indice n.100

Il Cairo vuole la Guerra
Ferguson (USA): convergenze tra razzismo, polizia e istituzioni
sul nuovo decreto antiterrorismo
Lettera dal cacere di Massama (OR)
Lettera dal carcere di nunchis, tempio pausania (ot)
Perquisizioni a Mentoulles e Cuneo
atene: prigionieri in lotta contro le carceri speciali
da una lettera dal carcere di siano (CZ)
“Uno di meno”
Lettera dal carcere di Padova
Lettere dal carcere di Ferrara
Lettere dal carcere di Rebibbia (RM)
comunicato dal carcere di Lanciano (CH)
da una lettera dal carcere di Massa Carrara
Lettera dal carcere di Bergamo
opposizione al pagamento cartella esattoriale equitalia
Le questioni casa e lavoro nel laboratorio Toscana
Licenziamenti e demansionamenti è la ricetta del governo Renzi
Palermo: solidarietà all'appuntamento giornaliero con la firma
Milano: il processo ex-Cuem assume una dimensione generale
milano: sgomberato il soy mendel
dalle lotte nel comparto della logistica
Francoforte: 20 mila in strada contro la BCE



Il Cairo vuole la Guerra
I bombardamenti aerei egiziani sulla Libia successivi all’uccisione di 21 cittadini egiziani emigrati in Libia compiuta il 13 febbraio dall’ISIS, ufficialmente per il loro credo religioso cristiano, erano stati concordati e pianificati almeno un mese prima con il governo libico della città di Tobruk e hanno consolidato l’alleanza fra il Cairo e il generale libico Khalifa Haftar.
Tredici delle 21 persone decapitate erano partite da Minya, città dell’Alto Egitto, e lavoravano come braccianti - pagati miseramente. In ogni caso lo sforzo di Al-Sisi di proporsi come vendicatore della popolazione copta è poco convincente, dato che lo stato è responsabile di inasprire costantemente l’odio fra cristiani e musulmani. Le proteste della popolazione copta a Il Cairo davanti alla sede della televisione nel 2011 e nell’ottobre 2014, dove si contano 27 persone uccise dalla polizia, parlano da sole.
I Fratelli Musulmani della Libia e altre forze islamiche dominanti nel contro-governo insediato a Tripoli, che conserva i contatti con le milizie “Alba della Libia”, invece condannano aspramente i bombardamenti, in particolare sulla città di Derna; gli stessi attacchi aerei avrebbero distrutto campi di addestramento, depositi di armi dell’ISIS, ucciso almeno 64 suoi miliziani.
Il Qatar alleato e finanziatore di “Alba della Libia” e del governo ora insediato a Tripoli, in passato aveva migliorato, su pressione degli altri stati del Golfo, i suoi rapporti con Il Cairo; aveva inoltre ritirato il proprio sostegno ai Fratelli Musulmani dell’Egitto, considerandoli associazione terroristica. Sia come sia nell’incontro della Lega Araba del 18 febbraio scorso il ministro degli esteri dell’Egitto ha accusato quello stato di sostenere il terrorismo ed ha inoltre richiamato il proprio ambasciatore.
Nello spiegare via tv alla popolazione egiziana lo scopo dei bombardamenti, il presidente Al-Sisi ha assicurato che negli attacchi aerei non è morto nessun civile, data l’inchiesta che li ha preceduti, ed inoltre ha fatto riferimento agli sviluppi imprevedibili e pericolosi anche per gli immigrati egiziani in Libia – sono oltre 1,3 milioni.
“Alba della Libia”, per esempio, ha minacciato di espellere in 48 ore migliaia di lavoratori egiziani. La mastodontica emigrazione non deve sorprendere data la severa crisi imperante da tempo in Egitto, mentre in Libia il mercato delle braccia è in ascesa, i salari nell’edilizia e nell’industria sono più alti, ma non nell’agricoltura, specie dopo l’abbattimento di Gheddafi, dove sono striminziti. La situazione nella Libia dell’est è tesa: nelle città di Koba, Derna nei giorni successivi ai bombardamenti sono scoppiate autobomba che hanno ucciso almeno cinque egiziani.
Il Cairo ha deciso di ritirare il proprio ambasciatore dalla Libia. Fra i due paesi la tensione sale anche perché nell’ultimo anno gli islamici libici armati hanno esteso l’iniziativa al territorio egiziano. Va tenuta presente l’inevitabile strumentalizzazione politica di tutto ciò in Egitto date le elezioni parlamentari fissate per marzo e aprile 2015.

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In Libia la guerra civile riguarda (anche) chi controlla giacimenti, impianti, estrazione e vendita del petrolio ne è prova lo scontro fra i blocchi di potere rivali libici attorno al controllo dei campi di estrazione del petrolio e dei porti.

Dall’estate 2014 in Libia esistono due governi e due parlamenti rivali.
Le milizie dell’alleanza islamica Fajr Libia (Alba della Libia) da allora hanno portato sotto il loro controllo la capitale Tripoli situata nella parte ovest del paese, ed allo stesso tempo costretto alla fuga verso Tobruk, nell’est - vicino ai confini con l’Egitto, il governo riconosciuto sul piano internazionale.
Fajr Libia non riconosce il parlamento eletto il 25 giugno 2014, sostiene piuttosto con forza l’assemblea generale eletta due anni prima, la quale mantiene la propria sede a Tripoli. In essa i diversi gruppi islamici hanno la maggioranza, mentre nel parlamento di Tobruk non superano il settimo del totale. La partecipazione alle votazioni del giugno 2014 si è fermata ad un miserevole 18% di chi ha diritto al voto, mentre alle elezioni (sempre parlamentari) del luglio 2012 la partecipazione aveva toccato il 60%.
La guerra fra questi due gruppi di potere inevitabilmente è esplosa anche attorno ai porti petroliferi, in particolare quello di Al-Sider – il più grosso del paese –, in pratica bloccato da dicembre 2014. Ora l’estrazione del petrolio mediamente è pari a 350mila barili al giorno, cioè soltanto 1/5 della quantità estratta nel 2011 prima della ribellione contro Gheddafi. Anche per questo oggi le casse dello stato sono vuote.
L’alleanza di potere fuggita a Tobruk dispone di un esercito debole e di capi tribù quali il “signore della guerra” Khalifa Haftar – uomo della CIA da tanti anni. Lui ha proprie truppe ed anche una piccola aviazione militare che oppone, secondo i casi anche ad Abdullah Al-Thinni primo ministro del governo fuggito a Tobruk.
Un’altro motivo di scontro in Libia è la sospensione di una delle prime leggi votate dal parlamento di Tobruk nel maggio 2013 (col voto di appena 101 deputati dei 200 che compongono il parlamento) riguardo “l’isolamento politico”. Tale legge consisteva nell’esclusione, fino al 2023, da ogni funzione politica, ma anche dalla direzione di aziende dello stato, delle università, come dalla magistratura… tutte le persone che nell’epoca di Gheddafi avevano avuto cariche pubbliche.
Resta che al di là del territorio di Tobruk quel parlamento non ha nessuna autorità, per cui la sospensione legislativa votata resterà lettera morta, comunque ragione ulteriore di scontro.

tradotto da jungewelt.de, 5 marzo 2015


Ferguson (USA): convergenze tra razzismo, polizia e istituzioni
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha rilasciato questo mercoledì due inchieste: la prima svincola l'agente di polizia di Ferguson, Darren Wilson, da eventuali violazioni dei diritti civili nell'episodio che lo portò ad uccidere il diciottenne afroamericano (disarmato) Micheal Brown; la seconda evidenzia come la cultura e le pratiche razziste degli agenti del dipartimento di polizia di Ferguson non rappresentino un episodio marginale e limitato, ma siano la colonna portante di un atteggiamento strutturalmente insito nelle istituzioni e nelle forze dell'ordine di buona parte del paese.
La seconda indagine - in evidente contraddizione con quanto espresso nella prima - ha evidenziato come le autorità locali abbiano sistematicamente violato i diritti dei cittadini neri, mentre dalle carte emerge come moltissimi agenti di polizia “ritengano alcuni residenti, soprattutto quelli che vivono nei quartieri afro-americani di Ferguson, non come cittadini da difendere ma piuttosto come potenziali delinquenti e fonti di reddito".
Il Dipartimento di Giustizia ha infatti reso pubbliche diverse e-mail inviate da funzionari di Ferguson negli ultimi anni che rivelano pregiudizi razziali non troppo velati; in una di queste il presidente Barack Obama viene descritto come uno scimpanzé, un'altra descrive gli afroamericani come “disoccupati, pigri, incapaci di parlare inglese”, un'altra ancora contiene barzellette contro i musulmani.
La Divisione dei Diritti Civili ha inoltre rilevato che nel sobborgo di Ferguson la combinazione tra i pregiudizi razziali degli agenti e l'attenzione maniacale dell'amministrazione nel voler generare entrate sulla sicurezza pubblica ha provocato effetti profondi sulla polizia e persino sui tribunali: sembra infatti che funzionari della città, forze dell'ordine e Corte "abbiano lavorato in concerto per massimizzare i ricavi in ogni fase del processo di arresto e detenzione" per diversi anni.
Le statistiche sulla criminalità compilate in città negli ultimi due anni sembravano suggerire come solo gli afroamericani siano capaci infrangere la legge: rappresentano infatti l'85% delle persone fermate alla guida, il 90% delle multe somministrate e il 93% degli arresti compiuti. In casi di reati minori - come l'attraversamento col rosso, che spesso si basa sulla discrezione degli agenti - i neri hanno rappresentato il 95% degli arresti complessivi. Tutto questo nonostante la cittadina di Ferguson sia composta per oltre un terzo da bianchi (i quali, statisticamente, anche qualora venissero incriminati, hanno il 68% di probabilità in più di vedere i loro casi respinti dalla Corte).
Insomma, in poche parole, si può dire che l'amministrazione locale incentivasse l'arresto e la discriminazione dei cittadini di colore in modo da far fruttare economicamente eventuali entrate provenienti dalla necessità di rafforzare gli apparati di pubblica sicurezza. "Tutto riguarda la Corte... la priorità della Corte sono soldi", come ha riferito un agente di Ferguson agli investigatori federali. Il rapporto descrive infatti diverse istanze di dipendenti che hanno abusato dei loro poteri, ma rivela anche che diversi altri comuni hanno adottato la medesima prassi razzista e segregazionista utilizzata a Ferguson.
Questo ennesimo episodio – che tanto scandalo sta destando negli USA, dove l'accento viene ovviamente posto non tanto sul razzismo strutturale che impregna qualunque luogo dell'amministrazione pubblica, quanto sulle pratiche illecite che avrebbero “violato Costituzione e leggi federali” - chiude il cerchio attorno all'omicidio di Mike Brown, laddove in tanti avevano tentato di raccontare l'ennesima storia di “mele marce” invece di sottolineare un episodio che ha rappresentato la goccia in grado di fare traboccare un vaso in cui erano rinchiusi anni di tensioni represse e ingiustizia sociale.
Non a caso, i fatti di Ferguson sono tenuti sotto strettissima osservazione dal Procuratore generale Eric Holder e dal dipartimento di giustizia, tanto da far parlare il New York Times di un'attenzione nelle indagini che non si verificava dal 1994, dopo che il pestaggio di Rodney King da parte della polizia di Los Angeles aveva scatenato settimane di tumulti e sommosse. Proprio Holder, su pressione della Casa Bianca, sta rilasciando dichiarazioni in cui promette un “cambiamento radicale” nel dipartimento di polizia di Ferguson, anche a fronte degli oltre 20 avvisi di garanzia inviati ad altrettanti “tutori dell'ordine” nella cittadina del Missouri.
Le stanche (e gravemente tardive) ramanzine di Obama, però, dovranno fare i conti con un ambiente non facile da convincere, soprattutto agli albori di una nuova campagna elettorale. Se infatti l'amministrazione democratica ha buon viso nel proporre una riforma federale che porti nuovo equilibrio nelle forze di polizia, dovrà fare i conti in primo luogo con quell'ampio segmento di opinione pubblica (in prevalenza bianco, ma non per forza conservatore) che vede nel “cedimento” del Governo di fronte alle proteste degli ultimi mesi un grave precedente che altro non può che condurre all'ingovernabilità e al caos (in questo senso rimane esemplificativo lo “sciopero bianco” della polizia di New York iniziato lo scorso dicembre).
Dall'altro lato, invece, questo episodio non fa che confermare quanto sostenuto dalle migliaia di persone scese in strada in tutto il paese sotto lo slogan “Black Lives Matter”, ossia che quello relativo alla gestione razzista e discriminatoria degli arresti da parte della polizia è più di un problema, molto più di una sfortunata serie di eventi: rappresenta invece una ritualità – marcia, corrotta e stantia – da debellare al più presto con ogni mezzo e azione necessaria. Ancora una volta, vale la pena ripeterlo, non è una mela marcia a costituire l'eccezione, né il cesto ad essere guasto, bensì l'albero intero che è completamente andato a male. E' arrivato il momento di tagliarlo.

6 Marzo 2015, da infoaut.org

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Negli USA risorgono le Pantere Nere contro il terrorismo della polizia
Circa 40 membri del Nuovo Partito Pantere Nere (NBPP) sono usciti nelle strade della capitale del Texas (USA) per condannare i recenti assassini di cittadini di razza nera in varie parti degli Stati Uniti. Portando armi di grosso calibro, i manifestanti hanno annunciato il loro desiderio di pattugliare le loro comunità e di armare i suoi membri.
Anche se lo scorso lunedì la manifestazione di Austin ha coinciso con un festival musicale, i membri del movimento che portavano fucili d’assalto Kalashnikov e AR-15 hanno attirato l’attenzione di molti.
Le morti di Michael Brown ed Eric Garner hanno provocato proteste di massa e il fatto che in ambedue i casi nemmeno un poliziotto fosse accusato ha generato la sensazione di ingiustizia nella comunità afroamericana del paese.
“La nostra missione è armare negli USA ogni nero che possa legalmente portare armi”, ha commentato l’attivista Darren X in un video registrato da Ruptly.
Un altro membro della suddetta organizzazione politica della comunità nera statunitense, Erick Khafre, ha detto che il gruppo non cerca di fomentare la violenza, ma di insegnare alla gente i propri diritti e a difendere la comunità.
“Noi siamo solidali con tutta la gente che sta pattugliando contro il terrorismo della polizia”, ha affermato.
18 marzo 2015, da resumenlatinoamericano.org


