IL “RINNEGATO” KAUTSKY E IL SUO DISCEPOLO LENIN

 Jean Barrot

 “Le tre fonti del marxismo l’opera storica di Marx” presenta un interesse storico modesto, Kautsky è stato indiscutibilmente l’ideologo della II Internazionale e l’uomo più potente all’interno del suo partito: il partito socialdemocratico tedesco. Guardiano dell’ “ortodossia” , Kautsky veniva considerato, quasi universalmente, come il maggiore conoscitore dell’opera di Marx ed Engels e come il loro interprete principale. Le posizioni di Kautsky sono dunque testimonianza di tutta un’epoca del movimento operaio e meritano di essere conosciute, non fosse altro che per questo motivo. Questa conferenza si incentra proprio su una questione centrale per il movimento proletario: il rapporto tra la classe operaia e teoria rivoluzionaria. La risposta che Kaursky dà a tale questione costituisce il fondamento teorico della pratica e dell’organizzazione di tutti i partiti che costituivano la II Internazionale e quindi del partito socialdemocratico russo, e della sua frazione bolscevica, membro “ortodosso” della II Internazionale fino al 1914, cioè fino al crollo di quest’ultima di fronte alla prima guerra mondiale.

Tuttavia, le tesi sviluppate da Kautsky in questo opuscolo non sono crollate contemporaneamente alla II Internazionale. Al contrario esse sono sopravvissute ed hanno costituito il fondamento della III Internazionale attraverso l’intermediazione del “ leninismo” e delle sue sventurate espressioni staliniane e trotzkyste.

Il leninismo sottoprodotto russo del kautskismo? Ecco ciò che farà sussultare coloro che non conoscono di Kautsky che gli anatemi lanciati contro di lui dal bolscevismo ed in particolare l’opuscolo di Lenin “Il fallimento della II Internazionale ed il rinnegato Kautsky” e che non conoscono di Lenin se non ciò che è bene conoscere nelle differenti chiese, cappelle e sagrestie che frequentano.

Tuttavia il titolo stesso dell’opuscolo di Lenin definisce con estrema esattezza il suo rapporto con Kautsky. Se Lenin tratta Kautsky da rinnegato, è proprio perché ritiene che in precedenza egli fosse un adepto della vera fede, di cui si considera ora il solo valido difensore. Lungi dal criticare il “kautskismo”, che egli si mostra incapace di identificare, Lenin in realtà si accontenta di rimproverare al suo antico maestro di tradire la sua stessa dottrina. Da tutti i punti di vista, la rottura di Lenin fu tardiva e allo stesso tempo superficiale. Tardiva, perché Lenin si era fatto delle grosse illusioni sulla socialdemocrazia tedesca e non aveva capito, se non in un secondo tempo, che il tradimento era stato consumato. Superficiale, perché Lenin si limita a rompere sui problemi dell’imperialismo e della guerra, senza risalire alle cause profonde del tradimento dei socialdemocratici nell’agosto 1914, legate alla natura stessa di questi partiti ed ai loro rapporti sia con la società capitalista che con il proletariato. Questi rapporti devono essere ricondotti al movimento stesso del capitale e della classe operaia e considerati come fase di sviluppo del proletariato e non come qualcosa suscettibile di modificazioni per la volontà di una minoranza, tanto meno da una dirigenza rivoluzionaria, per quanto consapevole.

Da ciò deriva l’importanza attuale delle tesi che Kautsky sviluppa in questo opuscolo in modo particolarmente coerente e che costituiscono il tessuto stesso del suo pensiero nel corso della sua vita e che Lenin riprende e sviluppa sin dal 1900 ne Gli obiettivi immediati del nostro movimento e poi in Che fare? nel 1902 dove tra l’altro cita diffusamente Kautsky, lodandolo continuamente. Nel 1913, Lenin riprenderà nuovamente queste concezioni ne Le tre fonti e le tre parti costitutive del marxismo in cui sviluppa gli stessi temi ripetendo a volte parola per parola il testo di Kautsky.

