27/02/2004: Ritiro immediato delle truppe senza se e senza ONU


Traspariva fin dall’inizio che il pacifismo istituzionale, pur con differenze al suo interno, cercava di ri-aggrapparsi all’Onu, per apporre il suo “MA” al ritiro immediato delle truppe di occupazione dall’Irak.
Il ri-aggancio non poteva, però, essere immediato e diretto (come pure non può permettersi di eliminare esplicitamente l’obiettivo del ritiro delle truppe). Bisognava squalificare prima la resistenza armata, fare lunghi panegirici sulla lotta pacifica. Proprio nel caso irakeno, infatti, il ruolo giocato dall’Onu era stato quanto mai esplicativo sulle sue reali funzioni.

L'ONU governo mondiale dei (pre)potenti.
Tanto per rinfrescarci la memoria, la prima aggressione all’Irak del 1991 fu condotta sotto le bandiere delle Onu. Giustificata per mettere fine all’occupazione del Kuwait, andò direttamente al suo vero scopo (in questo caso condiviso da tutto il primo mondo), di limitare la pretesa di Saddam - e di chi eventualmente volesse seguire il suo esempio - sui prezzi del suo petrolio a danno della cresta pretesa dalle multinazionali. A tal fine, si mise in atto un bombardamento - dopo che era ampiamente cessata l’occupazione del Kuwait - che sganciò un quantitativo di esplosivo pari a quello effettuato durante tutta la seconda guerra mondiale, con un numero di circa duecentomila morti. Molti di questi erano soldati in ritirata o arresisi, letteralmente travolti e sepolti dai carri armati della “grande coalizione mondiale”. Sotto l’egida dell’Onu, Bush padre si permise di affermare che la punizione in atto si prefiggeva di riportare l’Irak all’età della pietra.
Cessati i bombardamenti, sempre in sede Onu fu deciso un embargo – durato poi 12 anni - che ha provocato più di un milione di morti, soprattutto tra bambini e anziani.
Intellettuali corrotti (non solo nel cervello) e politici di inqualificabile sinistra hanno cercato di coprire le nefandezze dell’Onu, adducendo il solito argomento di tutte le aggressioni coloniali: bisognava proteggere gli irakeni dalle atrocità della dittatura saddamista, come alcuni decenni prima bisognava liberare gli schiavi dal Negus. Hanno avuto una sola accortezza in questo squallido compito: invece di definire l’aggressione come un intervento di civilizzazione, l’hanno battezzata come ingerenza umanitaria. E tutta la grottesca discussione sulle colpe di Saddam si svolgeva nel mentre perfino l’uomo della strada sapeva di un certo petrolio.

ONU garante di libertà, democrazia e sicurezza... del capitale europeo.
L’Onu non ha ritenuto di dover avallare la seconda aggressione all’Irak, nella quale gli Usa intendevano svolgere la parte leonina portandosi dietro un po’ di sciacalli (la metafora l’abbiamo rubata all’arcivescovo Nogaro di Caserta). Questa impennata ha ridato fiato alle trombe del pacifismo istituzionale per opporre al cosiddetto movimentismo la possibilità di fare politica con strumenti “credibili”.
La seconda aggressione faceva seguito a quella contro l’Afghanistan, che fu giustificata come reazione all’attentato alle Twin Towers. Contro i talebani gli Usa si portarono dietro anche l’Europa tutta. Nel preparare il nuovo attacco a Saddam gran parte del mondo si è opposto: in particolare, i governi francesi e tedeschi, nonché russi e cinesi. I pacifisti istituzionali hanno voluto (far) credere che quindi, alla lunga, la vocazione pacifista emerge anche nell’Onu.
Facciamo allora un giochino per bambini scemi. Dubitiamo per un momento sulla vera vocazione del governo francese, tedesco, nonché russo e cinese. Non diciamo cioè subito che sono guerrafondai anche essi, nonostante la prima aggressione all’Irak. Ma dubitiamo anche in senso contrario, perché questi precedenti ci sono, e non solo: la Francia è ben nota per le sue anche attuali prodezze in Sierra Leone e in Ruanda, la Russia in Cecenia, e un po’ tutti mantengono truppe di occupazione in varie parti del mondo. Puntiamo invece la nostra attenzione sul fatto più eclatante: gli Usa corrono per la prima volta il rischio di contrapporsi ai loro alleati europei. E’ una scelta gravissima, che non può avere come spiegazione l’improvvisa vocazione pacifista di gente come Chirac. Neanche un bambino (non scemo) ci crederebbe e, per quanto non marxista che cerca sempre il pelo nell’uovo, si sforza di capirci un po’ di più. Questa volta, però, pur assumendo il petrolio come punto di riferimento, non può fermarsi qui: anche nel 1991 c’era l’obiettivo petrolio dell’Irak, ma lo stesso fu perseguito, volens nolens, da tutti i compari.
La domanda è allora: perché questa volta sono solo gli Usa a voler aggredire l’Irak, mentre addirittura Francia e Germania si oppongono? E’ dall’esito di questa domanda che si può stabilire o meno un punto di contatto tra oppositori statali degli Usa e movimento contro la guerra. Altrimenti, la tattica, per quanto si ammanti di realismo, sarà solo una “scommessa immaginifica”: nel migliore dei casi, va da sé.
La risposta – come dice William Clark - è semplicemente stupefacente, anche se –aggiungiamo noi - abbastanza già nelle righe. Riportiamo testualmente una parte di quanto l’intellettuale australiano ha scritto per la rivista “la Contraddizione”:

