Circuiti differenziati e 41 bis
da Senza Censura n. 9 - marzo 2002

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Alcune note sull'attuale organizzazione del sistema carcerario
Richiamando come premessa l'articolo "Qualche osservazione a ruota libera sulla situazione carceraria" apparso sul numero 5 di Senza Censura cercheremo di focalizzare l'attenzione sull'attuale organizzazione del sistema carcerario esaminando le disposizioni impartite dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria in tema di "gestione dei detenuti" e di differenziazione dei circuiti penitenziari ed approfondendo nella seconda parte l'analisi sul circuito di massima deterrenza oggi operante in Italia, quello destinato ai detenuti in 41 bis O.P.
L'esperienza ultraventennale maturata dallo Stato in tema di differenziazione ed individualizzazione del trattamento penitenziario ha consentito negli anni novanta di sistematizzare la materia relativa ai circuiti carcerari correlandola organicamente con la legge penitenziaria (la cosiddetta riforma penitenziaria del 1975 novellata nel 1986 dalla c.d. legge Gozzini) e con il decreto legge 8 giugno 1992 n. 306 (cosiddetto decreto Scotti-Martelli ) convertito nella legge n° 356/92 che aggiungeva al già esistente art. 41 bis un ulteriore comma con il quale viene disposta "la sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'art. 4 bis O.P., ovvero in primo luogo per i reati di associazione mafiosa, di sequestro di persona a scopo di estorsione, di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ma anche per i reati commessi con finalità di terrorismo, per il reato di omicidio, di rapina ed estorsione aggravata e per traffico di ingenti quantità di stupefacenti.
Attualmente i circuiti penitenziari sono così classificati dall'amministrazione penitenziaria:

  1. Circuito penitenziario di primo livello, di cui fanno parte Istituti e sezioni di istituti destinate alla cosiddetta Alta Sicurezza (AS).

    Istituti o sezioni destinate all'Elevato Indice di Vigilanza Cautelativa (EIVC), Istituti o sezioni destinati al cosiddetto 41 bis O.P.

    Il circuito di primo livello è destinato in linea di massima ai detenuti imputati o condannati per i delitti di cui agli artt. 416 bis, 630 c.p., e 74 T.U. n. 309/90 (associazione di stampo mafioso, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti).
    "La differenziazione di tali soggetti dagli altri trova ragione nella pericolosità degli stessi connessa al tipo di reato e alla capacità di proselitismo o sopraffazione ed inoltre nella caratteristica ad essi comune di essere esclusi dalle misure alternative e dai benefici penitenziari ai sensi dell'art. 4 bis dell'Ord. Pen. Il circuito prevede la rigorosa separazione dagli altri detenuti di quelli in esso inseriti, l'uso di strutture sicure dal punto di vista edilizio e, quanto più possibile dal punto di vista degli apparati e dispositivi elettronici e meccanici, il massimo della sicurezza dal punto di vista della gestione soprattutto per quanto riguarda la sorveglianza.
    Per la gestione di questi detenuti - le cui assegnazioni ed i cui trasferimenti sono riservati all'Ufficio IV del DAP si stabiliscono alcune precise regole:

    • I detenuti di I° livello devono essere assegnati o trasferiti sempre e soltanto negli Istituti e nelle sezioni degli Istituti di AS. I più pericolosi tra tali detenuti - i c.d. capi o comunque gli esponenti di maggior spicco - devono essere sempre e soltanto assegnati o trasferiti in Istituti o sezioni AS lontani dalle loro Regioni.

    • I detenuti del primo livello non possono per alcuna ragione uscire dalle sezioni alle quali sono assegnati. Ciò significa che tutte le attività di questi detenuti, passeggi, colloqui, attività scolastiche, momenti di socialità devono svolgersi all'interno della sezione senza che i medesimi detenuti occupino o utilizzino altre parti dell'istituto e senza dunque che essi incontrino o possano incontrare detenuti di altro livello.

    • In tutte le sezioni AS e in tutte le attività che comportino la presenza di detenuti del primo livello deve essere esercitata una sorveglianza estremamente attenta e scrupolosa, adeguata al livello di pericolosità dei detenuti stessi.

    • (...)

