lettere estratte da quieora N.1, maggio 2001

 

OGGETTO: DENUNCIA DELLE CONDIZIONI DEL CARCERE DI PARMA

Morti a catena nel carcere di via Burla

Testimonianza di un infermiere

Ritorsione della direzione contro un "detenuto scomodo"

Si può evadere per fame

Incompatibilità col carcere

Urine a Parma

La strana sezione 1B

Detenuti al lavoro esterno?

Scheda sui decessi avvenuti nel carcere di Parma

 

OGGETTO: DENUNCIA DELLE CONDIZIONI DEL CARCERE DI PARMA

Con la presente si vogliono denunciare e rendere di pubblico dominio le condizioni disumane della vita di un detenuto nel Carcere di Parma, in particolare della "Casa Circondariale".

Ho voluto cogliere l'occasione di un momento di proposte per il miglioramento della pena detentiva fatte dai detenuti da sottoporre alla Direzione del carcere, per descrivere, nel modo più oggettivo a me possibile, la lunga serie di inadempienze, soprusi, abusi e violenze che caratterizzano questo istituto.

Le richieste inoltrate da singoli detenuti o da gruppi di questi vengono normalmente non prese in considerazione, ma cestinate e, in quei rari casi nei quali si riesce ad ottenere una risposta, questa è sempre molto vaga e comunque non porta mai a niente. I promotori delle stesse vengono emarginati, isolati e viene loro resa la vita all'interno del carcere impossibile, in alcuni casi (7 morti "sospette" nel 2000) sono stati spinti al suicidio o trasferiti in un ospedale psichiatrico giudiziario.

Voglio inoltre sottolineare che diverse persone sono detenute nonostante la loro innocenza, o perlomeno nonostante una non provata colpevolezza, e che la maggior parte dei detenuti di questo Istituto ha commesso reati comuni e minori e che è costretta per oltre 20 ore al giorno in una cella di 12 m2 scarsi per 2 persone (comprendenti 2 tavoli di 1 m2 l'uno, 2 armadi di 1 m2 l'uno, 2 letti di 2,5 m2 l'uno e un bagno di 2 m2). Si verifica una assoluta inadempienza delle basilari norme igenico-sanitarie:

1) locali doccia mai disinfestati, alcova di batteri, muffe, funghi e parassiti;

2) iniezioni e prelievi del sangue eseguiti in locali non idonei (la cella);

3) risposte a richieste di aiuto, per malesseri in genere e tentativi di suicidio, dopo diversi minuti, accompagnate normalmente da: "uno di meno che rompe i coglioni";

4) materassi in gomma piuma ormai appiattiti con conseguenze gravi sulla salute, non cambiati da almeno 5 anni;

5) una "Commissione vitto", che avrebbe il compito di controllare qualità e quantità delle materie prime, assolutamente fantasma: se un membro della stessa si rifiuta di firmare il registro, perché non ritiene i prodotti qualitativamente e/o quantitativamente validi, viene immediatamente sostituito;

6) qualità del vitto in costante netto peggioramento.

Mi voglio anche soffermare su alcuni problemi strutturali e gestionali:

7) in ogni sezione esiste una "saletta socialità" di circa 40 m2 per 50 detenuti. Forse la qualità e la quantità del vitto sono studiate a tavolino: più magri sono più ce ne stanno;

8) non esiste acqua calda nelle celle;

9) tutte le attività, quali l'utilizzo della lavanderia e delle docce, devono essere svolte durante le "ore d'aria";

10) la mancanza di acqua corrente e servizi igienici nelle aree di passeggio;

11) la presenza di "aree verdi" destinate ai colloqui con i bambini mai utilizzate, cosicché gli stessi, già privati della figura di un genitore, debbono sopportarne oltre misura le conseguenze, dovendo incontrare il genitore detenuto in un ambiente assolutamente non idoneo e al limite della legalità.

Questo mio scritto descrive solo la punta dell'iceberg, ma ha la velleità di voler smuovere qualcosa nell'ambiente carcerario di Parma, perché le condizioni di vita di un detenuto, grazie alla gestione militaresca del carcere, sono disumane e umilianti la dignità della persona, degne di cose da Sud America dei tempi passati, non di una nazione europea avanzata e attenta ai problemi sociali. Una scuola di rabbia e violenza, ottimo sistema per il futuro reinserimento di chi, dopo aver "sbagliato", vuole lavorare per reintegrarsi nel tessuto sociale.

