Autonomia

 

Una precisazione iniziale

Il cosiddetto “Movimento Autonomo” nasce durante gli anni 70, anche se alcune elaborazioni di questo movimento si possono rintracciare nel dibattito internazionale che scosse gli anni 20 tra i comunisti ufficiali, le sinistre comuniste e gli anarchici.. Negli anni 50 e nei primi anni 60 in Italia, Francia, USA, attorno alle riviste “operaiste” o “antiautocratiche”, Socialisme ou Barbarie per la Francia, Corerespondance per gli USA, Quaderni Rossi per l’Italia. In Italia spesso le componenti neoleniniste hanno posto l’attenzione unicamente al filone teorico del “Movimento Autonomo” che prende il via dall’esperienza politica della sinistra del PSI (Partito Socialista Italiano), radunata attorno a Quaderni Rossi, una delle prime riviste “operaiste” italiane. Tuttavia la contaminazione del “Movimento autonomo” fu molto più vasta e non può essere ridotta a questa corrente, in Italia esistevano altre esperienze come il gruppo Unità Proletaria, .formazione legata dalla sinistra ufficiale e più vicina alla sinistra comunista.

Il “Movimento Autonomo” negli anni 70 aveva al suo interno diverse componenti, una leninista, che nasceva del discioglimento delle organizzazioni della nuova sinistra in Italia (Potere operaio, Lotta Continua, PC-ml, ecc...) e un altra di derivazione libertaria-consiliare. Accanto a queste due macroaree vi era l’area “armata” che si riconosceva in svariate organizzazioni (Prima linea, Nuclei Armati Proletari, e alcune colonne delle Brigate Rosse). Tale movimento era un insieme quindi di tendenze collettivi, gruppi, radio libere, riviste, che “convivevano” all’interno di un cosiddetto più generale “movimento” composto da collettivi, coordinamenti sul territorio e in fabbrica, lotte specifiche... Tuttavia solo in determinati momenti si avrà un rapporto dialettico tra le lotte autonome e gli organismi autonomi. In molti casi nel sopraggiungere e nello svolgersi delle lotte si sviluppavano collettivi autonomi all’interno delle fabbriche o nel territorio, ma finita questa spinta propulsiva divenivano lo spazio “organizzato” dei gruppi operai radicali, che non riuscivano andare al di la degli operai politicizzati. Con questo non si vuole sottacere le feconde intuizioni di questa eseperienza ma collocarla nella sua giusta dimensione, molto spesso si è creduto ad una sovrimpressione tra lotte autonome e gruppi autonomi, ma è credere che i consigli operai nel passato li avessero sviluppati i consiliari e i sovietisti.

Da un punto di vista teorico seguire le contorsioni delle diverse componenti, alcune addirittura rifluite all’interno dei partiti istituzionali comporterebbe un articolo a parte. Ci limiteremo ad illustrare il panorama del movimento autonomo in Italia e la presenza di alcune lotte autonome che si sviluppano in questo momento sul territorio Italiano.

 

Il panorama del Movimento Autonomo

Attualmente in Italia il Movimento è dilaniato da profonde divisioni. Cercheremo di illustrare le principali aree del “Movimento” in Italia:

Vi è un area definita post-autonoma che raccoglie buona parte dell’esperienza dei Centri Sociali Autogestiti, che politicamente è o all’interno di Rif Comunista (il nuovo ufficiale Partito Comunista) oppure è simpatizzante di questo o del Partito dei Verdi. Questa componente ha sviluppato e estremizzato il concetto di superamento del concetto di classe. Questa area parla ormai esplicitamente di “cittadini” al posto di “proletari”, sviluppando e incrementando la piccola impresa economica, spesso nata all’interno dei CSA. Non sono quindi interessati ad un cambiamento della società, corrispondente alla fine del capitalismo, ma ad una sua progressiva democratizzazione. Tale componente è quella che ha il maggiore seguito mediatico, dovuto anche hai rapporti privilegiati con i partiti istituzionali. L’attività di questa componente oltre alla difesa politica-legale delle strutture della piccola impresa nate all’interno dei CSA, è attiva sul fronte ambientalista, antifascista ed è intervenuta nelle lotte degli immigrati in Italia, tuttavia non cogliendo la reale dimensione di questi proletari, ponendo il problema di classe come un problema democratico. La parola d’ordine di questo settore è il cosiddetto -salario sociale- che è una riproposizione di una politica neokenesiana, chiedendo un maggiore controllo dello stato nell’erogazione di reddito per i proletari.

Accanto a questa componente vi è la cosiddetta galassia dei Cobas (organismi sindacali di base) che pur esprimendo una vivace critica ai sindacati ufficiali rimane figlia di schemi sindacali classici e incapace di vedere i limiti intrinsechi della pratica sindacale in questa precisa fase di accumulazione del sistema di produzione capitalista. All’interno di tale galassia convivono le più disparate correnti politiche dai maoisti agli anarcosindacalisti. Il loro livello di proposta politica rimane teso alla difesa dello stato sociale.

Vi sono inoltre tutta una serie di gruppi organizzati sul territorio in collettivi politici, che si occupano dal problema degli immigrati a quello dei precari, all’appoggio delle lotte di liberazione nazionale (baschi, Irlanda, guerriglia in sud America e Asia), all’appoggio dei prigionieri politici delle organizzazioni comuniste combattenti in Italia, collettivi studenteschi, collettivi operai, centri popolari autogestiti, case occupate da punk-anarchici, ecc... Questa galassia produce numerose fanzine, riviste, bollettini. Anche in questo caso è impossibile decifrare la base politica di questi gruppi vista l’estrema diversificazione e settorialità.

