25/12/2004: Lettera di W. Frediani dal carcere



Cari compagni del Comitato contro la Repressione di Pisa,

scrivo questa lettera per fare chiarezza sul nostro (mio e vostro) rapporto e per spiegarvi ciò che penso sulla solidarietà. Vi prego di far avere a questa lettera la massima diffusione perché ritengo contenga spunti interessanti all’apertura di un dibattito sulla solidarietà ai detenuti politici. Se dovesse circolare via internet (come mi auguro) con eventuali censure o modifiche, ciò significherebbe senz’altro la rottura dei nostri rapporti.

Colgo spunto da un fatto che rispecchia bene un atteggiamento generale. Mi riferisco ad un articolo de “Il Manifesto” apparso il 7 dicembre e alle vostre “precisazioni” pubblicate pochi giorni dopo sullo stesso quotidiano.
L’articolo, a firma di tale Sa.M., titolava: “Gli anarchici di Pisa diventano «terroristi». Arrestati in estate per le COR, ora sono accusati di eversione. Rimarranno in carcere”.

Si tratta di un articolo che descrive asetticamente e senza commenti la posizione del GIP e della Procura, ma deliberatamente non fa il minimo accenno alle posizioni delle difese. Giudico questo atteggiamento alquanto disonesto e servile nei confronti della repressione.
L’articolo chiude sostenendo che, sul mio computer, gli inquirenti avrebbero ritrovato il documento che rivendicava il lancio di una molotov contro l’abitazione di un’esponente di AN.

Credo di essere una persona abbastanza onesta. Come tale, non ho alcun rispetto per chi scrive menzogne. Ho totale disistima per chi scrive senza cognizione di causa. La signora Sa.M. appartiene a questo tipo di persone. Non che potessi aspettarmi un trattamento di favore da una giornalista che non considero certamente una compagna. Devo però aspettarmi, anzi pretendere, che non si scrivano stupidaggini. Se si vuole riportare solo le posizioni dell’accusa, si è liberi di farlo. Ma non può essere permesso di mentire.

La procura non ha trovato alcun documento di rivendicazione sul mio computer. Il lavoro di indagine svolto si è risolto in una buffonata vomitevole (sono stati costretti ad ammettere nell’ultima ordinanza – la terza in tre mesi – che non hanno né DNA, né testimoni, né impronte digitali, né altro). E’ tutto scritto, bastava prendersi la briga di leggere.
Non posso che manifestare il mio più radicale rifiuto di questo modo di fare giornalismo.

Mi sarei aspettato che anche voi, che vi battete contro la repressione, vi sareste schierati contro questa stampa al servizio delle logiche repressive. Invece avete ringraziato “Il Manifesto” per il “lavoro svolto”, premettendo addirittura che il contenuto dell’articolo era “nel giusto”, salvo “alcune inesattezze”. La cosa mi ha molto stupito, perché un atteggiamento così conciliante con la stampa infame mi addolora.

Dopo aver letto l’articolo de “Il Manifesto” avevo subito pensato ad una mia smentita che chiarisse decisamente le falsità che certa stampa regimista sputa sui comunisti e sugli anarchici incarcerati. Probabilmente avrei optato per una querela. Invece buone parole e ringraziamenti. In più avete scritto: “William ha sperato nell’esito di queste prove, che sono risultate in effetti negative, ma anche questo fatto è stato ignorato dalla Procura di Pisa”. Questa cosa non risponde a verità. Io non amo che si parli a nome mio. Tanto meno che si inventino sentimenti che non ho mai provato, come la “speranza” nell’assenza di prove. Io non ho mai sperato nella giustizia borghese e nel buon senso della Procura. Sono sempre stato sicuro che questa non avrebbe avuto prove perché sono innocente, ma sono altresì sempre stato sicuro che, nonostante ciò, la giustizia classista avrebbe continuato per la sua strada anti-comunista.

Posso pensare che abbiate mantenuto un atteggiamento soft per la paura di danneggiare la nostra posizione di indagati. Non giustifico questo modo di agire.

Posso pensare che vogliate conquistare una più larga fetta di benpensanti al sostegno della nostra (mia e dei miei coimputati) battaglia giudiziaria.
Non giustifico e non accetterò mai questo obbiettivo “politico”.

Compito di un Comitato contro la repressione dovrebbe essere quello di diffondere le idee dei prigionieri per reati politici, al fine di continuare a rendere vive e attive le lotte che i prigionieri conducevano fuori dal carcere e che il regime vorrebbe spezzare e ridurre al silenzio. Un Comitato contro la Repressione dovrebbe supportare i detenuti politici indipendentemente dalla loro innocenza o dalla condivisione delle loro opinioni. Avrei preferito se mi aveste scritto se volevo fare “alcune precisazioni” all’articolo de “Il Manifesto”, non ricevere precisazioni già scritte e pubblicate.