sul nuovo decreto antiterrorismo
Pubblicato in gazzetta ufficiale lo scorso 19 febbraio, “anche alla luce dei recenti gravissimi episodi verificatesi all’estero” (più generico non si potrebbe), è stato emanato un pacchetto di leggi in continuità con la legislazione emergenziale post 11 settembre 2001 che approfondisce i vari “pacchetti sicurezza” che si sono succeduti in quest’ultimo decennio. Sul dettaglio dei contenuti di queste leggi rimandiamo al testo che segue mentre qui vogliamo evidenziare che un’ampia parte del testo di legge in oggetto è destinato al rifinanziamento semestrale delle molte missioni militari italiane in Europa, Asia e Africa. Un esempio pratico di come il fronte esterno ed interno della guerra imperialista condotta anche dall’Italia siano strettamente legati.
Così pure va letto l’impiego di 600 militari delle Forze Armate - in aggiunta alle 4.800 unità supplementari delle forze dell’ordine “in relazione alle straordinarie esigenze di prevenzione e contrasto del terrorismo” legate all’evento EXPO 2015 - al cui relativo onere provvederà direttamente la società EXPO.
La decretazione d’urgenza ha senz’altro tolto dall’imbarazzo il parlamento dal dover discutere e prendere posizione in merito alle prossime e imminenti guerre e al fianco di chi saranno impiegati i militari italiani.
Invieremo il testo integrale del decreto a chi ne farà richiesta.
Chi è che non vuole esser protetto dai "terroristi"? Chi è che non è disposto a sacrificare un pezzetto di privacy pur di garantirsi uno scudo efficace contro il "nemico esterno"?
Sono queste le premesse psicologiche di massa - quindi immediatamente politiche - che faciltano la concentrazione dei poteri in poche mani, sempre meno pubbliche e note; nonché la dfinizione di "fattispecie di reato" decisamente affidate alla libera interpretazione dei governanti, della magistratura, delle innumerevoli polizie di questo paese.
Su queste premesse il governo Renzi ha elaborato e imposto in forma di decreto legge un nuovo pacchetto di "misure antiterrorismo". Manca un articolato, per il momento, ed anche il sito del governo - nella pagina dedidcata a queste misure - è decisamente (quindi pericolosamente) generico. Vediamo i dettagli resi noti e facciamoci qualche domanda.
Il provvedimento prevede sul piano penale:
- l’introduzione di una nuova figura di reato destinata a punire chi organizza, finanzia e propaganda viaggi per commettere condotte terroristiche (reclusione da tre a sei anni);
Già qui si pone il problema di definire con chiarezza cosa si intenda per "organizzare, finanziare e propagandare viaggi". Se la finalità è davvero "commettere condotte terroristiche" la pena da tre a sei anni appare addirittura poca cosa. Se le finalità sono altre (non vengono dichiarate, in questo passo) allora 3-6 anni potrebbero essere decisamente troppi.
- la punibilità del soggetto reclutato con finalità di terrorismo anche fuori dai casi di partecipazione ad associazioni criminali operanti con le medesime finalità (attualmente, l’art. 270-quater c.p. sanziona solo il reclutatore);
In apparenza qui si dice che si intende punire il "reclutato", oltre che il "reclutatore" (figura già prevista e sanzionata da un articolo di legge). Di fatto, si apre una voragine che solo l'interpretazione soggettiva - quindi politica - del repressore potrà riempire. Cosa vuole dire infatti "punibilità del soggetto reclutato con finalità di terrorismo anche fuori dai casi di partecipazione ad associazioni criminali operanti con le medesime finalità"? Come può esser definito - preventivamente, oltretutto - "terrorista" un individuo che non partecipa ad alcuna organizzazione "terroristica"? In teoria, questo punto sembra destinato a colpire i cosiddetti "lupi solitari". Ma questi "solitari" - come nel caso francese - sono tali solo come terminali locali di organizzazioni ramificate. Se si introduce insomma la "punibilità" per il "singolo disorganizzato" è abbastanza semplice prevedere una serie di arresti in assoluta mancanza di prove (a meno di non reperire armi ed esplosivi), decisi in base alla sospettosità di questo o quel funzionario.
- la punibilità, sul modello francese, di colui che si “auto-addestra” alle tecniche terroristiche (oggi è punito solo colui che viene addestrato da un terzo – art. 270-quinquies c.p.);
Idem come sopra. Anche se, in questo caso, ci dovrebbe almeno essere la presenza fisica di armi e/o esplosivi, altrimenti l'"addestramento" sarebbe semplicemente indimostrabile.
- l’introduzione di specifiche sanzioni, di ordine penale ed amministrativo, destinate a punire le violazioni degli obblighi in materia di controllo della circolazione delle sostanze (i cd. “precursori di esplosivi”) che possono essere impiegate per costruire ordigni con materiali di uso comune.
Se diventa una "prova" il possesso dei "precursori di esplosivi", anzi addirittra la loro circolazione, ci sembra inevitabile dare un colpo drammatico all'economia nazionale. Tra i "precursori" sono annoverabili infatti alcune decine di componenti chimici utilizzati in tutti i rami produttivi (dall'agricoltura all'industria, ma finache in cucina). Il magistrato che volesse perseguire questo possesso - o addirittura la circolazione - si troverebbe in grave imbarazzo operativo oppure libero di interpretare le intenzioni recondite del possesso - poniamo - di zucchero.
Sul piano degli strumenti di prevenzione, le misure contemplate comprendono:
- la possibilità di applicare la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai potenziali “foreign fighters”;
Non c'è necessità di avere grandi esperienze giuridiche per immaginare come può funzionare la misura della "sorveglianza speciale" (controlli domiciliari, obbligo di firma, divieti di circolazione fuori di una certo territorio, ecc). Più problematico è individuare un "potenziale foreign fighter" da sottoporre a queste misure.
- la facoltà del Questore di ritirare il passaporto ai soggetti indiziati di terrorismo, all’atto della proposta di applicazione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno. Il provvedimento è sottoposto a convalida dell’Autorità Giudiziaria;
E infatti si arriva subito al punto repressivo reale: la facoltà della polizia di sequestrare i passaporti. Resta da definire cosa significa, concretamente, "indiziato". Se, come dicono i codici attuali, è una persona iscritta al registro degli indicati e raggiunta da comunicazione giudiziaria, non c'è alcun cambiamento rispetto alla legislazione in vigore; e non si capirebbe perché inserirlo in un nuovo decreto. Se invece è un semplice "sospetto" degli inquirenti, è un potere devastante attribuito ad capocchiam.
- l’introduzione di una figura di reato destinata a punire i contravventori agli obblighi conseguenti al ritiro del passaporto e alle altre misure cautelari disposti durante il procedimento di prevenzione;
Un semplice corollario del punto precedente.
Inoltre, lo schema di decreto si incarica di aggiornare gli strumenti di contrasto all’utilizzazione della rete internet per fini di proselitismo e agevolazione di gruppi terroristici. In particolare, vengono previsti:
- aggravamenti delle pene stabilite per i delitti di apologia e di istigazione al terrorismo commessi attraverso strumenti telematici;
- la possibilità per l’Autorità Giudiziaria di ordinare agli internet provider di inibire l’accesso ai siti utilizzati per commettere reati con finalità di terrorismo, compresi nell’elenco costantemente aggiornato dal Servizio Polizia Postale e delle Telecomunicazioni della Polizia di Stato. Nel caso di inosservanza è la stessa Autorità Giudiziaria a disporre l’interdizione dell’accesso ai relativi domini internet.
Il problema, si deve dire chiaramente, non è la commissione di "reati" attraverso Internet. Questi sono già individuati dalle leggi esistenti, che non distinguono troppo - giustamente - dal medium attraverso cui un determinato reato viene commesso.
Il punto essenziale investe invece tutta la logica di questo provvedimento: cos'è "terrorismo"? Prendiamo il caso dei "foreign fighters", che appare relativamente semplice. Diciamo che è un "terrorista" chiunque rientri dall'aver combattuto in un paese straniero? All'uomo comune, ovvero disinformato, verrà detto che questa misura riguarda coloro che hanno combattuto o stanno combattendo in formazioni jihadiste. Ma una legge che parla di "combattenti all'estero" non contiene questa specificazione.
E allora cosa facciamo con quei cittadini italiani - fascisti dichiarati - che stanno combattendo nelle formazioni collaterali all'esercito di Kiev? Alcuni nomi sono già circolati, alcuni sono già tornati. Li arresterete subito? Oppure comincerete a distinguere tra la parte belligerante con cui l'Italia e l'Unione Europea sono politicamente schierate? Che succederà invece con quanti magari hanno deciso di sostenre le Repubbliche Popolari del Dombass? E quei cittadini che, in nome di una religione diversa e/o di una doppia cittadinanza, sono andati a prestare servizio militare - combattendo - nell'esercito israeliano?
La domanda è in fondo semplice: se "terrorismo" equivale a "combattimento", sarà necessario specificare chi sono "i nostri" e chi sono "i loro". Ma così facendo "terrorismo" equivale a "nemico". Quello di turno. Oggi è Tizio, domani Caio; mentre Tizio torna "alleato". Che è poi il nostro convincimento profondo...
Ulteriori misure comprendono:
- la semplificazione, nel rispetto del Codice della privacy, delle modalità con le quali le Forze di polizia effettuano trattamenti di dati personali previsti da norme di regolamento, oltre a quelli contemplati da disposizioni di rango primario;
Fuori dal burocratese poliziottesco, qui si dice che i dati che riguardano tutti noi sono a disposizione delle forze di polizia. Se prima ne veniva fatto un uso improprio o illegale (comunque molto difficile da scoprire e denunciare, per un semplice cittadino), ora quello stesso uso diventa legale (un po’ come l'economia informale dopo il "pacchetto Treu" e la "legge 30").
- l’ampliamento delle “garanzie funzionali” riconosciute agli appartenenti ai Servizi di informazione, escludendo la punibilità di una serie di condotte in materia di terrorismo (diverse dai reati di attentato o di sequestro di persona), commesse dal personale delle Agenzie di intelligence per finalità istituzionali e previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.
- la possibilità per il personale dei Servizi possa deporre nei procedimenti giudiziari, mantenendo segreta la reale identità personale;
Servizi segreti, nomi segreti, libertà d'azione al di fuori di ogni regola, libertà di commettere reati anche gravissimi (dobbiamo far notare sono esclusi solo l'attentato e il sequestro di persona, ma non l'omicidio o la tortura). Un bellissimo mondo di uomini-ombra svincolati dalla possibilità di essere puniti. Non vi sentite già tutti più "sicuri"? No, eh? Magari vi sentite già un po' meno liberi...
- la possibilità per le Agenzie di intelligence, consentendo loro, previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, di effettuare, fino al 31 gennaio 2016, colloqui con soggetti detenuti o internati, al fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale;
- l’attribuzione al Procuratore Nazionale Antimafia di funzioni di coordinamento, su scala nazionale, delle indagini relative a procedimenti penali e procedimenti di prevenzione in materia di terrorismo.
Et voilà... L'Antimafia diventa antiterrorismo. Smetterà di occuparsi della prima per dedicarsi solo al secondo? Non c'è scritto. Ma il sospetto - qualche volta sorge anche in noi - aleggia...
11 febbraio 2015, da contropiano.org

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Madrid: arrestati otto internazionalisti solidali col Donbass antifascista
[...] Questa mattina la polizia spagnola ha arrestato otto persone, alcune delle quali tornate recentemente dal fronte ucraino dove avevano combattuto nelle file delle milizie indipendentiste. Gli otto internazionalisti sono stati arrestati in sei diverse comunità autonome dello stato, si legge in una nota emessa dal ministero degli Interni di Madrid. Gli arresti sono stati effettuati nelle Asturie, in Catalogna, in Estremadura, a Murcia, in Navarra e nella capitale iberica. Tre degli arrestati nell’ambito di quella che è stato ribattezzata ‘Operazione Danko’, avrebbero servito in passato nell’esercito di Madrid, anche se non è chiaro se come militari di leva o professionisti.
Le otto persone arrestate, tutti militanti o simpatizzanti di organizzazioni comuniste e di estrema sinistra e compresi in una fascia d’età tra i 21 e i 30 anni, sono accusate di "possesso di armi da guerra", "cooperazione o complicità in omicidio" e "violazione della neutralità" dello Stato spagnolo per quel che riguarda il conflitto in Ucraina. Un’accusa quanto mai ipocrita visto il sostegno militare che Madrid, in quanto membro dell’Alleanza Atlantica, sta fornendo fin dall’inizio alle forze nazionaliste e di estrema destra che si sono impossessate del potere a Kiev con il golpe del febbraio del 2014.
Si tratta di accuse “completamente prive di fondamento” ha commentato Agustín Ríos, uno dei portavoce del Comité de Apoyo a la Ucrania Antifascista de Madrid, segnalando che in realtà non è l’intervento di cittadini spagnoli nel teatro di guerra ucraino ad essere finito nel mirino della repressione ma esclusivamente la mobilitazione antifascista, visto che non risultano inchieste o arresti a carico di estremisti di destra spagnoli che combattono insieme alle milizie nazionaliste governative.
Dalle stesse dichiarazioni della stampa iberica inoltre appare chiaro che su soltanto uno degli arrestati ci sarebbe la 'certezza' del fatto che abbia partecipato effettivamente ai combattimenti, mentre altri avrebbero collaborato con la resistenza del Donbass sul piano logistico o addirittura umanitario e non militare. Molti di loro erano inquadrati nella cosiddetta Brigata Carlos Palomino, dal nome di un giovane antifascista assassinato a Madrid alcuni anni fa da un soldato spagnolo di ideologia neonazista al termine di una manifestazione di estrema destra.
Gli internazionalisti, è evidente, non avevano mai nascosto il loro impegno nella resistenza armata delle repubbliche indipendentiste del Donbass e la loro solidarietà nei confronti delle popolazioni assediate e bombardate. Alcuni di loro - Rafael Muñoz Pérez e Ángel Davilla-Rivas in particolare, volontari nel Battaglione Vostok, gli altri sei sarebbero della '404' - avevano concesso interviste ai media spagnoli o internazionali e realizzato alcuni video che erano stati diffusi dagli internazionalisti proprio per chiedere alla sinistra antifascista delle diverse realtà territoriali dello Stato Spagnolo e non solo di attivarsi maggiormente nel sostegno alla lotta della resistenza nel Donbass. E’ attraverso questi video, le interviste e i profili facebook degli ‘imputati’ che, si è vantato il Ministero degli Interni di Madrid, la polizia è potuta risalire all’identità degli otto compagni arrestati.
Nella nota del Ministero degli Interni il governo di destra spagnolo di vanta del fatto che l’Operazione Danko, ordinata dalla Procura dell’Audiencia Nacional (tribunale speciale ereditato dal regime franchista) “è la prima condotta in Europa contro le attività dei combattenti stranieri implicati nel conflitto ucraino”. Quale sarà il prossimo paese europeo che seguirà le orme di Madrid?
27 febbraio 2015, da contropiano.org

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Sull'attacco alla caserma Battisti di Trento
Abbiamo appreso con gioia dai media locali che nella notte del 16 febbraio una molotov è stata lanciata all’interno delle mura della caserma Battisti di Trento, colpendo e incendiando un camion militare lì parcheggiato. Nella caserma Battisti è alloggiato il “secondo reggimento guastatori alpino”, reparto “d’elitè” del corpo armata alpino, inquadrato all’interno della brigata “Julia”.
Vogliamo ricordare, con questo breve scritto, le responsabilità immense che hanno questi assassini in divisa in tutte le guerre e nei massacri del militarismo di casa nostra nell’ultimo secolo. Il secondo reggimento guastatori alpino è stato impiegato due volte nell’occupazione militare dell’Afghanistan (nel 2010 e nel 2013), nell’occupazione della Bosnia-Erzegovina (dal 1998 al 2004), nei massacri compiuti dall’esercito italiano in Somalia a metà degli anni ’90, in Mozambico e nella terza invasione dell’Albania nel 1993 con “l’operazione Pellicano”.
Non è retorico né ridondante, secondo noi, ricordare che il “medagliere” di questa unità scelta dell’esercito italiano è grondante di sangue, essendosi schifosamente “distinto” nella repressione della resistenza contadina nel mezzogiorno d’Italia subito dopo l’unità d'Italia, nella colonizzazione dell’ Eritrea e della Libia e nella guerra anti-partigiana nei Balcani durante il secondo conflitto mondiale.

La redazione di Romperelerighe
18 marzo 2015, da informa-azione.info


Lettera dal cacere di Massama (OR)
Ciao a tutt*, finalmente mi trovo in un carcere della Sardegna per processi di cui uno è quello riguardo alle lotte realizzate a Buoncammino in quel periodo, che era stato disposto in videoconferenza e successivamente annullato grazie all’opposizione dell’avvocato (“Soccorso Legale Carcere”). L’ultimo rinvio è stato fissato per il mese di maggio, quindi non mancherà molto per riportarmi in quello schifo di galera di Agrigento.
Dove mi trovo ora (in isolamento!) è una delle quattro nuove prigioni (sono tutte gemelle) che sono state aperte di recente in terra sarda. Cinque sono sezioni AS e una sezione di “Media Sicurezza”.
Il dispositivo di controllo è di “Massima Sicurezza”. La guardia ormai non si vede quasi più. Le telecamere sono dappertutto e le porte delle celle si aprono elettronicamente. Nelle sezioni sono applicati dei dissuasori di onde elettromagnetiche (penso che sia per rendere inutilizzabile la presenza di eventuali telefonini), che agiscono su tutti gli apparecchi elettronici, anche sulle radio in nostro possesso – che è il motivo per cui non prendono neanche una stazione. Ci sono sensori sulle principali porte che avvisano nel caso venissero aperte in orari non consentiti, e nella parte (interna) superiore a tutto il muro di cinta sono installati quattro cavi d’allarme
Anche qui c’è il progetto di un corpo penitenziario “antimafia” che collabora con le forze di polizia e con la procura per spartirsi il bottino creato dalle varie emergenze e “tipologie aggravanti”, indispensabili per il mantenimento degli interessi del dominio nel resto della società. E’ comunque un aspetto del quadro generale di controllo dell’individuo in cui la tecnologia repressiva è determinante nell’attuale trasformazione della “gestibilità” del potere carcerario. E le angherie diventano lo studio scientifico per eccellenza.
Appena ci saranno delle novità sostanziali non mancherò di renderle pubbliche.
Organizziamoci nella lotta contro le galere!
A konka arta! (A testa alta!). Davide

18 febbraio 2015
Davide Delogu, Casa di reclusione di Massama – 09170 Oristano

Da notizie tratte dall’”Unione Sarda” si apprende che in due di queste nuove galere, a Uta (Cagliari) e Bancali (Sassari) sono in costruzione sezioni 41bis di 92 posti l’una; e inoltre, che i “lavori”, almeno a Uta, sono fermi per scioperi degli operai causa il mancato pagamento di almeno due mensilità, della tredicesima, degli scatti di anzianità.
La costruzione delle galere - conclude Davide in una cartolina successiva (22 febbraio) spedita sempre da Massama - ci fanno ricordare l’inevitabilità del programma di sterminio che lo stato e le sue nuove galere di differenziazione ci stà riservando. Le cose da fare per contrastarle si sapevano e si sanno, e ogni rinuncia di lotta si pagherà a caro prezzo!
Mi trovo ancora in isolamento nonostante abbia terminato la sanzione già da una settimana. Ciao a presto e “a fogu le presoni!”, Davide.
Davide è stato riportato ad Agrigento, l’indirizzo è: contrada Petrusa - 92100 Agrigento.


Lettera dal carcere di nunchis, tempio pausania (ot)
Da una lettera pervenutaci dal nuovo complesso penitenziario di Tempio Pausania, veniamo a conoscenza delle carenze d’acqua potabile a cui sono costretti i detenuti. Altro che strutture all’avanguardia, “carceri d’oro”… pure l’acqua ti fanno mancare nelle galere dello Stato italiano (Cassa AntiRepressione delle Alpi occidentali)

Carissimi compagni, in questi giorni ci ha sfiorato l’inverno, una spruzzata di neve nelle punte del Limbara, qualche timida imbiancata anche nel carcere, poi pioggia, ma ancora troppo poca. Le falde sono vuote, i bacini al minimo, e infatti nei paesi e città arriva acqua non potabile. E non potabile è l’acqua di questo carcere, non può essere usata neanche bollendola, però per la doccia va bene, chi se ne frega se ci viene la gratta. La prima settimana abbiamo avuto una cassa di acqua minerale, nella seconda settimana appena tre bottiglie, non capisco come possano immaginare che tre bottiglie d’acqua, nei periodi di non potabilità della condotta, possano bastare per bere, farsi il caffè, un thè, e alla fine anche cucinarsi qualcosa, perché se resti a quel che passa la direzione la fame è assicurata.
Ho scritto a qualche esponente politico impoltronato al senato di farci capire fino a che punto potremmo andare avanti…

Nuchis, 8 febbraio 2015
Annino Mele, Casa di Reclusione, Località Nuchis - 07029 Tempio Pausania (OT)


Perquisizioni a Mentoulles e Cuneo
Nella mattina di mercoledì 18 marzo, su mandato dei soliti PM Rinaudo e Padalino, i ROS hanno perquisito le abitazioni di 3 compas e le sedi del circolo culturale Barbarià e della biblioteca popolare Rebeldies di Cuneo.
Il decreto di perquisizione fa riferimento ad un procedimento penale per l'art. 270bis (associazione con finalità di terrorismo o di sovversione dell'ordine democratico): il teorema classico del "doppio livello" per cui gli indagati affiancherebbero ad iniziative "palesi", quali la pubblicazione della rivista Nunatak e le attività della Cassa AntiRepressione delle Alpi occidentali, azioni dirette e atti di sabotaggio "con particolare riferimento a quelli attuati contro il cantiere del TAV".
Le perquise hanno portato, oltre a maldestri tentativi di piazzare microspie o altro, al sequestro di materiale informatico e del contenuto delle caselle mail di Nunatak, della Cassa AntiRep e della mailing list Alpi ribelli.
In un minestrone che va da messaggi e comunicati circolati sulla mailing list alla solidarietà anticarceraria e nei confronti degli anarchici condannati per il ferimento dell'AD di Ansaldo Nucleare Adinolfi, condito con il riferimento ad un non meglio precisato attacco al cantiere di Chiomonte, l'intento manifesto della Procura sarebbe quello di criminalizzare la solidarietà rivoluzionaria e l'autorganizzazione sul territorio alpino.
Noi andiamo avanti per la nostra strada.
Contro lo Stato e le sue galere! Mille modi, un solo orizzonte: libertà!

