Gli insegnamenti dei Piqueteros

Premessa generale

Sulle cause che hanno portato alla crisi argentina si è detto tutto e il contrario di tutto. I neo liberisti hanno tuonato contro la mancanza di rigidità nella strada delle privatizzazioni e dell’introduzione del libero mercato, mentre i neo keynesiani  hanno spiegato il tracollo economico con l’asservimento dei governi argentini alla politica eccessivamente liberista del Fondo Monetario Internazionale. A quanto pare tutti hanno un po’ di ragione  e nello stesso tempo un po’ di torto. Ma di fatto tutti rimangono alla superficie dei problemi e non vedano le vere cause della crisi Argentina.

Non è attraverso i dati statistici dell’ "azienda Argentina", non è certo attraverso la contabilità della bilancia commerciale o della bilancia dei pagamenti che si può spiegare il perché della crisi. Quello che possiamo avere è la valanga di dati e di indici economici che quotidianamente invade le nostre case attraverso i mediatori di massa. Le varie sigle degli indici di borsa, che scende e che sale; la parità delle varie divise monetarie; le previsioni di crescita del prodotto interno lordo, che immancabilmente vengono disattese, nel bene o nel male. Possiamo sapere quelle che sono le previsioni delle entrate statali, che non corrisponderanno mai alle entrate reali. Avremo gli indici della disoccupazione, nazionale e internazionale, il fatturato delle aziende,  l'indebitamento statale e mille dati ancora. Ma tutto ciò sarà solo la superficie del dramma che stiamo vivendo. Potremmo fare un elenco smisurato dei motivi che hanno portato alla situazione odierna: il contributo di sangue pagato dai lavoratori argentini ai governi totalitari, gli errori nelle scelte economiche dei governi democratici, la corruzione dei funzionari statali, la mancanza di concorrenzialità delle industrie, l'irresponsabilità dei sindacati, l'ottusità della classe dirigente, lo strangolamento dell'economia provocato dal capitale finanziario mondiale, e così via.

Ma in realtà, fino a quando rimarremo su questo piano, ci sembrerà di essere in piena luce, ma barcolleremo nel buio.

Dovremmo avere il dato mondiale del tasso di sfruttamento del lavoro sociale, il saggio medio del profitto, per sapere se siamo lontani o vicini alla crisi generale del capitalismo. Ma questo non lo conosciamo e se cerchiamo di surrogarlo con altri indici, ad esempio con il saggio medio di interesse, non  ne caviamo un ragno dal buco. Meglio è cercare le risposte alle nostre domande da altre parti. Sappiamo che ormai i margini di profitto internazionali sono ridotti all'osso, perché l'imperialismo è entrato in una fase cruenta, nella quale non c'è questione di una certa importanza, che non venga direttamente risolta attraverso l'uso delle armi. Questo evidente sintomo di debolezza strutturale del sistema, incapace di auto-mantenersi nel modo usuale, attraverso il pacifico consenso e il compromesso fra le parti, mostra che ormai il barile del profitto mondiale è stato raschiato a dovere. Ed in questo clima solo i forti riescono a sopravvivere.

I primi a entrare in crisi sono gli anelli deboli della catena. L'Argentina è tutt’altro che un paese sottosviluppato: nel secondo dopoguerra era fra i primi paesi più ricchi del mondo, oggi la metà della sua popolazione vive sotto la soglia di povertà. Possiamo solo dire che è stata la dinamica dello sviluppo del capitalismo nel secolo scorso che ha portato a ciò. Così come possiamo dire che per questi stessi motivi ciò che sta succedendo in Argentina anticipa quelli che saranno gli sviluppi futuri delle cosiddette aree sviluppate del pianeta. Nell'Argentina odierna noi marxisti  europei vediamo allo stesso tempo il nostro passato, ma anche il nostro futuro. Pertanto l'interpretazione di ciò che sta accadendo al di là dell'Oceano Atlantico è di fondamentale importanza per capire le caratteristiche della ripresa del movimento rivoluzionario che verrà.