Queste tesi, fondate su una analisi storica superficiale e sommaria dei rapporti tenuti da Marx ed Engels sia con il movimento degli intellettuali della loro epoca sia con il movimento operaio, possono essere riassunte in poche parole, ed alcune citazioni basteranno a chiarirne la sostanza:

“Un movimento operaio spontaneo e sprovvisto di ogni teoria che dalle classi lavoratrici si indirizzi contro un capitalismo in fase di crescita, è incapace di compiere...l’azione rivoluzionaria”  

E’ anche necessario realizzare ciò che Kautsky chiama l’ Unione del movimento operaio e del socialismo.

Ora” La coscienza socialista di oggi (!?) non può sorgere che sulla base d’una profonda conoscenza scientifica… Ora, il portatore della scienza non è il proletariato, ma gli intellettuali borghesi,… così dunque la coscienza socialista è un elemento importato dal di fuori all’interno della lotta di classe del proletariato e non qualcosa che sorge spontaneamente da essa”. Queste parole di Kautsky sono, secondo Lenin, “profondamente giuste”.

Va da sé che questa unione tanto auspicata del movimento operaio e del socialismo non poteva realizzarsi allo stesso modo nelle condizioni tedesche ed in quelle russe. Ma è importante vedere che le divergenze profonde del bolscevismo sul terreno  organizzativo non risultano dalle condizioni differenti, ma unicamente dall’applicazione degli stessi principi in situazioni politiche, economiche e sociali differenti.

In effetti, lungi dal conseguire una unione sempre più grande del movimento operaio e del socialismo, la socialdemocrazia non realizzerà altro che l’unione con il capitale e con la borghesia. Quanto al bolscevismo, dopo essere stato nella rivoluzione russa come un pesce nell’acqua (i rivoluzionari sono nella rivoluzione come l’acqua nell’acqua) e per effetto dello scacco di questa, realizzerà una fusione quasi completa col capitale statale gestito da una burocrazia totalitaria.

Tuttavia il “leninismo” continua ad ossessionare la coscienza di molti rivoluzionari di più o meno buona volontà, alla ricerca di una ricetta suscettibile di riuscita.. Persuasi di essere “l’avanguardia” perché sono la “coscienza”, mentre non possiedono che una falsa teoria, essi militano per unificare questi due mostri metafisici che sono:” Un movimento operaio spontaneo, privo di ogni teoria”e una coscienza socialista disincarnata.

Questo atteggiamento è semplicemente volontaristico. Ora, così come ha detto Lenin:”L’ironia e la pazienza sono le principali qualità del rivoluzionario”,”l’impazienza è la principale fonte dell’opportunismo”(Trotsky), l’intellettuale, il teorico rivoluzionario non deve preoccuparsi di essere legato alle masse perché se la sua teoria è rivoluzionaria, è già legato alle masse. Egli non ha da “scegliere il campo del proletariato” (non è Sartre ad utilizzare questo vocabolario, ma Lenin) perché, dicendolo più chiaramente, non ha altra scelta. La critica teorica e pratica ,di cui è il portatore, è determinata dal rapporto che intrattiene con la società. Egli non può liberarsi da questa passione che sottomettendovisi (Marx). Se “ha delle scelte”, vuol dire che non è già più rivoluzionario e che la sua critica teorica è invecchiata. Il problema della penetrazione delle idee rivoluzionarie che egli propaganda negli ambienti operai è, per questo motivo, completamente trasformato: allorché le condizioni storiche, i rapporti di forza tra le classi in lotta, principalmente determinati dal movimento autonomo del capitale, impediscono ogni irruzione rivoluzionaria del proletariato sulla scena della storia, l’intellettuale fa come l’operaio: ciò che può. Studia, scrive, fa conoscere i suoi lavori il più possibile, generalmente assai male. Quando studiava al British Museum, Marx, prodotto del movimento storico del proletariato, era legato, se non ai lavoratori, per lo meno al movimento storico del proletariato. Egli non era più isolato dai lavoratori di quanto un lavoratore qualsiasi non lo fosse dagli altri, nella misura in cui le condizioni del momento limitavano i suoi rapporti a quelli permessi dal capitalismo.

