indice n.140

“Fuori la guerra dalle nostre vite”
Per Natale non chiediamo nulla, ci prendiamo le strade!
dalle lotte dentro e contro i campi di internamento
lettera dal carcere di ancona
Lettere dal carcere di La Spezia
letterE dal carcere di udine
Napoli, 14-15 marzo: convegno contro il carcere
Lettera da una comunità di Belluno
Lettera dal carcere di Belluno
Trento. Presidio in solidarietà ai detenuti sotto processo
Lettera dal carcere di Reggio Emilia
Lettera dal carcere di Parma
Solidarietà agli antisionisti accusati di odio razziale!
lettera dal carcere di terni
da lettera dal carcere di montorio (vr)
Notizie dalle carceri
Sintesi del rapporto del CPT
Lettera dal carcere di Lanciano (ch)
Maxiprocesso Notav, ALCUNE IMPRESSIONI E NOTE SULLA GIORNATA
LETTERA DAL CARCERE DI TORINO



“Fuori la guerra dalle nostre vite”
Appello dei portuali genovesi per una giornata di iniziativa nazionale
Le navi continuano a venire a Genova e non imbarcare armi. Dai blocchi di maggio alla metà di dicembre, quindi per 6 mesi, l'unico porto europeo che continuava ad essere toccato era proprio Genova. Invece a dicembre e Gennaio due porti spagnoli minori (Sagunto, con imbarco di esplosivi per gli Emirati, e Montril, con carico sconosciuto) sono tornati nelle schede di viaggio e nelle rotte della compagnia. La prossima nave in arrivo, la Yanbu, tornerà invece nei porti nordeuropei, come precedentemente alle proteste di maggio/giugno.
Al momento la nave è nell'Atlantico e ricomparirà nei radar verosimilmente all'avvicinarsi all'Irlanda, tra oggi e domani. I prossimi porti di toccata sono: Bremerhaven (Ger), Anversa (Bel), Tilbury (Ing), Cherbourg (Fr). La scelta di Cherbourg, non lontana da Le Havre, dove sono iniziate le proteste, unita alla scelta di piccoli porti in Spagna nelle scorse tappe in sostituzione di Bilbao e Santander potrebbe far pensare ad un orientamento su porti dove vi siano meno possibilità di mobilitazioni.

Nei mesi scorsi, nel porto di Genova, una mobilitazione partita dai lavoratori del porto ha impedito l’imbarco di materiale bellico diretto in Arabia Saudita e destinato alla guerra in Yemen. Analoghe manifestazioni a sostegno del blocco del traffico di armi si sono tenute in altri porti europei (Le Havre e Marsiglia, ancora prima a Bilbao) contro le navi della compagnia saudita Bahri, che rifornisce d’armi e mezzi militari tutto il Medio Oriente.
I venti di guerra però non si sono fermati come dimostrano benissimo gli sviluppi drammatici legati alle guerre in Siria, al conflitto libico e all’aggressione statunitense in Iraq. Sono conflitti sanguinosi che mietono vittime giornalmente, devastano territori, spingono migliaia di persone ad abbandonare i loro paesi per emigrare. Il complesso militare industriale è tra i molti responsabili di questa escalation in combutta con governi sempre pronti ad approvare politiche di saccheggio verso le risorse naturali in varie zone del mondo.
Il combinato disposto con una crisi economica che non è risolvibile all’interno del sistema capitalista e neoliberista rende la guerra come una costante nelle nostre società. Fermarli però è possibile cominciando dai nostri territori. Boicottando la guerra cominciando da casa nostra.
Il 12 febbraio (la data potrebbe variare) a Genova arriverà una nuova nave carica di armi, la Bahri Yanbu. Come lavoratori chiameremo tutta la città solidale ad unirsi a noi per bloccare l’ennesimo traffico di morte. Chiediamo a tutti i lavoratori, ai cittadini, ai sindacati e alle forze politiche di sostenere questo blocco trasformando questa giornata in un’occasione di lotta contro la guerra e per la pace tra i popoli e tra gli oppressi. Invitiamo tutti e tutte a raccogliere quest’appello.
Dalla produzione bellica alla sua logistica, dalle basi militari ai centri di ricerca, l’ingranaggio della guerra è ampio e diffuso e permette a chiunque e dovunque di mettere in campo in autonomia ciò che vorrà e potrà. Guerra alla guerra! Pace fra i popoli!”

Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali – Genova
febbraio 2020, da contropiano.org


Per Natale non chiediamo nulla, ci prendiamo le strade!
Con l’avvicinarsi del Natale si riaccende anche la mobilitazione dei braccianti delle campagne del sud Italia. Il 6 dicembre, dalla provincia di Foggia alla piana di Gioia Tauro – due dei territori dove molti dei lavoratori e delle lavoratrici delle campagne vivono, e dove troppi sono morti in questi anni a causa della violenza di leggi che li vogliono segregati, poveri e in silenzio – sono stati bloccati alcuni degli snodi più importanti di una filiera di sfruttamento che, dai distretti agro industriali ai centri dello shopping consumista, risucchia tantissimi lavoratori e lavoratrici, italiani ed immigrati, in un vortice di precarietà e ricatto.
Solo pochi giorni prima, l’ennesimo incendio nell’ex Gran Ghetto di Rignano, in provincia di Foggia, ha distrutto le case di molte persone e ancora una volta il governo risponde con una tendopoli emergenziale. Nella Capitanata, come nella piana di Gioia Tauro, l'unica soluzione abitativa per chi lavora in campagna sono le tende o la strada, mentre a Rosarno esistono case vuote costruite addirittura con i fondi europei dedicati ai braccianti stagionali.
Inoltre, l'entrata in vigore del decreto Salvini ha reso irregolari moltissime persone che prima, pur con grandi difficoltà, riuscivano a vivere e lavorare regolarmente con un permesso di soggiorno di tipo umanitario. Ultimamente si sta parlando di riformare gli ultimi decreti sicurezza ma nessuna riforma potrà davvero cambiare la situazione.
I punti della mobilitazione sono la regolarizzazione per tutte e tutti attraverso l’abrogazione totale degli ultimi due decreti, la reintroduzione del permesso umanitario, dei flussi per lavoro e le sanatorie; la possibilità di rinnovare il permesso e accedere ai servizi di base anche senza la residenza. E’ stata preparata una piattaforma di rivendicazioni, per portare al dibattito pubblico delle proposte concrete riguardo la legislazione che regola l'immigrazione.
Segue una rassegna di testi, comunicati e riflessioni sull’accaduto.

La paura non ci appartiene: che la lotta delle campagne trovi eco in tutta Italia.
Blocchiamo il paese!
Bloccare in contemporanea, per ore, i varchi di uno dei porti commerciali più importanti d’Italia e una zona industriale strategica, in un Paese come quello in cui viviamo, è una scelta ben precisa e ponderata.
Lo sanno bene le centinaia di lavoratori e lavoratrici dell’agroindustria che nella grande giornata di lotta del 6 dicembre, a Foggia ed in Calabria, hanno scelto di mettere in gioco i propri corpi, il proprio cuore, il proprio coraggio perché consapevoli che il tempo delle chiacchiere è finito: non si può attendere oltre. Sono riusciti a trasformare la rabbia, per i compagni investiti a Gioia Tauro – un gesto razzista di estrema arroganza, intrapreso per forzare il blocco – e per un altro picchiato e portato via dalla polizia a Foggia, in forza per continuare. Hanno tramutato in determinazione le aggressioni subite nelle cariche, con le annesse manganellate e lacrimogeni. Lo hanno fatto nel periodo prenatalizio, in cui la macchina capitalista che gestisce la circolazione di merci, denaro e persone secondo i suoi interessi e per il profitto si mostra in tutta la sua imponenza e ferocia. Hanno scelto di bloccare dei colossi dal valore non solo materiale, ma altamente simbolico. Un importante porto di transhipment nel Mediterraneo, uno snodo stradale che dal casello della A14 porta alla zona industriale di Foggia, in cui sono presenti, oltre alle fabbriche di trasformazione del pomodoro, anche la divisione aerostrutture di Leonardo SPA, gigante della produzione ed esportazione di quelle armi che giocano un importante ruolo nel determinare flussi migratori, povertà e distruzione, e uno dei centri commerciali più grandi del sud Italia, il GrandApulia.
Il bilancio finale è di quattro denunce, tra cui quella al lavoratore che è stato investito davanti al Porto di Gioia Tauro, il quale ha ricevuto cure sommarie e un trattamento decisamente ostile.
L’immagine della giornata che emerge dai resoconti mediatici e dalle bocche di chi rappresenta il potere è ancora una volta distorta ad arte per far passare chi scioperava come un violento manipolato da forze oscure. Non si parla di lotte autorganizzate, perché, si sa, gli africani non sono capaci di ribellione autonoma, e c’è sempre qualche bianco ‘figlio di papà’ che li pilota.
Dulcis in fundo, le dichiarazioni di CGIL e PD hanno superato a destra anche i partiti fascisti e razzisti, gettando fango sulla lotta dei lavoratori. Non paghi delle becere accuse lanciate, CGIL e USB non hanno esitato nei giorni successivi alla manifestazione a minacciare e intimidire biecamente coloro che hanno partecipato alla giornata di lotta, dimostrando, una volta in più, la loro complicità con il razzismo istituzionale e il suo apparato repressivo.
Ciò che giornali e politici hanno evitato di riportare sono le concrete rivendicazioni che gli scioperanti hanno portato ai due blocchi: l’abrogazione delle ultime leggi immigrazione e sicurezza e la reintroduzione del permesso umanitario; i permessi di soggiorno per chi non ce li ha; l’apertura di canali di ingresso e transito per lavoro e ricerca lavoro oltre che per motivi di carattere umanitario; l’abolizione della residenza come requisito per il rinnovo e per l’accesso ai servizi essenziali; la creazione di un permesso di soggiorno unico europeo che permetta alle persone di muoversi liberamente in Europa; lo smantellamento dell’attuale sistema di accoglienza, detenzione e rimpatri, e il superamento del sistema dei centri d’accoglienza, delle tendopoli e dei campi di qualsivoglia natura in favore dell’accesso alle case. Tutte proposte con le quali chi pretende di essere un difensore dei diritti dovrebbe concordare. (6 dicembre 2019, da campagneinlotta.org)

Per natale non chiediamo nulla, ci prendiamo le strade!
Basta segregazione, violenza e sfruttamento: documenti per tutti/e!
Una persona investita e poi denunciata, un arrestato pestato selvaggiamente e diverse cariche della polizia. Dieci fogli di via già esecutivi da diversi comuni e dodici denunce per interruzione di pubblico servizio e manifestazione non autorizzata (le cui pene sono state inasprite dalle recenti leggi Salvini, con salatissime multe per blocco stradale, da 1.000 a 4.000 euro).
Questo è solo il primo bilancio della risposta che lo Stato e le istituzioni hanno dato alle proteste e gli scioperi messi in campo lo scorso 6 dicembre in Calabria e in Puglia. Quel giorno infatti i lavoratori e le lavoratrici delle campagne si sono rifiutate di andare al lavoro e ancora una volta hanno manifestato con coraggio, insieme a solidali venuti da tutta Italia, bloccando la zona industriale di Foggia e l’ingresso del Porto di Gioia Tauro. Le loro richieste? Sempre le stesse, da tanti anni, poter vivere e lavorare senza essere sfruttati, che per un cittadino non europeo significa anche poter accedere a un permesso di soggiorno. Per questo lo scorso 6 dicembre, ancora una volta, erano in strada per chiedere un incontro con il Ministero dell’Interno, visto che in più occasioni, nel corso degli anni, le prefetture hanno ribadito di avere le mani legate dalla legge sull’immigrazione.
In questo contesto è da sottolineare come la repressione si sia accanita in modo particolare su quelle compagne e compagni che vivono nei territori in cui queste lotte sono state portate avanti, anche attraverso gravi episodi intimidatori da parte di forze di polizia, che hanno minacciato giovani solidali pistole alla mano, con modalità iper-violente e atteggiamenti che avrebbero potuto mettere a repentaglio l’incolumità di persone la cui colpa era quella di voler sostenere la protesta auto-organizzata dei lavoratori migranti dopo i due gravissimi incidenti che sono costati la vita a 16 persone nell’agosto 2018 a Foggia.
Oppure attraverso l’utilizzo di fogli di via, che vanno a colpire la possibilità di frequentare il capoluogo della propria provincia e l’università del territorio in cui si vive. Questo significa escludere le persone dal proprio contesto sociale definendole arbitrariamente “pericolose”, per spezzare legami e relazioni. Colpire il quotidiano, isolare e frammentare i contesti e le traiettorie di vita e di lotta, in una provincia altrettanto isolata. Come si può fingere di non vedere l’arbitrarietà con cui queste pratiche vengono applicate? Come si può non riconoscere che, “pericolose” e “violente”, sono soltanto le misure repressive delle questure e delle prefetture? La risposta appare evidente in tutta la sua grossolana brutalità.
Stessa brutalità che hanno subito (e stanno subendo) i lavoratori dell’azienda Superlativa di Prato, che hanno manifestato per il mancato pagamento di sette mesi di stipendio, e in tutta risposta a loro e a chi è venuto a portare solidarietà sono stati chiesti migliaia di euro di multa. Così come i pastori in Sardegna, denunciati in 600, perché hanno protestato contro i prezzi di vendita del latte con cui non arrivano a fine mese.
Ancora più brutale e pervasiva è la repressione, che a volte diventa morte, che riceve chi lotta e si ribella nelle carceri e nei CPR (centri permanenti per il rimpatrio), all’interno dei quali si susseguono da sempre rivolte ed evasioni, contro la detenzione e le sue condizioni.
Senza dimenticare il prezzo altissimo che pagano gli immigrati che provano ad attraversare le frontiere – terrestri e marine – a cui si affianca la repressione che colpisce chi aiuta e sostiene la circolazione di persone come loro, dai numerosi solidali al confine con la Francia alle navi delle Ong nel Mediterraneo. Così come il costante e violento attacco rivolto alle migliaia di persone che da decenni si battono contro la Tav in Val Susa, e contro le altre numerose aggressioni che ricevono i territori in cui viviamo. Le conclusioni quindi sono sempre le stesse: se sei povero, o comunque sei costretto a lavorare per vivere, devi anche rimanere in silenzio davanti allo sfruttamento sociale, ambientale e lavorativo a cui sei costretto, se no rischi in più pestaggi, multe, limitazioni della libertà personale e il carcere. Insomma, secondo loro dovremmo vivere iper-sfruttati e silenziati, ma perché?
Fortunatamente in questo paese sono in tanti a lottare e solidarizzare, per stare meglio e per non farsi sopraffare. I lavoratori e le lavoratrici delle campagne, chi vive nei ghetti, chi da anni porta avanti insieme a loro le stesse lotte neanche questa volta vogliono restare in silenzio. Finché non abbiamo quello per cui lottiamo non ci fermiamo! Blocchiamo tutto! (Rete Campagne in Lotta, Comitato lavoratori delle campagne, Collettivo InApnea, 3 febbraio 2010, da hurriya.noblogs.org)

Da una diretta di Radio Onda Rossa di Roma nel giorno dello sciopero
Riportiamo alcuni passaggi molto significativi tratti dalle parole di uno dei lavoratori in sciopero nella Piana di Gioia Tauro.
“Gli italiani [intendendo le autorità della prefettura tra le altre, ndr] non vogliono parlare direttamente con noi, vogliono i sindacati. Allora blocchiamo l’economia per farci ascoltare. I documenti in pochi li hanno e non ci ascoltano. Arrivano fogli di via, ritiro dei documenti e arresti, una continua minaccia usata contro la lotta… Abbiamo bloccato il porto, 20/30 camion. Una macchina ha investito due ragazzi e uno è all’ospedale… tutti giocano insieme, i sindacalisti, la polizia… Non vogliamo solo casa e lavoro ma i documenti, tantissimi non li hanno, il 98%, perché sono bloccati e poi danno il foglio di via… Perché in tendopoli, nelle tende quando ci sono palazzine vuote? Mettono i poveri di Rosarno contro di noi che dicono che vogliamo rubarle, ma sono state costruite per noi e sono sempre lì, libere.
Sono stati fermati 6 compagni venuti da fuori e dovremmo andare sotto il commissariato e lottare per loro, sono venuti qua per dare una mano, dobbiamo andarli a prendere. La repressione è troppo alta, loro non vogliono che ci autorganizziamo tutti insieme. Lottiamo insieme e solidarietà.”

