SMART: UNO SCIOPERO NON COME GLI ALTRI

da Echanges 2000

 

La fabbrica che fa la macchina Smart, in Mosella, è stata presentata come un modello di produzione a ciclo continuo e di organizzazione “moderna”, raggruppante nello stesso luogo tutti i fornitori necessari alla sua fabbricazione. Uno sciopero presso uno di questi fornitori, in novembre 1999, ha dimostrato la vulnerabilità di questo modello di produzione, al di là di questa vulnerabilità, ciò che traspare da questo sciopero, è la difficoltà della lotta di classe di fare a meno di una serie di vincoli concepiti sia per massimizzare il profitto sia per parcellizzare e dividere tutte le resistenze alla dominazione sulla forza lavoro.

Nell’accumularsi di conflitti sull’applicazione della legge sulle 35 ore, uno sciopero ha attirato particolarmente l’attenzione dei media, non tanto per la sua importanza ma perché anteriormente era colato molto inchiostro su una fabbrica modello, l’ultimo grido del capitalismo industriale. Infatti, Ciò che potava sembrare uno sciopero ordinario alla fin fine perturbava seriamente una organizzazione del lavoro così finemente studiata da assicurare una produttività massima. Al di là della vulnerabilità di un simile sistema di produzione, ciò che ci interessa e che traspare da questo sciopero, è la difficoltà della lotta di classe di fare a meno di una serie di vincoli concepiti sia per massimizzare il profitto sia per parcellizzare e dividere tutte le resistenze alla dominazione sulla forza lavoro. Prima di cercare di descrivere lo svolgimento di questo sciopero, dobbiamo precisare che, per le ragioni che abbiamo esposto, le informazioni precise tendenti a sviluppare e a provare ciò che ci interessa nelle lotte, sono malgrado i numerosi articoli che vi sono stati consacrati, particolarmente incomplete e parziali. Si troveranno in questo articolo sia delle supposizioni che dei fatti concreti verificabili.

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Il lunedì 8 novembre 1999, 70 operai della Magna Châssis, azienda terzista fornitrice di Micro Compact Car (MCC), filiale di Daimler-Chrysler, fabbricante di una piccola automobile, la Smart, a Hambach (Moselle, Frontiera tedesca vicino la Sarre) si mettono in sciopero.

Trovandosi queste fabbriche terziste all’inizio della catena di fabbricazione (montaggio dei telai), la produzione è seriamente perturbata, ma non arrestata. E’ difficile sapere, a questo punto, come è scoppiato lo sciopero, benché FO (Force Ouvrière), il solo sindacato apparentemente presente in queste aziende terziste, ne rivendicano la paternità e la direzione (avendo ottenuto questo sindacato, due mesi prima, la maggioranza alle prime elezioni del comitato d’impresa; le nostre rsu ndt). Il solo punto interessante è che si tratta di lavoratori tutti giovani (età media 23 anni in questa unità) che lavorano là dall’inizio nel 1998. La rivendicazione unica sembra riguardare i salari: 1500 franchi in più al mese, mentre il salario di base mensile è di 5095 franchi (appena più alto dello SMIC).

Non abbiamo notizie esatte sulla prima reazione padronale e quali discussioni si sarebbero tenute con i sindacati - poco presenti presso le fabbriche, che raggruppano 1800 lavoratori. Sembra che gli scioperanti si siano resi conto del poco interesse che ha suscitato la loro reazione minoritaria, sia per la direzione che sembra trattarla con disprezzo sperando che essa perisse da sola (senza alcun intervento padronale N.d.T.), sia per i loro compagni di lavoro perché almeno all’inizio, nessuno si assocerà al loro sciopero.

Non sappiamo se gli altri operai di Magna Châssis abbiano continuato a lavorare, ma sembra, a questo stadio, che la produzione dell’insieme della fabbrica non si sia fermata (in fabbrica si lavora a ciclo continuo e, è la performance vantata fin dall’inizio della sua messa in opera e, sembrerebbe che, un arresto di un quarto d’ora presso uno degli stabilimenti di un terzista provocherebbe l’arresto totale della produzione). E’ verosimilmente ciò che fa sì che l’indomani martedì 9 novembre, i 70 (scioperanti N.d.T.), constatando i scarsi risultati della loro lotta, spalleggiati da alcuni operai della fabbrica vicina Behr (1000 operai) che fabbrica, fra l’altro, dei componenti per la Smart, ma che non è in sciopero, bloccano con delle barricate di pneumatici i collegamenti stradali che permettono il traffico d’ingresso e d’uscita del complesso industriale Smart.