La natura del movimento dei piqueteros

Il movimento dei piqueteros nasce dall'enorme esercito di disoccupati prodotto nell'ultimo ventennio dalla progressiva crisi economica argentina. E' un movimento di disoccupati organizzati, ex lavoratori messi sul lastrico dallo smantellamento delle più importanti industrie, senza alcun ammortizzatore sociale; giovani, che non hanno mai avuto un impiego stabile, precari cronici, che vivono di lavoretti e  di espedienti. La sua originalità, rispetto alle tante situazioni di disperata disoccupazione e di inedia che vive l'America Latina, è che la provenienza di questi disoccupati non é tanto la campagna ed il villaggio ma la fabbrica. Questi sono lavoratori disoccupati e pertanto hanno un modo di comportarsi diverso da quello del sottoproletariato delle bidonvilles. Lungi dall'affliggersi e dal piombare nell'inedia, nel vendere il proprio corpo e quello dei propri figli ai ricchi turisti in visita alle bellezze della natura selvaggia, hanno cominciato a resistere ed organizzarsi. Hanno cominciato a prendere la roba dove essa è, nei supermercati, e a distribuirla alla parte più debole dalla popolazione. Hanno cominciato a fare dei blocchi stradali, a fermare i trasporti di merci e a distribuirle. Da questo tipo di azioni di picchettaggio deriva il loro nome. La tattica di interrompere le autostrade è fondamentale per i successi del movimento dei lavoratori disoccupati (MTD), ha la stessa funzione dello sciopero per gli operai: paralizza la circolazione dei commerci, sia quelli inerenti la produzione, che quelli inerenti il consumo interno o l’esportazione, al tempo stesso permette la redistribuzione delle merci e la sopravvivenza della popolazione più povera.

Nel fare queste azioni i piqueteros hanno dovuto organizzarsi, hanno dovuto scontrarsi con le forze dell'ordine garanti dell’ordine e della proprietà privata. Hanno dovuto armarsi e imporsi con la forza. Hanno incominciato a controllare i quartieri popolari dove risiedono, i barrios,  e a farne il punto di partenza delle loro azioni di "esproprio proletario".

“Il MTD è organizzato in una struttura assai decentralizzata. Ogni comune ha la propria organizzazione basata sui barrios dentro il proprio territorio. Dentro un barrio, aree di più isolati hanno i loro leader e i loro attivisti informali.  Ogni area comunale è organizzata in assemblee generali dove ogni membro attivo  partecipa. La politica è decisa in assemblea, le rivendicazioni e l’organizzazione dei blocchi stradali sono decisi collettivamente in assemblea. Quando una autostrada o una statale è scelta,  l’assemblea organizza i supporti dentro i barrios. Centinaia e spesso migliaia di uomini donne e bambini partecipano al blocco, montano tende e cucinano al lato della strada. Se la polizia minaccia, a centinaia si riversano nei quartieri periferici delle città. Se il governo decide di negoziare, il movimento richiede che le trattative abbiano luogo con tutti i piqueteros  che hanno fatto il blocco. Le decisioni sono prese sul posto e l’azione stabilita dall’assemblea collettiva.”[1]

Nell’agosto 2001, una vasta mobilitazione nazionale di ben organizzati gruppi di disoccupati, più di centomila partecipanti, chiusero oltre trecento strade principali in Argentina, paralizzando l’economia. Nei precedenti  mesi e settimane la polizia federale aveva ucciso cinque piqueteros, arrestati oltre tremila, in scontri violenti per tutto il paese. Nello stesso tempo, i disoccupati organizzati erano capaci di contrattare migliaia di lavori temporanei  con salari minimi garantiti, forniture di cibo, ed altre concessioni dallo stato. Nel settembre 2001, i disoccupati erano capaci di organizzare massicci blocchi stradali per tutta la capitale Buenos Aires ed uno sciopero generale in collaborazione con una parte dei sindacati, bloccando le attività statali e le maggiori industrie private.

Questi recenti successi sono stati costruiti attraverso parecchi  anni di costante organizzazione. In un primo tempo i disoccupati facevano richieste  dimostrando pacificamente, ma erano ignorati. Successivamente iniziarono a fare azioni dirette, occupando uffici statali e municipali, talvolta incendiandoli. I blocchi stradali e i picchetti di massa iniziarono nel giugno 1997. Queste dimostrazioni mobilitarono migliaia lavoratori contro i tagli dei posti di lavoro e i piani di chiusura di alcune grandi imprese. Verso la fine degli anni ’90, blocchi stradali di massa furono fatti per protestare contro gli aumenti delle bollette elettriche, successivi alla privatizzazione delle compagnie dell’energia elettrica, riuscendo di forza a ridurre le bollette delle case, che i disoccupati non potevano pagare. Nel 2000, dimostrazioni e scontri presero campo in tutto il paese, partendo  dagli ex centri di estrazione petrolifera, ridotti alla fame quando la privatizzazione portò alla perdita di molti posti di lavoro e diffuse la disoccupazione. Le promesse del governo della creazione di posti di lavoro alternativi si erano dimostrate vane, perché le pretese  di inasprimento fiscale del Fondo Monetario Internazionale avevano costretto a dei consistenti tagli di  bilancio.

