenderebbe la ragione dell'accordo: un bisogno di straordinario implica un picco alto della produzione e quindi delle vendite e degli utili, fase in cui - stante anche il modestissimo livello retributivo operaio - è davvero semplice trovare un accordo con la forza lavoro basato su ragionevoli incentivi e maggiorazioni le cui ricadute sui costi sarebbero presumibilmente modeste essendo stato lo stesso Marchionne a dichiarare che il costo del lavoro incide sul prezzo dell'auto finita solo per il 7%. Ed allora la risposta va trovata non nel nuovo ma nel vecchio […] ed infatti da sempre la Fiat, per affrontare le sue ristrutturazioni, è partita da una posizione che si potrebbe definire di "odio di classe" e cioè dal presupposto che la ristrutturazione non potesse che passare dalla sconfitta del sapere operaio e delle sue capacità di organizzazione […]. La scelta di una new.co. fuori dal contratto collettivo e con l'incorporazione nel contratto individuale dell'assolutizzazione del potere d'impresa sui tempi del lavoro si pone allora in assoluta continuità, non c'è nulla di nuovo nella "forma" ma solo il condizionamento di una antica cultura antioperaia che non muore. Al riguardo si rilevi che dalle previsioni definite "antiassenteismo" (in realtà null'altro che il progressivo mancato pagamento dei primi 2 giorni di malattia di cui all'art.4) sono esclusi gli impiegati che peraltro - a fronte della costruzione di turnazioni inumane per gli addetti alla catena - vedono invece l'introduzione di una "flessibilità" dell'orario di lavoro potendo essi giornalmente decidere di iniziare il lavoro "tra le 8 e le 9" in base alle loro mutevoli esigenze (art.1 reg. Joint Venture). Ed ovviamente per ottenere tale risultato "antioperaio" il primo obiettivo (anzi sostanzialmente l'unico, con buona pace dei dirigenti del Pd che si dilettano a distinguere tra parti buone e parti cattive dell'accordo) è quello di distruggere ogni contropotere in azienda sia individuale ma ancor più quello collettivo, di cui parleremo a seguire. Ma se questo è l'aspetto del "ritorno" della forma, qual è la novità del "contenuto"?. La novità - ed è qui che la cultura americana di Marchionne viene davvero fuori - è il rifiuto di ogni ipocrisia, soprattutto nella definizione del ruolo che egli intende dare al sindacato all'interno dell'azienda. La parte innovativa dell'accordo è avere chiarito, all'art.1 del "Sistema di Relazioni Sindacali", come il ruolo del sindacato non sia quello di rappresentare le istanze del lavoro nel confronto/conflitto con chi lo utilizza nell'esercizio dell'impresa ma quello di "trovare soluzioni coerenti con gli obiettivi condivisi" (con l'impresa) e quindi sindacati e direzione "assumono la prevenzione del conflitto come un reciproco impegno su cui il sistema partecipativo si fonda"e quindi "si identificano nella Direzione e nella Rappresentanza Sindacale dei lavoratori i soggetti che hanno questo compito". Mai è stato chiarito con tanta programmatica certezza che il compito unico dei sindacati sia quello di bloccare il conflitto. Ebbene "l'amore" dà, ed infatti i sindacati firmatari ricevono subito: a) il potere di veto rispetto a qualsivoglia competitore prevedendo l'accordo che "l'adesione di terze parti al presente accordo è condizionata al consenso di tutte le parti firmatarie" potendo quindi - ad esempio - l'associazione Capi e Quadri Fiat (con le sue centinaia di iscritti) impedire da ora e per sempre l'adesione della Fiom (con le sue centinaia di migliaia di iscritti); b) circa 15 dirigenti sindacali da poter nominare ciascuna organizzazione in numero uguale, del tutto a prescindere da fastidiosi passaggi elettorali e dal numero degli iscritti e per sempre (fino a quando cioè le organizzazioni firmatarie abbiano almeno 15 iscritti da far divenire tutti dirigenti); c) oltre ai permessi legali già previsti dallo statuto dei lavoratori un ulteriore monte ore di permessi retribuiti (solo per i sindacati firmatari ovviamente); d) la facoltà contrattuale di ricevere direttamente dalla Fiat i contributi sindacali automaticamente trattenuti dalle buste paga dei dipendenti (beneficio negato a qualsivoglia organizzazione sindacale non firmataria); ma non basta, l'impegno che i firmatari si sono assunti non è solo quello di non confliggere ma di impedire che altri possano farlo e la Fiat non si accontenta di un generico impegno dato che investe molte risorse sui sindacati complici esige risultati. Alla fine dell'art.1 infatti si prevede che tutti i benefici sindacali saranno tolti alle organizzazioni sindacali non solo per proprie eventuali iniziative ma anche se non riusciranno ad impedire "comportamenti individuali e/o collettivi dei lavoratori idonei a violare in tutto o in parte e in misura significativa le clausole del presente accordo inficiando lo spirito che lo anima"[…] insomma devono tenere con ogni mezzo la disciplina