21/08/2003: Cercare e distruggere, la seconda tappa della guerra degli USA in Iraq


Il 25 giugno, in un’intervista a Solidaire ripresa dal giornale asiatico Asia Times, Mohammed Hassan ha affermato: “Ci sono oggi due governi in Iraq. Ce n’è uno che dirige il paese durante il giorno, con l’occupazione ed il terrore militare e psicologico che cerca di imporre. E poi c’è una sorta di governo che agisce, mentre gli americani dormono. Quello di una vasta resistenza contro l’occupazione”.
Tutti gli elementi, ancora allo stato embrionale fino a giugno, sono stati riconfermati su larga scala in seguito. La resistenza si è organizzata sempre meglio, più di 120 soldati americani sono stati uccisi ed il malcontento è talmente grande tra l’esercito USA, che alcuni soldati sono giunti al punto di chiedere pubblicamente le dimissioni del ministro della difesa Rumsfeld.
Cinquanta giorni dopo la nostra ultima intervista con Mohammed Hassan, gli abbiamo chiesto come si sta sviluppando la situazione.

Bremer, l’amministratore USA in Iraq, ammette che la resistenza esiste, ma afferma anche che la sua amministrazione ha registrato dei progressi nella ricostruzione dell’Iraq…

Mohammed Hassan. L’obiettivo degli Stati Uniti in Iraq è il controllo del petrolio a vantaggio delle multinazionali del settore. C’è anche da ricostruire l’Iraq a spese degli iracheni ed a vantaggio delle multinazionali USA dell’edilizia, della metallurgia, delle telecomunicazioni. Per un totale di 100 miliardi di dollari (88,5 miliardi di euro): un importo superiore al piano Marshall, il piano di ricostruzione dell’Europa occidentale dopo la guerra.
L’Iraq aveva, che lo si voglia ammettere o no, uno Stato assistenziale. Le rimesse del petrolio servivano a finanziare le reti scolastiche, sanitarie…Se gli Stati Uniti vogliono impadronirsi delle riserve di petrolio, devono distruggere questo “Stato assistenziale”. E ciò non porterà che all’impoverimento generalizzato della popolazione, come si vede nei paesi filoamericani del Golfo: in Arabia Saudita, il 30% della popolazione si trova già al di sotto della soglia di povertà.
Secondo la medesima strategia americana, Bush, due mesi fa, ha varato un decreto che accorda una totale immunità alle compagnie petrolifere USA presenti in Iraq. Anche se si potesse provare che hanno commesso violazioni dei diritti dell’uomo, corrotto ufficiali iracheni o causato danni ambientali.
Bremer non ha alcuna conoscenza seria della storia dell’Iraq e del mondo arabo. Lo caratterizza lo sciovinismo più sfrenato. Anche gli iracheni più anti-Saddam e filoamericani l’ammettono. Così Ahmed al-Rikabi, direttore di Radio Free Iraq, ha dato le dimissioni il 5 agosto. Questo agente iracheno pro-USA era arrivato a Baghdad con un aereo speciale per mettere in piedi una nuova televisione e radio irachena.
Egli afferma oggi che gli Stati Uniti sono in procinto di perdere la guerra propagandistica. “Gli Stati Uniti controllano l’informazione in Iraq, ma non c’è una sola persona che creda loro”, dice. E aggiunge che “Saddam è stato più capace di far passare i suoi messaggi, diffondendoli attraverso le televisioni al-Jazeera e al-Arabyia”.
Un famoso professore iracheno di economia, che abita nei Paesi Bassi, di ritorno dall’Iraq, ha dichiarato: “Sono stato là per proporre il mio aiuto, ma Bremer non intende ascoltare ciò che gli si dice”. Agisce come i vecchi amministratori dell’epoca coloniale.
La base sociale dell’occupazione USA diminuisce di giorno in giorno. Il numero dei collaboratori, sia intellettuali che poliziotti, è in declino. Essi accusano gli Stati Uniti: “Voi volete controllare tutto, non ci permettete di fare il nostro lavoro”. La corrente nazionalista si espande in seguito all’aumento vertiginoso degli arresti quotidiani, delle sparizioni e delle esecuzioni arbitrarie. I vecchi parlano nuovamente della resistenza dell’epoca coloniale, i giovani scoprono una realtà che hanno conosciuto solo attraverso i libri.

