LA QUESTIONE EUROPEA OGGI, NELLA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE

 

Giugno 1996

 

Joelle Aubron, Nathalie Menigon e Jean Marc Rouillan

Prigionieri dell'organizzazione guerrigliera Action Directe

 

 

"...non dobbiamo dimenticare che c'è una sesta potenza in Europa che in un momento definito, stabilirà il suo dominio sulle altre cinque sedicenti "grandi potenze" e le farà tremare. Questa potenza è la rivo­luzione. Dopo un lungo periodo di calma e di restrizione, è ora chiama­ta sul campo di battaglia dalle crisi e dal fantasma della carestia. Al segnale voluto la sesta più grande potenza europea avanzerà pulendo le armature, spada alla mano... questo segnale sarà la minaccia di guerra europea..."  (Karl Marx)


 

ROUILLAN J. Marc

969 B 204

BP166

65000 Lannemezan

FRANCE

 

Care compagne e cari compagni, come prigionieri della guerriglia di AD ci teniamo ad esprimere prima di tutto la nostra solidarietà con voi tutti "compagne e compagni" rivoluzionari comunisti ed antimperialisti che partecipate alla mobilitazione contro il summit di Firenze, che segna la fine della presidenza italiana della UE.

Noi vogliamo portare alcune riflessioni come nostro contributo al confronto intrapreso durante que­sta iniziativa militante. Il dibattito sull'iniziativa europea è per noi, fin dalle iniziative dei Fronte Antimperialista negli anni '80, decisivo per la comprensione di tutta la fase di mutazione e di crisi del modo di produzione capitalista nell'area geostrategica dell'Europa, dell'insieme Mediterraneo e del Medio Oriente.

Una zona che, dopo essersi lacerata in conflitti e tensioni sempre più virulenti dal Caucaso alla ex Jugoslavia, dalla guerra dei Paesi industrializzati contro l'Irak alla guerra civile algerina, fino ai grandi scioperi di novembre e dicembre scorsi nello Stato francese...

Più ancora tutte le iniziative e le discussioni sulla questione europea assumono fin da ora una cen­tralità incontestabile tanto nella caratterizzazione dello scontro di classe nella nostra epoca, quanto nella ricerca collettiva indispensabile per una prospettiva rivoluzionaria attuale.

In effetti, dopo l'inizio degli anni '80, su tutto il territorio continentale e in ogni paese in particolare, il processo d'integrazione europea condensa e materializza la svolta della reazione borghese per la formazione di un pilastro concorrenziale dei dominio imperialista.

 

LA QUESTIONE EUROPEA OGGI, NELLA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE

 

1) Dapprima, al fine di comprendere pienamente le implicazioni della questione europea e della sua situazione di oggi, pensiamo che sia necessario e importante ritornare brevemente alla svolta storica della fine degli anni '60.

Allora, i grandi movimenti antagonisti proletari e antimperialisti, dalle foreste vietnamite, africane sudamericane alle periferie industriali parigine, torinesi, ai ghetti neri delle megalopoli americane, provocarono, con la loro generalizzazione e con la loro radicalità, una crisi globale dei rapporti sociali borghesi.

Una crisi del dominio della borghesia occidentale che si era formata dopo gli anni '30 e la seconda guerra mondiale.

Una crisi del modello fordista di accumulazione capitalista, una crisi dell'egemonia degli Usa come pilastro delle relazioni imperialiste, una crisi del lavoro alla catena, una crisi dello Stato‑nazione, del suo carattere di Welfare...

E la coniugazione di questi elementi di disequilibrio che hanno fatto vacillare il sistema, aveva come base fondamentale l'estensione e l'acutizzazione della lotta di classe delle masse sfrut­tate e oppresse a livello mondiale.

Un formidabile slancio di contestazione e di rivolta.

La resistenza dei lavoratori allo sfruttamento e quella dei paesi del Tricontinente allo spogliamento delle loro materie prime, rese impossibile alla borghesia la messa in opera di misure capaci di con­trastare il ribasso tendenziale dei saggio di profitto, sempre più accelerato dallo sviluppo conside­revole delle forze produttive dopo la fase della ricostruzione, successiva alla seconda guerra mon­diale.

Ma se le cornici dei dominio imperialista si screpolarono, l'edificio restava in piedi. E la borghesia trovava le risorse sufficienti a riprendere l'iniziativa.