al posto del datore. Chiarito ciò si passa allora all'elenco delle prerogative sindacali ed esso va letto al contrario: e cioè non ponendo l'attenzione su quali prerogative abbiano i firmatari (del tutto ovvie e obbligatorie per legge da un quarantennio) ma invece su cosa non possono fare le organizzazioni sindacali che non hanno firmato, quand'anche (come la Fiom) fossero quelle maggiormente rappresentative. Ebbene la Fiom non può (art.1) costituire una propria rappresentanza sindacale aziendale, non può (art.2) godere di alcun permesso sindacale per i suoi dirigenti, non può (art.3) indire assemblee, non può (art.7) ricevere i contributi sindacali dei propri iscritti tramite trattenuta in busta paga, non può (art.5) utilizzare la saletta sindacale per la propria attività di incontro con i lavoratori, non può (art.4) affiggere propri comunicati in bacheca e non può neppure effettuare "attività di proselitismo nei confronti dei lavoratori ai loro indirizzi di posta elettronica aziendale o cellulari aziendali", semplicemente deve cessare di esistere […]. Quanto sta per accadere alla Fiom è la situazione in cui le organizzazioni del sindacalismo di base si trovano da un quindicennio in tutte le aziende ove silenziosamente tutti i sindacati firmatari del protocollo del 1993 - e quindi anche la CGIL - hanno deciso di non procedere ad elezione delle RSU. Il contenuto davvero innovativo dato da Marchionne è di aver finalmente detto che "il re è nudo"[…] . Per concludere si vuole allora evidenziare un ultimo passo del nuovo "sistema di relazioni sindacali" ovverosia che da un lato l'azienda "potrà effettuare controlli" a distanza del sistema informatico anche da remoto "su base individuale a seguito dell'accertamento di abusi" (ad esempio, l'invio di materiale sindacale in rete) mentre (si veda art.3) agli operai sarà vietato effettuare nelle assemblee "riprese", non potranno essere introdotti e utilizzati per le assemblee "materiali audiovisivi" se non previa autorizzazione aziendale e comunque "non sono consentite proiezioni di canali in diretta o comunque registrati da canali televisivi". Ed allora ricapitoliamo: il vecchio dell'accordo è la mediocre battaglia di potere sui corpi dei subordinati […], il nuovo è la misura del tutto esplicita di questo attacco che passa attraverso la cancellazione della democrazia e della libera comunicazione e informazione con il fattivo e mai così esplicito contributo di soggetti che cercano la valorizzazione del proprio agire nella fuga dalla competizione installandosi abusivamente nei monopoli naturali o artificiali. Vi ricorda qualcosa? Benvenuti nella "Fabbrica Italia", ed è veramente un'ingiustizia che il referendum sia limitato solo ai dipendenti Fiat, dato che è di tutti noi che la "favola narra".
gennaio 2011
Liberamente tratto dallo scritto di Carlo Guglielmi, Forum Diritti/Lavoro
fiat serbia: Zastava Auto, Ultimo Atto
Care amiche, cari amici, le notizie che ci sono giunte in questi giorni da Kragujevac sono pessime. Ricorderete che la fabbrica di automobili Zastava era stata divisa a febbraio 2010 in due parti:
- la FIAT Auto Serbia (FAS), proprietaria degli stabilimenti di produzione delle auto, che aveva assunto con un nuovo contratto individuale circa 1.000 operai;
- la Zastava Auto, che risultava in pratica una scatola vuota, rimasta di proprietà pubblica a cui venivano affidati i restanti 1.600 lavoratori non assunti dalla Fiat. E’ il nuovo modello Marchionne: la creazione di una new company a cui conferire le produzioni e gli stabilimenti e una bad company su cui scaricare debiti e lavoratori in eccesso.
Il Governo serbo, a ridosso della fine dell’anno, attraverso il suo Ministro dell’economia, il tristemente noto Mladan Dinkic, ha improvvisamente dichiarato la chiusura totale della Zastava Auto e la conseguente messa in mobilità di tutti i lavoratori a partire dal 5 gennaio. Nel documento intitolato Zastava ultimo atto che vi alleghiamo a questa mail sono contenuti i dettagli di questa operazione; qualche numero potrà cambiare di qui alla fine di gennaio, ma la sostanza è quella indicata.
La situazione è pessima per tutti questi lavoratori, che si vanno ad aggiungere agli oltre 23.000 disoccupati censiti a Kragujevac.
E’ evidente che per loro ci sono pochissime speranze di trovare una occupazione regolare e sono condannati ad una lunghissima situazione di precarietà.
Quando si sono sparse le prime voci i lavoratori hanno reagito immediatamente entrando in sciopero e effettuando un tentativo di occupazione del Comune di Kragujevac, ma non è servito a nulla.
La Fiat se ne è ovviamente lavata le mani, ha detto che era una questione che riguardava il Governo. In realtà ha ottenuto quello che le occorreva, la cancellazione del marchio Zastava, la proprietà degli impianti e un ampio serbatoio di lavoratori pagati pochissimo a cui attingere, a seconda del bisogno.
