indice n.106

In Siria, aerei della Russia bombardano le posizioni dell’Isis
sardegna contro la TRIDENT JUNCTURE 2015
in lotta contro frontiere e centri detenzione
aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i cie
Dichiarazione di Georges Abdallah
sulla situazione dei prigionieri politici in Egitto
Marocco: Tiflet prigione modello
Lettere dal carcere di Terni
lettera dal carcere di agrigento
lettera dalle carceri spagnole
Il carcere uccide: anche a Pesaro, morte al carcere
Scritto dopo l’uscita dall’Opg di Reggio Emilia
lettera dalle carceri svizzere
Lettera dal carcere di Sulmona (aq)
sulle mobilitazioni nelle carceri venete
LETTERA DAL CARCERE DI BANCALI (SS)
Lettere dal carcere di velletri (rm)
Lettere dal carcere di Opera (mi)
lettera dal carcere di Pisa
Contributi su diversi temi inviati da chi sta oggi in carcere
resoconto udienza per i fatti del 15 ottobre 2011 a roma
Maxiprocesso ai movimenti Livornesi: chiesti 38 anni di carcere
notav: l’età non è un fatto anagrafico
29 e 30 ottobre sciopero nazionale dei i facchini della logistica


In Siria, aerei della Russia bombardano le posizioni dell’Isis
Ieri, 1 ottobre, in Siria, aerei da combattimento della Russia hanno bombardato nella notte almeno una decina di posizioni dell’Isis – informa il ministero della difesa della Russia. Attualmente in Siria, è notizia pubblica, sono atterrati, arrivati dalla Russia, oltre 50 aerei e elicotteri militari. I media occidentali scrivono che sono state colpite anche posizioni dell’ “opposizione siriana moderata”; il governo di Mosca smentisce, sottolineando piuttosto che gli attacchi sono stati coordinati in precedenza con i servizi segreti USA. In ogni caso l’intervento della Russia è stato richiesto dal governo Assad “per combattere le milizie dell’Is che insanguinano il paese”. I bombardamenti sono stati concentrati, nel nord della Siria, in particolare sulla cittadina di Al Rastan e l’autostrada che si trovano a metà strada fra le grandi città del nord Homs e Hama. Lì sono trincerate le milizie Is, Al Nusra-Front e Al Qaida.
Ashton Carter ministro della Difesa degli USA ha detto apertamente che in Siria la guerra per procura viene cancellata: gli attacchi russi non riguarderebbero l’Isis – poiché gli USA non lascerebbero certamente a Mosca il lavoro sporco da condurgli contro, ma lo affiderebbero a “gruppi dell’opposizione” addestrati dalla CIA.
La Russia nei suoi attacchi fa riferimento alla richiesta del governo siriano, non è quindi da escludere che vengano attaccati anche i “falsi” punti di vista occidentali. Quel che dell’opposizione “moderata” siriana è da tener presente è stato chiarito da un episodio accaduto nei giorni precedenti: gli USA avevano addestrato 70 combattenti “moderati” avversari del governo Assad e li avevano fatti passare clandestinamente in Siria attraverso la Turchia. Dopo due giorni la metà gruppo armato ha disertato a favore dell’Is, portando con sé armi e mezzi di movimento; l’altra metà ha raggiunto le proprie famiglie. Da questo si può concludere che una parte degli allievi della politica di intervento occidentale in Siria milita con Al Qaida ed è associata a Al Nusra-Front a sua volta finanziato dall’Arabia Saudita. Questi gruppi secondo il ministero degli esteri della Russia, ovvio, sono responsabili dell’uccisione di persone civili.
Russia e USA non vogliono assolutamente far esplodere uno scontro fra loro – avrebbe conseguenze incalcolabili. Per impedire quello scontro oggi segnato da: “tu colpisci i miei terroristi, io colpisco i tuoi” (cioè la Russia colpisce l’IS… gli USA Assad), i comandanti delle rispettive forze militari vogliono incontrarsi per mettere fine a tutto questo. Per il momento i bombardamenti della Russia hanno sollevato un’ondata di indignazione da parte di rappresentanti degli stati-NATO più importanti. Il ministro degli esteri USA John Kerry ha messo in dubbio che la Russia adesso attacchi soltanto le “organizzazioni fanatiche islamiche” e non anche l’ “Esercito Libero Siriano” – sostenuto dagli USA. Un’ora dopo l’inizio dei bombardamenti la Russia, sospinta dal governo di Assad, ha informato NATO e USA, chiedendo inoltre loro di ritirare dallo spazio aereo siriano i propri aerei. Il rifiuto è stato immediato e netto.
Va detto che a differenza della Russia, chiamata in Siria dal governo di Assad, gli stati NATO non dispongono di nessun tipo di mandato di diritto internazionale per intervenire nello spazio aereo siriano. Il ministro degli esteri siriano, Walid Al-Muallim, in un’intervista di alcuni giorni fa alla televisione russa ha detto. “Gli USA dicono di aver condotto 9.000 attacchi aerei in Irak e in Siria contro le posizioni dell’IS, noi non abbiamo visto alcun risultato”. Nelle settimane precedenti la Russia ha informato dell’operazione militare in Siria anche il governo di Israele, che si è detto pronto a collaborare “per impedire ogni inutile scontro”.
2 ottobre 2015, da jungewelt.de

sardegna contro la TRIDENT JUNCTURE 2015
In questi giorni si sta realizzando la più grande esercitazione della NATO dal momento della sua fondazione: l'operazione Trident Juncture.
Sono impiegati decine e decine di mezzi navali ed aerei in Spagna, Portogallo ed Italia meridionale. Scopo dell'esercitazione è supportare diverse migliaia di uomini ed alcune centinaia di automezzi in una simulazione reale di sbarco.
La Nato testa le sue capacità operative per un probabile futuro reale sbarco contro un nemico. In pratica si stà provando un'escalation di guerra nella totale disinformazione dell'opinione pubblica e delle cosiddette isituzioni democratiche.
L'operazione Trident Juncture non è solo dei 28 paesi Nato ma è allargata ad alcuni alleati molto importanti tra i quali spiccano Ucraina ed Australia.
Ma perchè uno sbarco? E contro chi? E' dichiarato pubblicamente: in Europa ed in Asia Medio Orientale il nemico numero uno è la Russia.
La Russia è lo stato che maggiormente si oppone all'ingresso dell'Ucraina nella Nato poiché l’Ucraina nella NATO è una minaccia reale all’integrità territoriale della Russia oltre che a comprimerla verso l'Asia e a impedirne gli sbocchi sul Mar Nero e sul Mediterraneo. La Russia inoltre si è ripresa la Crimea ed aiuta i ribelli del Donbas e ha deciso per un intervento militare aereo in Siria in appoggio a Bashar al Assad contro l'ISIS e le varie milizie islamiche, ovvero ostacolando l'azione militare degli USA e dei suoi alleati.
In questo contesto si collocano Afghanistan, Pakistan e Iraq che continuano ad essere strategici e per questo viene rafforzata la presenza militare della NATO e dei suoi alleati. Ovviamente l'Italia non è da meno e subito si è accodata all'obbligo impostogli dagli USA di prolungare la presenza in Afghanistan.
E' di pochi giorni or sono la notizia che la commissione d'inchiesta sull'abbattimento dell'aereo Malese avvenuto nel luglio scorso in Ucraina stà concludendo i suoi lavori: l'aereo è stato abbattuto da un missile di fabbricazione russa di tipo BUk. Tra qualche mese diranno che questo missile è stato lanciato dai ribelli quando è già noto che l'aereo malese è stato abbattuto da un missile lanciato da un caccia ucraino.
L’Italia è a capo di una missione militare internazionale ma per ora possiamo solo colpire i barconi in acque internazionali e non in acque libiche sia perchè in Libia non si accordano nel formare un unico governo fantoccio (i due governi fantocci di Tripoli e Tobruk sono in guerra tra di loro) sia perchè al Consiglio di sicurezza dell' ONU Russia e Cina si oppongono alla nuova azione militare in territorio libico.

La Trident Juncture 2015, la più imponente esercitazione NATO degli ultimi 15 anni, arriva al culmine e conclude una intensissima stagione di esercitazioni e addestramenti, programmata dall’alleanza per tutto il 2015. L’esercitazione coinvolge 33 Stati, ed è ospitata nei poligoni, nelle basi navali e negli aeroporti militari di Portogallo, Spagna e Italia.
La fase preparatoria dell’esercitazione è cominciata da tempo, mentre dal 3 Ottobre ci troviamo in una fase di “simulazione” e organizzazione dei comandi. La fase operativa a fuoco avrà inizio il 21 ottobre e proseguirà sino al 6 novembre, i centri principali in Italia saranno il comando JFC di Lago Patria (Napoli), il poligono di Capo Teulada in Sardegna e l’aeroporto di Trapani Birgi in Sicilia (che sarà affiancato da altri cinque aeroporti militari: Sigonella, Decimomannu, Amendola, Pratica di Mare e Pisa-Grossetto).
È uno scenario che richiede uno sforzo di consapevolezza e la volontà di agire.
Riteniamo sia necessario continuare ad opporre alle attività militari, per tutta la durata dell’esercitazione, comprese le fasi preparatorie, iniziative e mobilitazioni contro la guerra, le sue strutture, la sua economia, la sua celebrazione (come quella del 4 di novembre) e contro la presenza della NATO, da attuarsi ovunque possibile. In Europa molte sono state e, a breve, saranno le iniziative e le mobilitazioni contro la TJ015, da Cagliari a Napoli, da Marsala a Saragozza.
Nell’ambito di questa ampia mobilitazione la rete No Basi Né Qui Né Altrove si propone di agire il 3 Novembre su uno dei principali teatri di guerra in Italia, il poligono di Capo Teulada, dove è previsto il bombardamento delle flotte NATO contro la costa sarda, lo sbarco di reparti anfibi italiani, USA e del Regno Unito, lo schieramento di reparti di terra che si dispongono a sparare, bombardare e distruggere con ogni tipo di armamento disponibile.
Ci presenteremo, come sempre, con l’obiettivo di inceppare la macchina bellica ed ostacolare lo svolgimento dell’esercitazione, solidali con tutte le altre realtà di lotta antimilitarista ed antimperialista che si preparano a fare altrettanto.
Ripetiamo il nostro appello ad agire sui luoghi della guerra, possibilmente negli stessi giorni, sia per accrescere l’efficacia dell’azione sia per rendere più chiara la volontà generale e diffusa di opporsi e sabotare questo abominio.
PARTECIPIAMO NUMEROSI ALLA MANIFESTAZIONE A TEULADA IL 3 NOVEMBRE!
AL POLIGONO DI CAPO TEULADA, 3 NOVEMBRE ORE 10.30
CONCENTRAMENTO PORTO PINO (Sant’Anna Arresi) Via della I spiaggia
NESSUNA PACE PER CHI VIVE DI GUERRA
A FORAS SA NATO DAE SA SARDIGNA E DAE SU MUNDU!!

Rete No Basi Né Qui Né Altrove
27 luglio 2015, da nobasi.noblogs.org


in lotta contro frontiere e centri detenzione
Una settimana di mobilitazione in varie città europee contro le frontiere, i centri di detenzione e le espulsioni, per la libertà di circolazione e insediamento per tutte e tutti. Di seguito alcuni passaggi dalle convocazioni di queste manifestazioni.

Londra. Manifestazione sabato 24 Ottobre a St Pancras al terminal Eurostar, per la libertà delle tre persone – Abdul Rahman Haroun, Payam Moradi Mirahessari, e Farein Vahdani – ora in carcere nel Regno Unito per aver attraversato a piedi l’Eurotunnel; per tutte le persone uccise alla frontiera, tra le quali le 19 uccise quest’anno a Calais (13 di loro nell’Eurotunnel); per i nostri amici e compagni e tutti coloro che rischiano la vita e lottano ogni giorno e notte contro le frontiere a Calais e in tutta la Fortezza Europa; contro la repressione in aumento a Calais, con 460 nuovi poliziotti antisommossa in città col compito di effettuare una ondata di arresti di massa e minacciare un grande sgombero nella jungle.
Parigi. La manifestazione di Parigi, in contemporanea con la manifestazione prevista a Londra, é in solidarietà con i 3 migranti arrestati dopo aver attraversato il tunnel sotto la Manica e contro i confini. Inizia alle 15 a Place des Fetes nel quartiere La Chapelle, vicino al terminal eurostar Parigi alla Gare du Nord, una zona che è stata molto attiva nelle ultime lotte dei migranti, e dove è avvenuta la più importante occupazione di aree pubbliche da parte di persone senza documenti in questa estate.
Questi i punti: libertà per i 3 migranti imprigionati in Gran Bretagna; documenti e case per tutti; libertà di circolazione e insediamento; No Borders, abbasso le frontiere.
Bruxelles. Il Coordinamento Sans Papiers del Belgio ha organizzato una manifestazione nazionale per domenica 25 ottobre 2015 in piazza Bara a Bruxelles. I senza documenti di oggi erano i rifugiati di ieri, e i rifugiati di oggi saranno i senza documenti di domani. Attualmente almeno 150.000 uomini, donne e bambini vivono senza titolo legale per rimanere in Belgio, esposti allo sfruttamento dei padroni di casa e di imprenditori senza scrupoli. Tutto questo deve finire ed è il motivo per cui rivendichiamo (tra le altre cose):
la regolarizzazione dei sans papiers; la chiusura dei centri di detenzione; lo stop alle deportazioni; libertà di movimento per tutti; fermare la criminalizzazione dei senza documenti; rispetto dei diritti fondamentali; rispetto e applicazione dei diritti dei minori.
Evros. Il coordinamento contro la recinzione di Evros ha organizzato per Sabato 31 ottobre una manifestazione nazionale contro le barriere che impediscono l’accesso terrestre ai migranti sul confine tra Grecia e Turchia.
La recinzione di Evros non è solo il simbolo dell’esclusione, della demonizzazione degli “stranieri” e della protezione, a tutti i costi, della “sicurezza” nazionale ed europea. E’ la causa di tutti questi annegamenti nel Mar Egeo e nel Mediterraneo, in quanto costringe rifugiati e migranti a percorrere le pericolose rotte marittime per attraversare il confine. Il drammatico aumento del numero delle persone annegate nell’Egeo dopo il completamento della recinzione lo dimostra, e questo numero continuerà a crescere perchè nessuna recinzione può fermare la lotta per la sopravvivenza e una vita dignitosa.
Abbiamo creato il Coordinamento contro la recinzione a Evros per abbattere la recinzione, per aprire le frontiere, per fermare la tragedia umana nel Mediterraneo. Collettivi ed individui si sono incontrati per unire le forze, tutti e ciascuno con ideologie e analisi diverse, ma con la comune convinzione che società e movimenti debbano mettere fine all’incubo dei confini insanguinati.
Non possiamo restare in silenzio: finchè rimarrà in piedi la recinzione e le frontiere rimarranno chiuse, lo Stato greco e l’Unione europea sono responsabili delle uccisioni di migliaia di immigrati e rifugiati nel mediterraneo.
Libera circolazione dei rifugiati e migranti; documenti per tutti – Nessuna espulsione; chiudere i campi di concentramento; contro la Fortezza Europa; la nostra solidarietà abbatterà recinzioni e frontiere.
Dungavel. Il coordinamento “We will rise” è “un gruppo di migranti, rifugiati, richiedenti asilo e solidali che si sono uniti per organizzare e agire direttamente contro i sistemi, le istituzioni e le aziende che contribuiscono alla nostra oppressione.” Abbiamo organizzato per Domenica 25 Ottobre la prima manifestazione “Surround Dungavel”, per chiudere l’unico centro di detenzione nella Scozia, e in solidarietà con “Surround Harmondsworth”, “Shut Down Yarlswood” e il crescente movimento per porre fine alla detenzione dei migranti in tutto il Regno Unito. In precedenza avevamo organizzato la “end detention wekend” a Glasgow e si è deciso che tenere proteste regolari davanti a Dungavel era la via da seguire per far passare il messaggio. Il 28 e 29 settembre ci sono stati tentativi di suicidio all’interno di Dungavel, l’assistenza sanitaria è inesistente. e nessuno dovrebbe essere rinchiuso a causa del loro status di immigrati.

23 ottobre 2015, da hurriya.noblogs.org

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lettera di fouad dal carcere di nizza
Questa lettera è stata scritta due giorni dopo il suo arresto. Non ha potuto essere inviata e letta durante il tempo dell’incarcerazione. Lui è stato incarcerato 11 giorni in seguito alle pressioni politiche dei sindacati di polizia, dell’ufficio della prefettura del dipartimento delle Alpi Marittime, del ministero e dai pregiudizi dei giudici all’udienza del 24 agosto. E’ stato liberato il 2 settembre, ma nell’attesa del giudizio, è allontanato dal territorio delle Alpi Marittime e posto sotto sorveglianza giudiziaria a 700 km dalla frontiera...
Fouad è figlio di esule, rinchiuso in una prigione francese per aver sostenuto i suoi fratelli esuli che scappano dai paesi in guerra e rinchiusi quotidianamente in seguito ai metodi razzisti delle polizie francese e italiana.

