18/11/2003: Solidarietà a Guido Mantelli


SOLIDARIETA' A GUIDO MANTELLI
PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA UN COMPAGNO
E' ACCUSATO PER LA LEGGE MANCINO

Il primo dicembre a Cuneo un compagno anarchico sarà processato con l'accusa di "discriminazioni razziali" per avere tracciato a spray sui muri di alcuni negozi scritte contro la barbarie sionista e le violenze dei benetton in patagonia

UN' INSOLITA ACCUSA

Sono chiamato ad affrontare, in qualità di unico imputato, un procedimento penale che dovrebbe stabilire se ho o meno incitato all'odio ed alla violenza tra esseri umani di differente etnia, per mezzo di alcune scritte a bomboletta spray. Insomma, con termini forse oggi antiquati, mi si accusa di discriminazione razziale.
E non è una bella cosa: per quanto mi riguarda, abituato ad incriminazioni per reati contro l'Autorità e contro il Patrimonio, quest'insolita accusa (che, per quanto ho potuto documentarmi, pare sia stata fino ad oggi indirizzata generalmente a militanti e gruppi di ideologia xenofoba o nazifascista) mi spinge a volere chiarire i motivi e le circostanze per cui mi si vuole processare.
Sinceramente, più che dirigermi alle autorità giudicanti, faccio di questo chiarimento una questione di principio nei confronti di quanti incontro ogni giorno per strada. Di chi, e giustamente, potrebbe un giorno disprezzarmi se non sentissi la necessità di dimostrare la mia estraneità rispetto a certe accuse. Una necessità che invece avverto eccome visto che di fatto mi si vorrebbero appiccicare addosso idee che non solo non condivido, ma combatto con quanta energia mi è possibile.
Allo stesso tempo, considerando l'importanza che riveste una faccenda del genere, non soltanto in termini di incriminazione penale di un individuo, quanto soprattutto per le tematiche che vengono chiamate in causa, devo ammettere di essere molto ben disposto dall'idea di trasformare questo mio incidente giudiziario in un'occasione di pubblica accusa delle atrocità commesse in nome del privilegio economico e politico da parte del regime sionista e del colosso capitalista Benetton.
Senza ulteriori premesse, e con la speranza di sviluppare nel corso di questo scritto una serie di considerazioni ed apporti documentativi che possano aiutare in questo mio intento chiarificatore, risaliamo al 5 settembre dell'anno scorso, quando cioè si svolsero i fatti di cui sono imputato.
Quella notte sono uscito di casa con una bomboletta spray in tasca e con l'intenzione di usarla per trasformare alcuni muri e le vetrine di due negozi del centro storico nel veicolo della ribellione che visto come "va il mondo" considero, e come me tanti altri sfruttati, un'ineludibile necessità. Tra le tante nefandezze attraverso cui ogni giorno, in ogni parte del mondo, si impone il sistema sociale ed economico basato sull'Autorità e la concentrazione delle risorse nelle mani dei grandi signori del Capitale, quella sera ne avevo in testa due in particolare nei confronti delle quali sentivo il bisogno ed il desiderio di reagire, vuoi forse perché per gli eventi di quei giorni mi parevano più urgenti di altre.
La seconda Intifada della resistenza palestinese si trovava di fronte ad un'escalation repressiva da parte dello Stato di Israele che ogni giorno provocava decine di morti e distruzioni nei campi profughi e nei territori amministrati dall'Autorità Nazionale Palestinese.
Circolavano in vista di un'ampia campagna di mobilitazione, per lo meno negli ambienti più sensibili alla solidarietà tra gli sfruttati, notizie e dati sulle condizioni e vicende delle comunità indigene che in Patagonia sono aggredite dall'espansionismo economico dei grandi gruppi capitalisti del "mondo avanzato", aggressione in cui i Benetton giocano un ruolo sicuramente non secondario.
Per trovare un luogo che potesse offrire un preciso significato ai miei messaggi, ovvero un muro o un vetro che avessero attinenza concreta con le questioni che volevo affrontare, per i Benetton non ho avuto problema visto che i negozi di abbigliamento della catena veneta spuntano come funghi in ogni città d'Italia, e Cuneo non fa eccezione. Per quanto riguarda invece i massacri compiuti per imporre gli interessi dello Stato d'Israele ai danni degli arabi palestinesi e dei paesi confinanti, mi venne in mente una lettera (o un'intervista, adesso non ricordo) in cui un membro della famiglia Cavaglion, ricchi commercianti della "Cuneo che conta", da tempo trasferitosi in Israele, raccontava al settimanale locale "La Masca" quanto sia duro vivere oggi in quello Stato sotto la costante minaccia degli attentati palestinesi, angosciati per di più dall'apprensione che si nutre nei confronti dei giovani che, come suo nipote, svolgono il servizio militare nei territori occupati.
Esatto, il giovane Cavaglion è uno di quei soldati con la stella di David che al telegiornale vediamo sparare contro i bambini che tirano le pietre, rastrellare villaggi e radere al suolo le case dei famigliari dei resistenti palestinesi.
Pensai quindi che le vetrine di lusso del negozio Cavaglion sarebbero andate benissimo perché, anche a Cuneo, si esprimesse solidarietà agli insorti dell'Intifada e si evidenziasse la complicità di coloro che, teoricamente sostenendo l'ideologia sionista e praticamente prestando servizio nelle operazioni di guerra dell'esercito, hanno un inequivocabile legame con gli interessi e la politica dello Stato d'Israele.
Purtroppo il desiderio e l'impeto nel fare sentire (o in questo caso leggere) i propri messaggi a volte può rendere sprovveduti, e per quanto non ignorassi certo che, a Cuneo come in tutte le città "progredite" grazie alla diffusione capillare degli impianti di video vigilanza, ci sono un po' dappertutto occhi elettronici che spiano e registrano gli spostamenti di noi tutti, non ho tenuto in conto la possibilità che il mio gesto finisse nel mirino di una di queste lenti. Grazie quindi ad una telecamera interna al negozio Cavaglion, è stato possibile successivamente risalire a chi aveva tracciato le scritte e denunciarmi.
In base al fatto che la telecamera di Cavaglion mi avesse "intrappolato", gli agenti di Polizia hanno poi provveduto ad estendere la denuncia nei miei confronti alle scritte sulle vetrate del negozio Benetton, nonché ad altri messaggi in vernice rossa tra i tanti apparsi, non soltanto quella notte, sui muri del centro storico.
Ora, se in questo scritto cercherò di argomentare più approfonditamente le distinte motivazioni che mi spingono a prendere posizione contro il sionismo e contro l'impero Benetton, credo sia sufficiente un breve accenno al terzo negoziante che si è costituito parte offesa in questo procedimento: il titolare di un negozio di calzature che si è ritrovato su un muro adiacente la scritta "fuori gli sbirri! Rivolta".
Di questo terzo negozio, e del suo titolare, sinceramente non so nulla e la scritta sul muro, scelto perché lungo, abbastanza liscio e vicino ad un incrocio di notevole passaggio, non ha niente a che vedere appunto con l'attività di questo negoziante. Sull'inimicizia viscerale che da sempre regola i rapporti tra chi si ribella all'ordine costituito e chi, per soldi o convinzione, in nome di tale ordine controlla, perseguita e reprime, non mi pare necessario dilungarmi. Mi piacerebbe però sapere per quale motivo si debba sentire offeso dalla mia scritta uno che vende scarpe…a meno che non sia lui stesso uno sbirro o che abbia qualche famigliare arruolato nelle forze dell'ordine!
Concentriamoci comunque ora sugli aspetti più salienti del mio presunto odio etnico.