Rosarno 2010-2020: Dieci anni di lotte e di resistenze. Dieci anni di violenze, repressione e abusi della polizia
Oggi, 7 gennaio 2020, sono dieci anni dalla rivolta di Rosarno. Da quel giorno non solo l'Italia intera venne a conoscenza delle condizioni di vita e di lavoro delle persone immigrate presenti nei ghetti e nelle case abbandonate delle campagne calabresi (e non solo). Ma soprattutto, a partire da quel momento, si è andato articolando un forte e radicato percorso di autorganizzazione e di lotta delle donne e degli uomini immigrati presenti in quei territori, che nel tempo ha avuto il merito di raggiungere importanti risultati e di tenere alta l'attenzione su questioni cruciali come la gestione dei flussi migratori e l'organizzazione del lavoro, cercando sempre di coinvolgere anche la componente autoctona. Come ben sappiamo sono stati anche dieci anni di violenze inaudite, morti, omicidi, sgomberi e aggressioni, accompagnati da un feroce sfruttamento che riguarda ogni aspetto della loro resistenza - dal lavoro, all'accesso ai servizi e alla casa. In particolare ricordiamo le violenze e gli abusi da parte della polizia, che sono stati sempre più frequenti, come da anni raccontano e denunciano le persone che vivono nella Piana di Gioia Tauro che sono costrette ad affrontare questa guerra quotidiana. Infatti, come si può facilmente immaginare, se sei nero e magari vivi anche in una tenda, alle forze dell’ordine basta un semplice controllo di documenti per sentirsi legittimate a procedere con perquisizioni corporali, pestaggi, umiliazioni e insulti razzisti, perché “questa è l’Italia”. E per chi è costretto a vivere nelle case abbandonate dentro la città, sovraffollate, senza luce né acqua, le irruzioni e i blitz da parte della polizia sono la normalità. A questo si aggiungono il razzismo e le violenze da parte di cittadini italiani che appena vedono un immigrato sparano, come successo a Idrissa qualche settimana fa, o investono con la macchina, come accaduto la settimana scorsa ad un abitante della tendopoli di San Ferdinando. [In un’intervista], una persona che è stata recentemente aggredita, perquisita e spinta giù dalle scale dalla polizia a Rosarno racconta la brutale ordinarietà di tutto questo e testimonia come il suo sia solo l’ultimo di una lunga serie di episodi analoghi. A 10 anni esatti dalla rivolta dei braccianti immigrati che nel gennaio del 2010 presero per la prima volta le strade di Rosarno in protesta, la situazione non è cambiata se non in peggio e i riflettori sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati si accendono solo quando bisogna restituirne un ritratto sensazionalistico, ma ancora non si parla della rabbia di chi con coraggio trova anche i mezzi per resistere, difendersi e rivendicare una vita migliore. E di chi poi, proprio perché lotta, viene minacciato e colpito dalla repressione, come accaduto a 12 lavoratori che a settembre del 2018 hanno resistito allo sgombero del capannone abbandonato in cui vivevano, sono stati denunciati e sono ora tutti sotto processo per invasione di edifici.
La repressione, così come le intimidazioni, gli abusi e le minacce non sono eccezioni e casi isolati, ma sono strutturali al razzismo di Stato di questo paese, alle sue leggi e ai suoi confini che rendono le persone sfruttabili e ricattabili. Davanti alla cieca violenza di chi vorrebbe che tutto questo passasse sotto silenzio, continueremo a non avere paura e intrecciare relazioni di lotta, complicità e solidarietà. Oggi quindi non vogliamo solo ricordare l'importante rivolta che ha attraversato Rosarno e coinvolto tutto il paese. Ma vogliamo anche ricordare dieci di resistenze e di lotte che continueremo a portare avanti. (Comitato Lavoratori e Lavoratrici delle Campagne - Rete Campagne in Lotta, 7 gennaio 2020, da hurriya.noblogs.org)

***
ASSEMBLEA CONTRO I DECRETI SICUREZZA
L’8 febbraio il SI Cobas ha indetto a Roma un’assemblea per un Patto d'azione contro la repressione e in particolare sull'impatto potenzialmente devastante dei Decreti-Salvini nei confronti delle lotte sociali e sindacali nel nostro paese. L’appello metteva in luce che, al di la delle singole norme di legge, ci troviamo di fronte ad un escalation generalizzata delle misure repressive, che si traduce in un suo utilizzo arbitrario e sommario e viaggia di pari passo col clima generale che si respira da anni sui luoghi di lavoro ed analoga è la stretta repressiva a cui assistiamo sui territori e nelle metropoli.
Gli arresti e il carcere inflitto a Nicoletta Dosio e agli attivisti No-Tav sono una tendenza, tutt'altro che invertita dall'attuale governo, che affonda le sue radici nelle leggi Minniti-Orlando a firma PD e che i decreti Salvini non hanno fatto altro che rafforzare.
Come pure le condotte persecutorie da parte delle procure nei confronti del movimento dei disoccupati napoletani con decine di processi aperti e condanne già emesse, del movimento dei braccianti agricoli in Puglia e in Calabria con fogli di via e denunce, degli attivisti antimilitaristi, dei movimenti contro i CPR e, più in generale, dalle innumerevoli minacce di ritiro del permesso di soggiorno nei confronti di lavoratori e cittadini stranieri ritenuti colpevoli di “turbare l'ordine pubblico”.
L’obiettivo dell’assemblea è dunque di rispondere in maniera unitaria all'escalation repressiva come base di partenza per la costruzione di ampio e unitario fronte di lotta che sappia legare il tema della cancellazione dei decreti-sicurezza alle questioni generali su cui ci si trova quotidianamente a fare i conti (difesa dei salari, rinnovi contrattuali, difesa dell'ambiente, democrazia sindacale, opposizione alla guerra e al militarismo, diritti delle donne, ecc). Di seguito la mozione dell’incontro.

L'assemblea di Roma dell'8 Febbraio, cui hanno preso parte decine di organizzazioni politiche, sindacali e movimenti di lotta, nel condividere lo spirito dell'appello di indizione, valuta positivamente la proposta di dar vita ad un patto d'azione contro la repressione e per l'abolizione dei decreti-sicurezza, teso a mettere in evidenza il nesso sempre più chiaro tra l'inasprimento dei dispositivi repressivi, l'acuirsi della crisi capitalistica e l'attacco sempre più feroce agli scioperi ed alle lotte sindacali e sociali: un'offensiva che ha avuto il suo apice coi Decreti-Sicurezza Salvini ma che indipendentemente dal colore dei governi in carica rappresenta da sempre uno strumento costante nelle mani dei padroni per fermare, disarticolare e fermare sul nascere le lotte. L'inasprimento delle misure repressive è il frutto di una crisi capitalistica internazionale che impone dappertutto, in primo luogo nell'occidente imperialista, politiche di austeritá che riducono drasticamente ogni spazio di mediazione e ogni ipotesi di "redistribuzione dei profitti".
Salvini non è più al governo ma la miriade di provvedimenti, multe, arresti, fogli di via, DASPO, divieti di dimora continuano a colpire compagni, attivisti, militanti sindacali, lavoratori combattivi sotto l'insegna del Conte bis, e non è un caso se la gran parte delle misure repressive e restrittive traggono argine da un ampio spettro di leggi, dal Codice Rocco mai abrogato al Decreto Minniti di marca "democratica".
Per questo motivo, l'assemblea invita tutte le strutture e le realtà presenti, e chiunque - pur non presente - intende aderire, a costruire momenti di confronto e di costruzione di iniziative specifiche sul piano locale, per dare forma alla campagna unitaria per l' "Abolizione dei Decreti Sicurezza", per dare corpo e gambe ad un azione e mobilitazione coordinata sul piano nazionale.
La proposta del patto d'azione parte infatti dalla verifica sul campo ed in corso d'opera della praticabilità di un effettiva convergenza sui contenuti, nelle pratiche e nelle forme di lotta, senza l'illusione di diluire o annullare i rispettivi percorsi e le rispettive identità.
Le realtà presenti nelle prossime settimane, tramite mailinglist, proseguiranno il confronto e si impegnano sin d'ora a organizzare riunioni e assemblee unitarie del Patto d'azione nelle singole città, propedeutiche alla definizione di un calendario di iniziative su scala locale e alla costruzione di una campagna nazionale per la cancellazione dei decreti sicurezza, a partire dalle iniziative già indette (quelle del Si Cobas contro le misure restrittive applicate ai lavoratori, quelle dei disoccupati organizzati e della campagna "Vogliamo Tutto", la manifestazione del 1 Marzo per la liberazione di Nicoletta Dosio e dei NoTav, le iniziative dell'8 marzo, ecc.).
Sulla base di questi passaggi si valuteranno tempi e modalità per l'indizione di una data di mobilitazione nazionale e per la definizione degli strumenti necessari alla campagna, in primis una cassa di resistenza a sostegno delle spese processuali e la creazione di un coordinamento permanente sugli aspetti giuridico-legali.
Sono intervenute all'assemblea le seguenti realtà: SI Cobas nazionale, Movimento di lotta per il lavoro - disoccupati 7 novembre, Campagne in lotta, Blocchi Precari metropolitani, Banchi Nuovi, Il Cuneo Rosso, Slai Cobas per il sindacato di classe, Campagna Vogliamo Tutto, Operatori Sociali Autorganizzati Perugia, Potere al Popolo, Partito Comunista dei Lavoratori, Coordinamento di unità delle sinistre 7 dic, XM24 Bologna, Laboratorio Crash, Movimento Migranti Napoli, Sinistra Anticapitalista, Rifondazione comunista, Soccorso Proletario, Ex Caserma Bari, Classe contro classe, Soccorso Rosso Internazionale, Comitato Lavoratori Autoconvocati per il sindacato di classe, Carc

febbraio 2020, dalla pagina FB del Si Cobas Lavoratori Autorganizzati


dalle lotte dentro e contro i campi di internamento
Nei Centri di espulsione continuano le fughe, gli scioperi, le resistenze alle deportazioni, le rivolte, le proteste collettive e individuali. Lo Stato ha oramai acquisito un’esperienza ventennale e oggi rilancia con l’apertura di nuovi CPR: centri più piccoli e fortificati, sempre più simili alla carcerazione penale, espulsioni più veloci.
Tra “i fatti” ci sono gli abusi, la negligenza medica, la somministrazione coatta di psicofarmaci, il cibo avariato, i pestaggi, i lacrimogeni lanciati dove non si può scappare, le cariche della celere, il sequestro dei telefoni per impedire qualsiasi contatto con l’esterno, le deportazioni punitive nei confronti di chi racconta la realtà di questi moderni lager.
Le morti, per qualsiasi causa, in ogni contesto di privazione della libertà per noi hanno sempre un responsabile: lo Stato. Nessuno Stato racconterà la verità sulla violenza che commette quotidianamente. Nel caso dei CPR, solo il coraggio delle persone recluse è riuscito a rompere l’invisibilità di ciò che accade perché molto spesso non ci sono neanche familiari e persone care che vanno ai colloqui e che possono raccogliere testimonianze.

Caltanissetta. La mattina del 12 Gennaio un ragazzo di trentaquattro anni è stato trovato morto nel Cpr di Pian del Lago. La rabbia è divampata tra i suoi compagni di prigionia, che hanno dato vita a una rivolta. Qui di seguito le parole di uno dei ragazzi coinvolti intervistato da Radio Blackout.
“Aveva 34 anni, era nato il 1° febbraio 1986. Ieri mattina verso le 8 li hanno avvisati che era morto nella sua stanza, però in quella stanza non c’era riscaldamento, c’era molto freddo. Hanno provato a muoverlo sul suo letto, c’era del sangue sulla sua bocca, noi non sappiamo qual era il problema per cui è morto così. Quella è la nostra rabbia. E quindi abbiamo protestato qua, la sua stanza l’hanno bruciata, completamente, poi abbiamo manifestato qua e là. Ieri abbiamo dormito fuori, con questo freddo. Ieri abbiamo protestato tutti quanti, a pranzo abbiamo rifiutato di prendere il cibo, per la rabbia. Stamattina ci siamo svegliati stanchi, alcuni hanno dormito fuori, altri in un buco di una stanza dove non c’è porta né finestra, con questa sofferenza. Alle sette la polizia è entrata dove dormivamo, e hanno portato uno o due persone fuori, non lo so dove li hanno portati, se in carcere o per l’espulsione. Noi chiediamo di chiudere qua, perché le condizioni sono pessime, non si possono mettere persone normali in queste condizioni, a dormire così, col mangiare che fa schifo. L’infermeria qui fa schifo, se hai mal di testa danno la stessa medicina, se hai il raffreddore danno la stessa medicina. Alcuni dicono che nel cibo ci mettono qualcosa dentro, non sappiamo nulla di questo, però alcuni hanno sospettato anche questo, quando mangiamo questo cibo, alcuni vanno sempre in bagno continuamente, alcuni sentono stanchezza e sonno”.
Una settimana dopo i fatti cinque ragazzi hanno cercato di resistere alla procedura di riconoscimento che li avrebbe condotti alla deportazione lanciando dei suppellettili, sono stati violentemente repressi da venti agenti antisommossa. Buona parte della struttura risulta ora inagibile grazie agli incendi scoppiati durante la rivolta.
Torino. La subdola vendetta dello Stati si scaglia contro chi ormai da mesi si ribella contro la meschina macchina delle espulsioni. Il 13 Gennaio le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nel centro Centro per arrestare 5 ragazzi con accuse di resistenza e danneggiamento, hann provveduto anche a sequestrare numerosi telefoni. Una decina di reclusi sono stati portati via ed espulsi .
Gradisca d’Isonzo (GO). Nel Cpr di Gradisca d’Isonzo conseguentemente alle botte prese dagli sbirri durante un’ irruzione avvenuta il 14 Gennaio per sedare una rivolta è stato trovato morto un ragazzo. Aveva trentasette anni ed era di origini georgiane. I suoi compagni hanno coraggiosamente raccontato la vicenda in un’intervista più avanti integralmente riportata.
Potenza. IL 17 Gennaio è stato pubblicato da alcuni media un video dove alcuni ragazzi raccontano la morte di un loro compagno nel Cpr di Palazzo San Gervasio, si vedono anche dei ragazzi sui tetti e viene descritta anche la repressione della polizia. Non si hanno ulteriori notizie della morte del ragazzo e nemmeno della protesta, sarebbe forse la prima volta che viene tenuto nascosto un decesso avvenuto all’interno di questi centro, ma anche di questo non possiamo esserne sicuri. Per chi è rinchiuso risulta molto complesso comunicare con l’esterno e spesso non si riescono ad ascoltare i racconti di cosa succede in questi luoghi di tortura.
Milano. Non ci sono informazioni certe rispetto all’apertura del Cpr di Milano, su Repubblica sostengono che questo avverà Domenica 1 Marzo, giorno in cui è stato anche chiamato un presidio alle 15 davanti alle mura della nuova prigione. Si conoscono però gli ignobili vincitori della gara d’appalto la Cooperativa Versoprobo SCS e la Cooperativa Luna di Vasto.
Sabato 8 febbraio c’è stato un presidio a Vercelli davanti alla sede della Cooperativa Versoprobo che si è aggiudicata, insieme alla cooperativa Luna di Chieti, la gestione del Cpr di Milano in procinto di riaprire. Con striscioni, volantini e impianto è stato spiegato ai passanti cosa sono questi Centri e che chi li gestisce lucra sugli immigrati che non hanno la possibilità di arrivare e muoversi liberamente in questo Paese.
La Cooperativa aveva divulgato un comunicato in cui si dichiarava orgogliosa della sua vocazione di assistenza agli immigrati e aveva definito la gestione di un Cpr come un “servizio particolare”. Nel suo sito c’è un bando di ricerca di personale per il controllo notturno del Centro che recita: “sarà tenuta in considerazione l’esperienza acquisita in campo di tecniche di difesa e combattimento”. Si capisce che sanno bene cosa andranno a fare, controllare e reprimere gli “ospiti”… di una prigione.
Dopo il presidio ci si è mossi in corteo verso il centro della città, proseguendo con interventi informativi e volantinaggio. I volantini venivano presi e letti da molti di quelli che abbiamo incontrato e gli interventi sono stati ascoltati.
Nuoro. Il 18 dicembre è stato aperto il primo Cpr in Sardegna nell’ex carcere di Macomer in provincia di Nuoro. Ci sono già state alcune mobilitazioni contro questa nuova struttura infame.
Francia. Dal 22 Gennaio successivamente agli ennesimi abusi subiti i prigionieri del CRA di Oisel hanno iniziato uno sciopero della fame.
Malta. Il 6 Gennaio è scoppiata una nuova protesta dentro al campo di Hal Safi, mercoledì 8 gennaio invece è stata la volta del centro di Marsa.
Grecia. Il 6 Gennaio un uomo è stato trovato morto, impiccato in una cella del PRO.KE.KA la prigione dentro al campo di Moira. Successivamente a questo fatto ci sono state mobilitazioni in diversi punti del paese.

***
Gradisca; Il racconto dell’omicidio di stato nel CPR
Suo telefono si è perso, lui non ricordava dove ha lasciato. Da li hanno cominciato a picchiarlo, loro volevano mandare tutta gente dentro le camera, lui insisteva nella ricerca del suo telefono, da li hanno cominciato a picchiare con il manganello aveva tutto il corpo rosso proprio di lividi. Ecco da lì lo hanno portato nel corridoio, quando arriva vicino al suo modulo per rientrare lui non voleva perché era un ragazzo basso e robusto: aveva la forza. Da li lui ha di uno della guardia di finanza e non voleva e hanno cominciato a picchiarlo di nuovo gli hanno buttato dentro e lui con la rabbia ha preso un pezzo di ferro ha tagliato un po’ allo stomaco, non lo hanno portato all’ospedale, domani mattina quando lui sveglia ha cominciato a fare di nuovo casino perché sentiva male al corpo per quel manganello che le ha presa tutte quella sera li. Poi mattina le ferite le faceva male si da li sono entrati e hanno picchiato di nuovo di nuovo di nuovo dopo venuto direttore e portato in infermeria dopo neanche venti minuti ed è tornato ed è rimasto con noi un attimo e poi è andato a dormire poi quando ha svegliato si il giorno dopo mattina sono venuti e hanno detto per dire oggi deve partire in bus per andare via, lui prese tutte sue cose ed è andato via con lui tutta la giornata, la sera verso 8 lo hanno portato hanno detto che non ha voluto andare perché aveva tanti brividi e hanno avuto paura di mandarlo in quel modo li al paese suo sarebbe un casino lì, nessuno avrebbe accettato avrebbe voluto capire cosa era successo: lo hanno portato indietro.
Rimasto per due giorni e lui sentiva male e chiavava “aiuto aiuto!” perché usciva sangue può darsi qualche vetri rimasto dentro lo stomaco non sappiamo, da li lui ha cominciato di nuovo a spaccare degli specchi davanti a loro, e lì ci stava un altro ragazzo da dietro, e la polizia hanno detto a quel ragazzo dietro di buttare un pezzo di ferro fuori, e quando lui si è girato ha visto che l’altro ragazzo stava buttando fuori i vetri che lui usava a spaccare e lì ha cominciato a litigare con lui. Da lì che la polizia hanno aperto la porta e sono entrati dentro. Quando sono entrati dentro hanno aperto la porta. lo hanno messo in mezzo, quanti erano.. 8 lui in mezzo circondato da 8 poliziotti. D’improvviso quando lo hanno attaccato al muro uno di loro gli è saltato addosso di forza e lui da lì la testa gli è caduta e ha sbattuto al muro, un muretto quello che ci sediamo, tipo una scaletta. Noi posso testimoniare ovunque dovunque perché era uno di noi. Da li uno dei poliziotti ha messo i piedi al collo piedi sul collo un altro alla schiena da li lo hanno ammanettato e lo hanno portato via, circondato da loro. Noi non riuscivo a vedere bene da che parte il sangue usciva da li lo hanno portato via e fino ad oggi non lo hanno portato più indietro, abbiamo cercato di chiedere delle botte lui ci ha denuncia, ‘lui è stato denunciato’, ‘domani lo mandiamo al tribunale’, non lo so ‘andrà in galera’ sono queste delle cose che loro dicevano a noi. Oggi all’improvviso uno di noi è andato in infermeria da lì stavano parlando e non lo hanno accorto di quello che li stava dietro e hanno detto che il ragazzo è morto questo qua è venuto da noi e ha detto che ‘il ragazzo è morto’. Noi abbiamo cominciato a chiamare loro per avere più informazioni nessuno è venuto da noi fino ad adesso a dire niente noi abbiamo chiamato poi al paese suo, a sua moglie.
Avete parlato con sua moglie?
Eh si si perché ci abbiamo email e numero di sua moglie, perché lui ce le aveva lasciate se volete possiamo parlare con il ragazzo vi da numero di sua moglie e parlate con famiglia sua. Avete più... la famiglia sua sta chiamando qua e nessuno risponde. Hanno chiamato il 118 di Gorizia e nessuno risponde.
Volete mandarci il numero della sua famiglia?
Se volete certo qua non c’è una cosa da nascondere... qua c’è una cosa da salvare. Perché c’è un corpo umano che è dentro un frigorifero adesso eh. Oggi è toccato a lui, domani non sappiamo chi sarà.
Siete riusciti a sentire un avvocato voi? Avete parlato con un avvocato?
Qui dici avvocato? Sono tutti cadaveri qui! L’avvocato qui… non… Qui loro ci hanno dato l’elenco degli avvocati. Noi quando quando chiamiamo gli avvocati, appena gli dici che sei in questo centro, dice “un attimo sto guidando dopo ti chiamo” e non ti chiama più. Tu chiami e non rispondono. Siamo Abbandonati a noi stessi.
La sua famiglia lo sa già adesso? La sua moglie?
Adesso li abbiamo avvisati, li abbiamo chiamati. Adesso la sua moglie sa già. Sta aspettando da tre anni la dentro... e anche se parli di... è un dolore comunque. E adesso stanno qua le le… Le polizie stanno qui davanti a noi. Davanti a noi. Adesso stanno aspettando per chiudere fuori perché hanno saputo che stiamo parlando con voi. Qui davanti a noi. E ci menano anche a noi! Poi... su di noi, che cosa dobbiamo fare o voi cosa potete fare per noi? Siamo dimenticati da Dio! Qui dentro per sapere di lui, loro non ci hanno detto niente a noi, siamo riusciti a saperlo così, grazie a dio. Ma perché? Sono degli assassini. Veramente. È disumano, è disumano. Veramente. Se c’è qualcosa da fare son delle domande, un esempio è questo, vedi un uomo andarsene dalla vita per niente. Per niente. Aveva già accettato di essere estradato al paese suo. Non sono riusciti a mandarlo, lo hanno ammazzato e lo mandano morto adesso. E se lo manderanno perché non vogliono manco rispondere alla famiglia di là. Che voglio dire. Così noi vogliamo sapere di più da voi su cosa possiamo fare, anche con gli altri ragazzi.
Noi non lo sappiamo.. però noi possiamo cercare di fare di tutto perché la storia che ci avete raccontato venga detta fuori. Perché fuori raccontano che voi vi siete picchiati tra di voi. Sui giornali c’è scritto che vi siete picchiati tra di voi detenuti e che lui è morto per questo.
No, non è vero. Non è vero. Non è vero perché loro invece ci fanno uscire per esempio ci fanno uscire da soli e ci picchiano in cortile e ci portano dove vogliono loro, finché guarisci e siccome lui era grave, molto grave è morto e loro stanno cercando qualche scusa per farla franca.”
19 gennaio 2020, da hurriya.noblogs.org

Il primo Febbraio a Bari, Bologna, Gradisca d’Isonzo, Milano, Roma, Torino e Trento ci sono stati presidi contro queste prigioni, per raccontare la storia di questo ragazzo che ha perso la vita per mano dello stato e per solidarizzare con chi è recluso.