I compas perquisiti
20 marzo 2015, da informa-azione.info


atene: prigionieri in lotta contro le carceri speciali
Dal 2 marzo diversi prigionieri dello stato greco hanno iniziato uno sciopero della fame con una serie di richieste specifiche relative all'abolizione delle leggi antiterrorismo introdotte negli ultimi anni, nel quadro della stretta repressiva a livello internazionale.
Complessivamente ci si riferisce al reato di organizzazione criminale (la "nostra" associazione a delinquere), di organizzazione terroristica (il "nostro" 270bis), di travisamento (che in Grecia rientra nel pacchetto delle leggi contro il "terrorismo"), al prelievo forzato del DNA, e alla recente istituzione delle sezioni speciali per i detenuti considerati più "pericolosi" (il corrispettivo delle AS istituite in Italia con una circolare del DAP nel 2009).
In coda alle rivendicazioni, ma non meno importante c'è la richiesta di scarcerazione immediata di un prigioniero della 17Novembre in gravi condizioni di salute.
Per ora in Grecia quello deputato alla funzione di carcere speciale è Domoko, da cui infatti è partita la mobilitazione, la cui comunicazione ci giunge da alcuni comunicati, tra cui quelli di seguito riportati.
Inoltre, il 2 marzo anche i prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco hanno iniziato uno sciopero della fame in seguito alla notizia dell'arresto dei parenti di alcuni di loro avvenuto in concomitanza a quello della compagna Anghelikì S., ricercata da alcune settimane e rintracciata presso l'abitazione di una di questi familiari. Anche lei è subito antrata in sciopero della fame. Tutti/e, hanno dichiarato che continueranno "fino alla morte", fino a che i loro parenti, estranei all'organizzazione, non verranno rilasciati, e che il loro sciopero è anche in sostegno alla mobilitazione contro le carceri speciali di tipo "C".
Secondo la riforma carceraria applicata negli ultimi dieci anni in Grecia, infatti, i detenuti sono suddivisi in tre tipi: A, B, C. I prigionieri C sono prigionieri politici, persone condannate per rapine, estorsioni, attentati terroristici (il “nostro” 4bis), tutti etichettati come pericolosi per la società e destinati a scontare la propria pena di dieci o più anni nella prigione di alta sorveglianza a Domokos. Ma le misure speciali non finiscono qui, infatti i detenuti di tipo C non hanno nessun diritto a permessi di libertà, le ore d'aria sono praticamente inesistenti, così come le chiamate e i colloqui con i parenti, la posta viene censurata, vengono sottoposti ad isolamento e c'è la permanenza dentro il carcere di forze di polizia con poteri speciali.
Gli annunci da parte del governo di rivisitare il sistema carcerario non possono certo bastare e così è stata occupata per alcune ore la sede centrale del partito di governo Syriza ad Atene. L'occupazione si è svolta verso mezzogiorno, quando decine di persone sono entrati all'interno dell'edificio, facendo uscire il personale e i funzionari di partito dagli uffici e appendendo una serie di striscioni dai balconi dell'edificio chiedendo chiaramente l'abolizione delle carceri di tipo C.

Noi, Kostas Gournas [membro di Lotta Rivoluzionaria] e Dimitris Koufontinas [membro dell’organizzazione 17 Novembre], prigionieri politici detenuti nella prigione di tipo C a Domokos, iniziamo uno sciopero della fame da lunedì 2 marzo 2015.
Lottiamo per l’abolizione degli art. 187 e 187A del codice penale, per la revoca della legge d’emergenza che prevede misure speciali con cui le autorità cercano di criminalizzare e distruggere i loro oppositori politici.
Lottiamo per l’abolizione dei tribunali speciali e dei tribunali militari eccezionali, questa struttura per lo sterminio di coloro che lottano, fatta di accordi speciali, leggi speciali incostituzionali, uso empirico e fraudolento della prova (ad esempio, riguardo il DNA) e l’apporto di prova speciale.
Lottiamo per l’abolizione di tutte le leggi repressive speciali fatte contro gli oppositori e le mobilitazioni popolari.
Chiediamo l’immediata abolizione delle prigioni di tipo C, simbolo dello stato d’esenzione dei prigionieri politici e d’intimidazione verso la società che resiste.
Chiediamo l’immediato rilascio di Savvas Xiros. Ormai da 13 anni, le autorità metodicamente e in modo vendicativo lo annientano, provocandogli danni irreparabili fino al 98% di disabilità.
La repressione è l’altra faccia dell’austerità, la lotta del movimento popolare contro l’austerità è inscindibile dalla lotta contro la repressione e, in particolare, contro questo regime permanente dello stato d’emergenza. Chiediamo il sostegno da tutta la società in lotta.
Questa lotta dei prigionieri politici, le proteste e gli scioperi della fame hanno lo scopo di mandare un messaggio di resistenza al popolo greco. Siamo quelli che ci assumiamo la responsabilità delle nostre scelte, ci occorre essere uniti e determinati, perché il nostro destino è nelle nostre mani. Questa è la nostra missione per la nostra dignità, per le future generazioni. La speranza sta solo nella lotta.

Prigione di tipo C a Domokos, 2 marzo 2015
Kostas Gournas, Dimitris Koufontinas

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In questi giorni stiamo sperimentando l’ultimo trionfo delle unità dell’antiterrorismo statali. Dopo aver sostenuto ed allestito un intero spettacolo con le telecamere che mostravano gente arrestata con le teste coperte da cappucci trascinati per le scale dai GADA [ reparti antiterrorismo ndt], hanno completato il colpo con l’arresto di mia madre e della moglie di mio fratello.
E sebbene ieri abbiamo dichiarato la piena responsabilità politica e penale per il piano di fuga come Cospirazione delle Cellule di Fuoco, tutto ad un tratto ho saputo che sia mia madre che la moglie di mio fratello erano state arrestate.
Casualmente, è lo stesso giorno in cui i membri di Alba Dorata(partito politico neo nazista) sono stati rilasciati dal carcere. Per di più, casualmente questo pomeriggio c’erano le valutazioni sui poliziotti.¹
Visto che nel mondo che viviamo non ci sono molte coincidenze ma solo opportunismi, è chiaro che qui vengono messi in gioco degli opportunismi.
A parte il ridicolo dell’accusa contro di loro e contro i due loro amici personali, le accuse nei confronti delle due detenute non andrebbero valutate come necessarie alla loro detenzione.²
Le loro leggi stabiliscono che: “Uno può essere detenuto solo quando si giudica che sia sospettato di fuga o di commettere crimini simili”. Quale essere umano ragionevole crede a qualcosa del genere, su mia madre e sulla moglie di mio fratello?
Quello che sta avvenendo mi ricorda lo stato fascista della Germania, negli anni ’70,quando, per vendicarsi della RAF, iniziò un pogrom nei confronti dei loro parenti ed avvocati. Di conseguenza a ciò lo stato tedesco contò i primi morti per sciopero della fame. Forse qualcuno vuole contare i primi scioperanti della fame morti anche in Grecia.
Questo è il motivo per cui porteremo avanti lo sciopero della fame fino alla morte, finché non vengano rilasciati i nostri parenti ed amici, che vengono interrogati oggi.

Christos Tsakalos

Note dei traduttori
1. Christos si riferisce ad una procedura secondo cui gli ufficiali di polizia vengono valutati per il loro servizio.
2. Un’ amica (accusata di appartenenza alla CCF) della madre di Christos Tsakalos ed un amico del fratello di Giorgos Polydoros sono stati rilasciati su cauzione, rimangono in carcere la madre dei fratelli Tsakalos e la moglie di Gerasimos Tsakalos.

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NESSUNO E’ LASCIATO SOLO DI FRONTE ALLA REPRESSIONE DELLO STATO
Prigionieri politici hanno dato inizio ad uno sciopero della fame ,nelle carceri greche, a partire dal 2 marzo 2015.Alcuni di loro, come me, hanno un contesto comune di richieste riguardo: l’abolizione delle legislazioni anti-terrorismo, l’abolizione sulla legge sugli incappucciati e delle prigioni di tipo C ed il rilascio per motivi di salute, del membro incarcerato della 17 Novembre Xavvas Xiros.
Contemporaneamente anche i prigionieri politici della Cospirazione delle Cellule di Fuoco hanno iniziato uno sciopero della fame, richiedendo il rilascio dei loro familiari che sono stati recentemente arrestati e posti in custodia cautelare, dopo che è stato scoperto che i membri della CCF avevano organizzato un piano per evadere dal carcere di Korydallos.
Senza guardare le differenze nelle richieste, io sostengo la lotta dei prigionieri della Ccf, come le loro richieste. Nonostante le differenze politiche tra prigionieri politici ed i problemi che sono sorti tra di loro, nonostante il contesto differente degli scioperi della fame, io credo che le persone solidali, l’ambiente anarchico-antiautoritario debbano supportare tutti i prigionieri politici. Nessuno dovrebbe esser lasciato solo di fronte alla repressione.

Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria, Carcere di tipo C, di Domokos

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Oggi, Domenica 8 Marzo, abbiamo occupato gli uffici centrali del partito di governo Syriza in via Koumoundourou.
Ci poniamo in solidarietà con i prigionieri politici in sciopero della fame e chiediamo che le loro richieste vengano accolte.
1. Abolizione della Legge Antiterrorismo A, articolo 187 del 2001 (sulle associazioni a delinquere).
2. Abolizione della Legge Antiterrorismo B, articolo 187A del 2004 (sulle organizzazioni terroristiche).
3. Abolizione della legge sugli incappucciati (sugli atti commessi da persone travisate)
4. Abolizione dell’impalcatura legislativa sull prigioni di tipo C.
5. L’immediato rilascio dal carcere di Savvas Xiros (imprigionato per il suo coinvolgimento nella 17 Novembre)
6. Contro la criminalizzazione delle relazioni familiari dei membri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

Anarchici in solidarietà con i prigionieri politici.
marzo 2015, fonti: infoaut.org, autistici.org/cn

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Grecia: la lotta di classe si inasprisce
Il gruppo “Lotta Popolare” che il 13 dicembre 2013 ha attaccato a colpi di kalashnikov, sparati sui muri della residenza dell’ambasciatore tedesco ad Atene, il 12 dicembre 2014 ha rivendicato un’altra azione simile contro l’ambasciata israeliana compiuta nella stessa città. La prima azione venne realizzata in memoria di Dimitris Christoulas suicidatosi nell’aprile 2012 in piazza Syntagma ad Atene; nel volantino di rivendicazione, fra l’altro venne scritto: “Dimitris, per non vivere una vita tragica ha scelto di mettere fine alla sua vita con in maniera tragica. Quest’atto non è isolato e non riguarda solo lui”…
In un’altra azione compiuta sulla strada nei pressi di Lamia il 21 febbraio 2015 invece è stato ucciso a colpi di mitra il capo delle guardie del carcere di massima sicurezza (tipo C) di Domokos, dove sono rinchiusi i compagni Christodoulos Xeros e Nikos Maziotis. I colpi sono stati sparati da un’auto affiancatasi, in corsa, a quella del capo-guardie.

febbraio 2015, da nostate.net


Carcere femminile de L'Aquila: Un triste primato mondiale
Peggiore sia di Guantanamo che di Alcatraz. La democrazia non si difende con la tortura.
Purtroppo la mia città de L'Aquila, ha un triste primato nel mondo: quello di avere un carcere femminile peggiore di Guantanamo e di Alcatraz.
Nella sezione speciale femminile del carcere Le Costarelle de L'Aquila, le condizioni di vita delle detenute sono simili se non peggiori del famigerato carcere americano e peggiore anche di Alcatraz.
Isolamento totale, perquisizioni corporali quando si esce dalla cella nell'unica ora quotidiana. Totale divieto di comunicare tra detenute.
Un bunker nemmeno paragonabile a Guantanamo come spazi, con celle due metri per due. Spazio per l'aria, tre metri per tre senza mai sole. Il sole non esiste più.
Due libri al mese, due soli quaderni per poter scrivere. Corrispondenza con l'esterno praticamente inesistente, visto la forte censura.
Condizioni che ledono completamente i diritti umani. Ma le donne democratiche della mia città dove sono? Ma non solo loro, anche gli uomini e non solo nella mia città perché é un problema nazionale. Tutto tace, tutti girano la testa dall'altra parte.
La sezione femminile del carcere speciale de L'Aquila, ha condizioni di gran lunga peggiori delle sezioni a 41bis e credo che questo dimostri che é l'unico carcere femminile al mondo così duro. Non é una esagerazione, purtroppo é la realtà.
La tortura di per sé è un fenomeno incredibile, ma applicato nella detenzione delle donne, nel silenzio quasi totale, ha dell'incredibile.
Io racconto queste cose a ragion veduta, perché ho visitato diverse volte questa sezione speciale e leggo di denunce sulla situazione descritta, che non hanno visibilità.
Torno a riaffrontare questo tema dopo otto anni, quando dopo per aver partecipato a una manifestazione proprio a L'Aquila contro il 41 bis ho avuto conseguenze dure e difficili.

18 marzo 2015
Giulio Petrilli
***
DIFENDIAMO LE CONDIZIONI DI VITA DI NADIA LIOCE
STOP AL 41-bis, AL REGIME DI ISOLAMENTO
Il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, aderendo alla campagna di solidarietà del Collettivo contro la repressione per un Soccorso Rosso Internazionale e del Soccorso Rosso Proletario, fa appello a tutte le compagne, realtà di donne a mobilitarci per difendere le condizioni di detenzione della prigioniera politica Nadia Lioce.
Nadia è l'unica compagna, insieme a altri 2 prigionieri politici, ad essere ancora sottoposta al regime di 41-bis, inasprito dalla direzione del carcere de L'Aquila da fine novembre 2014 e alla misura dell’isolamento disciplinare, con la conseguenza di una condizione d’isolamento totale e perenne.
L'accanimento dello Stato contro Nadia Lioce non può e non deve passare sotto silenzio, perchè, al di là del giudizio sulle scelte di lotta, politiche da lei fatte e portate avanti, questo accanimento repressivo è per cercare di ammazzare la sua volontà di non cedere, la sua coerenza nella battaglia contro questo Stato. Lo Stato borghese vuole le donne subordinate e oppresse e, se si ribellano e lottano, pentite o dissociate. Chi non ci sta viene doppiamente repressa, anche perchè ha osato...
Per questo, tutte le donne, le compagne che lottano per spezzare le doppie catene di questo sistema sociale devono far sentire la solidarietà per Nadia.
Le donne combattenti, la loro vita, le loro scelte, non vanno ricordate solo dopo morte o solo per il passato. Oggi c'è una donna combattente che per fortuna lo Stato non ha ucciso, o non è riuscito a stroncarne la volontà. Oggi essere dalla parte delle donne che lottano per dare l'assalto al cielo, è anche difendere Nadia Lioce.

18 marzo 2015
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

Il Collettivo Contro la Repressione per un Soccorso Rosso Internazionale ha in seguito precisato che in questo periodo non ha avviato la campagna di solidarietà cui fa accenno il comunicato.


da una lettera dal carcere di siano (CZ)
Già in passato la Cassa AntiRep ha diffuso notizie rispetto alla situazione di Davide Emmanuello, a cui dal 2013 è stato nuovamente applicato il provvedimento del 41 bis (è recluso nel carcere di Ascoli Piceno), nonostante le sue condizioni psicologiche - dopo il lungo isolamento e la morte di suo fratello per mano della polizia - avessero sollevato denunce specialmente dai compagni di prigionia di Davide nella sezione AS1 di Siano.
Da Pasquale De Feo (recluso nel carcere di Siano), ci è giunto quest’aggiornamento che riteniamo opportuno fare circolare per ribadire la necessità di lottare contro il 41-bis e tutti gli altri regimi di isolamento e carcerazione speciale. Rompiamo la tortura dell’isolamento con cui il DAP e la direzione di Ascoli Piceno mirano a guastare la salute mentale di Davide.
Anche se la censura è totale, indirizzare lettere e saluti a Davide significa far capire ai suoi carcerieri che non è solo e che c’è attenzione all’esterno per quanto gli viene fatto.
Davide Emmanuello, Via dei meli, 218 - 63100 Ascoli Piceno

febbraio 2015, Cassa AntiRep delle Alpi occidentali
[…] L’amico Davide Emmanuello si trova ancora al regime di tortura del 41 bis di Ascoli Piceno; ora, a febbraio, scadono i due anni e potrà fare ricorso per farselo revocare.
L’isolamento con il mondo esterno è feroce, principalmente con la corrispondenza. Io gli invio una raccomandata al mese, ma il 90 % è stato sequestrato con varie scuse.
Se sfogli i siti di alcuni quotidiani, in data 2 gennaio 2014 troverai notizia di una mia denuncia fatta tramite lettera alla direttrice de Il Manifesto: a Daniele veniva bloccato quel quotidiano perché secondo loro non era a diffusione nazionale, e i quotidiani locali sono proibiti. La direttrice de Il Manifesto creò il caso mediatico e ne parlò anche la Tv.
Da quel momento la censura nei confronti della corrispondenza proveniente da me è ancora più feroce: ora, è da settembre che non ho notizie da Davide. Tutta la corrispondenza che riguarda associazioni e movimenti viene cestinata, se sono raccomandate vengono sequestrate. Pensa che Davide deve fare la nomina dell’avvocato, da un anno, e ogni volta che gli scrivo il nome dell’avvocato da nominare sequestrano la lettera [nel frattempo la nomina dell’avvocato è stata finalmente sbloccata - nota della Cassa in seguito a lettera successiva da parte di Pasquale].
Sia io che Davide conosciamo bene il 41-bis e la censura, pertanto quando aspettava la decisione sul rinnovo del regime speciale, ci siamo accordati sul fatto che avrei provveduto io a divulgare la sua situazione.
Quando c’ero io in 41-bis, dal 1992 al 1996, la tortura era molto fisica: botte, poca acqua e cibo, mentre oggi è più scientifica, simile ai centri psichiatrici dell’Unione Sovietica dove internavano i dissidenti per isolarli e annullarne la personalità e il pensiero. Per farti sopportare quell’inferno, gli psichiatri ti bombardano di psicofarmaci, ed è per questo che sul 41-bis deve vigere una censura totale […]