Tutti comprenderete che in queste condizioni la solidarietà concreta fino ad oggi espressa dalle nostre associazioni acquisisce un ancor più alto valore, sia sotto l’aspetto materiale che psicologico.
Ci appelliamo pertanto alla sensibilità di tutti voi per continuare l nostra campagna di affidi a distanza ed estendere il nostro aiuto a questi lavoratori e alle loro famiglie.
Riccardo Pilato (Associazione Zastava Brescia per la Solidarietà Internazionale ONLUS)
Gilberto Vlaic (Non Bombe ma Solo Caramelle ONLUS)
Brescia e Trieste, 7 gennaio 2011
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ZASTAVA ULTIMO ATTO
Intervista telefonica a Delic Radoslav, segretario generale del sindacato dei lavoratori del gruppo Zastava JEDINSTVENA SINDAKALNA ORGANIZCIJA. Queste sono le informazioni che siamo riusciti ad ottenere sulla situazione a Kragujevac al momento attuale.
Fiat Auto Serbia al 31 dicembre 2010: 1.120 lavoratori
Zastava Auto (di proprietà pubblica) al 31 dicembre 2010: 1.592 lavoratori
Il Governo serbo ha deciso di chiudere Zastava Auto il 5 gennaio 2011 ed ecco come si presenta il destino di questi lavoratori, dopo un serrato confronto con il sindacato; la somma dei numeri successivi porta ad un totale di 1.537 lavoratori; significa che per 55 non è ancora definito il gruppo di appartenenza. Alcuni numeri presenti in questo documento potranno cambiare, ma la sostanza resta questa che descriviamo.
- 53 lavoratori passano a Fiat Auto Serbia
- 60 lavoratori (direttori vari e impiegati di alto livello) passano a ZASTAVA AD, che è la Direzione Generale che controlla le attività industriali ancora esistenti del gruppo Zastava, non ancora privatizzate, che gestisce il patrimonio immobiliare eccetera.
- 10 lavoratori vanno subito in pensione.
A due anni dalla pensione: sono 65 lavoratori; entreranno nelle liste dell’Agenzia Nazionale per l’Impiego e riceveranno il seguente trattamento economico: 9 mensilità del loro salario netto attuale come indennità di licenziamento; 60% del salario medio netto serbo (circa 20.000 dinari/mese – 1 € uguale 106,5 dinari) fino alla pensione; i loro contributi sanitari e pensionistici fino alla pensione saranno a carico del Governo
Fino a 5 anni dalla pensione: sono 249 lavoratori. Trattamento economico: 6 salari lordi come indennità di licenziamento (pagheranno loro le tasse) per circa 2.500 euro a lavoratore. Entreranno nelle liste dell’Agenzia Nazionale per l’Impiego riceveranno un sussidio di circa 250 euro/mese netti ma dovranno pagarsi da soli i contributi (circa 60 euro/mese).
Ci sono inoltre 97 lavoratori con al massimo 6 anni dalla pensione: per questi il sindacato ha ottenuto che gli venga pagato il proprio salario lordo (su cui pagheranno i contributi) fino al raggiungimento del quinto anno dalla pensione, dopo di che rientreranno nel trattamento economico relativo ai lavoratori del gruppo precedente.
Lavoratori invalidi del lavoro: sono 65, passano all’azienda Zastava INPRO, che produce piccoli rimorchi per auto.
- 938 lavoratori non rientrano in nessuna delle categorie sopra elencate; riceveranno 300 euro di liquidazione per anno lavorato come indennità di licenziamento; entreranno nelle liste dell’Agenzia Nazionale per l’Impiego. Riceveranno un sussidio di 22.000 dinari/mese per un anno e 19.000 dinari/mese per un successivo secondo anno indipendentemente da anzianità e qualifica. In questi due anni i contributi sanitari e pensionistici saranno pagati dal Governo.
Fiat Auto Serbia dovrebbe arrivare ad avere circa 2.500 dipendenti alla fine del 2012; non ha però nessun obbligo contattuale rispetto alla riassunzione di lavoratori Zastava in mobilità.
C’è stato un grande inganno sui test di ingresso che la Fiat aveva svolto su tutti i lavoratori del gruppo auto; sembrava che il passaggio a Fiat Auto Serbia fosse condizionato al superamento questo test di ingresso; si sa invece di lavoratori che non hanno passato il test e che sono già stati assunti così come di lavoratori espulsi che avevano passato il test. Per moltissimi lavoratori non sono mai stati comunicati i risultati dei test e non c’è mai stato su questi argomenti un confronto con il Sindacato.
Ed è su questo grande equivoco che il Ministro dell’economia Mladjan Dinkic ha giocato le sue carte per giustificare l’espulsione di questi lavoratori, come è riportato nelle sue dichiarazioni del 24 dicembre a Radio B92.
Brescia e Trieste, 7 gennaio 2011