Unità Proletaria - Montaldi

di Fiameni

Parlerò di quello che è stato a Cremona Unità Proletaria con Montaldi; farò quindi una relazione che sarà qualcosa di molto più povero rispetto allíinsieme dei problemi da lui sollevati, che risponderà solo in minima parte a essi, e sarà invece una cronaca di quel che si è fatto a Cremona a partire più o meno dal 1955 fino al 1962, quando esce líultimo numero di "Unità Proletaria".

La mia è una relazione molto fattuale, nella quale se dei problemi vi sono, vengono toccati per dir così implicitamente, per ristabilire la cronaca degli avvenimenti. In un qualche modo do per scontato che si sappia quel che è avvenuto prima del í54-í55.

Mi sento un poí una specie di sopravvissuto, perché credo di essere líunica persona ancora vivente, a parte Romano Alquati, essendo stato presente alla fondazione di questo gruppo e avendo militato con Montaldi fino alla sua morte.

La ricostruzione che faccio non è tutta mia, perché qualche anno dopo la fondazione del gruppo, attorno al í58, Montaldi, Alquati (che se níera già quasi andato a Torino) e io siamo stati presi dalla voglia di ricostruire questa vicenda, e líabbiamo fatto (poi dopo ci siamo anche stufati). Di questa ricostruzione restano tutta una serie di appunti manoscritti a tre mani di difficilissima lettura, soprattutto quelli di Alquati ñ che aveva il vizio di scrivere su tutti i pezzetti di carta, utilizzando carte chíerano già state scritte anche due volte, a ciò si aggiunga una calligrafia pessima.

Il periodo precedente, quello a cui Paci ha fatto riferimento, è forse ancor più interessante, in quanto è costitutivo non soltanto di una storia grande come quella che lui esamina, ma anche di una storia più minuta, tra líurbano, il cittadino e il politico ñ per quanto queste cose possano essere distinte, e non lo sono poi molto.

La vita di Montaldi è semplicissima, come quella di Capedo, tuttavia questo periodo che va di primi anni Cinquanta al í53-í54 è uno dei periodi fondamentali per la sua formazione, da tanti punti di vista.

Vedo Montaldi come un militante, e ciò per una ragione molto semplice: ho fatto un conto rapido, approssimato per difetto, abbiamo fatto insieme 560 riunioni. Questo stabilisce una cosa banale, semplicissima, fattuale, ma dotata di una certa importanza: da quando nel febbraio del 1957 abbiamo fondato questo gruppo, tutte le sante settimane ci siamo riuniti anche due volte, quando cíerano situazioni operaie in ballo, anche quando Montaldi lavorava a Milano e tornava a Cremona.

Abbiamo avuto, come tutti i gruppi canonici, quattro sedi successive; abbiamo avuto dei ciclostili, che hanno funzionato molto male perché Montaldi non voleva spendere per questo, abbiamo avuto delle quote, insomma tutto líarmamentario che di solito si accompagna allíesistenza di un gruppo che vuol essere una formazione strutturata, e ciò ha delle implicazioni anche politiche.

In questo gruppo abbiamo avuto per un certo periodo líambizione di non essere, secondo le parole di Montaldi, "líultimo gruppo della sinistra comunista", bensì qualcosa di nuovo. Qualcuno, bontà sua, lo riconosce, qualcuno no.

Devo dire anche che il gruppo ha avuto una notevole presenza femminile, più o meno pari alla metà degli aderenti. Questa presenza femminile non si è però mai tradotta in qualcosa di specifico allíinterno del gruppo, non potrei dire che la questione femminile sia diventata davvero qualcosa intorno a cui si sia mossa allíinterno o allíesterno la politica del gruppo.

La storia del gruppo, anche se non come Unità Proletaria, continua fino agli anni Settanta, riprendendosi, decadendo ñ a un certo momento eravamo solo in due, un certo momento di fervore, poi un altro in cui il gruppo si trova molto sostenuto dallíesterno. Il gruppo esterno: Danilo esordisce con la storia della cellula di strada è questa una tematica fondamentale, che Montaldi ha difeso contro Fortini, contro Guiducci. Cíè una sorta di ossessione politica, oltre che personale, su questa esternità.

