ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE LEGGI “SVUOTACARCERI”

(contributo di S.L. Carcere)


Considerazioni di carattere generale

A partire dall'anno 2013 a seguito della famosa sentenza Torregiani della Corte EDU che ha pesantemente condannato l'Italia per la violazione dell'art 3 della CEDU sul divieto di trattamenti inumani o degradanti la questione del sovraffollamento carcerario ha conquistato l'attenzione del legislatore che sotto raccomandazioni sempre più pressanti ha deciso di adottare provvedimenti per far fronte alla situazione senza ricorrere allo strumento dell'amnistia o dell'indulto.

Gli interventi normativi sulla questione si sono tuttavia ben presto rivelati poco incisivi in quanto non hanno di fatto sortito effetti in particolare per la troppa timidezza del legislatore nel riassettare alcuni istituti invece che abbatterli a colpi di scure come sarebbe stato necessario.

La riprova di tale osservazione è offerta dalla stessa successione di ben tre diversi atti normativi adottati tutti con la forma della decretazione d'urgenza e successiva conversione. Gli atti normativi che il Governo ha ritenuto aventi carattere di eccezionalità ed urgenza hanno ben presto rilevato la loro inadeguatezza tanto che sono stati seguiti in brevi tempi da ulteriori atti aventi lo stesso scopo ed emanati anch'essi con la forma del decreto legge.

Come si vedrà più avanti l'unica norma incisiva emanata nel D.L. 92/2014 ha subito nella legge di conversione (L. 117/2014) pesanti modifiche che l'hanno di fatto svuotata di contenuto.


Gli atti normativi principali emanati sul tema sono tre: il D.L. 78/2013 (1 luglio) convertito con modificazioni dalla L. 94/2013 (9 agosto), il D.L. 146/2013 (23 dicembre) convertito con modificazioni nella L. 10/2014 (21 febbraio) ed infine il D.L. 92/2014 (28 giugno) convertito con la L. 117/2014 (11 agosto).

Come è possibile notare la vicinanza temporale dei provvedimento porta a comprendere coma la inadeguatezza degli strumenti apportati sia rivelata ictu oculi tanto che ogni sei mesi veniva emanato un nuovo atto normativo contenente ulteriori accorgimenti che però tuttora non hanno dato i risultati che ci si proponeva.


Si passerà ora ad osservare la principali novità dei vari atti per capire meglio quanto sinora osservato.


1) Il D.L. 78/2013 E LA L. 94/2013

Il decreto legge del 1 luglio 2013 n. 78 è stato convertito con modificazioni con la Legge 94 del 9 agosto 2013.

Il testo risultante ha il suo nucleo centrale nelle modificazioni apportate al codice di procedura penale ed all'ordinamento penitenziario

Le modifiche al codice di procedura penale sono numerose

L'art. 280 del codice di rito prevedeva che si potesse applicare la custodia cautelare in carcere, in attesa dell'esito del processo, quando si procedeva per reati che prevedevano la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, mentre, a seguito della modificazione, la pena massima prevista per applicare la custodia in carcere deve essere di almeno 5 anni. Conseguentemente, i reati che prevedono una pena massima dai quattro anni ai 4 anni 11 mesi e 29 giorni non possono più dar luogo a custodia cautelare come accadeva prima. Vi è una eccezione: il delitto di finanziamento illecito dei partiti pur prevedendo una pena massima di 4 anni continuerà ad essere un reato per il quale è prevista la possibilità di applicare la custodia cautelare. Vale la pena di sottolineare come la modifica sia di poco conto in quanto i reati che prevedono pene massime superiori a 4 anni ed inferiori a 5 non sono molti e sono quasi tutti reati dei colletti bianchi.

Le modifiche apportate all'art. 656 del codice di procedura penale sono forse le più rilevanti.