(25 maggio 2001, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

Morti a catena nel carcere di via Burla

Quando scrivevo mesi fa a proposito dei morti all'interno del carcere di Parma, pensavo che qualcosa sarebbe cambiato; in verità è cambiato molto, infatti i morti sono aumentati. Come si può giustificare tutto questo? Per primo, il malessere che vivono questi detenuti nel vedere che lì dentro tutto è permesso, nessun controllo dal Ministero, il potere assoluto nelle mani di un comandante e un direttore che fanno il bello e il brutto tempo, a dire il vero fanno solo il brutto tempo, per me sono dittatori ma malgrado tutti questi morti sono sempre lì, a questo punto credo che lo stato ha trovato un'alternativa alla pena di morte, non per mezzo di una sentenza del tribunale ma mandandoli in carceri come Parma dove si aspettano un tot di morti all'anno... anche questo è un modo per combattere il sovraffollamento in carcere. Niente male, questi boia del 2000 fanno un lavoro splendido e a catena, non so quando tutto questo finirà, da parte mia combatteremo fino a quando questi signori se ne andranno definitivamente. Lo stato non può permettersi di avere delle persone di questo tipo che lavorano per loro ma se questo non cambia vorrà dire che questi sono appoggiati dallo stato stesso, così la cosa sarà più chiara a tutti, una dittatura a livello dello stato.

Questo non mi meraviglierebbe visto che fino ad oggi hanno continuato a fare solo il brutto tempo e nessuno gli ha mai detto nulla, salvo per elogiarli di quanto fanno lì dentro, una vergogna. Quanti morti ci devono essere ancora prima che qualcuno vada a rimettere nella legalità il carcere di Parma? Non lo so ma dal mio ultimo appello sono morti in pochi mesi altri 3 uomini che lo stato aveva condannato ad una pena che non era quella di morte. Vi chiedo questo: che non si parli più degli americani, che i telegiornali non si vergognino più delle loro esecuzioni, perché l'America è lontana e nel nostro paese, a Parma, abbiamo la stessa cosa, che noi odiamo cioè la pena di morte. Può cambiare il sistema ma i morti sono morti e questi sono morti nelle carceri d'Italia. Pensateci.

(maggio 2001, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

Testimonianza di un infermiere

Sono un infermiere professionale che ha lavorato dall'agosto a dicembre 2000 presso l'istituto penitenziario sito in via Burla a Parma, come libero professionista (civile). Ho letto con interesse il foglio periodico di contro-informazione n.0 dicembre 2000 "quieora" e sono d'accordissimo che nel suddetto istituto vi siano delle carenze e disfunzioni che secondo me non sono da attribuire ai singoli ma al sistema penitenziario italiano. Qui a Parma la colpa di questo malfunzionamento del suddetto istituto è da attribuire non a chi ci lavora e si suda lo stipendio ma a chi è seduto in poltrona che gestisce e amministra in ambienti climatizzati, puliti, ecc. Io purtroppo posso solo affermare che i detenuti di tale istituto hanno una pessima assistenza sanitaria. E sia per questo motivo che per motivi di disorganizzazione di chi gestisce gli operatori sanitari, ho mollato questo lavoro nonostante le mie proteste personali direttamente al direttore. Per quel che concerne l'assistenza sanitaria in particolare posso affermare che nell'istituto penitenziario di Parma:

1) non si fa prevenzione delle malattie, sia per tutelare i detenuti che per chi ci lavora in prima persona;

2) prescrizione da parte dei medici di terapie per niente adeguate;

3) collaborazione medico - infermiere - gestori del personale sanitario totalmente assente;