    • Certamente per i detenuti del 1° livello le esigenze della sicurezza devono prevalere su quelle trattamentali.
      Tuttavia sono auspicabili attività scolastiche, di istruzione professionale, lavorative, culturali, religiose, sportive nei limiti in cui vi sia rispetto e garanzia assoluti della sicurezza, dell'ordine e della disciplina. Queste attività devono essere svolte nell'ambito della sezione e in ogni caso si deve limitare il numero di detenuti del 1° livello ammessi ad una qualunque attività in comune, allo scopo di meglio tutelare le esigenze di sicurezza.

    • I detenuti di primo livello sono per legge esclusi dai benefici del lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione a meno che abbandonino le loro scelte criminali e collaborino con la giustizia.
      Essi sono invece ammessi alla liberazione anticipata purché, ai sensi dell'art. 54 della legge penitenziaria abbiano "dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione". La "partecipazione all'opera di rieducazione" non può assolutamente identificarsi con il comportamento formalmente regolare che assai spesso è proprio dei detenuti mafiosi, ma è uno schermo di finzione e simulazione che non indica affatto una intenzione o volontà di ravvedimento e piuttosto nasconde, in realtà, il mantenimento della scelta criminale ed un alto o altissimo grado di pericolosità".

    (Circolare DAP - 21 aprile 1993 n° 3359/5809)

    Nel 1998 una nuova circolare del DAP (n° 3479/5929), della quale riportiamo ampi stralci, chiarisce ulteriormente quali categorie di detenuti vanno assegnate ai diversi livelli o circuiti e inserisce una ulteriore classificazione per quei "detenuti pericolosi c.d. comuni così come per i detenuti per reati di terrorismo o eversione che, pur continuando ad essere assegnati a sezioni tradizionalmente caratterizzate da rigore custodialistico e massima sicurezza, spesso coincidenti con le sezioni in cui fu applicato il regime previsto dall'abrogato art. 90 dell'Ord. Pen., di cui costituiscono una continuazione storica sotto il profilo della organizzazione", non sono stati presi in considerazione dalla circolare Dap del 1993. Per questi detenuti viene regolamentato il circuito denominato EIVC ovvero circuito ad Elevato Indice di Vigilanza Cautelativa inserito a pieno titolo nel Circuito di primo livello.

    "I detenuti inseriti in queste sezioni corrispondono a soggetti di interesse dell'opinione pubblica, vuoi per la notorietà dei gesti criminosi eclatanti commessi vuoi per il particolare allarme che sempre creano gli autori di fatti terroristici o eversivi."

     

  2. Circuito penitenziario di secondo livello ossia di Sicurezza Media (SM) .
    Questo circuito è destinato ai detenuti che non rientrano né nel primo né nel terzo livello e cioè alla stragrande maggioranza dei detenuti.
    Tale circuito presuppone un giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e le esigenze trattamentali.
    Vale a dire si devono garantire la sicurezza, ossia l'ordine e la disciplina nell'Istituto ma si devono anche progettare, incentivare e realizzare tutte le possibili attività scolastiche ricreative e si devono a tal fine sviluppare i migliori rapporti con le regioni e gli enti locali, con tutti i settori istituzionali e sociali, incoraggiando e favorendo l'ingresso e il contributo della comunità esterna e del volontariato. Ed anzi, dopo un periodo caratterizzato da una tendenza contraria all'autentico spirito della riforma penitenziaria, è assolutamente necessario un forte rilancio delle attività trattamentali e risocializzanti, nel segno di quel carcere della legalità e della speranza che rimane l'obiettivo e l'ideale dell'Amministrazione penitenziaria italiana. (Circ. DAP citata)

  3. Circuito penitenziario di terzo livello, ossia di Custodia Attenuata (CA)
    Questo circuito è destinato ai detenuti tossicodipendenti non particolarmente pericolosi, ossia più recuperabili. Se nel primo circuito la sicurezza prevale sul trattamento, in questo è il trattamento che prevale, nel senso che ai detenuti tossicodipendenti deve essere offerta una risposta la quale stia, non tanto sul piano punitivo, quanto sul piano della cura e della riabilitazione - finalità per le quali è sancito un obbligo di collaborazione con le USL. (Circ. DAP citata)