Lettera dal carcere di Ancona
Mi chiamo Faris e da ormai dieci giorni stò facendo lo sciopero della fame, che già avevo fatto in precedenza, per protestare contro un provvedimento di espulsione e per la condizione del carcere di Montacuto e contro alcuni fatti che nel corso della carcerazione ho visto con i miei occhi.
Il giorno 05-01 mi sono anche dato fuoco davanti ai vari assistenti che non hanno fatto nulla per spegnermi e per questo devo solo ringraziare i miei compagni di sezione, che mi hanno aiutato anche con delle medicazioni improvvisate che non ho ricevuto, per contro, dall'infermeria del carcere. Per questo motivo in seguito mi sono scagliato contro il personale di custodia.
Come dicevo sopra, in questi anni ho visto molte cose, sono qui da più di cinque anni e ho lavorato per molto tempo al MOF. Questi fatti che vi elencherò li ho detti durante un incontro davanti a tutti i detenuti, al comandante e al garante che erano lì presenti, e in occasione di una violenza a Perugia, al giudice che ha verbalizzato le mie dichiarazioni spontanee.
Posso dirvi dei saluti fascisti che un sovraintendente è solito rivolgere a Traini Luca [*], il quale proprio in virtù di questa approvazione gode di tanti privilegi in questo carcere, come ad esempio la cella singola. Lo stesso sovraintendente con il suo seguito è solito riservare ai detenuti stranieri e di colore un particolare trattamento fatto di abusi e pestaggi e talvolta torture quando può usufruire dell'isolamento come ho potuto vedere e sempre mentre giravo per il carcere.
Inoltre, molti altri detenuti possono testimoniare con me il fatto che sempre lo stesso sovraintendente nell'ufficio del preposto alla rotonda, teneva nascosta una mazza rudimentale con su scritto “Terapia” , che ovviamente portava con sé nelle sue azioni, che in occasione di altre tensioni ha usato un Taiser su un detenuto, trascinandolo poi per terra e continuando ad infierire su di lui. Altre volte in quinta sezione sono stati usati da parte delle guardie gas o spray al peperoncino.
Inoltre ho visto che in certe occasioni a detenuti di colore chiusi in isolamento veniva sputato sul piatto, per non parlare poi di alcuni detenuti che hanno usufruito facilmente dell'art. 21 proprio in virtù del fatto, da quanto lui stesso dichiarava, per essere amico del comandante in quanto figlio di un appartenente delle forze dell'ordine. Trattamento che non è riservato a detenuti che fanno il loro percorso dignitosamente per anni e anni, osservando un buon comportamento e che poi si vedono sorpassare dai vari confidenti del carcere, che possono usufruire di benefici altrimenti inesistenti per il resto della popolazione detenuta.
Ho iniziato il mio sciopero il giorno 09-01 ma hanno iniziato a visitarmi solo dal 14-01, non curandosi del fatto evidente che avevo iniziato molto prima, oltretutto dopo il giorno che mi sono dato fuoco mi sono cucito la bocca. Tutti i miei compagni sanno questo fatto che il carcere sembra ignorare.
Ho saputo che forse avete degli avvocati a disposizione i quali possono sostenermi in questa lotta e avrei bisogno della vostra vicinanza e del vostro supporto per portare alla luce questi misfatti che avvengono all'interno di queste mura.
Aspetto vostre notizie se potete contattarmi. Vi ringrazio.

16 gennaio 2020
Faris Hammami, via Montecavallo, 73/A - 60129 Ancona

[* Autore della sparatoria per le strade di Macerata che il 3/2/2018 ha portato al ferimento di 6 immigrati; si è candidato nelle file della Lega Nord nel 2017 ed è vicino a Casapound e Forza Nuova, quest’ultima ha promosso iniziative in suo sostegno dopo l’arresto, ndr]


Lettere dal carcere di La Spezia
Ciao, in data 16 dicembre 2019 sono stato in udienza a Lucca dove ho accettato di rilasciare le mie motivazioni. Detti atti compiuti dove sono unico imputato, però nello stesso momento li ho rivendicati. Mi fu chiesto dal pubblico ministero quali fossero state le ragioni del perché abbia colpito la sede politica di casapound: ho chiarito un fatto che venne compiuto a Lucca dai fasci 2016/2017 l’aggressione nei confronti di un simpatizzante del PD, nonostante che non abbia nessune simpatie per il PD. E nonostante questo decisi di compiere l’attentato incendiario contro “casapound” anche perché come militante dell’estrema sinistra antifascista ho semplicemente voluto dimostrare che se alzeranno “troppo la testa” troveranno sempre qualcuno a dare delle risposte alle loro provocazioni. (azione diretta). C’era il consigliere comunale di Lucca Fabio Bersanti di casapound per rilasciare le sue dichiarazioni dove ha detto che quella sera all’interno della sede si trovavano “casapound”. Così l’udienza è stata rinviata al 17 dicembre 2019 perché ridevono essere risentiti 2-3 testimoni. Il pubblico ministero è colui che a Firenze celebrò l’udienza contro i compagni della bomba alla biblioteca “casapound”. Pensavo di trovare in aula i compagni-e ed invece c’erano solo quelli della digos di cui il dirigente Leonardo Leone (digos). C’è stato un po’ di tafferuglio mentre mi portavano via dovuto allo sguardo di provocazione del consigliere. Così gli ho voluto ricordare se si fosse dimenticato che io sono di Lucca.
Nella mia deposizione ho fatto anche presente quella violenza di gruppo su una ragazza ebrea antifascista compiuta da esponenti casapound nella loro sede a Viterbo e già per questo gesto ignobile ho ribadito che sono come i preti “predicano bene ma razzolano male”. Quindi è inutile che si spacciano agnellini quando sotto sotto violentano, bastonano e incrementano fra i poveri atti di razzismo. Ecco perché il loro volontariato è solo per ragioni di avere più consensi nei poveri per ragioni elettorali. Bene chiedo di potere divulgare questo mio scritto e infine che sia pubblicato su “ampi orizzonti”. Vi abbraccio tutti-e

16 disembre 2019
Mauro Rossetti Busa, P.za Falcone e Borsellino, 1 - 19125 La Spezia


letterE dal carcere di udine
Dopo la lettera firmata da 92 detenuti del carcere di Udine, l’“Assemblea permanente contro il carcere e la repressione”, ha ricevuto alla loro casella postale (Associazione “Senza Sbarre” c.p. 129 – 34121 Trieste Centro) una nuova lettera nella quale vengono denunciate le gravissime carenze dal punto di vista sanitario, educativo e di assistenza psicologica. La lettera è stata modificata in modo da tutelare l'estensore con raccomandazione di diffonderla via web e/o via carta stampata. Eccola di seguito.

RECLAMO AVVERSO LA DIREZIONE E L'AREA EDUCATIVA E SANITARIA
Noi detenuti dell'istituto penitenziario di Udine, mettiamo in evidenza con questa nostra fatti molto gravi, che ha la stessa struttura ne è afflitta.
Parliamo anche riguardo la direzione che non è presente, nella stessa struttura. Poi di psicologi dott. Emanuela Rota.
Nello specifico: le difficoltà che noi tutti detenuti abbiamo, nell'avere incontri privati all'interno della struttura. In quanto gli stessi operatori la quale ne facciamo riferimento in nostre numerose richieste fatte in normale domandina 353, e con ulteriori solleciti anche fatti dagli stessi assistenti dei piani, ma senza mai avere nessun riscontro e risposta, ai nostri continui reclami.
Lo stesso con la direttrice dott.ssa Iannucci, che noi detenuti vediamo solo al momento di richiami disciplinari. In quanto la direzione dovrebbe essere presente almeno una volta ogni mese e fare visita ad ogni piano e vedere e chiedere se ci sono dei problemi e anche doversi chiedere essendo la responsabile dell'istituto di pena quali sono i problemi che nella stessa struttura detiene e di problemi seri, in questa struttura ce ne sono molti. “E anche gravi” soprattutto partiamo dall'area sanitaria qua parliamo della dirigente sanitaria e gli stessi dottori che ne fanno parte. Che non corrispondono alle adeguate norme.
Vengono sbagliate le terapie, non veniamo soccorsi nei momenti di bisogno. Non rispettano le norme vigenti di pulizia. Non sono coerenti con i fatti. Il medico che ti visita attraverso internet guardando il problema che hai, consultando google per poi darti una tachipirina per ogni problema.
Detenuti che hanno gravi problemi di salute che non vengono chiamati in infermeria neanche al momento che ti segni. Persone affette da stomìa e devono aspettare di ritirare le proprie sacche alle 21 di sera dalla mattina che li chiede.
Persone che gli vengono sbagliati i farmaci. Dottori che istigano detenuti. Muri con muffa sporchi. Un area sanitaria non a norma di nulla infatti ci sono molte querele alla stessa. Ma nessuno prende dei veri provvedimenti in merito.
Gente che muore perché non soccorsa perché anche gli orari infermieristici non coprono le 24 h. Da lunedì al sabato dalle 9 alle 12.30 poi dalle 15 alle 21. La domenica chissà... Dottori che per un male di stomaco ti danno paracetamolo ecc. c'è anche altro..
Anche la direzione dovrebbe rendersi responsabile di tutto queste cose che accadono anche gravi, nell'istituto. Alla quale degenerano tutto il sistema e la stessa struttura.
Per poi parlare di una educatrice dott.ssa Emanuela Rota, che rallenta tutto il sistema dell'istituto carcerario ed anche rallenta i nostri legali, perché non rispetta i diritti e doveri di ogni detenuto anche dal fatto di permessi e sintesi. Perché quando poi dopo mesi e mesi abbiamo la fortuna di essere chiamati succede che al posto di trattare dei nostri argomenti, parla dei suoi problemi famigliari.
L'educatrice è in dovere di svolgere il suo lavoro perché è di tale fondamentale la sua partecipazione alla nostra vita nell'istituto.
E purtroppo noi tutti siamo stanchi, stufi, afflitti da sofferenza e indignazione per tutto queste cose, tutto perché bbiamo un area educativa assente e non, funzionante. E vorremmo che le nostre voci di aiuto si farebbero sentire, e non cestinate. Come sempre! Lo stesso è avverso anche la parte psicologa che è di maggior importanza e fondamentale nell'istituto.
E parliamo del dott. Oddo Aurelio che nella struttura è invisibile che anche lo stesso non risponde a nessuna, nostra domandina che ci vede qualche ora al primo ingresso se si ha la fortuna e poi basta.
Che anche riesce a fare delle sintesi con solo 1 ora che ti ha visto. Ma relazioni di argomenti mai discussi con lo stesso. Inoltre noi detenuti vorremmo capire con quale criterio lavori! “Non si capisce che ce lo spieghi” infatti molti detenuti lamentano la sua assenza persone che non vengono chiamati anche in un lungo periodo di mesi 6. Tutto questo risulta inconcepibile e non rispetta i diritti dei detenuti, e i giusti criteri vigenti. Di questi “pseudo educatori, psicologi”. Che con questo loro fare non fanno altro, che rallentare, ritardare il tutto. Le relazioni che sono, di vitale e fondamentale importanza per tutti noi reclusi.
Perché grazie a queste il tutto avrebbe un percorso, più veloce con i nostri legali e con gli enti esterni, Assistenti sociali; u.e.p.e; s.e.r.t.; ecc ecc.
Noi chiediamo a voce alta aiuto a persone responsabili, che abbiano la piena consapevolezza di avere voglia di fare e rispettare la propria dignità di noi detenuti.
E non di schiacciarci sotto i piedi solo perché noi essendo in carcere siamo fuori dal mondo esterno.
Vi chiediamo di non cestinare la nostra sofferenza nel ribellarci per i nostri doveri. E dimostrare che questa nostra petizione sia dimostrabile a fatti non a parole.
Se voi associazione vi interessate da molti anni di tutte le problematiche dei detenuti allora fate si che questa nostra venga letta e messa in atto. Dimostrando che non venga cestinata. Perché ci sono le firme di tutti noi detenuti. Che urliamo aiuto!

Li il 11 novembre 2019
In fede tutti i detenuti del cc di via Spalato, Udine. Aiutateci per favore.
Seguono firme di 92 detenuti.

***
Egregia Associazione Senza Sbarre, Chi vi scrive è il diretto interessato alla quale vi ha inviato l'ultima lettera con firma di poco più della metà dei detenuti, che la stessa struttura detiene. Vi ho messo a conoscenza di un po' tutte le situazioni che questa struttura nasconde. Io sono tenuto in ostaggio in questa struttura da un sistema sanitario che non funziona. Sono gravemente malato (…) E qua dentro non mi curano ed anche oscurano e fanno sparire tutte le mie documentazioni interne alla quale, mi sono successe rimanendo buttato per terra nelle cellette primo ingresso mentre se la ridevano e dottore si beveva con tutta calma il caffè alle macchinette.
A più detenuti come me hanno anche sbagliato somministrandoci, a nostra insaputa, al momento del dolore, psicofarmaci. Non sono tossico, non bevo e non fumo. Ho una famiglia e una casa. Non sono uno sprovveduto. I miei legali stanno provvedendo per la mia situazione ma vorrei che mi aiutasse anche la vostra associazione, mettendo a conoscenza le mie gravi condizioni. Complice di questo orribile situazione anche il magistrato di sorveglianza Mariangela Cunial che a quelli come me che le chiedevano aiuto poi chi si è impiccato, chi poi morto di tumore, per non essere stato preso in considerazione. Purtroppo qua dentro non sono molti ad impegnarsi a lottare contro gli abusi che subiamo tutti i giorni.
Vi prego, aiutatemi, mettete in ginocchio questo sistema, io necessito di una dieta che qua dentro non mi viene data, mangio solo con con i miei soldi perché anche con documentazione clinica non mi viene data la mia dieta alimentare. La direzione ha anche sospeso per un periodo due assistenti che quando si trovano loro in cucina riescono a farmi avere ogni tanto un hamburger e qualche coscia di pollo. Ma solo quando ci sono loro, una volta al mese. La direttrice non è presente, neanche sappiamo come si chiama, mai vista, propria come la vecchia direzione Iannucci (attualmente la direttrice risulta essere Tiziana Paolini, direttrice reggente che è anche direttrice titolare del carcere di Belluno, ndr).
Ispettori e dirigenti di alto grado che minacciano i detenuti, la matricola che non funziona e per lo più non invia istanze che i detenuti con impegno scrivono, abusi su abusi. L'area sanitaria gestita dalla dottoressa Bravo che copre tutti gli errori che commettono la dottoressa e il dottore Massimiliano. Mi dovete aiutare pubblicando ogni abuso su quotidiani, in tv ed anche in visione ad alte cariche politiche. La gente continua a morire, gente come me che non può ribellarsi perché ha paura di essere isolata e mandata in altra struttura lontano dai propri affetti.
L'area educativa non funziona. La dottoressa, se così vogliamo chiamare Emanuela Rota, continua ad ingannare e impaurire i detenuti della fascia più debole facendo brutte relazioni, non vere. Ragazzi calpestati da ogni tipo di maltrattamento da parte della stessa. Lo stesso per lo psicologo dott. Oddo Aurelio. Persona meschina che in collaborazione con le alte cariche della struttura interna e del magistrato indicato, cambia le relazioni scrivendo tutt'altro di quello che noi diciamo.
Le aule dove si frequentano corsi minoritari sono prive di riscaldamento al punto di ammalarci. Scarafaggi e altri insetti che fuoriescono dai bagni e lavabi e antibagno delle celle, corridoi ed ascensori dove passano con il carrello vitto. Passano anche con sacchi della spazzatura. Gravi problematiche idrauliche. Maltrattamenti ai detenuti da parte di più assistenti, il capo posto Santino addetto alla mof (movimentazione ordinaria dei fabbricati, ndr) che dà schiaffi a detenuti deboli e se parlano è peggio. Celle e stanze dove si conserva un congelatore girano scarafaggi, un bidone d'immondizia sporco maleodorante, un mocio per le pulizie sezione nero e sporco di ogni cosa. Dove anche un'infermeria sporca e piena di muffa. Alcuni farmaci scaduti.
Vi prego aiutatemi, fate valere la dignità di noi detenuti, non ho ucciso nessuno. Ma loro si stanno uccidendo me e tanti altri come me. Se, per favore, qualora pubblicherete questa mia, se potete inviarmi copia di pubblicazione in ogni sito così da avere e dare conferma ai detenuti della vostra collaborazione così da renderci partecipi, e collaboratori di ulteriore grido di aiuto perché solo aumentando gli aiuti possiamo ottenere maggiori aiuto.
Puntate sull'area sanitaria perché le povere mamme aspettano i figli a casa, e si ritrovano a ricevere telefonate che il proprio figlio è morto. Se pubblicate, inviatemi copia di dove lo pubblicate così da poter qua dentro fare vedere la realtà. Perché noi non abbiamo possibilità quanto meno non tutti di vedere pubblicato sui media il vostro aiuto e non tutti hanno famiglia. Quindi sono io che con la vostra copia pubblicata che mi invierete, anche se pubblicherete sul Messaggero Veneto. Attendo in merito senza peccare di presunzione un vostro riscontro. Con la lettera e messa scritta più correttamente e la copia di quella che pubblicherete. Scrivendomi anche sotto in quante testate e d'associazioni è stata pubblicata. Grazie di cuore. Cordiali saluti.