4) esecuzioni di attività sanitarie con mezzi non idonei e al quanto pericolose, ad esempio: medicazioni di ferite o piaghe con carrelli e strumenti non sterilizzati; somministrazione di terapie enovenose senza la presenza di un sanitario né di un ambiente idoneo per il pronto intervento; scarso trattamento terapeutico/assistenziale di alcuni detenuti affetti da patologie gravi; gestione di un centro clinico che farebbe inorridire il più asino dei sanitari; scarsa informazione terapeutica da parte degli operatori sanitari; la per niente voglia di migliorare l'assistenza medico/infermieristica da parte degli operatori stessi, i quali, in tale istituto operano con tecniche e mezzi non adeguati; il sovraccarico di lavoro del personale sanitario che fa fronte giorno per giorno ad una carenza, voluta da chi comanda l'istituto, di personale qualificato e mezzi idonei; scarsa tutela dei lavoratori sanitari e scarsa e dilazionata retribuzione. Per tali e altri motivi di organizzazione interna io ho mollato il lavoro nel suddetto istituto; però tale situazione è maturata giorno per giorno dopo tante proteste sia ai miei colleghi e sia ai coordinatori sanitari che al direttore stesso. In pratica non c'è la volontà di migliorare sia le condizioni disumane dei detenuti, sia degli operatori sanitari che degli agenti penitenziari. Nonostante  ciò, nessuno protesta, per non perdere il lavoro o ricevere una ammonizione. Io molte volte ho affermato davanti a tutti che le prime persone che dovrebbero denunciare tali condizioni di gestione del carcere dovrebbero essere effettuate da chi ci lavora. Però quando sono andato a protestare dal direttore mi sono accorto che ero da solo. Faccio il libero professionista perché non voglio dipendere da nessuna struttura e vorrei esercitare il mio lavoro nei tempi e nei modi che preferisco.In bocca al lupo e non mollate mai. Distinti saluti da un ex lavoratore civile del carcere di Parma.

(gennaio 2001, lettera firmata)

 

Ritorsione della direzione contro un "detenuto scomodo"

Ora vado a spiegarvi il fatto della perquisizione che ho subito e quello che mi è successo dopo  dicembre.

Sono passato davanti a varie celle per chiedere chi volesse ricevere il giornale "quieora". Poi il giorno dopo ho subito una perquisa in cella di quelle normali che spesso si fanno in carcere. In quella perquisa hanno letto i miei scritti, poi a dire il vero non mi hanno detto nulla. Il giorno dopo vado all'aria, mi chiamano in sezione, quando arrivo li ad aspettarmi ci sono ispettore, appuntati e agenti che mi chiedono di seguirli. Mi mettono in un'altra sezione, alla 1B reparto tipo punitivo, senza darmi alcunché di vestito e altro. Il giorno dopo mi portano i miei vestiti e tutto il resto. Si sono fatti delle fotocopie delle mie lettere, poi viene il bello: mi chiamano dal capoposto, fa finta di non ricordarsi perché mi aveva chiamato, mi dice "non è che hai fatto una domandina?", io capisco che qualcosa non andava, poi mi dice che si ricorda, che devo andare al magazzino vestiario. Mi porta li dove con varie entrate e uscite dell'appuntato del magazzino (pessimo attore tra l'altro) mi fanno aspettare più di tre quarti d'ora; tutto questo per far sì che nel frattempo un ispettore potesse recarsi nella mia cella per controllare se c'erano ancora degli scritti. Dal magazzino mi chiamano direttamente alla matricola dove mi fanno vedere l'ordine di perquisizione fatto dal Pubblico Ministero di Parma alle ore 15.05. Non so se questo PM sia d'accordo con loro oppure l'hanno solo preso in giro ma fanno la perquisa e il sequestro delle lettere. In realtà hanno violato la legge in molti punti ma a Parma è all'ordine del giorno. Vedendomi sempre compatto nelle mie idee non sapevano come fare con me, avevo scritto a troppi uffici di competenza, ero un detenuto senza alcun rapporto, non avendo appigli per farmela pagare e per la loro paura di ciò che sapevo e che ho visto nel carcere di Parma per 5 anni ero diventato una minaccia per loro. Anzi, dall'unico rapporto che mi avevano fatto sono stato assolto dopo 6 mesi dal Giudice di Sorveglianza, la quale assoluzione gli ha fatto ancora più male dopodiché si sono accaniti su di me in ogni modo ma la mia reazione è stata sempre per iscritto a chi di competenza e a voi, così davo ancora più fastidio fino ad arrivare alla vicenda della perquisa e del sequestro delle mie lettere. Alla fine di tutto ciò mi hanno trasferito nel carcere di Ferrara, come regalo mi hanno fatto l'ultimo dispetto, mi hanno trasferito con poca roba scelta da loro ma i loro dispetti non sono mai riusciti a farmi andare fuori di testa anzi mi hanno sempre dato lo spunto per scrivere di più. La conclusione della storia è che sono andato a finire in un carcere dove si può dire che a paragone di Parma è un albergo a cinque stelle, dove si può scontare la propria condanna nel modo giusto che un essere umano dovrebbe scontarlo in qualunque istituto di penale. Molti detenuti di Parma vogliono andarsene da quel posto di tortura, se posso dare un consiglio ad ognuno di loro è di lamentarsi, di scrivere presso gli uffici di competenza, Provveditorato, Giudice di Sorveglianza, Tribunale di Sorveglianza, Ministro di Giustizia e Direttore Generale dell'Amministrazione Penitenziaria con raccomandata con ricevuta di ritorno. Non lasciatevi intimidire, nel giusto si deve andare avanti, solo in questo modo il carcere di Parma potrà un domani ritornare vivibile come era prima che venissero il nuovo comandante e con la speranza che il direttore riesce ad avere una sua propria personalità, visto che fino ad ora è influenzato dal comandante. Vi auguro a tutti voi detenuti di Parma che la vita li dentro ritrova la strada dell'umanità e vivibilità per tutti voi.