Come emerge chiaramente dalla semplice lettura delle disposizioni Dap, a partire dal 1993, viene messa a frutto l'esperienza accumulata a seguito della sperimentazione delle carceri speciali e delle sezioni di massima deterrenza (braccetti della morte ecc) regolamentando la "gestione dei detenuti" ed attestandosi ad un livello più avanzato di governo del carcere e della sua proiezione verso l'esterno, affinando tutti gli strumenti tesi alla differenziazione e individualizzazione del trattamento.
Tirando le somme quindi possiamo dire che il nuovo corso della politica carceraria, inaugurato con i provvedimenti presi dall'esecutivo dieci anni fa (cd. decreto Scotti Martelli che introduceva l'art. 41 bis 2° comma nonché l'art. 4 bis della Legge Penitenziaria che pone il divieto di concessione dei benefici per una serie di reati), ha istituzionalizzato in concreto due circuiti; nel primo (AS, EIVC, regime del 41 bis) vige la sola legge del bastone e nell'altro (SM e CA) si realizza invece lo spirito della riforma (bastone e carota).

Punta di diamante del primo circuito è il regime del cosiddetto 41 bis O.P.
Introdotto in un momento storico particolare come norma a termine, col fine dichiarato di voler affrontare "l'emergenza mafia e criminalità organizzata" il 41 bis è diventato in realtà la punta di diamante del sistema repressivo carcerario, non rappresentando più l'espressione di un momento particolare di scontro ma lo strumento massimo di repressione contro chiunque si ribella, si organizza e lotta.
(si veda la scheda in fondo sull'ultimo disegno di legge in tema di applicabilità del 41 bis).
Vediamo ora cosa dispone realmente questo articolo, a chi viene applicato attualmente, quali sono le condizioni di vita o meglio, di non vita, imposte a questi prigionieri.
L'art. 41 bis 2° comma dell'Ordinamento Penitenziario recita:

"Quando ricorrono gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'Interno, il Ministro di Grazia e Giustizia ha la facoltà di sospendere in tutto o in parte nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'art. 4 bis, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza."

Ciò significa che per una determinata categoria di detenuti (per lo più imputati o condannati per i reati di associazione mafiosa, sequestro di persona a scopo di estorsione e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) non si applicano le regole di trattamento ordinarie in quanto vige una presunzione assoluta di pericolosità, fondata non sull'osservazione del detenuto (pilastro della Legge di riforma penitenziaria) e quindi sul suo comportamento ma sul titolo di reato.
Le persone detenute in queste sezioni, dove è stato istituzionalizzato il meccanismo progressivo della "pena nella pena" che come le manette americane si stringe intorno al prigioniero fino alla sua distruzione, sono circa 600.
Questi detenuti possono fare una sola ora di colloquio al mese attraverso un vetro divisorio a tutta altezza e parlano con i loro familiari attraverso i citofoni.
Di fatto molti, privi di mezzi economici, effettuano un colloquio ogni quattro mesi e quindi vedono i propri parenti per tre ore all'anno in quanto, diversamente che per gli altri detenuti, è vietato cumulare le ore di colloquio.
Qualora il detenuto nel corso del mese non svolga colloquio visivo è possibile effettuare una telefonata registrata ai familiari. Il decreto impositivo non dice però che questa telefonata non può essere effettuata direttamente a casa ma nel carcere più vicino al luogo di residenza della famiglia.
I parenti del detenuto, per poter sentire il proprio congiunto alcuni minuti, devono quindi recarsi in carcere per essere identificati ed attendere magari delle ore il collegamento.
Non possono ricevere più di due pacchi al mese.
Non possono cucinare e possono acquistare solo i prodotti e i generi alimentari di volta in volta decisi dalle singole amministrazioni carcerarie. In molte sezioni ad esempio è vietato acquistare le banane o la marmellata.
Non importa che uno sia malato e debba seguire una dieta particolare o che qualcuno ad esempio sia vegetariano; tutt'al più viene garantito il "vitto in bianco" che consiste in pasta cotta e priva di qualsiasi condimento.
Peraltro in molte carceri (ad esempio Rebibbia) non vengono rispettate le tabelle ministeriali relative al vitto, che risulta scadente sia per quantità che per qualità.
Secondo il decreto impositivo del regime speciale possono organizzare attività culturali, ricreative o sportive, ma nel concreto non possono nemmeno partecipare ad alcuna di queste attività perché nella maggior parte delle sezioni destinate a questi detenuti non sono mai state istituite palestre, biblioteche o comunque strutture destinate alla socialità.
Tutto ciò in contrasto con i dettati della Corte Costituzionale che da un lato ha dichiarato non illegittimo il 41 bis ma dall'altro ha statuito che non è illegittimo qualora vengano garantite ai detenuti le stesse possibilità rieducative previste per gli altri reclusi (!).
Non possono svolgere alcuna attività artigianale né in proprio né per conto terzi. Ciò vuol dire che non è per esempio consentito dipingere, o intagliare il legno o fare qualsiasi altra attività che possa aiutare il detenuto a dimenticare per un solo istante il luogo in cui si trova.
Hanno il visto di controllo sulla corrispondenza il che significa che una lettera viene consegnata, se va bene, con una media di 7-10 giorni di ritardo. Se il censore non comprende una parola dispone immediatamente il sequestro della corrispondenza, anche quella proveniente da bambini delle elementari, trasmettendola all'autorità giudiziaria competente. Alla fine la lettera viene consegnata ma quando arriva sono passati ormai dei mesi e le notizie contenute non hanno più alcun senso.