Recentemente il movimento avverte con sempre maggior urgenza l’esigenza di strutturarsi a livello nazionale. All’inizio del settembre 2001, due convegni nazionali ebbero luogo a Matanza e La Plata. I convegni videro oltre duemila delegati comprendenti dozzine di disoccupati, rappresentanti dei sindacati, gruppi dell’organizzazioni di base. Lo scopo era quello di coordinare gi attivisti, stendere un programma ed un piano di lotta. L’assemblea dei delegati de La Plata si accordò per alcune richieste immediate: il passaggio al metodo dell’azione diretta e la cancellazione  dei processi contro i manifestanti arrestati; il rifiuto della politica di austerità; l’assegnazione di alimenti ai disoccupati; il pagamento di mille pesos per ettaro ai piccoli e medi contadini per seminare i loro campi; il ritiro immediato dei gendarmi dalla città di General Mosconi.

L’assemblea convocò due grandi blocchi stradali in settembre per appoggiare le proprie richieste. E, inoltre, si dette cinque obiettivi di lungo periodo: rifiuto del pagamento del debito estero; il controllo del fondo pensioni; la nazionalizzazione delle banche e delle industrie strategiche; la cancellazione dei debiti dei piccoli contadini e stabilizzazione dei prezzi dei loro prodotti; l’esautorazione del regime affamatore. L’assemblea finì stabilendo trentasei ore di sciopero generale e la nascita di un coordinamento delle attività dei  gruppi dissidenti delle confederazioni sindacali. Questi sviluppi organizzativi e le lotte che sconvolsero l’Argentina alla fine dell’anno portarono nel febbraio 2002 all’Asamblea Nacional de Trabajadores, che si tenne a Buenos Aires, nella quale più di duemila delegati dei lavoratori, dei disoccupati e dei rappresentanti degli attivisti politici delle assemblee di base,  ribadiva gli obiettivi sopra espressi enucleando un programma di notevole portata classista:  sciopero generale contro il governo; cancellazione del debito estero;  salario minimo garantito;  ripristino della scala mobile contro l'inflazione;  eliminazione della disoccupazione;  nazionalizzazione delle grandi industrie, di quelle in crisi e delle banche;  riduzione dell'orario di lavoro;  potere alle assemblee dei lavoratori, delle masse oppresse e dei soldati (per evitare un colpo di stato);  costituzione di squadre di autodifesa operaia;  solidarietà con tutti i movimenti rivoluzionari del mondo.

Occupati e disoccupati

L’idea che il marxismo sia la teoria dei soli operai occupati, quelli che producono con le proprie mani nelle fabbriche, si è stranamente diffusa nella testa degli uomini senza che ci sia alcun presupposto concreto a supportarla.

Il movimento socialista, a cavallo fra la fine dell’800 e il primo ‘900, nasce sull’onda degli scioperi sindacali nelle grandi città europee, ma intende sempre il proletariato come  un esercito formato da occupati e disoccupati. Le casse mutue, le "borse del lavoro" in Francia, che poi sono le Camere del Lavoro in Italia, hanno lo scopo di lenire gli effetti deleteri provocati dalle crisi delle aziende capitalistiche, che in primo luogo minacciano i posti di lavoro degli operai. È vero che il sindacato è un organo di difesa dei lavoratori e tendenzialmente è portato a occuparsi dei problemi degli occupati, ma all’interno del suo programma classista non vengono mai dimenticati i disoccupati. Ciò è chiaramente espresso nella rivendicazione del “salario integrale ai disoccupati”, che esplicitamente poggia sulla tesi marxista che i disoccupati sono altrettanto necessari al capitale degli occupati e pertanto nella nostra visione di classe è necessario che lo stato capitalista se ne faccia carico. Sono le classiche tesi espresse nel Capitale.