Pasquale De Feo, via Tre Fontane, 28 - 88100 Siano (CZ)


“Uno di meno”
Una storia di ordinaria carcerazione
Capita che alcuni agenti penitenziari della prima linea, quelli che si “sporcano le mani” in sezione, pensino questo. Capita che lo pensino, quando un detenuto si condanna a morte da solo. Capita che a volte, oltre a pensarlo, per spavalderia, troppa sincerità o ignoranza, lo scrivano su Facebook. Ma è addirittura capitato che parole come quelle, vengano catturate da un registratore vocale, direttamente in carcere. E’ capitato a Rachid. Ma chi è Rachid?
Rachid Assarag è mio marito, un uomo di 40 anni, entrato in carcere nel Giugno del 2008, con fine pena prevista nel Novembre 2017… senza sconti per buona condotta.
Un vagabondo della galera, che in sei anni ha girato l’Italia (e io con lui), perché in un modo o nell’altro, si è sempre trovato in mezzo ai guai: Como, Pavia, Asti, Napoli Secondigliano, Parma, Prato, Firenze Sollicciano, Volterra (breve soggiorno) e ora Genova Pontedecimo.
Da Parma in poi, quasi tutti i trasferimenti, sono avvenuti a seguito di un pestaggio, questo perché Parma è diventato per noi un simbolo, una specie di spartiacque, un po’ come prima e dopo Cristo: prima e dopo Parma.
Prima di Parma, Rachid era un piantagrane, un casinista, violento, volgare, bugiardo. Intrattabile e così poco gestibile, che le guardie capitava che lo riempissero di botte. Ma vuoi dargli torto?
Dopo Parma, Rachid è diventato un idealista, un coraggioso, un ribelle orgoglioso e fiero della sua dignità. Capace di mettersi in gioco in prima persona; capace di rimetterci salute e benefici di legge, per difendere la verità. Ma che a volte, col suo modo di fare, disturba il quieto vivere delle guardie, che per sfogarsi, lo riempiono di botte.
Non è Rachid ad essere cambiato: lui è sempre stato tanto un piantagrane, quanto un idealista. Casinista e coraggioso. Ribelle e a volte volgare. Sul violento, avrei da ridire, perché è finito tante volte al pronto soccorso, a causa degli agenti, ma mai nessun agente è finito al pronto soccorso, per causa sua.
Quello che fa la differenza, tra prima e dopo Parma, sono due cose: un elenco di fatti che non potevano non essere presi in considerazione e tre registratori vocali.
La sera del 9 Ottobre 2010, appena arrivato a Parma, un gruppo di agenti lo picchiò in cella. La scusa: le lamentele di Rachid, per via di un accredito errato (i 200€ che aveva sul conto, erano stati trascritti come 20€). Ma la vera ragione è che a quel detenuto ribelle e polemico, doveva subito capire come funzionavano le cose a Parma. Doveva capire che lì non c’era da scherzare.
Tempo un mese e in una cella vicino alla sua, un ragazzo di nome Ciro Campanile, tossicodipendente, trascorse un’intera notte a lamentarsi per il dolore. Rachid e altri detenuti, domandarono alle guardie di turno (se ne avvicendano tre, quella notte), di chiamare il medico, il quale, o non venne chiamato o non si degnò di arrivare. All’alba il ragazzo morì, senza aver ricevuto alcuna assistenza.
Nel mese seguente Rachid continuò a domandare con insistenza perché non venne chiamato il medico, quella notte. Andò avanti a domandarlo con ostinazione polemica e inquisitoria, a persone che non sono abituate a sentirsi giudicare e che mai e poi mai permetterebbero ad un detenuto, di indagare sul loro lavoro.
Il 6 Dicembre, la misura si colmò e altri agenti (tra cui un graduato), entrarono nuovamente in cella di Rachid e lo riempirono di botte. I pestaggi avvenivano sempre in cella. Non c’era bisogno di portarlo in isolamento, come spesso accade in casi di violenza, perché Rachid aveva deciso di rimanere in isolamento volontario, per protesta.
Quel giorno si colmò anche la misura di Rachid, che ben lontano dall’imparare la lezione degli agenti, cercò il modo di fargliela pagare. Non con la violenza, la lingua di chi non ha argomenti, ma con l’astuzia.
Dopo uno sciopero della fame lungo un mese, che lo ridusse al peso di 36 kg e diversi “piccoli” incidenti, di cui si dovette sempre accollare la responsabilità, Rachid decise che era arrivato il momento di attuare un piano, a cui pensava ormai da tempo: registrare le sue conversazioni con le guardie e con i medici, per documentare la vita quotidiana di quella Guantanamo italiana.
Nel Marzo 2011 gli portai il primo registratore, poi un secondo ed un terzo.

Il pestaggio del 6 dicembre
(RACHID) voglio chiedere una cosa, ti ricordi di me? (AGENTE) di te, proprio di te? no. come no? ci siamo gia visti? qua fuori? no, no, qua, assistente, con il brigadiere, quello calvo tu dici picchiato? si. eh, ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se ci sei dentro anche tu. non ho capito. ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se ci stai anche tu. ne hai picchiati tanti…
non mi ricordo di te… era sera? si. Ma ti ricordi quando ti ha chiamato il brigadiere? erano due brigadieri… eri qua, mentre l’appuntato apre la porta e io ero con la stampella… adesso ti ricordi? adesso si. ahhh, il passato è passato. però tu ti comporti male, se tu ti comporti bene, vedi la cosa me l’hai chiesta gentilmente e io ti aiuto, ti do una mano, se tu ti comporti male…
[…] Assarag io ho vent’anni di galera alle spalle e non ho mai toccato uno se non se lo é meritato ah, solo le persone che meritano. no, che meritano no, ma che si comportano male. Se tu ti comporti male, sai che quella è la conseguenza. Perché certe volte solo quella… perché non mi fai rapporto? no… ah, mi devi per forza picchiare? si fa anche il rapporto, poi… mi hanno fatto anche rapporto? certo.

La morte di Ciro Campanile
(RACHID) ...e quando mi sono alzato alle 4 e mezza e ti ho detto aprimi la doccia e questo ragazzo che sta molto, molto male e ho detto chiama al dottore, perche’ non lo hai chiamato? (AGENTE) non apriamo questo discorso, perché tu non mi hai detto di chiamarlo, mi hai detto solo “accendimi la luce”. ma come io ti ho detto “accendere la luce”. guarda che questo ragazzo sta male… così al 100% non giriamo la padella perché questo ragazzo é morto. Lei ha detto che era malato, drogato. no, non ho detto niente di questo. Io ho detto che non lo conoscevo, non sapevo chi era. chiedo solo una cosa, che ci vuole ad alzare la cornetta e chiamare il dottore. pesa 50 kg la cornetta lei qua é uno responsabile. Quando vede uno che sta male, deve chiamare il dottore. guarda che per me russava, non stava male. ah, non stava male? Ma te l’ho detto io, te l’ha detto il ragazzo albanese “guarda che quel ragazzo sta male” e non hai chiamato il dottore. Se avessi chiamato il dottore, adesso il ragazzo sarebbe ancora vivo. non lo puoi sapere tu, come non lo posso sapere io. da quel giorno, quando ho cominciato a dire queste parole, tutti ce l’hanno con me. (voce da fuori) anche se chiamava il dottore, era morto lo stesso. Anche se lo chiamava di notte il dottore non veniva.

Il parere di un agente
...perché con i tuoi colleghi, ho avuto problemi. Da quando é morto questo ragazzo… perché quando é morto questo ragazzo, io ho cominciato a parlare col brigadiere e dico “brigadiere, i vostri colleghi non hanno chiamato il dottore, per dare soccorso a questo ragazzo qua” e cosa mi risponde, mi risponde “e a te che ti frega?” se fossi io morto. perché te per loro non sei nessuno a dire... fatti i cazzi tuoi. come non sono nessuno, assistente? Io sono un essere umano e devo dire le cose che ho visto. ho capito, ma quello che tu dici, é sempre controproducente per te. ah, va contro di me? certo. Perché se tu dici una cosa, che può andare contro di te, dici, perché tu ti devi andare a interessare di queste cose, cioé la vedono come… come la vedono loro. Poi tutto quello che c’é stato, io non so, che vengo quella volta al mese.

Col medico
(DOTTORE) terapia così deficiente, devo spiegarglielo io perché la sto intossicando con in farmaci. (RACHID) allora se lei mi sta intossicando. la sto intossicando con i farmaci. allora se lei mi sta intossicando con i farmaci, non va bene. non va bene. perché queste cose succedono in questo carcere? perché persone come lei vogliono rincoglionirsi di psicofarmaci e si fa fatica a dirgli di no
[…] cinque, quattro tavor, perché. io sono venuto per vedere come stanno le cose. stanno così, lei si sta intossicando di psicofarmaci, che lei ha chiesto, non sono io che glieli voglio dare. Li voglio togliere (nota: Rachid non ha mai assunta la massiccia terapia prescritta). se io chiedo lei mi deve rispondere, non lei, l’altro dottore. lei mi dice “se non me li da, mi punto la pistola” é colpa sua. ma lei é il dottore. si ma se uno mi dice “se non me li da, io mi uccido” glieli do. Se mi ricatta io glieli do, non me ne frega un cazzo. Se lei si vuol far male alla salute, lo sa. Perché gliel’ho detto, questi fanno male alla salute, ne vuoi ancora? “si” prego”.
[…] allora qua intossicano le persone? si. E’ questo il fatto. Non ci sono gli psicologi. Per star tranquilli, gli infermieri danno una terapia in più; per star tranquilli i poliziotti chiedono ai medici di dare terapia in più; per star tranquilli, i detenuti chiedono più terapia; per star tranquilli, gli psichiatri danno più terapia. Ma se lei non la vuole, non gliela da nessuno.

Con un agente, a proposito della volta in cui un altro agente chiuse il braccio di Rachid, in un blindato
(RACHID) lei mi dice che non ti sembra. Io ti ho detto, quando mi hai chiesto una cosa, io l’ho fatta. Tu mi hai detto che non é vero. Mettiamo le cose, così può capire anche lei che persona é. Il giorno quando il suo collega mi ha chiuso il blindato. (AGENTE) lo so. mi ha chiuso il blindato. Sei venuto da me, mi hai detto “per favore”… per favore. se viene il dottore… ho capito. Io adesso mi giro, vado al computer “assarag mi ha detto vaffanculo, assarag…” così ti fai altri sei mesi. Posso farlo. lo so che lo può fare e dire la falsità. o la verità. A parte che io non le faccio queste cose qua.
[…] finisco il discorso. Se fosse che io ho chiuso il blindato sul vostro collega sul braccio e l’altro sul dito e l’altro mi ha scastrato la carrozzina. Cosa mi aspetta? La verità. vedo al momento, sono realista. ma cosa mi succede? io ti massacravo. ah! questo al 100%... al 1000 per 1000! mi massacri. sei morto. Morto proprio! lo so. perché per fare una cosa del genere a un vostro collega é per voi una cosa grave.
[…] ma perché sei venuto da me a chidermi di non dire che il tuo collega mi ha chiuso il blindato? Dimmi? dammi una risposta! (l’assistente si innervosisce e si allontana) era la stessa cosa! non era la stessa cosa. la legge siamo noi. va bene. Come lei mi ha detto, non sono nel momento. non rispondo di quello che fanno gli altri, di quello che faccio io, ne rispondo io. lo so, ma... sto parlando così, perché non sono stato io. non sei stato tu. Ma é venuto lei, la prima volta, a chiedermi di non dire al dottore che il tuo collega mi ha chiuso… questa la prima volta, col brigadiere. La seconda, sei venuto con la domandina. qual’é il problema? fammi finire. La seconda quando il tuo collega mi ha fratturato il dito, sei venuto da me con la domandina. embé? Qual’é il problema? mi hai detto scrivi che… qual’é il problema? aspetta, fammi finire e ti dico il problema. Mi hai fatto scrivere… ho capito! mi hai dato la domandina e mi hai detto “scrivi che hai fatto da solo, così il mio collega…” ma perché, come regole, lei rappresenta la legge e viene a volte di dire la falsità. Questa e’ una falsità. questa é una cosa che interessa a noi, non é falsità. cosa? questa é per noi, non é falsità. Se tu non lo vuoi fare non lo fai, a noi non ce ne frega niente. Capito? Non é una cosa obbligatoria, che io ti metto la pistola in faccia “fallo!”. Capito? quante volte sei tornato, assistente? una volta sola. come?
[...] la legge nel carcere siamo noi, quindi comandiamo solo noi. non ho capito. sono venuto così, per vedere, ma… avete scritto quello che… siamo noi, la legge, comandiamo noi. Come ti porto, così ti posso far sotterrare. Comandiamo noi: ne’ avvocati, ne’ giudici, ne’… comandiamo noi. come? I giudici? noi comandiamo! ma stai scherzando, assistente? non sto scherzando. Nelle denunce tu puoi dire quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi che scrivo io...

Ma tu che stai leggendo, queste cose le conosci già. Le avrai sentite con le tue stesse orecchie: da Parma a Milano; da Napoli a Cosenza; da Nuoro a Firenze: l’Italia unita, dalla violazione dei diritti umani in carcere.
La tortura si ferma al sovraffollamento? No. Oltre a questo, esiste un macrocosmo di aberrazioni e violenza, che viene taciuto e insabbiato, tanto da chi lo commette, quanto dai tanti che lo subiscono. E il rischio più grosso è “farci l’abitudine”, cominciando a vedere questo agire illegale di alcuni poliziotti, come la normalità, con cui in carcere tocca fare i conti.
Questa impresa di Rachid, ha trovato spazio su due pagine de “L’Espresso”, nel Settembre del 2014 e contemporaneamente in alcuni telegiornali, giornali e siti web. Poi più nulla.
La storia di Rachid e la sua battaglia, sono rimaste solo sue (o nostre, per essere precisi). Come se quelle parole riguardassero, non una condizione diffusa e nascosta dietro un muro di omertà, complice e colpevole, ma il singolo caso di Assarag.
E nonostante esista un blog (carcereverita.wordpress.com), nonostante abbia contattato realtà più grandi di me, che si occupano di carcere e diritti umani su larga scala, non ho mai sentito un reale sostegno, che andasse oltre la semplice solidarietà morale… della serie: “basta il pensiero”.
Ma non è vero che basta: un giorno leggo che Amnesty International e Antigone, avevano organizzato un “minuto di silenzio contro la tortura”. Quel giorno mi infuriai.
Non capivo il senso di celebrare il silenzio di un minuto, su un argomento che viene taciuto da sempre e che continua ad essere taciuto. Non è il momento di stare zitti, perché gli altri non capirebbero la differenza. Ma è ora di parlare contro la tortura.
Voglio terminare questa lettera, con le parole che hanno guidato Rachid in tutte le scelte apparentemente “insensate” che ha fatto fino ad ora: “Se vedi un male agisci, parla, o almeno non accettarlo nel tuo cuore”.
Con l’augurio che chi le leggerà, senta il dovere di fare lo stesso.

Febbraio 2015
Emanuela D’Arcangeli

Lettera dal carcere di Padova
"È questa una macchina mostruosa che schiaccia e livella secondo una certa serie. Quando vedo agire e sento parlare uomini che sono da 5, 8, 10 anni in carcere, e osservo le deformazioni psichiche che essi hanno subito, davvero rabbrividisco, e sono dubbioso nella previsione di me stesso. Penso che anche gli altri hanno pensato (non tutti ma almeno qualcuno) di non lasciarsi soverchiare e invece, senza accorgersene neppure, tanto il processo è lento e molecolare, si trovano oggi cambiati e non lo sanno, non possono giudicarlo, perché essi sono completamente cambiati". (Antonio Gramsci, Lettera a Giulia, 19 novembre 1928).
A volte penso che molti detenuti che in carcere si tolgono la vita forse scelgono di morire perché si sentono ancora vivi. E forse, invece, alcuni rimangono vivi perché si sentono già morti o hanno già smesso di vivere. Credo anche che molti detenuti si tolgano la vita perché l'Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) non risponde mai ai loro appelli disperati. Altri invece lo fanno per ritornare a essere uomini liberi. E molti si tolgono la vita perché non hanno altri modi per dimostrare la loro umanità. Oggi nella rassegna stampa ho letto la notizia di un altro suicidio, poche parole, pochi dati: Si chiamava Osas Ake. Si è impiccato nel carcere di Piacenza. Era in cella di isolamento perché "molto agitato". Aveva 20 anni, era nigeriano.
Ed ho pensato a quella volta che ero entrato in una cella dove s'era impiccato un detenuto: Piano terra, cella 17. La chiave non girava. La mandata non scattava. Il blindato non si apriva. Mi stanco di aspettare con il sacco nero della spazzatura con dentro la mia roba personale sulle spalle. La poso in terra e chiedo alla guardia: Ma da quando è che non aprite questa porta? La guardia prima di rispondermi mi guarda con sufficienza, dall'alto al basso e poi ringhia: Da alcuni mesi, c'erano i sigilli giudiziari, c'è stata un'inchiesta, quello che c'era prima si è impiccato tra le sbarre. Puzzava di galera. Aveva una faccia da beccamorto. Una faccia di vampiro sfortunato che non riceveva da tempo una sufficiente razione di sangue. Gli dico: Mettetemi in un'altra cella.
La faccia da beccamorto mi risponde: Non sei in albergo, qui sei a Nuoro e poi celle libere non ce ne sono. E poi urla alla guardia del piano di sopra: Collega, manda quelli della manutenzione: la porta non si apre. Io intanto aspetto. Dopo dieci minuti arriva una guardia con due lavoranti e un cannello con la fiamma ossidrica. Tagliano la serratura e ne saldano una nuova. Entro, mi chiudono il cancello e mi lasciano il blindato aperto. Mi guardo intorno, non mi muovo, rimango fermo e vedo escrementi di topo dappertutto, ragnatele al soffitto, macchie di umidità alle pareti. Ero arrivato all'inferno di Badu e Carros. E pensai per un attimo di impiccarmi anch'io alle sbarre della finestra. Solo i coraggiosi però hanno il coraggio di evadere dal carcere, i vigliacchi come me rimangono. Ed io sono rimasto in quella cella per cinque lunghi anni. Poi ho saputo che il compagno che s'era tolto la vita in quella cella era un ergastolano ostativo. E sono diventato amico del suo fantasma che mi ha tenuto compagnia per tanti anni.

