09/10/2003: Giornate contro la società carceraria


Dopo le iniziative tenutesi a settembre a Barcellona, a Torino il 9-10-11 ottobre l'appuntamento è per Scateniamoci tre giornate di confronto, dibattito e azioni contro tutte le forme di carcerizzazione sociale. Questo è il terzo appuntamento, dopo le mobilitazioni del movimento ginevrino che si sono tenute in questo fine settimana, e la prossima città toccata sarà Parigi. Le iniziative in questione sono state stimolate nell'ambito degli incontri e delle riflessioni intorno al progetto di costruzione di un coordinamento europeo anti-carcerario e contro la repressione.
Individualità e collettivi hanno deciso di incontrarsi e coordinarsi per l'approfondimento di una riflessione sulle nuove forme che va assumendo la società securitaria, per dar vita ad una comune iniziativa con l'occupazione del cantiere di un carcere ed essere insieme propulsori e diffusori di una critica radicale e di progetti che colpiscano tutte le forme di repressione dalle più classiche carceri all'avvento della aberrazione della reclusione dei migranti minori al di fuori del rispetto del più elementare e naturale diritto umano.

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Appello per la prossima riunione internazionale anti-carcere e contro la repressione per discutere dell'occupazione di un cantiere di un carcere in costruzione. Assemblea a Torino il 5-6 Aprile, Lega dei Furiosi, Via Murazzi del Po 24-26-28 (in fondo a c.so San Maurizio).

Per un coordinamento europeo anti-carcerario e contro la repressione.

Appello per l’occupazione del cantiere di un carcere.
Quest’appello è nato dalle due prime riunioni di preparazione : Ginevra nell’ottobre 2002 e Parigi nel gennaio 2003.