(gennaio 2001, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

Si può evadere per fame

Incredibile credere che un detenuto possa evadere per fame, questo a Parma è successo. Un detenuto di nazionalità turca ha dovuto fare questa scelta per paura di dovere denutrirsi fino alla morte. Devo precisare che questo detenuto è di religione musulmana, per questo motivo poteva mangiare solamente certi tipi di alimenti, era in articolo 21 interno, detenuto modello, nemmeno la direzione del carcere sa (o finge di non sapere) il motivo dell'evasione ma per quello che mi riguarda lo conoscevo bene, eravamo nella stessa sezione. La sera lo vedevo li senza cibo, mangiava formaggio e latte, un tipo di yogurt inventato da lui, per mancanza di mezzi e soldi, questo è successo per il fatto che in ogni dittatura ci devono essere delle vittime malgrado tutto è stato molto più fortunato di tanti altri, è evaso ma vivo. A pensare a tutti i detenuti che sono morti a Parma e quelli che sono sempre li nella loro sofferenza gratuita e inutile, senza che l'opinione pubblica ne sappia nulla, posso assicurarvi che la vita all'interno del carcere di Parma è da confrontare ad un campo di concentramento, quando si dice che la fame gioca brutti scherzi lo diciamo come battuta ma in realtà è peggio. Si può dire che per certi detenuti, Parma è come il terzo mondo. Per chi può nel frattempo mangiate, mangiate e mangiate sempre, per quello che riguarda le diete ci pensano i detenuti di Parma (ovviamente quelli che fino ad oggi non hanno ancora avuto la possibilità di evadere).

(aprile 2001, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

Incompatibilità col carcere

Ho 36 anni, mi chiamo Michele e sono gravemente ammalato di miastenia gravis, una patologia del sistema neuro-muscolare. Il male è cronico, una cura non esiste ancora e la terapia che prendo si dice di mantenimento. Quando c'è un'emergenza si ricorre alla plasmaferesi, una specie di lavaggio del sangue che ripulisce da questo anticorpo; se anche questa terapia non ha più nessun effetto allora la situazione diventa incasinata. La plasmaferesi l'ho fatta a settembre e ottobre 2000 e dopo un mese e mezzo, proprio mentre vi scrivo la situazione è precipitata. Sto male, molto male, senza poter chiedere aiuto a nessuno perché nessuno vuole sentire. Mi hanno trasferito qui a Parma perché abito in Bologna e poi perché il Ministero crede che questo istituto può curarmi. Qui mi hanno abbandonato, tanto che mi sto aggravando, rischio la vita, senza l'interesse di nessuno. A volte mancano anche i medicinali, a volte devo ricordarglielo io di acquistarli. I medici sono incompetenti e menefreghisti, il dirigente sanitario, nonostante una richiesta, non si è degnato di chiamarmi. Nonostante una richiesta del neurologo fatta il giorno 11 dicembre 2000 per una visita specialistica all'ospedale, ad oggi, nonostante i segni evidenti della malattia, nessuno ha mosso un dito per me.