Dato che la crisi di estrazione del plusvalore che si presentava allora era la conseguenza diretta della resistenza operaia, il suo superamento e più globalmente il superamento della "crisi di debo­lezza" della borghesia, non potevano che compiersi in una lotta di classe ancora più accanita.

 

La lotta economica, politica e militare della borghesia monopolista contro il proletariato e le masse dei tre continenti.

Questa controffensiva della borghesia imperialista, una controffensiva mondiale tendente a ristabili­re i tassi di profitto con la confisca dei processo di lavoro tramite il lavoro monopolistico, la riunifica­zione dei mercato sotto il suo diktat, lo sfruttamento intensivo di una nuova ergonomia tecnologica, lo sgombero di tutti gli ostacoli ereditati da un passato basato sugli Stati nazionali e le politiche di "contenimento" sociale, il taglio dei salari e la generalizzazione della precarietà... è soprattutto un processo di lotta di classe destinato a spezzare la resistenza dei lavoratori. Tutto lo slancio di libe­razione e di unità degli anni '60 doveva essere ridotto a niente.

 

Con la flessibilità e la mobilità, la corsa alla competitività, la delocalizzazione, l'esportazione dei capitali, la loro circolazione ultrarapida nella globalizzazione finanziaria, il processo di ricentrazione dei capitali nella triade imperialista, la continentalizzazione... la "totalità dei mondo" è divenuta un elemento permanente e decisivo del sistema dei rapporti di produzione e dei rapporti di scambio.

Se la globalizzazione del capitalismo modella l'omogeneizzazione di una formazione economico­-sociale mondiale, generalizza contemporaneamente le contraddizioni proprie di questo modo di produzione. Il lavoro salariato (cioè anche la disoccupazione di massa dell'esercito industriale di riserva), la merce, il denaro... si sono cosi contraddittoriamente estesi all'intero pianeta. Fino a tra­sformarlo in un vasto mercato dove tutto si compra e tutto si vende, e soprattutto gli uomini, le donne e i bambini.

Ma lo sviluppo ineguale di questo mercato (con l'imperialismo qualsiasi sviluppo può essere solo ineguale) nelle sue diverse territorializzazioni, traccia le basi di una struttura sociale sempre più for­temente gerarchizzata e sempre più polarizzata fra la proprietà e il suo monopolio da un lato, e l'e­spropriazione nello sfruttamento e nell'oppressione dall'altro.

Le forme del ristabilimento dei tassi di profitto e l'accorpamento di questi profitti da parte di un'infi­ma frazione della classe borghese, hanno forgiato così un nuovo regime di accumulazione capitali­stica, meglio conosciuto come toyotismo‑neoliberalismo. E' essenziale comprendere fino in fondo che questo regime toyotista‑neoliberale corrisponde al rapporto di forza nel processo di lotta mon­diale fra le due classi fondamentali dell'epoca: la borghesia monopolista e il proletariato internazio­nale. Ma con questo regime la contraddizione fra le forze produttive e i loro rapporti di produzione non si attenua, anzi compie un balzo considerevole. A livello mondiale questa contraddizione spin­ge gli sfruttati ad agire e a lottare per i propri interessi, immediati e storici, li spinge a costituirsi come classe per rovesciare il rapporto di forza con la borghesia. Ed apre così l'orizzonte ad una nuova situazione rivoluzionaria.

 

2) Se il regime d'accumulazione toyotista‑neoliberale materializza concretamente il rapporto di forza creato dal processo internazionale di lotta di classe, con esso il sistema capitalista subisce anche un'accelerazione del doppio movimento di sviluppo‑deterioramento che lo caratterizza allo stadio imperialista. In effetti negli ultimi due decenni il sistema si è sviluppato in profondità e si è esteso a livello mondiale, ma il nuovo regime porta in sé le stigmate di squilibri inestricabili. Le con­traddizioni fra la proprietà privata dei mezzi di produzione e i rapporti di produzione, l'acuirsi delle contraddizioni tra l'estensione della produzione e la valorizzazione, e così malgrado l'apertura di nuovi mercati e la realizzazione di nuove produzioni tecnologiche, i limiti si ergono in tutta la foro tirannia fino a costituire e rivelare la crisi generale di sovrapproduzione assoluta di capi­tale, che attanaglia tutto il sistema nel suo divenire.