"Quanto maggiori sono la ricchezza sociale, il capitale in produzione, il volume e l'energia della sua crescita, quindi anche la grandezza assoluta del proletariato e la produttività del suo lavoro, tanto maggiore è l'esercito industriale di riserva. La forza - lavoro disponibile è sviluppata dalle stesse cause che sviluppano la forza di espansione del Capitale. La grandezza relativa dell'esercito industriale di riserva cresce quindi con le potenze della ricchezza. Ma quanto maggiore, in rapporto all’ esercito operaio attivo, è questo esercito di riserva, tanto più massiccia è la sovrappopolazione consolidata, la cui miseria sta in ragione inversa del suo tormento di lavoro. (...)È questa la legge assoluta, generale, dell'accumulazione capitalistica."[2]

Evidentemente la legge si riferisce all'intera popolazione operaia, composta, secondo le colorite espressioni di Marx, sia dall’esercito operaio attivo che dall’esercito industriale di riserva, le cui condizioni di vita peggiorano continuamente in rapporto all'ingigantire della forza produttiva del Capitale. Oggi più che mai la produzione, e quindi il capitale, si sono internazionalizzati e così anche la classe operaia non conosce di fatto confini nazionali. Pertanto i disoccupati argentini fungono da esercito industriale di riserva  anche degli “opulenti” operai occidentali.

Successivamente, con la Terza Internazionale Comunista, voluta da Lenin dopo il tradimento di fronte alla  grande guerra dei partiti socialisti e la successiva vittoria dei comunisti in Russia, la rotta corretta nei confronti dei disoccupati non fu mai smarrita. Ed altrettanta chiarezza si riscontra nella Sinistra Italiana, che ha il merito di impostare e risolvere correttamente, una volta per tutte, le questioni tattiche nelle aree a rivoluzione diretta. Riguardo alla questione del rapporto fra disoccupati e occupati nelle fasi di lotta montante, il Partito Comunista d’Italia seppe definire chiaramente il da farsi. In una fase di crisi economica e sociale marcata, quale fu quella del primo dopoguerra in Europa, in cui le condizioni delle masse per certi versi erano simili a quelle dell’odierna Argentina, le indicazioni che i comunisti dettero potrebbero essere sottoscritte  oggi dai piqueteros.

“Dal nostro punto di vista questa diviene una questione squisitamente politica. Si deve svolgere la critica dei palliativi che propongono i riformisti. Lo Stato borghese, cui essi si rivolgono, non può provvedere alla tragica situazione delle folle dei senza lavoro che con misure inefficaci e aventi carattere di una grama beneficenza. Dal punto di vista di classe, una sola soluzione può essere agitata, il principio della sostituzione del sussidio con la corresponsione dell’intiero salario al disoccupato legittimo in ragione del numero dei membri della sua famiglia.”[3]

Del resto i programmi sindacali sono spesso di difesa delle condizioni di vita raggiunte, che vengono messe in discussione quando l’economia capitalista entra in crisi. In questi casi i comunisti si preoccupano esclusivamente delle condizioni di vita e di lavoro delle masse proletarie minacciate, infischiandosene delle superiori esigenze dell’economia nazionale e dei problemi congiunturali dei governanti di turno. A questo proposito è rimarchevole la posizione dei comunisti italiani nel 1921.

“Proponiamo che le grandi organizzazioni proletarie, che sono sul terreno della lotta di classe, impostino una grande battaglia proletaria, dichiarando che le questioni che oggi generalmente interessano tutte le categorie dei lavoratori sono elevate dall’organizzazione sindacale a questioni di principio, e che ogni concessione, anche limitata e poco estesa, su tali punti è rifiutata come creazione di un precedente il quale darebbe battaglia vinta agli avversari.

I punti precisi che la classe operaia dovrebbe, non chiedere, ma difendere sono, secondo le nostre proposte, i seguenti:

a)    otto ore di lavoro;

b)    rispetto dei concordati vigenti e dell’attuale valore globale dei salari;

c)     rispetto dei patti colonici per i piccoli agricoltori;

d) assicurazione dell’esistenza per i lavoratori licenziati e le loro famiglie attraverso la corresponsione di un indennizzo proporzionato al costo della vita e al numero dei componenti la famiglia, tendendo a raggiungere il livello dell’integrale salario per una media famiglia operaia, gravando gli oneri sulla classe industriale per una quota parte dei salari, e per il resto sullo Stato;

e)     integrità del diritto di organizzazione e riconoscimento di questa. 