Sono disperato e non so più cosa fare, ho una famiglia che mi segue e che viene trattata peggio di me, mia madre sta soffrendo molto più di me e non ce la fa più. Ho referti medici che dicono che la mia patologia è incompatibile col carcere e il Ministero mi sta sbattendo da un carcere all'altro, forse nell'attesa della mia morte. Vorrei poter continuare a lottare ma le forze stanno piano piano affievolendosi; se potete aiutarmi ve ne sarei grato.

(dicembre 2000, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

Urine a Parma

Al rientro di ogni permesso un detenuto deve urinare all'interno di due fialette per un esame sulla droga, così si può accertare se un detenuto nel periodo del permesso ha fatto uso di stupefacenti, nulla di così atroce in se stesso anche se questo dovrebbe essere fatto due volte al giorno, il problema è che molte volte gli esami ritornano positivi e automaticamente il detenuto viene chiuso di tutti i benefici, poi nel frattempo si può chiedere il contro esami della seconda fialetta; in moltissimi casi questa è negativa, così nel frattempo il detenuto è stato chiuso per un mese o più, senza colpa e ovviamente non riceverà nessuna scusa. Questo è normale, dopo varie volte che questo è accaduto una direzione normale chiederebbe spiegazioni al laboratorio o almeno aspetterebbe l'esame della seconda fialetta ma visto che a Parma c'è una dittatura, dove il detenuto deve solo subire tutto questo, resta come sempre è stato, sbagliano pure, non importa, ma a noi non costa nulla?

Allo stesso tempo si sente alla TV che Parma fa i test del DNA, che sono i migliori da un punto di vista scientifico; su ogni grosso reato c'è Parma che indaga a livello scientifico, allora due sono i punti: o questi fanno apposta che le urine risultino positive, oppure sono veramente incapaci. Ma su questo chi darà una risposta? Nessuno. I detenuti non hanno il diritto alle risposte, devono solo subire e stare attenti a non lamentarsi mai, per non dovere subire anche delle ritorsioni, avere ragione a Parma può essere solo pericoloso, i dittatori che comandano questo istituto non ammettono nessun tipo di ragione da un detenuto. Sinceramente io le urine saprei dive farle. E voi?

Nella speranza che nel futuro si potrà urinare senza temere il peggio, urinate psicologicamente dove penso io. Allo stesso tempo mi sento obbligato a ringraziare il laboratorio che esegue esami e consigliargli di cambiare mestiere, questo non è fatto per loro.

(marzo 2001, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

La strana sezione 1B

Prima di scrivere a voi avevo già scritto ai giornali locali, al sindaco, al vescovo, alla regione senza mai avere una risposta diretta. Mi sono anche lamentato dei prezzi e del vitto che ci viene somministrato, la risposta la potete leggere nella missiva che ho allegato, tutto regolare dicono mentre non è così. Abbiamo una commissione che ci tutela ma non può operare secondo legge, viene chiamata in cucina dopo che la merce è già stata smistata giusto per firmare il registro mentre per i prezzi, è vero che corrispondono ai prezzi esterni, ma ci fregano sulla qualità ad esempio se 1 Kg di prosciutto costa 50 mila lire a noi per lo stesso prezzo ci portano quello da 30.000. E' così per tutto. So che per voi credere a certe cose può essere difficile soprattutto quando vengono raccontate da emarginati come siamo spesso considerati. Però mi chiedo e dico: se le cose fossero tutte regolari come dicono, perché veniamo puniti o trasferiti quando intacchiamo il sistema? Perché non ci fanno entrare e controllare personalmente le nostre lamentele? Questo dovete scrivere, fare capire ai mass-media che dei soldi che si spendono per tenerci in gabbia, il 50% va nelle loro tasche, questo lo posso confermare e provare visto che in questi 18 anni ho lavorato per le amministrazioni di vari carceri caricando furgoni e bauli di auto per destinazioni ignote; ho visto sciupare milioni di materiale per il solo scopo di comperarne dell'altro più aggiornato e meglio commerciabile. Non sono chiacchere e non sono l'unico ad avere vissuto queste esperienze. E' il marcio che si nasconde dietro alle alte mura delle carceri.