Udine, il 9 gennaio 2020

***
PRESIDIO DI PROTESTA E IN SOLIDARIETÀ CON I DETENUTI DEL CARCERE DI UDINE
Martedì 28 gennaio 2020, dalle 8.30 alle 12.30 in VIA SAN VALENTINO a UDINE presso la Direzione del Distretto Sanitario ci sarà un presidio in solidarietà con i prigionieri del carcere di Udine che negli scorsi mesi hanno denunciato le gravissime carenze dell'area sanitaria, educativa e psicologica. Si è scelto di manifestare davanti al Distretto Sanitario perché è al direttore di questa struttura che spetta la responsabilità delle funzioni di tutela dei/delle pazienti e di vigilanza sull'opera del personale sanitario operante nel carcere.
In particolare i detenuti ci informano che, da parte del personale sanitario interno alla prigione, ci sono gravi e immotivati ritardi nell'intervenire tempestivamente, quando cioè ci si sente male.
L'infermeria non è presidiata sulle 24 ore né sui 7 giorni e questo significa che chi si sente male fuori dall'orario di apertura deve essere ogni volta accompagnato dalle guardie in ospedale (e di conseguenza attendere che le guardie siano disponibili).
Ci sono detenuti con stomia che devono aspettare il ritiro della sacca dalla mattina alla sera. Vengono somministrati psicofarmaci senza consenso…
Contro sfruttamento e controllo!
Solidarietà ai prigionieri della galera di Udine! Sanità e cure per i proletari e le proletarie! Fuori il carcere e il capitale dalle nostre vite!
Chiudere tutti i cpr! Solidarietà ai prigionieri del Cpr di Gradisca! ricordando Vakhtang Enukidze perché l'ennesima morte di stato non passi sotto silenzio!

Assemblea permanente contro il carcere e la repressione


Napoli, 14-15 marzo: convegno contro il carcere
Sull’onda delle mobilitazioni contro il 41 bis e per la chiusura della sezione femminile di AS2 del carcere de L’Aquila, in seguito chiusa, è nata e si è sviluppata l’esigenza di un discorso più complessivo e organico sul carcere che raccolga le tante esperienze di lotta passate e presenti per essere più incisivi su quelle future.
Il convegno è stato suddiviso in quattro aree tematiche di seguito elencate, chiediamo ai prigionieri di contribuire inviando i propri scritti in forma individuale o collettiva.
Il convegno si terrà presso la sala “DOMUS ARS” di Via Santa Chiara, 10 C a Napoli.

Carcere e società. Istituzione totale, fatta tremare dalle lotte che si sono prodotte contro di esso, il carcere è strumento principe della società, suo riflesso e luogo di sperimentazione, dove tutto diviene disciplinamento e coercizione. Non ultimo il tempo, rubato, cattivo, infinito. In questo quadro gli interventi da Napoli, e non solo, daranno concretezza al tema delle carceri nelle carceri (sezioni femminili e sezioni per persone trans), delle trasformazioni di Poggioreale e del suo corpo prigioniero negli ultimi decenni, e di come i dispositivi cardine del sistema carcerario – premialità e differenziazione – siano ormai alle fondamenta della società anche fuori. (Sabato 14 marzo, dalle 10 alle 12.30)
Le lotte di ieri e di oggi. Comprendere a fondo i meccanismi che hanno animato le lotte in carcere nel corso degli anni. Racconti, resoconti, impressioni e ragionamenti di chi nelle carceri italiane ha vissuto in prima persona detenzioni di media o lunga durata, scontrandosi e lottando contro la privazione della libertà individuale, e collettiva.
Dalle rivolte degli anni ‘70 alle più recenti mobilitazioni di carattere rivendicativo.
Esperienze di vita – reclusa – , spunto per possibili suggerimenti rispetto all’agire attuale: cosa vuol dire oggi lottare contro il carcere? (Sabato 14 marzo, dalle 14 alle 16.30)
Differenziazione e premialità. Il carcere, specchio della società, non è uguale per tutti e, come questa, è regolato da meccanismi di punizione, premialità e discrezionalità.
Lo Stato in risposta ai periodi “emergenziali” ha reagito negli anni ristrutturando la geografia peniteziaria, secondo varie gradazioni, istituendo circuiti e regimi dedicati a soggetti visti come nemici o non conformi all’imposta “normalità” (Circuiti di Alta Sicurezza, Sorveglianza Particolare, 41 Bis, sezioni per persone trans). Parallelamente, seppur in tempi più recenti, ha creato un’altra forma di detenzione differenziata, cossidetta amministrativa, per persone senza documenti: Centri di Permanenza per il Rimpatrio.
Si vuole analizzare, dunque, come le strutture detentive sono state organizzate da parte del potere per dividere, sotto l’egida della differenziazione, i prigionieri sulla base di “categorie”. E l’effetto pacificatore che questo comporta o può comportare.
Come reagirvi? (Domenica 15 marzo, dalle 10 alle 12.30)
Il diritto penale del nemico. Introduzione sulla figura del “nemico”, creata ad hoc dallo Stato sulla base della logica dell’emergenza così da favorire la sperimentazione di strumenti repressivi sempre più liberticidi, mirati non tanto a colpire il reato quanto l’autore, il nemico, ossia chi non intende abiurare o collaborare. Ad approfondire l’argomento, seguiranno l’intervento del collettivo “Prison Break Project” e un’analisi sull’attuale composizione delle persone detenute, del regime di 41bis e della funzione del carcere nel controllo delle masse escluse a seguito del processo di colonizzazione del sud Italia. A conclusione una riflessione dell’avv. Flavio Rossi Albertini sulla figura del nemico esterno, sulla costruzione dei processi a carico degli islamici e le condizioni detentive in AS2.
È possibile ostacolare il processo di stigmatizzazione che si nasconde dietro la figura del nemico? (Domenica 15 marzo, dalle 14 alle 16.30)

febbraio 2020, da combattereilcarcere.noblogs.org


Lettera da una comunità di Belluno
Dalle montagne del Nord-Est italiano
Carissima, non so se ti ricordi di me. Ero detenuto presso il carcere del Coroneo di Trieste ed ho scritto qualche articolo su OLGa. Adesso, da circa un anno e un mese sono stato spostato in una comunità terapeutica presso Belluno. Sono molto contento di essere qui, almeno per ora e spero per sempre è finito l'incubo del carcere. Devo scontare la mia pena fino a gennaio 2023.
Ti scrivo in quanto ho cercato di contattare OLGa già due volte, inviando pure 2 articoli che volevo siano pubblicati, ma purtrtoppo, e non capisco perchè, non mi hanno risposto e non mi hanno più inviato il giornale. Mi chiedevo se puoi fare qualcosa per fare in modo che mi inviino il giornalino a cui tengo molto anche perchè non ho mai smesso di lottare contro il carcere e non mollerò mai anche per i compagni che stanno ancora là dentro. Purtroppo non mi fanno, non mi permettono di avere contatti con i miei ex compagni di cella. Hai forse notizie di Kabu?
Spero tu stia bene e che viva sempre l'anarchia. Buone feste, Fabio.

10 dicembre 2019
Fabio Visintin, CE.I.S., via Ruco, 21 - 32100 Belluno

***
Cari compagni/e, è con immenso piacere che vi scrivo questa lettera per augurare a tutti/e voi i migliori auguri per un anno nuovo, nuovo inizio 2020, sperando che sia un anno di cambiamenti, di più consapevolezza. Di pace ed amore fra i popoli.
Che le persone che soffrono, che chi è solo, che chi stà male, chi stà peggio di noi, chi subisce le ingiustizie, chi è deluso, sfruttato, sottomesso, possa liberarsi dal male, dal giogo dei potenti.
Che possa la nostra forza, i nostri cuori, le nostre vite essere messe a disposizione per colpire con un forte pugno contro l'ingiustizia.
Che chi stà in galera non sia dimenticato e neppure chi lotta e neppure tutti quei morti che hanno lottato per un ideale di un mondo di giusti, di gente onesta, di collaborazione, non vengano dimenticati ma ricordati per il loro sacrificio.
Vi auguro i più sentiti auguri a voi e alle vostre famiglie. Io qui stò bene (nonostante sia privato della libertà) e da questi posti, da queste montagne voglio combattere con la mia penna. La conoscenza è la nostra arma, il sapere, i nostri cervelli devono essere allenati ogni giorno e le nostre mani sporche d'inchiostro per un mondo più giusto, più umile, più solidale, più vero. Dobbiamo salvaguardare il nostro piccolo pianeta terra, sconfiggere l'inquinamento, lottare per un mondo ecologico, sensibile ai milioni di abitanti animali e vegetali che dobbiamo proteggere per garantire ai nostri figli ed ai figli dei figli una terra sana, e prospera.
Vi chiedo se vi è possibile farmi avere in prestito (che poi ve li rispedisco una volta letti) qualche libro sull'anarchia. Mi piacerebbero tanto i testi di Bakunin e Ferrer e Malatesta.
(segue elenco libri)
Mi rispondete??? Un saluto a pugno chiuso e un abbraccio a tutti/e voi! Fabio.

31 dicembre 2019
Fabio Visintin, C.E.I.S. Via Ruco, 21 - 32100 Belluno


Lettera dal carcere di Belluno
Ciao carissim* compagn*, sono Eddi. Vi ho scritto una lettera più di un mese fa ma non ho ricevuto nessuna risposta. Magari non è nemmeno partita chi sa? Visto che qua sanno bene chi sono!
Comunque, sono arrivato qua a Belluno il 27/09/19. Sono stato trasferito a seguito della querela che ho fatto alla procura contro un secondino di Verona il 12/09/19. Vi ho già mandato una copia con le firme di una trentina di persone detenute e la ricevuta della raccomandata alla Procura di Verona [che abbiamo ricevuto e pubblicato sul precedente numero dell'opuscolo, ndr] e questo grazie ai compagn* di S. Martino-Verona che approfitto di ringraziare all'infinito per la loro solidarietà e sostegno...
Alla fine con questo trasferimento ho la conferma che la lotta paga, per l'ennesima volta sono stato trasferito dove volevo, anche se Belluno è tanto cambiato dall'ultima volta che sono stato qua nel 2015, non ce ne sono più carcerati di una volta.
Anche qua sta regnando la schiavitù per colpa della coop. di assemblaggio. Immaginati il 11/10/19 c'era la conta della mattina, entrano dei secondini in cella e ci hanno ordinato di spegnere la sigaretta, hai capito? Questo è il top dell'abuso... E i detenuti obbediscono per non prendere rapporto e perdere il lavoro, ovvio la mia risposta è stata un no fermo “non l'ho spenta e non la spegnerò”.
Vorrei chiedervi degli ultimi opuscoli perchè l'ultimo che ho ricevuto era quello di luglio. Approfitto per salutare Davide Delogu che sono contento che nella sua ultima lettera non ha più la censura di controllo e salutare i compagn* di S. Martino-Verona e tutti i compagn* di Venezia, Udine e Trieste.
Un abbraccio fraterno forte a tutti voi e tutt* i compagn* in lotta.
Per favore se c'è la possibilità di caricarmi un CD di Kumar Sanu Song, indiano, grazie.

11 novembre 2019
Eddi Karim, via Baldenich, 11 - 32100 Belluno (BL)


Trento. Presidio in solidarietà ai detenuti sotto processo
Domenica 16 febbraio, ore 16 presidio in solidarietà ai detenuti, carcere di Spini di Gardolo, lato ciclabile.
Il 22 aprile inizierà il processo a ottantuno detenuti del carcere di Spini per la rivolta di dicembre 2018, quando oltre trecento prigionieri risposero all’ennesima morte di carcere cacciando le guardie e devastando le sezioni. A oltre un anno di distanza, le ragioni di quella rivolta continuano ad essere valide.
Solidarietà con i detenuti di Spini. Non lasciamo solo davanti alla vendetta dello stato chi si è ribellato e ha lottato.
febbraio 2020, da roundrobin.info


Lettera dal carcere di Reggio Emilia
50 ANNI DI STRAGI DI STATO; LA D.C.: DESTABILIZZARE PER STABILIZZARE; 50 ANNI DI SOPRUSI CONTRO IL PROLETARIATO.
Dal 'Penale, VI sezione'.
Compagni di Nuovi Orizzonti, grazie per il piego di libri che mi avete inviato. Lo facciamo girare e poi cerchiamo di condividere quello che è scritto in assemblee endogene con altri reclusi. Quindi il vostro materiale è sempre per me e per tutti un motivo che ci riempie di gratitudine.
Le notizie che sto per scrivere è la somma di quello che avviene nell'istituzione totale di Reggio Emilia. Esiste all'interno la cooperativa Ovile, che da 20 anni crea corsi come: agricolo, elettricista, informatica, verde e scuola, OS. Il problema che tale coop iscrive ai corsi molti reclusi, ma solo 4 sono destinati al tirocinio pagato. L'Ovile, proprio in questo anno ha aumentato il budget da 200.000 euro a 4 milioni di euro destinati dal fondo europeo alle prigioni.
Va detto che l'Ovile ha molti fronti aperti fuori dalle mura, ma va anche detto che in 20 anni pochi reclusi abbiano, con i loro soldi, potuto acquistare generi di sopravitto. Questa sedicente cooperativa utilizza e l'ufficio comando e l'area trattamentale per svolgere (a volte in maniera sotteranea) i propri affari.
Oggi, poi, dobbiamo aggiungere un'altra vittima del sistema carcerario. Ieri alle 7,11 minuti è stato ritrovato morto un recluso arabo dell'ex opg (Ospedale Psichiatrico Giudiziario). Giovane ma con un diario clinico che lo descrivevano come una persona non gestibile in galera e in più c'è da dire che gli ospiti dell'ex OPG vengono sedati in maniera inennarrabile. Configurando così la continuazione e la pepetuazione della tortura democratica. Aggiornata e strumentalizzata ad uso e consumo da chi governa questi luoghi.
La magistratura di sorveglianza è praticamente inesistente e i giorni di liberazione e i giorni di anticipata arrivano con una lentezza inquantificabile. Così, i reclusi, cadono in stati di alterazione, creando momenti di panico. Autolesionismo che viene soppresso con pestaggi e sovradosaggi di farmaci. Dalle sezioni penali, poste al 3° piano, si sentono le urla notturne degli ospiti dell'OPG.
Insomma un clima tut'altro che rilassante ed atto alla riabilitazione dell'individuo. Noi, sia rivoluzionari che ribelli esisteremo fino a quando l'uomo userà violenza sui deboli. Come tali rimaniamo le avanguardie di guardia della retrovia. [...]
Ora vi lascio e auspico di ricevere sempre da voi e dai colletivi anarchici il supporto spirituale e documentazione da dibattere. A presto.
A pugno chiuso, con un sorriso, Marco Ricci.
P.S. LA SITUAZIONE E' CRITICA!

25 dicembre 2019
Marco Ricci, via Settembrini, 8 - 42123 Reggio Emilia


Lettera dal carcere di Parma
Cari compagni, spero che stiate bene così vi assicuro di me.
La Manifestazione davanti alla Base Nato a Solbiate Olona (Varese), è stata una bella iniziativa, visto che nella realtà effettivamente la Nato da organo di contrapposizione EST e OVEST, negli anni si è trasformato in organo di conquista e imposizione - vedi Ucraina -: la Nato l'ha aggredita, infiltrandosi nel Sistema Paese e mettendo uomini graditi agli USA nella gestione dello Stato. E subito è prevalsa la politica fascistoide e il Potere economico - oserei dire - sempre dei soliti ignoti!
Così ha fatto modo che l'Ucraina si indebitasse con le istituzioni internazionali - USA e EUROPA -, facendo salire il debito – oso dire – alle stelle e strisce -, è normale che la Russia avrebbe in qualche modo reagito.
Ma faccio un esempio – basta pensare se la Russia facesse in modo che la Grecia si stacchi dalla Nato e dall'Europa per far parte del sistema di stati indipendenti ex-Unione Sovietica, cosa penseremo noi tutti Stati Uniti e gregge di pecore Europei?! Facile pensare cosa diremo: che la Russia è aggressiva. Però siamo stati abituati a pensare che in fondo una dittatura espressa da noi occidentali anche se fascistoide espressa da Stati Uniti, Europa, cioè Nato, comunque è una dittatura democratica. La Russia ha fatto bene ad annettersi la Crimea, e un referendum ha regolarizzato tutto.
Mentre in Palestina viene consumato un abuso totale verso il Popolo Palestinese con l'appoggio dei traditori dell'Arabia Saudita e gli sceicchi del Golfo Persico, e gli USA in primis, se continuano con questo sistema di fare, credo che si arriverà un giorno a rimpiangere ciò che non si è voluto fare oggi, nel sistemare una volta per sempre il problema di Israele e della Palestina, due Popoli, due Stati, la scienza e il sapere progredisce, e se qualcuno o un gruppo con i mezzi e le possibilità che ci sono oggi pensassero – morire piano piano, e vedere morire con il tempo i tuoi famigliari e vedi che è solo questione di tempo che toccherà anche a te, o essere ucciso o subire il carcere ed essere torturato, e se qualcuno STRAVOLTO dagli avvenimenti che stà vivendo, pensasse di non avere più motivi di vivere?! E pensasse 'muoia Sansone con tutti i filistei', non è facile, ma morire per niente è ancora più tragico.
Con tutti i discorsi che si possono fare a riguardo del Problema Palestina, penso che bisogna augurarsi di non sentire mai una notizia del genere. Israele ha subito un genocidio e ora lo sta perpretando nei confronti dei Palestinesi, però con parsimonia diluita nel tempo, perciò mica sono dei criminali come lo furono la Germania di Hitler, gli isrtaeliani sono umani.
Nell'occasione vi faccio gli Auguri di Buon Natale e che l'Anno Nuovo sia Portatore di Benessere e giustizia sociale veramente estesa a tutti.
Vi saluto con un abbraccio e tanta stima, Ciao a presto Antonio

12 dicembre 2019
Andonio De Feo, via Burla, 59 - 43122 Parma


Solidarietà agli antisionisti accusati di odio razziale!
Il prossimo 10 marzo a Milano si terrà l'udienza preliminare a carico di 5 compagni milanesi solidali con la lotta palestinese, processati per le contestazioni alla presenza delle bandiere sioniste - simbolo di occupazione, colonialismo e apartheid - portate dallo spezzone della Brigata Ebraica nel corteo del 25 Aprile del 2018.
La gravità della vicenda sta sopratutto nell'accusa che questi compagni dovranno fronteggiare: "incitamento all'odio razziale". Un chiaro tentativo da parte della Procura di Milano di perseguire giuridicamente come antisemita chiunque osi criticare le politiche israeliane e la sua propaganda. Un processo che tenta di ribaltare la realtà e che rientra in una campagna più ampia e internazionale in cui il sionismo tenta di diffondere l'equiparazione tra antisemitismo e antisionismo.
Riportiamo di seguito l'appello degli imputati.