Di contro, quando il proletariato si costituisce in classe e dichiara, in un modo o nell’altro, guerra

(e non ha bisogno che gli si trasmetta il SAPERE per farlo, non essendo esso stesso, nei rapporti di produzione capitalistici, altro che capitale variabile. Basta che voglia cambiare di poco la sua condizione per essere di colpo nel cuore del problema che l’intellettuale avrà qualche difficoltà a cogliere) il rivoluzionario non è ne più ne meno legato al proletariato di quanto non lo fosse di già. Ma la critica teorica si fonde allora con la critica pratica, non perché è stata portata dall’esterno, ma perché sono un tutt’uno.

Se nel periodo precedente, l’intellettuale ha avuto la debolezza di credere che il proletariato restava passivo perché gli mancava la “coscienza” e per questo era giusto considerarsi “avanguardia” al punto da voler dirigere il proletariato, allora egli si riserva delle amare delusioni.

Tuttavia è questa la concezione che costituisce la parte essenziale del leninismo e che mostra l’ ambiguità storica del bolscevismo. Questa concezione è potuta sopravvivere soltanto perché la rivoluzione russa è fallita, vale a dire perché i rapporti di forza, su scala internazionale, tra capitale e proletariato non hanno permesso a quest’ultimo di farne una critica teorica e pratica. E’ ciò che tenteremo di dimostrare analizzando sommariamente quanto è avvenuto in Russia ed  il vero ruolo del bolscevismo.

Credendo di vedere nei circoli rivoluzionari russi il frutto dell’”unione del movimento operaio e del socialismo”, Lenin si ingannava fortemente. I rivoluzionari organizzati nei gruppi socialdemocratici non apportavano alcuna “coscienza” al proletariato. Beninteso, un opuscolo o un articolo teorico sul marxismo era molto utile agli operai; non serviva certo a trasmettere la coscienza, la conoscenza della lotta di classe, ma solamente a precisare le cose e a far riflettere maggiormente. Lenin non comprendeva questa realtà. Non solamente egli voleva trasmettere alla classe operaia la conoscenza della necessità del socialismo in termini generali, ma voleva nello stesso tempo offrirle delle parole d’ordine imperative che esprimessero ciò che essa avrebbe dovuto fare al momento opportuno. D’altronde ciò è normale, poiché il partito di Lenin, depositario della coscienza di classe, è, per prima cosa, il solo capace di discernere gli interessi generali della classe operaia al di là di tutte le sue divisioni in strati diversi, e, secondariamente, il solo capace di analizzare in permanenza la situazione e di formulare parole d’ordine adeguate. Ora, la rivoluzione del 1905 doveva mostrare l’incapacità pratica del partito bolscevico di dirigere la classe operaia e rivelare il ritardo del partito d’avanguardia. Tutti gli storici, anche quelli favorevoli ai bolscevichi, riconoscono che nel 1905 il partito bolscevico non aveva capito assolutamente niente del fenomeno dei soviet. L’apparizione di nuove forme di organizzazione aveva suscitato la diffidenza dei bolscevichi. Lenin afferma che i Soviet non erano:”né un parlamento operaio né un organo di autogoverno proletario”. La cosa importante da notare è che gli operai russi non sapevano di accingersi a costituire dei soviet, tra di loro, solo una esigua minoranza conosceva l’esperienza della Comune di Parigi e tuttavia crearono un embrione di Stato Operaio, benché nessuno li avesse educati. La tesi kautskista-leninista infatti nega ogni possibilità per la classe operaia di creare qualcosa di originale se non è guidata dal partito-fusione-del-movimento-operaio-e-del-socialismo. Ora si nota che nel 1905. per riprendere la frase delle “Tesi su Feuerbach”, “l’educatore ha bisogno lui stesso di essere educato”.

