05/10/2005: Paese Basco, Euskal Herria, Laboratorio Europeo della repressione


Situazione globale
Gli atti di distruzione avvenuti negli ultimi anni negli Stati Uniti, nello Stato Spagnolo, nel Regno Unito... e l’impatto che ha avuto la loro diffusione sui mezzi di comunicazione, hanno generato un particolare stato di opinione nella comunità internazionale. Questo stato di opinione (che evoca paura, panico, terrore e che neutralizza l’autonomia della volontà e la priva totalmente di discernimento e di senso critico), ha permesso il consolidamento di misure di sicurezza in opposizione al godimento dei diritti umani e delle libertà pubbliche. Alcuni governi hanno implementato nuove legislazioni e progettato misure per affrontare la nuova situazione, creando una “legge per il nemico, più che per il cittadino”. Gli stati hanno sfruttato la retorica “antiterrorista” a beneficio dei loro interessi politici, economici o geostrategici, criminalizzando qualsiasi movimento dissidente, alternativo, antagonista... dai “rossi separatisti” dell’epoca di Franco, i “comunisti” o “anarchici” dell’Italia fascista, il “sovversivo” dell’Argentina di Videla, i “fondamentalisti islamici” degli Stati Uniti, d’Israele o del Regno Unito, la “narcoguerriglia” della Colombia... fino termine generico ed universale “terrorista”, valido per qualsiasi movimento di opposizione, sono esempi vecchi ed attuali di questa retorica.

Europa
Questa dinamica ha avuto il suo riflesso anche nell’Unione Europea; nel dicembre 2002, i Capi di Governo e di Stato dell’Unione Europea si sono riuniti a Laeken, per adottare la Decisione Quadro per la lotta al terrorismo, creando nuove norme imperative, che dovevano essere adottate da tutti gli stati membri, anche se non si trovavano ad affrontare problemi relativi a questo fenomeno. Non sono stati capaci di trovare una definizione comune di terrorismo, ma anno definito le sue cause, le sue intenzioni; questo significa che la valutazione su cosa sia terrorismo sarebbe venuta dall’analisi degli effetti di presunte azioni terroriste. Le conseguenze di questa definizione sono abbastanza chiare: qualsiasi dissidenza o gruppo di opposizione può generare un effetto che, nell’Unione Europea, può essere considerato terrorismo. In questo contesto, si creano le cosiddette “liste terroriste”, nelle quali si inseriscono persone ed organizzazioni dopo una decisione politica , senza possibilità di ricorso contro tale decisione.

Euskal Herria
Nel delineare questo ambito, lo Stato spagnolo (insieme a quello francese), ha svolto un ruolo cruciale, a causa dei suoi interessi particolari riguardanti la questione basca.
Il Paese Basco, Euskal Herria, un territorio di 20.600 chilometri quadrati, situato sui due versanti dei Pirenei Occidentali e composto da sette province, Araba, Behenafarroa, Bizkaia, Gipuzkoa, Lapurdi, Nafarroa y Zuberoa, con una popolazione di quasi tre milioni di abitanti, è diviso in diverse demarcazioni amministrative fra gli stati spagnolo e francese. La Costituzione spagnola riconosce l’esistenza di nazionalità ma nega loro il diritto all’autodeterminazione. La Costituzione francese, al contrario, riconosce il diritto di autodeterminazione ma rifiuta di ammettere l’esistenza di popoli o nazioni nel territorio nel quale è in vigore. Questo, oltre ad altri elementi di negazione strutturale, sociale e culturale, genera una situazione di conflitto in Euskal Herria, un popolo che lotta per il suo riconoscimento e per la facoltà di decidere il suo futuro in libertà.