Rapidamente, esaminiamo la questione dellíautografia degli scritti apparsi su "Unità Proletaria":

"Unità Proletaria" è un giornale di cui sono usciti dodici numeri (più il Kolakowsky, che abbiamo tradotto di notte, stampato immediatamente, diffuso come foglio volante e poi riaccluso in un secondo tempo); quattro "Quaderni di Unità Proletaria" (Il significato dei fatti di luglio, fatto ovviamente nel 1960; Tokyo 60, perché erano arrivati dei compagni giapponesi della Zeinshin e della Zengakuren; Capitalismo e socialismo di Paul Cardan, uno dei testi tra quelli che ci sono arrivati da quella chíera già stata una sorta di scissione di Socialisme ou Barbarie, anche se da un punto di vista personale i rapporti di Montaldi sono forse più con Lefort; e infine Le lotte degli elettromeccanici) e quello che sarebbe dovuto, il primo di una serie di "Documenti di Unità Proletaria" (I pericoli professionali del potere di Christian Rakovskij), gli articoli inviati agli altri gruppi ñ non tanto quelli destinati a Socialisme ou Barbarie, che sono pochi ñ quanto piuttosto quelli per Pouvoir Ouvrier, per gli inglesi, quelli mandati al Pouvoir Ouvrier belga, quelli mandati a Spartakus, quelli mandati in America eccetera.

Facendo passare tutta questa letteratura che abbiamo scritto, mandato in giro o riprodotto, io sarei benissimo in grado di dire chi ha steso questo o quellíarticolo, e talvolta anche di indicare chi ne ha steso delle parti, ma non lo faccio perché non era questo lo spirito con il quale si facevano queste cose. Questi sono a tutti gli effetti scritti di gruppo, nei quali certi pezzi sono stati stesi da Montaldi. Mi è capitato di leggere su di una rivista di qualche anno fa che un tal pezzo recava "indiscutibilmente lo stile di Montaldi", mentre si dà il caso che líavessi scritto io. Peraltro, questo è un errore solo fino a un certo punto, perché il modo in cui questi articoli venivano elaborati attesta che davvero si era arrivati a una sorta di scrittura di gruppo.

Per esempio, nellíopuscolo sulla classe operaia e i trasporti, edito dalla Libreria Feltrinelli, le mani non sono meno di quattro: in questo caso è molto facile capire ciò che è di Danilo e ciò che non lo è, ma io sono convinto che lui avrebbe decisamente rifiutato questa distinzione allíinterno di documenti che venivano elaborati in modo abbastanza collettivo. Di fatto cíera qualcuno che stendeva materialmente líarticolo, in ragione della sua prossimità con una situazione di fabbrica, o di cascina, o nelle ferrovie eccetera, ma líarticolo di solito veniva distribuito alla riunione e lì ciascuno apportava dei mutamenti, che alle volte potevano essere di notevole conto; alla fine, quando veniva approvato come articolo di gruppo, questo passava e veniva ciclostilato sul giornale.

Ciò detto, devo aggiungere che la presenza e líazione di Montaldi dentro il gruppo sono state fondamentali in più di una situazione, anche dal punto di vista dellíelaborazione.

Per passare alla storia del gruppo, così comíera stata ricostruita a tre mani, e questo sarà perciò il riassunto di quello chíera già un riassunto, noi líavevamo distinta in tre periodi:

- un periodo di preparazione;

- poi il cosiddetto periodo delle fabbriche;

- e poi il periodo in cui esce il primo numero di "Unità Proletaria", che è del febbraio 1959.

