10/06/2003: LA DETENZIONE SOCIALE E’ DETENZIONE POLITICA


“…le carceri sono oggi nello steso tempo il luogo di organizzazione di vasti strati del proletariato e la risposta del sistema capitalistico alle richieste di potere delle masse subalterne, al tentativo individuale o collettivo di conquistarsi uno spazio vitale…”
“…i detenuti, i sottoproletari, i cosiddetti “delinquenti”, prima ancora di essere tali sono proletari: proletari investiti dalla violenza della disoccupazione, dell’ignoranza, dello sfruttamento, della fame, della miseria, della cultura, dell’organizzazione sociale, dell’organizzazione sociale della dittatura borghese…”
“…noi entriamo nella storia rivoluzionaria in qualità di proletariato perché “popoliamo” le carceri che sono senz’altro l’abitazione di carattere definitivo e irreversibile destinata al proletariato del mondo capitalistico…”
“…noi non abbiamo scelta, o ribellarsi e lottare o morire lentamente nelle carceri, nei ghetti, nei manicomi dove ci costringe la società borghese e nei modi che la sua violenza ci impone – Contro lo Stato borghese, per il suo abbattimento, per la nostra autoliberazione di classe, per il nostro contributo al processo rivoluzionario del proletariato, per il comunismo: rivolta generale nelle carceri e lotta armata dei nuclei all’esterno…”
(ESTRATTI DAI VOLANTINI DEI NUCLEI ARMATI PROLETARI 1974-1975)