Gli Stati europei definiscono, istituiscono e applicano nuove leggi e misure comuni. Non è una novità, ma le ultime mirano alla costituzione di un vero arsenale giuridico e poliziesco per controllare e limitare ogni genere di resistenza allo sviluppo del sistema capitalista: per estendere la sua perpetua legge del profitto, esso deve far acettare con ogni mezzo a sua disposizione l’idea che al di fuori di lui non ci sia salvezza, che quella capitalista sia l’unica organizzazione umana possibile, che gli unici rapporti sociali immaginabili siano quelli generati dal denaro, anche se, proprio in nome del denaro, bisogna piegarsi alla realtà dello sfruttamento della maggioranza per il profitto di pochi. Neanche questo è una novità, ma la fase attuale di tale sistema è particolare: i cambiamenti strutturali dell’organizzazione del lavoro e della produzione (la delocalizzazione sistematica verso i paesi detti poveri, la flessibilità generalizzata…) alimentano la disoccupazione tra gli operai. La precarizzazione di tutt’una categoria di lavoratori non lascia più tempo libero da dedicare ad eventuali attività non-lucrative, ma costringe a piegarsi servilmente alla produttività e alle leggi dell’offerta interinale, agendo come un ricatto permanente sui salariati.
Il Capitale non cerca neanche più di propinare l’illusione del benessere e del progresso per tutta l’umanità; è finito il tempo glorioso del dopoguerra dove il lavoro poteva ancora apparire come un fattore di florido sviluppo sociale. Lo Stato impone gli interessi del mercato a colpi di leggi repressive, che siano d’ordine economico (stipendi che non aumentono più, licenziamenti che diventano semplici formalità, indennità di disoccupazione e Redito Minimo d’Inserimento ridotti all’osso...) o politico. Con questo raggiro lo Stato impone la sua "sicurezza" ai "cittadini" che devono accettare la legge statale della giungla: vivere è consumare e preservarsi dagli altri che, sempre in questa logica di mercato, cercherebbero di approfittare o di impadronirsi del poco che si ha. Vivere è sacrificare tutto per possedere qualcosina, e passare quindi la propria vita a difenderlo. Vivere è rinchiudersi sempre di più a casa propria, nel migliore dei casi in famiglia, ed evitare ogni altra forma di rel azione che potrebbe mettere in pericolo un quotidiano fatto comunque di noia, di TV e di psicofarmaci. Vivere è isolarsi... E per mantenere un posto in questa feroce competizione, bisogna denunciare quelli che non rigano ben dritto e schiacciare "gli altri".
"Gli altri" sono quelli il cui comportamento o la cui vita non corrispondono più al quadro stretto dello sviluppo capitalista assicurato dallo Stato: gli immigrati, contro i quali è stata instaurata una politica comune per poterli legittimamente espellere, mantenendo così una minaccia costante su tutti quelli sottopagati; sono i "giovani" ai quali la società non ha molto da proporre come futuro, se non consumare merda a prezzo d’oro, e che possono essere una nuova classe tanto più pericolosa in quanto non hanno molto da perdere; sono i ladri, che hanno l’arroganza d’immaginare che si possa prendere un po’ della torta in un mondo che mette in mostra di continuo le sue pretese richezze; sono gli "scrocconi" che non hanno capito che tutto si paga, anche le briciole, e che una merce che non si puo’ vendere si butta ma non si regala (meglio posti vuoti sul treno che viaggiatori senza biglietto, per esempio).
"Gli altri" sono anche i "contestatori" che escono del quadro imposto dalle leggi (promulgate ad hoc proprio da coloro che se ne avvantaggiano): gli operai colpiti dai piani sociali rischiano di finire davanti ai giudici per sequestro di persona e violazione di domicilio, avendo pensato di poter occupare il proprio posto di lavoro per chiedere quello che gli è sempre stato promesso, non come l’elemosina ma come lo stipendio di una vita di lavoro al servizio dei padroni, i quali dispongono dell’uomo diventato "inutile" come di una merce avariata.
"Gli altri" sono tutti quelli che, per scelta o per necessità, rifiutano di piegarsi alle leggi del mercato e del lavoro stipendiato: gli squatter, che si sistemano nelle case vuote, disturbando così un settore dell’economia molto lucrativo, che impone affitti proibitivi e spinge a diventare proprietari (non con un colpo di bachetta magica, naturalmente, ma accettando di consegnarsi piedi e mani legate alle esigenze del credito bancario); i nomadi, che hanno la sfacciataggine di pensare di potersi sistemare perfino nelle discariche comunali, e che alterano il paesaggio uniforme di una geografia urbana regolamentata; tutti quelli che scelgono di non lavorare tutti giorni, senza ambire a residenze secondarie, machine per papà e mamma, moda, vacanze organizzate, passatempi e cultura pronta da digerire; quelli che preferiscono organizzarsi diversamente per provvedere alle esigenze elementari: dalla condivisione degli affiti, dei mezzi, del materiale (in senso lato: si tratti di una canna da pesca o di un computer, di libri o di competenze specifiche…) in una vita più colettiva, fino al recupero nella spazzatura o nei negozi di quello che gli piace; quelli che non si accontentano dell’assistentato selettivo, che richiede di farsi identificare per meritare alcuni spiccioli, si tratti di reddito minimo o di associazioni sovvezionate; tutti coloro che hanno ancora come istinto vitale il fatto di resistere a quanto impedisca la vita per privilegiare il profitto: ad esempio chi rifiuta concretamente le manipolazioni genetiche, chi resiste contro la schiavitù vera e propira degli impieghi precari, chi lotta quotidianamente contro l’onnipotenza della polizia e dei secondini, chi si organizza autonomamente in movimenti, per esempio all’interno dei contro-summit come a Genova nel luglio 2001 o nell’ambito di incontri internazionali come il campeggio No border a Strasburgo nel luglio 2002.
La lista non finisce qui: ogni paese ha le sue specificità in materia di sicurezza (come il divieto della mendicità "agressiva" e la prostituzione di marciapiede in Francia).
Per costringere l’insieme delle popolazioni, gli Stati non hanno lesinato sui mezzi: non ci sono mille soluzioni, c’é ne sono due, e sono tutte due di natura coercitiva: o forzare ad acettare le sue leggi, a diventare citadino, a integrare e diffendere questa nebulosa un po’ sfocata "classe media", o reprimere in un modo o nell’altro quelli che rifiuttano di sottomettersi a questa maschera di partecipazione. Le abituali riunioni dei ministri degli Interni e della Giustizia dei diversi paesi europei (che si svolgono spesso durante i summit dell’Unione europea come a Nizza, a Barcelona…) hanno definito una politica comune contro i lavoratori precari immigrati, hanno dato una definizione del concetto di "terrorismo" che ingloba ormai tutti i movimenti sociali radicali, hanno istaurato Europol (embrione di polizia europea) e il Sistema d’Informazione Schengen (SIS, sistema informatico che raggruppa tutti gli schedari di polizia dei diversi paesi membri dell’Unione).