A queste prescrizioni disposte direttamente dal Ministro di Grazia e Giustizia si aggiungono un'altra serie di limitazioni di volta in volta stabilite dal direttore dell'Istituto o più verosimilmente dal responsabile del Gruppo Operativo Mobile (GOM), il corpo speciale della polizia penitenziaria che gestisce queste sezioni. Così in molte di queste sezioni vi è il divieto di portare i guanti o un cappelletto di lana in testa, in altre è consentito il cappelletto a patto che non arrivi a coprire le orecchie (si consideri che la maggior parte delle carceri dove stanno questi detenuti è al Nord: Parma, Novara, Tolmezzo - UD, ecc), non possono essere usate più di due coperte, viene limitato il numero di fotografie dei propri congiunti da poter tenere in cella, il numero dei libri e delle riviste.
I ritmi e i tempi della giornata sono cadenzati, per questi detenuti, con una meticolosità ossessiva. Spesso l'orario per la doccia coincide con quello dell'aria e quindi o si fa una cosa o si fa l'altra. All'aria si va a rotazione, quattro-cinque alla volta, sempre con le stesse persone, senza alcuna possibilità di autodeterminare i gruppi.
Nonostante non viga alcun divieto esplicito in ordine alla possibilità di svolgere attività lavorativa all'interno delle sezioni (spesino, portavitto, scopino) in molte carceri queste mansioni sono sottratte ai detenuti in 41 bis ed affidate a lavoranti di altre sezioni, che svolgono il loro compito sotto stretta sorveglianza ed hanno il divieto assoluto di rivolgere la parola a questi detenuti.

Oltre a queste limitazioni ve ne sono altre che intaccano gravemente il diritto alla difesa: questi detenuti non possono più partecipare ai processi nei quali sono imputati. Per loro è stato inventato il processo a distanza, con la cosiddetta videoconferenza.
Si è detto che questa compressione del diritto di difesa era necessaria per evitare il "turismo carcerario" ed in particolare gli incontri tra i detenuti coimputati. Nella realtà avviene che gli imputati di un determinato processo vengano perlopiù destinati al medesimo istituto e quelli che sono in altre carceri subiscono trasferte quotidiane (con viaggi massacranti anche per duecento-trecento chilometri) per assistere al processo in videoconferenza. Con i difensori possono comunicare attraverso dei telefoni, senza alcuna riservatezza.
In conclusione la situazione è la seguente: nelle aule di giustizia rimangono soltanto i giudici e gli avvocati mentre gli imputati, che non avrebbero dovuto incontrarsi (!), vengono concentrati nella stessa sala di un carcere per seguire in televisione un processo dove è assente il soggetto o meglio l'oggetto principale: l'imputato appunto!
I colloqui con gli avvocati si svolgono con le stesse modalità previste per i familiari ovvero attraverso un vetro. Il timore, tutt'altro che infondato che anche il colloquio con il difensore sia registrato, unito all'impossibilità, vigente in molte carceri, di portare anche un taccuino per gli appunti vanifica del tutto il diritto alla difesa.
Tutte le misure applicate a questi detenuti non hanno nulla a che vedere né con la pericolosità né con le "esigenze di ordine e di sicurezza".
Non si comprende infatti cosa cambia se ad esempio si fanno due ore di colloquio anziché una, come si possa attentare alla sicurezza se si portano i guanti di lana nel mese di gennaio, si mangiano le banane ordinate attraverso l'amministrazione penitenziaria, ci si scambia un giornale con le persone con cui si va all'aria o si tengono più di dieci fotografie in cella.
È evidente da questi pochi esempi che la finalità del regime speciale dettato dall'art. 41 bis non è quella di tutelare la collettività e per essa l'ordine e la sicurezza, ma quella di utilizzare tutti gli strumenti di coazione psichica e fisica per spingere questi detenuti alla collaborazione.