Il dominio dei capitale finanziario, tendenza inerente all'epoca imperialista, subisce una notevole accelerazione, una delle principali manifestazioni della crisi attuale. La ricerca accanita di una valo­rizzazione dei capitali sovraccumulati favorisce la creazione di una economia-casinò ("...la forma vuota di contenuto del capitale, l'inversione e la materializzazione dei rapporti di produzione eleva­te alla massima potenza" – come sottolineava Marx) con l'esplosione del credito e dei giochi specu­lativi sulla produzione, i cambi e le monete. Si intraprende una corsa "sulla strada dell'avventura: speculazione, gonfiamento abusivo del credito, bluff sulle azioni, crisi. Non a caso sul mercato dei cambi le transazioni eguagliano il volume annuale del commercio mondiale. Le transazioni sul mer­cato dei cambi raggiungono ogni giorno 900 miliardi di dollari, tre volte di più delle riserve di cambio delle sette principali potenze industriali e dei membri minori della CE. I capitali sui mercati a ter­mine arrivano a 10 mila miliardi di dollari". E la crisi generale di sovrapproduzione assoluta di capi­tale alimenta senza tregua questo vortice. La crisi del debito estero degli Stati, il debito pubblico, quello dei privati, il debito nei Tre Continenti come nuova forma di spoliazione, ma anche la specu­lazione massiccia sulle materie prime e le divise, provocano una successione di contraccolpi destabilizzanti (crack dell'ottobre 87, caduta della Banca di Barings, crisi messicana...) che mina nel profondo tutto il sistema. Con la crisi tutte le tendenze al deterioramento tipiche dell'epoca imperialistica si accelerano. La guerra concorrenziale si generalizza e con essa, come risultato immediato il dominio intensivo dei monopoli e le derive di questa proprietà confiscata. Ad ogni balzo in avanti nella guerra di produttività, il movimento di monopolizzazione si accentua e con esso i disastri della miseria e della diseguaglianza estrema per la stragrande maggioranza dell'u­manità.

L'introduzione di nuovi processi tecnologici, la razionalizzazione intensiva dei processi di produzio­ne, la pressione permanente alla diminuzione dei salari diretti e indiretti e all'abbassamento dei prezzi delle materie prime, tutti processi per stabilire un tasso di produttività elevato, marcano non solo le forme dell'estensione dello sfruttamento intensivo, ma anche i termini della mondializzazione della precarietà per l'insieme degli uomini e delle donne assoggettati dall'espansione del dominio capitalista. Con la legge del plusvalore, il capitale tende permanentemente a sviluppare ed esten­dere il lavoro salariato, ma allo stesso tempo, a causa del proprio sviluppo tecnologico, non può far altro che restringerne la morsa, fino a renderlo relativamente superfluo ("il capitale come creazione di pluslavoro è contemporaneamente creazione e abolizione del lavoro necessario" – Marx). Il pas­saggio al nuovo modello di accumulazione non poteva quindi che spingere più in avanti questa tendenza, il capitale distruggeva e sottometteva gli altri tipi di produzione e condannava un sempre maggior numero di proletari alle logiche del suo modo di produzione. Dappertutto instaurava i due poli della sottomissione a questa produzione: da un lato lo sfruttamento intensivo e dall'altro la sovrappopolazione ("sovrappopolazione ridotta ad inutilità nella produzione sociale") da un lato dei lavoratori sempre più sfruttati con la flessibilità, la mobilita, gli orari cumulativi, i contratti a termine... e dall'altro la creazione di masse di senza lavoro, che formano gli innumerevoli battaglioni della grande precarietà urbana e internazionale. Cosi la controffensiva borghese e il nuovo regime di accumulazione toyotista‑neoliberale segnano il passaggio ad una nuova epoca, caratterizzata dal­l'estensione dell'ordine monopolistico a tutto il pianeta e con esso lo sfruttamento intensivo, la con­correnza e la concentrazione della proprietà e dei poteri. La tendenza a nuove forme di potere, di Stati tecno‑autoritari e transnazionali (nel processo di fascistizzazione relativo alla confisca dei poteri che corrisponde alla confisca delle proprietà da parte dei monopoli) e la tendenza alla gene­ralizzazione della guerra e del militarismo.

