16/07/2003: da red link


La montante campagna repressiva della Stato segna, incontrastata, punti a suo favore


La recente ondata di perquisizioni in numerose città d?Italia perpetrate sulla base di inesistenti indizi di reato non hanno provocato quello sdegno e quelle reazioni in termini di denuncia e mobilitazioni che in altre occasioni il movimento di lotta ha saputo esprimere con intelligenza e maturità. Questa evidente defaillance non è, secondo noi, da imputare al clima pre-festivo o alla calura imperante. Tali banalità le lasciamo, volentieri, al sociologismo panchinaro o a chi sintonizza il proprio calendario politico sui tempi di Montecitorio.

Quel che è accaduto segnala, a tutti noi, un problema ancora non risolto nel movimento il quale, però, rischia, a fronte di un nuovo rinvigorimento dell?azione inquisitrice della Magistratura, di contribuire alla pericolosa opera di desolidarizzazione e di arretramento che, certamente, non giova alle nostre ragioni sociali ed alle istanze di liberazione di cui ci facciamo portatori.




Questa volta è il turno della Procura della Repubblica di Bologna.

Lo scenario è sempre lo stesso. Perquisizioni a raffica, sequestro del solito materiale definito interessante e black out imposto ai mezzi d?informazione. Insomma l?usuale mix tra uomini incappucciati dei ROS o delle varie DIGOS che invadono case e luoghi politici facendo un uso dispiegato dell?Articolo 270 c.p. (Associazione Sovversiva) allo scopo di scardinare e scompaginare qualsiasi aggregato politico e sociale che professa e pratica l?esercizio della critica all?ordinamento capitalistico.

Non è la prima volta che ciò accade. Anzi, da un po? di tempo, le varie Procure, addensando anche sollecitazioni provenienti da settori del comparto militare stanno producendo una preoccupante escalation di inchieste che investono l?intero movimento.

Ne citiamo, solo alcune, a mo? di semplice ricordo, per quanti ? e non sono pochi ? ottenebrati dal circo mediatico che gestisce la cosiddetta libera informazione, dimenticano, troppo frequentemente, la reale portata dell?ondata di aperta repressione che lo stato ed i suoi tentacolari apparati, puntualmente, scatenano contro tutte le forme del dissenso e dell?antagonismo di classe.

Le inchieste romane contro Iniziativa Comunista ed i CARC, i processi montati a Milano e Torino contro una fantomatica organizzazione anarco/insurrezionalista, quelli della procura tarantina contro i COBAS, l?inchiesta di Cosenza contro il Sud Ribelle, le incursioni parigine dei procuratori di Napoli a caccia di Commissioni Preparatorie per nuovi Partiti Comunisti?e, poi, gli arresti a base di concorso psichico!!?, scambi intellettuali e apologie di altri mondi possibili!!!

Quel che si delinea, seguendo il filo nero che si dipana, di blitz in blitz, è il costituirsi di una linea di condotta finalizzata alla criminalizzazione di ogni espressione della lotta di classe che fuoriesce dalla dialettica democratica e dal triste pantano del politicantismo borghese.

Una tendenza, questa, non ascrivibile al solo laboratorio italiano ? che pure primeggia in questo campo - ma da inquadrare nel più generale processo di involuzione autoritaria dello stesso diritto borghese a scala globale.

Dagli Stati Uniti, molto prima dell?11 settembre, a tutti i paesi a capitalismo maturo, nel corso degli ultimi anni, con l?accentuarsi dei fattori di difficoltà del capitale, è andata dispiegandosi una crescente blindatura degli stati e delle loro politiche che sempre meno tollerano i movimenti sociali e le loro, eventuali, organizzazioni politiche. Inoltre con l?affermarsi della dottrina imperialistica della guerra globale infinita, con il suo corollario di aggressioni diplomatiche, finanziarie e militari ai vari "stati canaglia", l?uso, sapiente, della repressione si è coniugato ed intrecciato, sempre più, con i diversi cicli di ristrutturazione, che stanno rimodellando le società, al fine di una totale normalizzazione antiproletaria ed un azzeramento di ogni istanza di trasformazione.