Ma parliamo di Parma e di questa "strana sezione" dove mi trovo, la 1B. Siamo rimasti in 5, secondo l'agente che monta in sezione; non possiamo comunicare tra di noi o semplicemente passarci un caffè. Nella cella affianco alla mia c'è  un paraplegico su una carrozzina, è 4 giorni che urla per avere la biancheria e un piantone che lo assista, 4 giorni che gli promettono "più tardi ti chiamiamo per il magazzino" e poi rimandano al giorno dopo; se avessi una telecamera vi mostrerei i volti soddisfatti nel vedere un uomo trascinarsi dal letto per raggiungere la carrozzina.

Più in là c'è un sospetto diabetico che è stato trasferito in questa sezione dopo essersi lamentato ed aver denunciato i sanitari per avergli fatto per 8 mesi

l'insulina mentre è sano come un pesce. Poi c'è un ragazzo proveniente da Padova, per una rissa è stato chiuso un mese alle celle, ora vive

da 3 mesi in questa sezione in una stanza con il solo letto; è in una tale depressione che non mi stupirei di vederlo appeso.

C'è uno arrivato da poco il quale non sa il perché

di questo isolamento,

nessuno da spiegazioni. Di

tento in tanto, senza motivo, vengono e ti cambiano stanza forse per

non farci annoiare,

Durante il giorno

dalle 6 alle 22 aprono e

chiudono il cancello una ventina di volte sbattendolo sempre più forte, non puoi riposare che subito trovano il sistema per svegliarti e tante altre piccole cose che alla sera ti hanno consumato il

cervello, forse è un nuovo sistema per rieducare le persone. Ok ragazzi

scusate se vi ho annoiati ma questa è la vita. Aspetto con ansia il vostro

giornale. Un caro saluto da tutta la "strana sezione".

(gennaio 2001, lettera di un detenuto  nel carcere di Parma)

 

Detenuti al lavoro esterno?

In generale sono i semiliberi ma ci sono anche quelli in articolo 21, essi escono al mattino per lavorare e rientrano la sera, dormono in carcere, questo è il passo più importante verso il reinserimento sociale di un detenuto, proprio per quel motivo si dovrebbe fare di tutto per agevolare queste persone all'interno della società ma a Parma molti detenuti hanno avuto e hanno tuttora dei seri problemi per inserirsi, piuttosto di essere aiutati,gli vengono addirittura messi vari bastoni fra le ruote, per citarvi qualche esempio, tempo fa facevano controlli in divisa nelle scuole, nei campi da calcio, in mezzo alle strade, presso gli uffici o fabbriche dove si trovava il detenuto al lavoro, così non c'erano dubbi, tutti potevano subito capire che quella persona controllata era un detenuto, senza parlare di chi si emozionava al vedere una macchina della polizia penitenziaria con agenti in divisa, con dei metodi a dire poco da film americano, dopo vari reclami è cambiato, ora sono in borghese, già meglio ma non per questo hanno eliminato di metterci i bastoni fra le ruote, queste persone che hanno un beneficio di questo tipo sono soggetti alla chiusura di quel beneficio per il minimo problema, voluto o no, per ripicca, in molti casi addirittura per voce confidenziale, basta che un detenuto racconti una storia contro un altro detenuto che a Parma è sicuro che questo passa dei guai e viene chiuso il pilastro del carcere di Parma. Sono le voci confidenziali, certe volte meglio specificate con voci sicuro già conosciute... questo è il metro usato dalla "legge" del più forte, meglio chiamata in democrazia una vera e propria dittatura.

(aprile 2001, lettera di un detenuto nel carcere di Parma)

 

19 gennaio 2000

Muore per infarto Giuseppe Mammoliti, 63 anni. La moglie che aveva incontrato il marito 4 giorni prima dichiara che "l'improvviso decesso è avvenuto per cause del tutto a noi sconosciute e alquanto inspiegabili, perché lo stesso godeva di ottima salute e appariva in ottima forma all'ultimo colloquio".

