18/08/2004: Najaf sotto il fuoco: “I soldati USA possono vincere alcune battaglie, ma perdiamo la guerra”


Sostenuto dagli F-16 e dagli elicotteri da bombardamento, l’esercito americano (coadiuvato da alcune centinaia di militari iracheni) attacca da una settimana le città di Najaf, Baghdad (nei quartieri di Sadr City, Shula e Sha’ab), Bassora, Nassiriya, Kut, al sud, Falluja, Samara, Baquouba e Ramadi, all’ovest ed al nord. Centinaia di civili sono stati uccisi, ma la resistenza è feroce.
Una resistenza ancor più feroce dal momento che il passaggio di potere del 28 giugno non ha portato nessun miglioramento alla situazione del popolo iracheno.
Un esempio: Durante questa estate irachena, dove le temperature variano tra i 45° ed i 55°C, i tagli dell’elettricità sono costanti (tra le 18 e le 20 ore al giorno). “Non c’è né elettricità né acqua potabile. Noi abbiamo la corrente solo per sei ore”, raccontava Majid Jabbar, 35 anni che guida un pick-up per guadagnarsi da vivere. “Immaginate questa estate caldissima senza corrente! I nostri bambini non possono dormire la notte, ed è impossibile lavorare decentemente”.
Conseguenze: La depurazione dell’acqua è interrotta, provocando la propagazione di febbre tifica, dell’epatite e di altre malattie contagiose; l’aria condizionata è stata tagliata, rendendo la vita insopportabile per i bambini e per le persone anziane (pensate alla canicola dello scorso anno nell’Europa occidentale ed immaginate le conseguenze se avesse fatto tra i 10° ed i 20° in più).

Perché questo nuovo massiccio attacco dell'esercito americano?
Dal presunto passaggio di potere al governo Allawi, il 28 giugno, “la realtà militare in Irak è che non c’è stata nessuna tregua dell’insurrezione e che vaste parti del paese sembrano effettivamente sotto il controllo di gruppi ostili al governo sostenuto dagli Stati Uniti”, scrive Krugman.
Mentre in giugno prima del passaggio del potere i soldati americani uccisi sono stati 42, a luglio sono stati 54 e la cifra rischia di essere ben più elevata in agosto.
I corrispondenti del più accreditato giornale borsistico londinese, The Financial Times, descrivono come segue la situazione surreale che persiste a Ramadi (450.000 abitanti): “Nella capitale della più vasta provincia dell’Irak, il cosiddetto ‘triangolo sunnita’, i ribelli hanno cominciato ad annunciare il loro arrivo con gli altoparlanti. ‘Chiudete i vostri negozi e le botteghe prima delle 14. Non vogliamo ferire nessuno. I combattimenti avranno inizio dopo le 14. Restate al riparo’, annuncia il megafono fissato su un pick-up della Nissan bianco che circola nel bel mezzo della via principale di Ramadi, alle 13. Alle 13 e 45, le strade sono vuote. Gli edifici del governatorato, il commissariato di polizia ed i negozi chiudono. La polizia e la Guardia nazionale irachena, che pattugliavano la città, spariscono dalla circolazione. Quindici minuti più tardi, la resistenza spunta dalle vie laterali per prendere possesso dell’arteria principale: cinque grosse berline della Daewoo e quindici pick-up Nissan muniti di lancia-granate e di Kalashnikov”.