Salam alikoum chebabs, Ciao ragazze, Ciao ragazzi.
Mi hanno arrestato, mi hanno pestato, mi hanno rinchiuso! Sono sempre vivo e penso a voi. Ho paura per me, ma anche per voi. Un grande grazie a tutte quelle e quelli che sono venuti a trovarmi al Tribunale. E anche, un grande grazie a tutte quelle e tutti quelli che avrebbero voluto vedermi ma non potevano…! Che dirvi? Qui, vedo che fa bello, vedo che c’è il sole. Le doppie griglie di sbarre (per impedirci di inviarci degli yo-yo tra detenuti), i fili spinati e i soffitti reticolati dei camminatoi esterni, impediscono al sole di venire ad accarezzare la mia pelle e non mi permettono di apprezzare il cielo blu che lo accompagna. Siamo in cinque nella cella, la doccia è otturata, i muri e il pavimento sono malconci, le vernici sciupate si staccano da sole… Io dormo con un materasso a terra a causa della sovrappopolazione in prigione: siamo più di 800 persone per 600 posti disponibili. Penso spesso a voi e sogno del giorno in cui ci si rivedrà e si danzerà dopo aver mangiato i magnifici piatti dei nostri cuochi del mezzogiorno o le pizze fresche della sera.
Che dirvi su quello che è successo? Beh, ho voluto parlare ai chebabs rinchiusi per dirgli i loro diritti. Ma questo non è piaciuto alla polizia alle frontiere. Ho detto loro di smetterla di picchiare con i loro manganelli sulle sbarre per fare paura e minacciare dei ragazzini minori! Loro non hanno amato che gli dicessi ciò che continuamente gli nascondono, i loro diritti. Mi hanno braccato al suolo strozzandomi. Dopo avermi ammanettato mi hanno picchiato a terra. Nel trasportarmi all’ospedale, i tre poliziotti mi hanno ancora strozzato a picchiato sul volto. Nel momento in cui vi scrivo porto ancora il segno dei loro colpi. Sono in prigione. Non posso vedere dei medici e fare constatare le prove della brutalità poliziesca. Ed è me che accusano di violenza e mi ritrovo davanti ai loro tribunali che mi condanneranno sicuramente. Mi preparo a questo e vi chiedo di prepararvi anche voi e di non perdere il morale perché io, da parte mia, lo tengo alto. Le immagini della nostra vita vissuta insieme restano nella memoria. Io tengo alto il morale e sono felice in anticipo di rivedervi un giorno e di continuare a vivere questa avventura ricca di sentimenti, di incontri, di vivere insieme.
Alla frontiera, noi abbiamo già spezzato le frontiere! Loro avrebbero voluto che voi rimaneste soli chebabs, e che voi, ragazze e ragazzi, collaboraste silenziosamente. Non ci sono riusciti e non ci riusciranno mai. Alla frontiera, vorrebbero che io arretrassi, che io avessi paura di andare avanti, ed è per questo che sono qui, in prigione, loro non vogliono che andiamo avanti, come voi chebabs. Vi rinchiudono nel sud dell’Europa per non lasciarvi avanzare, e a me, rinchiudono in una prigione, perché non vada avanti. Io tengo il morale alto nonostante le sbarre, le grate e il filo spinato. Anche se non sono vicino a voi, io sono con voi. Le sbarre non spezzeranno la nostra solidarietà. È questa solidarietà che ho visto al tribunale, che so ancora praticare e che esisterà al giudizio.
Ragazze, ragazzi, vogliono intimidirci facendo di me un esempio. Non abbiate paura, molti dei nostri si fanno rinchiudere un giorno o l’altro per le loro idee. Il mondo si è fermato dall’avanzare? No. Noi non dobbiamo avere paura dei loro colpi, delle loro pressioni, delle loro forme di giustizia, in cui i giudici ci rinchiudono prima ancora di essere stati giudicati e coprono le crepe di un sistema che violenta e opprime prima di tutto!
Vi rassicuro, i detenuti con me stanno bene. Mi hanno passato delle sigarette per rilassarmi, degli abiti per vivere dignitosamente e ci si rispetta per provare a vivere in questo tugurio di 20 metri quadrati. Non so cos’altro dirvi ancora a parte di continuare a vivere insieme, a discutere per vivere la libertà e l’uguaglianza, per mettere fine a questa ingiustizia che vivono tutte/i gli/le esiliati/e che arrivano in Europa dove li si maltratta per forzarli a ritornare indietro. Eh Chebabs, malgrado ciò, voi restate forti e andate avanti. Come voi, io rimango forte e non posso che andare avanti.
Salam alikoum Chebabs, Ciao ragazze, Ciao ragazzi.
We are not going back, We need to go. Fouad.

11 settembre 2015, da noborders20miglia.noblogs.org


aggiornamenti dalle lotte dentro e contro i cie
CIE di Ponte Galeria, Roma, 10 ottobre. Un gruppo di 30 solidali si è dato appuntamento a Stazione Ostiense per raggiungere insieme il CIE di Ponte Galeria e portare solidarietà e sostegno alle reclusi e alle recluse. Come spesso avviene in queste situazioni, già dentro il treno hanno tentato di bloccare il nostro arrivo al CIE: il controllore con l’ausilio delle forze dell’ordine ha tentato di multare i solidali, di farli scendere dal treno e di identificarli. La comunicazione forte con gli altri passeggeri, riguardo la situazione nel CIE e la lotta contro le espulsioni, è riuscita a far sentire il controllore meno potente e nonostante il gruppo abbia deciso di scendere e prendere il treno successivo, non è stata portata a termine nessuna operazione di identificazione. Una volta arrivat*, finalmente, sotto le mura del CIE, dove altri solidali attendevano il gruppo che si trovava sul treno, il morale si è subito ricaricato ed è iniziato il lancio di palline da tennis contenenti messaggi di solidarietà per i prigionieri e le prigioniere e il numero di telefono contro le espulsioni. È proprio grazie a questo numero di telefono che solidali e reclusi riescono ad essere in contatto e che gli episodi di lotta e resistenza dei/delle prigionier* e i tentativi di repressione da parte delle forze dell’ordine e dei gestori del centro vengono raccontati all’esterno. Ed, infatti, in questo modo è venuta fuori la notizia che le guardie hanno chiuso le prigioniere del CIE nelle loro celle per impedire loro di ascoltare i messaggi di solidarietà provenienti dal presidio e di raccogliere le palline che venivano lanciate nel cortile: le detenute però hanno forzato il cancello per poterle recuperare.
Il presidio, poi, si è spostato verso la sezione maschile, prontamente seguito dagli agenti in tenuta antisommossa e dalla digos. Qui la risposta da dentro le mura è stata fortissima: battitura, urla che si intrecciavano con le grida, gli interventi e i cori dei solidali presenti fuori. Prima di andare via, il presidio si è avvicinato nuovamente alla sezione femminile dove ha avuto luogo l’ennesima messa in scena delle forze dell’ordine. Questa volta autori della manfrina sono stati i solerti componenti dell’esercito che con le loro jeep hanno tentato di mettere pressione al presidio con continue accelerazioni, venendo a contatto con i/le solidali. Il presidio però non si è spostato e tutti si sono opposti a questa provocazione battendo sul cofano e sui finestrini. L’arrivo della celere e della digos ha messo fine alla provocazione dei militari di “Strade Sicure”, richiamando all’ordine i bravi soldatini che hanno ubbidito. Quest’episodio ha spinto i solidali a rimanere un po’ più a lungo sotto le mura del centro, data anche la notizia proveniente dall’interno che un detenuto, giunto al termine del periodo di prigionia, correva il rischio di essere immediatamente deportato. Alla fine, invece, il ragazzo è stato lasciato andare con un foglio di via e i solidali hanno potuto salutarlo finalmente fuori dalle sbarre del centro di detenzione.
Questo presidio è stato particolarmente importante perché ha avuto luogo dopo giorni di proteste collettive ed individuali: un ragazzo è rimasto per due giorni sopra un palo per resistere alla deportazione. Per sedare tale protesta e per tentare di soffocare la solidarietà che gli altri detenuti stavano esprimendo, gli sbirri hanno effettuato dei pestaggi, rompendo denti e braccia ad alcuni.
15 ottobre. L’espulsione di massa coordinata dai mercenari di Frontex verso la Nigeria è avvenuta alle 9.30 della mattina, con l’uscita dal cancello del CIE di Ponte Galeria di 3 pullman della polizia carichi delle persone da deportare e da agenti di vario tipo, scortati dai blindati della celere. Le persone recluse nel CIE raccontano le grida delle persone espulse, sia nella sezione maschile che in quella femminile. 30 uomini e 20 donne dovrebbero essere il totale delle persone trasportate a Fiumicino e poi sul volo speciale. Il console nigeriano continua a firmare espulsioni facendo spesso ingresso nel CIE. Con certezza sappiamo che, dal CIE di Corso Brunelleschi a Torino e dall’hotspot di Lampedusa, continuano ad essere trasportate le persone nigeriane nelle gabbie del CIE di Ponte Galeria a Roma.
24 ottobre. In mattina, intorno alle sei, gli agenti hanno fatto irruzione in alcune camerate per prelevare i senza-documenti da rimpatriare. Due ragazzi, però, sono riusciti a divincolarsi e si sono arrampicati sulle sbarre che dividono le camerate dal cortile, sulle quali sono rimasti appesi tutta la mattina fino a perdere il rimpatrio per la Tunisia; una volta scesi sono stati trasferiti in isolamento.
In una altra cella, invece, è stata la polizia a togliersi una soddisfazione. Visto che il ragazzo da rimpatriare condivideva la camerata con due reclusi conosciuti come rompiscatole, mentre svegliavano il primo massacravano di botte gli altri due: calci, sputi, pugni e manganellate mentre erano ancora nelle brande, i due sono stati poi abbandonati a terra per ore senza cure.

Cie di Corso Brunelleschi, Torino, 9 settembre. Dagli artropodi ai platelminti: basterebbero queste poche parole, a un naturalista qualsiasi, per riassumere gli ultimi anni trascorsi dentro al Cie di corso Brunelleschi. Già, perché se qualche anno fa la Camst, colosso emiliano della ristorazione collettiva, aveva fatto parlare di sé per avere servito ai reclusi pietenze condite con blatte ora la Ladisa, colosso pugliese della ristorazione, serve ai prigionieri piatti guarniti da… vermi. Una questione di phylum? Tassonomie a parte, oggi come ieri i reclusi di corso Brunelleschi son trattati come bestie, e quelle stesse ditte che distribuiscono pasti alle scuole di mezza città si adeguano volentieri facendoli mangiare come bestie: tanto che i prigionieri dell’area rossa si son ritrovati dei vermi dentro ai piatti, insieme alla carne e alle verdure. Ovviamente hanno protestato compatti e inscenato un breve sciopero della fame fino a ricevere qualche rassicurazione da parte dei responsabili di Acuarinto («Cambiamo il fornitore dei pasti» – pare abbiano detto). Rassicurazioni già smentite con la cena di domenica (13/9), quando nell’area verde e nella bianca tutti i reclusi si son trovati di fronte una insalata di pomodori un po’ troppo stagionata.
15 settembre. Al Cie di Corso Brunelleschi c’è stato un arrivo per niente gradevole per alcuni reclusi. Stiamo parlando del rappresentante del consolato della Nigeria, il quale ha fatto capolino tra i muri e le reti del Centro, come spesso accade prima di grossi rimpatri. Infatti è questa figura a formalizzare il riconoscimento e a concludere di fatto la procedura burocratica per la deportazione. Neanche due giorni dopo, 17/9 alle quattro del mattino, la polizia in assetto anti-sommossa è entrata nel Centro e ha preso con la forza quattordici ragazzi di nazionalità nigeriana e li ha stipati nei furgoncini blu del corpo statale. Destinazione Roma. Nella capitale, difatti, era previsto un volo charter verso la Nigeria, ma come accade qualche volta il dispositivo delle espulsioni ha trovato sacrosanti impicci al suo svolgimento. I Nigeriani sono stati rinchiusi nel Centro di Ponte Galeria e saranno purtroppo eportati con un volo il 19/9.
21 settembre. Una buona domenica, per una volta, nel Cie di corso Brunelleschi. Questo pomeriggio, intorno alle due, quattro prigionieri dell’area bianca son riusciti a fare quel che in tanti vorrebbero fare: scavalcare le reti e scappare. Un quinto, purtroppo, è stato fermato prima ancora di tentare il salto ed è stato riportato nell’area, che poi è stata svuotata e perquisita. Dei fuggitivi, per fortuna, non ci sono notizie.
22 ottobre. In mattina la polizia ha tentato per l’ennesima volta di portar via un ragazzo marocchino, e questa volta è riuscita nel suo intento. Da dieci giorni entrava quotidianamente nell’area bianca per cercare di trascinarlo via ma lui ha sempre resistito, anche con atti di autolesionismo e subendo ripetuti pestaggi. Le condizioni fisiche del ragazzo, dopo una settimana di vessazioni, erano talmente precarie che ha passato le ultime quarantotto ore all’ospedaletto invece che in camerata. Tuttavia le forze dell’ordine anche ieri, giorno in cui peraltro doveva terminare il periodo di detenzione del ragazzo, sono tornate per provare ad espellerlo, senza troppe remore e con gli stessi modi. Questa volta però gli altri reclusi, vedendo arrivare gli uomini in divisa sempre per lo stesso motivo, hanno iniziato a urlare e far baccano con i pochi oggetti a disposizione in solidarietà con il compagno che versava già in pessime condizioni. Anche lui, nonostante tutto, si è dimenato con le forze rimaste e, ci dicono da dentro, pare che abbia ingoiato persino delle lamette. I poliziotti pur di portare a termine il lavoro e portarselo via, gli hanno tappato la bocca con del nastro adesivo e l’hanno avvolto in una coperta, aiutati da un operatore di Gepsa particolarmente voglioso di menar le mani. Da ciò che sappiamo pare che gli abbiano fatto fare una sosta all’ospedale, probabilmente al solito Martini lì vicino, per poi spedirlo a Roma. Del probabile rimpatrio non c’è per ora notizia.
Nel Cie torinese intanto l’aria è rimasta tesa; uno dei ragazzi che ha dato vita alla protesta di solidarietà è stato portato via dalla camera e anche lui violentemente picchiato. Nel tardo pomeriggio alcuni solidali, venuti a sapere della vicenda, hanno improvvisato un sentito saluto sotto alle mura del Centro, interrompendo così la quiete del farsi della notte con qualche botto e animate urla di incoraggiamento alle quali i reclusi hanno risposto calorosamente.
Torino, 25 ottobre. Iniziativa movimentata quella dell'Open Day della Ladisa, ditta colpevole di servire i pasti-sbobba al Cie conditi anche da vermi. L’azienda pugliese ha aperto le sue porte di corso Unione Sovietica per mostrare l’impianto produttivo torinese alle famiglie, con l’intento di rassicurarle riguardo alle “derrate alimentari e attenzione al processo di qualità“. Una bella pulita alle cucine e un giro turistico per famiglie tra fornelli, dispense di gnocchi e pentoloni d’acciaio per far vedere che è tutto a posto, ci si può fidare. Ma il signor Ladisa e dipendenti si eran fatti i conti senza l’oste, pur avendo una certa esperienza a riguardo. Infatti un gruppo di nemici del dispositivo delle espulsioni non ha fatto mancare la propria presenza all’iniziativa, non altrettanto partecipata dalle famiglie. Uno striscione affisso sulla recinzione, slogan che ricordano il lavoro sporco che Ladisa fa nel Cie della città e, soprattutto, una restituzione al mittente: un bel secchio colmo di vermi. Chissà se ora a loro è ben chiaro che le inimicizie si possono trovare non solo tra i competitors di una gara d’appalto. Chi ha un ruolo nel funzionamento dei Cie o nell’attuazione delle deportazioni di senza-documenti ha da pensare che ci sarà sempre chi procurerà grane al suo sporco lavoro. Di certo da parte di tutti quelli a cui si propinano pasti marci. Ma forse anche da chi si prenderà la briga di smascherare la buona faccia pubblicitaria con secchiate di vermi infangati.

Cie di Bari Palese, 19 settembre. Dopo le notizie di frutta marcia e vermi nella carne che continuano a giungere dal C.I.E. di Bari Palese, un piccolo gruppo di solidali ha deciso di portare un saluto ai migranti rinchiusi. Grazie a megafono e fuochi d’artificio il gruppo è riuscito a “raggiungere” i reclusi e comunicargli tutta la sua solidarietà e complicità. I migranti, dal canto loro, hanno risposto con fischi e urla. Solo un piccolo e rapido gesto per ricordare a chi è rinchiuso in quel lager, ed a chi invece dalla sua esistenza continua a guadagnarci, che fuori non tutti sono complici, che c’è chi continua a sognare e lottare affinché quelle mura cadano giù.
18 ottobre. Un gruppo di solidali si è recato sotto al Cie di Bari Palese per un saluto ai reclusi e per far sentire ancora una volta la loro vicinanza e la loro solidarietà, nonostante le mura che ancora li dividono. I prigionieri hanno risposto rumorosamente ai solidali e hanno ribadito le degradanti condizioni della detenzione, inasprita, dopo il saluto di domenica, dal divieto ad uscire nel cortile il giorno successivo. La risposta repressiva non è altro che una spinta, per tutti i solidali e per tutti coloro che portano avanti la loro battaglia contro i lager di Stato, a continuare nella lotta e a far sentire sempre più forte la solidarietà e la vicinanza ai reclusi. Subito dopo la fine del saluto, alcuni ragazzi hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la loro condizione. Inoltre è giunta la notizia di un tentativo di fuga di un prigioniero, purtroppo non andato in porto. Il ragazzo scavalcando le mura del Cie è caduto fratturandosi una gamba e un braccio; condotto all’ospedale di Bari è stato poi riportato in tutta fretta al Cie e messo nella stanza dell’isolamento. Purtroppo non si hanno notizie sul suo stato di salute.

Cie di Trapani-Milo, 12 settembre. Dodici ragazzi marocchini hanno tentato l’evasione affrontando anche l’intervento tempestivo delle forze dell’ordine. Purtroppo non tutti sono riusciti a scappare ma auguriamo buona libertà ai quattro che ce l’hanno fatta.