L’ultimo sarà, fin da gennaio 2004, il mandato di cattura europeo che firma nei fatti l’istaurazione di uno spazzio giudiziario europeo reale. Da questa data, ogni legge in vigore in un paese dell’Unione sarà applicabile sull’insieme dei 24 paesi membri e questo su semplice richiesta di qualsiasi giudice o procuratore. Questa volontà si é già tradotta con la repressione durissima dei movimenti "sovversivi" (spari a pallotole vere a Göteborg e Genova, interdizione di Batasuna in Spagna, incarcerazione di sindacalisti in Francia e retate negli ambienti anarchici poi "antiglobalizzazione" in Italia). Ultimamente il giudice Garzon ha lanciato un mandato di cattura contro un militante francese di un’associazione pubblica di solidarieta’ con i prigionieri. Entro brevissimo, esso mira a una politica ultra repressiva verso tutto il corpo sociale.
Questa politica europea si concretizza, in quasi tutti i paesi, con un programma di costruzione di nuove carceri. Uno dei punti comuni a tutti questi progetti é la generalizzazione sia del isolamento carcerario che della tortura "bianca" volta ad eliminare non più in funzione del delitto, ma del comportamento, del " grado di pericolosità " del prigioniero, in altre parole, in funzione della sua sottomissione o del suo rifiuto del sistema giudiziario e penitenziario : la costruzione di picole unita’ carcerarie per tempi di detenzione molto lunghi in Francia, i FIES in Spagna, l’articolo 41 bis in Italia, i carceri di tipo F in Turchia, il sistema d’isolamento in Svizzera…
In Francia, il voto sucessivo delle diverse ondate delle leggi di sicurezza accompagna il programma di costruzione di 32 nuovi carceri, 13.200 celle, quindi la possibilità di rinchiudere 25.000 persone in piu’ (il tasso di sovvrapopolazione raggiunge spesso il 200%) e significa anche che 75.000 altri saranno sottomessi a delle misure di restrizione della libertà: braccialetti elettronici, condizionale, messa alla prova, libertà vigilata, controllo terapeutico o psichiatrico con la minaccia diretta di carcerazione al minimo errore (da quindici anni, in Francia come in molti paesi "moderni" la proporzione é costante: 3 persone sotto controlo per 1 detenuta).
La galera non é evidentemente il centro del dispositivo: la scuola é un luogo di adestramento dove si martellano i bambini alle regole di questa società capitalista, dove si inculca la morale cittadina che insegna che quello buono é quello che integra le nozioni repubblicane e i regolamenti senza ribellarsi, e che i cattivi, quelli che rifiutano o non possono adattarsi, devono essere denunciati, inseguiti e puniti. La scuola é anche il luogo dove si separano i buoni dai cattivi elementi, dove i segni precursori delle "inclinazioni criminali" sono individuate fin dall’età più bassa e schedate in incartamenti che predestinano a tale o tale posto nella società.
L’urbanismo é concepito come un grandissimo spazio di video-sorveglianza dove chi non rispetta la regola del movimento, chi si ferma o chi va troppo veloce é sospetto e merita un controllo, magari un’imputazione. Il controllo sociale prova a fare di ogni abitante uno sbirro, l’infamia é ampiamente favorita attraverso le testimonianz e anonime, la tolleranza giuridica promessa per i pentiti che denunziano i loro "complici"; persino gli insegnanti o le portinaie sono imparentati con sbirri e beneficiano quindi delle prerogative che li proteggono giudiziariamente dalle minace o dagli insulti. I simboli della repubblica sono santificati e intoccabili, le prese in giro sull’inno nazionale e i fischi contro la bandiera sono passibili di reclusione etc, etc… E’ tutta la società che diventa carcerale.
In questo sistema, la galera é l’ultima minaccia senza la qualle le altre non possono funzionare: il rialzo vertiginoso del tasso d’incarcerazione non é puro caso ma dovuto all’attuazione delle nuove leggi di sicurezza. La galera é la minaccia paroxistica che fa pesare sopra tutti la sanzione.
Per tutti questi motivi, noi, i partecipanti alla prima riunione di Ginevra, abbiamo proposto di occupare in massa il cantiere di un carcere in costruzione alla fine dell’estate 2003.
Attraverso questa proposta non vogliamo scegliere un settore di lotta separato dagli altri. Queste costruzioni sono la testimonianza concreta della politica europea, sono lo strumento palese della gestione della miseria; riguardano la lotta dei senza documenti, come quella dei precari, dei disoccupati, e anche dei sindacalisti; la galera è l’ultima risposta a tutto quello che rappresenta un pericolo, cosciente o incosciente, per lo sviluppo capitalista. Attaccarsi alle galere, vuole dire attaccare la società che le genera. Ogni critica contro questa società non dovrebbe mai dimenticare di includere la prigione ponendo al meno il problema della sua utilità e della sua funzione. E’ completamente incomprensibile il fatto di non legare la politica ultra repressiva di sicurezza alla costruzione di nuove carceri; è ancora più sorprendente vedere che i primi interessati (raver, prostitute, nomadi…) non accennano opposizioni a queste costruzioni quando tutte le leggi votate prevedono l’incarcerazione per i trasgressori. Come se la galera fosse diventata invisibile, lontano dagli occhi, lontano dalla coscienza, come se ci si fosse dimenticati, per colpa del martellamento mediatico a proposito del diritto, della responsabilità individuale, del così detto carattere patologico degli atti sovversivi, che la giustizia è sempre una giustizia di classe, che il diritto è sempre del più forte e che quelli che vengono rinchiusi sono sempre, in maggioranza, dei poveri.
I primi giorni di discussione hanno permesso di rendersi conto dell’importanza di concepire questo movimento contro la società carceraria come un’impresa di demolizione a lungo termine che non concepisce il progetto dell’occupazione come una fine o un’apoteosi ma come un momento possibile le cui modalità e possibilità rimangono ancora da definire. L’idea centrale è di spaccare le separazioni che indeboliscono e impediscono di vedere un fenomeno nella sua globalità e di trovare i legami che possono riunire in una stessa critica del mondo capitalista uno occupante di case, un precario, un galeotto, un immigrato senza documenti… Per questo motivo c’è sembrato importante distaccarci dall’attivismo come l’abbiamo conosciuto in questi ultimi anni: bisogna trovare altro. Non bastano le azioni ultra minoritarie di resistenza e rifiutiamo le azioni di massa contrattate con lo Stato.
Ci siamo messi d’accordo sulla necessità di costituire una rete autonoma, capace di fabbricare i propri attrezzi di riflessione, d’azione, di diffusione, evitando così la manomessa delle organizzazioni istituzionali, la mediazione spettacolare e il recupero politico. I nostri scambi hanno permesso di cominciare a coordinarci, di sviluppare i mezzi che abbiamo già come i giornali, le trasmissioni di radio associative, e costruirne di nuovi come le campagne d’attacchinaggio, la pubblicazione di un fascicolo di temi di riflessione sulla società carceraria, dei momenti per comparire in comune. Ogni collettivo può usare gli sforzi di tutti per informare, dibattere, concertasi il più largamente possibile per combattere l’isolamento e precisamente opporsi alla costruzione di nuove carceri.
Delle riunioni sono previste un po’ dappertutto in Europa per fare prendere forma a quest’idea: ci devono essere più dibattiti possibili sulle forme, i contenuti, i metodi, i bersagli per fare sì che ogni gran riunione bimestrale sia più ricca e costruttiva possibile. A Parigi, eravamo un po’ più di un centinaio, raggruppando italiani, svizzeri, spagnoli, greci e francesi; a Torino saremo di più e più diversi.