Elevare questi punti a questione di principio significa attuare lo sciopero generale nazionale di tutte le categorie organizzate degli operai e dei contadini, appena su un qualunque fronte delle organizzazioni di classe, per una qualsiasi categoria o in una qualsiasi zona le classi padronali intaccheranno le posizioni raggiunte dai lavoratori sui detti capisaldi.”[4]

Sono impressionanti le assonanze fra questo programma di difesa delle condizioni generali del proletariato e le rivendicazioni espresse dall’MTD. In special modo l’attenzione nei confronti dei contadini poveri, che non necessariamente debbano essere dei proletari, ma che possono essere alleati  nella lotta contro lo stato. Al tempo stesso è naturale per i comunisti considerare il proletariato come un tutt’uno sia nella sua parte occupata che in quella disoccupata. Pertanto nel suo programma sindacale troveranno spazio sia rivendicazioni per gli occupati che per i disoccupati.

Semmai un altro aspetto della questione va chiarito. In tutto il ‘900 è venuto via via formandosi, per poi dilagare ai tempi nostri, la formazione di uno strato di operai borghesi, la cosiddetta aristocrazia operaia. Questo  fenomeno, già visto da Marx  nel secolo precedente e perfettamente inquadrato da Lenin nel 1914, comporta non solo il rifiuto del tradizionale metodo della lotta di classe, ma la totale acquiescenza degli operai occidentali, attraverso i propri partiti e le proprie organizzazioni sindacali, alla politica dei propri stati. Il  tradimento degli operai nei confronti della rivoluzione mondiale é stato comprato dall’imperialismo internazionale e pagato con lo sfruttamento di tutto il resto dei popoli della terra. Oggi in Argentina fare ciò pare non sia più possibile, la maggioranza degli operai non può più accedere ai privilegi e alle prebende a cui il capitale li aveva abituati, ed è per questo che i disoccupati riscoprono la lotta di classe. Ciò ha invertito i rapporti dinamici fra parte occupata e parte disoccupata del proletariato. Ieri erano gli occupati a farsi carico dei problemi dei disoccupati, oggi invece sono i disoccupati a scendere su un terreno di lotta di classe e nel fare ciò tendono ad affasciare tutto il movimento proletario. 

Le lezioni da trarre

a)       La crisi riproduce il proletariato così come lo si conosceva nei primi anni del secolo scorso. La lotta di classe non muore mai (risorge sotto la cenere come l’araba fenice)

Tutte le congetture pseudoscientifiche della moderna sociologia sulla scomparsa delle classi sociali e della lotta di queste per il potere, vengono vieppiù sconfessate dalla crudeltà quotidiana dello sviluppo storico. L’ubbia che il mondo potesse essere amministrato pacificamente, senza ricorrere alla violenza e alla guerra, tesi data da tutti i commentatori politici come scontata per tutta la metà del secolo scorso, è ormai soppiantata dalla dottrina della necessità dell’uso costante della forza militare per affermare i valori  delle  grasse democrazie occidentali. Al tempo stesso la crisi economica e sociale non ha ancora fatto totalmente il proprio corso, per cui i più si crogiolano nell’idea che la lotta di classe  fra proletariato e borghesia - grande assente alla scala storica da quasi un secolo - sia ormai scomparsa, relegata fra i vecchi utensili della storia come la penna d’oca o l’arcolaio.

L’idea che l’operaio e il padrone siano vincolati da un patto di sangue, dal quale non si può prescindere, pena il piombare nella fame e nella miseria è ancora imperante nella mente degli uomini. I fatti argentini vengono timidamente a smentire tutto questo. Se da una parte siamo in presenza di una borghesia nazionale non all’altezza del proprio compito, incapace di reggere la concorrenza mondiale, dall’altra siamo in presenza di un proletariato, che risvegliatosi prende atto di poter fare anche da sé. Domani quando la borghesia mondiale, ancora ben in sella al governo del mondo, si dimostrerà incapace dei propri compiti storici, allora tutto il proletariato mondiale prenderà atto di poter far da sé.

b)        L’azione diretta e ricorso all’uso della forza, anche della violenza, per affermare le proprie necessita vitali sono il normale modo di essere della lotta di classe