Caltanissetta, 19 ottobre. Alla mattina, secondo quanto riportano le agenzie di stampa, è scoppiata una rivolta nei CIE di Pian del Lago che ha visto protagonisti una trentina di tunisini, che hanno provato a resistere all’espulsione, prevista in giornata con un volo diretto da Palermo per Tunisi. I migranti si sono arrampicati sul tetto della struttura “scagliando tegole, sassi e altri oggetti contro i reparti antisommossa e i militari addetti alla sorveglianza”. La protesta è continuata per alcune ore, un recluso sembra si sia ferito ed è stato ricoverato in ospedale, gli altri 29 purtroppo sono poi stati condotti in autobus a Palermo per il rimpatrio.
Milano, ottobre 2015

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Il Governo riapre altri CIE e insieme alla UE allestisce gli hotspot
“Una sorta di campo di concentramento”: a definire in questo modo gli “hotspots” che Governo e Ue si apprestano ad aprire in Calabria e Sicilia è lo stesso Prefetto Mario Morcone, Capo del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione al Ministero dell’Interno, l’apparato statale che coordina, tra le altre cose, i Centri di Identificazione ed Espulsione.
Lo scorso 8 Settembre durante una tavola rotonda sull’immigrazione a Tirana, Morcone ha detto: “Alcuni Paesi insistono che dovremmo creare gli ‘hotspot’: temo sia un’idea per schiacciare sui Paesi del sud – soprattutto Italia e Grecia – il fenomeno migratorio. Ma su una cosa sono certo: risponderemo sempre no a chi ci chiede di realizzare una sorta di campi di concentramento per migranti in Calabria o Sicilia!”.
Al contrario di quanto affermato dal prefetto le procedure per l’apertura di questi campi di concentramento non hanno mai subito interruzioni e sono andate avanti col pieno consenso di governo e UE: ne avevamo scritto qui a proposito della trasformazione del CIE di Trapani-Milo in un hotspot, che sarebbe dovuta avvenire il primo agosto scorso ma in seguito è slittata.
Malgrado le autorità italiane abbiano evidentemente avuto qualche difficoltà organizzativa, il commissario Ue per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha dichiarato che “La Commissione europea è soddisfatta del loro lavoro per la realizzazione di hotspot di identificazione e registrazione dei migranti”.
Il 9 settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento sullo “Stato dell’arte” della realizzazione degli hotspot. Riportiamo alcuni passaggi da questo documento:
“Il sostegno operativo fornito con il metodo basato sui Hotspots si concentrerà su registrazione, identificazione e rilevamento delle impronte digitali e debriefing dei richiedenti asilo, e sulle operazioni di rimpatrio. Le richieste di asilo trattate più velocemente possibile con l’aiuto delle squadre di supporto dell’EASO. Frontex aiuterà gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari che non necessitano di protezione internazionale. Europol e Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante nelle indagini per smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti.
In Italia, il quartier generale di Catania (Sicilia) sta coordinando le operazioni in quattro porti, Pozzallo, Porto Empedocle e Trapani in Sicilia e quello dell’isola di Lampedusa che sono stati identificati come Hotspots. In ciascuno di questi Hotspots vi sono strutture di prima accoglienza che possono ospitare complessivamente circa 1.500 persone ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali. Altre due strutture di accoglienza saranno pronte ad Augusta e Taranto entro la fine del 2015”.
La capienza prevista è: Pozzallo (300 posti), Porto Empedocle (300 posti), Trapani (400 posti) e Lampedusa (500 posti) Augusta (300 posti) e Taranto (400 posti).
“In Italia lavorano attualmente 11 esperti di screening e 22 esperti di debriefing di Frontex. Il loro numero e il luogo di assegnazione variano in funzione delle esigenze operative. Frontex fornirà inoltre 12 operatori per il rilevamento delle impronte digitali. Per quanto riguarda i rimpatri, Frontex e l’Italia stanno valutando il sostegno che può essere concretamente fornito dall’Agenzia. L’EASO dispone di 45 esperti pronti a raggiungere l’Italia.”
Come se non bastasse il Consiglio d’Europa nella seduta del 9 Settembre scorso ha chiesto a Frontex e stati UE il rapido invio di “squadre RABIT presso i confini sensibili, come l’Ungheria, la Grecia e l’Italia”. L’acronimo RABIT sta per “Rapid border intervention teams” cioè “Squadre di intervento rapido alle frontiere”: queste squadre, istituite già dal 2007 dal Consiglio Europeo, sono costituite da guardie di frontiera di altri Stati membri che “intervengono su richiesta di uno Stato membro che si trovi ad affrontare sollecitazioni urgenti ed eccezionali derivanti da un afflusso massiccio di immigrati clandestini”.
Visto che nel solo 2015 ben 41.000 persone migranti giunte in Italia sono riuscite a resistere all’identificazione e al fotosegnalamento, come faranno gli sbirri a gestire le prevedibili proteste dei migranti nei nuovi campi di concentramento? Ce lo spiega questo articolo tratto da Il Sole24ore dell’8 settembre:
“In una lettera inviata ieri al direttore generale Ue per gli Affari Interni e immigrazione Matthias Ruete, il capo della Polizia Alessandro Pansa risponde ai rilievi avanzati dall’Unione europea all’Italia e sottolinea «gli enormi sforzi compiuti dalla polizia italiana per pervenire al rilevamento sistematico delle impronte agli stranieri che sbarcano, rispettando i diritti umani ed evitando forme di coazione». E conferma lo studio di nuove norme per allungare i tempi di trattenimento. Tre le ipotesi sul tavolo: estensione della durata del trattenimento per l’identificazione dalle attuali 12-24 ore fino a 7 giorni; previsione del rilevamento forzoso delle impronte digitali; e previsione del trattenimento fino a 30 giorni del migrante che rifiuti di sottoporsi al rilevamento”.
Con gli hotspot funzionanti a pieno regime – si parla del 17 Settembre – il Governo si troverà a dover gestire un sempre maggior numero di persone migranti da recludere in attesa dell’espulsione. Nei primi giorni di Settembre il sottosegretario all’Interno Domenico Manzione (Pd) ha detto, riferendosi ai CIE, “Il sistema deve essere ripensato, lo scenario sta cambiando. Possiamo, anzi forse dobbiamo immaginare un allargamento e un potenziamento di questi centri. Ma con la modifica di quel regime para-detentivo oggi ingiustificato”. Si parla di arrivare, con i lavori di ristrutturazione in corso in varie strutture danneggiate dalle rivolte dei detenuti, per l’inizio del 2016 a 1.500 posti disponibili nei CIE rispetto ai 750 attuali.
Una conferma sembra essere l’apertura, avvenuta nei giorni scorsi senza comunicazioni ufficiali, del CIE di Crotone.
In questi giorni in cui si assiste ad una mobilitazione in favore dei migranti, che si appella ai governi per cambiare le cose, ci sentiamo di condividere quanto ha scritto l’organizzazione indipendente Pro Asyl: “La solidarietà con i migranti non può più essere limitata a donazioni di indumenti e a gesti di benvenuto, ma c’è urgente bisogno che sia diretta contro gli attuali piani del governo”.

12 settembre 2015, da hurriya.noblogs.org


Dichiarazione di Georges Abdallah
Il 24 ottobre ricorre il 31esimo anno dall'incarcerazione di Georges IBrahim Abdallah in Francia e, per tale occasione, dal 17 al 24 ottobre c'è stata una settimana di mobilitazione internazionale a sostegno di Georges I. Abdallah e Ahmad S'adat. Di seguito il comunicato dal carcere francese.

Care/i compagne/i, care/i amiche/i. A qualche metro da queste mura, da questi fili spinati e da altre torri d’osservazione, riecheggia nella nostra testa l’eco dei vostri slogan e ci porta lontano da questi luoghi sinistri. Certo, la vostra mobilitazione oggi qui non lascia indifferente nessuno: così vicina alle nostre celle, ci dà molto calore e suscita altrettanta emozione ed entusiasmo. Le guardie se lo aspettavano; in qualche modo da quando qui sono detenuti dei prigionieri politici, si sono abituate…
All’alba di questo 32° anno di prigione, compagni, bisogna constatare che la politica d’annientamento imposta ai rivoluzionari protagonisti detenuti è destinata immancabilmente a fallire nella misura in cui si assuma la solidarietà sul terreno della lotta anticapitalista/antimperialista. Non lo si sottolinea mai abbastanza, compagni, solo assumendo la solidarietà sul terreno della lotta di classe in corso e a tutti i livelli si dà il sostegno più efficace ai nostri compagni prigionieri.
Nella guerra scatenata contro le masse popolari qui nel centro del sistema e nelle periferie, i reazionari di ogni sorta cercano di farla finita usando ogni mezzo contro i rivoluzionari prigionieri, riferimento vivo della Resistenza e della lotta. Devono assolutamente trasformarli in spaventapasseri che servano a spaventare i giovani recalcitranti che si ribellano. Non riuscendo a spezzare la resistenza di questi prigionieri affinché abiurino e rinneghino le proprie convinzioni, agli apparati penitenziari occorre seppellirli vivi e servirsene per influire sul morale di quelli/e che lottano.
Compagni, le iniziative solidali che avete saputo sviluppare di recente non solo hanno contribuito a smascherare efficacemente l’assurdità dell’accanimento giudiziario e della vendetta dello Stato, ma soprattutto hanno prodotto una sonora smentita contro quelli/e che scommettevano sul respiro corto della vostra spinta solidale. Voi ci siete sempre, compagni, sul terreno della lotta e le vostre iniziative molteplici riconfortano e fortificano più che mai la mia risolutezza e determinazione. Qui, al mio fianco valorosi compagni baschi resistono altrettanto da parecchi anni. Viene sistematicamente rifiutata la sospensione della pena per ragioni mediche se si tratta di un militante basco. Il caso del compagno Ibon Fernandez è sintomatico sotto tale aspetto.
Compagni, come vedete dall’inizio di questo mese le masse popolari palestinesi, e in particolare i giovani, sono riusciti a porre in evidenza e in primo piano la piazza della Palestina nella lotta contro la barbarie dell’occupante sionista. Una terza grande Intifada è già in atto. Non servono esperti per spiegare le ragioni di questa Intifada e delle sue diverse modalità di lotta. Il livello d’oppressione e umiliazione inflitto dai sionisti quotidianamente a tutto un popolo non può che suscitare quest’esplosione ed alimentare la sua affermazione e propagazione e a maggior ragione la sua vittoria…
Che mille iniziative solidali fioriscano in favore della Palestina e della sua promettente Intifada. Che mille iniziative solidali fioriscano in favore dei giovani libanesi in lotta!
Che mille iniziative solidali fioriscano in favore delle masse popolari kurde e dei suoi valorosi combattenti!
Contro l’imperialismo e i suoi cani da guardia sionisti e altri reazionari arabi!
Onore ai martiri e ai popoli in lotta!
La solidarietà, ogni solidarietà, ai prigionieri che resistono nelle carceri sioniste e nelle celle d’isolamento in Marocco, Turchia e altrove nel mondo!
Compagni insieme e solo insieme vinceremo!
A voi tutti, compagni/e e amici/amiche, i miei saluti più calorosi
Il vostro compagno Georges Abdallah

Lannemezan, 24 ottobre 2015


tre episodi per una riflessione
sulla situazione dei prigionieri politici in Egitto
Una data importante per chi vuol cercare di capire cosa sta succedendo in Egitto è novembre 2013. La legge 107/2013 infatti conosciuta come legge anti-manifestazione, sembra essere uno spartiacque importante tra i primi due anni di mobilitazioni nelle piazze e nelle strade del Cairo (2011-2013) e nei due anni successivi in cui il dibattito si è spostato quasi totalmente sulla questione “prigionieri politici”: 40.000 detenuti politici e un numero crescente di desaparecidos (250 solo in agosto e settembre secondo la campagna che si occupa del fenomeno) sono dati che aituano a dare un senso a questo spostamento.
In considerazione del ritmo serrato degli eventi e della complessità delle dinamiche sociali che simultaneamente agiscono e sono influenzate da questi eventi (legislazione giuridica sul sistema penale, sui diritti civili e sullo statuto delle organizzazioni per i diritti umani, dibattito interno ai Fratelli Musulmani, ripianificazione urbana e ristrutturazione economica, e soprattutto, senso comune degli egiziani sulla “rivoluzione”) é più utile riportare alcuni fatti relativi a un episodio particolare, quello del majlis el-shura, da cui si possono trarre spunti per una riflessione su un contesto generale cosi caotico e in constante mutamento. A questo scopo, riportiamo tre recenti fatti che si dipanano dai fatti di novembre 2013: l'amnistia a 150 detenuti lo scorso 23 settembre; la campagna partita il 26 ottobre sui social network per la liberazione di Ala Abd el Fattah (vedi opuscolo 105) e Mahmud Abd El Rahman e, in ultimo, la dichiarazione del movimento 6 Aprile all'appello del presidente Obama per la scarcerazione di Ahmed Maher.
Il 23 settembre il presidente Sisi ha concesso la grazia a 100 prigionieri, "per motivi umani e di salute" in occasione dell' eid el-Adha (festa del Sacrificio). L'amnistia ha coinvolto, oltre ai 100 attivisti del sit-in Majlis el Shura anche altri condannati, tutti accusati di aver violato la legge anti-manifestazione, rispettivamente per i fatti di Ittihaydia (1) tra cui Sana Seif e Yara Sallam e l’assalto e il danneggiamento della stazione di polizia Raml (2) tra cui Amr Hazeq.
La campagna per la liberazione di Ala Abd El Fattah e Ahmed Abd El Rahman, cominicata il 26 ottobre sui social network, si rivolge a due importanti figure per il movimento rivoluzionario. Ahmed Abd El Rahman, in particolare è stato arrestato perchè trovandosi per caso a passare davanti al sit-in del Majlis el Shura e, assistendo alle violenze degli agenti in borghese ai danni di un'attivista si è messo in mezzo per difendere la ragazza. Abd El Rahman non è membro di nessuna organizzazione politica e viene descritto dal Daily News Egpyt come un "comune cittadino capace di agire politicamente e che ha osato mettersi contro a poliziotti in borghese".
Ahmed Maher, uno dei fondatori del movimento 6 Aprile è stato arrestato per aver partecipato al presidio del 23 novembre 2013 e condannato a 3 anni di prigione e 5000 ghinee di multa per i fatti del novembre 2013. Il 23 settembre, in un articolo del quotidiano indipendente Al-Badayah, l'organizzazione ha dichiarato che “il movimento 6 aprile appoggia e richiede la totale indipendenza decisionale degli affari nazionali e rifuta ogni tipo di interferenza qualsiasi essa sia”. Il portavoce, Amro Ali ha aggiunto che “il cambiamento in Egitto deve avvenire all'interno e partendo dal basso e non (come l'appello del presidente americano indica) cercando di influenzare le elitè al potere”. Ali aggiunge che “il movimento 6 aprile è una delle organizzazioni più famose al mondo, è oggetto di studio nelle scuole ed è ovvio che le sue sorti stiano a cuore anche fuori dall'Egitto".

Note:
1) Notte di scontri tra sostenitori di Morsi e oppositori davanti al palazzo presidenziale situato nel quartiere di Ittihadiyya il 6 dicembre 2012 al Cairo
2) Il marzo del 2013 la stazione di polizia Raml è stata assaltata e la sede del partito giustizia e libertà dato alle fiamme ad Alessandria d'Egitto.

Milano, ottobre 2015

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Segue il racconto di un compagno egiziano appena rientrato in Italia dopo oltre un anno di carcere. Ha 31 anni e dal 2011 è un esponente sempre in prima fila nelle lotte della logistica qui in Italia.

Una storiella un po’ pesante. Inizia in modo kafkiano, con un arresto di cui non ti spieghi il motivo. Sei appena tornato nel tuo paese, dopo dieci anni, e l’ultima cosa che ti aspettavi era la visita della polizia.
Diserzione alla leva. Ma come? In base alla legge tu ne eri esentato, ma importa poco: cambiano i governi ma ci sono cricche che non perdono ma il loro arbitrio. Militari.
Entri in questura carico di angoscia: solo un giorno in attesa di processo, ti dicono. Sì, e dopo il processo? Due anni, per direttissima, senza dubbi da parte del giudice monocratico.
Sei ricondotto in questura, nei sotterranei. Nessuna finestra, ma una croce di stanze: un corridoio centrale, due metri per dieci, li stanno in sessanta. Due stanze laterali, dieci metri per sette, in ognuna di quelle stanno in novanta. Le stanze laterali sono areate da due piccoli soffioni elettrici, il corridoio centrale invece prende aria indirettamente dalle due stanze ai lati, attraverso alcune fessure nel muro divisorio.
Siete schiacciati, ovviamente. Nei due bagni a disposizione delle 210 persone dormono in quattro. Il problema principale, comunque, è l’aria. Manca letteralmente. Due ore al giorno manca la luce, e si fermano i soffioni di condizionamento. Buio totale e niente aria. La gente impazzisce, si butta a terra, urla. Hai una paura boia.
Provi a organizzarti, bagnate degli asciugamani e li roteate in aria per cercare di rinfrescare l’ambiente, ma tanti stanno male comunque, e bisogna infilare un asciugamano in bocca per impedire che soffochino.
Poi c’è la tortura del sonno. Non si può dormire. Vi organizzate in turni di venti, ovviamente seduti perché distesi non ci si sta. Ma quando le guardie vedono che prendete sonno entrano, e in quel caso bisogna alzarsi in piedi, con lo sguardo contro il muro. Quando escono ricadi a terra. Ma dopo due minuti rientrano. Non dormi mai. Mai.
Quando ti svegli il tuo vicino è morto. Era più vecchio di te e non riusciva a respirare. Dopo qualche ora lo portano via.
Allora ti ribelli, urli, ti rivolgi alle guardie. Isolamento: come un bagno chimico, una stanzina di un metro per due, in cui sei immerso nell’acqua fino alle caviglie. Due settimane li dentro ti hanno dato. Dopo un giorno stai impazzendo, ma ti tirano fuori, la tua famiglia si è interessata e ha mosso conoscenze in questura. Se ci fosti rimasto due settimane, sei sicuro, saresti impazzito, come gli altri che lo fanno.
Torni nel corridoio. Muoiono altre sei persone. Una alla volta. Quando sono passati solo tre mesi ti tirano fuori. Continuano a chiederti dove sono i terroristi. Tu dici che non lo sai, che non sei neanche un aderente al partito che è stato messo fuori legge, neanche lo voteresti perché non ti riconosci nelle sue posizioni. Ma se non sei terrorista, certo stai pensando di diventarlo: anzi, questa è la fabbrica dei terroristi! E anche quella distinzione che facevi fra il “poliziotto buono” e il “poliziotto cattivo”, dici, non ha più senso. Se avessi un Kalashnikov, li uccideresti tutti, perché sono tutti colpevoli.
Dopo tre mesi ti spostano: dal sotterraneo della questura al carcere, un altro anno di vita rubata, ma almeno li riesci a guadagnarti degli spazi, giusto il tempo di capire come funziona quel mondo a parte. Dopo oltre un anno il tuo incubo finisce, le persone a te vicine sono riuscite a far riesaminare il tuo caso. In effetti non avresti dovuto perdere neanche un giorno, ma ormai ei libero, e anche se respirare è diventato un dolore costante, puoi rifarti una vita. Anche i polmoni si riprenderanno dopo qualche mese.
Dici che ora capisci perché siamo così tanto incazzati, così tanto irriducibili nel nostro odio contro le istituzioni, perché non ce ne sono che possano rendere sostenibile luoghi disumanizzanti come il carcere, che ogni carcere va abbattuto, che finché ci sarà la miseri a l’ignoranza avranno sempre la giustificazione per mantenerlo, che quindi bisogna eliminare la miseria e l’ignoranza, che quindi dobbiamo muoverci e attaccare chi la vuole in ogni luogo e latitudine. Dici che delle piccole cazzate, dei piccoli egoismi non sai proprio cosa fartene, chi li mette in campo è già parte del mondo che va cambiato, non può farci perdere tempo.
Dici tutte queste cose e sei più compagni di quando sei partito, perde davvero di importanza la differenza culturale a monte. L’importante è che sei libero e che stai bene. Tutto il resto, lo abbatteremo.

settembre 2015


Marocco: Elezioni a ritmo di tortura... Tiflet prigione modello
Segue il comunicato dei prigionieri islamisti del carcere di Tiflet sui crimini del direttore del penitenziario. Il testo è pervenuto al comitato congiunto per la difesa dei detenuti islamisti, segue il testo.