Il nuovo comma 4 bis infatti inserisce un meccanismo del tutto peculiare relativo alla liberazione anticipata. Nella disciplina previgente, la detrazione di 45 giorni a semestre per buona condotta veniva applicata dopo aver scontato ogni semestre di pena sulla rimanente pena da espiare. Ad esempio, il condannato 4 anni di carcere, dopo aver scontato 6 mesi ed aver tenuto buona condotta, si vedeva riconosciuta una detrazione di 45 giorni sui tre anni e sei mesi residui di pena da scontare e così via. Con la nuova norma la liberazione anticipata diviene di 60 giorni per ogni semestre e viene calcolata già in sede di ordine di esecuzione della carcerazione. I 60 giorni sono tuttavia diventati 75 a seguito dell'entrata in vigore del D.L. 92/2014, con esclusione dei reati di cui all'art. 4 bis dell'O.P. Ovviamente, essendo la L.A. un beneficio che presuppone la partecipazione all'opera di rieducazione in carcere, (almeno nel linguaggio utilizzato dal legislatore) essa può essere calcolata su un periodo di detenzione comunque sofferto e, quindi, su una custodia cautelare patita o su una pena dichiarata fungibile. Per esemplificare questo concetto si pensi a una persona che sconta 5 anni di carcere preventivo e poi viene condannata a 3 anni. Questa persona avrà due anni di carcere patiti in più e quei due anni si chiamano pena fungibile perché, nel caso di successiva condanna o di cumulo, quei due anni verranno considerati come pena già scontata per la nuova condanna o per il cumulo. In sede di esecuzione, su quei due anni, verrà applicata, ricorrendone le condizioni, la L.A. Esempio: vengo imputato di un reato e mi viene applicata la custodia cautelare in carcere. Patisco 3 anni di custodia cautelare poi il mio avvocato fa una richiesta di scarcerazione che viene accolta e io vengo liberato. Alla fine del processo, vengo condannato a 8 anni e, quindi, dovrei scontare ancora 5 anni, pena che non permette ne l'accesso ai domiciliari né ai servizi sociali. Tuttavia, sui tre anni di custodia cautelare patita, può essere applicata la L.A. in virtù della nuova normativa e pertanto 3 anni di custodia cautelare in caso di buona condotta significa uno sconto di 14 mesi e 25 giorni (2 mesi e mezzo per ogni semestre). Sottraendo dai cinque anni i 14 mesi e 25 giorni di liberazione anticipata, calcolata già prima dell'emissione dell'ordine di esecuzione, mi rimane una pena residua di 3 anni e 9 mesi circa e su quella pena potrò chiedere gli arresti domiciliari. Se invece la mia condanna definitiva, invece che di 8 anni, fosse di 7 anni, con gli stessi calcoli, la mia pena residua sarebbe sotto i 3 anni ed io potrei chiedere l'affidamento. Con la vecchia normativa, sarebbe stato necessario rientrare in carcere, fare la domanda di L.A. ed aspettarne l'accoglimento. Il meccanismo è quindi teso ad evitare ingressi in carcere per brevi periodi.

Vi è una ulteriore modifica all'art. 656 del codice di procedura penale. Il meccanismo di tale articolo prevede che, quando il Pm emette un ordine di esecuzione per la carcerazione nei confronti di un condannato libero, lo stesso sia sospeso per trenta giorni se la carcerazione da eseguire non supera certi limiti temporali. Quei trenta giorni servono al condannato per decidere se e quali misure alternative al carcere chiedere. Il comma 9 dell'art. 656 esclude che i condannati per alcuni reati possano beneficiare di tale sospensione. Tra i reati in relazione ai quali era esclusa la sospensione, vi era il furto aggravato e il furto in abitazione. A seguito della novella, questi due reati sono stati espunti da quelli che escludono la sospensione a cui però sono stati aggiunti i reati di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori (comunemente detto stalking).

Le modifiche all'ordinamento penitenziario sono invece di minore rilievo

Riguardo alla disciplina dei permessi premio, la prima modifica riguarda la durata massima degli stessi per i condannati minorenni. Il numero massimo giorni per ciascun permesso passa da venti giorni a 30, mentre la durata complessiva aumenta dai sessanta giorni previsti dalla antica normativa ai cento di quella attuale.

Viene poi innalzato da tre a quattro anni l'entità della condanna ostativa alla concessione dei permessi premio a prescindere dall'aver scontato un quarto o la metà della pena.

Quanto alla detenzione domiciliare, secondo la precedente normativa, essa non poteva essere concessa a coloro cui era stata applicata la recidiva reiterata, mentre ora tale previsione è stata soppressa come lo è stata pure l'esclusione della detenzione domiciliare per i condannati per taluni reati gravi.