Il blocco della strada ferma i camion e le vetture ma non si oppone all’ingresso dei non scioperanti, operai sia di Magna Châssis che di altre aziende terziste o della fabbrica madre MCC (dove 480 operai in due squadre lavorano sulla catena di montaggio finale). Sembra che il risultato sia un blocco della catena il mercoledì 10 novembre, ma la direzione di MCC non prende a questo momento delle misure di messa in sciopero tecnico, soprattutto pensando che il conflitto si sarebbe risolto.

I media parlano di 10 giorni di sciopero a “Smartville”: non è esatto perché questo mercoledì 10 novembre, nel pomeriggio, si apre un periodo di ferie dall’ undici novembre, un week end prolungato che va a mettere la fabbrica in riposo fino a lunedì 15 novembre. La Smart si vende male e MCC non ha nessuna intenzione di spingere alla produzione, utilizzando così l’opportunità dei giorni non lavorativi, questo anche perché è in corso la fabbricazione di un nuovo modello diesel, il che potrebbe rendere necessario l’adattamento delle macchine realizzato durante questi giorni di riposo (ci si potrebbe dunque interrogare sulla opportunità di questo sciopero che da un lato potrebbe utilizzare il ritardo nel lancio del nuovo modello come mezzo di pressione ma dall’altro permette questo adattamento - cosa che si saprà effettivamente dopo lo sciopero- e lo smaltimento delle giacenze di magazzino invendute)(1). Non sappiamo se nonostante questa sospensione il blocco stradale è sempre attivo ma senza dubbio, nelle sfere dirigenti, questo periodo sarà utilizzato per fermare lo sciopero.

Non sappiamo di più su quando, come e all’appello di quale sindacato (sembra che sia solo FO; Force Ouvriére N.d.T.) gli operai di altri due terzisti, Magna Doors (135 operai che fabbricano gli sportelli) (giuridicamente distinti benché appartenenti allo stesso gruppo canadese di Magna Châssis) e Sartama (200 operai che lavorano nella verniciatura nella filiale di una impresa tedesca) vanno in sciopero- forse uno sciopero interno- con le stesse rivendicazioni. Si svolgeranno delle discussioni dietro le quinte fra sindacati, MCC e aziende terziste ma con una evidente opacità. Nello stesso tempo le rivendicazioni iniziali sono state edulcorate. Nuove proposte (sembra 400 franchi per novembre dicembre e 680 mensili nel 2000) sono trasmesse dal segretario della sede locale di FO a una assemblea di 50 scioperanti di Magna Châssis domenica 14 novembre.

Esse sono rifiutate e lo sciopero continua il lunedì 15; una certa confusione sembra crearsi attorno alla fabbrica, materializzando sembrerebbe una certa rottura fra i responsabili sindacali di dipartimento, che sembra controllino le trattative, e una base determinata. Ciò che è certo, è che il blocco stradale è ripreso il martedì 15 alle ore 18,30, bloccando di nuovo gli accessi alla fabbrica, e che la direzione di MCC e delle aziende terzista decidono di mettere 1300 operai su 1830 in “disoccupazione tecnica” a partire della squadra del mattino di martedì 16 novembre. E, segno che i dirigenti sindacali non hanno le loro truppe in mano, (il protocollo d’accordo firmato dai sindacati sarebbe stato rigettato dalla base), segno, in altre parole, di una certa combattività di base, la direzione di MCC cita in giudizio “la mangiata di irriducibili”(secondo le parole dell’avvocato della direzione davanti al tribunale di Sarreguemines) che “mette in pericolo il lavoro di 3500 lavoratori” “d’ostacolo alla libertà di lavoro, alla libera circolazione e attenta alle regole della negoziazione”.

Non sappiamo che pressioni sono esercitate sugli “irriducibili” ma il blocco stradale viene tolto questo mercoledì pomeriggio, quando si riunisce il tribunale, e la condanna per “esercizio anormale del diritto di sciopero” e le “conseguenze sproporzionate all’obiettivo ricercato” cade la sera nel vuoto. Il lavoro riprenderà il giovedì 18 novembre alle 5 e 30 del mattino dopo un voto “unanime” di 30 scioperanti il 17 sera.