Il mondo è unificato, nel senso che si è creata una gerarchia mondiale che regge e controlla tutto il mondo con metodi autoritari; è avvenuta in effetti una concentrazione totale della proprietà privata; il mondo intero è un trust nelle mani di poche decine di banchieri...". Mondialmente gli sforzi per la salvaguardia e la perpetuazione di questo sistema e della sua crisi pesano sulle spalle di masse proletarizzate supersfruttate e escluse dai processi politici. Sono queste masse che pagano le distruzioni e gli sperperi, il lusso di un'infima manciata di benestanti. Sono queste masse che si dilaniano nei conflitti e nelle guerre per i nuovi profeti della concorrenza produttiva, le vecchie ban­diere e la maschera orrenda degli oscurantismi. Ma sono queste masse che annunciano con le loro lotte e con le loro nuove resistenze la prossima grande crisi rivoluzionaria, la sola capace di porre fine alla vecchia barbarie capitalista.

 

3) Se il nuovo ordine mondiale è malato di crisi interne incurabili (e si sa bene che il limite dello svi­luppo capitalistico è nel capitale stesso e nelle sue logiche), la crisi di questo sistema in putrefazio­ne e indiscutibilmente la più decisiva è il risultato della sua azione nell'edificazione della classe pro­letaria internazionale. Con il suo processo di espansione Il capitale prepara la sua fine in due modi. Da una parte estendendosi a spese di tutte le forze di produzione non capitaliste, si avvicina il momento in cui l'umanità non sarà composta di fatto che da capitalisti e da proletari salariati e in cui, proprio per questo, qualsiasi ulteriore espansione e quindi qualsiasi accumulazione diventerà impossibile" (Rosa Luxemburg).

Non dispiaccia ai grandi manitù degli sproloqui sulla "fine della storia" o sulla "fine del sogno socia­le", ma ineluttabilmente nei meccanismi stessi dei nuovo ordine mondiale si erge un'immensa clas­se di lavoratori‑nullatenenti‑sfruttati. Questa classe si rifiuta decisamente di conformarsi alle fanta­smagorie postmoderne. Ciò che è stato chiamato la "società a due velocità", "dualità", "società del­l'esclusione dei due terzi", "re denaro", "l'intellettuale massa", "il villaggio mondiale", tutto questo paradigma sociologico e putrido del pensiero borghese descrive solamente alcuni aspetti superfi­ciali e di contorno del regime di accumulazione con cui i "falsi profeti" del pensiero istituzionale e i giocolieri delle fiere elettorali occultano le prossime scadenza della lotta di questa classe interna­zionale. E mascherano le nostre responsabilità collettive con l'eurocentrismo, tentando con ciò di distogliere il movimento proletario dai suoi veri interessi unitari nei giochi storici che si profilano. Perché nessuna di queste formule altisonanti affronta le logiche classiste profonde dei nuovo modello, i suoi reali limiti già chiaramente iscritti nel suo emergere e le potenzialità rivoluzionarie che appaiono chiaramente.

La crescita esponenziale della classe proletaria attuale va di pari passo con la sua pauperizzazione e internazionalizzazione.

E per la prima volta dopo l'apparizione del modo di produzione capitalista, il proletariato internazio­nale è la classe più numerosa, non più nei soli paesi fortemente industrializzati, ma bensì a livello planetario. Si tratta di una classe urbana fortemente precarizzata e spossessata della minima deter­minazione sulla propria esistenza. La forza/lavoro attuale è valutata in circa due miliardi e mezzo di individui, cioè due volte di più che nel 1965. E' essenziale sapere che è previsto l'arrivo di più di un miliardo di nuovi lavoratori nei prossimi 25 anni. Il 99% di essi vivrà nelle favelas delle megalopoli dei Tre Continenti. Cosi da qui al 2025 i due terzi dell'umanità vivrà in zone urbanizzate, delle zone dove regna sempre più la precarietà e la violenza di economie "informali" di sopravvivenza, fino alla schiavitù dei bambini, la criminalità di tutti i traffici e la prostituzione di massa. Già più di 500 milio­ni di persone non hanno casa e nei prossimi dieci anni il mondo urbano della povertà conoscerà un'esplosione senza precedenti, passando dai 2,6 miliardi di oggi ai 3,3 miliardi di abitanti... Questa classe e le sue condizioni di miseria corrispondono alla guerra che libera i capitali più potenti. "Una nuova guerra mondiale si profila, ma ora contro l'umanità intera, come in tutte le guerre mondiali, lo scopo è una nuova ripartizione del mondo. Questa guerra moderna che assassina e dimentica la chiamano 'mondializzazione'. La nuova ripartizione del mondo concentra il potere nel potere e la miseria nella miseria" (S.C. insorto Marcos).