La storia non si inganna
Il 10 marzo 2020 inizia il processo che ci vede imputati per incitamento all’odio razziale. L’imputazione riguarda la contestazione da parte di centinaia di persone nei confronti della presenza delle bandiere israeliane alla manifestazione del 25 Aprile 2018 a Milano. Tra queste centinaia di persone il grande impegno della DIGOS e della Procura della Repubblica del Tribunale di Milano ha selezionato noi per dare corpo ad un’operazione repressiva che ha il chiaro obiettivo di falsificare la storia equiparando l’antisionismo all’antisemitismo, l’opposizione alla politica genocida di Israele nei confronti del popolo palestinese e guerrafondaia in tutto il Medio Oriente con l’antisemitismo nazifascista che portò ai campi di sterminio, in cui oltre all’Olocausto degli ebrei furono massacrati milioni tra Rom, gay, comunisti, socialisti e antinazisti.
In primo luogo noi denunciamo l’assurda provocazione di essere accusati di razzismo, equiparandoci così agli attuali nazistelli antisemiti nonché grandi elettori del fascio-leghista Salvini, rivendichiamo inoltre la contestazione della presenza delle bandiere sioniste alla manifestazione del 25 Aprile come atto di solidarietà attiva alla lotta del popolo palestinese, che da quasi un secolo resiste alla feroce progressione dell’invasione e occupazione della loro terra. Aggressione colonialista che attraverso innumerevoli massacri, deportazioni e discriminazioni persegue il progetto di istituzione di uno stato confessionale ebraico in Palestina, uno stato costituzionalmente, esso sì, razzista.
Tra gli innumerevoli massacri perpetrati dai sionisti ci basta ricordare quello di Deir Yassin, villaggio palestinese inerme attaccato e distrutto il 9 aprile del 1948, vero atto costitutivo dell’entità statale sionista cui seguì pochi giorni dopo la proclamazione formale dello Stato d’Israele, mentre per i palestinesi ha inizio la Nakba, cioè l’esodo forzato della popolazione. Nel massacro di Deir Yassin secondo il rappresentante della Croce Rossa Internazionale furono contati 254 morti palestinesi trucidati casa per casa, tra cui 145 donne di cui 35 incinte. Responsabili del massacro furono le organizzazioni sioniste dell’Irgun, capeggiata dal futuro Premier israeliano e Premio Nobel per la pace Menachem Begin, e la Banda Stern, mai perseguite per questo. D’altronde le pulsioni terroristiche dei sionisti sono ampiamente documentate e si erano già espresse anche nell’attentato contro il King David Hotel di Gerusalemme del 22 luglio 1946 ad opera dell’Irgun, che causò la morte di 91 persone tra cui decine di militari inglesi.
Il 30 marzo 2018 un coordinamento di organismi di base palestinesi ha dato il via alla “Marcia del Ritorno” per rivendicare il diritto dei palestinesi a ritornare nelle loro terre e gli abitanti della striscia di Gaza ad uscire dal campo di concentramento in cui sono condannati a vita. La risposta israeliana ha prodotto centinaia di omicidi perpetrati dai cecchini sionisti che hanno colpito indiscriminatamente donne, bambini e personale medico ai confini della Striscia.
È in questo contesto storico ed attuale che si colloca la contestazione per la quale siamo provocatoriamente accusati di “incitamento all’odio razziale”. L’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo è un progetto che parte da lontano: da sempre cavallo di battaglia dei sionisti ha visto tra i suoi capofila in Italia l’ex presidente Giorgio Napolitano e il grumo sionista che alligna nella cosiddetta sinistra, ben rappresentato dall’esponente PD Emanuele Fiano. Il fatto che recentemente sul carro dei fautori dell’equiparazione sia saltato anche Salvini e la sua Lega fa chiarezza...alla fine i veri razzisti si trovano dalla stessa parte della barricata.
La barricata di chi va alla guerra e per questo appoggia la super colonia israeliana, testa di ponte strategica USA-occidentale in Medio Oriente, che dalla sua esistenza ha condotto guerre contro tutti i suoi confinanti. Linea guerrafondaia ben rappresentata dall’Amministrazione Trump che ha dichiarato Gerusalemme capitale dello Stato confessionale ebraico e che si concretizza nell’attualità con reiterati bombardamenti e omicidi mirati in Siria, Libano, Iraq e Iran al di fuori di qualsiasi legittimità.
Per questo anche in ricordo di tutti gli ebrei caduti nella lotta di Resistenza contro il nazifascismo siamo risolutamente antisionisti come lo sono molteplici prese di posizione di ebrei in tutto il mondo.
Per contrastare questa provocatoria montatura e rilanciare la solidarietà al popolo palestinese invitiamo tutti al presidio davanti al Tribunale di Milano il 10 marzo alle ore 09.00. Palestina libera!Contro le guerre imperialiste libertà ai popoli!
Tutti gli imputati

***
Palestina, per non dimenticare
Nel primo numero dell’anno 2020 del nostro opuscolo vogliamo dedicare un momento di attenzione alla Palestina. È un argomento che ormai non appassiona più come un tempo non lontano, quando la lotta dei palestinesi contro l’occupazione israeliana ispirava a molti solidarietà e coraggio. Le ragioni che hanno portato a questo calo vorticoso di interesse sono certo molte.
La propaganda sionista, potente e insidiosa, accusa di antisemitismo ogni critica verso israele. Lo stesso israele si è reso modello indispensabile, e di conseguenza difficilmente criticabile, per il mondo intero. In quel laboratorio che è la Palestina occupata, ha sperimentato nuovi ritrovati nel campo della sicurezza e nuovi metodi di repressione e controllo da diffondere. Un modello che vale sia per i governi di destra che di sinistra nel controllo e la repressione dell’opposizione interna, o per le politiche razziste come dimostra il caso del governo brasiliano che, dopo aver approvato gli insediamenti illegali e l’occupazione militare in Palestina, si è conquistato l’apprezzamento del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu: “non abbiamo amici migliori del popolo e del governo del Brasile”.
Anche l’industria israeliana si è resa indispensabile, con le sue innumerevoli start up (nuove imprese) crea innovazione da esportare con successo in campi tra i più diversi, da quello sanitario a quello idrico con la raccolta dell’acqua, la desalinizzazione, l’irrigazione. Il tormentone di aver reso coltivabile il deserto va ancora in scena, mentre resta dietro le quinte il fatto che l’acqua è ai palestinesi che la rubano.
La posizione geografica di israele, in un’area tormentata e strategica, rende quello stato occupante fondamentale per gli interessi e gli equilibri “occidentali”, quindi ancora una volta incriticabile e intoccabile.
Poi occorre fare i conti con il sentimento di impotenza che deriva da una lotta, dei palestinesi, che dura almeno dal 1948, ma che non ha portato alla liberazione di quella terra e dei suoi abitanti e che certo non è facile da contrastare. Mantenere viva la partecipazione a una lotta di resistenza che si sfalda, con rotture, corruzione dei leader e dei loro partiti, paura e sfiducia legate alle dilaganti possibilità di tradimento che non risparmiano quasi nessuno, non è semplice. I ragazzi e le ragazze giovani, gli shabab, lo fanno, imperterriti si buttano nelle strade affrontando quella forza devastante che l’esercito di occupazione gli oppone, vengono feriti tragicamente, mutilati, tante volte uccisi, arrestati, torturati. Ma proseguono. Per gli indomiti non c’è altro da fare, niente presente e niente futuro senza la lotta.
Dalle nostre parti invece non si dice quasi più nulla, il sostegno a movimenti internazionali muta, come le mode. Molti di coloro che si recano in Palestina con qualche progetto, ci vanno con le proprie ipotesi da confermare e il proprio spazio di importanza da conquistare. Hanno da chiedere spesso qualcosa ai palestinesi: che si comportino come ci si aspetta secondo paradigmi tipici di un mondo che non è quello che sperimentano sottoposti a ben altro genere di vita quotidiana, che boicottino i prodotti israeliani, che accolgano con fervore i piani di “aiuto”. Individui o comitati popolari finiscono per dover rispondere alle aspettative di qualcuno sia per mantenerne semplicemente l’appoggio che per accedere, quando ci sono, ai finanziamenti. Gli interventi esterni finiscono così per incrementare le divisioni attraverso i privilegi, i condizionamenti e le distorsioni che provocano.
Per avere almeno una pallida idea di quanto accade ogni giorno in Palestina, le informazioni che seguono sono state scelte nell’arco delle prime settimane di gennaio 2020, tra le tante. Uno stillicidio di abusi quotidiani a volte minori a volte gravissimi, ma che in modo violento incidono sulle già difficili esistenze.
Lo scopo dei sionisti è il medesimo sin dall’inizio della loro invasione: eliminare la popolazione palestinese.
Ovviamente la resistenza non si arresta, i giovani palestinesi non demordono come tutti coloro che da una vita lottano per liberarsi dall’occupante, ma qui l’intenzione è solo di ricordare come in quella terra il potere sionista si manifesti senza tregua su ogni piccolo aspetto della vita, ogni giorno, in ogni città o piccolo villaggio, nei campi, in mare, nelle case, sulle persone, giovani o vecchie che siano. Con i coloni che impediscono la raccolta di erbe, di olive, con il divieto di esportare il poco che si riesce a produrre, con la propaganda, con il controllo, con le incursioni, l’abbattimento delle case, di interi villaggi, con gli arresti, le uccisioni…
I sionisti hanno una precisione spietata nel non lasciare perdere nemmeno il più piccolo dettaglio, nel perfezionare l’occupazione e portarla a compimento. Il Piano Usa presentato in questi giorni per la “pace” tra palestinesi e israeliani ne è parte integrante.
- Gaza. Dal 30 marzo 2018, si svolgono manifestazioni al confine con israele per i diritto al ritorno alle loro case di origine dei palestinesi cacciati nel 1948. Il 65% dei palestinesi che vivono a Gaza, una stretta striscia di terra densissimamente popolata e descritta per quello che è, una prigione a cielo aperto, sono essi stessi rifugiati. La striscia di Gaza è un luogo invivibile per la politica imposta da israele che controlla i movimenti di chi vuole entrare o uscire, impedisce di importare o esportare qualunque bene necessario lasciando senza acqua, senza la possibilità di curarsi, di sopravvivere.
Nella “Grande marcia del Ritorno” che si fa ogni venerdì e a cui partecipano tutti gli abitanti, tutte le fazioni politiche, tutte le associazioni, per non lasciarsi morire e perché non si vede altro modo per lottare, 300 palestinesi sono stati uccisi e 30mila feriti gravemente, con perdita degli arti il più delle volte. Ora la marcia si fa una volta al mese anche per la gravità delle perdite e dell’impunità di israele.
- Israele inonda fattorie di Gaza con acque reflue. Le autorità d’occupazione israeliane hanno aperto dighe e scaricato le acque reflue verso i terreni agricoli palestinesi al confine orientale della Striscia di Gaza, secondo quanto affermato dal ministero dell’Agricoltura di Gaza. Adham al-Basyouni, portavoce del ministero, ha dichiarato che l’apertura delle dighe ha danneggiato colture, distrutto apiari e portato all’erosione del suolo e alla morte di mucche e pecore, causando enormi perdite per gli agricoltori. Ha osservato che israele ogni anno apre intenzionalmente dighe e canali idrici per allagare le terre agricole di Gaza, senza preavviso.
- Gaza. Nel 2019 la marina israeliana ha ferito e rapito decine di pescatori. I comitati di pescatori palestinesi hanno dichiarato che l’occupazione israeliana ha ferito e rapito decine di pescatori di Gaza nel 2019. Lo scorso anno, 21 pescatori sono stati feriti e altri 35 sono stati rapiti nelle acque di Gaza. La marina israeliana ha anche sequestrato 15 pescherecci, ne ha distrutti 12 interamente e 11 parzialmente, oltre ad aver danneggiato decine di volte le reti da pesca e altre attrezzature.
- Oltre 9.000 Palestinesi dislocati in un decennio di demolizioni israeliane in Cisgiordania.
Un totale di 6.116 strutture sono state demolite tra il 1° gennaio 2010 e il 24 dicembre 2019, rendendo senza tetto e dislocando 9.249 persone, di cui oltre la metà erano bambini e minorenni. Inoltre, le demolizioni hanno coinvolto oltre 115.000 persone. Circa il 28 percento (1.734) delle strutture distrutte erano edifici residenziali.
- 300 strutture palestinesi demolite a Gerusalemme nel 2019. Nel 2019, su 686 operazioni di demolizione nei territori palestinesi almeno 300 edifici palestinesi sono stati demoliti dalle autorità israeliane a Gerusalemme, secondo quanto affermato da Walid Assaf, presidente della Commissione contro il muro e le colonie, le autorità israeliane mirano a isolare la città di Gerusalemme e a dividere la moschea di al-Aqsa, demolendo case palestinesi e intensificando l’attività di costruzione delle colonie.
- Colonialismo israeliano in Palestina: il 2019 è stato l’anno peggiore. Il direttore delle mappe dell’Arab Studies Association, Khalil Al-Tufakji, ha affermato che “L’anno 2019 ha visto un boom negli insediamenti, sia in Cisgiordania sia a Gerusalemme”. L’occupazione lo scorso anno ha sottratto più di 18.000 dunum [1 dunum equivale a 1.000 m²] di terre in Cisgiordania e Gerusalemme a fini di insediamento e ha aumentato il budget coloniale di oltre 15 milioni di dollari, con un aumento del ritmo di espansione degli insediamenti nel 2019 del 70% rispetto al 2018.
- 1.936 unità abitative approvate nelle colonie in Cisgiordania. In una dichiarazione rilasciata dall’osservatorio per le colonie Peace Now si afferma che l’autorità israeliana per la pianificazione ha messo in atto dei piani per la costruzione di 1.936 nuove case nelle colonie della Cisgiordania occupata.
- IOF confiscano cinque case beduine palestinesi a Gerusalemme. Nella mattina dell’1 gennaio, le forze d’occupazione israeliane (IOF) hanno confiscato cinque case palestinesi e un acquedotto nell’area di al-Mintar, nel deserto beduino della Gerusalemme Est. Hanno anche confiscato un acquedotto di plastica nell’area. Quest’azione viene dopo che i coloni hanno piazzato case prefabbricate e serbatoi d’acqua nell’area, come preparazione alla creazione di una colonia.
- IOF (forza di occupazione israeliana) mandano via palestinesi dalle loro terre a Nablus. Il sindaco della cittadina di Sebastia, Mohamed Azem, ha dichiarato che i soldati israeliani e le guardie di sicurezza della colonia hanno costretto un gruppo di contadini a lasciare le loro terre, minacciandoli con dei fucili. I contadini stavano lavorando le loro terre per piantarvi alberi di albicocche nell’ambito di un progetto nell’area finanziato dalla Commissione per la resistenza alla colonizzazione e al Muro e dal Centro di sviluppo economico. L’esercito israeliano ha giustificato la misura contro gli agricoltori dicendo che questi avevano bisogno di un’autorizzazione prima di entrare nell’area.
- Dall’inizio del 2019 l’occupazione ha arrestato più di 745 minori. L’Associazione per i Diritti dei Prigionieri Palestinesi ha reso noto che dall’inizio dell’anno 2019 fino a ottobre le forze israeliane hanno arrestato 745 minorenni. 200 minorenni sono attualmente nelle case circondariali di Meghiddo, Ofer e Damon. Un altro gruppo di ragazzi di Gerusalemme risulta recluso in strutture speciali. I ragazzi sono stati oggetto di feroci vessazioni fin dal trasferimento coatto dalle loro abitazioni nel cuore della notte. Dal 2015 sono decine i casi documentati in cui le forze d’occupazione hanno aperto il fuoco deliberatamente e ad altezza d’uomo nei confronti di ragazzi durante il loro arresto. Vengono tenuti senza cibo né bevande e sottoposti a pestaggi e intimidazioni di ogni tipo. È prassi dell’occupazione estorcere confessioni ai ragazzini tramite minacce e soprusi, con sentenze in contumacia o multe elevatissime.
- Dopo 100 giorni di sciopero della fame, Ahmad Zahran è ancora in prigione . Dopo quasi un record di 100 giorni di sciopero della fame, israele continua a mantenere Ahmad Zahran dietro le sbarre, senza accusa né processo e basandosi su prove segrete.
- 'Arrestati in ogni momento': studenti palestinesi nel mirino di israele. Negli ultimi mesi del 2019, l’occupazione israeliana ha lanciato una delle maggiori operazioni degli anni recenti contro gli studenti palestinesi. Le statistiche dell’organizzazione per i diritti dei prigionieri palestinesi, Addameer, indicano che circa 250 studenti universitari palestinesi sono attualmente imprigionati da israele, 30 dei quali in isolamento da oltre 4 mesi. Dal 2015, quando iniziò una forte ondata di contestazione nei territori palestinesi, israele ha incrementato la politica repressiva anche contro gli universitari.
- Nel 2019, Israele ha ucciso 149 Palestinesi. Nel 2019, l’esercito di occupazione israeliano ha ucciso 149 palestinesi, il 74% dei quali proveniva dalla Striscia di Gaza, secondo quanto riferito dal National Gathering of Palestine Families. 33 delle vittime erano bambini, il 23% del numero totale, registrando un aumento del 5% rispetto allo scorso anno.
- Coloni lanciano pietre contro veicoli. Colono investe palestinese a Betlemme. Diversi cittadini palestinesi hanno riportato ferite lievi quando gruppi di coloni hanno lanciato delle pietre contro auto che viaggiavano su una strada tra Nablus e Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. Un colono che guidava ad alta velocità ha investito un giovane palestinese su una strada nella parte orientale della città di Betlemme, a sud della Cisgiordania occupata, ferendolo.
- Gerusalemme, 30.000 israeliani hanno invaso al-Aqsa nel 2019. Azzam Khatib, direttore del dipartimento dei Beni religiosi islamici Waqf, ha dichiarato che nel 2019 un totale di 29.610 israeliani estremisti sono entrati nel complesso della moschea di Al-Aqsa.
- Israele ha rubato il “90% della Valle del Giordano”. L’“attenzione” di israele sulla valle del Giordano, unica zona con maggiori possibilità di coltivazione, è spasmodica. Non passa giorno che non espropri terreni, li dichiari zone militari, cacci i beduini e uccida il loro povero bestiame. Il segretario generale del Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, Saeb Erekat, ha dichiarato che l’occupazione israeliana ha rubato il 90% della Valle del Giordano, “Il più grande pericolo per quanto riguarda la Valle del Giordano è il tentativo di israele di estendere la sua sovranità sulla Valle con pretesti di sicurezza, che mirano a inasprire le restrizioni ai palestinesi”. Il valore stimato di proprietà rubate a residenti palestinesi locali è di 450 milioni di dollari USA. Israele rafforza le sue colonie nella Valle del Giordano rubando fonti idriche di proprietà palestinese, in collaborazione con società internazionali. La Valle comprende circa 280 mila dunum di terra arabile, 50 mila dei quali sono ancora utilizzati dai palestinesi e 27 mila dai coloni ebrei.
gennaio 2020,
da Wafa, Imemc., Felesteen.ps., Infopal, Middle east eye, Peace now, Nablus Pic.