Apparentemente si applica -almeno a Magna Châssis e Magna Doors- un aumento di 200 franchi mensile al 1° gennaio 200; un premio presenza di 400 franchi sarà pagato in novembre e dicembre; è messo in discussione il pagamento di un premio annuale di presenza di 3600 franchi (che rappresenterebbe un aumento variabile di circa l’8%).

Come abbiamo segnalato all’inizio di questo articolo, l’interesse di questo sciopero non risiede tanto nella sua originalità quanto nelle sue conseguenze per l’organizzazione di un sistema di produzione presentato come “rivoluzionario”. Non possiamo ad ogni modo apprezzare questa originalità, ancorpiù che lo sciopero sembra sia stato minoritario, senza far riferimento alle specifiche condizioni di lavoro alla Magna Châssis (la pure troveremo una direzione ostile ad ogni dialogo, anche con i sindacati).

Per esaminare queste conseguenze, è necessario delineare ciò che è stato l’installazione e la concezione di questa fabbrica in una regione di frontiera fra la Francia e la Germania. La scelta di questa localizzazione della azienda tedesca Mercedes(parte del gruppo mondiale Daimler-Chrysler) è perfettamente riassunto in una lettera indirizzata nel 1993 al presidente di Mercedes-Benz dal presidente della fabbrica tedesca Continental già installata a Sarreguemines.

Si è detto che si trova in quella regione di frontiera “una mentalità di lavoro tedesca, dei salari francesi (4), del personale qualificato, di eccellenti relazioni sociali, del personale bilingue, un posizionamento geografico centrale, delle risposte rapide dell’amministrazione, un posto appropriato, una costruzione rapida degli stabili”.

Non mancano al quadro idilliaco per una impresa capitalista che le sovvenzioni, che sotto differenti forme pioveranno sulla fabbrica Smart come in passato su altre fabbriche gipponesi, coreane ecc. e che si suppone possano risolvere il problema arduo della riconversione delle miniere e della siderurgia lorena (che si fa sotto l’autorità di un prefetto speciale segretario della confederazione sindacaleCFDT). Oltre agli altri vantaggi diretti di installazione a carico della collettività locale, la società semipubblica di finanziamento di questa riconversione ha preso e possiede ancora una partecipazione azionaria del 25 % del capitale di MCC (l’aiuto pubblico rappresentava all’inizio, 17% dell’investimento totale). Conoscendo l’interpenetrazione dei sindacati notoriamente CGT e CFDT in questi organismi, di concerto con le miniere di carbone nazionalizzate e le imprese siderurgiche, possiamo avere un’idea del genere di intrecci che stanno dietro ai fondi battesimali della smart.

Per il gruppo Daimler-Chrysler, la fabbrica era anche una fabbrica pilota sotto tutti questi aspetti. Il lancio del nuovo modello era alla fin fine secondario rispetto all’innovazione di un nuovo modo di finanziamento, di relazioni specifiche di produzione e delle relazioni di lavoro conseguenti.

Il finanziamento potrebbe sembrare secondario, rispetto ai problemi della lotta di classeche ci interessano ma indirettamente esso influisce sulle condizioni di lavoro: ritmi di lavoro e salari. E’ noto che le aziende terziste, per conservare il loro rapporto con il grupppo a cui fornivano componenti, dovevano proporre dei prezzi competitivi sfruttare sempre più una mano d’opera che difficilmente può difendersi, trattandosi spesso di piccole imprese.

Per la fabbrica Smart, l’impegno delle aziende terziste era stato spinto al massimo dell’impegno finanziario e questa pressione finanziaria può spegare perchè le condizioni di lavoro erano particolarmente drastiche e le direzioni particolarmente sorde a tutte le rivedicazioni. L’utilizzo di aziende terziste - o l’esternalizzazione per usare il nuovo gergo tecnocratico - era stata spinta al massimo fin dalla costituzione della società MCC: le assunzioni erano state affidate ad una azienda esterna (PA Consulting Group) che lavorava in comune con l’ANPE (associazione nazionale piccole imprese N.dT.) regionale, MCC interveniva solo per la firma del contratto individuale di ogni lavoratore; erano esternalizzato i trasporti; la gestione dei magazzini, le assunzioni, la finanza, il controllo di gestione, la rete di distribuzione, l’informatica (Andersen Consulting la cui remunerazione è proporzionale al numero di vetture prodotte) e, naturalmente la fabbricazione di componenti. Era su quest’ultimo punto che la fabbrica Smart innovava.