Quello che abbiamo evidenziato non è niente altro che una semplice fotografia di una situazione che dovrebbe essere abbastanza nota all?intero movimento no-global ed al suo variegato mondo.

Del resto fin dal suo esordio, a Seattle, questa insorgenza si è dovuta misurare con l?uso della repressione da parte dello stato. Indipendentemente da quale governo, provvisoriamente, si trovasse nelle stanze dei bottoni questo movimento ha assaggiato il piombo delle pallottole a Genova, a Goteborg, a Praga; ha sperimentato le nuove tecniche di gestione e controllo della piazza a Napoli, a Davos, a Nizza, a Salonicco ad Evian; ha imparato, sulla propria pelle, cosa significhi detenere il monopolio dell?uso della forza da parte del potere.

A conferma che la "politica di guerra" non riguarda più solo i paesi ed i popoli dipendenti dall?imperialismo, ma diventa sempre più la strategia politica prevalente (sia pure ancora su di un piano di netta diversificazione ed accentuazione) da parte del capitale anche nei confronti del proletariato metropolitano e dei movimenti di lotta contro gli effetti della globalizzazione.

Questa lezione, appresa sul campo di battaglia e non su qualche incartapecorito libercolo, dovrebbe essere patrimonio comune, vero e proprio elemento ampiamente metabolizzato, di quei compagni e/o avanguardie di lotta che, in questi anni, tra gli inevitabili alti e bassi dei percorsi del movimento, hanno contribuito a diffondere e socializzare, a vario titolo, il Vento di Seattle.


un campanello d?allarme:

Capita, però, e non è la prima volta, che a fronte di una iniziativa inquisitoria che colpisce questo o quell?aggregato di compagni non scatta ? nel movimento ed oltre ? quella attenzione e quella necessaria mobilitazione che pure, felicemente, si sono manifestate in alcune particolari congiunture contribuendo, non poco, a porre uno stop (anche se provvisorio) alla tracotanza statuale.

Certo l?attuale fase, almeno qui in Italia, registra non poche difficoltà ad una possibile ripresa, su un piano di offensiva sociale, delle dinamiche espansive di movimento ma, ci sembra che alcuni atteggiamenti e scrollamenti di spalle avvertiti in occasione del manifestarsi di alcune iniziative repressive rappresentano un preoccupante segnale quando coinvolgono anche la parte politicamente più attiva e militante del movimento.

Molti compagni e settori di movimento (tra i quali ci riconosciamo al di là di ogni formalismo organizzativo) hanno sempre rifiutato la nefasta pratica della divisione in buoni e cattivi cui la borghesia e le sue istituzioni dall?inizio hanno cercato di costringere la dialettica delle mobilitazioni, e non si sono mai uniti all?interessato coro borghese di condanna verso un sasso lanciato o una macchina capovolta ?mentre le polizie operavano le loro mattanze?

Anzi, pur criticando ogni impotente sostituzionismo alla necessaria azione organizzata di massa ed ogni fretta del qui-ed-ora tutta autoreferenziale, tanti compagni non hanno mai accettato di essere, anche inconsapevolmente, cavallo di troia della repressione statale rifuggendo da ogni illusione di potersi legittimare smarcandosi o, peggio, criminalizzando a propria volta le posizioni più radicali.

Sta verificandosi, e lo vogliamo rimarcare, che molti compagni (..di cui, magari, non si condividono le posizioni ma che si riconosce appartenere alla nostra parte) vengono lasciati soli di fronte al moloch politico-giudiziario con tutte le negative conseguenze che ne derivano. Questo dato, se si osservano le modalità con le quali sono andate avanti le inchieste giudiziarie degli ultimi anni, sta diventando una sorta di spontanea attitudine pericolosa per la stessa tenuta futura del movimento.