Un dramma teatrale già visto in abiti nuovi, coi molti personaggi i cui eventi ruotano intorno al nostro amato paese, i partiti annunciano programmi politici differenti e dai vari titoli, libertà e giustizia, crescita e preghiere e proclamazioni che lodano l'apertura economica, il dialogo e l'uguaglianza di classe. Tutto ciò sotto l'ombrello della democrazia e dei diritti umani mondiali come se noi veramente fossimo in uno stato civile che non ha nessuna differenza con i paesi scandinavi. Noi detenuti ne abbiamo abbastanza. Apprendiamo tutte le notizie per mezzo della televisione qui nel deserto.
La direzione del carcere è grata di averci fatto svegliare da questi sogni rosei e queste aspettative improbabili. Quindi ci a mandato un candidato fuori dal comune, il direttore del carcere Yusef Al-Bu'azizi, per la storia, il criminale. Ha cominciato a fare il suo lavoro seguendo il modello dei partiti nazionali e visto che questi ultimi odiano la burocrazia anche lui ha varato un nuovo regolamento di fretta, il primo giorno, per perquisire i detenuti nei loro posti sensibili in modo umiliante e davanti agli occhi e agli orecchi di tutti, botte, calci e un notevole dizionario di insulti. E visto che noi crediamo nel multilateralismo è d'obbligo dire che le torture sono state fatte a detenuti comuni e detenuti salafisti e jihadisti ultimo dei quali Abd al-Wahid Al-Khamlishi che ha sofferto vari tipi di abuso e tortura nella pubblica piazza perchè la trasparenza e il diritto all'informazione sono garantiti nella democrazia e potrebbe ricevere la visita del comitato per documentare i numerosi crimini di questo boia.
In conclusione diciamo che chi vuole dare notizie su quello che succede tra i compagni delle organizzazioni per i diritti umani, le campagne civili per il trionfo dell'umanità, all'iniziativa, alla piazza che scende, la battaglia non è sugli schermi televisivi e nei discorsi e sulla stampa. La battaglia è dentro le prigioni e nei centri di detenzione.
Per accendere i vostri propositi e motivare le vostre battaglie venite a visitare questo posto per una settimana per sperimentare il tiranno Yusef al-Bu'azizi, uno dei simboli rimasti degli oppositori della dignità umana.
Che vadano all'inferno tutti gli slogan delle organzizzazioni per i diritti umani e che le nostre gole cantino gli slogans dei giovani delle rivoluzioni arabe: dimettiti boia, ne abbiamo abbastanza del tuo sadismo.
I detenuti islamisti del carcere di Tiflet.

L'ufficio del comitato congiunto per la difesa dei detenuti islamisti
1 settembre 2015, tradotto da ccddi.org
Lettere dal carcere di Terni
Amici miei, io non ho esperienza diretta del 41bis ma sono stato sottoposto ad un regime simile chiamato 14bis.
Questo, similmente al 41bis inasprisce il trattamento carcerario limitando al minimo le libertà individuali che vengono oppresse con un controllo continuo ed asfissiante da parte del carcere. Entrambi sono figli di una psicologia repressiva militare ripresa e riammodernata a seconda delle esigenze storico politiche.
Sulla carta il 41bis è volto a impedire il perdurare di legami e collegamenti con l’ “associazione mafiosa” o “terroristica” di cui il detenuto è parte o leader; così nello specifico viene adottato nei confronti di elementi considerati “di spicco” all’interno di un “gruppo criminale”, individui capaci di mantenere una “leadership” e quindi di impartire ordini per il “perseguimento di obiettivi criminali”. E come si esplica nella pratica questo trattamento speciale?
Il detenuto è allocato in sezioni apposite con un limitato numero di detenuti, ognuno ospitato in una cella singola. L’arredamento interno è ridotto al minimo, gli armadietti, per lo più sono privi di ante, possono contenere solo “stretto necessario”, un indispensabile che può essere “contenuto” (non ampliato) a seconda del volere del carceriere e della direzione. Il fornelletto è consentito solo per scaldare le vivande; il detenuto non può cucinare per sé autonomamente come nelle sezioni AS, anche per questo gli alimenti acquistabili del sopravvitto sono limitati.
E’ una tattica subdola per aumentare esponenzialmente la dipendenza del detenuto all’istituto: dipendenza significa schiavitù/sottomissione e la sottomissione è uno dei risultati che l’amministrazione penitenziaria si pone.
Nel reparto 41bis le battiture di controllo sulle sbarre della cella sono effettuate con cadenza di tre al giorno; in una normale sezione AS sono in genere una al giorno. E’ un elemento di stress di bassa intensità che ha funzione di rammento all’ “ospite” che il controllo è continuo, meticoloso, organizzato, che lui non è padrone di nulla.
In casi particolari può essere predisposta la videosorveglianza anche nella cella. Niente di più asfissiante ci può essere di un continuo occhio monitore, spia: stupra le ore anguste dei giorni ripetuti all’interno di una cella.
Il detenuto può effettuare un solo colloquio al mese di un’ora presso locali appositamente adibiti. Un vetro divisorio impedisce qualsiasi contatto fisico tra famigliari, conviventi e detenuti, ogni conversazione viene registrata. Solo qualora il colloquio mensile non avvenga, il detenuto può essere autorizzato ad una telefonata mensile di 10 minuti. I famigliari possono ricevere la telefonata o presso il carcere più vicino o presso una caserma dei carabinieri.
Queste misure, prese per prevenire qualsiasi contatto con l’organizzazione, recidono certo qualcosa, ma il più delle volte sono solo legami famigliari.
Il “provvedimento” ha durata di 4 anni, prorogabile per periodi consecutivi di 2 anni. In realtà l’eventualità della proroga è la normalità, giacché il tempo non è considerato condizione sufficiente per garantire la rottura dei legami con l’organizzazione. Ciò sottintende che l’unica cosa che può provare che tale unione sia stata spezzata è una “manifesta dissociazione” un più diretto “pentimento”.
Credo sia ormai chiaro qual è lo scopo del 14bis e 41bis: sfibrare l’animo del detenuto e abbattere le sue difese per renderlo malleabile, un risultato che si ottiene de-individualizzandolo. Chi è sottoposto ad un tale regime non è padrone di guardare la propria immagine riflessa. Io personalmente ero obbligato a chiedere uno specchietto alla guardia (che lo teneva appositamente riposto) ogni qualvolta desideravo farmi la barba. Qualsiasi regime mira a disgregare l’identità del singolo polverizzandolo, per reimpastarlo a proprio piacimento; e lo fa con metodi decostruttivi anziché costruttivi.
L’ “ospite” deve imparare che lui il è più debole; deve imparare ad essere dipendente; deve imparare ad essere dipendente dalle mura carcerarie e dagli assistenti (guardie) così profondamente da giustificarne persino le azioni. Non è raro sentire detenuti pronunciare frasi tipo: “Lo deve fare, è il suo lavoro…” o “ E’ stato bravo, mi ha concesso…”. L’impianto repressivo del 41bis cerca quindi di spezzare la volontà, esasperando l’uomo per spingerlo a collaborare pur di salvarsi da quella che è una tortura psicologica protratta nel tempo; o per instillargli una sorta di “sindrome di Stoccolma”.
Per esteso, la “sindrome di Stoccolma” è un complesso di risposte emotive riscontrabili nelle vittime di un sequestro di persona, tra cui l’instaurarsi di sentimenti positivi degli ostaggi verso i sequestratori e, a sua volta, sentimenti negativi degli ostaggi verso chi dovrebbe difenderli. In questo caso specifico l’intenzione dell’amministrazione penitenziaria è di fare identificare l’ostaggio-detenuto con il sequestratore-carceriere: l’identificazione non avviene attraverso l’amore come nel figlio che si identifica in un padre amorevole, ma con la paura. La sindrome di Stoccolma comporta una regressione verso un livello di sviluppo più elementare, l’ostaggio-carcerato è più vicino al neonato, dipende dall’amministrazione per mangiare (il neonato deve piangere per mangiare, il detenuto strilla quando il vitto ritarda di 10 minuti), giustappunto gli viene metodicamente negata la possibilità di cucinare almeno che qualcuno non gliela conceda aprendogli la porta. Il carcerato-ostaggio così sequestrato può iniziare addirittura ad essere terrificato dal mondo esterno, saranno i carcerieri e gli organi a loro legati (psicologi, psichiatri, educatori) a fargli passare la paura, ma a quale prezzo? Il carcerato-ostaggio diventa grato per ogni piccola concessione, quasi fosse un dono e non un diritto.
La metodologia psicologica di cui si avvale il sistema carcerario ha le sue radici negli approcci matematici di Pavlov e Skimmer. Pavlov con i suoi stimoli condizionati offriva un miraggio, la promessa di abolire ogni possibile spirito nella macchina del cervello; aveva fatto credere che cani e esseri umani potessero essere comunque condizionati con stimoli appetitosi (il cane vede l’osso e sbava, se un attimo prima dell’osso una luce viene accesa e l’azione si ripete un paio di volte, il cane sbaverà anche solo vedendo la luce, ugualmente si comporta il cane addestrato a trovare cibo sotto i carri armati, vi andrà inconsciamente, anche imbottito di esplosivo).
Per Skimmer, similmente a Pavlov e per tutti i “comportamentisti”, un comportamento è una sequenza di stimoli e risposte: gli organismi imparano attraverso l’esperienza quali stimoli sono seguiti da risposte piacevoli e gratificanti (rinforzo positivo) e quali da risposte spiacevoli, punitive (rinforzo negativo), imparando a rispondere ad essi in modo appropriato. (Così, per esempio, un ratto affamato viene messo in una scatola con una leva, quando la preme, inizialmente per caso, riceve una pallottola di cibo e ben presto impara a premerla deliberatamente; superato questo punto l’animale può essere plasmato, gli si potrà quindi far scegliere tra più leve, schiacciarle un numero predeterminato di volte ecc..) Questo tipo di condizionamento è detto strumentale.
Approcci del genere, quasi fossero desiderosi di eliminare la mente dalle sue equazioni psicologiche, svuotano gli individui della loro biologia, trasformandoli in poco più che artefatti, robot da manipolare, addestrare da parte dello psicologo, da parte delle istituzioni e dei regimi. Sulla base di queste conoscenze, infatti, sono state create metodiche di detenzione carceraria sia civile che militare. La premialità che vige nelle carceri è figlia di queste teorie diventate dogmi che vogliono il detenuto plasmabile e malleabile.
Fortunatamente per il genere umano, le cose sono un po’ più complesse e, sfortunatamente per l’amministrazione penitenziaria e per la società, il detenuto reagisce spesse volte in maniera opposta a come quei dogmi vorrebbero.
Riflettiamo brevemente: un essere umano nato e cresciuto in un contesto di deprivazione materiale e forse anche morale, il quale ha fatto della propria vita l’elogio alla battaglia per la sopravvivenza giornaliera; un essere umano che ha messo da parte il timore di infrangere la legge – anzi ne assapora una certa gratificazione – sviluppa un comprensibile odio per le divise che difendono un potere costituito. Non solo è indifferente ai problemi, ma anzi ne è la causa. Per un “delinquente” e ancor più per un facente parte di un’“organizzazione criminale” (che per definizione si sente antitesi dello stato e delle sue strutture) diventa vanto la capacità di sopportare le angherie di una carcerazione, che tra l’altro così improntata fomenta ancor più l’identificazione del detenuto nell’antagonista naturale di quel sistema sociale che lo ha creato e ne ha nutrito la ribellione.
Si rinchiude un essere umano definito “criminale”, lo si obbliga a dividere quel minimo tempo di socialità con altri individui che hanno commesso delitti ed hanno un’eguale mentalità; lo si priva degli affetti, lo si obbliga a rinunciare agli abbracci dei figli, delle figlie (che possono avere contatto fisico con il genitore carcerato solo fino a 12 anni e per soli 10 minuti per ogni colloquio); gli si insegna a diventare più subdolo, a celare rabbia e sentimenti per ingannare le guardie… come si può sperare che avvenga quella “riabilitazione-rieducazione” che la Costituzione non solo prevede ma quasi conclama nei suoi articoli?
Le posizioni del “delinquente” si estremizzano, consolidano, cementificano; si rischia di mutare un essere umano che ha commesso dei “reati” in un sociopatico. Non esistono individui che una volta fuori dal 41bis, magari in libertà non tornino “a delinquere” con maggiore e più accurata intenzionalità. In ambiente “criminale” chi ha sopportato il 41bis senza tentennare e pentirsi gode di un prestigio enorme. Alla rabbia motivata dalle angherie legalizzate dall’amministrazione penitenziaria, che fortifica le convinzioni “criminali”, finisce con l’aggiungersi l’orgoglio che scaturisce dalla resistenza alla tortura.
SI TORTURA. Le motivazioni accampate per la detenzione al 41bis sono sempre pretestuose. L’esigenza di evitare il perdurare dei legami con l’associazione è secondario rispetto al fine ultimo di estorcere informazioni che portino a nuove accuse a nuove incarcerazioni.
Lo zelo delle procure di larga parte della magistratura e dei carcerieri – tutti organi di uno stato che infama sé stesso – è al di sopra della legge che vogliono preservare e difendere e gli abusi sono figli di quel delirio di onnipotenza tipico dei tiranni. Questo modo di amministrare la legge, di usufruirne, di deprivarne l’altrui vita, fa anche del peggiore carnefice un vittima dello stato. Il 41bis è una tortura mascherata dal vessillo della legalità; tortura inutile che diffonde, espande, riverbera sofferenze anche agli innocenti (bambini traumatizzati dai colloqui) e ne posticipa un’altra parte per quando il detenuto ritornerà in libertà arrabbiato e con un’aurea carismatica riconosciuta dai facenti parte del suo ambiente.
La critica al 41bis non vuole giustificare le azioni a volte riprovevoli di quei detenuti costretti nelle strutture ultra-repressive (polizia, esercito, stato ne commettono altrettanti con la giustificazione che il monopolio della violenza è loro), tuttavia lo stato non può né vendicare le vittime perché diventa boia né tanto meno torturare perché diventa inquisitore. Il 41bis è un’offesa alla vita, all’umanità e all’alto valore morale della Costituzione. Due reati – quello del “criminale” e quello dello stato che lo tortura – non si elidono a vicenda, dando vita ad un’azione virtuosa, sono solo l’inizio di una serie di conseguenze, un domino a cascata che scrive il necrologio della giustizia universale.
Abbracci.

Terni, 20 settembre 2015
Valerio Crivello, via delle Campore, 32 - 05100 Terni

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[…] ci è arrivato l’opuscolo sull’Ucraina del collettivo Odessa… Si è rivelato un ottimo lavoro di analisi, documentazione e controinformazione su quella realtà e sull’aggressione imperialista che sta subendo, frutto, aggiungeremmo, ponendola in maggior rilievo, della tendenza alla guerra lungo la direttrice e contraddizione principale Est/Ovest.
Un lavoro che ci voleva, non solo per la disinformazione dilagante, ma anche perché pure dentro la sinistra di classe c’è molta confusione o pericolose derive come alleanze anti-eurocentriche con ambiti di destra proposte in libri appena usciti… Un abbraccio.

Il libro può essere richiesto alla casella postale di Ampi Orizzonti.

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Ho appreso dal “Giornale dell’Umbria” datato 1 Settembre 2015 che nel carcere di Terni si è verificato un tentativo di suicidio e che pochi prima un altro detenuto si era tolto la vita.
Sempre nello stesso carcere, nella sezione di media sicurezza detenuti comuni, si verificò pochi giorni prima una rissa fra italiani e stranieri di cui l’articolo non dice quali siano state le ragioni, ma si possono ben intuire.
La maggior parte delle risse possono nascere per futili motivi di poca considerazione, ma nella gran parte sono i motivi sono legati alla poca, anche mancanza, di solidarietà nei confronti di si trova in disagio economico.
Eppure basterebbe poco, avere un po’ di attenzione verso chi vive nello stesso spazio detentivo, organizzando tra noi una piccola colletta, mettendo ognuno a disposizione qualcosa della spesa e dando priorità lavorativa a chi necessita di fondi. Ma purtroppo il più delle volte questa solidarietà verso il prossimo viene a mancare.
Vi abbraccio tutti Mauro.

3 settembre 2015
Mauro Rossetti Busa via Delle Campore, 32 - 05100 Terni


lettera dal carcere di agrigento
Da una lettera di Davide dal “Mattatoio di Petrusa” a Mauro nel carcere di Terni.

Carissimo compagno, ho avuto modo di sapere con grande ardore, ricevendo la tua cartolina con l’OP, dell’inesauribile forza solidale che ha trasmesso col tuo sciopero di lotta! E’ stato grazie alla tua pressione, ne sono certo, che due giorni dopo il tuo sciopero, mi è stato sbloccato il materiale trattenuto, fatto che non mi è mai accaduto…
Anch’io ho terminato uno sciopero della fame di 6 giorni in solidarietà allo sciopero della fame di un ragazzo senegalese di 16 anni che, in quanto minorenne, qui non ci può stare, ma l’autorità procedente si ostina ancora a tenerlo in un carcere per adulti.
L’altro giorno invece è morto un ragazzo algerino di un altro piano. Si è sentito male e puoi immaginarne il seguito. Guai a sentirsi male in galera, perché è la fine! considerando che crepano in media 4 detenuti a settimana nelle galere dello stato, tra “suicidi” e complicazioni burocratiche sanitarie ecc. Solo che questo stillicidio di ammazzamenti non vengono riportati dai media prezzolati di stato, per l’oscurantismo voluto che bisogna a tutti i costi garantire. In Spagna quando ne sono morti 3 di detenuti all’anno, han fatto un casino nero!
Comunque per rispondere all’ennesima vittima che miete lo stato, tutti i 3 piani dei “comuni” si sono rifiutati a rientrare dai passeggi, e siamo rimasti lì fino alle nove di notte. Un’esperienza significativa. Ma la preoccupazione di fondo che rimane è che ci si dice: chi sarà il prossimo? …
Caro compagno ora ti saluto, la tua determinazione ha messo in piedi una vittoria e un e un’occasione per poterla sviluppare. Ti abbraccio fraternamente fino alla prossima lettera. Saluti ribelli Davide.