lettera dal carcere di terni
Questo scritto è finalmente arrivato. Juan ce ne aveva parlato in alcune lettere. Immaginavamo che fosse stato censurato. Infatti si è avuta conferma che, il 4 ottobre 2019, il GIP l’ha sequestrato considerandolo una “istigazione a delinquere” o comunque un incitamento all’”attività anarchica” e l’ha sequestrato per tutelare la sicurezza delle forze dell’ordine. Condividiamo la volontà di Juan di farlo circolare e vi chiediamo di pubblicarlo. (da roundrobin.info)

“Come fare perché una goccia di acqua non si prosciughi? Lasciarla andare nel mare”
In questo testo racconto come è andato il mio arresto del 22 maggio 2019. Lo racconto come un dato di fatto e non per denunciare l’illegalità dei metodi della polizia o come racconto vittimistico.
Principalmente non mi va giù che come si è svolto il mio arresto e quanto accaduto durante il trasferimento alla questura di Brescia sia un segreto mio e di quegli agenti della Digos che mi hanno arrestato. Sinceramente non ho voglia che ci sia qualcosa in condivisione con loro. Non voglio condividere niente con loro, men che meno le mie angosce e men che meno “quello che non si può dire” per paura di un tabù, come un patto non scritto fra “cavalieri macho” che possa intaccare la mia virilità (?!).
E infine le parole in questura di un digossino vestito da motociclista rockettaro (probabilmente della questura di Trento, vista la sua conoscenza su di me…) che mi consiglia “amichevolmente”, come un fratello o come un padre di scrivere solo lettere personali agli amici e non comunicati da far circolare pubblicamente. Questo mi ha fatto pensare che condividere ciò che è accaduto sia una buona soluzione.
Un attimo prima del mio arresto stavo camminando in montagna e sono passato per un sentiero dove ho incontrato un cane grande che mi ha fatto brutto. Era lo stesso sentiero che avrei dovuto fare al ritorno. Ho molto rispetto dei cani e se posso evitarli lo faccio, così per il ritorno ho deciso di prendere la strada principale che va verso Tavernola. Lì ho incontrato dei ciclisti sospetti: uno aveva la faccia da ubriacone e non proprio da sportivo… più di uno che sta in una bettola a fumare e bere 24 ore al giorno… con tutto il rispetto per gli ubriaconi!
Mi hanno chiesto informazioni. Io gentilmente gliele ho date. Ho avuto dei sospetti, ma ero troppo sicuro di me e del territorio, troppo!
Così ho messo da parte sospetti e paranoia ed ho continuato ad andare avanti.
Alla terza curva ho visto due macchine. Mi sono fermato un attimo. Non mi piacevano, ma ho continuato ad andare avanti.
Non ero sicuro che fossero sbirri, continuavo a pensare che fossero paranoie anche se mi sentivo in allarme al massimo. Avvicinandomi ho visto due persone, ognuna da sola alla guida della sua auto. Avevano vestiti da “montanari”.
Ciò che mi è apparso molto strano (e lì ho avuto la certezza che fossero poliziotti… lo sentivo, ma ormai ero vicinissimo alla prima auto) era che stavano all’interno delle auto, una dietro all’altra, senza parlarsi, impalati.
Non potevo tornare indietro e invece di passare dalla parte del passeggero dove non c’era nessuno, ho preferito passargli davanti così da poter controllare le loro mosse ed evitare che uscendo entrambi mi rinchiudessero. Oltrepassata la prima auto con la coda dell’occhio vedo scendere il primo “montanaro” con un bastone di legno.
Ho pensato: «ci siamo!» Io ero davanti alla portiera dell’auto del secondo montanaro.
Ho pensato che volessero seguirmi per vedere un po’ dove andavo. Quando il secondo montanaro è uscito io ero a 50 m di distanza da loro. Intorno a me, da destra a sinistra avevo solo montagne. Ho pensato che era il momento! Allora ho fatto uno scatto e via a correre come un matto! In un attimo li ho lasciati ad una cinquantina di metri. Correvo come un disperato. Loro urlavano e continuavano ad inseguirmi.
Ho continuato per un po’ lasciandoli indietro un centinaio di metri, o magari di più. Ma avevo paura che arrivasse un’altra auto della polizia dalla direzione verso cui correvo, cosa che poi penso sia successa.
Loro mi urlavano qualcosa, ma non so cosa. Sinceramente non sentivo niente, non avevo paura ma una quantità di adrenalina in corpo da non capire niente. Il mio cervello era a mille…troppo! Ero fuori controllo, veramente come un animale imbizzarrito. Non potevo continuare ad andare avanti così sia perché loro avevano le auto sia per il ritmo della mia corsa.
Avevo due strade da scegliere per continuare a scappare imboscandomi, ma ho scelto quella sbagliata. Sinceramente avevo perso il controllo. Se fossi riuscito ad essere razionale avrei preso esempio dall’istinto dei cinghiali che in situazioni di emergenza corrono sempre in giù dalla montagna, perché corri più veloce ed è più facile scappare, invece di andare su come ho fatto io…
Alla mia sinistra c’era un salto in giù di 3 o 4 metri, a destra verso l’alto 4 o 5 metri di dirupo. Non ero lucido ed ho fatto un salto a destra riuscendo a raggiungere la metà del dirupo. Scivolavo, ma sono riuscito a salire quasi fino in cima. Sotto di me erano arrivati 3 o 4 sbirri. Ero ormai allo stremo delle forze. Ero in cima, avrei potuto andare verso il bosco, ma non vedevo niente per l’agitazione.
Era una strana sensazione: mi sono arreso per mancanza di forze ma nel momento in cui mi sono arreso ho proprio sentito che andare avanti verso il bosco era un pericolo, non tanto per quello che avevo davanti e neanche per le minacce, che neanche sentivo. Era più un istinto di conservazione animale. Mi sono arreso e quando mi sono girato avevo la pistola dello sbirro puntata. Non penso che volesse sparare, ma…?!
Allora sono tornato indietro e mi sono lasciato trascinare giù dal dirupo. Lì mi hanno afferrato e mi hanno buttato a terra. Erano molto molto agitati e incazzati (si sa che si incazzano quando li fai correre!). Una volta a terra mi hanno messo a faccia in giù, forse con calci, non ricordo bene, ero ancora a mille. Una volta immobilizzato è arrivata una macchina. Non mi hanno messo le manette, solo immobilizzato con le mani indietro e caricato sul sedile posteriore, sdraiato a faccia in giù, con un poliziotto sopra di me che mi teneva le mani. Il guidatore e il passeggero dal davanti hanno cominciato a perquisirmi se così si può dire: mi hanno letteralmente strappato i vestiti. Avevo con me uno zaino piccolo da 22 litri che mi hanno strappato con tutte le tasche. Ad un certo punto la macchina si è fermata dopo circa 100 m, la portiera vicino alla mia testa si è aperta e qualcuno da fuori ha cominciato a darmi una serie di pugni in testa, sull’osso temporale e sulla tempia. Sinceramente non ho sentito niente. Poi mi hanno messo le fascette di plastica ai polsi, le hanno strette tanto forte da bloccare la circolazione del sangue nelle mani. A questo punto mi hanno posizionato (una posizione studiata, penso) : le gambe in direzione del guidatore dove mettono i piedi i passeggeri del sedile posteriore; il fondo schiena nel mezzo del sedile posteriore; la testa fra i due sedili anteriori.
Il mio corpo formava una “U”. Il poliziotto al lato passeggero mi teneva la faccia in una morsa (se provate vedrete che è una buona morsa), con l’alluce conficcato fra il collo e la mandibola e le altre 4 dita su tutta la faccia che mi schiacciava sul fianco del suo sedile. Non vedevo quasi niente: un occhio era tappato dalle dita dello sbirro, l’altro era schiacciato col resto della faccia sul sedile. Sul sedile posteriore, nel mezzo c’erano il mio culo e la mia schiena e uno sbirro a destra e uno a sinistra.
Siamo partiti. Lo sbirro davanti ha cominciato a domandarmi : “dove dormi?”. Non ho risposto. Non parlavo. Allora quello accanto a me dal lato del guidatore, col gomito, ha cominciato a schiacciarmi un rene fino a che mi sono scappate delle urla e continuavano a chiedere “dove dormi?”. ZITTO.
Mi ha schiacciato un’altra volta il rene. Io provavo a non urlare e a non parlare ma era uno strano e fastidiosissimo dolore. Mi scappava un gemito. Poi ha schiacciato ancora e io gli ho detto che dormivo in montagna. Dentro di me c’era il pandemonio e avevo paura che se avessi cominciato a dare risposte sarebbero aumentati gli “schiacciamenti” del rene e le domande, alle quali non ero obbligato a rispondere in teoria. Non volevo farlo. Avevo paura ma non solo. Nel frattempo qualcuno mi diceva: “ti piace mettere le bombe?!” “E se ammazzavi un padre di famiglia?” “Ti piace fare il partigiano, eh?” “Adesso ti facciamo vedere!” “Puzzi come un pecoraio!”.
Già, puzzavo di stambecco e fumo del fuoco… strana la mente: ho pensato “che colpa hanno i pecorai?!” (sigh!). Mi sembrava strano fare queste riflessioni così “leggere” mentre me la stavo vedendo davvero brutta! Nei momenti in cui lo sbirro continuava a schiacciarmi il rene il cervello andava a mille in un misto di improvvisi cambiamenti fra paura, eccitazione, coraggio, scoraggiamento. Tutto in un decimo di secondo. Continui cambiamenti in un vortice di pensieri ad una velocità impressionante. Poi ho pensato allo zen. Non sto scherzando. Ho respirato un po’ e poi ho pensato: “così non va!”. Non devo lottare con il mio dolore e la mia angoscia, piuttosto lasciarmi andare a loro. Accettare! Lo so è molto fricchettone ma è così!
Dovevo lasciarmi andare e non essere rigido come stavo facendo, tanto ero più debole e legato. Così ho intuito una cosa: ogni volta che mi schiacciava, se mi lasciavo andare alle urla o se urlavo prima che mi facesse male, lui mollava prima. Ripeto: è un dolore molto strano e fastidioso quando ti schiacciano il rene. Allora se facevo la scenata lui mollava. In più appena domandava, se aspettavo il momento giusto fra la mia risposta e l’inizio dello “schiacciamento del rene”, potevo urlare e quindi non rispondere. E prolungavo le mie urla così da non dover proprio rispondere alle domande. Lo so, non è molto dignitoso, ma chi se ne fotte! Era efficace come tattica.
Ad un certo punto del viaggio (da Marmentino a Brescia ci saranno una quarantina di minuti), dopo circa 10-15 minuti, penso a causa delle fascette, non sentivo più le mani, neanche il formicolio. E ogni tanto il tizio che schiacciava il rene chiedeva all’altro sbirro se avevo le mani blu. Si rispondevano a gesti e io non potevo capire cosa si dicevano…non so, forse per mettermi paura. Fatto sta che io non sentivo più le mani e la posizione era infernale: il mio corpo a “U”; le gambe formicolavano e appena mi muovevo un po’, quello schiacciava il rene.
Di domande non ne hanno fatte più di tante, solo “dove dormivo?”. Ma dopo i primi 10-15 minuti non ne hanno fatte più. Hanno continuato “solo” a schiacciare il rene quando mi muovevo. Ma in qualche modo era un sollievo non ricevere più domande. Non vedevo l’ora di arrivare, almeno se mi avessero menato non sarebbe stato in quella posizione!
Dopo mezz’ora o 40 minuti siamo arrivati alla questura di Brescia, dove c’è la sede della Digos. Gli ultimi 10 minuti, gli sbirri erano più calmi e anche se le mie mani senza circolazione e la posizione erano ancora fastidiosissimi, almeno avevano smesso di schiacciarmi il rene!
Una volta arrivati alla questura di Brescia mi hanno scaricato a terra come un pacco e quelli che erano lì in attesa hanno cominciato a prendermi a calci. Qualcuno gli ha detto di stare calmi. Erano agitatissimi. Io un po’ di meno, visto che ora la mia posizione era sdraiata e mi avevano tolto le fascette…che sollievo!
Mi hanno tolto le scarpe per vedere se c’era dentro qualcosa. Dal mio arrivo all’interno della questura la situazione è mutata completamente e non mi hanno più toccato! Anzi…mi hanno trattato molto correttamente, tanto da sembrarmi sospetto. Ogni volta che volevo andare in bagno mi portavano, mi hanno dato acqua e anche cioccolatini (come una scimmietta! Eh! Eh!). Sono rimasto ammanettato dalle 11 alle 22 con le mani dietro la schiena seduto su una sedia in ufficio con una scorta di 2 o 3 Digos con il passamontagna. Ce n’erano un bel po’ in tutta la questura. Di questi alcuni mi “conoscevano” molto bene: quello rockettaro che mi ha consigliato di non scrivere comunicati; il dirigente della Digos di Brescia, un uomo; e una donna, non so se magistrato o dirigente Digos di Venezia. Il dirigente mi ha chiesto di collaborare e raccontare delle chiavi che avevo dicendomi che comunque avrebbero scoperto dove stavo. Ho risposto che non sapevo niente di cosa mi stesse parlando. Non ha insistito molto…due o tre volte e diceva di sapere, riferendosi alle accuse per l’azione di Treviso, che ero io il colpevole…alla faccia della presunta innocenza! Io le ho detto che non era suo compito giudicare. Poi alle 10 di sera mi hanno portato al carcere di Brescia.
Scrivo questo per spiegare come me la sono vissuta. Ora io ero molto agitato e magari l’ordine delle cose era diverso, ma queste erano le mie sensazioni senza ingrandirle o diminuirle ma con mille sentimenti contrastanti. So che non mi hanno trattato con i guanti bianchi, ma non mi lamento. Sinceramente non mi sento né penso di essere stato torturato e neanche pestato pesantemente. Ma che non lo abbiano fatto con me non toglie che non l’abbiano fatto con altri! Uccisioni come il caso Cucchi, il caso Frapporti a Rovereto, il caso Uva, l’uccisione di Carlo Giuliani, dell’anarchico Pinelli ucciso nella questura di Milano dal commissario Calabresi, le torture a Genova nella questura di Bolzaneto, nella scuola Diaz etc,etc. Queste pratiche accadono, e sono STRUTTURALI a qualsiasi Stato capitalista e non, come solitamente ci vuole far credere la legge, l’eccezione, un errore, o le solite mele marce da espellere, no! Ripeto ciò dipende da come è strutturato lo Stato e questa società.
Dal nemico ci si aspetta qualsiasi cosa in ogni momento e bisogna essere consapevoli di ciò e ricordarlo, non solo a noi stessi: lo Stato e le sue forze di repressione, in generale non hanno mai rispettato e mai rispetteranno i loro santi diritti e leggi, per quanto affermino di farlo: loro non lasciano passare neanche una piccola infrazione, facendola pagare anche con mesi di carcere. Ma solo ai poveracci! Non ai privilegiati, politici, potenti delle multinazionali e delle banche o sbirri vari, sono assolti regolarmente. Due pesi, due misure! E ciò lo vediamo ogni giorno in Parlamento, nelle sedi giudiziarie, nelle strade e nelle carceri. Tutto ciò senza ritegno né vergogna!
A me non interessa uno Stato più giusto e perfetto o dei diritti costituzionali. Questi sempre saranno strumenti di sottomissione e sfruttamento in mano allo Stato autoritario. “Legale” e “illegale” appartengono all’autorità, per il tornaconto di pochi così come per la loro ipocrisia. A noi bisogna… “Bisogna lottare e lottare perché la sproporzione sia stroncata”. E qualsiasi via stiamo percorrendo sempre col cuore! Per l’Anarchia!

9 dicembre 2019
Juan Sorroche – Carcere di Terni AS2

***
AGGIORNAMENTI SU alcuni COMPAGNI COLPITI DALLA REPRESSIONE
- Il 5 dicembre c’è stata la sentenza dell’operazione “Renata”. Le condanne sono state: due anni a Stecco e Agnese, un anno e nove mesi a Rupert, due anni e sei mesi a Poza e un anno e dieci mesi a Sasha e Nico. Successivamente il riesame ha poi cambiato le loro misure in obbligo di dimora con rientro notturno. Dal 13 febbraio Stecco ha ottenuto i domiciliari.
- Silvia costretta tra carcere prima e arresti domiciliari dopo per l’operazione “Scintilla” è finalmente libera con il divieto di dimora da Torino.
- Paska, Ghespe e Giova non sono più agli arresti domiciliari da inizio Febbraio, hanno tutti e tre l’obbligo di dimora nelle rispettive città.
- Uzzo e Patrik sono finalmente liberi con il divieto di dimora da Torino, Amma purtroppo rimane ancora ai domiciliari.
- All’inizio di Gennaio è stata data la sorveglianza speciale a quattro compagni: Carlo, Ciccio, Amma e Greg. Richiesta partita in seguito ad un corteo non autorizzato a La Spezia.
- All’inizio di Febbraio è partito il processo che vede imputato Boba, accusato dell’incendio alle Vallette accaduto il 10 Febbraio dell’anno scorso durante un presidio per i compagni arrestati nell’operazione Scintilla.
- Il 29 Gennaio a Torino è stata emessa una pesante condanna nei confronti di quattro compagni del pinerolese, accusati di lesioni e rapina conseguentemente ad uno scazzo con un carabiniere. Le lesioni sono cadute e e la rapina è stata tramutata in tentata rapina, ma la condanna è stata comunque a diciotto mesi.
- Leo detenuto a Lucca è stato trasferito nel carcere di Vibo Valentia.
-Per Cello assolto per i fatti inerenti al capodanno davanti alle Vallette del 2018 è stata presentata una richiesta di sorveglianza speciale, poi però rigettata.
- E’ stata respinta ancora una volta la richiesta degli arresti domiciliari per Manu, detenuto a Monza. Manu ha subito una pesante condanna di tre anni e due mesi, era stato accusato di favoreggiamento e sottrazione alla pena per aver aiutato Juan.