Saddam Hussein l’aveva affermato al momento della guerra: “Vedrete con i vostri occhi cosa faranno questi maledetti e allora saprete che bisogna fare di tutto per cacciarli dalla nostra terra”.
Eppure Bremer afferma di aver messo in piedi un consiglio di governo che rappresenterebbe tutti i settori della società…

Mohammed Hassan. Ma su quale base è stato creato questo consiglio? Sulla base classica del colonialismo USA: il federalismo, o meglio il tribalismo. Secondo tale visione, la società è divisa in clan, in differenti sette religiose. Lo scopo: spezzare la coscienza nazionale irachena. In tal modo, il consiglio è diviso in pretesi rappresentanti sunniti, sciiti, curdi, turkmeni, cristiani.
Gli americani affermano che esiste una minoranza sunnita e una maggioranza di sciiti. Gli iracheni rispondono: ma li avete contati? E su che base, con quale censimento? Per dare, diciamo così, il potere alla maggioranza sciita oppressa dalla minoranza sunnita che si raccoglieva attorno a Saddam, gli Stati Uniti le hanno attribuito 15 dei 25 posti del consiglio.
Ma questo consiglio non ha alcun potere decisionale. Sono dei consiglieri dell’amministrazione Bremer, nella tradizione del vecchio colonialismo britannico in India o in Nigeria. I notabili locali danno consigli all’occupante: “Chiediamo che vengano rispettate le tradizioni locali, consigliamo che la polizia locale sia organizzata così e così…”.

Il colmo è che questo consiglio non può assolutamente mettere in discussione le due questioni di fondo: la Banca centrale d’Iraq e l’industria petrolifera, che sono di competenza esclusiva della potenza occupante.
Tale consiglio iracheno sembra essere stato creato per dare una legittimità all’occupazione…

Mohammed Hassan. Che non è stata ancora conquistata dagli americani. Al vertice della Lega Araba, il 5 agosto, non c’è stato un solo Stato arabo che abbia riconosciuto il consiglio come rappresentante dello Stato iracheno e la stessa cosa ha fatto l’ONU (anche dopo l’ultima risoluzione di compromesso, nota del traduttore). Gli Stati Uniti cercano di occupare il terreno, di nominare nuovi ambasciatori iracheni all’estero ma, per il momento, si tratta di una disfatta diplomatica su tutta la linea.

D’altro canto, le relazioni tra il potere occupante l’Iraq e Israele sembrerebbero rafforzarsi. Non è inquietante?

Mohammed Hassan. Certamente. Israele è il guardiano locale degli interessi USA nella regione. E ora ci sono dei legami diretti tra Baghdad e Tel Aviv. Israeliani d’origine irachena, che hanno lasciato il paese negli anni ’50, vanno reclamando la restituzione dei loro beni. Un centro studi israeliano è stato creato a Baghdad.
Israele vuole crearsi uno spazio economico in Iraq per avere la certezza che la forza economica dell’Iraq declini definitivamente. Non dimenticate che, secondo le forze dell’estrema destra israeliana, “Grande Israele” dovrebbe estendersi dal Nilo in Egitto all’Eufrate in Iraq! Ciò conferma le parole di Saddam, il quale affermava che l’aggressione americana era una cospirazione americano-sionista.
I media occidentali affermano che la resistenza armata si concentra nel triangolo sunnita (una delle correnti dell’Islam) situato tra Baghdad, Tikrit e Fallujah, al centro del paese. Il che significherebbe che la resistenza è limitata ai combattenti sunniti vicini a Saddam...