E questa classe può raggiungere la sua unità come classe e avanzare nella realizzazione dei suoi bisogni immediati e storici solo nel ribaltamento di questa guerra di spartizione imperialista in guer­ra civile rivoluzionaria. Essa non aspetta niente e non può aspettarsi niente dai sistemi democratici borghesi da cui è esclusa per sua stessa natura. A questi sistemi politici sempre più deformati in un complesso di manipolazione‑repressione di massa, allo spettacolo della politica, all'uniformazione dei programmi governativi di destra come di sinistra, all'opposizione simulacro, pacifica, legale, e orchestrata da organismi sovvenzionati dagli apparati e rapporti dello stato, corrispondono i con­trolli sociali fortemente tecnologici e militarizzati, cioè lo sviluppo della guerra controinsurrezionale permanente. Quando essa vi partecipa niente cambia veramente e a partire dal momento in cui la sua scelta, malgrado l'aggressione mediatico‑ideologica della borghesia internazionale, va contro agli interessi degli organismi transnazionali, avvengono immediatamente dei colpi di stato militari e regimi eccezionali (l'abbiamo constatato in Algeria, Haiti...), se non dei blocchi internazionali (come per Cuba, Libia, Irak...) e la generalizzazione di guerre di sabotaggio economico (Nicaragua, Angola...).

La "classe pericolosa" oggi come ieri non viene considerata se non quando pone i suoi bisogni, la sua "semplice sopravvivenza" in termini di potere, cioè in termini di lotta contro il potere stesso della borghesia reiscritto nei suoi nuovi apparati, rapporti di Stato e nelle sue principali strategie di dominio. E questa guerra è già cominciata nei ghetti, qui nel cuore delle metropoli industrializzate (a Los Angeles o, nell'ottobre dell'anno scorso, nelle principali periferie delle città della Francia e quasi quotidianamente da allora) o ancora nei quartieri periferici e miserabili delle megalopoli dei Tre Continenti, le rivolte contro le politiche dei FMI, i risultati delle deregulation e dei diktat occiden­tali (le sommosse venezuelane, quelle della Nigeria, del Marocco o dell'ottobre 88 in Algeria...). E dappertutto in questa guerra, nella lotta dei "contadini senzaterra brasiliani", degli zapatisti del Chiapas, dei diseredati colombiani e peruviani, delle forze palestinesi ribelli, dei giovani proletari di Bangui contro l'intervento e l'occupazione francese... si determina una lotta per il potere anche qui nel centro. Un processo di unità. Ecco la natura della crisi decisiva del capitalismo, ecco quali sono le vere linee della classe con interessi storici di rovesciamento sociale e internazionale, que­sto proletariato rappresenta il "substrato, la condizione essenziale" della produzione sociale attuale e non può liberarsi se non liberando l'intera umanità, cioè rivoluzionando totalmente la forma di pro­duzione capitalistica mondiale.

 