Il nuovo disegno di legge

Il 25 settembre 2001 la Commissione Giustizia del Senato ha approvato all'unanimità il nuovo disegno di legge che modifica l'art. 41 bis e l'art. 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario.
Innanzitutto viene decisa la stabilizzazione dell'art. 41 bis che finora è stato, almeno formalmente, una norma a termine anche se nella sostanza, attraverso varie proroghe, viene applicato a centinaia di detenuti da oltre 10 anni.
Viene aumentato il periodo di applicazione del regime speciale che passa dagli attuali sei mesi (sempre indefinitamente prorogabili e di fatto prorogati) a un periodo che va da un minimo di un anno a un massimo di due anni, periodi ovviamente sempre prorogabili.
Ciò significa che il provvedimento applicativo del 41 bis non può essere impugnato ogni sei mesi come avviene ora ma ogni anno o due anni.
Va comunque ricordato che sembra vigere un patto di ferro tra Ministero (organo che applica il provvedimento) e Tribunali di Sorveglianza (organi territoriali competenti per il reclamo) in quanto negli ultimi dieci anni sono stati davvero pochi i reclami accolti; i Tribunali di Sorveglianza si limitano per lo più ad affermare che il provvedimento è legittimo e che la vita nei lager del 41 bis non rappresenta "un trattamento inumano e degradante".
Il fatto che venga applicato per un periodo più lungo del "di sei mesi in sei mesi" è certamente un dato allarmante, ma potrà almeno consentire di fare il ricorso in Cassazione, mentre in tutti questi anni la Corte Suprema non si è mai pronunciata poiché il ricorso perveniva allo scadere dei sei mesi e veniva dichiarato inammissibile per carenza di interesse, anche se quello stesso soggetto continuava ad essere sottoposto al 41 bis in forza di un nuovo provvedimento praticamente identico a quello precedente.
Le altre restrizioni sono relative al numero delle persone (tre) con cui poter socializzare e alla durata della permanenza all'aperto (viene stabilito il tetto massimo di due ore d'aria).
La novità maggiore del disegno di legge è relativa all'esclusione di qualsiasi beneficio previsto dall'ordinamento penitenziario per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento penitenziario nonché per i reati di cui agli artt. 600 601 e 602 del codice penale (Riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi) e l'applicazione a questi stessi reati del regime penitenziario del 41 bis.
Solo se ci si pente e si collabora con lo Stato si potrà accedere alle misure alternative quali la semilibertà, il lavoro all'esterno, i permessi premio ecc.
Il regime del 41 bis potrà essere applicato innanzitutto nei confronti dei prigionieri rivoluzionari detenuti ormai da circa 15-20 anni in quanto la norma è retroattiva ed è prevista l'inapplicabilità solo per coloro che sono già ammessi a misure alternative.
Sarà certamente applicato nei confronti di appartenenti ad organizzazioni rivoluzionarie, ma più in generale contro chiunque si organizza su un terreno antagonista ed infine sarà lo strumento repressivo di punta contro l'immigrazione clandestina grazie alla clausola sulla schiavitù che colpirà non gli schiavisti, ma gli "schiavi".

 

 

41 bis: volontà comuni!

Alcune citazioni "eccellenti" (dal 1997 al 2001) che si commentano da sé...