In un suo articolo Danilo fa risalire al 1955 la presa di coscienza, e non al 1956, in seguito alla rivoluzione ungherese, come si fa di solito. A cosa si riferisce questa presa di coscienza? A tante cose, ma per quanto riguarda Cremona, sicuramente anche al fatto che nel 1955, dopo tutta una serie di riunioni in cui sono presenti essenzialmente degli internazionalisti, Montaldi e dei giovani come Alquati e io (che non avevamo dietro le spalle una militanza in nessun gruppo, salvo che in un gruppo teatrale), si decide di costituire questo gruppo, a seguito di tutta una serie di discussioni che fanno parte dei preliminari di questa storia che sarebbero assai interessanti da esaminare. Tale gruppo nasce in un modo abbastanza strano: da una parte cíè da vincere la resistenza dei compagni internazionalisti. Costoro a Cremona non erano gente qualsiasi: cíera Giovanni Bottaioli, che è stato a lungo il direttore di "Battaglia Comunista", cíera XXXX che aveva lavorato con Seniga; insieme al fratello aveva lavorato nellíufficio illegale del Partito Comunista díItalia fino a quando entrambi erano emigrati in Francia, cíera Rosolino Ferragni, che aveva fatto i suoi ventitré anni di galera eccetera. A Cremona cíera non solo una presenza di militanti di base ma anche di quadri qualificati. Convincere questi compagni a lavorare in qualcosa che non era il Partito Comunista Internazionalista non è stato facile, e Montaldi non aveva nessunissima voglia di fare qualcosa di diverso, noi non avremmo aderito (con "noi" intendo Alquati, il sottoscritto, Gherardo???? e altra gente che aveva aderito almeno in linea di principio a questo gruppo, elaborando anche una piattaforma iniziale). Insomma non è stato facile, e non tutti hanno aderito, come Armando Parlato, accusandoci poi di marxismo scientista, tecnocratico e qualcosíaltro (credo in riferimento allíuso marxista della sociologia, e perché leggevamo la rivista dellíOlivetti e il libro di Dora Mitrani????? ed eravamo molto interessati al problema che anche la Ria Stone XXXXXX). Qualcuno non ci sta, altri ci stanno, ma non da subito; in un certo senso la proposta che fa Montaldi, che è quella di confrontare e di mettere tra parentesi le diversità ideologiche che in quel momento ci separavano ñ questa messa tra parentesi era per lui anche un modo per smettere di parlare come allora si faceva normalmente nei gruppi della sinistra comunista, in cui si squadernava la rispettiva piattaforma, che comportava delle compatibilità irrinunciabili (e con i bordighisti si faceva alla svelta ad arrivare lì, con gli altri si andava un poí più in là). Per farla breve, ci sono state un sacco di riunioni, anche qui a Milano (la prima scarpa picchiata sul tavolo non è stata quella di Krusciov bensì quella di Bottaioli, che una volta si è cavato una scarpa ñ era presente anche Ria Stone ñ e la voleva picchiare intesta ai suoi compagni di partito, perché non volevano i bordighisti). Non era possibile lavorare se non di nuovo mettendo tra parentesi le varie appartenenze. Si decise allora che ci sarebbe stato un lavoro nelle fabbriche e nelle situazioni, con i contadini eccetera eccetera, a Cremona ma non soltanto. Cíerano dodici operai che avevano aderito (e sarebbe interessante spiegare il perché della loro presenza). Cíerano anche dei capilega, Marchi e delle altre persone, che erano degli internazionalisti ed erano tornati in campagna ed erano di nuovo andati a lavorare nelle cascine (dopo il primo esodo verso Milano del í53, cíè stato una specie di ritorno, qualcuno era tornato: sono storie che in parte sono state ricostruite nellíintroduzione a Milano Corea). Immediatamente si è posto il problema del dentro o fuori. Dentro o fuori che cosa? Fuori questione era uníinternità al partito. Ma rispetto al sindacato la questione era tutta diversa. Quindi decidemmo di darci una sorta di denominazione strana: Corrente di Unità Proletaria. In effetti, dallíinizio fino ad arrivare allíincirca fino al febbraio del 1959, fino allíuscita del primo numero del giornale, tutti i volantini (una ventina circa, e ognuno corrispondeva rigorosamente a una certa situazione di lavoro di fabbrica) sono firmati in Corrente di Unità Proletaria. In realtà non eravamo proprio corrente di niente, cíera stata soltanto líipotesi di poter entrare a lavorare nel sindacato sulla base di una linea di condotta di classe, sotto precisa richiesta degli operai che facevano parte del gruppo, andando a verificare se sulla base di questa sorta di piattaforma che proponevamo agli operai si poteva farlo. Questa è stata una costante della situazione di esternità che il gruppo aveva rispetto alle organizzazioni del movimento operaio, e questa prova continua alla quale siamo stati sottoposti ha anchíessa dei significati politici e racchiude dei fenomeni socio-politici rari (nel senso dei gas rari), sottili e molto significativi. Gli esami per noi non finivano mai: è stato un continuo riproporsi di questa richiesta da parte degli operai che facevano parte del gruppo di dimostrare che noi non eravamo anticomunisti, non eravamo antisindacali. In capo a un anno, líesternità del gruppo divenne un fatto accettato ("LíUnità" il 12 settembre 1958 fa comparire una formale diffida nei nostri confronti).

Una storia diversa è quello che successe nel sindacato. Avevamo, tra gli operai che frequentavano in quel momento il gruppo (vi erano stati portati da Montaldi e dagli internazionalisti), due o tre responsabili sindacali e parecchi membri di Commissioni Interne. Anche in questo caso abbiamo dovuto passare gli esami: alcuni di questi operai avevano chiesto e, con una certa sorpresa, ottenuto dalla segreteria cremonese della cgil che si arrivasse a degli incontro con noi, con il gruppo esterno, per trattare un nostro eventuale ingresso nel sindacato. Montaldi rispose che noi saremmo entrati nel sindacato solo se eletti, revocabili eccetera eccetera. Cíè stata quindi nuovamente questa sorta di verifica fatta nei nostri confronti, che acquista significato nella sua modulazione. I movimenti interni, I micromovimenti apparenti in questa continua trattativa degli operai nei nostri confronti, nei confronti del sindacato, tutto un giro che sarebbe non solo interessante per un sociologo ma addirittura fondamentale, perché gli fornirebbero una mappatura di reciprocità interne tuttíaffatto secondarie ñ Danilo ne ha parlato qua e là ñ e che possono dirla lunga sui comportamenti di classe. Discutere nel gruppo di una serie di problemi con gli operai presenti nel gruppo, che dànno contro, e che però poi riutilizzano i tuoi stessi argomenti in sezione, nel sindacato, che poi te lo ripropongono, in un giravolta, questo non sarà sufficiente a spiccare una teoria, ma per chi ci sa leggere dentro come Montaldi sapeva fare, diventano abbastanza importanti, e non banalmente per strutturare una teoria della quotidianità della classe.