“In realtà, il governo Usa vuole prevenire ulteriori spostamenti delle transazioni valutarie sul petrolio da parte dell’Opec verso l’euro, e per impedire ciò punta al controllo territoriale dell’Irak. Un anonimo commentatore così parla della verità non detta: ‘Il più grande incubo della Fed è nel possibile spostamento dell’Opec, per le sue transazioni internazionali, dal riferimento al dollaro a quello dell’euro. Effettivamente l’aveva già effettuato nel novembre 2000 (quando l’euro era quotato intorno agli 80 centesimi al dollaro), scommettendo sulla continua svalutazione del dollaro sull’euro’.
Saddam ha siglato la sua condanna decidendo di passare all’euro, alla fine del 2000, e –dopo - quando ha convertito in euro il suo fondo di riserva di 10 miliardi di dollari presso l’Onu. A quel punto la seconda guerra del golfo da parte di Bush jr era inevitabile. La continua svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro, dalla seconda metà del 2001, ha comportato un notevole guadagno per l’Irak a seguito dell’operazione fatta. Da allora l’euro ha guadagnato parecchi punti percentuali, la qual cosa si applica anche ai fondi Onu ‘petrolio per cibo’, precedentemente calcolati in dollari.
Bush vuole un governo fantoccio in Irak, ossia tramite esso il complesso industriale militare vuole restaurare stabilmente il riferimento al dollaro (auspicando che l’Opec metta un veto su qualsiasi tentativo di spostamento verso l’euro, a cominciare dall’Iran, secondo produttore Opec, che sta considerando l’eventualità di tale passaggio). Inoltre, nonostante la datata amicizia verso gli Usa da parte dell’Arabia Saudita, il regime saudita sembra sempre più debole ed esposto a rivolte popolari, tanto che una ‘rivoluzione saudita’ potrebbe costituire una risposta all’impopolare invasione Usa in Irak.
Il governo neo-conservatore di Bush, essendo consapevole di questi rischi, punta a una presenza militare permanente nella regione del golfo persico del dopo Saddam, qualora dovesse fronteggiare una rivolta antioccidentale nei campi petroliferi sauditi. Tutto ciò che va al di là della questione della valuta di riferimento, e dei problemi petroliferi dell’area, è secondario. Lo scontro dollaro-euro è grande abbastanza da far correre il rischio di un riflusso economico nel breve termine, pur di allontanare nel lungo il collasso del dollaro a seguito di uno spostamento Opec dal dollaro all’euro. In questo ‘grande gioco’ ci rientrano Russia, India e Cina.”

Quindi, a tutta evidenza non ci troviamo assolutamente di fronte ad un’opposizione pacifista nell’Onu, rectius, nel suo Consiglio di Sicurezza. A maggior conferma, è venuta la posizione assunta da questi all’indomani dell’occupazione dell’Irak. L’Onu, cioè gli europei che avevano votato contro l’aggressione, ha legittimato l’infame occupazione.
Stabilito chi sono gli ondivaghi del Consiglio di Sicurezza e quali sono i loro reali interessi in contrapposizione a quelli usamericani, il voto favorevole all’occupazione è una chiara risposta alla cauta apertura degli occupanti. Questi hanno lasciato più volte intendere, soprattutto man mano che aumentavano le difficoltà di gestione dell’Irak, di voler insediare un condominio: a patto che la direzione fosse americana. Gli europei hanno risposto di essere disponibili a co-gestire la torta, a patto di essere parte della direzione. Sulla questione è dunque iniziato un lungo braccio di ferro, che gli europei pensano di poter vincere, potendo contare sulle crescenti difficoltà dell’occupazione e sulla vittoria dei democratici alle prossime elezioni di novembre negli Usa.
In questa partita non c’è spazio per il movimento della pace, che punta sull’autogoverno degli irakeni, giacché il risultato finale (chiunque vinca) non sarà mai il ritiro delle truppe di occupazione. Illazione? Si veda allora quanto è successo in Bosnia e in Kosovo, dove il protettorato si protrae ancora oggi e cioè a distanza di molti anni dalla fine delle cosiddette ostilità. Eppure qui l’unilateralismo statunitense è bilanciato dai paesi “pacifisti” europei. O no?
D’altra parte, che i pacifisti istituzionali nell’invocare la presenza Onu in Irak intendono sostenere le ragioni dell’Europa è dimostrato dalla loro posizione a favore di quest’ultima. Tutti i pacifisti che parlano di Onu sono ferventi sostenitori dell’Europa; i più accorti, per via della la loro esposizione al movimento, sostengono un’Europa contaminata dal “sociale”.
Noi continuiamo a sostenere, ovviamente assumendo sul serio l’obiettivo del ritiro delle truppe, che uno dei passaggi realistici del movimento è la delegittimazione dell’Onu. Questo passaggio – si obietterà - è perseguito anche dagli Usa. E’ vero, ma non perché gli oppositori, nel Consiglio di Sicurezza, ai suoi piani siano paesi deboli e/o oppressi. Da questa opposizione può nascere o un compromesso a danno dei paesi deboli e/o oppressi o una nuova grande guerra.

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http://www.autprol.org/