41bis, era il 1997
Il ministro Flick sul regime penitenziario del "41 bis" (Roma, 4 aprile 1997 - Comunicato Stampa - Ministero di Grazia e Giustizia)
Nessuna modifica normativa è stata proposta o attuata da me o dal ministero della Giustizia sull'articolo 41 bis dell'Ordinamento penitenziario. Devo tuttavia tornare a ricordare che sul ministro della Giustizia (e, per lui, sul sottosegretario delegato senatore Ayala) e sull'Amministrazione penitenziaria incombe l'obbligo di adottare le misure restrittive rispetto al normale regime penitenziario, nei limiti e secondo l'interpretazione ripetutamente dettata dalla Corte costituzionale, nonché secondo la giurisprudenza, costante e imponente, della magistratura di sorveglianza.
Quest'ultima, in alcuni casi e nelle ultime settimane, ha disposto la parziale disapplicazione delle modalità del "41 bis", anche nei confronti di detenuti ai quali erano già state estese le misure disposte dal provvedimento amministrativo del 4 febbraio scorso, reso peraltro necessario dalla sentenza costituzionale 351 dell'ottobre 1996.
Ben consapevole che il "41 bis" costituisce uno strumento fondamentale per contrastare il permanere di collegamenti con la criminalità organizzata anche durante la detenzione - impartendo ordini per l'esecuzione di nuovi crimini, mantenendo rapporti gerarchici e intimidatori nei confronti di altri detenuti e verso l'esterno - ho immediatamente riproposto, in forma più completa e sistematica rispetto a un disegno di legge della passata legislatura, le cosiddette videoconferenze nel processo penale. Ciò per evitare il "turismo giudiziario" degli imputati di criminalità organizzata, che pregiudica l'isolamento verso l'esterno oltre a comportare un notevole allungamento dei tempi processuali, con il rischio di far decorrere i termini di custodia cautelare quando non sia già intervenuta una condanna definitiva. Quel disegno di legge evita anche la competenza "itinerante" proprio in materia di reclami sull'articolo 41 bis, ma non è ancora stato discusso dalla commissione Giustizia della Camera dei deputati, alla quale è stato assegnato il 24 luglio 1996 (atto C/1845).
Nei pur ristretti margini di intervento che, alla luce di quanto ricordato, restano al ministro della Giustizia ho comunque chiesto al senatore Ayala di disporre una approfondita verifica sulle concrete modalità applicative del "41 bis" nei confronti di ciascuno degli oltre 400 detenuti attualmente sottoposti al regime restrittivo, in ognuno degli undici Istituti penitenziari in cui sono normalmente ospitati (250 tra Pianosa e Asinara), nonché in relazione alle modalità osservate in occasione dei trasferimenti temporanei in altri Istituti, al fine della partecipazione ai dibattimenti.
All'esito di tale verifica mi riservo di valutare la possibilità di interventi regolamentari o di proposte legislative per una definitiva messa a punto della delicatissima materia, che peraltro non potrebbe mai eludere le precise indicazioni della Corte costituzionale, la quale tra l'altro fin dal 1993 ha attribuito alla magistratura di sorveglianza il sindacato di legittimità sui singoli provvedimenti restrittivi, inizialmente non previsto dal legislatore. Ricordo però che il nostro ordinamento prevede anche l'istituto dell'isolamento giudiziario, che può essere motivatamente disposto dal giudice su richiesta della pubblica accusa, e che nei casi di grave e documentata pericolosità può essere opportunamente affiancato al "41 bis".
Per quanto riguarda infine la prossima chiusura di Pianosa e l'Asinara, ricordo a quanti attribuiscono tale decisione al Governo, che essa è invece frutto di una precisa e sovrana volontà del Parlamento, il quale in sede di conversione del Dl 554/1996 nella legge 652 del 23 dicembre 1996, ha anticipato la chiusura - inizialmente stabilita al 30 giugno 1998 per la sola Asinara (in ossequio a un precedente atto d'indirizzo dello stesso Parlamento) - al 31 ottobre 1997 per entrambi gli istituti.