Uno dei problemi della moltiplicazione dell’utilizzo di azende terziste nella produzione o nella distribuzione con un ciclo continuorisiede nelle possibili difficoltà causate da intoppi alla circolazione stradale o ferroviaria (in parte causate dalla moltiplicazione di scioperi e azioni diverse non solo nei trasporti ma aventi come obiettivo la paralisi, anche temporanea delle vie di circolazione).

Da qui l’idea nuova, dopo la separazione geografica delle aziende terziste di sceglire le migliori offerenti sui prezzi, di imporre all’impresa terzista di essre localizzata in prossimità dell’imprese madre. Presso la MCC, si contano non meno di 14 aziende terziste per la fabbricazione di componenti, che costruiscono delle parti importanti della automobile e che arrivano fino all’intervento sulla catena di montaggio per fissare questi componenti (2). Ma queste 14 imprese terziste sono state costrette a stabilirsi negli stabilimenti, costruiti appositamente attorno alla catena principale e restanti di proprietà di MCC, in modo di avere una distanza minima per la consegna delle loro fabricazioni. Queste aziende terziste dovevano contribuire ad un livello di 35% al finanziamento del posto e in più, devono prendere in locazione gli stabilimenti dove sono costrette a installarsi, ma di cui MCC resta la propietaria. In altri termini, MCC riduce al minimo i suoi rischi ma in contropartita di una enorme pressione su quelli che partecipano così alla costruzione e al funzionamento della fabbrica modello, pressione che naturalmente si ripercuote sulla maglia finale della produzione, i lavoratori (5).

L’interesse per questo nuovo modello di fabbrica è che esso non è del tutto nuovo: i vincoli economici, parte dovuti alla lotta di classe, parte dovuti ad uno sviluppo caotico spingono a ricostituire la fabbrica integrata così come esisteva una volta e che la ricerca del profitto massimo nella esternalizzazione aveva fatto smembrare.

Ma, per i lavoratori, anche se si trovano raggruppati in modo così numeroso su un solo sito indutriale, la loro situazione resta estremamente differente. Perchè, intenzionalmente o indirettamente come conseguenza di altre preoccupazioni, questi lavoratori che concorrono alla stessa produzione sono mantenuti in una divisione che, per artificiale che possa sembrare non è meno reale sul piano delle relazioni di lavoro: le 14 aziende terziste sono imprese giuridicamente distinte sotto la MCC, essa stessa distinta dal gruppo Daimler-Chrysler, il vero propietario. Questa dispersione è così spinta che la stessa impresa canadese Magna controlla due aziende terziste, l’una fabbricante i telai, Magna Châssis, l’altra le porte, Magna Door, i lavoratori di queste “Magna” si presume si ignorino.

Per perfezionare questa divisione operaia, la fabbrica centrale MCC (conserva solo la progettazione e l’assmblaggio), che essenzialmente gestisce la catena di montaggio, raggruppa 480 operai in due squadre per giorno (sui 700 lavoratori di MCC) ripartiti in gruppi da 4 a 8 operatori di cui uno di loro, il “team coach”, anche se fa lo stesso lavoro, è meglio pagato con un premio speciale perchè ha la responsabilità della squadra; questi “teams” e il loro “coordinatore” formano un “group” suprvisionato da un “group coach” e diversi “groups” sono a loro volta supervisionati. Vi sono nella fabbrica anche dei tecnici tedeschi di Mercedes che, a lavoro uguale, guadagnano il 40% in più di quelli farncesi.

Non possiamo che ammirare l’utilizzo della semantica dove l’inglese è molto pratico a camuffare il taylorismo moderno con la stessa gerarchia industriale tradizionale. Gli apologeti della fabbrica insisteranno fortemente sulla “responsabilità degli operatori” e la “solidarietà” nel lavoro in “team” ma, quale che sia la modulazione del taylorismo e la ripartizione dei compiti nei differenti posti che deve occupare il gruppo di lavoro sotto l’autorità del “team coach”, è la direzione di MCC, che conserva gelosamente la fissazione dei ritmi di lavoro della catena. Inoltre, alcune postazioni sono particolarmente dure oltre per il ritmo di lavoro, perchè comportano il fissaggio di pezzi pesanti fino a 20 Kg.