Mohammed Hassan. La resistenza è generalizzata a tutto il paese, anche se assume forme diverse al Sud, al Centro e al Nord. Il famoso triangolo è soprattutto, militarmente parlando, il più favorevole del paese per una resistenza di tipo guerrigliero.
Questa regione non è così desertica come al Sud. E’ fertile, e ciò permette l’approvvigionamento alimentare, ed è anche montagnosa. Inoltre, il triangolo è sempre stato storicamente uno dei principali centri culturali islamici. I più grandi intellettuali e capi religiosi del mondo arabo sono morti a Baghdad. Infine, questa regione è effettivamente abitata in maggioranza da sunniti, ma i combattenti provengono da tutte le correnti religiose del paese.

Che accade nel Sud, dove la resistenza sembra meno visibile?

Mohammed Hassan. Dopo luglio, sette britannici sono stati uccisi dalla resistenza presso Bassorah, la grande città del Sud. La logistica USA è costantemente attaccata. I camionisti iracheni che vanno dall’Iraq al Kuwait riportano che i camion dell’esercito USA che convogliano gli approvvigionamenti su Baghdad, vengono attaccati, fatti bruciare e sono vittime di sabotaggi a ripetizione.
Questa regione ha una lunga tradizione nazionalista, che risale alla resistenza all’occupazione britannica, tra il 1920 e il 1922. Non si era riusciti a sconfiggere questa resistenza, se non utilizzando massicciamente armi chimiche, su ordine del futuro primo ministro Churchill, detto “il chimico”. Settantamila britannici erano stati spediti all’epoca.
Nel Sud, tre grandi correnti politiche antiamericane sono presenti. Innanzitutto, la corrente sciita venuta dall’Iran. Per loro, Saddam è stato un dittatore, essi vogliono uno Stato islamico. Vogliono prendere tempo per organizzarsi prima di impegnarsi nello scontro con gli occupanti. Vogliono infiltrare la nuova amministrazione, affermando che essa deve essere nelle mani degli iracheni, con la cacciata sia degli americani che delle forze laiche.
C’è poi la corrente dell’imam sciita Muqtada Al-Sadr, che intende formare l’armata di Al-Mahdi, dal nome del dodicesimo degli imam fondatori dello sciismo, scomparso dodici secoli fa. Il 31 luglio, diecimila giovani si sono riversati nelle strade a Najaf, città santa dello sciismo, per chiedere di arruolarsi in questa armata. L’imam Al-Sadr esige la fine immediata dell’occupazione USA. Contro il partito Baath (il partito di Saddam Hussein), ma anche contro l’Iran: è un nazionalista arabo.
Infine, c’è la corrente uscita dal partito Baath, che agisce con un altro nome al Sud. Essa collabora con lo stimato imam al-Sistani, il quale difende un Iraq indipendente, ma non sotto forma di Stato islamico. E’ questa la corrente che organizza gli attacchi contro i camion della logistica USA che attraversano il Sud verso Baghdad.

Bush ha visto nella morte dei figli di Saddam un segno che la resistenza irachena starebbe finendo. Informazione o intossicazione?