Sette città irachene sfuggono al controllo americano
Ma ciò che accade a Ramadi non è un caso isolato. In realtà, oltre a Ramadi, le città di Fallujah, Baquouba, Kut, Mahmoudiya, Hilla e Samara non sono più sotto il controllo americano, poiché le truppe USA sono rintanate nelle loro caserme.
Ecco allora che si comprende meglio la constatazione allarmata di Krugman : “I nostri uomini sono sottoposti ad una severa tensione, fabbrichiamo più terroristi (leggete resistenti, nda), di quanti ne uccidiamo; la nostra reputazione, ivi compresa la nostra autorità morale, è ridotta sempre più a brandelli ogni mese che passa”.
Il sostegno dei paesi alleati degli Stati Uniti si sgretola. Dopo la Spagna, le Filippine hanno deciso di lasciare l’Irak. I governi di Blair e Berlusconi sono indeboliti, mentre i paesi dell’est devono far fanno fronte ad un’opposizione crescente della propria opinione pubblica: tre polacchi su quattro si dichiarano per il ritorno immediato delle proprie truppe.
Numerose aziende private hanno deciso di lasciare il paese e di non servire più le forze di occupazione.
Inoltre, dopo cinque settimane del nuovo governo iracheno, gli strateghi americani hanno deciso di ricorrere al terrore per tentare di uscire da questo vicolo cieco. Se attaccano Moqtada Al-Sadr, è perché reputano che questa fazione della resistenza è quella militarmente meno forte (vedi “Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi una parte della resistenza”).

Il Primo ministro Allawi così come lo percepisce il popolo iracheno: “il sindaco di tre vie di Baghdad”.
Ma la battaglia di Najaf si sta rivelando già un disastro politico.
La più alta autorità sunnita del paese ha appena decretato una fatwa (un’ingiunzione religiosa) che dichiara che è vietato a ogni musulmano di portare un qualsiasi aiuto alle truppe di occupazione americane che si battono contro i “loro fratelli musulmani”.
Alcuni elementi dell’esercito iracheno, supervisionati dagli americani, si sono rifiutati di combattere a Najaf e fraternizzano con la popolazione, cosa che è all’origine del cessate il fuoco di questo venerdì.
Le contraddizioni si acuiscono anche in seno alle forze politiche irachene protette dagli americani. La maggioranza del consiglio provinciale di Najaf, instaurato da Washington, è dimissionaria.
Nello stesso tempo, il vice-governatore della provincia di Bassora ha dichiarato che avrebbe rotto col governo provvisorio responsabile delle violenze a Najaf. Il potere reale del governo iracheno si riassume bene nel soprannome dato dalla popolazione al primo ministro Allawi : “il sindaco di tre vie di Baghdad”.
L’aggressione contro Najaf sta radicalizzando ulteriormente la popolazione in Irak ma anche in Iran, in Libano e nel resto del Medio Oriente. Quindi, come afferma lo stratega francese Paul-Marie de la Gorce : “La resistenza ha guadagnato il sostegno popolare ma non è ancora unificata, cosa che resta la sua debolezza”.

Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi, una parte della resistenza
Molti si interrogano su Moqtada Al-Sadr : è sostenuto dall’Iran? Vuole instaurare una repubblica islamica?
Moqtada Al-Sadr ed i suoi sostenitori rappresentano una parte della resistenza nel Sud dell’Irak ed a Baghdad. Il suo esercito di al-Mahdi è poco addestrato ed è armato solo con armi leggere, cosa che lo rende vulnerabile.
Dato che il suo movimento si è costituito solamente nell’aprile del 2003, è ancora poco strutturato.
Ma ha potuto godere di un certo finanziamento, delle armi, di un sostegno logistico dei vecchi baathisti che formano oggi il cuore della resistenza armata, come hanno confermato anche alcuni capi del resistenza baathista in un’intervista del giugno scorso.
Il padre di Moqtada Al-Sadr che è stato ucciso nel 1999, aveva ricevuto all’inizio degli anni ‘90 il sostegno del partito Baath contro i movimenti islamici filo-iraniani (come il Dawa o il Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica, che sono oggi nel governo provvisorio).
Anche se si è evoluto in seguito in un’opposizione anti-Saddam Hussein, questa fazione non aveva affatto la stessa natura dei movimenti filo-iraniani.
Moqtada Al-Sadr si presenta innanzitutto come un nazionalista arabo, un difensore dell’integrità dell’Irak, prima di sventolare la sua ideologia islamica. In questo senso, è in opposizione coi movimenti filo-iraniani che conrastano violentemente il nazionalismo arabo.