Nella previgente disciplina, la denuncia per evasione dalla detenzione domiciliare comportava la sospensione del beneficio e la condanna comportava la revoca. Con la nuova disciplina la denuncia non ha più alcun effetto, mentre la condanna comporta la revoca del beneficio solo se il fatto non è di lieve entità, ciò ovviamente rimette la questione all'arbitrio del giudice. E' stata anche abrogata la norma che permetteva di concedere la semilibertà ai recidivi reiterati solo dopo aver scontato i due terzi della pena.

Infine nel DPR309/90 (TU Stupefacenti) viene esteso l'ambito di applicazione dell'art. 5 bis che riguarda i lavori socialmente utili in sostituzione della pena detentiva per i condannati tossicodipendenti.


2) Il D.L. 146/2013 e la L. 10/2014


Il D.L. 146/2013, secondo intervento normativo sul sovraffollamento carcerario, è stato convertito con la L. 10/2014.

Le più rilevanti novità contenute in questo decreto riguardano l'ordinamento penitenziario e la legge sugli stupefacenti, in quanto le modifiche apportate al codice di procedura penale sono di carattere esclusivamente tecnico e non contengono rilevanti novità.

Le modifiche alla disciplina sugli stupefacenti sono state apportate a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che, con una pronuncia di illegittimità, ha travolto l'intera normativa del 2006, facendo quindi rivivere la vecchia normativa comunemente conosciuta come Jervolino Vassalli.

L'art. 73 comma 5 del TU stupefacenti che disciplina i casi di detenzione ai fini di spaccio di lieve entità è stato sostituito con il seguente: “«5. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze, e’ di lieve entita’, e’ punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.”

Giova notare che, con la reviviscenza della legge Iervolino Vassalli, la pena massima per i comma 5 dell'art. 73 era di quattro anni e sei mesi. L'innalzamento a cinque anni è dovuto al fatto che, proprio in forza del DL 78/2013, la custodia cautelare non può più essere applicata per reati che prevedono una pena massima inferiore a 5 anni.

La modifica più importante all'interno dell'ordinamento penitenziario è certamente la liberazione anticipata speciale, pari a 75 giorni per ogni semestre, applicabile ai semestri espiati dal 2010 in poi. Da tale beneficio sono esclusi i condannati per reati di cui all'art. 4 bis OP, che quindi continueranno, ricorrendone i presupposti, ad usufruire solo della LA ordinaria.

Sempre nell'O.P., è stato aggiunto l'art. 35 bis che prevede la possibilità di proporre al MS reclamo per gli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti soggettivi. Tale reclamo, già previsto in passato, acquista, con questa nuova norma, carattere giurisdizionale e pertanto è prevista una udienza in camera di consiglio con partecipazione del difensore e del PM e la ricorribilità in Cassazione della relativa ordinanza. E' altresì previsto un giudizio di ottemperanza in caso di inerzia dell'amministrazione penitenziaria. Ad esito di tale giudizio, il detenuto potrà vedersi riconosciuto un indennizzo per ciascun giorno di ritardo nell'adempimento di quanto ordinato dal MS


3) Il DL 92/2014 e la L. 117/2014

Il DL 92/2014 convertito in L. 117/2014 ha introdotto rilevanti novità relativamente sia alla custodia cautelare che all'esecuzione della pena.

La prima di esse è l'introduzione di un nuovo articolo nell'ordinamento penitenziario, il 35 ter. Se l'art 35 bis aveva previsto un sistema di risarcimento economico per il ritardo nell'adempimento dei provvedimenti del MS sugli atti amministrativi lesivi dei diritti soggettivi, l'art. 35 ter prevede che, in caso di permanenza, per un periodo superiore a 15 giorni, in condizioni carcerarie in violazione dell'art 3 della CEDU (quindi ad esempio in caso di permanenza in carcere con uno spazio a disposizione inferiore a quello minimo previsto dalle disposizioni della CEDU così come interpretate dall'Alta Corte di Strasburgo) il MS, su richiesta del detenuto o del suo difensore, dispone una riduzione della pena da espiare pari ad un giorno per ogni dieci giorni di pregiudizio.

Se invece la condizione in violazione dell'art 3 della CEDU è integrata per meno di 15 giorni, oppure la pena residua da espiare non consenta la detrazione (ad esempio chi ha subito il sovraffollamento per 10 anni ha diritto ad una riduzione di 8 mesi ma se il residuo di pena è pari a 3 mesi la riduzione sarebbe vanificata) il MS stabilirà un risarcimento pari a 8 euro per ogni giorno di pregiudizio.