***
Un pretesto per punire
30 Gennaio 2020: dal dispositivo di censura che il magistrato di sorveglianza di Catanzaro ha emesso nei confronti dell'anarchico Leonardo Landi, (Leo), "con durata di sei mesi salvo proroga"...
"Letta l'istanza inoltrata dal dir. C.C. VIBO per censura, atteso che il Landi è attenzionato come appartenente a movimenti anarchici e che è stato trasferito dall'istituto di Lucca dove in una cella occupata da altro detenuto sono stati rinvenuti la piantina di obiettivi sensibili e le istruzioni per confezionare esplosivi rudimentali;
attesa l'opportunità di sottoporre a visto censura la corrispondenza epistolare e telegrafica del Landi in quanto ciò potrebbe consentire di accertare eventuali contatti del medesimo con soggetti detenuti e non gravitanti nell'orbita di sodalizi criminali, anche al fine di conoscere con anticipo eventuali azioni delittuose progettate...".
Dal decreto di censura si può quindi dedurre il pretesto per il trasferimento punitivo che ha portato il nostro compagno al carcere di Vibo Valentia. Per il momento non è dato sapere chi si debba ringraziare per questa messinscena, sia chiaro però che non gridiamo allo scandalo per l'ennesimo colpo basso che le autorità penitenziarie, o chi per loro, riservano ad un compa prigioniero. Nelle galere abuso e normalità si sovrappongono spesso e volentieri, ed è nostro compito - tanto "dentro" quanto "fuori" - far sì che non ci si abitui mai né all'uno né all'altra.
E se (come già abbiamo scritto in merito a questa vicenda) deportare i prigionieri in carceri lontane dai luoghi in cui abitano, dove dimorano i propri affetti o si danno i contesti di vita e di lotta con cui si è in relazione, così come ostacolare le corrispondenze epistolari sono armi che da sempre l'autorità penitenziaria utilizza per isolare e punire, ancora una volta, quanto accade deve spronarci a fare sì che i nostri e le nostre compas, e quanti non abbassano la testa nelle galere, non vengano isolati!
Leo non sei solo! Combattiamo insieme contro la censura e la deportazione delle prigioniere e dei prigionieri! Solidarietà e rabbia contro ogni luogo e forma di reclusione!
Anche se la censura, almeno per ora, sembra essere particolarmente zelante, diamole di che faticare continuando a scrivere a Leo:
Leonardo Landi, cc Vibo Valentia N.C., Contrada Cocari, 29 - 89900 Vibo Valentia (VV)

febbraio 2020, Cassa AntiRep delle Alpi occidentali


da lettera dal carcere di montorio (vr)
Il 26 Novembre è stato arrestato a Cerro Veronese Beppe, accusato di detenzione e porto in luogo pubblico di materiale esplosivo, provvedimento arrivato successivamente all’operazione “Scintilla”. Beppe è stato prima rinchiuso nel carcere di Montorio a Verona, da cui ci scrive la lettera di seguito riportata, e poi nella sezione AS2 del carcere di Alessandria.

Ciao a tutti vi comunico che nonostante tutto sto bene!!! Non mi trovo più in isolamento, ma sono rinchiuso dal 26/12/19 in una sezione fantasma, sepolto vivo, senza doccia, a volte la luce rimane accesa pure di notte, senza tv, le angherie di qualche zelante secondino, del tipo sbatterti il cancello mentre dormi, o non farmi avere il pane da un detenuto che lo stavano trasferendo e altre piccole meschinità che messe assieme formano una vera e propria tortura fisica e psicologica. Ma sono ancora qui, rinchiuso a urlare chiedendo i miei diritti!!!
Nelle cellette sono da solo, la sezione è composta da 8 celle tutte vuote rotte e senz'acqua calda ne riscaldamenti!!! Ora vi spiego meglio perchè sono rinchiuso, a chiedere tutt’oggi ciò che mi spetta, i miei diritti, senza abbassare il capo!!! Niente di cui uno non mette in conto quando si finisce nelle patrie galere!!! Perchè dove ero detenuto prima,
nella sezione “corpo” che già è per isolati e adatta per i circuiti AS2 e AS3 e proprio in quella sezione vengono tradotti chi litiga con le guardie o quei detenuti che commettono atti non idonei all'ordine costituito dal regolamento della struttura!!!
Infatti, proprio perchè era già di per sé una sezione punitiva, in queste cellette ci dovevo rimanere massimo un giorno, il tempo del rapporto disciplinare “rapporti” che come di consuetudine nei confronti dei compagni non si contano più.
E dovevo risalire in sezione, e invece no!!! Lo Sciacca è anarchico e per questo è giusto che sia dove non sbatte il sole, e dal 26/12/19 a tutt'oggi, 8/1/20, che sono nell'angolo più buio del carcere di Montorio dove non funziona niente e tentano di neutralizzare l'individualità di una persona, e, credetemi cari compagni, con me gli verrà tutta in salita!!! e porto avanti sempre la stessa teoria che il carcere non è un inserimento nella società, “la stessa che vogliamo distruggere”, ma è soltanto una forma di repressione brutale al servizio di uno Stato assassino e terroristico!!!
Immaginatevi che dovevo finire il 12/1/20 ma purtroppo non è andata così. Mi chiama la direttrice che alla quale manco mi ci presento, per notificarmi altre denunce e altri rapporti e quindi in automatico non mi fanno salire nella sezione punitiva e quindi lasciandomi a marcire qua dentro, immaginatevi, avendo soltanto 1 penna e pochi fogli, e “per fortuna tanto materiale spedito da fuori per leggere”.
Con una penna a disposizione mi sono sbizzarrito a passare qualche ora a disegnare e scrivere in quei muri già fatiscenti di loro, con mille firme su quei muri grigi, squallidi e tenebrosi come la vita dei nostri, oggi miei aguzzini, qualche testo di canzone, qualche A cerchiata, e qualche slogan, trito e ritrito da anni nelle piazze. E proprio tramite queste scritte si sono sentiti nel dovere di trascriverli e mandarli alla procura di Torino, tanto sono deficienti che hanno bisogno di 4 scritte per capire che sono anarchico? E lotto da anni a fianco di tanti e contro questo status quo!!! O forse la loro inchiesta è sempre più traballante e infondata? E quindi cercano di spremermi e mettermi in cattività? Per riuscire a strappare sempre quel dito medio e pronto all'uso!!![...]
E allora dal 28/11/19 si sono innalzate urla di rabbia e libertà, che nel giro di 3 giorni hanno influenzato anche la sezione 2 corpo 1 e […] si innalzano le urla, la sezione rimaneva in silenzio per poi esplodere in una grossa battitura!!!
Tutto ciò è accaduto perchè sono rimasto quasi 4 settimane senza soldi “il vile denaro, ma quando serve serve e non è stato per colpa dei compagni che mi sostenete da fuori”. Fino al 4/1/20!!!” Tutt'oggi senza telefonate né ai miei cari né al mio avvocato, senza riuscire a vederlo. Dal 26/12/19 a oggi 8/1/20 Emi ha potuto constatare in che stato ero messo!!! ho risposto a tutti i compagni che mi hanno scritto, ma non ho avuto risposta, strano?!! Solo 1 lettera da mia sorella, e lettere dalla mia compagna [...]
Ancora ci ho in mente quella cella buia grigia, sporca con dentro lei, che con fare accondiscendente e fraterno mi diceva che “nemmeno loro credevano a ciò che avevano scritto su di me, e visto che la situazione era grave, quando volevo potevo chiamare lei” (ispettrice). Dandomi in mano stralci di conversazioni di compagni, amici e fratelli che,
nonostante tante divergenze, rispetto e continuo a rispettare.
Ribadisco che se avessero deportato un fratello per me e un compagno mio e di tanti, avrei fato di tutto per bloccare quel rimpatrio, anche di rischiare la libertà!!! [...]
C'è poi chi si accolla la tensione “scontri” sotto un Cpr o carcere, e per non farsi mancare niente, c'è chi sfugge alle dinamiche cittadine di lotta imposte da anni e anni, per fargli capire che non c'è sistema autoritario statale o repressivo che li può proteggere, e c'è chi collabora con la macchine repressiva dello stato, può essere e dev'essere attaccato per essere fermato e che niente scorderemo e che tutto gli sarà tornato!!!
[...] Comunque si percepisce sia da queste righe che sto scrivendo che dalla detenzione che sto subendo, quale sia stata la mia risposta all'ispettrice, con l'aiuto che mi voleva dare !!! e quindi, visto quello che sto subendo a Montorio ho provato in tutti i modi a farmi trasferire con urla, slogan, battiture, ma l'accanimento nei miei riguardi e in quell'oscurità che mi vorrebbero imbottigliare ho deciso di prendere posizione più di quanto ne abbia già.
“Senza scendere ad atti di auto-lesionismo, perchè non li ho mai condivisi” e di alzare la testa ancor di più, e infatti alle 17.00 del 26/12/19 metto un tavolino per bloccare il blindo e lancio fuori dalla cella 1 armadietto, secchi, scope, stracci, frutta e quant'altro mi capitava tra le mani. In poche parole ho dato un po' di luce e creato un po' di spazio alla stanza, consegnato il divieto di incontro con tutti e aver stabilito che non ci sarà mai da parte mia un saluto cordiale con chi indossa una divisa e soprattutto con chi ci rinchiude con le proprie mani chiavi!! Non si può fraternizzare col proprio nemico, ma bisogna avere la stessa fierezza e coerenza di andare sempre in senso opposto ostinato, sapendo bene delle conseguenze cui si va incontro.
Voglio dire chiaro e schietto che con lo stesso coraggio con cui portiamo le nostre lotte con idee e pratiche fuori da queste mura, dobbiamo avere la stessa coerenza e prendere coscienza di lasciare un messaggio forte a chi tenta di ingabbiarci, isolarci, azzittirci, dentro queste gabbie, e che dentro a queste mura hanno rinchiuso anarchici ribelli, rivoluzionari e che non ci piegheremo mai al potere dominante!!! C'è chi usa la tecnica di autodifesa mentale, aspettando che gli attacchi dei secondini finiscono prima poi; c'è chi reagisce ai soprusi delle guardie spaccando le finestre di plexiglas, come a Alessandria, chi devasta l'area colloqui a Ferrara, chi prova a riconquistare la libertà, cercando di scavalcare il muro di Brucoli, chi ha portato lo sciopero della fame come a L'Aquila, e c'è chi a Montorio ha organizzato sbattiture e ha spaccato la cella finendo contro le gabbie
delle guardie. Sappiamo per certo che parti del mondo bruciano di libertà da Hong-Kong
al Cile, da una parte all'altra del mondo divampa la rivolta ed è proprio per questo che lor signori, togati, in borghese e in divisa allungano le mani verso quei compagni più visibili che in modo arduo mantengono vivo quel braciere di rivolta.
[...] Un forte abbraccio a Madda sorellina mia, a Nat. E me frate Gimmi! E un forte abbraccio a pugni stretti e nervi tesi a tutti i compagni rinchiusi nelle galera. Raga sempre a testa alta!!! PER L'ANARCHIA, PER LA LIBERTA'
FUOCO ALLO STATO, FUOCO ALLE  GALERE

Giuseppe Sciacca, strada Casale 50/a, 15122 San Michele (Alessandria)


Notizie dalle carceri
Di seguito riportiamo alcune notizie dalle carceri di cui non abbiamo testimonianze dirette da dentro. Chiediamo a tutti i prigionieri portare loro contributi sui fatti riportati in modo tale da liberarci dalla stampa legata ai sindacati di polizia penitenziaria e riportare l’attenzione su ciò che realmente succede dentro.

- Reggio Emilia, 28 gennaio 2020. Esposto dei detenuti: "Condizioni igieniche pericolose, situazione invivibile in cucina e nelle sezioni. Fra pentole, scaffali e cibo la fanno da padrone i topi". L’esposto è stato inviato al direttore del carcere, al magistrato di sorveglianza, al Tar. Poi anche il sindaco Vecchi, il vescovo Camisasca, i responsabili della Ausl, il Provveditore alle opere pubbliche e infine lo stesso garante nazionale per i diritti dei detenuti. L'elencazione delle mancanze e dei rischi è lunga e dettagliata e già il primo punto parla di problemi basilari. "All'interno del locale cucina - si legge nell'esposto - luogo questo dove si prepara il cibo per tutti i reclusi, regnano sovrani dei giganti topi che scorrazzano indisturbati fra pentolame, scaffali e cibo". "Nelle sezioni dove vivono gli stessi detenuti - così continuano i reclusi - l'igiene e le condizioni basilari del pulito, che dovrebbero garantire il rispetto della norma a favore della salute, sono palesemente violati: sporcizia come sputi, fiotti di sangue secco sui muri, escrementi di piccioni e di topi la fanno da padrone". Non si parla solo della salute dei detenuti; l'argomento è anche la salute dei visitatori. "Le cosiddette sale colloqui - così continua la richiesta di aiuto - sono prive di riscaldamento: non sono installati i termosifoni, quindi persone anziane e bambini, che sono cittadini liberi e che non hanno commesso nessun tipo di reato, debbono ogni volta soffrire il freddo per tutta la durata del loro colloquio. Per i soggetti che provengono da fuori regione questa condizione dura ore e ore". Dopodiché vi sono altre considerazioni circa la vita quotidiana fra le celle, con riferimenti a mancanze che toccano punti importanti della detenzione: le mansioni lavorative, la possibilità di acquistare alimentari a prezzi congrui e di accedere alle attività pedagogiche. Senza contare un riferimento alla mancanza di acqua calda a fronte dello spreco di acqua corrente in ambienti non utilizzati. Alle autorità alle quali è indirizzato l'esposto si chiede un intervento "rendendo giustizia umana per la dignità delle persone che sono private della libertà fisica e non certo dei diritti che sono rivendicati dalle norme vigenti".
- Corte di cassazione, Sezione I, Sentenza 28 gennaio 2020 n. 3477. Il giudice non può negare la libertà condizionale nonostante la mancata collaborazione con la giustizia, se i reati sono stati commessi prima del 2002. La donna si era infatti "definitivamente allontanata da logiche devianti, si era dedicata agli studi e alla cura della prole, aveva svolto attività di volontariato e si era sempre attenuta alle prescrizioni imposte". Tutto questo però non era sufficiente per concedere la libertà condizionale, in assenza del requisito della collaborazione con la giustizia, rispetto alla quale la condannata non aveva dichiarato né l'impossibilità né l'inesigibilità. La Cassazione accoglie però il ricorso chiarendo che la previsione, contenuta nella versione aggiornata al 2002 dell'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario, non è retroattiva. Con una disposizione transitoria si è infatti stabilito che la nuova previsione restrittiva non era applicabile alle persone detenute per reati di terrorismo ed eversione commessi prima dell'entrata in vigore della legge 279 del 2002. (da Gazzetta di Reggio, 28 gennaio 2020)
- Trani (Bat), 29 gennaio 2020. Tutte le udienze si sono svolte ricorrendo al servizio di multivideoconferenza che ha permesso a 88 detenuti di alta sicurezza di essere contemporaneamente video-collegati dai rispettivi penitenziari. Si è trattato di un percorso senza precedenti per il sistema di videoconferenze fortemente voluto dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede e dal capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria Francesco Basentini. Per la buona riuscita sono stati coivolti gli istituti penitenziari, la Dgsia e l'ufficio multivideoconferenze del Dap coordinato dall'Ispettore Superiore Luigi Chiani e 20 monitor per gli 88 detenuti collegati da 27 siti diversi. L'udienza camerale (senza pubblico) si è svolta a porte chiuse con la presenza solo di giudici e avvocati.
- Barcellona P.G. (Me), 31 gennaio 2020. Trovato cadavere di Carmelo Marchese in cella, s'indaga per omicidio colposo, è stata aperta una inchiesta dalla Procura di Barcellona contro ignoti
- L'Aquila, 2 febbraio 2020. Raddoppiati in 10 anni i detenuti in regime di 41bis a L’Aquila . Nel 2010 erano 80: adesso ne sono 166 su un totale di 760 reclusi.
- Torino, 2 febbraio 2020. Suicidio in carcere, dopo giorni di proteste un detenuto si toglie la vita. Si era cucito la bocca più volte, aveva scioperato rinunciando al cibo e si era tagliato perché in non voleva essere deportato Marocco in seguito a un decreto di espulsione.
- 5 febbrario 2020. Era sotto attacco in questi giorni anche all'interno della maggioranza di governo la legge “Spazza-corrotti” per quella norma che ha abolito la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, contestata dall'avvocatura e dai vertici della magistratura. Nove tribunali di sorveglianza (di Venezia, Lecce, Taranto, Brindisi, Cagliari, Napoli, Caltanissetta, Potenza e Salerno) hanno espresso i loro dubbi sulla legittimità di un'altra delle norme-chiave della legge, la retroattività della stretta sui benefici penitenziari per i condannati per i reati più gravi contro la pubblica amministrazione, l'11 febbraio la Corte costituzionale ha bocciato l’art.1 la retroattività dell’applicazione dell’art.4 bis che riguarda la sospensione dei benefici penitenziari per una serie di reati “gravi”.
La Consulta ha stabilito che, almeno per i permessi premio, deve essere il magistrato di sorveglianza a valutare caso per caso se questi benefici possano essere concessi o meno a prescindere dalla collaborazione, a condizione però che siano stati recisi i legami con la criminalità organizzata e che il detenuto partecipi al percorso rieducativo.
- Carcere di Campobasso, 28 gennaio 2020. “I detenuti della Casa Circondariale e Reclusione di Campobasso (1a sez., 2a sez., 4a sez. fanno presente che a partire dal giorno 27/01/2020 inizieranno una protesta pacifica, per dar voce alla totale mancanza del rispetto dei Diritti della Persona, causa la carenza del personale operante (tutto) all’interno di codesto istituto”. Comincia così un comunicato redatto da 75 persone detenute nel carcere di Campobasso che, appunto, questa mattina – e poi di nuovo alle ore 14.00 – hanno dato il via ad una protesta contro le tante problematiche presenti all’interno della struttura. In via esplicativa anche se sommaria, tali problemi sono riconducibili essenzialmente alla disastrosa realtà dell’Area Sanitaria, degnamente diretta dal Dr. Pasquale Del Greco che però deve fare i conti con carenza di personale medico (con una popolazione interna composta in ampia percentuale da persone con problemi di tossicodipendenza e con problemi psichici rilevanti).
Problemi rilevanti sono anche quelli relativi all’Ufficio Matricola (che recepisce le varie istanze depositate dalle persone detenute e che però vengono ‘smaltite’ con tempi assai lunghi causa mancanza di personale) e all’Ufficio Sopravvitto che si occupa della consegna dei prodotti acquistati dai reclusi: anche qui tempi lunghi e inadeguati alla soddisfazione dei bisogni delle persone detenute).
Si evidenziano poi problematiche all’interno dell’Ufficio Ragioneria, del Centralino, così come nel Magazzino detenuti e nella Cucina Detenuti, e via via fino ad arrivare alle camere delle persone detenute “(non tutte) dove sono apposti ancora castelli a tre letti pur essendo ciò vietato dalla Corte Suprema dei Diritti dell’Uomo.”
Così, pur nella consapevolezza di essere “colpevoli e che dobbiamo espiare una pena per aver commesso dei reati e rispettare le regole previste dal codice penale, è anche vero che lo Stato dovrebbe garantire il rispetto della dignità umana e metterci nella condizione di poter riconquistar il diritto di appartenere on modo concreto alla nostra società.”
La protesta nel carcere di Campobasso si svolgerà – a partire da oggi (27 gennaio ndr) – tutti i giorni effettuando “una battitura alle finestre alle ore 9:00 alle ore 10:00 – dalle 14:00 alle 15:00 e dalle ore 20:00 alle 21:00, per un totale di tre ore giornaliere, mantenendo il totale rispetto degli operatori di Polizia Penitenziaria e garantendo un comportamento pacato e civile senza atti di sommosse e impedimento nel far svolgere il vostro lavoro.” (Il Quotidiano del Molise, 28 gennaio 2020)
- Genova, 14 gennaio 2020. Protesta dei detenuti in carcere a Marassi dopo la perquisizione ordinaria di due celle dove si trovavano 11 detenuti
- Pescara, 18 gennaio 2020. Per protesta detenuto inchioda i genitali allo sgabello. Il “San Donato” ospita 408 detenuti e ha una capienza per 270.
Milano, febbraio 2020


Sintesi del rapporto del CPT
Una delegazione del Comitato del Consiglio d’Europa per la Prevenzione della Tortura (CPT) ha effettuato una visita nelle carceri italiane di Milano-Opera, Saluzzo (CN), Viterbo e Biella, tra il 12 e il 22 marzo 2019 e ha stilato un rapporto di cui seguito ne riportiamo una sintesi da noi redatta. La relazione sulla visita è stata poi trasmessa alle autorità italiane il 2 agosto 2019; alle varie raccomandazioni, commenti e richieste rivolte al Ministero dell’Interno è seguita la risposta del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP) - che qui non riportiamo - poiché si è limitata a promesse di miglioramenti su questioni minime, giustificando invece le inadempienze più gravi con la solita mancanza di fondi, personale e gli altrettanto soliti motivi di sicurezza.