 

21 gennaio 2000

Viene ritrovato impiccato nella propria cella Antonio Fabiani, 45 anni, detenuto paraplegico, trasferito per punizione da Civitavecchia a Parma il 14 gennaio 2000. Pochi giorni prima di morire aveva scritto un fax alla famiglia in cui diceva che era stato sottoposto a regime di carcere duro (articoli 14 bis e 14 quater) ma che era all'oscuro dei motivi che avevano portato la direzione a peggiorare le sue condizioni detentive e di "avvertire l'avvocato perché era in sciopero della fame e della sete". Avvisava la famiglia di "ricordarsi delle rotte" ovvero delle botte che aveva preso dagli agenti di polizia penitenziaria negli altri carceri in cui era stato detenuto e che qualsiasi cosa fosse avvenuta in seguito, di "fargli fare l'autopsia". Il 19 gennaio, la moglie si reca al carcere di via Burla per il colloquio ma le viene detto che il marito non vuole riceverla senza che le venga mostrato il documento di rifiuto del colloquio, previsto dalla legge, recante la firma del marito. La moglie e il figlio non sono per niente convinti dell'ipotesi del suicidio: "come è possibile che un disabile colpito da una grave malattia ai menischi, sopraggiunta durante la detenzione, che gli impediva di reggersi in piedi senza le stampelle abbia potuto alzarsi da solo per legare la corda? Le stampelle, a quanto ci risulta, in cella non c'erano e non ci sono state consegnate... Siamo convinti che l'idea del suicidio non lo sfiorasse proprio. Inoltre, in carcere doveva restarci altri 5 anni, 8 li aveva già fatti in numerosi penitenziari... A Civitavecchia lo hanno pestato e pure spedito al manicomio criminale di Aversa. Se avesse voluto togliersi la vita, l'avrebbe fatto prima, in situazioni ancor più disperate".

Antonio Fabiani è stato ritrovato morto 7 giorni dopo il suo arrivo a Parma, 5 giorni dopo la rivolta avvenuta nel carcere. La famiglia è stata informata del decesso solo dopo 2 giorni, ovvero domenica 23 gennaio.

 

9 agosto 2000

Muore Adel S., 30 anni, tunisino. Il silenzio della stampa ufficiale viene rotto dalla magistratura di Tunisi che ha aperto un'inchiesta in seguito alla denuncia del settimanale tunisino "Adhoua" che ha rivelato "tracce di violenza e gravi lesioni interne in parti del corpo" del detenuto in via Burla. Adel stava scontando 13 mesi per possesso di sostanze stupefacenti e mancavano 20 giorni al suo rilascio.

 

10 novembre 2000

Un detenuto di 45 anni, viene ritrovato impiccato con la testa incastrata fra le sbarre, è stato necessario l'intervento dei vigili del fuoco per liberare il corpo. Da 10 giorni era stato rinchiuso in via Burla, in una cella isolata (probabilmente nella famosa sezione 1B), sottoposto a custodia cautelare dopo un lungo periodo si semilibertà, sulla base si alcuni indizi di reato non troppo chiari. Sulle ragioni del nuovo arresto ci sarebbero infatti due ipotesi, una per furto, l'altra per droga. Improbabile anche l'ipotesi del suicidio: per impiccarsi in tal modo avrebbe dovuto, incastrare la testa, salire su uno sgabello e lasciarsi cadere a peso morto. Sembra più probabile che la testa sia stata schiacciata dalla chiusura della seconda porta che delimita la cella provocando la morte per soffocamento.

 

Nel 2001, stando a quanto NON riportato dagli organi si stampa cittadini, sembrerebbe che non si siano verificati altri decessi all'interno del carcere di massima sicurezza di Parma ma nelle lettere inviate dai detenuti e dai loro familiari alla redazione di "quieora" si legge invece il contrario. In questi primi mesi del 2001 sarebbero 3 le morti di cui abbiamo avuto conferma da più persone, detenuti, familiari e personale civile interno ma sembra che ve ne siano altri.