Non sappiamo se presso ogni azienda terzista, la raffinatezza è altrettanto spinta nella organizzazione del lavoro, ma ciò che è certo, è che questo ritmo si impone nelle stesse condizioni, perchè ciascuno di loro deve assicurare un approvvigionamento regolare della catena di montaggio. Il paradosso dell’insieme di questa situazione, è che le necessità di queste nuove tecniche di produzione obbligano a creare una unificazione che si nega d’altro modo cercando di evitare, con astuzie giuridiche o organizzative, che esse ricostituiscano una unità proletaria, negandola in qualche maniera. Potremmo moltiplicare gli esempi di questa unificazione proletaria dietro queste costruzioni fittizie: l’unità di luogo, l’unità di ritmo di lavoro, l’unità negli orari (a causa del coclo continuo spinto al massimo, tutte le unità distinte devono avere gli stessi orari), etc.

Non sappiamo molto su come si è svolto uno sciopero di due ore il 15 settembre 1998, apparentemente organizzato dalla CGT per i salari e contro le condizioni di lavoro. La CFDT vi è ostile e un responsabile locale della CGT fa una dichiarazione piuttosto ambigua: “non vi è stata che una sopensione dal lavoro ma noi non abbiamo dichiarato lo sciopero” (3).

Ma l’obbligo di negare la divisione estrema, che si suppone possa rendere una redditività massima, traspare di già durante le discussioni sulle 35 ore. I primi tentativi di discussione ristretta alle singole unità giuridiche hanno rapidamente inciampato sulla necessità assoluta, vista l’organizzazione della produzione e il suo ritmo, di avere una piattaforma comune di discussione con tutte le “imprese distinte” e i sindacati adeguati affinchè tutto vada allo stesso passo. E’ effettivamente ciò che avviene sotto l’egida della direzione di MCC, la vera madre del complesso.

L’accordo sulle 35 ore fu firmato in maggio (dopo sembrerebbe, 8 mesi di negoziazioni) e diverrà effettivo il 28 giugno 1999. Tutti i sindacati sono, firmatari, tranna FO. L’accordo prevede fra l’altro l’annualizzazione del tempo di lavoro, il che fa scaturire una riduzione del 10% (cioè 48 minuti) dell’orario quotidiano, una flessibilità da 0 a 44 ore, 74 nuovi assunti e il blocco dei salari per un anno. Ma non conosciamo i dettagli che permettono certamente, come altrove, di mantenere i costi con degli aggiustamenti riguardanti il ritmo e il periodo di lavoro.

Una prima constatazione tocca la questione delle 35 ore. Il fatto che FO sia stata scartata dall’accordo di maggio 1999 non può far mettere da parte l’idea di conflitti di presenza e di influenza fra confederazioni (vedi nota 5). Ma il punto importante è che un prima interruzione del lavoro dopo questo sciopero mostra che gli accordi sulle 35 ore, qualsiasi sia l’effettiva modalità, vengano messi in discussione sia sulla questione dei salari sia sull’organizzazione del lavoro. Possiamo prevedere che si rimetterà in discussione tutta l’economia del sistema e vi sarà un irrigdimento padronale nel tentativo di accerescere la produttività del lavoro, già spinta al massimo.

Come abbiamo sottolineato, la stessa gestione di questo complesso obbliga, per ottenere lo scopo ricercato, di ricostruire l’unità di porduzione che si era voluto mantenere separata e quindi di ricostituire nello stesso tempo l’unità operaia che si era pensato di dividere all’estremo.

Una seconda constatazione concerne gli stessi metodi di produzione. Il complesso industriale SMART è una sorta di performance impossibile. Il perfezionamento della costruzione tecnica, giuridica e sociale che esso rappresenta mostra quanto sia difficile spingersi al di là di questo modello e nello stesso tempo ne rivela l’estrema vulnerabilità. In queste situazioni, la lotta di una frazione infima di lavoratori (appena il 4% dei lavoratori di SMART furono direttamente coinvolti in questa lotta) destabilizza rapidamente l’insieme. Involontariamente, nel ricercare il profitto, il capitalismo ristabilisce un rapporto di forza che aveva cercato di eliminare. La lezione non è certamente persa per i lavoratori di SMART come daltronde per gli altri lavoratori.