Il SIONISMO

"Qual è la lacerazione più profonda che provano oggi gli ebrei (e anche i non ebrei) davanti a quello che accade in Libano?

Per me e i miei amici è tra l'immagine che ci eravamo costruiti dello Stato d'Israele (e cioè di essere il paese oasi, il paese della ricostruzione della nazione ebraica) e, invece, la nuova evoluzione, in senso militarista, in senso larvatamente fascista. Si trattava di ridare un centro non solo geografico, ma anche culturale, all'ebraismo mondiale. Adesso stiamo assistendo al prevalere delle istanze nazionaliste in senso aggressivo…"

Primo Levi, da un'intervista pubblicata il 28 giugno 1982 sul quotidiano "La Repubblica"


"Ricordiamoci in che modo gli altri popoli ci hanno trattato e come ci trattano ancora dappertutto, come stranieri, come inferiori. Guardiamoci dal considerare e dal trattare quale cosa inferiore ciò che ci è estraneo e non abbastanza noto! Guardiamoci dal fare noi quello che ci è stato fatto."

Martin Buber, 1929


"Così il movimento nazionale ebraico social-rivoluzionario, partito cinquant'anni fa con ideali tanto elevati da impedirgli di riconoscere le realtà particolari del Vicino Oriente e la generale malvagità del mondo, ha finito per appoggiare in modo inequivocabile - come succede alla maggior parte di questi movimenti - non solo gli obiettivi nazionali, ma anche quelli sciovinisti - non contro i nemici del popolo ebraico, ma contro i suoi potenziali amici ed attuali vicini."