In linea generale, líobiettivo di questo periodo è stato quello di radicarsi nelle fabbriche (líespressione è anacronistica, io la uso qui tanto per intendersi, essendo nel frattempo diventata corrente: per contro, allora nessuno di noi parlò di radicarsi nelle fabbriche). Di vero e proprio radicamento non possiamo parlare se non in tre casi dove riuscimmo davvero a lungo ad avere dei compagni che facevano parte del gruppo e che lavoravano dentro le fabbriche: alla Sperlari (dove vennero licenziati purtroppo tutti e due a causa della loro appartenenza al gruppo), alla ceramica Goi e allíUfficio Tecnico comunale di Cremona, che è stata in qualche modo líesperienza paradigmatica del nostro intervento. LíAmministrazione di Cremona era di sinistra, e perciò cíè stata la situazione con il compagno padrone (sul n. 5 del giornale è raccontata estesamente).

Il n. 5 di "Unità Proletaria" è stata una cosa molto importante per Montaldi e per tutti noi: la minuzia con cui viene descritta la vicenda dellíUfficio Tecnico comunale ha a che vedere con una storia di scrittura operaia, perché noi avevamo lì alcuni compagni con i quali si era lavorato per due anni contro líAmministrazione social-comunista, con volantini, occupazioni eccetera. Alla fine succede il patatrac: questi due si fanno incantare e, allíinsaputa del gruppo, fanno una lista autonoma e ci sbattono dentro uno chíera stato anche fascista, poi si pentono, tornano indietro. Noi ci proponiamo di scrivere questa storia complicata, e un operaio salta su a dire: "Ma io lího già scritta tutta". Arriva lì con alcuni quaderni di quelli neri, vecchi di una volta, e ponderosi, nei quali egli aveva scritto non soltanto la storia degli avvenimenti ai quali aveva partecipato con il gruppo, ma aveva scritto da quando era andato a lavorare, tutta la storia con quella minuzia che voi ritrovate in quel numero del giornale. Noi non líabbiamo specificato, perché sarebbe stato fare dellíoreficeria, ma in realtà vi abbiamo aggiunto ben poco; fondamentalmente líabbiamo discusso con lui. E questa non è stata líuniva volta, è stata soltanto la prima volta, in cui si era scoperto che gli operai scrivevano. Danilo aveva incominciato con la ricerca della poesia, della letteratura operaia, è una cosa che viene da lontano. In questa scrittura operaia cíè una sorta di preoccupazione che non vada perso davvero niente di ogni piccola ruga, di ogni piccola sollecitazione interna di ciò che sta succedendo. Quello pubblicato sul n. 5 del giornale è stato un riassunto fatto con il permesso e con líassistenza continua di questa persona, le aggiunte sono state discusse, alla fine è venuta fuori una cosa ibrida. Credo che si potrebbero trovare ancora cose di questo genere, ma credo che chi volesse fare delle valutazioni meno allíingrosso di quelle che sto facendo io adesso, potrebbe trovare un modo di porsi verso ciò che accade e di descriverlo che non dico sia caratteristico della classe operaia, per líamor di dio, ma nel quale si può trovare un certo ripetersi di moduli.

Salto subito al febbraio í59. Il periodo delle fabbriche si conclude. Il passaggio dai volantini al primo numero di "Unità Proletaria" segna una faglia, un punto di evoluzione. Cambia tutta questa esperienza che vede almeno tre attori ñ il Gruppo, il sindacato e una parte degli aderenti al gruppo ñ che gioca su questi tre elementi finisce. I contatti con il sindacato sono andati male, e chi è stato dentro ha constatato che non si può militare non solo nel partito, non parliamone, ma neanche nel sindacato, se si vuole agire su di una piattaforma di classe. Questa storia è chiusa e si può passare a una seconda fase della vita del gruppo, cominciata in realtà nel dicembre del í58 e appalesatasi con líuscita del primo numero del giornale, come detto, nel febbraio successivo.

[Accenno alla riunione del 20-21-22 marzo 1961, con Pouvoir Ouvrier.]

Líha detto anche Fortini, Unità Proletaria è stato una sorta di crocevia; in questo gruppo siamo andati e siamo venuti, ma nulla di tutto questo sarebbe successo senza Montaldi; la sua grande capacità è stata quella di riuscire a tenere in mano tutte queste cose, nel senso di farle diventare significative per chi le riceveva e non soltanto per noi.

Fingiamo in questo modo di essere arrivati al í62, ovvero al momento in cui il gruppo finisce.