27 febbraio 2015
Carmelo Musumeci, via Due Palazzi, 25/a - 35100 Padova


Lettere dal carcere di Ferrara
Mandiamo poche righe per le ultime novità a completamento della nostra vicenda. Il 28 febbraio Alfredo è tornato dall’isolamento. Lo stesso giorno è stato portato via Graziano. È la conseguenza del rapporto che tutti (Adriano, Fra, Graziano, Lucio, Michele, Nicola) abbiamo ricevuto nei giorni successivi alla nostra protesta. Siamo accusati di avere, nelle giornate del 13, 14, 15/2, insultato le guardie e di (udite udite) “disordini e sommossa” (art.77 regolamento esecuzione penitenziario).
Un’accusa forte troppo generosa, ma della quale non possiamo che essere fieri. Pertanto, dopo il consueto “processino”, ovvero il consiglio di disciplinare con direttore, comandante, medico e capoccia vari del carcere, siamo stati tutti condannati a 15 giorni di “esclusione dalle attività comuni”. La punizione sarà eseguita nei tempi e nei modi più comodi alla logistica carceraria. Non sappiamo quindi se andremo alle celle ogni 15 giorni uno alla volta, ma sappiamo che nei prossimi mesi ognuno di noi finirà in punizione per due settimane.
Nel frattempo sono stati trasferiti qui da Alessandria due compagni. In questo momento pertanto siamo nove in sei celle. Un abbraccio a Graziano!

I compagni anarchici della sezione AS2 del carcere di Ferrara

5 marzo 2015, da informa-azione.info

Dall'11 luglio questi tre compagni sono in carcere con l'accusa di aver partecipato a una azione al cantiere di Chiomonte nella notte tra il 13 e il 14 Maggio 2013. Per la stessa azione, erano già stati arrestati il 9 dicembre 2013 Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, attualmente ai domiciliari.
Il 23 aprile, Francesco Lucio e Graziano affronteranno la prima udienza del processo, per il quale hanno scelto il rito abbreviato, al Tribunale di Torino. Le accuse sono danneggiamento a mezzo di incendio, violenza contro pubblico ufficiale, detenzione e trasporto di armi da guerra.
Graziano, Lucio e Francesco si trovano attualmente nel carcere di Ferrara, nella sezione di AS2. Sono recentemente stati processati dal Consiglio Disciplinare del carcere, in seguito a una protesta contro l'isolamento di Alfredo, prigioniero della stessa sezione. La loro punizione è stata l'isolamento, a rotazione, di tutti i sei prigionieri della sezione.
L'Alta Sicurezza, i processi condotti in videoconferenza, lo spostamento delle udienze nelle Aule Bunker, sono elementi, tra tanti altri, che formano parte del loro apparato repressivo e sono parte del nostro presente.

***
Carissimi amici/compagni/e i miei cordiali saluti. Prima di tutto mi scuso per il ritardo delle mie lettere e le mie risposte. Credetemi è da tanto tempo che volevo scrivervi e raccontarvi un po' di cose, solo che qui fanno impazzire con i loro comportamenti.
Io cerco sempre di essere bravo e tranquillo per non peggiorare la mia situazione più di quanto lo è già: sto ancora lottando per il mio trasferimento senza risultato, la mia educatrice non vuole chiudermi la sintesi, anzi non so dove è finita, è da tanto che non la vedo. Il Garante dei detenuti non conosco la sua faccia, mai visto, ma dicono che c'é, e se c'é perché non ha mai preso in considerazione la mia richiesta di vederlo?
Lavoro: ma che lavoro? Io non posso lavorare perchè non sono infame, qui funziona così. A me fanno lavorare un mese e mi fermo per sei/sette mesi, altri invece c'é chi lavora fisso, c'è chi due mesi si e un mese no. Parlo io che sono tra quei dieci detenuti più vecchi del carcere... “la precedenza”...
L'ultima volta che ho lavorato è stata a dicembre, la paga era di 130 euro, 20 euro per le chiamate telefoniche e il resto per la spesa ed è già finita, visti i prezzi che ci sono.
Sono sceso qualche giorno fa dal comandante per dire che sono senza un soldo e chiedo un lavoro, mi ha detto di aspettare qualche mese “maaah”?
Per quanto riguarda l'altro giorno, quando siete venuti qua a protestare, io vi ringrazio a nome di tutti i detenuti di Ferrara ed ero io che spegnevo ed accendevo la luce dalla mia cella, non so se vi eravate accorti.
Purtroppo qui a Ferrara non c'é intesa tra alcuni detenuti, hanno paura di perdere il lavoro, chi faceva protesta viene preso il suo nome per poi essere punito, i secondini giravano con carta e penna, siamo sotto i dittatori della storia, di diritti non se ne parla proprio.
Circa tre mesi fa io e i miei amici ci siamo trovati in isolamento perché abbiamo protestato contro la violenza e i maltrattamenti, hanno pestato i miei amici, poi ci hanno divisi, adesso ci comunichiamo tramite lettere: li hanno mandati a Reggio Emilia, Modena, Piacenza, Parma a cui mando un grandissimo abbraccio e tanti saluti. […]

15 febbraio 2015
Bernawi Akram, via Arginone, 327 – 44122 Ferrara


Lettere dal carcere di Rebibbia (RM)
[…] Per quanto concerne il resto è il solito andazzo. Il carcere sembra avvolto dalla nube soporifera che addormenta gli animi e gli spiriti. Anche chi non è seduto, come scrive il buon Domenico, dalle terapie di Stato, subisce un effetto tranquillante.
L'amministrazione è maestra del dividi e impera sostenuta, anche, dal solito seguito di leccaculisti che con lei fa buona comunella...
Nessun rimedio compensativo (1/10 di detrazione per ogni mese di carcere subito in condizioni disumane) perché Rebibbia è in regola sia per metri quadri, sia per la salubrità delle celle, sia perché non esiste sovraffollamento, eccetera... Insomma, non abbiamo nulla di cui lamentarci.
Ho ripetutamente tentato insieme ad altri compagni di fare fine al regime di monopolio di questa ditta appaltatrice che compie autentiche razzie al denaro delle tasche dei detenuti. Dopo un breve tentativo durato pochissimi giorni, tutto è rientrato nella "norma", tradotto, nulla è cambiato, anzi, la ditta rinfrancata dal misero risultato ottenuto dai detenuti ha propinato prezzi ancora più gravosi ed ha ripreso, così come usa fare da decenni, la sua incontrastata speculazione.
Con più tempo e voglia vi invierò un "report" dettagliato di quanto accade in questo letamaio di carcere, di quanto tutti se ne fregano anche di situazioni degradanti.
Vi saluto con un abbraccio. Ciao. Gianpaolo.

Roma, 7 febbraio 2015
Giampaolo Contini, via R. Majetti 70 - 00156 Roma

***
Cari amici continuate questa battaglia fino in fondo, perché ormai i carceri sono tutti cambiati e gli abusi che fanno sono tanti, ma, è per questo che c’è gente come noi che non si ferma e va sempre avanti.
Io sono Angelo Cangianiello mi trovo a Rebibbia e vi posso dire che qui per parlare con un’educatrice o con qualcuno, passa una vita. Beh, credetemi, finché avrò forza andrò avanti. Grazie davvero a tutti.
Ricordatevi che tanta gente che pensa solo a sé stessa. Ma l’uomo vero si vede e oggi è nel ribelle l’uomo sano.
Vorrei che questa mia venga pubblicata sul giornalino. Grazie a tutti voi.
Grazie al vostro giornalino che ci date tante possibilità e in più uno si può sfogare.
Saluto tutti i detenuti e detenute. Bacioni Angelo

Rebibbia, 5 febbraio 2015
Angelo Cangianiello, v. Rafaele Majetti, 70 - 00156 Roma


comunicato dal carcere di lanciano (CH)
Preg.ma Ass.ne Fiore Selvaggio,
Vi comunichiamo che a seguito di provvedimenti assurdi, talora “umorali” emessi dal Magistrato di Sorveglianza Pescara nei nostri confronti, abbiamo deciso di intraprendere dal 2 Marzo p.v. una protesta nei confronti dell’UDS Pescara. Per ristabilire la “centralità” della Legge nel sistema giudiziario e a salvaguardia della nostra dignità.
Abbiamo deciso ciò in quanto in possesso di copie di Ordinanze di Ill.mi Magistrati di Sorveglianza di Altri Uffici nazionali (Bologna, Roma e Napoli, per citarne alcuni), le cui decisioni favorevoli riflettono e rispettano gli ultimi decreti leggi promulgati in materia di liberazione anticipata speciale (DL 146/2013 e L. 10/2014) e risarcimento del 10% (DL 92/2014: 1 g. x ogni 10gg. Di detenzione trascorsa in violazione dell’art. 3 CEDU: pregressa e attuale).
Il Magistrato di Sorveglianza di Pescara contrariamente e diversamente dai suddetti Colleghi di Altri UUDDSS non applica alcun beneficio. L’inammissibilità delle richieste è motivo preponderante ed unico nei rigetti che formula. Creando in tal modo anche i presupposti della non ricorribilità alla decisione ad Organi superiori, quale il Tribunale Sorveglianza de L’Aquila (dove nella terna dei componenti è presente lo stesso Magistrato Sorveglianza Pescara) o la Cassazione.
Per non dire poi che le istanze vengono corrisposte a distanza di mesi e anche di anni.
Cioè, nelle more di una decisione che il Magistrato, se tempestivamente rispondesse, potrebbe dimegrire i termini del fine pena consentendo la scarcerazione, qui a Lanciano, i detenuti scontano la pena fino all’ultimo giorno di detenzione. Quando, dopo lunghe attese, è ottenuta la decisione, ovviamente negativa e sfavorevole, per il beneficio, per ricorrere non si ha più tempo tanto è prossimo il fine pena naturale.
Questa situazione più che assurda, talora, rasenta il ridicolo tanta è la beffa. E ciò ci umilia maggiormente.
Per non evidenziare poi l’atteggiamento del Magistrato di fronte alle richieste di permessi premi. L’inammissibilità in questi casi è motivata non tenendo conto dei termini di pena espiata e dal comportamento tenuto dal detenuto in riflesso al percorso comportamentale, ma in funzione di non aver collaborato con la giustizia. Ciò ovviamente è un invito sfacciato a persuadere i detenuti alla scelta del 58 ter O.P.
Rendendo pertanto inutile anni ed anni di percorso trattamentale dei detenuti sostenuti conformemente alle direttive dell’O.P. ed inficiando allo stesso tempo il conseguenziale operato della Amm.ne Penitenziaria competente a valutare la efficacia.
Insomma, questi sinteticamente sono i motivi che ci hanno spinti a decidere di attuare la protesta secondo le manifestazioni che sono riportate in calce all’allegata lettera che è stata inviata, sottoscritta da tutti i detenuti ostativi delle sezz. 1, 2, e 3B (circa 150) alla Direzione della C.C., a Radio radicale; al Messaggero Abruzzo e al Ministero della Giustizia.
Per completezza e competenza altresì si è intesi informare anche la VS Preg.ma Associazione per la debita richiesta di solidarietà che potrete offrirci. Con stima, saluti.

Lanciano, 21 Febbraio 2015
I DETENUTI OSTATIVI SEZ. 1,2, 3B DELLA CASA CIRCODARIALE LANCIANO

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“Eppur si muove”
Fu nel Rinascimento che l’uomo riuscì ad affermare definitivamente il proprio pensiero e la propria dignità. Grazie all’astronomo polacco Niccolò Copernico, che nel 1500 asserì la centralità del Sole sul nostro sistema, capovolgendo così la teoria geocentrica ritenuta sino ad allora valida dal II sec. d.C. per le tesi del matematico greco alessandrino Claudio Tolomeo.
Una conferma a quella che fu la suddetta rivoluzione copernicana fu operata due secoli dopo, nel 1700, dal filosofo razionalista tedesco Immanuel Kant. Egli capovolse il tradizionale rapporto soggetto-oggetto nell’ambito del pensiero umano.
Noi preferiamo ricordare il nostrano Galileo Galilei, in merito alla difesa della dignità dell’uomo. Secondo la leggenda, costretto ad abiurare le tesi copernicane dal Sant’Offizio il 22 Giugno 1633, in un sussulto di dignità pronunciò la fatidica frase: “Eppur si Muove”.
Ecco, noi oggi pronunciamo altrettanto ciò. Convinti che qualcosa o Qualcuno si muoverà per sollevarci dallo stato di umiliazione in cui versiamo, oggetti di “soggettivi” provvedimenti adottati dall’UDS Pescara nei nostri confronti.
Per affermare la “centralità” della Legge nel sistema giudiziario. Poiché, qui a Lanciano, non viene riconosciuta, in quanto tale posizione avocata a sé dal Magistrato di Sorveglianza di turno. Attraverso atti ed ordinanze, quando emessi il più delle volte a distanza di mesi ed anni dalle richieste, taluni inoltri nemmeno mai corrisposti, che, qualunque natura abbiano per oggetto, i suddetti provvedimenti sfiorano l’assurdo pur di consistere in rigetti ed opposizioni.
Nulla ci è concesso se non il tradizionale beneficio della liberazione anticipata: i cosiddetti 45 giorni per ogni semestre di detenzione trascorso, in vigore dal lontano 1975.
Per cui i detenuti a Lanciano sono costretti, per ottenere l’agognata libertà, ad attendere la naturale scadenza del fine pena fino all’ultimo giorno di detenzione.
A nulla valgono i provvedimenti legislativi decretati e promulgati di recente in materia di liberazione anticipata speciale e risarcitori. Risultando così inutilmente conseguiti i parametri comportamentali relativi ai regolari percorsi trattamentali, in tal modo inficiati l’operato dell’Amm.ne della Casa Circondariale; dell’Organico Competente; le valutazioni e i pareri dell’area Educativa e della Direzione.
Ancor più tutto la detenzione trascorsa in condizioni dell’Art. 3 CEDU da quasi tutti i detenuti: pregressa in Altri Istituti ed attuale.
L’inammissibilità delle richieste è motivo stereotipo dei rigetti.
Nel raffronto tra l’operato di Altri Ill.mi Magistrati di Sorveglianza di Uffici nazionali (di cui siamo in possesso di copie delle decisioni favorevoli) con quello del Magistrato di Sorveglianza di Pescara, è evidente la sperequazione delle decisioni: nei termini temporali e per le motivazioni espresse.
Sinteticamente quindi questi esposti sono i motivi per cui i sottoscritti detenuti ostativi della C. C. Lanciano hanno deciso di attuare la più corretta forma di protesta, salvaguardando la responsabilità dell’Amm.ne, nei soli confronti dell’UDS Pescara e consistente in:
- BATTITURA GIORNALIERA a più riprese dal 2 Marzo p. v.;
- SCIOPERO SPESA DEL SOPRAVVITTO dal 4 Marzo p. v.;
- RINUNCIA DEL VITTO GIORNALIERIO dal 9 marzo p. v.;
Certi di sensibilizzare gli Ill.mi Indirizzi per la tutela della nostra dignità.

I DETENUTI DELLE SEZIONI OSTATIVE DELLA CASA CIRCONDARIALE LANCIANO

(L’originale con le firme di tutti i detenuti delle sezioni 1,2 e 3 B è stato consegnato alla direzione).

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ANCHE IL CARCERE DI TERAMO IN MOBILITAZIONE
Dopo la mobilitazione nel carcere di Lanciano, anche in quello teramano 80 detenuti entrano in sciopero. La stretta operata dall’amministrazione circondariale sull’ingresso dei cibi portati dai famigliari ai reclusi del carcere di Castrogno ha originato una decisa protesta dei detenuti: sono un’ottantina circa quelli che da più di cinque giorni stanno effettuando uno sciopero della fame. Non va giù il fatto che gli alimenti spediti attraverso pacchi postali, da quindici giorni, dopo l’ordinanza del direttore della casa circondariale, non possano più essere ricevuti.
Le prime proteste sono partite subito e si sono manifestate 15 giorni fa con il rifiuto del vitto. Ora i detenuti saranno costretti ad acquistare la merce dal punto vendita interno: con costi notevolmente lievitati.
Il giorno prima del presidio fuori le mura del carcere di Lanciano, alcuni solidali vanno a salutare i detenuti del carcere di Teramo, anche loro in mobilitazione da qualche giorno. Fuochi d’artificio e torce illuminano la serata e lo scoppio di diversi petardoni riscaldano gli animi dei detenuti. Dalle finestre del carcere si alzano grida di libertà e di ringraziamento, e qualcuno, da dentro, dice anche che lo sciopero al momento è sospeso. Tra le voci che escono dalle sbarre si riconoscono chiaramente voci amiche. Il carcere, purtroppo, entra sempre più a far parte delle vite di tutti noi, dei nostri conoscenti, dei nostri amici, dei nostri fratelli. Lo sappiamo, così come i detenuti sanno che fuori c’è chi li sostiene nelle loro lotte. L’indirizzo a cui possono scrivere, ormai, non serve ripeterlo e, quando durante la serata da fuori qualcuno lo urla, da dentro lo sanno a memoria. La lotta è un discorso ed una pratica quotidiana, che va costruita intessendo rapporti di fiducia e reciprocità. Con il collante della solidarietà, che in questa occasione, come in molte altre d’altronde, ha ribadito ai detenuti che chi lotta non è mai solo.