Hannah Arendt, ottobre 1945


Con il termine "sionismo" si identifica il movimento politico, promosso alla fine dell'ottocento dallo scrittore Theodor Herzl, che ha per finalità la creazione in terra di Palestina di un'entità politica nazionale per le comunità ebraiche disperse in ogni parte del globo.
Nel corso della sua evoluzione, l'ideologia sionista e le sue realizzazioni pratiche hanno visto accompagnarsi, ed entrare spesso in conflitto tra loro, motivazioni e prospettive diversissime tra loro. Ciò è dovuto al fatto che l'ideale di una terra in cui gli ebrei potessero finalmente vivere al riparo dalle persecuzioni di cui, nel corso della storia, erano stati fatti oggetto riuscì a coinvolgere tanto le classi ebraiche abbienti, insediate principalmente nell'Europa occidentale, quanto il vasto proletariato di fede ebraica che, incalzato da ininterrotte persecuzioni, dall'Europa orientale andava riversandosi sui "più accoglienti" paesi occidentali.
Convivevano quindi in un medesimo progetto politico da un lato le esigenze di consolidamento del privilegio ed incremento dei profitti che caratterizzano i ricchi di ogni cultura, religione e paese, e dall'altro la speranza, comune tra gli sfruttati, di emancipazione economica e sociale e riscatto dalle discriminazioni subite. In ogni caso l'ideale terra promessa sarebbe stata acquistata pezzo per pezzo ai ricchi possidenti arabi, che sfruttavano il lavoro dei contadini palestinesi, grazie ai fondi raccolti nelle casse sioniste. Grazie alla "legge del più ricco", un "popolo senza terra" sarebbe così diventato padrone di una regione in cui già vivevano altre genti.
Nei rapporti dei coloni in arrivo dall'Europa con le popolazioni arabe che abitavano la Palestina, si evidenziano le differenze che appunto caratterizzavano il movimento sionista: la prima ondata di coloni, i cosiddetti chalutzim (pionieri) si dedicarono, nella più pura attinenza ai codici biblici, alla creazione di comunità agricole (i kibbutz) in cui produzione e relazioni sociali erano fortemente ispirate ai valori socialisti che avevano animato la loro adesione al sionismo come prospettiva di emancipazione. In generale tali comunità si sviluppavano escludendo gli arabi palestinesi dal proprio funzionamento e dai benefici che ne conseguivano, sebbene vi fossero anche comunità in cui arabi ed ebrei convivevano concretizzando così gli ideali internazionalisti ed egualitari della componente libertaria del proletariato ebreo. Vi erano poi i coloni che, secondo un meccanismo che si può equiparare alla servitù della gleba, ritenevano che, comprate le terre, avessero con esse acquistato dagli sceicchi il privilegio di sfruttarne gli abitanti palestinesi.
Da queste premesse muove l'espansione sionista in Palestina: un movimento che con l'inasprirsi del conflitto tra "nuovi" e "vecchi" abitanti, conseguenza anche delle nefaste politiche imperialiste messe in atto dalle potenze europee, ed in particolare dall'Inghilterra (che occuperà la Palestina dal 1918 al 1948 per amministrarla sotto forma di Mandato), andrà sviluppandosi in una fervida ideologia nazionalista ed in una politica di discriminazione del popolo palestinese ed aggressione militare nei confronti dei paesi confinanti.
Con la proclamazione dello Stato di Israele, il 15 maggio del 1948, il sionismo assume definitivamente lo status di un'ideologia di governo finalizzata all'egemonia di una specifica entità nazionale nell'area medio-orientale, la cui politica di guerra interna (repressione e sterminio dei civili arabi e dei militanti delle organizzazioni di resistenza del popolo palestinese) ed esterna (incursioni ed invasioni nei territori dei paesi confinanti con il pretesto di attaccare le basi della guerriglia anti-israeliana) ha il privilegio dell'appoggio di fatto incondizionato delle grandi potenze, Stati Uniti in primis.
Dico incondizionato perché non mi pare si possano certo definire aspre critiche gli sporadici, timidi richiami affinché lo Stato di Israele si attenga alle risoluzioni O.N.U. in fatto di diritti dei palestinesi e limiti territoriali all'espansionismo sionista)
Un privilegio che fa leva sia sui "sensi di colpa" degli Stati occidentali per non avere impedito l'eccidio del popolo ebraico nei campi di sterminio nazisti, sia sugli strettissimi vincoli che il mondo occidentale ha con le ricchezze del grande capitalismo d'Israele e l'avanzato sistema produttivo di nuove tecnologie che tale Stato esporta in tutto il mondo (specialmente, ma non solo, in campo bellico).
Con territori trasformati in immensi campi di concentramento per le popolazioni arabe (suscitava, e giustamente, tanto ribrezzo il muro di Berlino, ma com'è che adesso che Israele sta cintando i territori occupati con un muraglione in cemento armato ben poche sono le voci di sdegno che si levano?), con migliaia di morti a mano della polizia, dell'esercito e dei servizi segreti israeliani, con la discriminazione sistematica delle comunità ebraiche non discendenti dal movimento sionista che abbandonò l'Europa e la criminalizzazione del dissenso che, all'interno della stessa nazione israeliana, viene mosso alle politiche del governo Sharon, non credo proprio di avere scritto il falso accompagnando la parola sionisti alla qualifica di assassini.