Lenin tuttavia ha compiuto un lavoro rivoluzionario (si veda, tra l’altro, la sua posizione sulla guerra) al contrario di Kautsky. Ma in realtà, Lenin non fu rivoluzionario che contro la sua teoria della coscienza di classe. Prendiamo il caso della sua azione tra il febbraio e l’ottobre del 1917. Lenin aveva lavorato più di quindici anni, a partire dal 1900, per creare una organizzazione d’avanguardia capace di realizzare l’unione del “socialismo” e del “movimento operaio”, che raggruppasse “dirigenti politici”, i “rappresentanti d’avanguardia capaci di organizzare il movimento e di dirigerlo”. Ora, nel 1917, come nel 1905, questa direzione politica, rappresentata dal comitato centrale del partito bolscevico, si dimostra incapace per i compiti del momento, in ritardo rispetto alle attività rivoluzionarie del proletariato”. Tutti gli storici, ivi compresi gli storici stalinisti e trotskysti, mostrano che Lenin dovette fare una battaglia lunga e difficile contro la direzione della sua organizzazione per far trionfare le sue tesi, e non ci sarebbe riuscito se non si fosse appoggiato agli operai del partito, l’avanguardia genuina organizzata nelle officine e all’interno o vicina ai circoli socialdemocratici. Si dirà che tutto ciò sarebbe stato impossibile senza l’attività condotta per anni dai bolscevichi, sia nelle lotte quotidiane degli operai sia nella difesa e nella propaganda delle idee rivoluzionarie.

Effettivamente, la maggioranza dei bolscevichi, ed in primo luogo Lenin, con la loro propaganda e con la loro agitazione incessanti hanno contribuito alla sollevazione dell’ottobre 1917. In quanto militanti rivoluzionari hanno giocato un ruolo efficace, ma in quanto “direzione della classe””avanguardia cosciente”, sono stati in ritardo sul proletariato. La rivoluzione russa si è svolta contro le idee del “Che fare?” , e nella misura in cui queste idee sono state applicate (creazione di un organo dirigente della classe operaia ma separato da essa), si sono rivelate un freno e un ostacolo alla rivoluzione. Nel 1905, Lenin è in ritardo sulla storia perché si rifà alle tesi del “Che fare?”. Nel 1917, Lenin partecipa al movimento reale delle masse russe e facendo ciò rigetta - nella pratica - la concezione sviluppata nel “Che fare?”.

Se applichiamo a Kautsky e a Lenin il trattamento inverso di quello che essi hanno fatto subire a Marx, se limitiamo le loro concezioni alla lotta di classe invece di separarle da essa, il kautskysmo-leninismo appare come caratteristico di tutto un periodo della storia del movimento operaio dominato principalmente dalla II Internazionale. Dopo essersi sviluppato ed organizzato alla meno peggio, il proletariato si è trovato, sin dalla fine del XIX° secolo, in una situazione contraddittoria. Possiede diverse organizzazioni il cui scopo è di fare la rivoluzione e nello stesso tempo è incapace di farla perché le condizioni non sono ancora mature. Il kautskysmo-leninismo è l’espressione e la soluzione di tale contraddizione; postulando che il proletariato, per essere rivoluzionario, deve passare per il cammino tortuoso della conoscenza scientifica, consacra e giustifica l’esistenza di organizzazioni capaci di inquadrare, dirigere e controllare il proletariato.

Così come è stato presentato, il caso di Lenin è più complesso di quello di Kautsky, nella misura in cui Lenin fu, per una parte della sua vita, rivoluzionario contro il kautskysmo-leninismo.  D’altronde la situazione della Russia era totalmente differente da quella della Germania, che possedeva un regime pressoché di democrazia borghese dove esisteva un movimento operaio fortemente sviluppato ed integrato nel sistema. Al contrario, in Russia bisognava costruire tutto e la questione non era se si dovesse partecipare ad attività parlamentari, borghesi e sindacali riformiste poichè non esistevano affatto. In tali condizioni, Lenin poteva adottare una posizione rivoluzionaria malgrado le sue idee kautskyste. Tra l’altro bisogna anche sottolineare che, fino alla seconda guerra mondiale, egli considerava la socialdemocrazia tedesca come un modello.