13 marzo 2015, da freccia.noblogs.org


da una lettera dal carcere di Massa Carrara
[...] Volete sapere una barzelletta che mi è successo: bene, avete presente quella “legge sul 10% [di riduzione della pena, ndr] per il sovraffollamento”. Su 5 anni di carcerazione, sapete quanto mi hanno tolto? 1 mese +5 giorni e 75 euro: non vi sembra una presa per il culo? …vi rendete conto con chi stiamo?...questi sbirri di merda e magistrati infami.
Cari compagni questa é gente di merda, fanno tante proposte di bene, ma è solo per un tornaconto loro: “Giustizia di Merda”. Abbattiamo queste mura di merda.
Qui gli infami escono in permesso e misure alternative e a noi, che rientriamo nei snobbati benefici, non ci pensano neanche. Anzi la risposta sapete qual’è? Portarti all’esaurimento nervoso, rischiando di prendere qualche denuncia in più e allungando ancora di più la condanna. Vi faccio presente: 1) che la mia me la sono già allungata, 2) che me la sto facendo tutta senza nessun beneficio, solo perché sapete com’è il mio carattere.
Comunque cercano solo di far piegare i loro infami che sono mischiati a noi in sezione, ma arriverà la resa dei conti, quando saranno tutti a 90° gradi quando uscirò, perché è meglio vivere all’in piedi, perché è meglio vivere all’inpiedi che morire in ginocchio.
Un abbraccio fortissimo a voi tutti e tutte, il vostro combattente Agostino. Aspetto vostre notizie. Un saluto ribelle ed incazzato a tutte le combattenti donne pazze!!!

Massa, 11 marzo 2015
Agostino Balsamo, via P. Pellegrini, 17 - 54100 Massa-Carrara


Lettera dal carcere di Bergamo
[…] Sono ancora in Bergamo e in Italia. Ho scritto di nuovo una lettera al ministero di giustizia, e l’ho spedita tramite matricola. Il giorno dopo mi hanno chiamato e mi hanno detto che io devo prima soddisfare la “giustizia” italiana, che significa 13 anni di galera ancora, poi mi mandano al paese mio.
Poi ho scritto di nuovo e spedito la lettera come raccomandata. Questa gli ho scritto quello che penso di loro e della loro giustizia. Aspetto risposta.
Ma come, lo sai bene che questi che sono al potere sono fascisti. Che hanno costruito un merdoso sistema, dove intercettano le persone anche in bagno. La gente fuori è spaventata e ci sono pochi che si lamentano e puntualmente sono sempre in galera.
Poi c’è tanta gente che è ignorante, che non vuole capire niente e loro, parassiti, campano così da tanti anni.
Di me ti posso dire che sono in buona salute, mi alleno ogni giorno e non mollo mai. Per quanto sia difficile fare la galera in queste situazioni schifose non si deve mollare mai e non diventare mai loro lecchino o peggio loro infame.
Ho letto la lettera di Fabiani Michele; è un giovanotto ma merita tutto il rispetto come anche gli altri suoi compagni. Per fortuna che ci sono e che hanno coraggio di lamentarsi contro questi bastardi e vermi che sono al potere.
Io qui parlo con poche persone, leggo qualche libro, scrivo. Spero che questa mia lettera ti trovi in buona salute te e compagne-i. Vi mando un caro saluto e vi ringrazio per il vostro impegno, Jasmir.

11 marzo 2015
Jasmir Sabanovic, v. Gleno, 61 - 24125 Bergamo


opposizione al pagamento cartella esattoriale equitalia
Su segnalazione di alcuni detenuti pubblichiamo di seguito una istanza di opposizione al pagamento delle cartelle esattoriali di Equitalia con l’auspicio che possa rivelarsi utile a sottrarre i già miseri proventi del lavoro carcerario dalle tasche dello stato.
Questa diffida non elimina la possibilità di chiedere la “remissione del debito al magistrato di sorveglianza”. La formula si trova all’interno del codice dell’ordinamento penitenziario disponibile nelle biblioteche del carcere.

Alla cortese attenzione di Equitalia Ufficio di…
Alla Direzione del carcere di…
Nell’interesse di: nome e cognome
Oggetto: opposizione al pagamento cartella esattoriale n… notificata il… dell’importo di… ai sensi degli artt. 24 e 25 della Legge n.354/1975, dell’art.56 DPR n.230 del 30/6/2000 nonché dell’art.545 c.p.c..
Il sottoscritto… nato a… il… codice fiscale... attualmente detenuto presso il carcere di… via… si oppone al pagamento della cartella esattoriale di cui sopra e diffida questo ufficio di Equitalia, nonché la Direzione del carcere di…, a procedere all’esecuzione forzata per i seguenti motivi.
Sono nullatenente e senza redditi tassabili. I miei unici proventi sono costituiti dal salario per il lavoro in carcere e dalle occasionali donazioni di denaro da parte di parenti ed amici. I miei soldi sono depositati presso il carcere di… sotto forma di “DEPOSITO NECESSARIO” e non sono dunque nella disponibilità della Direzione del carcere.
Tali fondi sono rubricati sotto le voci di Fondo Disponibile e Fondo Vincolato. Nel Fondo Disponibile sono contabilizzati il salario e le donazioni occasionali della famiglia.
Nel Fondo Vincolato sono, invece, contabilizzati i fondi da salario nella quantità del 20%. Tali Fondi da salario sono tutelati dagli artt. 24 e 25 della Legge n.354/1975 (ordinamento penitenziario); in particolare l’art.24 (pignorabilità e sequestrabilità della remunerazione) al suo secondo comma così recita: “In ogni caso deve essere riservata, a favore del condannato, una quota pari a tre quinti. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro”. I due quinti rimanenti sono soggetti a pignoramento nonché a sequestro. La quota mantenimento carcere, che pago già alla fonte (ab origine) all’amministrazione penitenziaria, è pari a tale importo per tanto, vista anche l’esiguità dei salari, nulla rimane per questo spettabile Ufficio.
La quota derivante dalle rare donazioni familiari (Fondo disponibile) è tutelata dall’art.545 c.p.c. che così recita: “Non possono essere pignorati i crediti alimentari tranne che per cause di alimenti e sempre con l’autorizzazione del Presidente Del Tribunale o di un giudice delegato e per la parte determinata dal decreto”.
Il Pretore circondariale di Padova in data 21/4/1997 con ordinanza n.525/97 cron. 1522 conferma che: ”Le somme inviate dalle famiglie presentano un’evidente causa alimentare e debbono, quindi, ritenersi assolutamente impignorabili (salvo per causa di alimenti) ai sensi dell’art 545, 1° co., c.p.c”.
Per quanto riguarda il Fondo Vincolato questo è salvaguardato dall’art.56 DPR n.230 del 30/6/2000 che così recita: “Il prelievo della quota di remunerazione a titolo di rimborso delle spese di mantenimento carcere e i prelievi previsti dal secondo comma, numeri 1) e 2), dell’art.145 c.p. nei confronti dei condannati, si effettuano in occasione di ogni liquidazione della remunerazione”. Se ne deduce che, questo articolo dispone per la sequestrabilità futura ma non per il passato. Tale interpretazione è suffragata dalla pratica ultradecennale dell’Amministrazione Penitenziaria. Infatti, quando si tratta di detenuti non ancora in condanna definitiva, l’Amministrazione non preleva la quota “mantenimento carcere” dai loro stipendi; quando poi la condanna diviene definitiva la stessa Amministrazione non si rifà sugli stipendi pregressi. Appare, pertanto, illegittima ed illegale la “strana” pratica di alcuni uffici conti correnti di alcune carceri italiane, di prelevare, una tantum, il 20% dal Fondo Vincolato.
Per tutti questi motivi il sottoscritto sopra meglio generalizzato, si OPPONE al pagamento della somma di… e DIFFIDA Equitalia a procedere all’esecuzione forzata.
DIFFIDA inoltre, la Direzione del carcere di… ad eseguire tale esecuzione forzata che, in forza di quanto detto, configurerebbe il reato di “appropriazione indebita”, che il sottoscritto denuncerebbe all’Autorità Giudiziaria competente.
Manda all’Ufficio di Equitalia di… tramite A/R n…
Manda alla Direzione del carcere di… tramite modello 393 (domandina).
DATA FIRMA


La guerra del PD ai “nostri”
Le questioni casa e lavoro nel laboratorio Toscana
Il recente attacco sferrato dalle istituzioni locali contro le occupazioni del Movimento di lotta per la casa di Firenze ci ha posto di fronte alla necessità di riflettere su come la Toscana sia diventata un laboratorio per le politiche del Partito Democratico (PD) di attacco alle condizioni di vita dei proletari dalla questione abitativa a quella del lavoro, dai tirocini al “riordino delle province”.

Cosa succede nella lotta per la casa?
Il 18 e 19 ottobre 2013 sono state due giornate importantissime per il movimento italiano e per una parte del sindacalismo di base. In particolare, il 19 ottobre è stata la giornata che ha contribuito a portare all'attenzione nazionale la gravissima emergenza abitativa del nostro paese. Una data che è stata il prodotto di anni di sfratti, sgomberi, denunce e disperazione, ma anche di resistenza, di organizzazione, di occupazioni e opposizione a migliaia di sfratti in tutta Italia.
Già a quel tempo la risposta del PD ai militanti e agli occupanti che sollevavano un problema così grave, non fu la presa d'atto dell'emergenza casa e il tentativo di affrontare il problema, ma un vero e proprio attacco mediatico e repressivo ai movimenti di lotta per la casa di tutta Italia.
Il 28 marzo 2014 il governo varava il “Piano casa”, una legge tutta volta a far ripartire il mercato delle costruzioni e a facilitare l'accensione di nuovi mutui, per la gioia di costruttori edili e banche. L'emergenza abitativa era “affrontata” solo all'articolo 5 con una vera e propria dichiarazione di guerra alle occupazioni abitative - l’unica risposta a cui i proletari possono far affidamento vista la volontà del governo di non intervenire per risolvere la carenza di case popolari, la lentezza delle procedure di assegnazione delle stesse e l'inefficienza delle strutture pubbliche.
L'articolo 5 vieta infatti la possibilità di ottenere la residenza in uno stabile occupato e l'allacciamento legale alle utenze dei servizi primari (acqua, luce e gas). Un vero e proprio attacco alle condizioni di vita dei più sfruttati, giustificato dal constante blaterare sull’“estrema necessità di ripristinare la legalità”, anche se ripristinare la legalità significa solo difendere la proprietà privata (di costruttori e banche) calpestando il diritto di ogni essere umano ad avere un tetto sopra la testa. Un diritto ancor più fondamentale in tempo di licenziamenti facili, quando ci si può ritrovare da un giorno all’altro senza salario, e quindi senza possibilità di pagare le rate del mutuo, o l’affitto.
La linea repressiva del Partito Democratico sull'emergenza abitativa non è mai cambiata. Anzi abbiamo assistito a Firenze all’inasprimento di questa posizione, con il conseguente aggravamento dell'emergenza abitativa e l’aumento della tensione sociale in città.
Questo clima è reso ancora più opprimente dal ruolo che i media ricoprono in questo momento. Ormai da mesi sui giornali e le televisioni locali è in atto, infatti, una vera e propria campagna diffamatoria contro le occupazioni abitative commissionata, secondo le parole di un giornalista, dal PD fiorentino. Dichiarazioni del tipo “non saranno mai più tollerate nuove occupazioni”, “la legalità va assolutamente ripristinata”, “Comune e Regione si stanno occupando del problema, quindi occupare è intollerabile” sono costantemente pubblicate sui giornali a fianco a lunghi articoli di cronaca in sezioni che alcuni quotidiano hanno intitolato senza tanti giri di parole “Lotta al degrado” o simili. L’esempio più recente è il ridicolo accostamento del Movimento di lotta per la casa all’ISIS. Agli occhi del lettore distratto, l’equazione “occupazione di case=degrado” diventa così un accostamento quasi istintivo che lo spinge a legittimare più facilmente l’attacco politico in corso al Movimento di Lotta per la casa.
La strategia è chiaramente quella di creare un clima di avversità intorno alle occupazioni a scopo abitativo che generi un terreno fertile per giustificare un aggravamento esponenziale della linea repressiva e l'approvazione della Legge regionale sulla casa.
Una linea irresponsabile e violenta del PD, che ignora volutamente il fatto che a Firenze ci siano circa 100 sfratti al mese, 11 mila case sfitte, 3.000 famiglie che aspettano (e chissà per quanti anni ancora) di ottenere l'alloggio popolare. Tutto questo accade mentre un fiume di finanziamenti pubblici viene trasferito nelle casse delle strutture di “accoglienza”, strutture inadeguate e inopportune (vogliamo case, non essere trattati da minorati!) che comunque non offrono che brevi periodi di permanenza, dopo i quali i torna al punto di partenza (la strada).
Ma la situazione fin qui descritta non è poi così diversa dalle moltissime altre città in Italia in cui si vive l’emergenza abitativa. Ciò che fa di Firenze, e della Toscana più in generale, un laboratorio privilegiato per la repressione dei movimenti per la casa è l’iniziativa legislativa del governo regionale e in particolare dell’assessore alle politiche sociali e vice presidente regionale Stefania Saccardi (PD).
La Legge regionale Saccardi
"Ci sono alcuni capisaldi di fronte a cui non vogliamo indietreggiare: niente case dunque a chi le occupa illegalmente o per chi ha redditi oltre certi limiti guardando anche ai depositi in banca, nessun alloggio a chi ha altre proprietà e magari una casa al mare o la Porsche". (Stefania Saccardi, vice presidente della Regione Toscana)
Questo è il retroterra che ha prodotto la legge regionale sulla casa che verrà discussa in Consiglio Regionale il 10 marzo: chi occupa le case lo fa perché è un furbetto. Un’analisi totalmente irreale, volta a giustificare all'opinione pubblica una legge che di fatto cancella il diritto alla casa in Toscana, mentre si svende il patrimonio pubblico e si aumentano i fondi per la morosità, così da trasferire flussi di denaro pubblico nelle tasche dei privati che affittano case.

Gli sgomberi di mercoledì 4 marzo 2015
Mercoledì il quartiere di Novoli si sveglia completamente militarizzato. In poco più di un'ora sono stati eseguiti due sgomberi, quelli delle occupazioni abitative di via Baracca 18 e di via Benedetto Marcello. Un numero impressionante di agenti, circa 15 camionette più svariate volanti vengono impiegati per sbattere in strada 150 persone, di cui 30 sono bambini. Gli agenti sono entrati nelle occupazioni a manganelli spianati, camera per camera. Tutto il quartiere è stato militarizzato, mandando il traffico in tilt. La richiesta degli sgomberi - questa volta - non proviene dalla proprietà (banche e agenzie immobiliari) che non usa da anni quegli edifici, preferendo lasciarli in stato di abbandono per future speculazioni, ma dalle istituzioni (prefetto e amministrazione comunale). Chi finisce in strada rifiuta la “soluzione” offerta dai servizi sociali consistente nello smembramento delle famiglie e nella “permanenza” per soli tre mesi in una struttura d’accoglienza, per poi tornare di nuovo sulla strada. In sostanza il Comune sgombera senza fornire soluzioni alternative.
È un vero e proprio attacco politico al Movimento di lotta per la casa fiorentino e a tutte le occupazioni, che colpisce famiglie e individui indigenti che hanno scelto di organizzarsi e rivendicare un diritto, piuttosto che essere relegate alla marginalità e alla solitudine. Un attacco in perfetta continuità con le politiche portate avanti a livello nazionale dal Governo Renzi, basate sulla disarticolazione delle organizzazioni dei “nostri”, di chi cioè è costretto per vivere a vendere la propria forza lavoro e il proprio tempo in cambio di un salario, un attacco che si rivolge tanto all’organizzazione sindacale e politica sui posti di lavoro, tanto a chi si organizza nei quartieri per recuperare ad un uso abitativo enormi proprietà colpevolmente sfitte.
L'assessore comunale alla Casa, Sara Funaro, si fa intervistare sui giornali, rilasciando dichiarazioni che farebbero invidia alla Lega Nord, “Voglio far presente che proprio oggi (8 marzo 2015, ndr) c’è stato uno sgombero di un fabbricato occupato: si tratta del quinto sgombero in sette mesi, cui si aggiunge il recupero di quindici alloggi Erp occupati abusivamente negli ultimi tre mesi. Praticamente quasi uno sgombero al mese”. E ancora, “siamo il partito dei fatti e non delle parole. Abbiamo detto che non tolleriamo le occupazioni e lo abbiamo dimostrato”.
La Digos intanto fa sapere che la linea scelta dal Prefetto è molto chiara: ogni nuova occupazione, due sgomberi.
Un corteo cittadino ha raggiunto e “sanzionato” la sede regionale del PD di Novoli, perché a tutti è chiaro il mandante politico di questo abominio. In serata il PD incassa perfino la solidarietà dei fascisti di Casapound Firenze. La degna conclusione di una giornata campale contro i più sfruttati: proletari che assaltano la sede del PD e i fascisti che prodigano parole di solidarietà, 150 persone senza casa, la tensione alle stelle.

Dalla casa al lavoro, qual è la politica del PD?
Il PD toscano, con in testa il Governatore Rossi, non ha esitato a fare propria l’impostazione del Governo Renzi in materia di lavoro. Da un punto di vista propagandistico, Rossi ha dovuto in prima battuta riconoscere che la libertà di licenziamento è pericolosa. D’altronde, sarebbe difficile affermare il contrario in fase di competizione elettorale data l’impopolarità che il PD sta riscuotendo in tema di Jobs Act e abolizione dell’art.18.
Tuttavia, nel passaggio successivo, il Governatore non esita a riproporre e rafforzare la propaganda renziana che contrappone i “vecchi garantiti ai giovani precari”. Il programma elettorale del PD toscano, infatti, ribadisce con forza che la strada per la crescita passa attraverso l’abolizione dei diritti: “Dobbiamo ‘rottamare’ per sempre una visione anacronistica del tema del lavoro, ancorata a schemi del passato e ormai inattuali: abbiamo bisogno di più occupazione e di meno ideologia. Il “Jobs act” offre ai neoassunti una reale e concreta possibilità di un contratto a tempo indeterminato e nuovi più moderni ammortizzatori sociali. Dobbiamo essere i primi in Italia a sperimentare nuove politiche attive del lavoro che producano conoscenza e nuova occupazione.”
È forse il caso di soffermarsi su quest’affermazione del PD toscano che viene riproposta spesso, quasi fosse un mantra: “DOBBIAMO ESSERE I PRIMI”.
E ci chiediamo: “Primi in cosa?” Primi nell’applicazione e sperimentazione delle politiche del Governo a livello regionale e in “salsa toscana”, ossia condite con tutti gli elementi retorici di una tradizione di “sinistra”, utili solo a far digerire un boccone altrimenti ancora più indigesto.
Sul fronte del lavoro, infatti, il PD toscano sta spingendo verso un’ulteriore compressione dei salari e dei diritti attraverso le seguenti misure:
- Creazione dell’Agenzia per il lavoro, politiche attive e riordino delle province
- Salario accessorio dei dipendenti pubblici, esternalizzazioni dei servizi pubblici e gestione degli appalti con gare a ribasso
- Tirocini retribuiti in parte dalla Regione per abbassare il costo del lavoro a favore delle imprese e a carico dei contribuenti, cioè principalmente dei lavoratori.