L'IMPERO BENETTON

"Sono arrivati i nuovi padroni ed hanno comprato tutto,
terre, fiumi, animali e perfino le persone."
Detto delle genti patagoniche

La favola della famiglia più chic d'Italia, tanto cara anche alla sinistra mondana, ecologista e sensibile ai problemi che affliggono il mondo, riesce a fatica a nascondere la realtà di sfruttamento intercontinentale di cui sono responsabili i Benetton. Basta un briciolo di documentazione per non farsi più tanto impressionare dalle trovate fotografiche di Oliviero Toscani, e rendersi invece conto di quale sia l'autentica filosofia del colosso economico Benetton.
Gli interessi di questi gentiluomini e gentildonne veneti, che hanno iniziato le loro attività a partire da un maglificio a conduzione familiare, spaziano oggi in vari campi: attraverso una società finanziaria denominata Edizione Holding, da cui dipendono altre società nei singoli settori di intervento, i Benetton sviluppano i loro affari dalla produzione di manufatti tessili, calzature ed attrezzature sportive (Benetton Group SpA) agli investimenti in campo immobiliare ed agricolo (Edizione Property). Dal patrocinio di squadre, strutture ed eventi sportivi (Verdesport SpA, Pallacanestro Treviso, Volley Treviso SpA, Palazzetto dello Sport Treviso) alla compartecipazione nelle catene della grande distribuzione alimentare e di ristorazione (Gruppo GS, Spizzico, Autogrill SpA, Euromercato), fino alla proprietà di quote societarie ingenti nelle grandi infrastrutture del settore dei trasporti (alcune delle principali stazioni ferroviarie, tra cui Torino Porta Nuova e Firenze Santa Maria Novella, e la Società Autostrade). Infine, al passo con i tempi, i Benetton si sono lanciati nel grande business della telefonia mobile e, dopo la poco riuscita avventura della Blu, sono oggi, con Tronchetti Provera, i padroni della Tim.
Insomma, un vero colosso con circa 26.000 dipendenti ed un fatturato annuo che, alla fine degli anni 90, superava abbondantemente gli 8.000 miliardi di vecchie Lire.
Tra i tanti possedimenti immobiliari dei Benetton vi sono più di 900.000 ettari di terreno nella Patagonia argentina, destinati principalmente per l'allevamento di centinaia di migliaia di ovini da cui Benetton ricava parte della lana per le sue industrie tessili.
Ma, e così veniamo al motivo principale (anche se non certo l'unico) per cui ho lasciato la scritta "Benetton sfruttamento" sulle vetrine di uno degli spacci del gruppo nella nostra cittadina, credo sia interessante dilungarmi ulteriormente sulla proprietà fondiaria di questo impero in America Latina. Le feroci repressioni che nel corso dei secoli hanno decimato le popolazioni originarie che abitavano le terre di Patagonia, hanno fatto di quelle terre l'immenso latifondo che per decenni ha rappresentato l'indegna ricchezza delle più potenti famiglie dello Stato argentino, fino a che, con l'inizio degli anni 90, per tutta una serie di fattori economici, quest'immenso capitale fondiario si è tramutato in una lauta possibilità di nuovi guadagni per il Capitale internazionale. Con cifre ridicole i grandi ricchi nordamericani ed europei hanno così iniziato ad acquistare porzioni immense di territorio patagonico: pascoli, terreni coltivabili, nonché un patrimonio pressoché illibato di riserve minerarie ed energetiche. Va da sé che, con l'acquisto di estesissime porzioni di territorio, a cui viene dato il nome di estancias (alcune delle quali superano i 200.000 ettari), i capitalisti del "mondo avanzato" si sono garantiti anche lo sfruttamento di quelle che chiamano le "risorse umane", ovvero le comunità originarie che dalla notte dei tempi abitano l'estremo del Cono Sur.
E come ci si può immaginare non è che sia uno sfruttamento "tenero" se mai ne possa esistere uno così definibile: quando il ricatto per cui "o stai buono o perdi il lavoro" (essendo i padroni di tutto, terra, acqua, risorse va da sé che sono anche i padroni della mano d'opera) non basta più e la gente si ribella ai continui soprusi ed alla rapina della propria terra, le armi di convincimento sono allora la polizia, l'esercito, la prigione e l'allontanamento dalle terre in cui si è sempre vissuto.
Così molte comunità native, ed in particolare il popolo dei Mapuche, stanno conducendo una determinata lotta di resistenza per opporsi ai criminali progetti di sfruttamento dei grandi capitalisti che hanno invaso la Patagonia, ed alla politica di emarginazione e repressione che viene loro riservata dallo Stato argentino e da quello cileno per pacificare le floride estancias.
Per appoggiare tali lotte sono in corso da anni campagne ed iniziative in molti paesi del pianeta, ed anche in Italia dal 1996 è in corso una mobilitazione costante che ha visto donne e uomini solidali che, tra le varie iniziative proposte (tra cui una raccolta di fondi per l'acquisto di bestiame da parte di comunità Mapuche, ed una campagna di appoggio a quanti per questa lotta di resistenza sono reclusi nelle carceri cilene ed argentine), hanno individuato la maniera più coerente e corretta a mio avviso per aiutare le rivendicazioni dei popoli nativi della Patagonia: portare la lotta nei paesi da dove vengono i responsabili di simile disastro sociale ed ambientale, svelandone la reale nocività ed arrecandovi danni economici.
Le scritte che ho tracciato sulle vetrine di un negozio Benetton qui a Cuneo sono da intendersi quale un piccolissimo contributo personale a queste lotte.