Nelle loro storie, riviste e corrette, del leninismo gli stalinisti ed i trotzkysti ci mostrano un Lenin capace di comprendere lucidamente e di denunciare, prima del 1914, il “tradimento” della socialdemocrazia e dell’Internazionale. Ciò è pura leggenda e bisognerebbe studiare bene la storia della II° Internazionale per dimostrare che non soltanto Lenin non la denunciò, me che, prima della guerra, non aveva affatto compreso il fenomeno della degenerazione della socialdemocrazia. Prima del 1914, Lenin fa anche l’elogio del partito socialdemocratico tedesco per aver saputo riunire il “movimento operaio” e il “socialismo” (cfr.”Che fare?”). Citiamo soltanto questi passi tratti dall’articolo necrologico “A.Bebel” (che contiene d’altronde numerose superficialità ed errori di fondo sulla vita di questo “dirigente”, di questo “modello di capo operaio” e sulla storia della II° Internazionale.

“Le basi della tattica parlamentare della socialdemocrazia tedesca (e internazionale), che non cede un pollice ai nemici, che non si lascia scappare la minima possibilità di ottenere un miglioramento, per quanto possa essere minimo, per gli operai, che, nello stesso tempo, si mostra intransigente sul piano dei principi e si orienta sempre verso la realizzazione dell’obiettivo finale, le basi di questa tattica furono messe a punto da Bebel…”

Lenin rivolgeva queste lodi a “la tattica parlamentare della socialdemocrazia tedesca (e

internazionale),”intransigente sul piano dei principi”(!) nell’agosto del 1913. Quando un anno più tardi egli credette che il numero del “Vorwats” (organo del partito socialdemocratico tedesco), che annunciava il voto favorevole ai crediti di guerra da parte dei deputati socialdemocratici, era un falso fabbricato dallo stato maggiore tedesco, egli manifestava soltanto l’illusione che aveva nutrito da tempo, in realtà dal 1900-1902 e dal “Che fare?”, sull’internazionale in generale e sulla socialdemocrazia tedesca in particolare. (Noi non consideriamo qui l’atteggiamento di altri rivoluzionari di fronte a questi problemi, ad esempio Rosa Luxemburg. Tale questione meriterebbe infatti uno studio dettagliato).

Abbiamo visto come Lenin avesse abbandonato nella pratica le tesi del “Che fare?” nel 1917. Ma l’immaturità della lotta di classe a livello mondiale, ed in particolare l’assenza di rivoluzioni in Europa, comportò il fallimento della rivoluzione russa. I bolscevichi si trovarono al potere con il compito di “amministrare la Russia” (Lenin), di portare a termine i compiti della rivoluzione borghese che non si era potuta verificare, ossia di assicurare, in effetti, lo sviluppo dell’economia russa, non potendo tale sviluppo che essere capitalista. Un obiettivo fondamentale fu di richiamare all’ordine la classe operaia – ed alcune opposizioni all’interno del partito. Lenin, che nel 1917 non aveva rinnegato esplicitamente il “Che fare?”, riprende subito le concezioni “leniniste” che sole permettono il “necessario”inquadramento degli operai. I Centralismi Democratici, l’Opposizione Operaia ed il Gruppo Operaio[1] sono schiacciati per aver negato “il ruolo dirigente del partito”. Allo stesso modo la teoria leninista del partito viene imposta all’Internazionale. Dopo la morte di Lenin, Zinoviev, Stalin e tanti altri, dovevano svilupparla insistendo sempre più sulla “disciplina di ferro” , “l’ unità di pensiero e l’unità di azione”, mentre il principio sul quale poggiava l’Internazionale stalinizzata era lo stesso che era alla base dei partiti socialisti riformisti (il partito separato dai lavoratori che forniva loro la coscienza di ciò che erano) e chiunque rifiutasse la teoria leninista-stalinista cadeva nella “palude opportunista, socialdemocratica, menscevica,…” Da parte loro i trotzkysti s’agganciavano al pensiero di Lenin e recitavano “Che fare?” . La crisi dell’umanità non è altro che “la crisi della direzione” diceva Trotzky: occorreva dunque creare ad ogni costo una direzione. Supremo idealismo, la storia del mondo veniva spiegata con la crisi della sua coscienza.