L’abbozzo di testi di riflessione collettiva sono trovabili su http://internetdown.org/.butterfly e richiedono solo nuove intelligenze per portarle avanti. Siamo alla ricerca di sempre più numerosi complici per misurare le nostre forze, per fabbricare un vero rapporto di forza e non ennesima dimostrazione simbolica o velleitaria. Vorremo metterci in relazione con tutti quelle e quelli che lottano contro il sistema capitalista, contro gli inferni carcerari e tecnologici, contro tutti gli isolamenti e che sanno che non esiste un capitalismo a viso umano.
Non dimentichiamo in questa ricerca i muti sociali, quelli che sono rinchiusi. Sono loro che hanno lanciato l’azione, malgrado i rischi, scatenando una sommossa nella prima di queste nuove carceri, a Seysses, vicino a Toulouse, nel gennaio 2003, una settimana dopo la sua apertura: i rivoltosi hanno distrutto gli elementi materiali di quello che sono le fondamenta delle galere e della società, l’isolamento, la tecnologia e il profitto. Un combattimento contro la società carceraria non può lasciare da soli quelli che, tuttavia tenuti al silenzio, trovano il coraggio di ribellarsi. Non è per loro, ma con loro che bisogna costruire la lotta.
Riguardo all’occupazione stessa, a parte il fatto che è concepita come un momento nella costruzione di una rete anti-repressiva e anti-carceraria, non abbiamo ancora definito quello che sarebbe concretamente. Più idee sono state immaginate e sono da studiare… ma non c’è ancora niente di definitivo. Nessuna decisione definitiva sarà presa prima che le discussioni non siano esaurite e condivise dai più.
Un reso conto dell’ultimo weekend di preparazione è disponibile l’indirizzo internet di sopra.
LA PROSSIMA RIUNIONE DI PREPARAZIONE SI TERRA’ A TORINO Il 5 E 6 DI APRILE alla 'Lega dei Furiosi', VIA MURAZZI DEL PO 24-26-28.
Per avere informazioni più ampie, potete mandare un messaggio a butterfly@resiste.net

butterfly@resiste.net
http://internetdown.org/.butterfly


http://www.autprol.org/