Quali conclusioni si possono trarre da questi seppur brevi e sicuramente superficiali accenni documentativi? Che quanto ha mosso il mio braccio in un, ripeto, modestissimo gesto di ribellione non è certamente una mia avversità preconcetta verso persone o famiglie, dovuta al fatto che provengano da un determinato congiunto comunitario o che professino uno specifico credo religioso. Del culto a cui siano dediti i Benetton poi, a parte quello del profitto ad ogni costo, proprio non mi è dato sapere né, parimenti a quanto riguarda la famiglia Cavaglion, mi interessa minimamente.
A parte il fatto che non sia assolutamente convinto, ed anzi susciti in me un marcato impulso di sospetto e repulsione, il criterio di differenziazione degli esseri umani in etnie, mi piacerebbe sapere da chi ha formulato nei miei confronti l'accusa di "incitare all'odio e alla violenza etnica" quale sarebbe il gruppo etnico verso cui aizzerei tanto livore.
Forse che io mi sia scelto per nemico un'inesistente "etnia sionista" (come se si potesse parlare di un'etnia fascista o di un'etnia socialdemocratica) di cui farebbe parte la famiglia Cavaglion, o forse un altrettanto improbabile "etnia sbirra" (analoga ad inedite etnie "poliziotte" e "magistrate") di cui farebbero parte gli arruolati nelle forze della repressione, od ancora, infine, una sorprendente "etnia veneta" che vedrebbe nei Benetton i suoi prodi alfieri nel mondo?
Credo, e concludo, che con questo scritto abbia sufficientemente argomentato l'inconsistenza dell'accusa che mi è stata rivolta ed al tempo stesso emerga, senza possibilità di venire frainteso, un sentimento che non mi è mai andato di nascondere, ovvero l'ostilità profonda che provo nei confronti di quanti partecipano al perpetuarsi di un ordine sociale ed economico basato sullo sfruttamento e la diseguaglianza.


Guido Mantelli


PER QUANTI TROVASSERO INTERESSANTI
LE CONSIDERAZIONI QUI PUBBLICATE
E VOLESSERO PRESENZIARE AL PROCESSO PENALE
A CUI CI SI RIFERISCE,
L'APPUNTAMENTO È PER L'1 DI DICEMBRE 2003,
ALLE ORE 9.00,
DAVANTI AL TRIBUNALE DI CUNEO,
IN PIAZZA GALIMBERTI.


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