Ogniqualvolta nella storia si pone all’ordine del giorno uno scontro fra due classi, scontro per il controllo politico della società, il potere politico, questo si esprime attraverso l’uso di ogni mezzo plausibile. In particolare il potere è uso della forza e della violenza, da qualsiasi classe venga esercitato. E la classe, che deve soppiantare la vecchia, deve mettere in campo una forza superiore a quella della classe da spodestare. I comunisti hanno sempre visto nella pratica dell’autodifesa di classe, dell’armamento del proletariato e dello scontro con  i vari reparti di polizia dello stato borghese, una sorta di allenamento, di preparazione, ai compiti  da esplicarsi nella presa del potere, prima, e nella gestione del terrore rosso, poi, fino alla futura società senza classi. Ma  al tempo stesso questo modo di fare diviene  per il proletariato una necessità vitale, allorquando la crisi economica lo costringe alla lotta per la sopravvivenza. Gli scioperi e la penetrazione dell’esercito, fino all’armamento di milizie, sono stadi necessari nel percorso che porta alla rivoluzione. E questo in Argentina sta accadendo. Non è tanto la coscienza di quel partito politico o l’abnegazione di quel capo, o la sua furbizia, che stanno suscitando il dispiegarsi delle forze, ma lo sviluppo della crisi mondiale di questo modo di produzione. A questa crisi la parte disoccupata del proletariato risponde lottando unicamente allo scopo di sopravvivere.

c)     Si conferma la tendenza alla formazione del sindacato di classe, così come la Sinistra ha previsto, sia dentro che fuori il sindacato ufficiale

Un’altra conferma del nostro programma rivoluzionario la troviamo nelle forme di lotta, che le masse argentine tendono ad organizzare, man mano che la crisi sociale si inasprisce.  Queste forme di lotta sono di autodifesa e pertanto hanno contenuto sindacale. Basta analizzare il programma delle assemblee generali del MTD per capirne il contenuto immediato sindacale. La stessa rivendicazione della cancellazione del debito estero, deve essere intesa nel senso della volontà di liberarsi dallo strangolamento che gli interessi del capitale finanziario mondiale attuano nei confronti dell’Argentina. Il carico del pagamento di questi interessi sta rovinando le mezze classi, i cosiddetti casserolantes, ma ricade anche sui lavoratori e sui disoccupati. Il popolo intende il debito estero come una forma di affamamento nazionale, peraltro voluto dalla borghesia, ma pagato da tutta la società.

Il movimento dei piqueteros nasce per difendersi dal peggioramento delle condizioni di vita provocato dalla crisi, ha obiettivi immediati, pratica forme di lotta dirette e non disdegna l’uso della forza. È molto simile al movimento di fine ‘800 in Europa, che portò alla nascita dell’associazionismo sindacale di classe, ad esempio in Italia la Confederazione Generale del Lavoro (CGL). La stessa struttura delle assemblee che si formano nei barrios sono simili alle Camere del Lavoro italiane, ed ad altre forme di difesa similari, che nello stesso periodo presero forma in tutta Europa. È un associazionismo proletario di tipo sindacale, non politico, che nasce dalle esigenze di resistere alla crisi del capitale ed è aperto a tutti coloro che vogliono praticare l’azione di difesa dei disoccupati. In questo senso non è un organismo politico, non ha preclusioni politiche, è aperto ai disoccupati, ai lavoratori, ai precari, alle casalinghe e, persino, ai ragazzi dei barrios. A tutti coloro che sono disposti ad opporsi con la lotta di ogni tipo contro l’avanzamento della crisi. Quest’organismo è molto simile ad un sindacato di classe che sta formandosi al di fuori delle organizzazioni tradizionali ormai asservite alla politica nazionale. Ma le cose non sono cosi semplici come appaiono. In realtà se all’inizio la Confederazione sindacale dei lavoratori (CGT), incapace di affrancarsi dalla sua storica acquiescenza ai dettami padronali è apparsa indifferente, spesso contraria, al movimento dei piqueteros, è vero altresì che ultimante una frangia di sinistra, più combattiva, del sindacato ufficiale si è separato dalla politica della CGT, partecipando alle assemblee del MTD. E questo perché è ormai evidente ad una parte dei lavoratori occupati che i loro interessi vengano difesi più dalle nuove organizzazioni di base che dai vecchi sindacati.