24 settembre 2015
Davide Delogu, Contrada Petrusa, Piazzale Di Lorenzo, 4 - 92100 Agrigento


lettera dalle carceri spagnole
[...] In quanto alla riproposizione del libro [“Liberare tutti i dannati della terra”, spedito in molte carceri il mese scorso, ndc] è una buona iniziativa che mi riporta indietro nel tempo e mi ricorda quei momenti vissuti fuori e dentro le carceri... Solo che è tanta la differenza tra ieri e oggi con la presenza delle droghe e metadone che mi viene da piangere quando leggo quelle lettere che parlano di lotte e rivoluzione. Purtroppo è una realtà presente che non possiamo far finta di non vedere... Sotto questo aspetto il sistema ha fatto passi da gigante, riuscendo a controllare le carceri con la semplice strategia delle droghe legali... e noi siamo rimasti indietro... Non abbiamo perso del tutto questa guerra, però sono decenni che non smettiamo di perdere battaglie.
Sotto il peso della repressione, si assiste nelle carceri spagnole ad una iniziativa del tutto assente per quanto riguarda le lotte collettive... Solo pochi, circa 70-75 detenuti, partecipano alle rivendicazioni contro la tortura fisica e psichica e le lunghe pene, o come le chiamano qui "cadenas perpetuas encubiertas" cioè "ergastolo occulto".
I politici del Partido Popular (di destra) sono riusciti a far passare con la maggioranza assoluta la legge della "cadena perpetua revisada", vale a dire l'ergastolo rivedibile dopo 25 anni di detenzione, e questo vuol dire che se non ti considerano "reinserito" rimani in carcere, tutto il tempo che vogliono, non c'è un limite. Per questo si chiama "cadena perpetua" (ergastolo).
Nel 2003 avevano approvato la riforma del codice penale che limitava a 40 anni il tempo massimo di detenzione, però adesso non si sa quando potrai uscire, dipende da loro, se vogliono o no.
Questa situazione mi ricorda un film "Cadena Perpetua" con Morgan Freeman tra i principali protagonisti... quando dopo 30 anni di carcere passò davanti alla commissione che doveva decidere sulla sua libertà... gli chiesero se si sentiva pronto per la vita in libertà, e chiaramente rispose loro che si, lo era... la loro risposta fu un timbro "rifiutato" sul foglio di domanda... 10 anni dopo, al compiere 40 anni di carcere, la commissione lo chiamò per decidere una seconda volta... gli fecero le stesse domande fatte 10 anni prima e Morgan Freeman, rispose loro che non gli importava niente della libertà e che la sua vita dopo 40 anni di carcere si era perfettamente adattata, quindi per lui era lo stesso star dentro o fuori... la risposta fu... accettata. La morale è semplice: dopo 40 anni di carcere non te ne frega niente della libertà... se non hai un ideale che ti accompagna, ti ritrovi completamente istituzionalizzato. Questa è la vera intenzione del sistema penitenziario con le sue leggi e codici di una durezza senza limiti: con il passare del tempo ti annullano e ti tolgono la tua personalità. Questa è una battaglia che dobbiamo assolutamente vincere, non possiamo permettere che ci tolgano i principi e le idee a noi care. Come anarchici e rivoluzionari quali siamo dobbiamo salvaguardare le nostre forze e uscire dal carcere in buone condizioni fisiche e mentali senza perdere gli ideali che ci hanno mantenuto in vita. Come dicevano alcuni compagni "Resistir es Vencer"... "Resistere è Vincere".
Però resistere a che?... Allo stress che il carcere produce, all'angoscia, all'insonnia, all'isolamento, alle malattie infettive, agli psicofarmaci che i medici ti danno senza problemi, alle botte, ai soprusi, alle ingiustizie. Se sarai capace di uscirne potrai dire di aver vinto una battaglia importante per la tua vita e sarai in condizioni di poter lottare, contrariamente a come il sistema vorrebbe vederti: uscire dal carcere ammalato, distrutto e senza forza di volontà per continuare. Sotto questo aspetto penso che la prima lotta veramente ribelle contro un sistema inadeguato per risolvere i problemi sociali, è precisamente riuscire a mantenersi vivi tutto il tempo della condanna, approfittando di questo periodo per recuperare e mantenere la salute, abbandonando le abitudini tossiche e facendosi padroni della propria vita e del proprio tempo; tutto questo si può fare con la volontà di uscire di galera.
Qualcuno sicuramente mi chiederà se non è un po' troppo poco per dei compagni rivoluzionari... però credetemi, in mancanza di lotte collettive, lottare per mantenersi in vita da tutti gli attacchi del sistema è da considerarsi più che rivoluzionario.
Poco tempo fa ho ricevuto un opuscolo molto interessante, che giustamente rafforza e aiuta in quello che dicevo prima: il titolo di questo libretto è "Pillole di salute", una specie di manuale di sopravvivenza fatto da alcuni compagni italiani, nato come rubrica della trasmissione radiofonica "Mezz'ora d'aria", un programma di trenta minuti trasmesso tutte le settimane sulle frequenze di Radio Città Fujiko a Bologna. Questo opuscolo, che consiglio vivamente di procurarsi, aiuta a proteggersi dalle malattie più diffuse in carcere e ad evitare il consumo di psicofarmaci nelle prigioni che sono utilizzati come un metodo di contenzione e controllo dei reclusi. Farmaci che, come il metadone, sono "un ricorso massiccio e comodo per spegnere gli spiriti pensanti, critici e sofferenti di chi è dentro" (come dicono bene i compagni autori dell'opuscolo)... E proprio di questo si tratta quando parlavo di battaglie da vincere, chissà la più importante... la tua vita.
Ai compagni che hanno realizzato il lavoro "Pillole di salute" (un'idea eccezionale che pure io avevo avuto senza riuscire a concretizzare) va il mio riconoscimento, affetto e un grande abbraccio... Per un mondo nuovo e senza carceri. Claudio.

30 agosto 2015
Claudio Lavazza, Carretera Paradela s/n - 15319 Teixeiro (A Coruña) Spagna

L’opuscolo a cui Claudio fa riferimento può essere richiesto alla casella postale di Ampi Orizzonti, questo l’indice: Sanità penitenziaria, Prigionizzazione, Terapie naturali, Camicie di forza chimiche, Aids.


Il carcere uccide: anche a Pesaro, morte al carcere
“Venerdì 25 Settembre 2015, un ragazzo di 29 anni è stato trovato morto in una cella del carcere di Pesaro, il suo nome era Anas Zamzami per tutti Eneas, detenuto per accusa di falsa identità e resistenza a pubblico ufficiale con una pena (reato commesso nel 2011) per cui doveva scontare 12 mesi, ne aveva già scontati 5 benché il codice penale art. 199/2010 preveda gli arresti domiciliari per pene inferiori ai 18 mesi.
Eneas era in Italia dall’età di 6 anni e aveva frequentato le nostre scuole pubbliche e dopo anni di lotta era riuscito ad ottenere la cittadinanza italiana proprio il giorno del suo arresto, questo per porre l’attenzione sul motivo che l’aveva portato quel giorno del 2011 a dare una falsa identità e ad opporsi alle forze dell’ordine.
Mercoledì 14 ottobre, alle ore 18:00 nei locali dell’ex-Snia a Roma si terrà un incontro in cui invitiamo tutte le realtà interessate, per un confronto e per costruire insieme la giornata del 25 Ottobre sul tema carcere e raccolta fondi a sostegno delle spese legali per cercare di fare chiarezza sul caso di Eneas”.
(da Osservatorio Repressione, 12 ottobre 2015)

Nel frattempo si sono appresi altri particolari su questa morte, sul carcere di Pesaro, insomma sulla situazione che si è trovato di fronte Eneas.
Si è appreso che la direttrice a Pesaro è, dal giugno 2015, Armanda Rossi proveniente dal carcere di Campobasso, le cui condizioni detentive vengono così descritte da consiglieri regionali del Molise dopo una visita compiuta nel settembre 2014:
“[...] I detenuti lamentano le privazioni anche più elementari, come ad esempio il mancato accesso di molti generi alimentari e persino… l’acquisto di giornali che la direttrice non ritiene idonei, tra cui il “Garantista” (dei diritti dei detenuti).
[…] viene negato ai familiari di portare qualsiasi genere alimentare. I rapporti con i familiari sono fortemente limitatl a cominciare dalle telefonate sia ordinarie che straordinarie; sono vietati i colloqui con persone che pur essendo familiari non portano lo stesso cognome. […] i detenuti sono sempre nelle celle tranne per le ore d’aria previste e per pochissimi altri casi. […] Il cortile è privo di qualsiasi tettoia ed i detenuti possono solo passeggiare su e giù, in quanto sono privati anche di un semplice pallone.
Questi episodi insieme ad un atteggiamento e linguaggio di sfida (un detenuto di etnia rom che chiedeva un colloquio si è visto rispondere: «Questo è un carcere, non un albergo ed io sono Hitler!») hanno portato i detenuti all’esasperazione ed a porre in essere atti di autolesionismo…”
La direttrice Rossi porta con sé tutte quelle “restrizioni” unite ai loro scopi, in breve, il carattere punitivo del 41bis, mirate a stroncare con i ricatti ogni ribellione individuale e collettiva nel tentativo di mettere i prigionieri gli uni contro gli altri, per spingerli alla collaborazione, di uccidere la propria dignità di diventare essi stessi carcerieri. Quanto accaduto a Eneas ne è l’esempio lampante, come cerchiamo di descrivere di seguito.
Eneas entra nel carcere di Pesaro a metà aprile 2015. Nelle prime settimane ha un litigio in cella con il concellino, ciononostante li lasciano insieme con le conseguenze che ne derivano. Decide di inoltrare ricorso al magistrato di sorveglianza anche contro il successivo rapporto delle guardie (che fra l’altro, implica l’esclusione dal lavoro, dall’accesso “ai giorni”, cioè alla liberazione anticipata ecc…). Questo lo pone nel mirino dei carcerieri, delle loro provocazioni, costringendolo di fatto a non uscire all’aria per quattro mesi e mezzo; infatti, quando ci riprova, viene aggredito da due prigionieri. Capisce che le guardie con i loro ricatti possono mettergli contro qualche carcerato.
La situazione si esaspera: viene sottoposto a controlli, minacce, blocco della posta, a tentativi di nascondergli psicofarmaci nel cibo; cosciente di ciò, entra in sciopero della fame, perde chili. Si taglia incidendo scritte sul corpo che raccontano quanto gli sta accadendo e che chiedono aiuto. Viene portato più volte in ospedale per visite riguardo alle conseguenze dello sciopero della fame, per “osservazioni” psichiatriche.
Sul finire di agosto viene trasferito nel carcere di Ascoli Piceno per un periodo di “osservazioni”, che dura circa un mese, per poi essere ricondotto a Pesaro, dove non ha proprio voglia di andare. Gli viene fissata per il 21 ottobre una “camera di consiglio” sulla richiesta dei domiciliari inoltrata in aprile; non si aspetta più di tanto perché è passato troppo tempo, intuisce che hanno deciso di fargli fare l’intera carcerazione.
Il ritorno nell’ambiente ostile è fatale. Al mattino incontra al colloquio la madre, alla sera la morte. I carcerieri divulgano che la morte è da attribuirsi a “suicidio”, a “auto-impiccagione”.
Il pm di Pesaro, ancor prima della richiesta dei famigliari apre un’inchiesta “per istigazione al suicidio”, in cui ordina, fra l’altro, l’autopsia sul corpo di Eneas. Una mascherata complice che vuol occultare l’ennesimo omicidio di stato.
Quanto è accaduto a Eneas è l’ulteriore conferma, stavolta portata all’estremo, del ricatto ricercato dai carcerieri tutti, dalla cassazione fino al Dap: si vuole costringere i prigionieri alla sottomissione, alla collaborazione a diventare addirittura i “tirapiedi” della guardie, a fare il “lavoro sporco” con loro. Per chi non ci sta il “castigo” va dall’essere colpiti da rapporti, che portano con sé, per es., rifiuto di permessi di colloqui, blocco della posta, perdita e esclusione dal lavoro (condizione obbligata per chi è solo), all’applicazione del 14bis (isolamento 24 ore su 24, censura, limiti nei colloqui, processi in videoconferenza…) fino all’eliminazione fisica.
Mobilitarsi fuori per togliere ogni maschera a questo sistema assassino, per dare forza alla protesta, alla lotta contro il carcere dentro e fuori, è una sollecitazione che pur se ostacolata con ogni mezzo, nelle carceri vive. Ne è esempio quanto avvenuto recentemente per la morte di un ragazzo nel carcere di Agrigento dove un’intera sezione si è fermata all’aria fino a notte.

Memoria di lotta dal carcere di Pesaro (settembre-ottobre 2013)
Non è un caso che sia scoppiata una protesta nei giorni scorsi da parte dei reclusi dopo il suicidio di un giovane marocchino trovato impiccato in cella dopo aver avuto una condanna a sette anni di carcere. I detenuti hanno lanciato bombolette del gas (vuote) e si sono rifiutati di mangiare praticando lo sciopero della fame.
Il racconto di una persona recatasi all’uscita dal colloquio: “Venerdì sono andato a trovare mio figlio e c’era in corso lo sciopero della fame. Poi ho visto salire del fumo. Mi hanno detto che i detenuti avevano dato fuoco a lenzuola e coperte anche se poi le fiamme sono state prontamente spente. C’era un gran chiasso, battevano dei ferri sulle bombolette del gas che hanno in dotazione. Mi dicevano che per fortuna quelle bombole erano vuote perché altrimenti c’era il rischio di esplosione. Sono preoccupato. Spero che si sistemi meglio quella struttura perché ci vivono degli esseri umani”.

Milano, ottobre 2015


Scritto dopo l’uscita dall’Opg di Reggio Emilia
Sono Davide racconto la mia esperienza di carcerazione avvenuta tra il 21 gennaio 2015 e la fine di agosto dello stesso anno, a causa di un presunto definitivo del 2012 … “resistenza a pubblico ufficiale e falsa attestazione dell’identità”… mi arrestano a Milano.
Appena entrato a S. Vittore (non ricordo il braccio perché sono stato un giorno solo in sezione), vengo chiamato due volte dallo psichiatra che mi chiedeva se avevo avuto già “contatti con questo tipo di servizi”, intendeva i farmaci ecc. psichiatrici: gli spiegai sinceramente che i “contatti” erano stati forzati e che non richiedevo io quei “tipi di servizi”, considerato che da più di 8 anni avevo finito con i SERT (*) e tutta la fattispecie di “servizi” attigui a quel sistema mercificato, compresi gli psichiatri!
Il secondo giorno di carcerazione vengo trasferito al piano terra del Centro clinico, nel Centro di Osservazione Neuro Psichiatrica (CONP). La sera di quel giorno mi veniva proposta dal dottore di reparto una terapia di neurolettici (il “Serenase”) …la rifiuto. Subito vennero fuori le minacce di essere mandato in OPG. Dopo qualche giorno mi viene consegnato un documento di trasferimento in OPG preceduto da una “camera di consiglio” fissata per il 18 febbraio, con un avvocato d’ufficio per la mia “difesa”. Quattro giorni prima entrano in cella 5 guardie con un infermiere, che indossa guanti di gomma, forzatamente mi fanno prima un’iniezione sotto-cutanea e poi anche un’iniezione di “Moditen Depò” (**). In aula, logorrea compulsiva del magistrato a parte, volevano assicurarsi sul mio comportamento.
Forse il 22 marzo, non ricordo bene, vengo trasferito nell’OPG interno al carcere di Reggio Emilia. Lì il clima era brutto, continue docce e oservazione forzata degli infermieri e anche delle guardie.
Fin dal primo giorno vengo obbligato (il ricatto era il Depot) a una terapia di Tavor (“farmaco “indicato per contrastare …stati di ansia o di tensione nervosa, insonnia nervosa e depressione ansiosa”) e Ziprez o anche “Ziprexa” (“indicato nel trattamento di alcuni disturbi di origine ansiosa, come il disturbo da attacchi di panico e il disturbo d'ansia generalizzata”).
Prima di riuscire a contattare l’avv. grazie ai compagni che mi hanno scritto, la cella veniva perquisita una volta alla settimana, a volte anche due. I giorni passano a rilento. Il clima repressivo della carcerazione veniva aumentato dalla condanna psichiatrica. Anche il tempo passava in modo peggiore perché il neurolettico ti metteva in attesa del momento migliore quello del cibo, della sigaretta, dell’ora d’aria. Intanto mi rende difficile la concentrazione, vorrei anche dormire, a volte, tutto il giorno, ma lo Ziprez va a diminuire il sonno no a aumentarlo.
Dopo un po’ di tempo, sempre comunque dentro l’OPG, finisce l’isolamento, vedo e frequento altri. La sorveglianza mi apre l’aria in comune con gli altri e gli psichiatri iniziano a fare gli amici ma io rifiuto completamente il loro sistema, come anche la necessità di prendere dei farmaci, bastano i rimedi naturali! Da qui il tempo passa. Vedo l’avvocato e mi viene a trovare un mio compagno.
In sezione ogni tanto qualcuno sclerava o si tagliava e gli facevano il Depot; qualcun altro provava ad impiccarsi, molti finivano in comunità reinserimento o REMS (***); molti venivano trasferiti e c’era anche qualcuno che aveva l’espulsione (immigrati).
Adesso io cercherò di costruire il mio presente in quegli spazi occupati, fuori dalle logiche di mercificazione del sistema.
Un saluto a tutti e tutte compagni e ribelli di vario tipo. Da S.Vittore a Reggio Emilia.

Davide (metà settembre 2015)

PS. Mi scarcerano accompagnato da una lettera di dimissione che è più del calvario della carcerazione stessa!: mi si ordina una terapia, condizione per uscire dall’OPG senza restrizioni, della quale è necessaria la presa di responsabilità di medici fuori. Ho avuto questa possibilità e sono fuori. Per tanti è più difficile e li tengono dentro.

(*) SerT: “Servizi Territoriali, autorizzati dalla Regione, in grado non solo di curare, ma anche fornire consulenza per affrontare tutti i problemi connessi all’uso di alcol e di droghe oppure, più in generale, di dipendenza, anche non da sostanze.”

(**) MODITEN DEPOT, come il SERENASE, “sono farmaci chiamati ‘neurolettici’ (mettono proprio a letto, ma di spine, chi li ingoia) efficaci soprattutto nel trattamento dei sintomi positivi (ad es., deliri, allucinazioni, disturbi del comportamento caratterizzati da aggressività), mentre riguardo ai sintomi negativi (quali, ad es., il ritiro sociale, la povertà di linguaggio, la difficoltà a prendere l’iniziativa) non solo hanno scarsa efficacia, ma possono indurre un peggioramento nel tempo della sintomatologia.”