4) Sebbene molto schematica la rapida panoramica di questi tre punti fondamentali ci è sembrata indispensabile per ricollocare la questione europea nel suo reale contesto e per comprenderne quindi le potenzialità anche per l'attualizzazione del progetto rivoluzionario. Durante la controffensi­va reazionaria della borghesia imperialista internazionale, il processo di integrazione europea è stato al centro della mutazione del dominio sul nostro continente, ha coinciso e coincide con il rap­porto di forza intensivo ristabilito in favore della borghesia da questa controffensiva, e ne è un ele­mento decisivo. Di conseguenza le qualità e i caratteri del nuovo regime di accumulazione del M.P.C. si concentrano su di esso, così come gli effetti delle sue crisi. Lo sfruttamento e la concor­renza, le ristrutturazioni e le deregulation, l'estensione dei nuovi metodi di lavoro e dei nuovi rappor­ti di classe, le tendenze al militarismo e le risonanze delle lacerazioni concorrenziali interimperiali­ste, le contraddizioni tra l'omogeneizzazione e le fratture del sistema internazionale, la globalizza­zione finanziaria e la costruzione di barriere protezioniste mascherate, la concentrazione e la lonta­nanza dei poteri reali rispetto alla manipolazione onnipresente, rappresentata dai poteri formali, un processo di controllo di massa, di uniformizzazione del "cittadino Europeo" e contemporaneamente i contorni locali del nuovo apartheid mondiale all'ombra dei ghetti urbani e delle frontiere di filo spi­nato della "cittadella continentale"... All'epoca del regime toyotista‑neoliberale il processo di integrazione europea rappresenta "l'estensione del luogo in cui il capita­le si costituisce come rapporto sociale", il luogo "in cui si allacciano i rapporti sociali originari e/o dominanti che costituiscono questo capitale". La costruzione europea è dunque un processo reazionario concretamente legato agli sviluppi dei processo di fascistizzazione dei rapporti imperialisti di dominio. Così la questione europea non si pone al di sopra o al di sotto di rapporti e apparati degli Stati nazionali in termini immutabili, ma essa corri­sponde al cambiamento dei rapporti di sfruttamento e di potere che si sono dati a partire dagli anni '80, rapporti che si materializzavano nella transtatualizzazione fondata dalla fitta trama dei vari trat­tati, ordinanze, leggi, direttive e decreti, norme... a livello di convergenza continentale. Se nella fase precedente, quella del dopoguerra, l'obiettivo principale del processo di integrazione europea era quello di erigere un solido pilastro (attorno alla rimilitarizzazione e alla ricostruzione della Germania) per il blocco imperialista occidentale in contrapposizione al blocco dell'Est europeo; se esso diventava il cavallo di Troia della penetrazione‑dominio dei capitali monopolistici Usa su que­sto territorio continentale (a partire dal Piano Marshall e dai differenti piani per "aiutare la libertà"), dall'estensione del modello fordiano del Welfare State, della potenza della Nato e del militarismo americano, oggi il processo di integrazione europeo rappresenta per la borghesia qui la capacità di costituire un insieme concorrenziale continentale della stessa portata del conflitto interimperiali­sta con i due altri perni della triade industrializzata: gli Usa e il Giappone. Tutti i caratteri del potere dell'Unione si fondano su questa realtà concorrenziale. La partecipazione della borghesia monopo­lista europea alla guerra mondiale di rispartizione, con un rapporto di forza conseguente, dipende da ciò. Tali caratteri materializzano un rapporto di conflitto e lo portano ad un livello superiore, sia nel conflitto interimperialista, che nel conflitto con le masse proletarizzate in Europa stessa e nei Tre Continenti.

Da una quindicina di anni numerosi compagni, dopo aver completamente negato l'importanza di questo processo, annunciano la sua definitiva sepoltura ad ogni suo minimo ritardo (dalla crisi dello Sme, al referendum danese, e ancor oggi, con la crisi della "mucca pazza"). Bisogna giustamente sottolineare come il movimento caotico della costruzione dell'Unione sia in effetti il riflesso stesso del suo cammino in avanti, lo schoc inevitabile della tendenza alla riconcentrazione dei capitali e del suo processo di continentalizzazione (nell'accelerazione storica e la supremazia degli investi­menti diretti esterni) con le controtendenze inscritte dalle concorrenze interne di questi stessi capi­tali e i molteplici arcaismi rappresentati dalla conservazione accanita, da parte degli strati borghesi in declino, di poteri ereditati dall'epoca precedente. La costruzione europea è il risultato di un pro­cesso di lotta di classe diretto dalla frazione dominante – la più monopolistica – della borghesia e solamente la lotta rivoluzionaria dell'altra classe principale, il proletariato, può trasformarne radical­mente i contenuti e il divenire. D'altra parte sempre più lavoratori hanno capito oggi come la que­stione europea sia il perno della lotta per le loro condizioni di esistenza. Che ciò sia a fronte delle politiche di rigore governativo per raggiungere la convergenza di Maastricht, a fronte dello smantel­lamento di settori industriali, della sicurezza (sociale) o ancora dei servizi pubblici... o anche a fron­te della globalizzazione finanziaria, della deregulation, dell'introduzione della mobilità e della flessi­bilità produttiva, o ancora a fronte della repressione permanente con strumenti come Schengen, le leggi speciali antirifugiati, i campi di concentramento, la creazione dell'Europol... ecc. E così i gran­di scioperi di novembre e di dicembre scorsi hanno posto nello stesso slancio la difesa dei servizi pubblici e di un altro sviluppo sociale, il problema del modello di accumulazione capitalista e quello del suo principale strumento sul nostro territorio: l'Unione Europea.