Si tratta di una preoccupante sottovalutazione dei veri obiettivi che stanno dietro le apparentemente scoordinate iniziative poliziesche/giudiziarie. In realtà lo scopo di tanto solerte attivismo degli apparati dello stato è mirato esattamente ad intimidire l?intero movimento, anche quando ad essere colpite sono frange marginali o del tutto esterne al movimento stesso. La scelta di colpire tali settori è dettata unicamente da un "senso di opportunità" teso a far passare come "normale amministrazione" tale repressione. Il doppio messaggio che si intende veicolare è: da una parte legittimare l?idea che chi è colpito dalla repressione "in fondo se l?è andata a cercare" e che quindi non riguarda la stragrande maggioranza del movimento; contemporaneamente però si vuole sancire la prassi per cui la critica al capitalismo e la sua contestazione deve mantenersi entro precisi ed accettabili limiti di convivenza civile, poiché altrimenti lo stato ed i suoi appartati sono pronti a ricorrere a tutti i mezzi pur di conservare quella convivenza e quella pace sociale che consente di proseguire impunemente il quotidiano "democratico" sfruttamento e dominio di classe.

Tale pressione esercitata dalle azioni repressive fa il paio con l?offensiva lanciata dalle forze moderate e riformiste da dopo Genova per cercare di recuperare terreno e guadagnare credibilità nelle file del movimento. Un?offensiva che mira, dall?interno in questo caso, a ricondurre il movimento a mero elemento di supporto per la politica parlamentare ed istituzionale delle "sinistre" ufficiali, e a spingere verso una deriva da puro movimento d?opinione la critica alla globalizzazione. Un movimento in cui l?accento si sposti definitivamente verso la ricerca di possibili rattoppi alle esagerazioni prodotte dal neoliberismo, verso la ricerca di una impossibile globalizzazione dal volto umano, che non cerchi di ragionare e di attaccare le cause dell?attuale mercificazione di tutti i rapporti umani.

Se sul piano teorico e politico si rifiuta di compatibilizzare questo movimento alla triste Realpolitik ed al piccolo recinto del riformismo possibile, la pratica di lotta ed il comportamento che ne derivano devono essere quelli della difesa di ogni militante colpito dalla repressione senza operare quei perniciosi distinguo che non fanno che agevolare l?opera di cui sopra.


lotta alla repressione: si può fare!!!

L?incrudirsi della repressione ? ed ogni sensata previsione sul prossimo periodo non può che prevederne l?intensificazione ? pone la necessità di metterci in grado di contrastare efficacemente questa tendenza. I principali strumenti per reagire adeguatamente ce li fornisce potenzialmente lo stesso corso del capitalismo. Esso, infatti, col suo procedere verso un più dispotico accentramento è destinato a suscitare ulteriori reazioni contro gli effetti del suo dominio totale. Ciò, nonostante l?intero arco di mistificazioni messe in campo, renderà sempre più difficile per la democrazia imperialistica continuare a presentarsi come reale unità e sintesi degli interessi universali di tutti i cittadini. In questo contesto diventa oggettivamente più evidente il legame delle varie azioni repressive con l?unitaria politica di difesa del dominio di classe. In definitiva stanno iniziando a porsi ? ad una dimensione veramente generale fuori da ogni recinto nazionale ? le condizioni concrete per un terreno di denuncia e, quindi, di spietata delegittimazione del ruolo neutrale degli istituti della democrazia.

Diventano, allora, farsesche le perpetuazioni di alcune querelle ad opera dei soliti personaggi aspiranti a ruolo di novello ceto politico noglobal. I sottili distinguo, gli imbarazzanti silenzi, la ricerca ossessiva di alcune differenze rispetto ai compagni colpiti dalla repressione sono le esemplificazioni di un autentico malcostume politico da cui demarcarsi nettamente. Anche, come spesso avviene, quando non si condivide politicamente quasi nulla delle posizioni dei compagni inquisiti!!

La lotta alla repressione deve uscire dai, riduttivi, ambiti specialistici in cui rischia di essere confinata. Questo affare è cosa nostra!! E? questione viva con cui tutti i soggetti sociali che, quotidianamente, misurano la propria insofferenza e la propria alterità al capitalismo devono impattare ed imparare a contrastarla in una dinamica di lotta generale e di massa utile all?avanzamento del nostro schieramento.