Insorti estremisti ed integralisti?
“L’arte dei media dominanti consiste nel presentare la resistenza irachena come essenzialmente integralista e legata ad Al Qaeda”, mi scriveva recentemente, e a giusto titolo, un amico. Non c’è niente di più vero, come attestato dagli stessi esperti militari USA.
“Lo scopo: demonizzare la resistenza, fare passare il conflitto per un combattimento tra il mondo cristiano civilizzato e la barbarie integralista musulmana”, aggiungeva. “Viene nascosto sui media tutto quello che potrebbe dimostrare che la reale posta in gioco è un’altra: forze antimperialiste contro forza coloniale di occupazione”. Perché, infatti, si insiste costantemente sulle forze islamiche della resistenza, senza parlare mai dei partiti islamici (come il Dawa) che partecipano al governo filo-americano? Il pericolo dell’Islam viene agitato unicamente quando intralcia gli interessi degli Stati Uniti e dei suoi alleati?
Persino degli ufficiali americani e degli esperti militari americani danno tutta una altra immagine della realtà.
“Contrariamente a ciò che vorrebbe far credere il governo americano, l’insurrezione in Irak è diretta da forze ben armate ed è molto più estesa di quanto non si pensasse in principio, dichiarano dei responsabile dell’esercito americano”, afferma un articolo dell’Associated Press.
Questi responsabile hanno dichiarato all’AP che i guerriglieri sono in grado di lanciare degli appelli ai propri sostenitori per gonfiare le proprie forze e portarle almeno a 20.000 uomini e che godono di talmente tanto sostegno popolare tra i nazionalisti iracheni scontenti della presenza delle truppe americane che è impossibile venirne a capo.
“Non siamo all’alba di una jihad, qui”, ha dichiarato un ufficiale dell’esercito americano a Baghdad.
Quest’ufficiale che ha percorso migliaia di chilometri in ogni direzione attraverso l’Irak per incontrare i ribelli o i loro rappresentanti, ha dichiarato che i capi della guerriglia venivano dalle diverse sezioni del partito Baath di Saddam, e più in particolare dal suo Ufficio militare. Hanno costituito decine di cellule.
“La maggior parte degli insorti lottano per potere assumere un ruolo più importante in seno ad una società laica, e non in uno Stato islamico in stile talebano”, ha proseguito l’ufficiale. “Quasi tutti i guerriglieri sono degli iracheni”.
“Gli analisti civili sono generalmente d’accordo nel dire che gli Stati Uniti e le autorità irachene hanno esagerato di molto il ruolo dei combattenti stranieri e degli estremisti musulmani”, conclude l’AP.
“Una parte troppo importante dell’analisi americana si fissa su dei termini come ‘jihadista’ e, allo stesso modo, cerca quasi meccanicamente di legare ogni cosa ad Osama bin Laden”, ha dichiarato Anthony Cordesman, uno specialista dell’Irak del Centro degli Studi Strategici ed Internazionali. “Qualsiasi corrente di opinione pubblica in Irak (…) sostiene il carattere nazionalista di ciò che accade attualmente”.
“Bene, i guerriglieri sono motivati dall’Islam allo stesso modo in cui la religione motiva i soldati americani, che hanno la stessa tendenza a pregare quando sono in guerra”, ha dichiarato ancora un ufficiale dell’esercito americano.
Ha aggiunto di avere anche incontrato quattro dirigenti tribali di Ramadi che gli avevano spiegato “chiaramente” che non volevano uno Stato islamico, anche se le moschee erano utilizzate come santuari degli insorti e centri di finanziamento.
“Liberare l’Irak dalle truppe americane costituisce la motivazione della maggior parte dei ribelli, e non la formazione di uno Stato islamico” confermano gli analisti.
L’ufficiale USA ha dichiarato inoltre che gli insorti iracheni hanno un grosso vantaggio rispetto ad ogni guerriglia in altre parti: molte armi, del denaro, ed erano addestrati. “Hanno imparato molto durante l’anno scorso, e con un incremento progressivo dei propri effettivi rispetto alle forze americane, che ruotano, e alle forze di sicurezza irachene”, prosegue Cordesman a proposito dei guerriglieri. “Hanno imparato a reagire molto velocemente ed in un modo che i nostri piani e le nostre tattiche abituali non sono efficaci”.

18/08/2004
David Pestieau
da http://www.anti-imperialism.net


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