(***) REMS: “Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria”, sono le strutture che dovrebbero sostituire gli OPG e che già sono state ribattezzate mini-OPG.


lettera dalle carceri svizzere
28 settembre 2015: 7° aggiornamento no liberazione
Nella “riunione n. 3 di coordinamento dell’esecuzione della pena” del 27 luglio 2015 c’è stata “l’audizione legale” del sottoscritto. Presenti: l’ennesimo nuovo “responsabile” e un’addetta alla verbalizzazione del DAP ZH; l’assistente sociale, una praticante e la responsabile per l’esecuzione penale (tipo vicedirettrice) del carcere di Bostadel; il mio legale. Ero presente perché sembravano soddisfatte le mie premesse: delle proposte reali per una “discesa” a prescindere dalle folli “raccomandazioni-ROS” del servizio forense-psichiatrico del DAP. Mi presentarono, infatti, la copia della risposta più o meno positiva del carcere “semiaperto” Saxerriet (cantone di San Gallo), al quale il DAP aveva chiesto di “ospitarmi” per un percorso di “discesa”.
Una riserva del Saxerriet era la mancante consultazione della “commissione specialista della CH Nordest”. Queste “commissioni” (4 in tutto) di recente istituzione (nel generale “giro di vite” della “giustizia”) sono composte da direttori di carceri, PM, psichiatri, psicologi, ecc. e si riuniscono periodicamente per valutare i casi di “discese” e “liberazioni condizionali” previste dai vari DAP cantonali per detenutx stigmatizzatx con la “pericolosità sociale”. Poi emettono per ogni “caso” le proprie “raccomandazioni” spesso e volentieri negative, che non sono vincolanti ma quasi sempre seguite dai DAP.
La commissione in causa dovrebbe riunirsi inizio ottobre 2015 per poi forse già nella stesso mese comunicare le proprie “raccomandazioni”.
Con esposto del 24 agosto, il DAP-ZH chiede a tale commissione:
“…una presa di posizione sulla questione, se per il detenuto mc… le aperture nell’esecuzione della pena (insomma, ora “alleggerimenti”, ora “aperture”…) prospettate in suddetta riunione di coordinamento… del 27 luglio 2015, vale a dire:
- trasferimento nella sezione chiusa/di transito del penale Saxerriet;
- spostamento nella sezione aperta del penale Saxerriet;
- dalla sezione aperta del penale Saxerriet: vari permessi relazionali con scorta e permessi relazionali senza scorta;
- lavoro esterno;
- abitazione e lavoro all’esterno;
- liberazione condizionale (1° trimestre 2018) (sic!!).
Sono dal Vostro punto di vista sostenibili sotto l’aspetto della pericolosità sociale.
I permessi con e senza scorta sarebbero da vincolare alle seguenti condizioni:
- inoltro previo ed osservanza di un programma dettagliato per il permesso;
- scorta continua di personale del penale Saxerriet (nei permessi scortati);
- redazione di un resoconto da parte di Marco Camenisch;
- divieto di consumare droghe ed alcolici (incl. Cannabis) la cui osservanza è da verificare con i relativi controlli da parte del penale Saxerriet;
- osservanza di un divieto di acquisto, di possesso, di porto e di avere con sé delle armi (sic!!!)
Durante il periodo di prova dopo la liberazione condizionale è prevista la prescrizione di un’assistenza (sociale)* al reinserimento come anche le seguenti disposizioni:
- divieto di consumo di droga (incl. Cannabis) la cui osservanza è da verificare dall’assistenza* al reinserimento dell’ufficio per l’esecuzione delle pene e delle misure 3 (dal DAP-ZH) con i relativi controlli;
- partecipazione a regolari colloqui con l’assistenza* al reinserimento dell’ufficio per l’esecuzione delle pene e delle misure 3;
- osservanza di un divieto di acquisto, di possesso, di porto e di avere con sé delle armi (ri-sic!!!)…”
Da notare, dopo quasi 30 anni di galera, l’inaccettabile “libertà” condizionale di ridicoli 4 mesi con un periodo non definito “di prova e disposizioni” che può essere ordinato per un massimo di ben 3 anni dopo la “libertà condizionale”.
Dopo il fine pena maggio 2018 potrei essere soggetto a ben 2 anni e 8 mesi di tali “disposizioni” (di fatto un prolungamento della pena) ed inoltre, in caso di “non osservanza”, essere riarrestato in ogni momento per espiare questi (ultimi) 4 mesi. Dato che una “liberazione” condizionale non è appellabile (non è ancora chiaro se lo sono i tempi di “prova/le disposizioni”) possibilmente dovrò ritirare il mio consenso a una “discesa”, oppure in caso di “liberazione condizionale” 4 mesi prima del fine pena “non osservare” le prime due “disposizioni” (divieto di consumo di Cannabis…, i “regolari” colloqui con l’assistenza ecc. ecc. …) per farmi questi ultimi 4 mesi vale a dire il “fine pena”, dopo il quale sarebbe difficile oppure legalmente impossibile comminarmi “periodi di prova” con le “disposizioni” (vale a dire vessazioni e “tarantelle”) sopra descritte.
Per il momento l’unica “certezza” è: che un eventuale trasferimento nel penale Saxerriet potrebbe avvenire in data indeterminata dopo una “risposta” della “commissione”; che il DAP non ha più accennato alle “raccomandazioni” folli del suo servizio forense-psichiatrico; che per degli ev. “permessi relazionali” ha richiesto una lista d’indirizzi, per un (non meglio specificato) “controllo di polizia”.
Questo, insieme al fatto che nel verbale della riunione sotto il titolo “prognosi legale/valutazione dei rischi” (prognosi e valutazione ora all’improvviso positiva) come “prospettive future/obiettivi/misure” anticipano l’intenzione di un oscuro “monitoraggio d’attività delitto-associate durante le previste aperture nell’esecuzione”, fa supporre che vogliono far rientrare per la finestra le “raccomandazioni-ROS”.

28 settembre 2015
Marco Camenisch, Postfach 38, CH-6313 - Menzingen (Svizzera)


Lettera dal carcere di Sulmona (aq)
Carissimi amici di OLGa, vi faccio sapere che mi trovo nel carcere di Sulmona per punizione. Dopo 9 mesi di torture psicologiche nonché morali, non facendomi dormire per notti intere. Il cervello è entrato in tilt e alle 4 del mattino dicono che ho gettato acqua bollente a due assistenti capo della penitenziaria… Dico, dicono perché di quei momenti ho qualche flash perché non ero in me.
Purtroppo soffro di gravi patologie tra cui anche psicologiche, ma non vengo curato. Questi sono i risvolti di una violenza voluta da loro… dopo di che si nascondono dietro le loro divisa. Questo gruppetto di 6-7 agenti sono ubriachi, non hanno rispetto di noi detenuti ma anche del ruolo che dovrebbero rappresentare.
Qui, mi hanno fatto pure una specie di consiglio per applicarmi non so che misura restrittiva, ma i medici, come si sa, forse non hanno dato assenso, come lo psicologo (che qui manca), ma, assunto per quel giorno, per farmi perizia, come credo abbia fatto lo psichiatra che qui deve seguire circa 230 detenuti con problemi di vario tipo.
Non mi hanno portato al centro clinico come disposto da ordinanza del Tribunale della Libertà, cioè Pisa. Non hanno applicato l’ordinanza della Corte d’Assise che disponeva il ricovero con scorta in ospedale.
Mi hanno applicato invece la teleconferenza in tutti i processi per motivi di sicurezza, pericolosità! L’altro giorno, 28.09.2015, presenzio al processo in teleconferenza dove il pm richiede l’ergastolo con 1 anno di isolamento diurno, senza il nulla di prove e di gravi indizi. Ma questa è un’altra storia! Ma la cosa che più mi ha colpito è che il presidente della Corte (donna, ovviamente con uomo era lo stesso), chiede al pm se la richiesta di 41bis fosse già stata fatta. Mi chiedo, ma il giudice è terzo perché neutro? Non è giocatore dell’accusa! Ovviamente non mi nascondo dietro alle mie patologie fisiche nonché psicologiche-psichiatriche. Quando si svolgerà il processo parlerò per il mio fatto non giustificabile… ma non giustificabile è ciò che hanno fatto in 9 mesi…
Sì, devo fare molte visite, ma qui il tempo è quello che è. Questo istituto non è idoneo per le mie patologie, ma ci sono ugualmente. Come possono condannare la violenza quando la esercitano loro? Il detenuto che prima è essere umano, cosa deve fare, spogliarsi della propria dignità? Che lotte si fanno nelle carceri e fuori per ristabilire il diritto penale? Nonché i diritti umani nei CIE? Sciopero della fame? Mi viene da sorridere, ma sorriso amaro!
Ormai mi sono messo nelle mani di Dio nonché di Gesù Cristo suo figlio spirituale… non credo più nell’essere umano, meglio, nella ribellione degli italiani! I cittadini fuori hanno tanti problemi che i signori politici creano perché si mangiano palate di miliardi di euro! Il cittadino detenuto viene condannato con un processo che non tiene conto dell’art. 111 della Costituzione (presunzione di innocenza); nelle carceri non è trattato come essere umano, non fanno altro che creare dei “martiri”! Concludo perché mi annoio, perché le chiacchiere stanno a zero diceva un uomo perbene che non c’è più.
Mi ha molto appassionato la storia di Karima, mi ha emozionato e fatto sentire vivo di come una donna ha lottato, magari sta lottando, per un suo morto, con la sua famiglia, con dignità, non accettando l’elemosina indegna di un assessore che magari con le tasse delle persone fa la bella vita. Questa è l’essenza della lotta per le cose giuste, non le chiacchiere e i lamenti.
Spero soltanto che alcuni politici, gente di potere istituzionale si rendano conto che hanno portato e stanno portando alla disperazione, alla sofferenza più immane i cittadini italiani, nonché la popolazione di cittadini italiani detenuti! Tutti i contatti sociali si stanno estremizzando. L’eccesso, l’estremo non porta nulla di buono. Non so dove ho sentito o dove l’ho letta, la frase che mi appresto a scrivere: “Quando la dittatura è un fatto la rivoluzione è un dovere”. Noi non siamo in una democrazia… è stata sospesa. Oggi ogni giorno con i cittadini si viola la Costituzione. Alcuni e certa parte della magistratura oggigiorno sistematicamente violano la Costituzione (da loro tanto sbandierata), il Codice Penale, il diritto penale; nelle carceri violano i diritti umani, l’ordinamento penitenziario… e posso andare avanti ore. A cominciare dallo schifo che l’occidente sta facendo con i musulmani per creare caos in quell’area per tutti i motivi economici che posso elencarvi.
Quindi ma di che cosa stiamo parlando? Di lamenti, di scioperi della fame? Amo quel libro che mi avete mandato “I dannati della Terra”. Ma quei documenti, ma quanto sono attuali, specie quello sul mafioso. Mi sono messo a sorridere. Ovviamente non si fa mai di tutta un’erba un fascio, si fa peccato! Poi vorrei capire cos’è ‘sta mafia? Ancora rincoglioniscono le persone, i cittadini con questa mafia. Sì, il Male esiste come il Bene, ma “criminali” è il giusto nome? Criminali organizzati? Forse mi starebbe anche bene. Ma la mafia, proprio mafia, dopo aver letto di tutto e di più, dopo aver sentito di tutto e di più, mi sono convinto che la mafia è il potere dello stato in tutti.
Mi sbaglio? Forse? O forse no. Ognuno si fa dopo anni di ripetuti bombardamenti su tale tema una sua opinione. Io, per esempio, con questa è la terza volta che pago “associazione mafiosa”. Due volte ero in carcere solo perché passeggiavo con tizio e caio (ero minorenne – ma mi hanno fatto pagare 18 anni e 1 mese), e adesso associazione mafiosa come capo promotore con affiliati ignoti. Cose da pazzi! Io, con serenità, a 42 anni non so cos’è ‘sta mafia. Ma seriamente! Ladro, criminale, sempre rubare quando ero ragazzino sì. Ma ho pagato con 24 anni della mia vita senza liberazione anticipata.
Dopo 20 anni circa, lavoro, non frequento nessuno. Collaborano gente che per giunta dicono siano amici miei. Non sono che le cose del passato che sapevano (gente incontrata nei carceri quindi sapevano le imputazioni) la mia storia passata fatta di processi a cui sono stato sempre estraneo come associazioni. Sempre in carcere con chi mi sarei associato con i direttori dei carceri dove sono stato? Oggi mi ritrovo a vivere le stesse schifezze, perché? Per sentito dire!!!
Lottare, lottiamo e viva i No Tav di Torino che sono vicini alle loro lotte cuore. Viva la vostra associazione! Spero non mi danno 416bis… scherzo, sdrammatizzo, che fa, si piange? Sarebbe acqua sprecata! Un caro saluto a tutti quelli al 41bis, lottiamo per abolire questa legge infame – oltre che illegale, al di là di chi siamo e di che cosa hanno o non hanno commesso. E ci lamentiamo chi come noi non ha il 41bis? Riflettete compagni di sofferenza-detenuti! [...]
Ciao Francesco, Sulmona hotel.

1 Ottobre 2015
Francesco Di Stefano, via Lamaccio 2 - 67039 Sulmona (L’Aquila)


sulle mobilitazioni nelle carceri venete
Solidali davanti al carcere di Vicenza, sabato 26 settembre 2015
Nel pomeriggio ci si è trovati per oltre 2 ore, provenienti da diverse città, in oltre sessanta per far sentire vicinanza e complicità a chi dentro in questa galera resiste, non abbassa la testa, respinge gli attacchi alla propria e altrui dignità. Questo si è urlato ai prigionieri nei diversi interventi lanciati davanti al carcere anche attraverso lo striscione appeso nel presidio: “A fianco di tutti i detenuti in lotta fino alla libertà…Hurriya!”. In alcuni momenti si è riusciti persino a sentirsi, a comunicare direttamente con fischi e battiture.
In questo carcere come in tanti altri, accompagnata dalle prepotenze delle guardie, anche verso i familiari che si recano ai colloqui, la quotidianità oggi è segnata dalla scarsità dell’igiene, dalla “sanità” centrata sui “farmaci” che incutono dipendenza, dal vitto disastroso, dai prezzi in continuo aumento degli stessi generi di primissima necessità, dall’impossibilità di lavoro per garantire almeno un minimo di disposizione di denaro…
Questa realtà in questo carcere è stata comunicata apertamente il 29 aprile scorso da quattro prigionieri saliti sul tetto dove sono riusciti a rimanere un giorno e una notte.
E’ vero, sono stati immediatamente trasferiti, ma è ancor più vero che hanno contribuito a spingere altri a ribellarsi, a non accettare le prepotenze, gli inganni, il rapporto ricatto-premio e peggio della direzione, delle guardie e del magistrato di sorveglianza - tutti uniti, come accade in ogni altra galera.
“Anche da fuori è possibile sostenere le proteste, portare solidarietà e dare voce a chi si trova rinchiuso. Solo in questo modo le rivendicazioni dei prigionieri potranno acquisire più forza.”
Questo l’impegno, ben espresso in un volantino diffuso e assunto dal presidio.

Milano, settembre 2015

Venezia: ancora sotto quelle mura
Ci avevano provato. Due settimane fa, con la notifica di quattro fogli di via a quattro solidali con le proteste dentro Santa Maria Maggiore. Poco dopo, con il trasferimento di diversi detenuti, accusati di essere i “capi della rivolta”, in altre carceri del Veneto.
A uno di questi, “sballato” in pigiama senza nemmeno la possibilità di recuperare i propri effetti personali, è stata fornita come motivazione il fatto che avrebbero sentito sua moglie salutarlo al microfono durante uno dei tanti presidi di sostegno improvvisati.
Ci hanno provato. Notificato un altro inizio di procedimento per foglio di via ad un’altra solidale questa settimana. Facendo telefonate minatorie e invitando le persone a non presentarsi sotto le mura. Strumentalizzando schifosamente la notizia del tentato suicidio in cella di un ragazzo, che avrebbe aggredito il suo secondino “salvatore”, per lamentarsi ancora della loro misera vita di carcerieri.
Ci hanno provato, ma non ci sono riusciti. La manifestazione di sabato 3 ottobre è stata molto più partecipata del solito, ha espresso solidarietà alle lotte dei detenuti e ai solidali colpiti dai provvedimenti di allontamento.
Nonostante la pressante presenza sbirresca, che ha isolato completamente la zona del carcere e del tribunale, più di un parente e qualche amico dei reclusi si è unito a un presidio sempre più numeroso.
Poco prima della fine la celere è avanzata, cercando a tutti i costi un pretesto per caricare, rimediando qualche insulto (anche da dentro) e una figura patetica. Più di qualcuno, da dietro le sbarre, ha ringraziato le tante persone accorse riuscendo ad aprire le finestrelle delle celle e sporgendosi per salutare. Un sostegno coraggioso che aiuta a non demordere e a continuare sulla bellissima strada che si è riusciti a tracciare.
Il presidio, dopo un breve corteo per le calli, si è infine spostato in Campo Santa Margherita, dove si è improvvisato un concerto e un volantinaggio informativo.
I detenuti di Santa Maria Maggiore vi ricordano che il carcere è una merda. Già. Ma anche che sotto, e dentro, un carcere si può piangere, di gioia, di tristezza, di commozione, che si può ridere a crepapelle, fare festa, sbeffeggiare insieme una guardia troppo zelante. Ci ricordano che del carcere si può smettere di avere paura.
E non finisce di certo qui.

ottobre 2015, da questacasanoneunalbergo.noblogs.org

Proteste nel carcere di Montorio (Verona)
Il 12 ottobre, dopo un primo momento di tensione fra detenuti ed agenti carcerari - durante il quale un detenuto avrebbe aggredito un agente - viene appiccato un incendio all’interno di una cella, dando fuoco al materasso. L’incendio viene domato, ma 12 poliziotti vengono trasportati in ospedale per intossicazione. All’origine dell’incendio c’è la protesta di alcuni detenuti a cui sono state rifiutate le richieste di vedere i figli e di cambiare sezione.
Passano appena 48 ore e la protesta riparte. Come era successo due giorni prima, dopo un confronto fisico con un agente i detenuti danno fuoco a due celle. Anche in questo caso una decina di agenti risultano feriti.
È necessario contestualizzare queste recenti rivolte avvenute nel carcere di Montorio.
Già nell’estate 2014 infatti i detenuti avevano inviato una lettera alla direzione del carcere, firmata da circa 250 persone su un totale di 500, in cui chiedevano: meno affollamento delle celle, maggiore attenzione nella preparazione e distribuzione del cibo, maggiore igiene nelle docce comuni (causa di numerose infezioni fra i detenuti), disinfestazione da scarafaggi e insetti, rispetto dell’aria, ecc. Nell’aprile 2015, probabilmente in seguito al silenzio dell’amministrazione di fronte alle richieste, i detenuti avevano adottato la stessa modalità di protesta ripresa quest’autunno, incendi di materassi… e conseguenti scontri con le guardie…

13 ottobre 2015, Estratti da infoaut.org


LETTERA DAL CARCERE DI BANCALI (SS)
[...] Qui come sai è un posto schifoso, siamo come nel 12° secolo, ma ci sono pochi che si lamentano. Ho letto nell'opuscolo la lettera dei compagni, sono d'accordo coi compagni che scrivono che quei 5 mesi all'anno che ti tolgono, lo fanno per poterti trattare come una mummia; che non si lamenta.
Io come ben sai non ho preso questi loro “benefici”. In 18 anni che sono in galera non ho preso “giorni” e ho anche perso 2 indulti da 3 anni. Ho preso 8 anni di galera in galera. Qui in Italia le mani della “legge” sono lunghissime ah, ah. Poi ti scrivo che a me questi vermi qui non mi possono trattare come una mummia. Mi lamento sempre e gli dico quello che penso di loro.
Per le altre cose è sempre tutto uguale; vivo giorno per giorno. Aspetto di vedere se mi trasferiscono da questo posto merdoso. Per l'estradizione non ho ancora novità. Ho scritto alla Procura Generale di Milano e gli ho chiesto l'estradizione. La lettera l'ho mandata tramite la matricola del carcere per due motivi, non sapevo l'indirizzo della procura e non avevo soldi per mandare la lettera in raccomandata. Spero che questi vermi l'abbiano spedita. Qui parlo con poche persone, ci sono pochi che ispirano fiducia, i tempi sono brutti. Per adesso finisco questa lettera, spero trovi tutti voi in buona salute. Saluta da parte mia tutte le compagne-i e a te un caro saluto da questo “albergo” da favola, ah, ah, ah.