Mohammed Hassan. Il governo USA riflette in modo molto meccanico e commette errori grossolani dovuti alla sua arroganza e al suo razzismo. Mi ricorda quando da ragazzo guardavo i “western”. I manifesti “Wanted, dead or alive” (ricercato: morto o vivo) ornavano gli uffici degli sceriffi, mentre i disperati partivano alla caccia dei banditi per fare fortuna. Gli Stati Uniti pensano che la mentalità del Far West esista in tutto il mondo. Ma i popoli del terzo mondo non ragionano certo in questo modo.
Dieci anni fa, ai tempi dell’aggressione USA alla Somalia, l’esercito americano aveva messo una taglia sulla testa del generale somalo Aidid, di 500.000 dollari. Il giorno dopo, Aidid fece la sua apparizione in uno stadio di Mogadiscio davanti a migliaia di persone, dichiarando: “ Offrirò 5.000 cammelli a chi riuscirà a trascinarmi davanti al comandante in capo USA”. Ciò non si è mai avverato.
Hanno messo sulla testa di Saddam una taglia di 25 milioni di dollari e su quella dei suoi figli di 15 milioni. Finalmente, dopo tre lunghi mesi, qualcuno ha venduto Uday e Qusay, i figli di Saddam. L’esercito USA avrebbe potuto catturarli, ma ha preferito eliminarli. Si sono battuti per sei ore di fronte a 500 soldati. Lo stesso giorno, poco dopo la loro morte, si è svolta una manifestazione di sostegno a Uday e Qusay, mentre un soldato USA veniva ucciso a Mossul.
Poi, gli americani hanno voluto mostrare il volto sfigurato dei due figli di Saddam. Ciò ha avuto un effetto traumatico sugli iracheni, perché, secondo l’Islam, è proibito mostrare il viso dei morti. Non hanno certo dimenticato che Rumsfeld e Blair avevano denunciato gli iracheni per avere fatto vedere prigionieri di guerra americani e britannici alla televisione.
Con questa azione, gli americani hanno perso completamente la battaglia per conquistare l’opinione pubblica araba. Il portavoce del partito Wafd in Egitto, abitualmente filoamericano, si è trovato nell’obbligo di dire che si trattava di un atto terribile, commesso dall’imperialismo più primitivo e barbaro che il mondo abbia mai conosciuto.
E’ in questo contesto che la Giordania, sotto la pressione della sua opinione pubblica, è stata costretta ad accordare asilo politico alle tre figlie di Saddam Hussein. La figlia primogenita ha così dichiarato: “Mio padre è stato tradito dai più alti gradi dell’esercito durante la guerra. Ma oggi continua a resistere come un vero patriota. Faccio appello a tutti gli iracheni perché intensifichino la resistenza contro l’occupante, non per far ritornare mio padre al potere, ma per abbattere la potenza coloniale”. Ciò ha accresciuto ulteriormente il prestigio di Saddam in tutto il mondo arabo, dove i suoi ritratti troneggiano nei caffè, da Algeri a Beirut.
Mai un leader arabo, dopo aver lasciato il potere, è stato così popolare dopo Saladino, il capo militare che cacciò la Crociata di Gerusalemme nel XII secolo. Oggi, davanti alla crescente resistenza, gli USA tendono ad accentuare la manipolazione dell’informazione. Siamo entrati nella seconda fase della guerra.

Vale a dire?

Mohammed Hassan. La prima è stata quella in cui gli Stati Uniti affermavano che stavano portando la pace e la stabilità in Iraq. E che si trattava di ridurre le ultime sacche di resistenza del potere di Saddam Hussein.
La seconda fase è quella del “search and destroy” (cerca e distruggi): arresti massicci, bombardamenti di villaggi, massacri ed esecuzioni sommarie. In questa situazione, persino i contadini e i cittadini meno consapevoli fanno il loro ingresso nella resistenza perché anche la loro vita è in pericolo.
Gli americani hanno detto che si trattava di piccole sacche di resistenza. Poi hanno parlato di sconfitta della resistenza dopo la morte di Uday e Qusay. Ora, evocano l’infiltrazione dall’esterno e la presenza di terroristi stranieri della rete di Al-Qaida. Parlano anche sempre più frequentemente del coinvolgimento della Siria e dell’Iran. E contraddizioni si manifestano anche con il loro tradizionale alleato, l’Arabia Saudita.
E’ la ripetizione dello scenario del Vietnam. All’inizio, parlarono di stabilizzazione, poi evocarono le infiltrazioni dal Nord Vietnam. Hanno allora bombardato tutti i villaggi dove vi era traccia della resistenza, e poi se la sono presa con i paesi vicini, il Laos e la Cambogia.
Il Pentagono è una macchina programmata per entrare in questo tipo di ingranaggi. L’imperialismo non ha tempo, deve registrare vittorie rapide. I popoli del mondo, anche quello dell’Iraq, hanno tempo. Hanno una capacità di sopportazione straordinaria. I vietnamiti lo hanno dimostrato, gli iracheni lo dimostreranno di nuovo.

Traduzione di Mauro Gemma
David Pestieau

tratto da http://www.anti-imperialism.net

http://www.autprol.org/