41bis, era il 2000
Consiglio dei Ministri: approvati i DDL riguardanti il nuovo regime di 41 bis e la Convenzione civile sulla corruzione (22 Settembre 2000 - Comunicato stampa - Ministero della Giustizia)
Il Consiglio dei Ministri ha approvato oggi, in seduta pomeridiana, due Disegni di legge:
"Norme in materia di applicazione ai detenuti dei regimi di massima sicurezza e di speciale sicurezza";
"Ratifica ed esecuzione della Convenzione civile sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 4/11/99", di concerto con il Ministero degli Esteri.
Il primo provvedimento interviene sull'articolo 41 bis, comma 2, dell'Ordinamento penitenziario (Legge 354/75), introdotto in via temporanea nel '92 all'indomani della strage di Capaci. Tale istituto - che consente al Ministro della Giustizia di sospendere totalmente o parzialmente le normali regole di trattamento, in caso di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, per alcune categorie di detenuti - ha sempre mantenuto il carattere della temporaneità, venendo ripetutamente prorogato nel corso degli anni.
"L'esperienza maturata in otto anni di applicazione del 41 bis - ha dichiarato il Ministro della Giustizia, On. Piero Fassino - e le diverse pronunce della Corte Costituzionale ci impongono di dare stabilità a tale disciplina, che si è dimostrata uno strumento fondamentale ed insostituibile nella lotta alla criminalità organizzata. Abbiamo, quindi, predisposto questo provvedimento non per dare una semplice proroga in vista della scadenza del 31 dicembre prossimo - ha proseguito il Guardasigilli - ma per mettere a regime la norma conferendole, contestualmente, un contenuto più articolato rispetto a quella del '92. Un importante contributo, specie nel procedimento applicativo, potrà comunque venire dal dibattito parlamentare, anche tenendo conto dell'esperienza maturata dalla Direzione Nazionale Antimafia e dagli altri uffici giudiziari e di polizia impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata."
L'obiettivo del regime di rigore previsto dal 41bis è impedire che continuino a vivere canali di comunicazione e vincoli di appartenenza tra il singolo detenuto mafioso e l'organizzazione criminale.
Al centro del Disegno di legge è, infatti, la previsione di due distinti regimi:
uno più rigoroso per i promotori, i capi e gli organizzatori delle associazioni di tipo mafioso di cui all'articolo 416 bis del Codice Penale, e per i detenuti condannati o imputati di reati particolarmente gravi - associazione mafiosa, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, terrorismo o eversione dell'ordine costituzionale, associazione a delinquere realizzata per commettere delitti quali omicidio, estorsione aggravata, riciclaggio, immigrazione clandestina a fine di lucro o di sfruttamento della prostituzione - che rivestano una posizione di rilievo nell'ambito della criminalità organizzata;
l'altro, che riguarda i condannati e gli imputati per i delitti sopra citati - con l'aggiunta di rapina aggravata, usura aggravata, contrabbando aggravato - che non rivestono posizioni di vertice ma che risultano collegati alle associazioni criminali.
Tra le altre novità da segnalare:
lo spostamento della competenza dal Ministro della Giustizia (organo politico) al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (organo amministrativo) ordinariamente competente per materia;
- una precisa articolazione, attenta alle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, delle regole di trattamento applicabili ai detenuti sottoposti ai due regimi;
- una disciplina più dettagliata, con l'articolo 41 quinquies, riguardante le impugnazioni contro l'applicazione dei due provvedimenti, soprattutto per quello che concerne il loro contenuto e i loro presupposti.
Il secondo Disegno di legge ratifica la Convenzione civile sulla corruzione firmata a Strasburgo il 4 novembre 1999. Tale ratifica non comporterà per l'Italia modifiche alla normativa, in quanto la nozione di corruzione richiamata dall'articolo 2 della Convenzione risulta già conforme a quanto previsto nel Codice Penale e lo stesso dicasi per gli adempimenti legati a tale reato.

41bis, era il 2001 (estratto)
Regime speciale previsto dall'art. 41-bis (13 Gennaio 2001 - Inaugurazione dell'anno giudiziario 2001 - Relazione del Ministero sull'amministrazione della giustizia)
Il regime di deroga alle normali regole sul trattamento penitenziario nei confronti dei detenuti per delitti di mafia, da modellare secondo le indicazioni in più occasioni fornite dalla Corte costituzionale, appare ad oggi uno strumento irrinunciabile, di cui si auspica la disciplina in via non più temporalmente limitata. La delicatezza della materia suggerisce tuttavia un'accurata ponderazione degli orientamenti emergenti, divisi tra il mantenimento della disciplina alla competenza amministrativa e la "giurisdizionalizzazione" dell'art. 41-bis. La problematica si trova già all'attenzione di una commissione ministeriale; nell'attesa di una maggiore maturazione del tema, il Ministero ha seguito le proposte parlamentari infine sfociate nell'approvazione della legge n. 446 del 26 novembre 1999, che prevede la proroga del termine di efficacia della disposizione di cui all'art. 41-bis al 31 dicembre 2000.
Detta proroga - già effettuata con un intervento sull'art. 6 della legge 7 gennaio 1998, n. 11 è stata rinnovata con il medesimo meccanismo ad opera del decreto legge 24 novembre 2000, n. 341.