HS gennaio 2000

NOTE

1) La direzione di MCC rivelerà dopo lo sciopero che l’arresto della catena è stato utilizzato proficuamente per modificare certi elementi tecnici della automobile. Inoltre, per far fronte alla riduzione della produzione, delle ferie saranno obbligatoriamente presi come era stato reso possibile dalla svendita delle ferie accordata nel quadro di trattative per le 35 ore. Si può vedere come “il conteggio dei giorni di riposo” (corrisponde alla banca ore del contratti italiani, meccanismo per il quale le ore lavorate come straordinario non saranno pagate ma si trasformano in ore non lavorate N.d.T.) può essere utilizzato unilateralmente, secondo la volontà del padrone, per rispondere agli imperativi della produzione. Inoltre, la direzione di MCC annuncerà è stata persa solo una giornata e mezza di produzione e che questa sarà recuperata in tre settimane.

2) Nel 1995, per un salario europeo medio di 100, questa media era di 97 in Francia, e 159 in Germania e 156 in Svizzera. In più all’epoca, si vantava negli ambienti padronali per la Lorena una “organizzazione degli orari di lavoro eccessivamente flessibile”. Un’altra impresa tedesca, Sofirem, impiantata in Lorena, spiegherà che “l’imposta sulle società resta meno alta in Francia che in Germania, che il costo della mano d’opera ugualmente più basso e che la produttività è almeno lo stesso buona” e che “il costo della nostra produzione è inferiore dal 15 % al 25 % ai costi tedeschi”.

3) Fra le aziende terziste, si trava la Magna (Canada) (sportelli e telai), Eisenman (tedesca, verniciatura), VDO (tedesca, cruscotto), Krupp Hoesh (tedesca, treni posteriori), Bosh (tedesca, moduli anteriori), Dynamite Nobel (svedese, carrozzria), Ymos. Il complesso Smart utilizza la fornitura esterna da terzisti per l’80%, contro una media di 60% nell’automobile.

4) Questa situazione, così come è stata descritta, non è esclusiva della fabbrica Smart, ma è una tendenza dell’industria dell’automobile, messa alle strette dalle concorrenza dell’estremo oriente e dalla sovrapproduzione occidentale, a “associare” le aziende terziste con, fral’altro, l’obbligo di una specifica localizzazione. Volkswagen in una fabbrica che produce la Skoda a Mlada Boleslav, a nord di Praga, obbliga sei aziende terziste a raggrupparsi vicino la catena di montaggio costruita appositamente ad U per ridurre i costi e le perturbazioni in quella costruzione, battezzata “la fabbrica dalle corte distanze”. Un consorzio automobilistico, nella fabbrica di Resenda, in Braqsile, va anche oltre affidando ad aziende terziste interi settori della catena di montaggio, cosa che non avviene nel caso della Smart se no per una sola azienda.

5) E’ difficile conoscere quale sia stato l’intervento dei sindacati all’epoca della installazione della MCC a Hambach. Influenza la CFDT (vedere nel testo), il ruolo preponderante della CGT nelle miniere di carbone (di cui l’genzia di formazione fa dei corsi agli operai Smart) e nella siderurgia. Sembra che i minatori delle miniere di carbone lorene abbiano rifiutato di andare a lavorare in questa fabbrica malgrado una importante indennizzazione. D’altra parte. La sindacalizzazione nelle diverse unità giuridiche era molto debole e, e per dei mesi, non è esistito alcun rappresentante sindacale in queste unità. Possono essere avanzate molte spiegazioni. Di fatto, durante le trattative sulle 35 ore così come durante lo sciopero, le relazioni con le direzioni furono assicurate non da delegati di base ma da burocrati locali dell’uno e dell’altro sindacato. Come abbiamo sottolineato, non può essere escluso che un malcontento dovuto alle condizioni di lavoro sia stato utilizzato dall’una o dall’altra delle centrali per impiantare delle sezioni di base.  

 

Note alla traduzione: il termine francese sous-traitant o contratto di sous-traitance, è stato tradotto con il termine terzista o fornitore. Con questo termine si deve intendere non un normale rapporto di fornitura, come avverrebbe con un semplice acquisto sul mercato di un prodotto standard, ma di una fornitura che segue le specifiche tecniche del prodotto stabilite dal committente, per cui il fornitore fa quel prodotto solo per quel committente; a volte si instaurano rapporti per cui il fornitore deve seguire anche una direttiva del committente sulle caratteristiche tecniche del processo produttivo, oltre che del prodotto naturalmente.