Non poteva essere altrimenti in questa ripresa dell'iniziativa, che supera le lotte parziali che hanno caratterizzato il decennio precedente. E non può più essere altrimenti, il corso degli avvenimenti dell'ultimo anno lo dimostra. Ogni lotta, ogni resistenza del proletariato europeo, si troverà a con­frontarsi inesorabilmente con le forze integrate e con i differenti poteri della borghesia monopolista, dei governi delle regioni "autonome" e degli Stati‑nazionali, con i rapporti e apparati statali dell'Unione. E inesorabilmente queste lotte e resistenze tracciano e anticipano, in un processo di unità, la risoluzione rivoluzionaria del superamento di questi poteri.

 

5) "L'epoca dell'imperialismo è l'inizio della rivoluzione sociale e alla coalizione del capitalismo mondiale deve corrispondere l'unità del fronte proletario".

Il proletariato ha sempre avuto coscienza dell'importanza della sua unità come posta stessa della rimessa in causa del dominio e dello sfruttamento. E non è un caso se gli scioperanti dell'inverno scorso sfilavano nelle strade scandendo la parola d'ordine: "Tutti insieme"! Ma troppo spesso anco­ra, prigioniere delle semplificazioni e delle mobilitazioni scioviniste, le masse proletarie non hanno potuto che riprendere le soluzioni ripetute dalle false unioni popolari, del ritorno al quadro stretta­mente nazionale (vale a dire il ritorno in seno agli Stati‑nazione e al sistema di questi Stati, oggi totalmente sopraffatto dallo sviluppo delle forze produttive), dell'interclassismo nei raggruppamenti attorno agli interessi della "propria" borghesia...

Perché se lo spazio statale e nazionale era ancora ieri "in quanto alla sua forma" il cuore di ogni progetto rivoluzionario, oggi, senza dubbio, ciò non è più vero. E sempre più questo spazio diviene l'unico ripiego delle forze opportuniste che rifiutano il cambiamento d'epoca, rifiutando i termini stessi della situazione rivoluzionaria della centralità della classe proletaria, rifiutando i termini nuovi dell'unità di questa classe internazionale. Da un lato le forze opportuniste che non hanno altro scopo che la conquista della gestione dello Stato nella partecipazione alle istituzioni, all'opposizio­ne‑simulacro. Dall'altro i rappresentanti del dogmatismo di cappella che hanno sempre attribuito alle questioni internazionale ed europea un ruolo strumentale e subalterno, di solidarietà platoniche e di implicazioni puramente meccaniche. Per tanto, per noi non si tratta di imporre un nuovo spazio in senso stretto e una nuova centralità in rimpiazzo di quelle concentrate prima negli Stati‑nazione, e di progettare cosi l'idea di un proto‑stato o della semplice mondializzazione, che rappresentereb­be lo stesso rifiuto di prendere in considerazione le mutazioni in corso col toyotista‑neoliberale. Ma di ben capire il senso profondo di queste mutazioni e della crisi rivoluzionaria che ne deriva. Perciò bisogna uscire dalle librerie polverose e dalla ripetizione dei vecchi principi immacolati, e guardare la realtà in faccia. Anticipare e affrontare le grandi questioni centrali così come si delineano nella congiuntura e apportarvi delle risposte concrete.

 

 

Così il salto al nuovo regime di accumulazione toyotista‑neoliberale e il salto all'Unione Europea determinano tutto un insieme di questioni sempre in sospeso. Ma le iniziative militanti e le discus­sioni come quelle che voi organizzate oggi, in occasione del Summit europeo di Firenze, sono dei luoghi tra numerosi altri circoli di resistenza e atti di rivolte da dove sorgeranno gradualmente le premesse concrete della loro risoluzione come impegno in un processo di unità.

 

Saluti rivoluzionari

Giugno 1996

 

Joelle Aubron, Nathalie Menigon e Jean Marc Rouillan Prigionieri dell'organizzazione guerrigliera Action Directe



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