Se tale pregiudizio si verifica durante la custodia cautelare non computabile ai fini della pena, oppure l'interessato è stato scarcerato per fine pena, l'interessato potrà proporre una azione civile davanti al Tribunale ordinario del luogo di residenza

La disposizione più importante che ha anche provocato un ampio dibattito tra i giuristi è l'articolo 8 del decreto 92/2014 che ha subito profonde modificazioni in sede di conversione.

Il testo originario prevedeva che il Giudice non avrebbe potuto applicare la custodia cautelare se riteneva che, all'esito del giudizio, la pena detentiva non sarebbe stata superiore a tre anni.

Tale norma era quantomai opportuna perché sarebbe stata l'unica dei vari provvedimenti rivolti a ridurre la popolazione carceraria ad avere davvero un impatto rilevante in vista di tale scopo.

Sin dalla emanazione del decreto, tale norma ha provocato forti reazioni negative.

Da un lato infatti si osservava che il meccanismo avrebbe svuotato di significato le norme del codice di procedura penale sulle misure alternative, perché i condannati che non avrebbero potuto beneficiare di queste misure avrebbero atteso la decisione del TS in libertà invece che in carcere anche in presenza di gravi esigenze cautelari. Si osservava poi che, a dispetto delle pene previste nel codice penale, nell'esperienza pratica, i reati che portano a condanne superiori a tre anni sono spesso reati di media gravità (come lo stalking come piccole rapine o altro) che nondimeno provocano allarme sociale e richiedono misure atte a tutelare la collettività. Si osservava infatti che, in astratto, un soggetto colto a rubare in un supermercato e che per darsi alla fuga aveva spintonato il personale di sicurezza non sarebbe andato in carcere neppure se con numerosi precedenti penali anche per evasione, poiché la norma inserita non ammetteva eccezioni.

Infine si osservava che la locuzione contenuta nel testo “pena da eseguire non superiore a tre anni” generava forti dubbi in quanto oscura.

In sede di conversione la norma ha subito rilevanti modifiche che l'hanno resa praticamente lettera morta.

La prima modifica è in realtà positiva perché supera l'incertezza generata dalla espressione “pena da eseguire”, sostituendo quest'ultima con l'espressione “pena irrogata”, chiarendo quindi che la previsione dei tre anni deve essere fatta in relazione a quello che potrebbe esser contenuto nel dispositivo della sentenza.

Le altre modifiche invece finiscono per svuotare di contenuto l'unica norma incisiva elaborata negli ultimi anni relativamente alla custodia cautelare. Nella legge di conversione infatti, è previsto che la nuova norma non si applica nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 423-bis, 572, 612-bis e 624-bis del codice penale, nonche' all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e quando, rilevata l'inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell'articolo 284, comma 1, del presente codice.

In primo luogo, quindi vengono espressamente esclusi dall'ambito di applicabilità una serie di reati non indifferente (tutti quelli che già portano all'esclusione dei benefici oltre ad altri espressamente indicati). In secondo luogo, si prevede che se l'imputato non dispone di un luogo dove essere posto agli arresti domiciliari il Giudice possa disporre lo stesso la custodia cautelare se ritiene che ogni altra misura risulti inadeguata. Il problema è che, anche nel previgente sistema, la custodia cautelare poteva essere irrogata solo quando ogni altra misura fosse ritenuta inadeguata, ciononostante i Giudici tendevano comunque ad applicarla. A seguito di tali modificazioni della nuova norma, l'unico vero cambiamento sarà per colui che dispone di un luogo ove stare agli arresti domiciliari, nel senso che se costui non è accusato di uno dei delitti ostativi inseriti nella legge di conversione e il Giudice ritiene che la pena irrogata non sarà superiore ai tre anni sarà costretto a porre l'imputato ai domiciliari e non potrà applicare la custodia in carcere.


In conclusione come si può vedere gli interventi normativi elaborati nell'ultimo anno non possiedono la necessaria incisività per ridurre effettivamente la popolazione carceraria risolvendosi in provvedimenti che vanno ad incidere su un numero limitato di casi con un sistema di esclusioni ed eccezioni che rende i buoni propositi lettera morta nella pratica.

Sarebbe certamente opportuno riportare l'articolo 8 alla formulazione originaria per dare un colpo serio all'abuso dello strumento della custodia cautelare ed affiancare ad interventi normativi più incisivi anche provvedimenti come l'amnistia.