Lo scopo della visita è stato quello di esaminare la situazione dei detenuti posti in regimi di media e alta sicurezza, 41-bis e dei detenuti sottoposti a varie misure di isolamento e segregazione. La visita è stata favorita da tutte le carceri tranne in quello di Viterbo dove gli agenti, non informati del mandato della visita, hanno inizialmente negato ai membri della delegazione il diritto di interrogare i detenuti in privato durante le ore fuori dalla cella.
Chi segue le vicende che si susseguono nelle carceri italiane non verrà a sapere nulla di nuovo, tuttavia non è frequente avere a disposizione la fotografia di una situazione così critica da parte di organi ufficiali che mettono nero su bianco la violenza e l’insensatezza delle carceri.
Riassumendo, le principali problematiche emerse nella relazione del CPT sono:
- Il sovraffollamento (dal Ministero dell’Interno: al 31 dicembre 2019, a fronte di una capienza regolamentare di 50.688 posti, sono 60.769 i reclusi presenti, di cui circa 10.000 in attesa di giudizio. La popolazione carceraria italiana totale ha continuato ad aumentare in modo progressivo in questi anni. Secondo il CPT, il problema non è tanto dovuto ad un aumento degli arresti (in realtà in diminuzione), ma alla difficoltà di riuscire ad uscire dal carcere una volta entrati. Altre cause sono le sentenze più lunghe imposte dai tribunali dal 2008, e l’inammissibilità alle misure alternative per numerosi detenuti con pene brevi a causa della mancanza di personale.
Il direttore del DAP ha annunciato in risposta varie misure per far fronte all'aumento della popolazione carceraria e al conseguente sovraffollamento, come la ristrutturazione delle caserme militari vuote in vista della loro trasformazione in strutture carcerarie e l'installazione di unità modulari prefabbricate per aumentare la capacità delle strutture carcerarie esistenti. Inoltre, sono in fase avanzata i negoziati con le autorità albanesi, marocchine e rumene su accordi bilaterali per rimpatriare o accelerare il trasferimento dei prigionieri da questi paesi verso i rispettivi paesi di origine. Il comitato ha comunque invitato le autorità italiane a garantire i 4 mq di spazio personale vitale nelle celle collettive.
- I maltrattamenti fisici inflitti ai detenuti da parte del personale di polizia penitenziaria (in tutte e quatto le carceri visitate, ma soprattutto a Viterbo). Il comitato ha riportato un alto numero di casi di aggressioni e “l'inflizione di gravi lesioni ai detenuti a causa dell'applicazione non professionale di mezzi di contenzione da parte del personale penitenziario”. Il rapporto illustra esplicitamente la natura violenta del carcere, il supplizio incluso in maniera automatica alla detenzione. Il rapporto illustra principalmente la pratica di estrarre i detenuti dalla loro cella a seguito di un evento critico e di pestare con calci, pugni e colpi di manganello (raccontato dai detenuti e confermato in alcune cartelle cliniche) in luoghi non coperti da telecamere a circuito chiuso. Fra i maltrattamenti denunciati (anche attraverso insulti razzisti) raccolti dal CPT emerge che un detenuto soggetto al regime 41 bis ha affermato che, il 16 gennaio 2019, un ispettore donna è entrata nella sua cella e gli ha bruciato le dita dei piedi con un accendino per accertare se stesse fingendo uno stato catatonico. Inoltre, ha affermato che, il 26 gennaio 2019, un gruppo di sette ufficiali del G.O.M. è entrato nella sua cella con un equipaggiamento di protezione antisommossa e gli ha inferto diversi colpi di manganello alle gambe. Il detenuto in questione è stato visitato da un medico esterno il 2 febbraio 2019, che ha registrato la seguente iscrizione in un certificato medico allegato alla sua cartella clinica: "cicatrici e riepitelizzazione dopo una lesione da ustione, larga 2 cm”.
Nel suo rapporto, il Cpt scrive che a Viterbo “alcuni detenuti, intervistati separatamente, hanno identificato specifici agenti e ispettori come autori di numerosi episodi e delle “squadrette” di agenti impiegate per i pestaggi. La segnalazione di responsabili al CPT di pestaggi è avvenuto anche nelle altre carceri, come per un ispettore ad Opera.
Un altro detenuto ha detto alla delegazione che aveva paura di sollevare accuse di maltrattamenti quando è stato portato dalle stesse guardie carcerarie a vedere il medico a causa della mancanza di riservatezza della visita e del tono intimidatorio dello stesso. Il medico in questione avrebbe poi scritto nella visita medica: "Il detenuto in questione è stato visitato su richiesta dei membri della polizia penitenziaria, si rifiuta di alzare la maglietta e di calarsi i pantaloni, il che rende impossibile la visita. Dimostra un atteggiamento non collaborativo".
Altre questioni più specifiche che emergono sono:
- I limiti “materiali” per la media sicurezza riguardanti essenzialmente “i locali, docce fatiscenti e insalubri, la struttura spartana ed austera dei cortili di passeggio e in alcuni casi la qualità scadente del cibo”, ma anche la mancanza di riscaldamento e di igiene nel vecchio padiglione del carcere di Biella, l'impianto di ventilazione delle celle e il riscaldamento discontinuo nel carcere di Opera e Viterbo.
- Alta sicurezza: viene richiesta la revisione dei criteri di classificazione e declassificazione dei detenuti di alta sicurezza e di istituire un regime di alta sicurezza distinto per legge, con tutte le opportune garanzie giuridiche.
- L’abolizione senza ulteriori indugi della misura dell'isolamento diurno imposto dal tribunale ai sensi dell'articolo 72 del codice penale. Ma anche la riduzione dell’utilizzo dell’articolo 14 bis, della sua durata di esecuzione e un miglioramento delle condizioni previste.
- Sul 41 bis: Il collocamento di qualsiasi detenuto in una "area riservata" va limitato nel tempo e soggetto a revisioni mensili. Inoltre, viene denunciato l’abuso dell'articolo 32 del Regolamento penitenziario (*), che viene automaticamente applicato per confinare i detenuti 41 bis in gruppi sociali di due persone in condizioni più severe nella cosiddetta "area riservata". I detenuti interessati dovrebbero avere il diritto di contestare il provvedimento davanti al tribunale di vigilanza competente. Inoltre, “dovrebbero essere prese misure per assicurare che ai detenuti soggetti a sorveglianza CCTV (telecamere a circuito chiuso) sia garantita una ragionevole privacy quando usano la toilette, il lavandino e la doccia attraverso, ad esempio, la pixelazione.
Il CPT raccomanda che il rinnovo del 41 bis sia basato su una valutazione del rischio individuale che fornisca ragioni oggettive per il proseguimento della misura e non si basi invece sulla semplice assenza di informazioni sui legami della persona con l’organizzazione di riferimento. Inoltre, ogni volta che un detenuto è soggetto a un rinnovo o alla prima imposizione del regime 41 bis, dovrebbe avere la possibilità di essere ascoltato di persona dall'autorità ministeriale competente (eventualmente attraverso un sistema di videoconferenza). Viene anche richiesta l’autorizzazione di fare almeno una telefonata al mese, indipendentemente dal fatto che ricevano o meno una visita nel corso dello stesso mese.
Nello specifico delle carceri viene anche chiesto:
- al reparto di detenzione 41 bis del carcere di Milano-Opera di rimuovere gli strati di plexiglas opaco sulle finestre, l'eliminazione delle infiltrazioni d'acqua, la verniciatura delle celle con vernice antimuffa e la riparazione dell'impianto di riscaldamento, nonché delle cyclette. Nel carcere di Viterbo di rimuovere le lamelle metalliche davanti alle finestre, di riparare le attrezzature danneggiate (es. sedie) e l’illuminazione nelle sale comuni.
- Il CPT infine, ribadisce la sua raccomandazione di adottare misure in tutti gli istituti per garantire che la documentazione redatta dopo la visita medica di un detenuto - appena arrivato o a seguito di un incidente violento - e i risultati di ogni esame, comprese le dichiarazioni dei detenuti e le opinioni/osservazioni del medico, devono essere messi a disposizione del detenuto e, su richiesta, del suo avvocato.

(*) DPR, 30 giugno 2000, n. 230 - Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.
Art. 32 - Assegnazione e raggruppamento per motivi cautelari
1. I detenuti e gli internati, che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele, anche per la tutela dei compagni da possibili aggressioni o sopraffazioni, sono assegnati ad appositi istituti o sezioni dove sia più agevole adottare le suddette cautele.
2. La permanenza dei motivi cautelari viene verificata semestralmente.
3. Si cura, inoltre, la collocazione più idonea di quei detenuti ed internati per i quali si possano temere aggressioni o sopraffazioni da parte dei compagni. Sono anche utilizzate apposite sezioni a tal fine, ma la assegnazione presso le stesse deve essere frequentemente riesaminata nei confronti delle singole persone per verificare il permanere delle ragioni della separazione delle stesse dalla comunità.
Milano, febbraio 2020


Lettera dal carcere di Lanciano (ch)
Carissima associazione, grazie per i libri che mi avete mandato ultimamente. Dal nuvo catalogo che mi avete mandato ho scelto tre libri (li indica)
Nell'attesa di riceverli vi auguro di trascorrre Buone Feste, e che l'anno nuovo porti cose migliori a tuti i carcerati sulla riforma della Giustizia che questi fascisti al potere vogliono fare (io sia il Movimento 5 Stelle che il PD, non li vedo di sinistra, ma sembrano fascisti, più manette).
Vi chiedo se avete qualche copia della sentenza della Consulta, che è uscita pochi giorni fa, sui permessi che ora debbono usufruire sia gli ergastolani e tutti quelli che hanno i reati ostativi. Vi saluto a voi tutti, Vito.

10 dicembre 2019
Vito De Feo, Contrada Villa Stanazzo, 212/A - 66034 Lanciano (Chieti)


Maxiprocesso Notav, ALCUNE IMPRESSIONI E NOTE SULLA GIORNATA
Dopo quasi 10 anni dalle giornate di resistenza in Valsusa del 27 giugno e 3 luglio 2011, é ripartito ieri, l’appello bis a Torino, in seguito alla sentenza della Cassazione che ha respinto molte delle conclusioni del 1° grado e della Corte d’appello di Torino.
L’udienza si è interessata alle notifiche di ognuno/a di noi per dare avvio al processo.
La Corte ha fatto un appello generale sulla presenza e posizione di noi, ormai in 33 imputati/e. Si è fermata a questo ed a fissare le date del processo: riprenderà giovedì 27 febbraio (dove ci sarà la relazione/riepilogo della giudice a latere), poi le udienze già fissate tutti i giovedì del mese di marzo salvo cambiamenti in corso.
Durante la giornata, si è discusso su come affrontare questo processo dove intendiamo come imputati/e ribadire le nostre posizioni di sostegno alla lotta Notav a cominciare da questo rapido aggiornamento.

Il giudice, a sorpresa per i presenti (compreso il collegio degli avvocati di difesa), invece che cominciare alle 09:00 come notificato, decide di svolgere prima le altre udienze. Si inizia un paio di ore dopo.
Comincia l’appello con grande pignoleria, adirittura va avanti un’ ora... Pignoleria a senso unico. Infatti le considerazioni iniziali fatte presenti in modo corretto da mesi dalla difesa e anche alcune delle parti civili, non le aveva nemmeno lette.
La semplice udienza di calendarizzazione e qualche “tecnicismo” iniziale, che sarebbe dovuta durare un’ora o poco più, non si è conclusa prima delle 17:00.
Noi, tra i presenti, comunque abbiamo approfittato dopo la seconda pausa, per uscire e confrontarci sul come cercare di evitare la dispersione dati i continui attacchi al movimento Notav.
Fuori dall’aula, un presidio di solidarietà: interventi megafonati a partire dall’arresto di Nicoletta ormai in carcere da un mese e le condanne definitive ai coimputati/e, alla condizione di semilibero di Luca, a tutti/e gli altri/e detenuti/e e nello specifico quelli richiesti da alcuni, quelli nel braccio C e braccio E del carcere delle Vallette che hanno chiesto di salutare Giorgio e Mattia ora ai domiciliari. Sono stati ricordati i fogli di via - divieti di dimora che hanno ripreso a dare “a manetta”, alcune patenti revocate a scopo intimidatorio, vessatorio e preventivo ad alcuni/e militanti molto attivi col pretesto della “mancanza di requisiti morali”, le richieste sempre intimidatorie di risarcimenti economici e via dicendo.
Il filo conduttore è stato insomma che si deve continuare a non accettare nessuna ingiustizia! A breve arriveranno aggiornamenti su quello che si intende continuare a fare e si prensava di essere presenti in maniera più attiva e numerosa la prossima udienza anche dentro l’aula.


LETTERA DAL CARCERE DI TORINO
Pubblichiamo questa lettera di Giorgio dal carcere delle Vallette, in cui ci racconta l’esperienza sua e di Mattia delle feste natalizie ai Nuovi Giunti. Da notare che la lettera, indirizzata a Nicoletta, è arrivata alle poste di Torino il 30 dicembre, stesso giorno in cui è stata arrestata.
Giorgio si trova attualmente ai domiciliari con tutte le restrizioni per le misure cautelari dell’inchiesta sulle giornate contro il G7 di Venaria (Torino) del 2017. Negli ultimi giorni è stato costretto dal Gup a trasferirsi con motivazioni che deliberatamente hanno la volontà di spezzare i sui legami con il movimento Notav.

Cari compagne e compagni, il presidio di ieri sera è stato apprezzato dai detenuti del Blocco B, sia la buona musica e i saluti, sia i fuochi. Nel pomeriggio del 25 dicembre, con un “tranello”, hanno trasferito Mattia in una sezione diversa, non so quale (forse il Blocco C). Al rientro dal cortile dell’area ci eravamo rifiutati di rientrare in cella. Premessa: giovedì 19 dicembre avevamo fatto una “domandina” per richiedere la “socialità” almeno nel giorno di Natale, visto che nella sezione “Nuovi Giunti” non viene mai concessa. “Socialità” vorrebbe dire stare nel corridoio dalle 17 alle 19 a chiacchierare e camminare. Venerdì 20 dicembre avevamo fatto una seconda “domandina” per poter usufruire del servizio pizza interno (di cui non sapevo l’esistenza), nell’impossibilità da parte nostra di poter fare la spesa settimanale. Ben 10 pizze per la sera di Natale da distribuire tra tutti in sezione (34 presenti). Sabato 21 dicembre per “aiutare” le nostre richieste ci siamo rifiutati di rientrare in cella, così era arrivato un ispettore che, dopo averci ascoltato, se n’era andato con le solite scontate e inconcludenti risposte. Così giovedì 25 dicembre ci siamo rifiutati di rientrare. Dopo i classici “consigli utili” non richiesti dal capo posto per farci desistere e velate minacce, siamo rimasti per una oretta abbondante nel corridoio e siamo rientrati in cella. Con una scusa (telegramma?) dunque Mattia è andato verso la rotonda e non è più tornato, nessun problema l’avevamo messo in conto. Sarà più “utile” in un’altra in un’altra sezione. Nei giorni precedenti parecchi detenuti della sezione volevano partecipare, ma abbiamo preferito non esporli ad inevitabili provvedimenti disciplinari (il famoso, qui dentro, “rapportino” anticamera del consiglio di disciplina).
Qui qualsiasi cosa dici devi farlo nella maniera più semplice possibile, senza vanità, linguaggio chiaro, senza essere contorto. Curiose le argomentazioni per non concedere le pizze, dovevamo prenderne una testa e non potevamo ordinarne dieci in due persone così cercavamo di “comprarci” il consenso della sezione per future proteste. Ma quel che proprio non capivano era che noi due volevamo spendere ben 80 euro di pizze per gli altri prigionieri. Una scena comica e surreale alla rotonda del Blocco B: ispettore, capoposto, cinque o sei guardie ci guardavano stralunati come fossimo dei marziani, non volevano credere a quello che noi volevamo fare. La sezione dove sono, la nona, dovrebbe essere adibita a un servizio di osservazione per i nuovi arrivati, non durare più di 5 giorni, in realtà si sta 20/25 giorni: no TV, no socialità, misere arie dalle 9 alle 10:15 al mattino e dalle 13 alle 14:15 al pomeriggio, tre per volta si va alle docce fino alle 16:30, poi chiusura totale in cella fino alle 8 del mattino successivo. La maggioranza qui non possiede soldi per fare la spesa a malapena comprano tabacco e generi per la pulizia personale. Da Francesca Frediani [consigliera Movimento 5 Stelle a Torino, della Val di Susa, ndr], che ringraziamo per la visita, abbiamo saputo di Roberto Rosso [assessore a Torino per Fratelli d’Italia arrestato di recente, ndr] e un mattino lo abbiamo scorto in un cortile dell’area lontano dal nostro. Ringraziamo la Cassa Antirep. le Alpi Occidentali grazie alla cui “rapidità” possiamo spedire questa lettera: in tutta la sezione non c’era un francobollo. Concludo riportando la frase che Mattia ha scritto sul muro della cella: “non vi è rimedio per la nascita e per la morte salvo godersi l’intervallo”, non so di chi è la citazione. Un saluto a tutti, No Tav.
5 gennaio 2020, da notav.info