Jasmir Sabanovic, Strada Provinciale 156, Via Abbaccurrente, 4 - 07100 Bancali (Sassari)



Lettere dal carcere di velletri (rm)
Carissimi/e compagne/i, (riflettendo sulle parole del Papa): il Papa ha chiesto l’amnistia generalizzata per i detenuti. I detenuti in silenzio aspettano. Se in qualcuno germogliasse la convinzione che siamo tutti prigionieri sociali, di un sistema che prima affama e poi punisce sempre gli stessi, sempre il popolo, non ci sarebbe bisogno della pietà di sua santità: le mura, tutte le mura delle patrie galere tremerebbero. Coraggio! Dentro e fuori. Un saluto complice a chi non si è ancora arreso! Enrico.

Velletri 21 settembre 2015
Enrico Cortese. Via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)

***
[...] qui i prezzi delle cose che si usano tutti i giorni sono aumentati: la bomboletta di gas costava 1,35 euro ora 1,85; il fornello da 15,40 euro a 18; la busta di caffè da 3,15 euro a 3,39; lo zucchero da 0,99 a 1,05. Tanti anche qui non hanno il denaro per questi prodotti ultra-necessari. Quello che paghiamo se lo mettono in tasca la ditta che rifornisce questo carcere assieme all’ufficio-spesa interno. Un reclamo tutti insieme dobbiamo farlo. Vedremo...

17 settembre 2015
Claudio Perrone, via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)

***
[...] vorrei farvi sapere delle nuove leggi penitenziarie. Dentro queste patrie galere, fottuti tutti i carceri, dobbiamo, come dice la legge, una fottuta legge di questo stato, che già all’inizio della giornata carceraria dobbiamo pagare, dice la legge varata il 7 agosto 2015 e firmata dal ministro Orlando, fissa che:
“Visto l’art. 2 della Legge 26/07/1975 n. 354…
Considerato che la citata disposizione di legge precisa che le spese di mantenimento per le quali può farsi luogo a recupero sono soltanto quelle concernenti gli alimenti ed il corredo, e che il rimborso ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del costo reale;
Ritenuto che il costo effettivo per gli alimenti ed il corredo risulta essere di €. 5,44 e che pertanto la relativa quota di mantenimento da porre a carico del detenuto, pari ai 2/3 del costo reale, risulta essere di €. 3,62 ripartito come segue:
colazione €. 0,27; pranzo €. 1,09; cena €. 1,37; corredo €. 0,89…
Decreta che la quota di mantenimento da recuperare a carico dei detenuti
è fissata dalla data del presente decreto in €. 3,62 per giornata di presenza.”
In un mese quella somma sale a 112,22 euro.
Vedremo se nel prossimo mese riusciranno a togliermi questi soldi che mi vengono caricati dalla mia famiglia - da più di 12 anni di detenzione che fino ad ora ho fatto. Allora sì che ci sarà una nuova lotta. Questo riguarda tutti, però, credo, sono esclusi i prigionieri senza fissa dimora, stranieri!
Ci vuole una mobilitazione, una proposta di lotta aperta a tutti/e a chi lavora in carcere di qualsiasi nazione. Lo stipendio sarà misero. ‘è qui un detenuto che lavora da moltissimo tempo, dalla busta paga che ha preso questo mese gli hanno tolto 108 euro per il “mantenimento”. Non si sono presi solo la quota su settembre, ma anche quella su agosto. E’ una vergogna.
Amici miei, compagni/e ci stanno attaccando di nuovo e, sicuramente, attaccano anche l’onesto cittadino lavoratore o pensionato. Le tasse saranno di più. Come si dice, prima che nasci già hai debiti con lo stato! E’ un detto. Finora io non ho mai pagato niente allo stato, ma ad altre prospettive sì.
Carissime/i compagni/e, mando un saluto a tutti e tutte voi. La solidarietà non si arresta. Un abbraccio a Chiara, per l’opuscolo che ci ha spedito, e ai suoi compagni

12 ottobre 2015
Claudio Perrone, via Campoleone, 97 - 00049 Velletri (Roma)

***
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziari, con Circolare GDAP-PU-0298924 del 7 settembre 2015, ha comunicato ai direttori delle carceri ed ai provveditori regionali che la quota di “mantenimento in carcere” a carico del detenuto è aumentata a 3,62 euro al giorno (108,6 euro al mese, in pratica il doppio di quanto dovuto finora).
Di seguito il testo del Decreto ministeriale del 7 agosto 2015, che sarà pubblicato nel Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 18 del 30 settembre 2015.
“Visto l’art. 2 della Legge 26/07/1975 n. 354 recante norme sull’Ordinamento Penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà; considerato che la citata disposizione di legge precisa che le spese di mantenimento per le quali può farsi luogo a recupero sono soltanto quelle concernenti gli alimenti ed il corredo, e che il rimborso ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del costo reale; ritenuto che il costo effettivo per gli alimenti ed il corredo risulta essere di €. 5,44 e che pertanto la relativa quota di mantenimento da porre a carico del detenuto, pari ai 2/3 del costo reale, risulta essere di €. 3,62 ripartito come segue: colazione €. 0,27, pranzo €. 1,09, cena €. 1,37, corredo €. 0.89 = quota mantenimento €. 3,62.
Visto il parere espresso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con nota prot. n.47323 datata 08/06/2015, decreta: la quota di mantenimento da recuperare a carico dei detenuti è fissata dalla data del presente decreto in €. 3,62 per giornata di presenza”.

22 settembre 2015, da contromaelstrom.com


Lettere dal carcere di Opera (mi)
Il carcere di Opera si distingue da sempre per le dure condizioni detentive che subiscono, non solo i prigionieri ma anche i familiari e gli amici che si recano a far loro visita.
Dal 2004 è stata ricavata (al posto del femminile, attualmente non più presente) una palazzina dove sono rinchiuse oltre 100 persone in regime di 41bis, le nefandezze e le torture insite in questo regime non possono che riflettersi ed influenzare l'intero “Istituto di Pena”. Parenti ed amici ci raccontano di perquisizioni al limite della sopportabilità, spesso con l'ausilio di cani aizzati contro di loro dalla guardia di turno. Le arie verdi sono, non solo insufficienti ad ospitare i colloqui di 1.400 persone ma soprattutto rispondono a logiche spesso premiali, non ci si va se si hanno bambini, ci si va solo se il detenuto si comporta in un certo modo altrimenti gli stessi bambini smettono di averne diritto.
All'interno del carcere decide il Direttore, Giacinto Siciliano, soprannominato dai parenti “il primo torturatore”, la carriera del suddetto personaggio è fin troppo nota.
Le violazioni del diritto alla salute sono le risposte della direzione alle necessità della cura. Le sintesi e l'accesso ai benefici è quasi inesistente e basato sulle simpatie di Direttore e compagnia varia. Al Direttore di Opera piace pensare che un ex-carabiniere possa fare l'educatore in un carcere e ciò è perfettamente in linea con l'impronta assunta da questo carcere, quella di un carcere di massima sicurezza e non certo di un carcere “aperto” sul modello-Bollate, come lo vorrebbero spacciare...
All'interno del carcere, sul terreno del campo da calcio è in costruzione un ulteriore padiglione da oltre 400 posti così da assegnare indiscutibilmente il primo posto in Europa come grandezza e “assortimento di regimi carcerari” al carcere di Opera; pare infine sia in costruzione anche un'aula bunker. E’ sempre più difficile la corrispondenza con l'interno ed avere, di conseguenza, notizie su quel che accade. Di sicuro da dentro qualcosa ci giunge con anche il seguente invito: “Sarebbe molto bello ascoltare le vostre voci cosicché al torturatore - il direttore - possa arrivare il segnale: che le sue torture sono ben conosciute da tutti”. Un invito che raccogliamo.

Ciao compagni, mi porto a voi con questo mio scritto per segnalare (in unione ad altre segnalazioni di compagni detenuti), l’inadeguato comportamento dell’educatore di reparto. Il giorno 10 settembre 2015 sono stato chiamato a colloquio con l’educatore, colloquio di primo ingresso. Mi ha fatto delle domande a mio parere prive di senso, senza chiedermi nulla di relativo sulla mia situazione giuridica. Ma quello che più di tutto mi ha lasciato stupito è una frase che mi ha detto, a me come ad altri tre compagni. Cito testuali parole. "Fai attenzione a non scivolare sulle bucce di banana”.
Ad oggi non ho ancora capito il senso di quella frase; molto probabilmente si crede di aver fare con animali da zoo. Quello che non ha capito è che siamo esseri umani con diritti e dignità, cose che qui a Opera vengono tolte quotidianamente, in particolare dall’educatore che dà più importanza a cose futili del tipo quante volte ci masturbiamo al giorno, o quanti tatuaggi abbiamo sul corpo, trascurando il suo vero compito che è quello di lavorare sulla nostra persona per un reinserimento sociale.
Vi saluto con cordiali saluti.

metà ottobre 2015

***
Dichiarazione collettiva dal carcere di Opera
(Per conoscenza all’Associazione Antigone, Presidente Gonnella)
Noi sottoscritti detenuti del primo padiglione, 4° piano, sezioni A, B e C del carcere di Opera con la seguente chiediamo alla Direzione e ai responsabili del piano trattamentale dell’istituto di Opera (MI) che ci sia assegnato un nuovo educatore che possa esprimere un giudizio sereno su ogni detenuto.
I motivi che ci hanno spinto a chiedere che sia rimosso l’educatore Pizzuto sono molteplici e daremo alcuni esempi da cui si evince che il suo giudizio preclude il percorso trattamentale.
1) L’educatore risulta essere un ex carabiniere, senza nulla togliere che potrebbe essere un vantaggio (per altri), se non fosse prevenuto e non usasse il premio-ricatto e altri metodi che destabilizzano molti detenuti.
2) L’educatore ad alcuni detenuti che 10 o 15 anni fa hanno scontato condanne per oltraggio alle forze dell’ordine ha detto che meritano di essere ubicati nelle sezioni chiuse… questo è inaccettabile e dimostra come sia prevenuto verso i detenuti.
3) Abbiamo mille motivi contro i suoi abusi e ricatti e questa è la seconda richiesta che inoltriamo per chiedere il rispetto dei giudizi di sintesi che possono ostacolare l’inserimento e il futuro di tutti noi.
Questa richiesta sarà sul web in modo che stavolta gli organi competenti possano darci questo nostro diritto a chiedere che ci venga assegnato un nuovo educatore per allentare quel clima di esasperazione e tensione creato da lui.

In fede, i detenuti
(seguono 124 firme)

***
[…] i libri che mi avevi mandato prima di agosto, non li ho ancora ricevuti e penso che ormai non li ricevo più, perché qui tutto dipende da chi smista la posta e se trovi quello che non gli va a genio qualcosa, non ti fa avere le cose perché qui più di una volta mi è capitato di sentire e vedere che quando davano la posta se era passato qualcosa che secondo loro non doveva passare (tipo: foto della polaroid, riviste porno, cd, bracciali o libri di un certo tipo) facevano il cinema e insultavano il loro collega che smistava la posta e mi portavano via la posta non consentita. Io personalmente un giorno ho litigato perché avevano chiamato per la posta, ma a me no. Per verificare ero passato davanti al loro gabbiotto e vedo una copia di un giornale che ricevo solo io, sono entrato nel gabbiotto a chiedere perché non mi stavano dando quella rivista e uno mi risponde che quei giornali non erano ammessi. Cosa che non era vera, visto che l’avevo ricevuta per parecchi anni. Alla fine me lo hanno data; è andata avanti per diversi mesi, poi di nuovo hanno ripreso la tarantella.
Qui va così, se la mattina si sveglia qualcuno male, decide che certe cose non le puoi ricevere o avere. Così di colpo hanno deciso che gli indumenti di colore militare o i pantaloni mimetizzati non possono più entrare, e anche le felpe con il cappuccio; ne ho persa una a cui tenevo molto, un regalo. Ma purtroppo ormai fanno il cazzo che vogliono visto che nessuno gli dice niente e i pochi che si ribellano vengono visti come pazzi, perché ribellandosi si perdono i giorni e tutte ste stronzate qui […]. Ti saluto con un forte abbraccio.

Settembre 2015
***
Ciao, spero che questa mia venga a trovarti in ottima forma e di buon umore.
Ho ricevuto la cartolina con la rassegna stampa del mese corrente, come sempre un grazie per il vostro caro pensiero; […]. Ti chiedo cortesemente se puoi mandarmi la sentenza della Corte Costituzionale nella quale è stata dichiarata l'incostituzionalità della ex Cirielli in materia di recidiva. Questa sarebbe utile per chiedere la ri-determinazione della pena a molte persone che sono senza avvocato o anche nono possono averlo.
Ora vi lascio con la penna ma non con il cuore, felice di avere al mio fianco dei cari compagni come voi. Ti invio il mio caro saluto con un abbraccio, ciao.

Settembre 2015

Il materiale citato in quest’ultima lettera è disponibile a chi ne faccia richiesta.


lettera dal carcere di Pisa
Vi mando tanti saluti a tutti anche se non vi conosco. Vi faccio sapere che quello che mi avete spedito mi è arrivato e vi ho scritto. Se non avete ricevuto posta da me ringraziate il carcere di merda di Porto Azzurro. Come spesso capita a volte la posta non si sa che fine fa, mi dispiace. Ma come sapete questi sono ambienti infami e soprusi e cattiverie da parte di questi sono all’ordine del giorno.
Ora mi trovo al Centro Clinico di Pisa per motivi di salute e in questo periodo sono in guerra con questi infami, perché potrei uscire, addirittura “per “incompatibilità” con il carcere, ma visto che non ho un domicilio e una residenza mi tengono in carcere. Sono ancora qui grazie agli assistenti sociali di fuori che non riescono a trovarmi un posto dove mandarmi… Ciao a tutti, con sincera amicizia Roby.

9 settembre 2015
Roberto Gianneschi, via Don Bosco, 43 - 56100 Pisa


Contributi su diversi temi inviati da chi sta oggi in carcere
Carissim* compagn*, mi auguro possa veramente nascere un dibattito serio perché riuscire a creare una rete significa anche avere un’organizzazione migliore che può incidere di più; significa non lasciare voi nel pesante lavoro di diffusione delle notizie da dentro le carceri e significa anche poter pensare ad una cassa comune anticarceraria che potrebbe rispondere a tante cose, come, ad esempio, quella di poter mandare più opuscoli, stampare manifesti da attacchinare tutti uguali ecc. ecc.
L’altra volta ci pensavo e credo che per allargare l’interesse sulle carceri si potrebbe ragionare nel lanciare un’assemblea nazionale nella quale poi creare in ogni riunione gruppi di lavoro che a livello fattivo potrebbero impegnarsi nel stampare l’opuscolo e distribuirlo ai colloqui fuori dalle carceri e spiegare ai familiari dei detenuti come farlo giungere (ovvero scrivendovi). E’ un modo per responsabilizzare e rendere partecipi chi è sensibile alla causa ed è un modo per far incontrare una volta al mese i compagni.
Se questa cosa prende piede automaticamente nascono momenti di confronto e sono certo che si potranno solo fare cose ancora più grandi volta per volta.
Vedete tra compagni, ex-detenuti, familiari e semplici persone, sono molti coloro che hanno sensibilità su questo tema, ma è predominante la linea dei radicali che, con lo sciopero della fame di Pannella o, peggio, con l’intervento del Parlamento credono si possa ottenere qualcosa.
L’unico modo per ottenere qualcosa è la mobilitazione e la controinformazione, ma se ci limitiamo all’opuscolo, a un presidio o ad una lotta di un singolo, lo stato fascista in cui viviamo ci schiaccerà sempre. E tale cosa la penso pure a livello politico. C’è da fare una scelta: o ci accontentiamo di vedere una fiammata bella e intensa o accendiamo il fuoco. Io preferisco la seconda.
Anche questa volta vi chiedo di ragionarci e sono certo troverete il metodo.
Saluto i compagni Davide, Maurizio in carcere, che da tempo non sento, probabilmente non hanno mai ricevuto le mie lettere. Un abbraccio di rivolta, a pugno chiuso.

Inizio settembre 2015

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Ciao compas, scrivo, interrompere ogni relazione sarebbe stupido, già devo evitare supporti fondamentali, sia economici che morali! E voi in questi due anni siete diventati necessari, come quelle cose che ti escludono e accomunano allo stesso tempo, capaci di darti il coraggio giusto per ripeterti che non sei solo a pensare che devono crepare loro e le loro galere!
Le proteste per respingere le restrizioni più incredibili (sui libri, sui pacchi portati-inviati dai familiari, sugli spazi di socialità interna sportiva e altri, sull’igiene come sul cibo, sull’aumento dei prezzi delle cose acquistate attraverso lo spaccio…), son le cosiddette “lotte intermedie”, no?!
E’ triste doverlo ammettere, ma è vero, prima o poi si finisce col dedicarsi a quelle o a chiudersi nei propri cazzi quotidiani! Ma non è vero che non servono a niente dal punto di vista generale; seppur sembrano lontane da un obiettivo degno, tengono viva la tensione, uniscono la sezione, fanno capire a chi deve che non ci possono trattare come rifiuti umani.
Ho rapporti epistolari con diversi compagni e tutti convergono sulla frustrazione (sigh!) di non poter fare di più da dove ci troviamo e c’è poco da cercare parole decenti: è voglia di uscire, di tornare liberi, perché isolati, attenzionati, guardati come pericolosi già dagli stessi detenuti! Ma, nonostante tutto penso che sia il costo da pagare, se andasse tutto liscio significherebbe che non siamo capaci di disturbo e, a volte, mi sembra assurdo, ma se non vedono l’ora di trasferirci ogni volta che mettiamo piede in un carcere, beh… qualcosa da temere ce l’hanno, no?! ...
Un abbraccio stretto a chi lotta dentro come fuori….


resoconto udienza per i fatti del 15 ottobre 2011 a roma
Questa volta il pm si è contenuto: solo 1 ora e mezza di requisitoria. Un’ora e mezza in cui ci ha resi e rese partecipi di immagini video davvero “interessanti”: il concerto di Vasco Rossi, un corteo durante un conclave, una partita di calcio inframezzati da immagini della manifestazione del 15 ottobre, inclusa quella grazie a cui Francesco è stato riconosciuto: alcuni manifestanti (…compagni…) lo smascherano nel mezzo degli scontri di via Labicana permettendo così alla Digos di individuarlo. Chiunque di noi, dei pochi presenti a questa ennesima giornata di ipocrisia e vendetta, ha potuto realizzare quanta idiozia fosse insita in quella requisitoria. La sensazione generale è stata quella di assistere ad una pessima fiction.
Quanta arroganza, inoltre, nella difesa delle parti civili che, a voce bassa, rivendicavano l’immagine violata di una Roma Capitale e di aziende quali l’AMA e l’ATAC, dall’evolversi della manifestazione del 15 ottobre. A voce bassa eppur senza vergogna. Quasi che i miliardi fatti a spese degli immigrati, a spese della salute e della vita delle persone fossero questioni di normale amministrazione. E probabilmente è proprio così: sono proprio cose di normale amministrazione per questi mercenari al soldo dei potenti.
Per non parlare, poi, dell’avvocato del ministero degli Interni che allertava la corte del serio pericolo per la stessa sopravvivenza della democrazia, data dalla paura dei cittadini di scendere in piazza per manifestare pacificamente. Paura causata dalla violenza dei… manifestanti, ovviamente! L’ha chiamato “un trend” degli ultimi anni. Ci sarebbe quasi venuto di porle la fatidica domanda: “E secondo lei, egregio avvocato, perché la gente scende in piazza e si incazza?” Inutile naturalmente, perché le macchine volte a far soldi non solo non hanno un anima ma neanche capacità di riflessione.
E l’hanno sparata grossa questi pavidi: milioni di euro chiesti come risarcimento di cui buona parte in provvisionale. Il che significa che chi viene condannato dovrà risarcire parte dell’intero ammontare senza dover aspettare i canonici tre gradi di giudizio.
Le condanne richieste, invece, superano in totale i 100 anni di galera.
Perfino per Leonardo Chucky Vecchiolla, giovane compagno suicidatosi lo scorso anno, la Procura chiede 7 anni salvo concludere con la fredda formula “Pena estinta per decesso”. Scatta la rabbia e gli insulti verso Tribunale e PM, la seduta è sospesa, una compagna è espulsa dall’aula.
Una manciata di solidali in aula, un’altra manciata in presidio fuori. Eppure si era in centinaia e centinaia quel giorno a fronteggiare le guardie, a esprimere la nostra rabbia per chi ci vorrebbe impegnati quotidianamente e a 360 gradi in un sopravvivere fatto di nulla o, peggio, di sole nocività. Eppure ancora si grida “la solidarietà è un’arma”. Forse, però, ci si riferisce ad armi scariche e in disuso da tempo, arrugginite dal pantano delle rassegnazione. Ci rimangono solo vuoti slogans….
Così ci si avvia verso l’epilogo del primo grado di giudizio del processo per devastazione e saccheggio e tentato omicidio per i fatti del 15 ottobre 2011.
La prossima udienza è fissata per il 29 ottobre giorno in cui inizieranno le difese.