Vi sono infine anche componenti più strutturate come organizzazioni anarchiche, riviste libertarie, o partiti di ispirazione maoista, trotzkista, che pur avendo una propria linea convivono all’interno del “movimento”.

Attualmente la componente legate ai filoni consilari-autonomi e alla sinistra comunista (se si esclude la miriade di partitini bordighisti) non raccoglie molti collettivi e gruppi in Italia. Vi è sicuramente un deficit di progettualità e di dimensione collettiva figlia anche di un clima di pace sociale che solo in questi ultimi anni inizia a sgretolarsi con la fine delle ipotesi neokenesiane. Tuttavia permangono numerosi difetti intrinsechi al “Movimento”. Il maggior difetto è la scissione che molti gruppi fanno tra un immediatismo spinto(l’azione), che nasconde molto spesso un incapacità analitica nell’affrontare i problemi storicizzandoli rispetto al movimento proletario, e dall’altra parte la ricerca stoirco-analitica fine a se stessa, che pur svelando i nodi storico-teorici del movimento proletario nel suo complesso non riesce ad avere un rapporto dialettico con il presente. Tale problema non è figlio dell’oggi, ma è stata purtroppo una delle costanti del movimento autonomo anche nel passato. Il movimento autonomo riuscì in gran parte a capire i cambiamenti in atto, sviluppo di una forza lavoro non qualificata, rottura con il piano istituzionale immediato, ma mancava di un attenta analisi rispetto allo svolgersi del movimento proletario e di una prospettiva rivoluzionaria comunista complessiva, è per questo che gran parte delle sue componenti rimasero abbagliate dai sottoprodotti del neoleninismo o dallo spontaneismo maoista. Il problema dello stalinismo e del leninismo, con annesso il ruolo del partito e del sindacato e del rapporto tra ciclo economico e lotta di classe, era lasciato nel dimenticatoio. Queste problematiche venivano scartate non cogliendo l’importanza di queste questioni, per poi prendere per buone molte delle leggende dello stalinismo (antifascismo democratico) o del leninismo (lotte di liberazione nazionale, ruolo positivo del sindacato), utilizzando queste come scorciatoia visto che si aveva nessun intenzione di confrontarsi con le problematiche generali. Solo pochi gruppi riuscirono a fondere le moderne scuole della composizione di classe alle elaborazioni storiche analitiche del movimento proletario. Tuttavia a causa del restringersi veloce delle lotte autonome queste esperienze non riuscirono a surclassare le altre componenti che rimasero egemoni all’interno del Movimento Autonomo.

 

Le lotte autonome

Se è vero che vi è un ritardo politico in Italia, all’interno dei collettivi politici del Movimento Autonomo, questo non toglie che la classe attualmente sta portando avanti alcune lotte e battaglie sociali completamente autonome e slegate dai sindacati e partiti ufficiali, fino all’utilizzo di forme di lotta extralegali. Vi sono numerose manifestazioni di difesa e ampliamento del salario indiretto (trasporti, casa), che provoca in determinate fasce di proletari, in special modo fra i lavoratori extracomunitari, occupazioni di case, riduzioni drastiche del prezzo degli autobus. Sul piano aziendale, si sono avute alcune lotte completamente slegate dal piano sindacale (sia ufficiale sia da quello di base), tuttavia sul terreno della produzione vi è ancora una capacità del capitale di difendersi in modo adeguato, riversando maggiore importanza a questo settore, visto il suo ruolo centrale per la creazione di plusvalore. Rimane comunque come dato empirico il persistere di una lotta sotteranea della classe lavoratrice nell’utilizzo dell’assenteismo e del sabotaggio (nello stabilimento di Torino alcuni mesi fa la direzione a chiamato la polizia politica speciale per scoprire gli autori tra gli operai dei numerosi sabotaggi che avvenivano).

Altre manifestazioni sono le lotte del proletariato carcerato (spesso proletari extracomunitari o giovani proletari italiani) che si batte all’interno delle galere per chiedere migliori condizioni di vita, tali lotte sono parzialmente difese dalla sinistra, che tuttavia non può risolvere il problema carcerario con alcune riforme. Spesso queste manifestazioni di conflitto non vengono percepite dal Movimento, troppo impegnato nella difesa dei suoi spazi di agibilità politica, come un qualsiasi partito... Intanto sta mutando la composizione della classe, nelle fabbriche si aumentano i ritmi e vi è un progressivo svecchiamento della classe operaia, più giovani e immigrati.

Questi giovani operai precari, vengono snobbati dai sindacati ma subiscono meno l’inquadramento aziendale (in un anno un giovane operaio può lavorare in 4-5 fabbriche diverse) e l’etica del lavoro (le mansioni di questi giovani operai sono sempre le più basse e meno remunerate).

L’articolazione produttiva rende ancora più estesa la catena industriale, ma viene relegata ai margini della città o spostata completamente nelle provincia.

Queste lotte autonome sono spesso represse brutalmente dalla polizia, vedi in proposito il trattamento a cui sono sottoposti i lavoratori immigrati (denuncie, espulsioni, galera).

Se vi sarà una rinnovata capacità del movimento autonomo di saper cogliere le novità del periodo e della potenzialità delle lotte autonome attuali, vi potrà essere una nuova stagione per il movimento autonomo e una capacità di salvaguardarsi dall’involuzione riformista e minimalista in cui versa attualmente. Questa scommessa sarà vinta dal movimento autonomo in Italia?

2000

Precari Nati