In questi scritti dei compagni dei NAP, pur nell’ovvia diversità della fase e dello scontro di classe che ad essa corrisponde, possiamo comunque riconoscere un filo rosso nell’analisi della composizione della popolazione carceraria e nell’uso della galera, anche nell’oggi della compiuta internazionalizzazione capitalistica, mostra una sua validità e praticabilità dell’obiettivo.
Lo Stato difatti conosce e ha sempre conosciuto benissimo l’importanza estrema della carcerazione e del suo inasprimento come condizione imprescindibile per il mantenimento della pace sociale (maggiormente rilevante, qui ed ora, per ogni contrapposto blocco imperialistico grande, piccolo o in formazione che sia) non solo e non tanto all’interno delle carceri e verso l’intero settore sociale extralegale, quanto rispetto al corpo stesso del proletariato attuale (distinto e diverso dal “classico” proletariato ottocentesco).
La repressione ed il carcere oggi si caratterizzano vieppiù come elementi strutturali della politica di dominio del capitale; lo Stato – ogni Stato – esiste in quanto dittatura articolata di una classe, vive come progetto articolato di dominio, come pratica di repressione e controrivoluzione, come gendarme posto a garantire la capacità di estorcere plusvalore da parte della borghesia.
Aggredire il carcere, farne un momento privilegiato di iniziativa soggettiva e collettiva e di attacco, attuare in prospettiva la liberazione dei prigionieri ( e sia chiaro che non intendiamo come prigionieri soltanto i “politici”, i compagni ), organizzare “sabotaggio sociale” contro le logiche di dominio che sono alla base dei meccanismi di segregazione: su questo terreno crediamo sia possibile rilanciare proposte aggregative ed unificanti per i diversi spezzoni rivoluzionari, su questo terreno è possibile modificare i rapporti di forza tra Stato e antagonismo.
C’è un insieme di aspetti che fanno del carcere uno strumento fondamentale del dominio sulla complessità dei comportamenti antagonisti ed illegali; aspetti che vanno oltre quei dati materiali – pur rilevanti – che parlano di crisi produttiva, di caduta tendenziale del saggio di profitto, di inasprimento delle condizioni di vita proletarie a livello planetario; è in atto ormai da anni da parte del capitale un massiccio processo di trasformazione dell’intero sistema di comando sociale che, operando per continue rotture e sconvolgimenti di settori proletari, di livelli di cooperazione, di forme di solidarietà, compie violente irruzioni in ogni piega del sistema di relazioni sociali governandole attraverso l’atomizzazione del rapporto con lo stato, scomponendo aggregati sociali, ricomponendoli secondo nuove gerarchie e nuove forme di aggregazioni “compatibili” .
I processi di informatizzazione e di normazione del dominio sull’universo di relazioni tra singoli, tra gruppi e tra questi e lo Stato, non è banale salto tecnologico nelle dinamiche del comando, ma vero e proprio rivoluzionamento delle categorie stesse del “governare” che passa attraverso la rottura dei canali della comunicazione sociale, cioè delle relazioni concrete tra soggetti concreti e tra le loro espressioni di lotta e l’instaurazione di un sistema di rapporti codificati, astratti in quanto rapporti tra ruoli sociali, formalizzati, fatti viaggiare sui circuiti comandati nel sistema informatico e regolati da un diritto che tende ad una totale codificazione del vivere sociale.
Viviamo in epoche in cui si appresta un colossale salto di qualità del processo di estraniazione dell’uomo da sé e dalla natura, si delinea un orizzonte capitalistico in cui la comunità illusoria dei ruoli gerarchizzati e codificati vuole occupare tutto lo spazio delle relazioni umane, contendendo palmo a palmo – in una guerra senza quartiere - ai proletari, a noi stessi, in quanto soggetti vivi che conoscono la realtà perché la trasformano (o ci provano ), che comunicano esperienze di uomini e non messaggi in codice. Per come si dà materialmente questo conflitto tra capitale ed antagonismo, il carcere è terreno centrale, perché esso è massima separazione dei soggetti dai loro ambiti collettivi di vita, perché è il terreno su cui il Diritto opera non solo come sanzione ma come normativa sui comportamenti individuali e collettivi che, oltre a prevenire e reprimere ogni espressione di lotta, tende a fissare per ogni “categoria” di prigionieri un comportamento adeguato e compatibile con le regole societarie.
C’è evidentemente un nesso preciso tra la fine di ogni velleità – da parte capitalista – di governare tramite un sistema di consenso attivo o legittimazione da parte proletaria e la gestione dell’universo carcerario in termini di differenziazione, individualizzazione, deterrenza contro le “variabili impazzite” soprattutto a partire dalle leggi emergenziali, dalla legislazione speciale, estrinsecate sul fronte carcerario con la legge sulla dissociazione (1987) e, in questa continuità, oggi con gli articoli 4 bis e 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Il trattamento differenziato, l’individualizzazione del rapporto col Diritto, pena, carcere, condizioni di prigionia, la fine nei fatti di tutte le teorie e pratiche riformiste di “riabilitazione”, la deterrenza usata col massimo di violenza ed anche questa normata da una legislazione nata “sul campo”, sono l’applicazione – rispetto ai comportamenti illegali – del medesimo processo di ristratificazione e atomizzazione dei rapporti tra i soggetti che investe da anni tutta la società: vivono sotto il medesimo segno di “militarizzazione” dei rapporti tra individui e comando.
La differenza tra un pestaggio degli agenti di custodia e il controllo informatico che grava sui singoli esiste certamente come forme, tecniche, intensità, ma altrettanto certamente entrambi rispondono ad una logica di comando violento che impone accettazione ed assoggettamento, senza spazi di critica sociale che non siano quelli della critica radicale della lotta di classe dispiegata, dell’azione diretta, della violenza proletaria, del sabotaggio. Cosi come oggi continuare ad attaccare gli ulteriori momenti di differenziazione nel carcere (pensiamo ad esempio ai proletari migranti) è attaccare un ganglio vitale di questo processo; qui smette di avere alcun senso ogni accezione meramente solidaristica e, come orizzonte generale, si dà un percorso concreto di sabotaggio sociale – da parte della molteplicità dei soggetti antagonisti – dei ruoli sociali imposti, del sistema che la codifica, dei canali di comunicazione comandata che ne veicolano il rapporto reciproco e al tempo stesso si dà una linea di contrasto, in tendenza di impedimento, della frammentazione continua della composizione prigioniera.
Agire quindi sul carcere ha, in ultima analisi, la necessità della rottura della gerarchizzazione e del dominio capitalista in tutta la società, contro ogni sua istituzione, contro ogni suo fiancheggiatore sociale (giudice, sbirro, secondino, assistente sociale, giornalista, politico, psicologo, prete, impresario, cittadino-gendarme, ecc. ) contro, in sostanza, lo stato che – fondato sul sistema rappresentativo della democrazia – costituisce l’organo per la difesa degli interessi capitalistici; ben consci appunto che il proletariato non può infrangere ne modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione, da cui deriva la sua condizione e il suo sfruttamento, senza l’abbattimento violento del sistema borghese.

LIBERTA’ PER TUTTI I PROLETARI DETENUTI
FUOCO ALLE CARCERI
ONORE A TUTTI I COMPAGNI CADUTI COMBATTENDO
CONTRO LO STATO E IL CAPITALE

PRESIDIO SABATO 21 GIUGNO
SOTTO IL CARCERE DI MAMMAGIALLA A VITERBO
DALLE ORE 18:00

COMITATO CITTADINO CONTRO IL CARCERE E LA REPRESSIONE SOCIALE



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facoltà di agraria – Università della Tuscia –
Viterbo
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