Vorrei che questa lettera godesse di larga diffusione, con allegata – qualora lo vogliate – la vostra risposta.
Vi comunico che, se non avete lo scopo di diffondere le idee dei detenuti e di supportarli indipendentemente dalla loro innocenza, il nostro (mio e vostro) rapporto può dirsi chiuso.

Se vi occupaste di diffondere ciò che i detenuti pensano e scrivono, anziché strizzare l’occhio alla stampa revisionista, non ci sarebbe bisogno di aver paura di danneggiarli.
Contro la paura, il coraggio delle idee!
Diamo parola a coloro cui lo Stato vuol chiudere la bocca!
Con immutato affetto comunista,
Willy

P.S. Non c’è bisogno di un Comitato apposito per fare della semplice solidarietà garantista. Per quella basta Emilio Fede quando parla di Dell’Utri.

P.P.S. Se pensate che dal vostro lavoro possa in qualche modo dipendere la nostra permanenza o meno in carcere, scendete al più presto dalle nuvole.

William Frediani c/o Casa Circondariale di Pisa
Via Don Bosco 43
56100 Pisa
(ora c/o Casa di Reclusione, Via Maiano 10 - 06049 Spoleto)



Risposta alla lettera di William Frediani
Il Comitato contro la Repressione di Pisa è nato a sostegno di chi appare perseguitato per le sue idee. E’ ovvio che in una solida democrazia, in un paese non sudamericano, in una situazione non permeata da ideologie di stampo nostalgico, non vi sarebbe stato alcun bisogno di un tale comitato.
Nel Comitato non aderiscono solo persone ideologicamente definibili comuniste o anarchiche, anzi molti degli aderenti o conoscono personalmente gli indagati o aderiscono in rispetto dei principi democratici e/o cristiani della libera espressione del pensiero e delle idee.

Il Comitato ha agito con enormi difficoltà.
Si è trovato di fronte ad ordinanze incredibili emesse dal GIP Luca Salutini su richiesta del PM Antonio di Bugno.
Allo stesso tempo, il Comitato ha dovuto costatare l’assenza quasi completa di una reazione ufficiale da parte di forze politiche che avrebbero avuto il dovere di intervenire. A ciò per fortuna si è associata una vasta solidarietà espressa dalla gente comune, la gente che però in questa democrazia non conta.
E’ anche in considerazione della paura che si è cercato di inculcare nella popolazione attraverso campagne di stampa di marca terroristica che il Comitato sa di dover lavorare con enormi difficoltà. La campagna terroristica dei media è però fallita clamorosamente. Le persone a Pisa ritengono i fatti addebitati di modesta entità. Molti non li conoscono neppure, vengono ad informarsi, rimanendo completamente increduli.
Ed è per questo che, avendo per mesi subito articoli di stampa, gratuitamente diffamatori verso le persone indagate, scritti da giornalisti che non hanno mai avuto il minimo decoro di leggere gli atti o le ordinanze, il Comitato ha rinvenuto nell’articolo de “Il Manifesto” alcuni elementi di novità, fra i quali l’atteggiamento quasi incredulo per il nuovo capo d’imputazione.
Per questo abbiamo scritto alla giornalista la quale ci ha spiegato che queste sono le notizie provenienti dalla procura, di non essere riuscita a contattare l’avvocato difensore; insomma è la prima giornalista che ha dichiarato di essersi fidata (fidata anche della bugia relativa al documento ritrovato nel computer di Frediani).
Va da sé la gravità del fatto. Qualcuno in Procura a Pisa continua a gettare fango e bugie sugli indagati. Ed è per questo che il Comitato chiederà un’indagine per appurare chi esattamente, pur “non conoscendo quasi nulla” dell’inchiesta (altrimenti non commetterebbe quelli che vogliamo sperare siano errori), continua ad avere fili diretti con la stampa.

Il Comitato coglie occasione da questa lettera di Frediani che ha riprodotto integralmente, così come richiesto, per inviare un appello a tutti i giornalisti e a tutte le forze politiche, che si riconoscono nei principi delle libertà democratiche e costituzionali, ad occuparsi di questa inchiesta, al fine di evitare di ritrovarci dopo a parlare di sentenze ingiuste, di persecuzione o quant’altro.