Questa situazione dinamica è forse per noi europei la più importante fra le lezioni da trarre dai fatti argentini. Da noi il ritardo del movimento sindacale di classe è evidente. Ciò è dovuto alla assenza di crisi economica e sociale. Fino a quando tutto ciò perdurerà, sciogliere l’annoso nodo se la ripresa sindacale avverrà ex-novo o con la conquista, magari a legnate, degli attuali sindacati non è possibile. La situazione argentina viene ad illuminarci a questo proposito: il movimento rinasce fuori  e, spesso, contro il sindacato ufficiale, ma poi si riverbera su questo e attraverso le “legnate”, una parte del vecchio sindacato può riprendere la strada della lotta di classe. 

d)      C'è mancanza di collegamento fra proletariato argentino e operai, sia argentini che occidentali. Gli operai non sono attualmente l’avanguardia del movimento di lotta

Il bisogno, anche confuso, del collegamento con tutti i movimenti rivoluzionari del mondo è proclamato nelle assemblee generali dei piqueteros.  È evidente che in prima istanza essi si sentono  parte di quel vasto movimenti di autodifesa contro gli effetti della politica neo-liberista imposta in tutta l’America Latina dagli USA. Molto probabilmente l’area rivoluzionaria a cui ci si riferiscono è assai composita. Va dai movimenti dei disoccupati similari all’MTD, che un po’ in tutto il Sud America si stanno diffondendo, perché provocati dal costante peggioramento delle condizioni di vita di questi paesi, fino ai movimenti rurali, messicani e brasiliani, che generalmente si oppongono alle grandi compagnie statunitensi. In generale ci si riferisce a movimenti politici, economici e culturali che hanno sposato la causa dell’opposizione al FMI, che altri non è che l’agente del capitale finanziario mondiale nel mondo.

Non è certo agli operai di tutto il mondo che ci si riferisce. E questo perché un movimento operaio mondiale internazionale oggi non esiste più. È vero che ieri esisteva e rappresentava l’avanguardia rivoluzionaria mondiale, ma è passato tanto tempo che chissà se i piqueteros ne hanno mai sentito parlare. In effetti oggi i lavoratori di tutto il mondo sono reclusi all’interno della politica delle loro rispettive nazioni, corporazione fra corporazioni. Questa situazione sociale non ha origine morale, gli operai non sono ingannati dai loro dirigenti, ma ha un’origine economica, gli operai sono comprati dai loro padroni ad un prezzo più alto di quello naturale, per il capitale, della mera sussistenza. Per questo col tempo hanno perso la strada della lotta e si sono trasformati in piccolo borghesi.

Ma tutto ciò potrà durare solo fino a quando l’imperialismo sarà in grado di ottenere sopraprofitti dallo sfruttamento di tutto il mondo, poi con l’avanzare della crisi economica si riproporranno le condizioni classiche previste fin dal Manifesto dei Comunisti del 1848. Un proletariato di questo tipo avrà nelle proprie fila disoccupati e occupati uniti nella lotta contro il capitalismo.

e)        La mancanza del partito, conseguenza dell’immaturità della situazione storica, è il nodo centrale da sciogliere

Non possiamo stupirci che il movimento dell’MTD non riesca a cogliere fino in fondo la vera natura della crisi e conseguentemente non sappia definire un piano di azione politica da contrapporre all’imperialismo mondiale. È nella natura dei movimenti tradeunionisti  poter arrivare solo fino alla coscienza della necessità di portare fino in fondo la lotta economica; per la lotta politica, che è lotta rivoluzionaria di attacco allo stato, occorre il partito politico (Lenin). Questo ritardo non è certo imputabile ai piqueteros, che anzi forse oggi sono l’avanguardia del movimento proletario internazionale, ma alla distruzione della tradizione rivoluzionaria internazionale operata congiuntamente dalle centrali del capitale mondiale e dallo stalinismo, che hanno disperso il patrimonio della tradizione rivoluzionaria comunista. Ritrovarla oggi per qualsiasi movimento, che sinceramente intenda opporsi al capitale è assai difficile, perlomeno fino a quando anche nei paesi ricchi perdureranno le attuali condizioni mefitiche per lo sviluppo della lotta di classe. È certo però che il filo che riconduce al vero programma della rivoluzione mondiale non è stato del tutto spezzato ed è rintracciabile nella storia dei partiti comunisti dal 1848, alla Terza Internazionale e, soprattutto, nell'opera di restaurazione  del marxismo fatta della Sinistra nel secondo dopoguerra.

Ecco un esempio fra i più collimanti con il programma della rivoluzione comunista, che possiamo ritrovare nel passato. Si tratta delle indicazioni date dai comunisti italiani nel 1921 per l’azione da svolgere nei confronti dei disoccupati.