È evidente il collegamento tra l?incremento delle azioni repressive e le difficoltà attraversate dal movimento. Quello che non si è stati in grado di realizzare con le piazze piene si cerca di attuarlo in questa fase di interludio e di oggettiva debolezza del movimento. Ma non si tratta di una semplice vendetta, bensì del tentativo di affossare e moderare ulteriormente il movimento, creando le premesse per condizionarne significativamente la sua inevitabile ripresa.

La difficoltà a rispondere colpo su colpo e con mobilitazioni significative alla repressione non si può certo superare con atti di volontarismo. Si tratta di una difficoltà reale che non dipende solo dalle azioni repressive dello stato o dalle componenti moderate ed istituzionali del movimento, ma da una difficoltà più generale che si è presentata drammaticamente a chi in questi ultimi anni e soprattutto nei mesi dell?aggressione all?Iraq è sceso in campo contro la globalizzazione capitalistica.

Gli esiti della mobilitazione, se da una parte hanno ulteriormente confermato le ragioni di chi è sceso in piazza, hanno evidenziato anche la grandezza delle forze in gioco e la dimensione dello scontro in atto. Nonostante gli inediti livelli di mobilitazione realizzati, questi non sono bastati a fermare la spaventosa macchina di guerra e di rapina messa in piedi dagli aggressori imperialisti.

Tutto ciò non poteva essere senza conseguenze sulle dinamiche del movimento, producendo momentaneo scoramento, sfiducia e rassegnazione. Ma non solo questo! Anche la necessità di ripensare alle modalità e agli obiettivi stessi della lotta che forse troppo ottimisticamente ci si era illusi potesse contare sui soli numeri che pure innegabilmente ci sono stati.

È dalla risposta a tali interrogativi, dalla ricerca di un necessario salto in avanti del movimento tutto che dipende la possibilità di un suo effettivo rilancio.

Se quindi una possibilità vera c?è di rispondere efficacemente anche alla repressione questa è inscindibilmente legata ad un rilancio del movimento, ad una sua maggiore consapevolezza e determinazione contro le spinte del capitalismo e dei suoi agenti umani ad imporre le sue impersonali quanto implacabili leggi.

Guai quindi a lasciarsi trascinare nel recinto degli specialisti della lotta no-global, dei puri antagonisti al capitalismo in grado di parlare solo a se stessi. Questo significherebbe regalare ai nostri avversari quelle potenzialità e quelle energie che abbiamo visto sollevarsi in questi anni.

La vera sfida è riuscire a ristabilire canali di comunicazione, di riflessione comune e di iniziativa con tutti quei settori sociali che hanno ritenuto di doversi e potersi opporre con la mobilitazione ad una politica e ad una economia che va contro gli interessi della stragrande maggioranza dell?umanità.

Intanto però sarà ben difficile che tra questi soggetti, che pure sono stati protagonisti di una eccezionale stagione di lotta, scatti la percezione del ruolo svolto dalle attuali azioni repressive, se questa sensibilità non è presente e opportunamente veicolata proprio da parte dei settori più attivi e militanti del movimento.


La recente conferma della richiesta di carcerazione per i compagni indagati nell'inchiesta di Catanzaro conferma la pervicacia degli apparati statati, ma conferma anche che la repressione procede con metodo e si muove con una lucida logica politica, dalla quale nessuno può sentirsi preservato.

Se ce ne fosse stato bisogno si conferma la necessità di una risposta unitaria e di massa agli attacchi repressivi.

Tra alcuni giorni saranno due anni dalle giornate di lotta genovesi contro la cupola del capitalismo internazionale: i G-8!!

Saranno due anni dall?assassinio impunito di Carlo Giuliani colpito a morte mentre, con migliaia di giovani e meno giovani, si difendeva dal massacro che gli apparti dello stato avevano ampiamente preordinato per intimidire e terrorizzare un montante movimento.

Fuori da ogni ritualità celebrativa e da ogni tentativo di trasformare in una icona inoffensiva il portato politico di quelle giornate il ritornare a Genova, come viene auspicato da più parti, deve significare la nostra rinnovata incompatibilità con questo ordinamento sociale e la difesa di tutti coloro che ad esso si oppongono.






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