In definitiva, lo stalinismo non doveva trionfare che nei paesi in cui lo sviluppo del capitalismo non poteva essere assicurato dalla borghesia, senza che le condizioni fossero unificate affinché il movimento operaio, successivamente, potesse distruggerle. Nell’Europa dell’Est, in Cina, a Cuba si è formato un gruppo dirigente nuovo, composto da quadri del movimento operaio burocratizzato, da vecchi specialisti o tecnici borghesi, talora da quadri dell’esercito o di vecchi studenti in sintonia col nuovo ordine sociale come in Cina. In ultima analisi, un tale processo non era possibile se non a causa della debolezza del movimento operaio. In Cina, per esempio, il sostrato sociale motore della rivoluzione fu la classe dei contadini, incapace di dirigersi da sola, non poteva che essere diretta dal “partito” . Prima della presa del potere, questo gruppo organizzato nel “partito” dirige le nasse e le “regioni liberate” se dovessero esservi; in seguito, esso prende nelle sue mani l’insieme della vita sociale del paese. Ovunque le tesi di Lenin sono state un potente fattore di burocratizzazione, infatti, secondo Lenin, la funzione di direzione del movimento operaio era una funzione specifica assicurata da alcuni “capi” organizzati separatamente dal movimento ed il cui ruolo era esclusivamente quello.Nella misura in cui preconizzava un corpo separato di rivoluzionari di professione capaci di guidare le masse, il leninismo è servito come giustificazione ideologica alla formazione di direzioni separate dai lavoratori. A questo livello il leninismo, fuori dal suo contesto originale, non è altro che una tecnica di inquadramento delle masse ed una ideologia che giustifica la burocrazia e sostiene il capitalismo: il suo recupero era storicamente necessario per lo sviluppo di nuove strutture sociali che rappresentano, esse stesse, una necessità storica per lo sviluppo del capitale. Man mano che il capitalismo si estende e domina l’intero pianeta, maturano le condizioni affinché vi sia la possibilità di una rivoluzione, l’ideologia leninista comincia a fare il suo tempo, nel vero senso della parola.

E’ impossibile prendere in esame la questione del partito senza riportarla alle condizioni storiche nelle quali è nato questo dibattito, in ogni caso, benché sotto forme differenti, lo sviluppo dell’ideologia leninista è determinato dall’impossibilità della rivoluzione proletaria. Se la storia ha dato ragione al kautskysmo-leninismo, se i suoi avversari non hanno mai potuto né organizzarsi durevolmente e nemmeno presentarne una critica coerente, ciò non è dovuto al caso: il successo del kautskysmo-leninismo è un prodotto della nostra epoca ed i primi attacchi seri – e pratici – contro di esso, segnano la fine di tutto un periodo storico. Per fare questo occorreva che il capitalismo si sviluppasse largamente su scala mondiale. La rivoluzione ungherese del 1956 ha suonato il rintocco di tutto un periodo di controrivoluzione, ma anche di maturazione rivoluzionaria. Nessuno sa quando questo periodo sarà definitivamente superato ma è certo che la critica delle tesi di Kautsky e di Lenin, prodotti di questa epoca, diventerà allora possibile e necessaria. Ecco perché abbiamo ritenuto importante ripubblicare “Le tre fonti del marxismo”, l’Opera storica di Marx”, per far conoscere meglio e comprendere maggiormente quella che fu e quella che è ancora l’ideologia dominante di tutto un periodo. Lungi dal voler dissimulare le idee che condanniamo e combattiamo, vogliamo, al contrario, diffonderle largamente, al fine di mostrare nello stesso tempo quanto siano state necessarie ed il loro limite storico.

Le condizioni che hanno permesso la nascita e lo sviluppo delle organizzazioni di tipo socialdemocratico e bolscevico oggi sono superate. Per quanto riguarda l’ideologia leninista, oltre all’utilizzo che ne viene fatto dai burocrati al potere, lungi dall’avere un’utilità per i gruppi rivoluzionari che sostengono l’unione del socialismo e del movimento operaio, non può servire, sin da ora, ad altro che a cementare provvisoriamente l’unione di intellettuali mediocri e di lavoratori mediocremente rivoluzionari.



[1] NdT Queste erano le tendenze interne al Partito bolscevico fino agli anni venti che non condividevano le scelte del gruppo vicino a Lenin-Zinoviev del “Centralismo Democratico”.