Creazione dell’Agenzia per il lavoro, politiche attive e riordino delle province
La Regione Toscana è la prima regione in Italia ad aver dato attuazione alla Legge Delrio 56/14 di riordino delle funzioni provinciali. Com’è noto, sulla spinta propagandistica della “riduzione dei costi della politica” e dell’ “abolizione dei livelli di governo”, Renzi decise di riorganizzare le province (in attesa della riforma costituzionale che dovrebbe abolire completamente quest’ente), attribuendo alle regioni il compito di redistribuire le funzioni esercitate dalle province e di ricollocare il relativo personale. Con la Legge di stabilità poi, il Governo ha tagliato ulteriormente i trasferimenti statali alle Province e ha aperto la strada a circa 20.000 esuberi, riducendo della metà la dotazione organica delle province, cosa che ha ovviamente scatenato proteste in tutta Italia (Torino, Firenze).
La Regione Toscana, avendo approvato tale legge di riordino (L.r. 22/15) sarà la prima ad avviare le procedure di riorganizzazione del personale provinciale con conseguente trasferimento di lavoratori dalle Province alla Regione e ai Comuni, e sarà quindi la prima a determinare il restante “soprannumerario”, ossia il personale che verrà dichiarato in esubero e sarà costretto a seguire le procedure di mobilità previste dal legislatore nazionale.
Il personale in esubero delle Province dovrà essere ricollocato in primo luogo dalla Regione e dagli Enti locali che hanno “spazi assunzionali”. Questo oltre a determinare nei prossimi anni un ulteriore blocco dei concorsi (già limitati dai blocchi del turnover), sta scatenando già oggi una corsa alle “dichiarazioni di autosufficienza”. Cioè, per evitare di assorbire il personale in esubero proveniente dalle Province, gli Enti locali stanno serrando le fila, chiudendo la porta in faccia ai lavoratori delle Province in dismissione. La Regione, in primis, sta operando una riorganizzazione interna, individuando quel personale in esubero che potrà andare in pensione con i requisiti precedenti all’entrata in vigore della legge Fornero.
Inoltre, la Regione Toscana ha colto la palla al balzo, attribuendosi le funzioni (ex provinciali) relative al mercato del lavoro, con l’obiettivo di istituire un’Agenzia regionale del lavoro (di cui parleremo più sotto) in grado di assorbire gli attuali Centri per l’impiego e applicare le cosiddette politiche attive.
Nel programma del PD per le imminenti elezioni regionali di maggio, non si fa mistero della volontà di: “Inaugurare una reale convergenza fra gli interventi volti al sostegno dei redditi in favore dei disoccupati, e le politiche del lavoro attive, dunque funzionali a favorire il reinserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro”. In sostanza, quando si parla di convergenza tra il sostegno al reddito e il reinserimento nel mondo del lavoro, s’intende l’istituzione di uno strumento che subordini il sussidio di disoccupazione alla ricerca/accettazione di un nuovo posto di lavoro... ma a quali condizioni?!

Salario accessorio dei dipendenti pubblici, esternalizzazioni dei servizi pubblici e gestione degli appalti con gare a ribasso
Per quanto riguarda i lavoratori impiegati nel settore pubblico, la politica applicata dal PD locale consiste essenzialmente nel mettere uno contro l’altro lavoratori strutturati - quelli cioè, assunti direttamente dall’ente pubblico - , lavoratori in appalto, volontari, e tirocinanti, generando in questo modo una guerra tra poveri, col solo scopo di comprimere i salari e peggiorare le condizioni di lavoro. Se sul fronte dei lavoratori direttamente impiegati dalle amministrazioni locali, si gioca una battaglia volta a ridurre il salario accessorio - com’è successo in primis nel Comune di Firenze - sul fronte dei servizi esternalizzati si mettono in discussione i vincoli contrattuali ad ogni cambio appalto - il tutto a vantaggio delle cooperative e in barba al peggioramento delle condizioni di lavoro e della qualità di servizi teoricamente pubblici.
Per fare solo alcuni esempi, quello che accade oggi ai lavoratori in appalto dei musei civici, è avvenuto prima ancora agli operatori delle biblioteche e avverrà probabilmente tra un paio d’anni ai dipendenti degli infopoint. Le responsabilità sono, ancora una volta, politiche, dato che l’amministrazione avrebbe la facoltà di inserire la clausola sociale nei nuovi bandi di appalto, che garantirebbe lo stesso numero di occupati e un contratto nazionale di riferimento, ma si rifiuta ostinatamente di farlo.
Infine, le amministrazioni, pur di ridurre ulteriormente i costi del servizio a danno di utenti e lavoratori, locali stanno provando ad utilizzare anche il volontariato per ridurre il costo del lavoro, accogliendo le linee guida nazionali sulla riforma del terzo settore. Qui in Toscana è stata data concretezza a questi dettami attraverso una serie di accordi con le associazioni di volontariato che di fatto affidano la gestione di “pezzi di welfare” ai privati.

Tirocini retribuiti in parte dalla Regione per abbassare il costo del lavoro a favore delle imprese
Sul Programma Giovanisì - quello, per intendersi, che istituisce i tirocini retribuiti al 50% dalla Regione Toscana, rimandiamo ad altri materiali pubblicati sul sito.
Qui, in sintesi, ci preme solo ricordare che anche sul fronte tirocini la Regione ha scelto di contribuire all’abbassamento del costo del lavoro (salario e diritti) regalando alle imprese “tirocinanti a metà prezzo”, in modo tale che una ditta prima di assumere un lavoratore a costo pieno potrà far affidamento su un “giovane in saldo al 50%”!

Conclusioni
Quello che il PD in Toscana sta conducendo è un attacco sferrato in primo luogo contro le classi subalterne, contro i “nostri”, cioè chi è costantemente esposto al rischio di perdere il lavoro o di non riuscire a trovarlo ritrovandosi senza un reddito, e quindi di non poter più permettersi un affitto o di pagare il mutuo. Un attacco, tuttavia, occultato sapientemente e teso a dividerci, attraverso l’utilizzo di una retorica mistificante.
Un attacco diretto unicamente a metterci gli uni contro gli altri.
Il Jobs Act fa perno sulla retorica distorta che un peggioramento delle condizioni dei già assunti “vecchi e privilegiati” favorirebbe l’assunzione dei nuovi lavoratori “giovani e precari”. Ma grazie ad alcune lotte emblematiche, come quella dei lavoratori Eataly di Firenze, è stato dimostrato cosa significhino nella realtà il modello Renzi e il laboratorio Regione Toscana, ovvero un abbassamento generalizzato delle condizioni di lavoro e una istituzionalizzazione della precarietà per tutti.
È grazie alla stessa mistificazione, alla stessa retorica che vorrebbe mettere i proletari gli uni contro gli altri, che le occupazioni delle case sfitte sono oggi sotto attacco. Seguendo questa logica meschina, l’Assessore regionale Saccardi ha accostato, per esempio, chi evade per fare più profitti a chi occupa le case perché non ha un salario.
In assenza di una risposta popolare forte e generale che chiarisca le ragioni dei “nostri” sono tanti coloro che prima ancora di subire una carica della Polizia in piazza, sono colpiti a suon di menzogne televisive e giornalistiche. Persone che pagano un affitto o il mutuo, o sono sottoposte al medesimo ricatto di perdere il lavoro, o hanno subito la perdita di una parte del salario, o ancora hanno subito in silenzio l’allungamento della giornata lavorativa, “perché i tempi lo richiedono”.
Se nel laboratorio Toscana come nel resto del paese, questo è il modo in cui la questione del lavoro e della casa sono gestite dal PD, non possiamo non prendere atto della messa in discussione definitiva dei vecchi metodi “concertativi”, mediati in primo luogo dai sindacati confederali – ma non solo – che pur di ottenere la pace sociale e l’isolamento delle vertenze, riuscivano in cambio a distribuire qualche briciola ai “nostri”, cedendo molto per ottenere molto poco.
Sembra arrivato il tempo dell’attacco frontale, con un Governo che rifiuta di sedersi al tavolo di trattativa con il sindacato più grande d'Italia e cancella con un colpo di mano i risultati di decenni di lotte sul lavoro, simboleggiati dall’articolo 18. Questo atteggiamento è lo stesso che gli occupanti di Firenze hanno ritrovato la mattina del 4 marzo, fin dentro le loro stanze e la loro intimità, perché il Comune e la Prefettura avevano deciso per una dimostrazione muscolare, arrivando a “chiudere” un intero quartiere popolare pur di recuperare due stabili alla speculazione e gettare per la strada 150 persone.
Non è possibile allora piegarsi alla trattativa, che in assenza di una concreta capacità di incidere nei rapporti reali significherebbe una resa più o meno incondizionata. Non è più possibile, in questa situazione, come purtroppo stanno facendo le dirigenze della CGIL, cercare di restare a galla e aspettare che la bufera passi. Bisogna invece dotarsi di una strategia di lotta per riunificare quelle forze che ora sono divise, disorientate, e che rischiano di restare schiacciate da una gestione delle emergenze sociali a dir poco criminale. Forze che se non organizzate e orientate rischiano di essere raccolte dal populista destrorso di turno à la Salvini o peggio ancora, come rischia di accadere in Grecia, à la Alba Dorata.
In primo luogo, tornando a quanto successo cinque giorni fa a Novoli, è opportuno dotarsi nell'immediato di parole d'ordine unificanti: dire, ad esempio, che i soldi per l'edilizia popolare ci sono, sono quei 140 miliardi di evasione fiscale annui detenuti soprattutto dalle grandi concentrazioni di capitali e non nel tabaccaio che non fa lo scontrino; sono il debito pubblico pagato dai noi, dai contribuenti, alle stesse banche che abbiamo contribuito a salvare; sono nelle continue sovvenzioni “per l'occupazione” che continuiamo a versare alla grande industria, a partire da FIAT; sono nelle spese militari utili solo a ingrassare le tasche dell’industria militare e a saccheggiare paesi come la Libia producendo i disastri a cui in queste settimane stiamo assistendo. Basterebbe espropriare e ristrutturare le grandi proprietà abbandonate, mettendole al servizio della collettività per dare una prima risposta all’emergenza abitativa del nostro paese.
Per rimettere al centro di una nostra agenda politica questi obbiettivi, però, dobbiamo necessariamente ripartire da esperienze virtuose, dalle lotte sociali e dalle esperienze organizzative che hanno saputo parlare a tutti “i nostri”: gli scioperi generali del 14 novembre e del 12 dicembre, le lotte nel settore della logistica nel Nord Italia, in cui facchini e occupanti di case sono scesi in strada insieme, il coordinamento dei lavoratori e delle lavoratrici livornesi, che ha chiuso importanti vertenze facendo leva sulla solidarietà tra lavoratori, e che scenderà nuovamente in piazza il 18 aprile, con un programma politico.
Sono queste le strade da percorrere, pena l'isolamento e il peggioramento sostanziale delle nostre condizioni di lavoro e di vita.

10 MARZO, MANIFESTAZIONE CONTRO LA LEGGE SACCARDI SULLA CASA, CONTRO LA REPRESSIONE, ORE 14.30 PIAZZA SAN MARCO

10 marzo 2015, da clashcityworkers.org

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Brescia: Cariche e fermi contro presidio antirazzista
Dopo lo sgombero di ieri dei migranti in presidio, oggi Brescia era di nuovo in piazza a chiedere il rilascio dei permessi di soggiorno bloccati da diversi anni a causa della contro la sanatoria truffa del 2012. Lo sgombero di ieri mattina avevano portato anche al fermo di tre migranti, successivamente portati nel CIE di Bari mentre per un altro è partito l'ordine di espulsione immediata.
Per oggi pomeriggio i migranti e gli antirazzisti di Brescia avevano convocato presidio in piazza Loggia per rilanciare la mobilitazione. Non appena riuniti in piazza Loggia, la polizia ha sequestrato il furgone e ha poi violentemente caricato i presenti con i cani sotto gli occhi del vice-sindaco PD Laura Castelletti. Ci sono stati almeno tre persone ferite tra cui una giovane compagna di quindici anni violentemente manganellata alla testa. Non contenta della performance attuata questo pomeriggio in piazza, la polizia ha anche arrestato quattro antirazzisti che sono ancora in stato di fermo.
Attualmente gli antirazzisti e i migranti si sono spostati in piazza Rovetta, adiacente a piazza Loggia, per capire come proseguire la mobilitazione di fronte all'aggressione della polizia. Intanto ad una delegazione è stato permesso di avere un colloquio con i funzionari comunali.
23 marzo 2015, da infoaut.org

Licenziamenti e demansionamenti è la ricetta del governo Renzi
Il Consiglio dei Ministri ha approvato le nuove regole del cosiddetto Jobs act che saranno operative dal 1° marzo 2015. L’ipocrisia di Renzi le definisce regole contrattuali a “tutela crescente”.
Più coerentemente Alfano si vanta di “aver seppellito lo Statuto dei Lavoratori”. La Confindustria esulta: è la controprova che le cosiddette “tutele crescenti” sono solo crescenti dalla parte padronale. Come la Troika d’Europa impone ai singoli Stati.
Sono “tutele crescenti” che permettono licenziamenti, individuali e collettivi, senza possibilità di reintegro, ma semplici misere monetizzazioni crescenti, legate all’anzianità di servizio. Si dà facoltà alle aziende di imporre mansioni dequalificanti senza più alcun rispetto dei livelli categoriali acquisiti. Si aumenta il periodo massimo dei contratti a tempo determinato da 24 a 36 mensilità. I contratti di apprendistato non avranno più vincoli di assunzione.
Cosa propongono i sindacati confederali come risposta? Di Cisl e Uil non ne parliamo, tanto allucinanti sono le loro dichiarazioni. La Camusso e Landini (Cgil – Fiom), invece di attivare un fronte di lotta adeguato al tragico momento che lavoratori e lavoratrici stanno subendo, fantasticano su una bella raccolta di firme per una proposta di legge popolare per un “nuovo Statuto dei Lavoratori”. Ci sembra una colossale presa in giro. Cosa ci può essere di più inutile di una simile “farsa” di fronte ad un governo di maggioranza parlamentare che si è già espresso in modo diametralmente opposto. Ma il guerriero Landini, segretario della Fiom, incalza: “Per sconfiggere Renzi occorre allargare il fronte dei lavoratori con una più ampia coalizione politico-sociale”. Ci si inventa di tutto pur di evitare l’unica risposta concreta che il sindacato possa e debba dare: quella di una radicale opposizione espressa con lo sciopero e la lotta. Landini si è dimenticato delle minacciose proclamazioni di qualche mese fa: quella dell’occupazione delle fabbriche se veniva cancellato l’art.18 e introdotto lo Jabs act. Oggi parla di altro. Forse adesso comincia a pensare di “occupare” qualche poltrona in parlamento?
Hanno buon gioco Cgil, Cisl, Uil con i loro milioni di aderenti ad evitare un forte scontro sociale dei lavoratori e lavoratrici contro il governo. La sola Cgil controlla più di 5 milioni di iscritti. Una bella cassaforte di garanzia per il governo Renzi e quelli che verranno.
Uscire dalla gabbia! Organizzare la nostra rabbia! Solo con una lotta radicale e reale, come quelle con cui il movimento dei lavoratori, occupati e non, ha ottenuto le sue migliori conquiste, ci può essere futuro. L’Unione Sindacale Italiana è già posizionata in questa direzione e fa appello al senso di responsabilità del “sindacalismo di base”, ma tutto dipenderà dalle reali volontà dei lavoratori e lavoratrici: con l’autorganizzazione e l’autogestione della propria lotta si può invertire la rotta.

Unione Sindacale Italiana (USI – AIT)


Palermo: solidarietà all'appuntamento giornaliero con la firma
Non si ferma la solidarietà per i 17 che il 10 marzo scorso, per ordine della procura di Palermo, sono stati sottoposti alla misura cautelare dell'obbligo di firma giornaliero: per ricordare, il teorema della Procura afferma che queste 17 persone avrebbero costituito “un'associazione a delinquere”, prendendo in esame una serie di manifestazioni dal 2010 al 2012. È chiaro l'intento di voler ridurre un pieno impegno nella militanza contro le ingiustizie di questo sistema socio-economico a delinquenza comune.
Dopo le numerose iniziative lanciate negli scorsi giorni, dalle assemblee nelle scuole e all'Università alla campagna sui social network sotto l'hashtag #sui17cimettolafirma, oggi un centinaio di persone si sono radunate spontaneamente per portare piena solidarietà ai compagni e alle compagne che quotidianamente si recano in commissariato a firmare. Mentre i ragazzi sono entrati a firmare, i numerosi solidali hanno tirato fuori diversi cartellone con la scritta “Io sono il 18”, “Io sono il 19” e così via; dunque, piena volontà di dire che in quegli anni a manifestare nelle lotte studentesche e sociali c'erano molto più di 17 persone (come non ricordare i 50.000 che scendevano in piazza contro la riforma Gelmini), e che se manifestare per i propri diritti implica essere dei delinquenti, allora “siam tutti delinquenti”.
Ora si attende il grande appuntamento di domani con la manifestazione cittadina in solidarietà con gli accusati di associazione a delinquere. L'appuntamento è previsto per le ore 17,30 in Piazza Verdi di fronte il Teatro Massimo. Dunque, fondamentale sarà riuscire a far cadere il teorema della procura per due ragioni: la prima, per legittimare chi negli anni ha portato avanti percorsi di lotta in forma politica e tutt'altro che delinquenziale; la seconda, affinché i 17 compagni tornino a godere pienamente della loro libertà personale. E la riuscita di questa campagna passerà per forza da una massiccia presenza al corteo di domani.