Il Comitato coglie anche l’occasione per associarsi all’appello per la liberazione di Paolo Dorigo: se i giornalisti e i politici, quelli veri, avessero a suo tempo contestato, come di dovere, la sentenza di condanna ricevuta da Dorigo, forse un ragazzo non si sarebbe fatto anni di galera e non saremmo qui a dire che il suo processo fu un processo ingiusto, così come ha stabilito anche la Corte europea.
Un vero giornalista, un politico democratico, un uomo rispettoso della giustizia e delle regole costituzionali, non dovrebbe mai dover dire ‘forse sono intervenuto in ritardo’.

A William porgiamo le nostre scuse per aver risposto al posto suo e a maggior ragione in quanto ci ha sempre pregato di non parlare di lui e basta.
Ed invece abbiamo parlato spesso di lui, e questo perché la sua storia in particolare assume contorni paradossali.

Basti pensare a ciò che è successo alla fine di luglio, quando con un’ordinanza del GIP Degl’Innocenti venivano posti agli arresti domiciliari tre giovani sulla base di elementi indiziari, frutto di interpretazioni soggettive. Il caso di William Frediani risultò subito più eclatante dei tre. Partì quasi improvvisa una campagna mediatica messa in campo da giornalisti, che, in buona o cattiva fede, venivano informati da elementi che calpestano il suolo della procura sprizzando veleno e bugie (pensiamo alla falsità clamorosa del “solo il Corano”, quando sul tavolo dello studente, al omento dello studente, vi erano anche altri libri aperti come la Bibbia, un Vangelo e l’Inferno di Dante: la persona che ha detto questa bugia, trasformatasi in titoli a tutta pagina, continua tuttora a prestare servizio sotto giuramento di fedeltà allo Stato).
Agli arresti domiciliari William non può ricevere visite, ma quello che appare clamoroso non può neppure ricevere cibo o altre cose che gli occorrono.

Alcuni giorni dopo sulla base di un’ordinanza di un nuovo GIP, Luca Salutini, viene preso e condotto in carcere (avrebbe bruciacchiato un portone e rivendicato l’atto, sotto gli occhi distratti di investigatori che lo pedivano “24 ore su 24”, sotto lo sguardo vigile di una telecamera spenta, ecc). Viene insomma arrestato per uno dei circa venti atti delle Cor, dopo che nella prima ordinanza si specificava già la sua appartenenza al gruppo.
Un arresto voluto e costruito per rispondere a qualcuno.

Tre mesi in carcere. Poi arriva una nuova ordinanza di proroga di 45 giorni in quanto è necessario leggere il suo computer e attendere l’esame dei 486 corpi di reato inviati al RIS. Una scusa indegna di un paese civile.

Non viene fuori niente a carico degli indagati, ma Perondi Alessio, il 7 dicembre, deve uscire di carcere, e allora con una mossa a sorpresa gli inquirenti si inventano la storia del 270 bis. In pratica Di Bugno e Salutini, sulla stessa base delle cose presenti nelle precedenti ordinanze, dicono al popolo italiano (la legge si applica in nome del popolo italiano): scusate c’eravamo sbagliati, non è un’associazione a delinquere ma un’associazione eversiva dell’ordine democratico. Tutto ciò che abbiamo scritto finora, fate finta che non esista.
E con questo altri sei mesi gratuiti di carcere a Perondi e Frediani.

Non finisce qui: il GIP Salutini, così sembra sua la paternità di quest’ulteriore atto punitivo verso un innocente a tutti gli effetti, in vista del Natale, da buon cristiano, chiede subito l’applicazione del regime speciale e così una mattina, presto, di sabato, Frediani viene preso senza tutto il suo necessario, messo su un cellulare e portato al Carcere di Spoleto, all’insaputa dei familiari e dell’avvocato. Lì viene collocato in una cella con quattro detenuti per reati comuni. Alcuni di noi recatisi nell’immediato al carcere di Spoleto hanno dovuto subire l’ennesima falsità da parte di un funzionario statale: Frediani stava bene ed era in una cella da solo.

E c'è chi parla di carcere rieducativo e non punitivo.
Ed invece tutto il sistema giudiziario e carcerario è praticamente solo una struttura punitiva, ma quello che è gravissimo è che lo è anche per i presunti innocenti: è tale la paura che lo Stato nutre verso il pensiero dei cittadini da portarlo a rinnegare la sua stessa Costituzione?

Un abbraccio caloroso a William, Alessio e agli altri indagati nell’ambito della cosiddetta inchiesta sulle Cor.

Speriamo che la nostra battaglia sia l'inizio di un recupero di valori umani.

Comitato contro la Repressione - Pisa

http://www.autprol.org/