“Crisi economica e disoccupazione. Una direttiva unica deve essere data alla propaganda ed all’azione dei comunisti in questo campo. La critica più aspra dev’essere opposta all’indirizzo sancito in materia dagli organi confe­derali, e dev’essere denunziata la loro acquiescenza alle imposizioni dei capitalisti. La chiusura delle aziende, l’insufficienza delle provvidenze governative in materia di sussidi e di concessioni di lavori pubblici, l’illusione di poter ottenere più efficaci interventi dallo Stato per via parlamentare e collaborazionista, come si propongono i dirigenti confederali, l’arrendevolezza di questi dinanzi all’offensiva dei padroni contro i concordati conquistati dai lavoratori, sono tutti elementi che devono essere messi da noi nella loro vera luce, spiegando che, secondo la nostra tattica rivoluzionaria, una soluzione radicale di questi problemi non esiste che nella conquista del potere da parte del proletariato, che la evidente insolubilità di essi deve essere utilizzata per condurre appunto le masse a questa convinzione ed intensificare tra esse la preparazione rivoluzionaria, mentre i riformisti, per evitare questo, illudono i lavoratori affermando che esista la possibilità di migliorare le difficoltà della crisi presente nell’ambito del regime attuale. È importante mostrare che i dirigenti confederali, con tale politica, mentre nulla realizzano di concretamente utile alle masse, pongono la loro tesi collaborazionista e pacifista non solo al di sopra dell’interesse della rivoluzione, ma anche contro gli interessi immediati dei lavoratori, rinunziando, per non turbare le loro manovre e intese politiche con gruppi borghesi, all’impiego della forza sindacale del proletariato per la battaglia contro l’offensiva padronale, che potrebbe venire ingaggiata quando si fosse veramente decisi a spingerla a fondo, sul terreno politico.”[5]

f)    Così come ce ne furono in passato, dobbiamo attenderci in futuro lotte di tipo argentino anche nei paesi più economicamente sviluppati

L’Argentina è il nostro futuro! Dobbiamo prendere atto che niente di tutto ciò che sta avvenendo in quel paese ci meraviglia, è il normale modo di funzionare della lotta di classe. Ed anche se gli pseudocomunisti di tutt’altro si preoccupano, spetta ai marxisti dire le cose come realmente stanno. Nessuno fra il tanto strombazzato movimento dei no-global si è preoccupato di esprimere solidarietà al movimento dei disoccupati argentini. L’unico problema di cui essi si sono fatti carico è l’azzeramento del debito estero, che sarebbe una boccata di ossigeno per l’economia argentina, ma non è detto che lo sarebbe per i disoccupati. Per non parlare poi dell’opportunismo dilagante, tutto preso dalla difesa dei fittizi privilegi degli occupati, che si dimentica spesso di difendere i disoccupati nostrani, figurarsi se intende esprimere solidarietà, e non solo a parole, coi disoccupati argentini.

Il futuro che attende questo sistema sociale non è roseo, anche se la situazione non muterà fino a quando rimarremo immersi nel clima mieloso delle democrazie occidentali. Altri anelli deboli della catena salteranno, man mano i margini del profitto mondiale diminuiranno. Tutto ciò in un primo tempo apparirà come causato dall’incapacità dei vari sistemi borghesi nazionali, ma poi sarà sempre più evidente che saremo in presenza di una crisi del capitalismo mondiale, specialmente se, come sempre si è soliti fare in questi casi, i maggiori stati imperialisti faranno ricorso all’uso della guerra, “estrema ratio” fra le controtendenze alla caduta del saggio medio del profitto.

Tutto ciò provocherà movimenti di disoccupati, che per affermarsi dovranno lottare in un primo tempo, non solo contro lo stato borghese, ma anche contro l’opportunismo e gli operai che da esso sono degnamente rappresentati. E solo successivamente si riporranno nel mondo, come oggi inizia ad avvenire in Argentina, le condizioni dell’unità di tutto il proletariato sulla strada lotta di classe.

 

materialismo dialettico

dialettica@xoom.it

 

 

[1] James Petras, Il movimento dei disoccupati in Argentina, , Monthly Review, gennaio 2002

[2] Marx, Il Capitale, I, XXIII, 4, Torino, UTET I° vol., pag. 819

[3] “Direttive dell’azione sindacale del Partito Comunista”; in Il Comunista 7/8/1921

[4] “Per la difesa e la riscossa proletaria contro l’offensiva borghese”; in Il Comunista 20 – 21/8/1921

[5] “Direttive dell’azione sindacale del Partito Comunista”; in Il Comunista 7/8/1921