19 marzo 2015, da infoaut.org


Milano: il processo ex-Cuem assume una dimensione generale
Questo processo è stato spostato dopo le prime udienze nell'aula bunker di Milano (quella di Ponte Lambro, via Ucelli di Nemi) ed è anche stato stabilito che deve procedere “a porte chiuse per la serenità della corte” perché “turbata” dai saluti del “pubblico”, diretti in particolare a Graziano, nella precedente udienza.
E' una mossa chiaramente intimidatoria diretta non soltanto contro i 7 compagni lì “imputati” ma fa parte dell'aggravamento repressivo scattato da mesi a Milano in vista dell'Expo – affinché si svolga con “serenità”.
Per queste ragioni, per la solidarietà agli “imputati”, compreso Graziano prigioniero nella sezione “alta sicurezza” di Ferrara, assieme a Lucio e Francesco suoi “co-imputati”, consideriamo importante cercare di essere presenti, martedì 31 marzo alle 10 del mattino, all'udienza in quell'aula bunker.

Che cosa sono le “aule bunker”?
Sono sede di aule giudiziarie costruite nelle maggiori città a partire dal 1978, dove lo spazio d’azione e di incontro fra “imputati” - specie se in carcere, l’accesso e l’iniziativa del “pubblico” sono maggiormente limitati e più controllati che nelle aule del tribunale ordinario. In queste vengono tenuti solitamente processi contro “terroristi” e la “criminalità organizzata”. A Milano ci sono ben due “aule bunker” di cui una in piazza Filangieri, ricavata nell’ex carcere minorile Beccaria e l’altra invece costruita a Ponte Lambro nell’estremo est di Milano, in via Uccelli di Nemi; in questa non a caso è stato trasferito questo processo.
La scelta del trasferimento in “aula bunker”, come già avvenuto ad esempio nei processi No Tav a Torino nel 2012 (maxi-processo) e nel processo iniziato nel maggio 2014 per un sabotaggio nel cantiere di Chiomonte, ha preso a pretesto, in particolare nel primo caso, il comportamento definito “ingiustificato” degli “imputati” e dei compagni e compagne solidali presenti in aula.
A Milano cos’è successo?
Il presidente del tribunale Cagi, sostenuto dal pm Basilone, di fronte alla vicinanza espressa apertamente dagli “imputati” come dal “pubblico” nei confronti di Graziano, anche per il sabotaggio nel cantiere di Chiomonte, circondato da un nugolo di secondini, tenuto in gabbia per impedirgli ogni contatto, ha deciso l’espulsione del “pubblico” e la prosecuzione” a porte chiuse” come già accennato.

Perché queste decisioni?
Noi la capiamo così: l’università statale di Milano è parte compresa dei poteri e delle congreghe che hanno voluto e imposto Expo 2015 accompagnato inevitabilmente dalle enormi speculazione sulle vaste aree destinate all’insediamento dei padiglioni e da devastazioni sul territorio legate alla costruzione di strade e infrastrutture utili solo alla cementificazione e al conseguente arricchimento dei padroni del cemento e non solo. L’università, insieme ai poteri economici accennati, in collaborazione con gli apparati repressivi (polizie e magistratura), vuole impedire con ogni mezzo l’esistenza di spazi di agibilità autodeterminati che contribuiscono alla costruzione del movimento di resistenza e di lotta nella metropoli, ancor di più nei lunghi mesi di Expo.
L’eterno tentativo dello stato di cancellare le ragioni politiche e sociali che contrastano il suo potere trova nell’aula bunker, nel processo in videoconferenza adottato già contro i compagni e prigionieri ribelli così come nell’isolamento carcerario, i mezzi per colpire, intimidire, ghettizzare la lotta contro lo sfruttamento, la devastazione sociale e ambientale.
La presenza attenta nell’aula bunker ha come obiettivo immediato l’entrata in aula per rivendicare, là dove lo stato vuole criminalizzarla, la giustezza di esperienze come lo spazio autogestito ex-Cuem, unita alla solidarietà ai compagni sotto accusa.

Milano, marzo 2015
OLGa, olga2005@autistici.org


milano: sgomberato il soy mendel
Milano, la sera del 5 marzo un centinaio di compas giovani e meno giovani si incontra in strada per manifestare ostilità e rabbia contro lo sgombero di uno spazio importante per la continuità della lotta all’Expo 2015, alle sue devastazioni sull’esistenza di noi tutte e tutti. L’edificio sgomberato il giorno prima sorge accanto alle “cave di Baggio”, comprese nella “via d’acqua” impedita, fino ad ora, dalla resistenza di diverse persone, compas che agiscono proprio a Baggio, che hanno dato vita allo spazio occupato. Nello striscione che apre il corteo: “C’è chi costruisce socialità e chi la distrugge – di Baggio siamo e di Baggio restiamo”, nel volantino diffuso (sotto si riportano brani), come negli interventi al microfono emergono la rabbia nei confronti del comune di Milano, complice dello sgombero perché parte costitutiva e dirigente di Expo, vengono affermate solidarietà, determinazione nella continuità dell’esperienza vissuta.

COMUNICATO SOY MENDEL DOPO LO SGOMBERO
Sono passati esattamente cinque mesi da quando un gruppo di ragazzi e ragazze della zona ha deciso di occupare una fabbrica abbandonata da più di vent'anni, per restituire al quartiere di Baggio uno spazio sociale, culturale e di aggregazione. Un punto di riferimento che a Baggio – classico quartiere periferico e popolare di Milano direttamente coinvolto negli sporchi affari di Expo- manca da anni, dove portare avanti valori per noi fondamentali come l'antifascismo, l'antirazzismo e l'antisessismo...
Il bello di Soy Mendel è proprio questo, un gruppo di persone che non si conoscevano ma che, condividendo l'autogestione di uno spazio sociale, hanno imparato a viversi e a costruire insieme progetti e iniziative. Siamo partiti senza acqua e senza elettricità, con una montagna di macerie e le finestre spaccate…
Questa mattina verso le 9.30 ci hanno comunicato che erano dentro e ci stavano sgomberando. Nell'infame vocabolario sbirresco significava che avevano già distrutto in pochi minuti mesi di lavori collettivi: le finestre erano tornate giù, i sanitari erano tornati inagibili.
La rabbia è tanta ma la voglia di reagire ancora di più… La nostra risposta incomincia da domani sera. Alle 18.30 ci troveremo tutti assieme in Piazza…

(*) dal volantino del 4 ottobre 2014: “…Occupazione a Baggio, in via Cancano 5, presso il Parco delle Cave. Lo spazio è stato ribattezzato ‘S.O.Y. Mendel’. Il nome riporta a quello di un partigiano milanese in onore del quale era stato fondato il ‘Battaglione Mendel’, operativo a Baggio, all'interno della terza Brigata Garibaldi. Un atto simbolico: ci rispecchiamo nel rispetto e nella tradizione della lotta di liberazione… Usiamo 'soy', cioè 'sono', al posto di 'siamo', perché vogliamo ribaltare il concetto di 'io' l'individualismo non ci appartiene. Solo nella collettività, nel gruppo e nei tanti si può costruire una reale alternativa a tutto quello che ci opprime. Sono Mendel è come dire Sono un battaglione, Sono un tanti”.
Milano, marzo 2015


dalle lotte nel comparto della logistica
Dieci ore di battaglia davanti ai cancelli della DHL di Carpiano (Mi)
La trattativa nazionale con le principali aziende che si occupano di trasporti a livello nazionale ha visto il raggiungimento di un importante traguardo: quello di scalzare gli accomodanti sindacati confederali e di permettere agli operai di respingere il cosiddetto "accordo ribalta" (reali penalizzazioni salariali in cambio di una finta stabilizzazione lavorativa) e di rilanciare su una piattaforma sindacale migliorativa dello stesso CCNL siglato dai confederali (aumento dei ticket, integrazioni per la malattia e introduzione di passaggi automatici di livello).
Una dopo l'altra GLS, BRT, TNT e (domani) SDA, finiscono per allinearsi sulle concessioni. La stessa cosa non accade invece per la DHL che si sfila dal tavolo nazionale e arriva addirittura a rompere con la Fedit (l'associazione padronale di cui faceva parte insieme agli altri colossi dell'express di cui sopra). Ulteriori avvisaglie di una volontà si rompere con le relazioni e gli attuali assetti sindacali erano giunte la scorsa settimana quando la CGIL improvvisava un picchetto coi suoi 15 iscritti (gli altri 110 sono Cobas) a cui la DHL rispondeva con una serrata senza chiedere alcun intervento della forza pubblica.
Il 24 febbraio prontamente viene convocata un'assemblea in contemporanea Milano-Bologna (i due hub nazionali attualmente sotto il controllo Cobas). Ma in entrambi i magazzini gli operai si ritrovano di fronte ad una sorpresa: la DHL ha mobilitato, in totale, una settantina di operai appartenenti ad altre cooperative, non titolari di alcun appalto, nell'intento di prevenire il danno derivante da un eventuale sciopero. E in aggiunta i cancelli risultano presidiati da un numero spropositato di addetti alla sicurezza armati di "cani da guerra". La risposta congiunta non si fa attendere e le assemblee si trasformano immediatamente in picchetto e, a Carpiano, lo scontro con le guardie diventa fisico quando gli operai impediscono l'accesso a ulteriori crumiri giunti ai cancelli.
Il blocco prosegue quindi per altre 4 ore fino a quando la polizia e i carabinieri, evidentemente preallertati e giunti in forza, intervengono creando un corridoio per l'ingresso da un cancello secondario di una parte dei TIR bloccati dal picchetto. Per oltre due ore gli operai cercano di bloccare i TIR in altri punti della zona, rallentando le operazioni di ingresso, fino a quando, al picchetto, si uniscono oltre 100 operai della SDA, situata nello stesso polo-logistico. A quel punto (sono le 24) i crumiri escono dal magazzino scortati dalle forze dell'ordine che immediatamente dopo abbandonano la zona.Mentre una quindicina di TIR sfilano davanti ai cancelli definitivamente chiusi, rimandando al giorno dopo le operazioni di scarico.
Sia a Milano che a Bologna si svolgono due assemblee per decidere le mosse successive. Oggi gli operai si presenteranno ai cancelli regolarmente, consapevoli che la battaglia è appena (ri)cominciata e che, evidentemente la questione strettamente sindacale si intreccia con una scelta politica aziendale finalizzata a interrompere il dominio dei Cobas. Altre azioni si renderanno necessarie a meno che la DHL non receda dal suo intento e si sieda al tavolo della trattativa oppure dia mandato (economico) alle cooperative appaltatrici di farlo al posto suo. Nelle prossime ore, con tutta probabilità, ci saranno ulteriori aggiornamenti rispetto ad una battaglia che si candida ad essere quella che chiude il cerchio di una vertenza iniziata con lo sciopero generale dell'ormai lontano 22 marzo 2013.

Intimidazioni e licenziamenti politici alla RHIAG di Siziano (Pv)
La sera del 26 febbraio, alle 18,30, giunto sotto casa dopo il rientro dal lavoro, Flavius Rad, delegato SI.Cobas presso l'Italia Logistica di Peschiera Borromeo, è stato aggredito e pestato a tradimento da due ignoti. Flavius, fondatore del Cobas in Italia Logistica, promotore del Cobas alla RHIAG di Siziano teatro di recenti scontri con i caporali legati all'UGL (sindacato para-fascista), ha dovuto ricorrere al ricovero ospedaliero.
Questo ennesimo episodio di violenza, dalla matrice palesemente politica, si inserisce nel solco della sistematica violenza con cui il padronato (nelle sue svariate forme e componenti) cerca di fronteggiare la reazione operaia allo sfruttamento, che trova attualmente nel SI.Cobas un evidente punto di riferimento.
I risultati sindacali e politici raggiunti dal movimento che da oltre 6 anni sta attraversando i magazzini della logistica di mezza Italia danno in ogni caso ragione a chi ha deciso che non si può, e non si deve, arretrare di fronte alle intimidazioni che l'avversario di classe utilizza per difendere i propri profitti.
La risposta a questa vile aggressione troverà risposta adeguata solo se l'insieme degli operai organizzati, troverà ancor più forza e motivazioni per approfondire la battaglia già in corso. Chiunque sia il mandante dell'aggressione, non possiamo far altro che rafforzare la nostra battaglia contro un'intera classe che opprime gli operai, nella certezza di avere gli strumenti per relegarla nel museo della storia in quanto espressione delle peggiori nefandezze di cui l'umanità è stata capace.
Sciopero! Questa era e rimarrà la nostra arma fondamentale. Non mancheremo di continuare ad usarla, consapevoli che il prezzo che saremo costretti a pagare non è nulla rispetto al futuro di libertà e giustizia (quella vera) per cui ci battiamo.
Solidarietà con Flavius. Basta con la violenza padronale. Costruiamo scioperi e autorganizzazione operaia dappertutto.

marzo 2015, Esecutivo nazionale SI.Cobas

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QUANDO I PADRONI HANNO PAURA: 13 LICENZIAMENTI POLITICI ALLA RHIAG
Da sempre i padroni giocano sulla povertà, sulla precarietà e sulle paure della classe operaia, soprattutto quella immigrata, imponendo salari da fame e condizioni di totale sottomissione, facendo crescere insieme ai loro profitti un settore parassitario (le finte cooperative che imperversano ovunque) il cui unico vero ruolo è stato quello di esercitare il massimo controllo sugli operai stessi per impedirne qualunque forma di opposizione sindacale.
Grosso modo questa è la storia anche alla Rhiag di Siziano (hinterland di Milano-sud), hub di smistamento nazionale di pezzi di ricambio auto destinati a raggiungere concessionarie in tutta Italia. Qua gli operai lavorano da anni a 900 € al mese (1.350 se si fanno 11 ore al giorno sabato compreso) senza ferie, 13ma, 14ma, né indennità malattia.
Ma l’onda lunga del movimento dei facchini e della loro organizzazione nei Cobas raggiunge anche questo angolo di periferia producendo un primo sciopero a fine febbraio, con un picchetto sostenuto dagli operai della Dielle, della SDA e della DHL che ha paralizzato la Rhiag per quattro ore. Un duro colpo per l’economia e l’immagine aziendale, ma, soprattutto, per gli assetti politico-sindacali che ne salvaguardano gli interessi e che ruotano intorno alla compagine sindacale para-fascista dell’UGL, con tanto di caporali-rappresentanti sindacali pronti allo scontro fisico (anche se il giorno dello sciopero, manco a dirlo, hanno trovato pane per i loro denti).
Dopo essersi arroccata, insieme ai propri dirigenti sindacali dell’UGL, a difesa dell’ennesimo contratto capestro (uno dei tanti contratti pirata fuori legge), l’azienda decide quindi di passare al contrattacco, licenziando in tronco tutti i 13 iscritti al SI.Cobas promotori della ribellione sindacale per aver …danneggiato gli interessi societari.
Una mossa apparentemente forte ma, in realtà, alquanto azzardata, palesemente illegittima e figlia della paura di vedersi rompere le uova (d’oro) nel paniere e di dover rispondere di oltre 8 anni di attività illegali non solo verso i lavoratori ma anche verso lo stesso stato borghese (il lavoro viene in buona parte retribuito con voci che sfuggono alla contribuzione fiscale, e si verificano assunzioni di persone sotto falso-nome).
Ovviamente il SI.Cobas ha già aperto la vertenza legale contro questi licenziamenti palesemente discriminatori, così come si sta promuovendo una causa per il recupero delle differenze retributive maturate dal 2010 ad oggi (parliamo di una media di 5.500 € annui di “estorsione salariale”).
Ma quel che più conta, come sempre, è saper affrontare i nodi politico-sociali che emergono dalla lotta di classe. Una lotta che, giustamente, non fa distinzioni di colore politico nell’affrontare la classe padronale.
In questo caso però, ci sentiamo in obbligo di rafforzare l’appello alla solidarietà di classe con un accalorato invito a tutti i sinceri anti-fascisti affinché appoggino questa battaglia e rispondano alla chiamata che, nel giro di poco tempo, i licenziati del SI.Cobas faranno per sferrare, proprio davanti a quei cancelli, un duro colpo alla reazione di destra filo-padronale che, tra l’altro, non ha mancato di far giungere precisi segnali di guerra, con minacce dirette a delegati e dirigenti del SI.Cobas.

Milano, 13 marzo 2015, SI.Cobas


Francoforte: 20 mila in strada contro la Banca Centrale Europea
Il corteo partecipatissimo che ha attraversato nel tardo pomeriggio le strade di Francoforte è terminato nella piazza dell'Opera. La giornata di oggi ha dimostrato sin dalle prime ore del mattino un livello di conflitto che è andato ancora una volta a determinare rabbia e riscatto nei confronti della Bce (Banca Centrale d’Europa della quale oggi viene inaugurata la nuova sede: un palazzo di vetro alto oltre 180 metri…) e della Troika (dal russo trojka, terzina, nell'ambito della politica dell'Unione europea, indica l'organismo di controllo informale costituito da rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale) di chi si trova a pagare giorno dopo giorno le politiche di austerità imposte da quegli organismi dispotici.
Le migliaia di persone giunte da ogni angolo di Europa hanno espresso ognuna con le sue specificità rabbia e pratica su obiettivi ben precisi. L'ingente dispiegamento di forze dell'ordine che ha ripetutamente attaccato la manifestazione, ha causato numerosi feriti, l'identificazione di centinaia di manifestanti, dei quali ne sono stati arrestati almeno venti. Nonostante cariche, sparo di gas lacrimogeni e arresti, emblematica è stata la manifestazione che si è svolta nel tardo pomeriggio, riuscendo così a dare una risposta decisa e forte non solo nei confronti dell'inaugurazione della nuova sede Bce ma anche rispetto all'atteggiamento aggressivo e intimidatorio della polizia. Alcuni manifestanti sono riusciti a scalare la facciata di vetro della nuova sede della BCE sulla quale è stato appeso un grosso striscione con scritto "Kapitalismus Totet" ("Il capitalismo uccide”).

18 marzo 2015, liberamente tratto da infoaut.org