Milano, ottobre 2015


Maxiprocesso ai movimenti Livornesi: chiesti 38 anni di carcere
Questo pomeriggio si è svolta, probabilmente la penultima udienza del processo per il cosiddetto “assalto alla Prefettura” che vede imputate 22 persone la cui (quasi) totalità appartenenti al collettivo politico dell’Ex Caserma Occupata e altri movimenti cittadini.
Tre giorni di “disordine pubblico” iniziati il 30 novembre del 2012 quando numerosi attivisti, lavoratori e studenti decisero di contestare il comizio organizzato dal Partito Democratico presso la stazione marittima e furono brutalmente caricati per tre volte dal reparto dei Carabinieri. Il giorno successivo altra carica a freddo ai danni di un piccolo presidio che stazionava nella zona pedonale di Piazza Cavour e la successiva grande manifestazione del 2 dicembre che vide la partecipazione di migliaia di Livornesi. In quella occasione, al passaggio del corteo di fronte al palazzo del governo, furono lanciate transenne e fumogeni senza peraltro causare danni significativi.
Il Pubblico Ministero, nella sua requisitoria, ha ripercorso i fatti accaduti nei tre giorni sopra descritti confermando integralmente tutte le accuse formulate sia in fase di indagine che durante le prime udienze. La richiesta finale è stata molto pesante. 38 anni totali di carcere per il 20 imputati e due sole richieste di assoluzione (di cui una riferita ad una posizione già stralciata in fase processuale). La pena più alta, 3 anni e 4 mesi, per Ceraolo Giovanni accusato di essere uno dei responsabili, anche dal punto di vista morale, di quanto accaduto in tutte e tre le giornate.
Non possiamo che contestare integralmente e ancora una volta la strumentalità di queste richieste di condanna. Un tentativo chiaro di criminalizzare un’intera area politica. Una rappresaglia nei confronti di 20 ragazze e ragazze che da anni si battono, nella nostra città, affinché tutti possano veder riconosciuti i propri diritti. Dalla casa al reddito, dalla solidarietà con i lavoratori in lotta passando per le numerose battaglie ambientaliste da noi sostenute e promosse. Sono innumerevoli le iniziative di lotta e riappropriazione portate avanti negli anni dal nostro collettivo.
Viviamo in una città il cui tribunale assolve puntualmente i ricchi e i potenti di turno ma che evidentemente prova ad utilizzare il pugno duro neri confronti di chi, i ricchi e i potenti, li contesta quotidianamente.
Nei prossimi giorni verranno organizzate delle iniziative di solidarietà in vista dell’ultima udienza prevista per il giorno 29 ottobre. Solidarietà con tutti gli/le imputati/e.

Comitati Autonomi Ex Caserma Occupata
15 ottobre 2015, da livornoindipendente.it


notav: l’età non è un fatto anagrafico
Ieri sera, venerdì 11 settembre 2015, poco dopo la mezzanotte, un gruppo di no tav ha portato un nuovo attacco al cantiere del tunnel geognostico. Fuochi artificiali e petardi sono stati lanciati oltre le recinzioni. Un altro gruppo di attivisti invece ha chiuso con catene e lucchetti i cancelli per impedire alle forze di polizia di uscire. Dalle prime notizie che giungono sappiamo che i no tav fermati sono 9. Comunichiamo subito che stanno tutti bene e che ora sono stati rilasciati. Dopo alcuni trascinamenti e strattoni iniziali, come per gli otto arrestati di sabato scorso, sono stati portati dalla polizia all’interno del cantiere per essere identificati.
Questa volta gli “arrestati” sono tutti over 60 con alcuni picchi che sfiorano gli 80.
I giovani no tav invece sono al presidio di Venaus che attendono notizie e svegliano i genitori e gli avvocati nel pieno della notte. Dopo alcuni consulti, forse anche coinvolgendo la procura della repubblica di Torino, le forze di polizia hanno così scelto di rilasciare tutti i fermati, nonostante l’azione sia stata identica a quella che ha portato sabato scorso all’arresto di otto giovani no tav. Troppo scomodo politicamente l’arresto di una persona anziana? O troppo scomodo ammettere che anche nove anziani possono fare alcuni km di sentieri, travisarsi, lanciare cosa vogliono all’interno del cantiere ed essere fermati solo perchè di loro iniziativa scelgono di non fuggire?
La verità non la sapremo mai ma ad entrambe le nostre domande rispondiamo sì, è scomodo far vedere al mondo che in val di Susa resistono tutti e che tutti i soldi, milioni di euro ormai, spesi in infrastrutture di sicurezza (migliaia di metri di recinzioni) e forze di polizia sono inutili. [...]
12 settembre 2015, da infoaut.org

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Processo d’appello per Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò rinviato
Si è aperto e chiuso velocemente il processo d’appello per Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, riportati in aula dalla Procura di Torino, che non contenta di due sentenze della Corte di Cassazione che ha invalidato l’accusa di terrorismo che li ha tenuti più di un anno in carcere e tutt’ora ai domiciliari, la ripropone nell’ennesima udienza, facendo condurre l’accusa direttamente al procuratore generale di Torino Marcello Maddalena, ultrà di quest’accusa tanto da volerla portare avanti come ultimo atto prima del pensionamento.
Gli avvocati della difesa chiedono il rinvio dell’udienza per leggere le motivazioni della sentenza della Cassazione, utili a condurre il processo, e chiede la sospensione delle misure cautelari per i quattro ragazzi. Maddalena, benchè giudichi superflue le motivazioni (!!!) non si oppone, più per figura che per altro…
Sta di fatto che la corte accoglie il rinvio e fissa più date delle udienze, la prima al 30 novembre prossimo e sospende le misure cautelari.
Il presidio esterno molto partecipato, ancora una volta ha fatto sentire la vicinanza a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, mai lasciati soli in tutto questo lunghissimo periodo, e ci si da appuntamento alla prossima udienza. Liberi tutti!

15 ottobre 2015, da notav.info

29 e 30 ottobre sciopero nazionale dei i facchini della logistica
Nella notte tra giovedì 29 e venerdì 30 ottobre i facchini della logistica scioperano per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore in scadenza a dicembre. Negli ultimi 7 anni le lotte e gli scioperi, i picchetti e le cariche della polizia, i licenziamenti e le vittorie dei facchini, sono state il pane quotidiano ai cancelli dei grandi poli della logistica, così come davanti a quelli delle piccole cooperative in appalto.
In un panorama di sconfitte e di arretramento dei diritti dei lavoratori, le lotte di questo settore hanno rappresentato e rappresentano un esempio che dimostra come, pur nello sfavore degli attuali rapporti di forza, qualcosa si possa fare per migliorare le proprie condizioni di lavoro e vita.
In questi anni il Si.Cobas e l'ADL, i due sindacati di base che maggiormente hanno organizzato le lotte nel settore, si sono battuti per il rispetto del contratto collettivo nazionale firmato dalla triade CGIL-CISL-UIL nel 2013: un contratto certo molto favorevole ai padroni, ma che non veniva fatto nemmeno applicare nei magazzini dagli stessi confederali. Il suo rispetto ha quindi rappresentato un grosso passo in avanti per i facchini, sottoposti al ricatto del permesso di soggiorno, nonché all'utilizzo di un sistema di appalti e sub-appalti che ha eletto la cooperativa quale strumento principe dell’attacco ai diritti dei lavoratori. Un sistema in cui a farla da padrone erano (e in larga parte ancora sono) lavoro nero e caporalato, straordinari obbligatori e non retribuiti, buste paghe contraffatte, TFR e assegni familiari spariti, minacce, intimidazioni e altri maltrattamenti.
Ma la determinazione dei facchini ha costretto a cedere tanti padroni e padronicini, giganti del settore (Tnt, Bartolini, Gls) e cooperative, tutti obbligati a concedere aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro. Così ora le grandi aziende cercano di riprendersi quanto costrette a mollare mediante un aumento dei ritmi di lavoro di tutti gli operai. Ma questa volta il rinnovo del contratto collettivo non sarà agevole come in passato, perché a contrattare non ci saranno le burocrazie confederali, bensì i lavoratori con i loro sindacati di base, SiCobas e ADL Cobas.

Sciopero per il rinnovo del ccnl logistica: cosa vogliono i facchini?
Fino ad ora si è tentato di supportare la resistenza, ora si tratta di preparare l'offensiva. La piattaforma lanciata dai sindacati è chiara e semplice: miglioramento di salari e condizioni di lavoro estesi a tutti i magazzini della logistica; lotta contro i piani di attacco ai lavoratori che vedono nelle ultime mosse del governo Renzi (Jobs Act, cancellazione del diritto di sciopero) e del padronato (fine della contrattazione collettiva) il culmine delle politiche di flessibilizzazione e precarizzazione che vanno avanti almeno dai primi anni novanta.
- No al peggioramento del Contratto Nazionale di categoria
- Per la sua piena applicazione in tutti i magazzini della logistica
- Aumenti salariali del 5% della retribuzione minima mensile
- Riduzione dell’orario di lavoro a 37,5 ore settimanali
- Garanzie di mantenimento di lavoro e condizioni nei cambi appalto
- Per respingere gli attacchi del governo e il suo Jobs-act
- Estensione degli scioperi contro le politiche repressive europee
- Per il riconoscimento della rappresentanza dei lavoratori
- Pieni diritti per tutte le Organizzazioni Sindacali
Da un lato, quindi, rivendicazioni strettamente legate al settore, come il rifiuto al peggioramento del contratto di categoria, la sua applicazione in tutti i magazzini, aumenti salariali: tutti obiettivi importanti per estendere le vittorie ottenute in molti magazzini anche a tutti i poli dove invece il conflitto non è riuscito ad imporli con la forza.

Ma questa battaglia riguarda tutti noi: ecco perché...
Sbaglia chi vede in questo sciopero una questione puramente settoriale, che riguarda solo alcuni facchini o alcuni trasportatori: questo sciopero, questa lotta riguardano tutti noi. Perché se i facchini vincono, i padroni proveranno a salvaguardare i loro profitti strizzando chi lavora a monte o a valle della filiera; perché quello che accade nello logistica è solo un’immagine di quello che sta avvenendo negli altri posti di lavoro; perché col Jobs Act, se non ci organizziamo, ricatti, minacce e maltrattamenti saranno all'ordine del giorno ancor più di quanto non siano oggi! E poi perché i facchini durante la loro lotta hanno capito che "se toccano uno toccano tutti", e che quindi occorre costruire un'opposizione ai padroni che vada oltre la singola azienda e il singolo settore: per questo nella loro piattaforma ci sono obiettivi che riguardano tutti i lavoratori ed anche i disoccupati.
La riduzione dell'orario lavorativo, innanzitutto, è un passo cruciale per unire chi un lavoro non ce l'ha e chi invece si ammazza di fatica, costretto a lavorare 10/12 ore al giorno (orari normali nella logistica, ma che ormai sono estesi a molti altri settori). Vogliamo ripartire il lavoro che c'è: lavorare tutti per lavorare meno, a parità di salario! Un obiettivo antico, ma che non può più essere rimandato a fronte di una disoccupazione ufficiale al 12% e una giovanile al 44%.
La garanzia del mantenimento del posto e delle condizioni di lavoro durante i cambi di appalto è un'altra rivendicazione che ci pare estendibile perché oggi la scomposizione dei processi lavorativi ha diffuso praticamente in tutti i settori, soprattutto nei servizi, l'utilizzo del sistema di cooperative in appalto e subappalto. In questi casi, come la logistica ci insegna, è fondamentale garantire stabilità ai lavoratori che spesso sono vittime di cambi appalto eseguiti ad hoc proprio per espellere forza lavoro e acquisirne di nuova a minor prezzo e minori diritti.
Un altro problema di interesse generale affrontato dalla piattaforma è legato alla sicurezza, alla salute ed ai ritmi di lavoro. Un problema che hanno sollevato tanti lavoratori che abbiamo incontrato in vertenze di altri settori: pensiamo al lavoro notturno e domenicale imposto in tanti ipermercati (Ikea, Carrefour), ma anche ai ritmi impossibili della catena di montaggio della FCA di Melfi. In questo senso ci sembra fondamentale la costruzione di organismi di controllo dal basso, creati e controllati dai lavoratori stessi, che monitorino l'impatto sulla salute di ritmi e carichi di lavoro, contro il continuo aumento dello sfruttamento: una tendenza immanente al capitale, che non si arresterà se a fermarla non saremo noi.
Ma in gioco in questa battaglia per il rinnovo del contratto collettivo della logistica c'è anche la libertà sindacale, messa in discussione dal Testo Unico sulla Rappresentanza del gennaio 2014, che toglie agibilità a tutte le organizzazioni di lavoratori che tentano di far valere i diritti sui luoghi di lavoro nell'unico modo possibile: scioperando! Un attacco giunto al culmine ora che il governo Renzi lancia l'affondo contro il diritto di sciopero, limitandone la possibilità in determinati settori considerati “essenziali” (oggi i musei e tutti i servizi legati ai grandi eventi, domani chissà cos'altro), e che Ichino, proprio traendo spunto dalle lotte avvenute in un magazzino della logistica (quello della Yoox di Bologna), spinge per subordinare l'indizione dello sciopero al parere delle maggioranze sindacali, quindi di fatto alle volontà di CGIL-CISL-UIL, che significa di fatto vietarlo tout court. Contestualmente il rappresentante dei padroni, il presidente di Confindustria Squinzi, chiude alla contrattazione collettiva, puntando a smantellarla almeno nei settori dove convenga avere una contrattazione decentrata, puramente aziendale. In questo contesto la lotta nella logistica ci porta l'esempio di come in realtà sia possibile invertire i rapporti di forza, imporre la contrattazione nazionale, imporre gli interessi dei lavoratori con la lotta ed il protagonismo degli stessi. E' dura, ma quanti avrebbero scommesso sei anni fa su un settore in cui la forza lavoro predominante era sotto il costante ricatto del permesso di soggiorno?
In questo sciopero si mescolano, dunque, rivendicazioni strettamente legate al rinnovo del contratto della logistica e questioni più generali che riguardano tutti i lavoratori e i disoccupati. Per questo invitiamo tutti a sostenere questa lotta, facendone girare le ragioni e gli obiettivi, sostenendo i picchetti che verranno organizzati nel giorno dello sciopero, ma anche informando gli altri lavoratori di ciò che sta avvenendo (qui trovate un volantino, liberamente modificabile e stampabile, che useremo per spiegare ad altri lavoratori l'importanza di questa giornata e più in generale di questa lotta).

Clash City Workers
27 ottobre 2015, da contropiano.org

Opuscolo: “Considerazioni sulla detenzione amministrativa in Italia"
Allo scopo di trovare una soluzione alla loro ingestibilità, per affrontare preventivamente un aumento delle problematicità legate alla tipologia e quantità dei futuri flussi migratori, i Cie, lungi dall’aver mai avuto una funzione altra rispetto a quella di deterrente collettivo, stanno subendo delle modifiche parziali, sia strutturali che gestionali. La direzione seguita è quella di un processo ipotetico di maggiore razionalizzazione, funzionalità, economicità gestionale e controllo interno. Lo scopo per cui è nata la detenzione amministrativa degli immigrati si può dire raggiunto?
La risposta a tale quesito è estremamente difficile. Ciò che possiamo fare è cercare di fotografare la situazione attuale, cercare di mettere insieme i diversi accadimenti relativi alla detenzione amministrativa in Italia e comprendere quale direzione i Cie stiano intraprendendo. Lo scopo di una ricerca come questa, è inutile dirlo, resta sempre e comunque quello di conoscere meglio il nostro obiettivo, capirne meglio le caratteristiche per comprenderne meglio i punti deboli.
Di Cie tanti ne parlano, ne versano lacrime e ne denunciano le angherie, tanti, davvero tanti, anche i più improbabili ne chiedono la chiusura. Questo sembrerebbe giusto e animato da buoni propositi, ma non è proprio tutto oro quel che luccica. Le richieste di chiusura, senza considerare l’assurdità del fatto che sono indirizzate alle stesse istituzioni che i Cpt/Cie hanno istituito, non fanno che proporre un diverso modo di gestione dell’immigrazione, una riforma che renda forse più umani i Centri o che ne proponga altre versioni. L’esperienza della riforma degli Opg dovrebbe aver insegnato molto in merito. Una prigione non può essere resa più umana, non esiste un modo più giusto per identificare e controllare. Le frontiere dovrebbero solo scomparire, tutte le carceri essere abbattute. Per questo i Cie non dovrebbero essere chiusi, ma distrutti, incendiati, danneggiati.
“Fuoco ai Cie” al posto di “chiudere i Cie”, come tanti reclusi in rivolta ci hanno insegnato, ci sembra il modo migliore per affrontare la questione.

L’opuscolo può essere richiesto alla casella postale di Ampi Orizzonti.