Repressione, tortura, prigionieri
Questo conflitto politico ha, anche, un’importante componente armata, che ha generato un numero di vittime difficile da definire; oggi vi sono 688 prigionieri politici in 88 carceri ma anche circa 2000 cittadini baschi che si sono visti costretti ad abbandonare il territorio basco a causa della repressione e delle persecuzioni e vivono in altri stati come rifugiati politici. i dati assoluti della repressione, in un territorio minuscolo e che, oggi, è probabilmente il più militarizzato di tutta l’Europa occidentale, sono spaventosi: 15.000 persone sono state arrestate negli ultimi venticinque anni, 6.000 di queste hanno anche subito torture dalla polizia spagnola, dalla Guardia Civil e dalla polizia autonoma basca. La legislazione antiterrorista spagnola permette alla polizia di mettere il presunto “terrorista” in isolamento assoluto per cinque giorni, periodo nel quale non potrà vedere i suoi congiunti, né un medico, né un avvocato di fiducia; in questo periodo di privazione assoluta di contatti con il mondo esterno, si riproducono le testimonianze di tortura, che includono l’utilizzo di elettrodi, sacchetti di plastica per provocare asfissia, esercizi fisici estenuanti e percosse ed aggressioni fisiche e psicologiche di ogni genere.
Quanto alla situazione nelle carceri, dei 688 prigionieri politici solo 11 si trovano in Euskal Herria; non è un caso, gli altri si trovano distribuiti nelle sezioni di 88 prigioni in quattro stati. Nello Stato spagnolo ci sono 528 prigioniere e prigionieri politici baschi, in 52 carceri, ad una distanza media di 623 chilometri da Euskal Herria. Nello Stato francese si trovano 154 prigioniere e prigionieri politici baschi, in 33 carceri e ad una distanza media da Euskal Herria di 790 chilometri. 5 prigioniere e prigionieri politici baschi sono detenuti in due carceri del Messico ed uno è in prigione a Londra. Lo scopo di generare sradicamento e vulnerabilità nel prigioniero è evidente: la media di pestaggi che il Collettivo dei Prigionieri ha dovuto subire negli ultimi anni è di 20 all’anno; il 25% del Collettivo è condannato a vivere in regime di isolamento continuo. Altri diritti, come quello alla salute, all’uso della propria lingua, all’istruzione sono severamente limitati; inoltre, la violazione di diritti che gli stati spagnolo e francese praticano con la politica di dispersione è costante e colpisce anche i familiari. Da quando è stata avviata tale politica, sono stati 16 i familiari e congiunti che hanno perso la vita in incidenti stradali mentre si recavano ai colloqui nelle carceri.
Fra gli anni 2001 e 2002, il collettivo dei Prigionieri Politici Baschi ha svolto un lungo e profondo dibattito interno, decidendo l’obiettivo del suo rimpatrio: la richiesta di condizioni affinché il Collettivo, come soggetto politico quale è, possa prendere parte ai dibattiti ed agli accordi politici per una soluzione democratica al conflitto politico. Il suo raggruppamento in Euskal Herria,, il potersi organizzare, la possibilità di mantenere relazioni con gli altri soggetti fuori dalle carceri e potere prendere parte a tutti i dibattiti ed accordi politici sono elementi fondamentali per potere affrontare questa sfida. Il riconoscimento dello status di prigionieri politici è una delle basi per l’esercizio di questi diritti.

Diritti politici
D’altra parte, il movimento associativo basco gode di buona salute: i movimenti sociali hanno capacità di incidenza reale in tutti gli ambiti sociali, le organizzazioni popolari veicolano le rivendicazioni sociali, culturali e politiche, la cosiddetta “società civile” è attiva e ha la capacità di trasmettere i suoi progetti, concordarli con altri organismi e contrapporli a quelli del potere. Lo Stato ha utilizzato la repressione, attraverso le inchieste note come 18/98 e le successive per attaccare questo ampio movimento, per continuare ad esercitare la sua egemonia e per perpetuarsi. Sebbene la repressione abbia creato difficoltà a questo movimento dissidente basco nella sua capacità di essere motore del cambiamento politico, sociale e culturale in Euskal Herria, essa ha evidenziato meglio che mai che lo Stato spagnolo non è uno stato democratico, che è disposto a trasgredire ed a svuotare dei loro contenuti diritti e libertà fondamentali; così, si sono violati i diritti di associazione, opinione ed espressione.
Due vie parallele sono state aperte per cercare di neutralizzare questo movimento:
Una è quella per la quale, attraverso una reinterpretazione del Codice Penale portata avanti dal giudice Baltasar Garzón, giudice istruttore del tribunale speciale antiterrorista chiamato Audiencia Nacional, si è deciso che organizzazioni sociali, politiche e persino mezzi di comunicazione orbitano nell’ambiente di ETA e che, come logica conclusione, appartengono a ETA; fra le organizzazioni coinvolte si trovano il quotidiano Egin, l’emittente radiofonica Egin Irratia, la rivista Ardi Beltza, il quotidiano in lingua basca Egunkaria, l’associazione politica Ekin, l’organizzazione per le relazioni internazionali Xaki, la Fondazione Joxemi Zumalabe per l’attivazione del movimento sociale, l’associazione per la difesa dei diritti dei prigionieri politici Gestoras pro Amnistia e, successivamente, l’organismo di solidarietà con i prigionieri politici Askatasuna, le organizzazioni giovanili Haika e Segi, il partito politico Batasuna, l’assemblea di sindaci e consiglieri comunali Udalbiltza. Negli ultimi tempi, già sotto il Governo Zapatero e promosse dal successore provvisorio di Baltasar Garzón, il giudice Grande-Marlaska, sono continuate le aperture di processi contro il quotidiano Gara, contro il sindacato LAB, contro il partito politico EHAK (Partito Comunista delle Terre Basche, N.d.T.)... Circa 250 persone sono coinvolte in questi processi, la maggioranza delle quali arrestate in veri e propri rastrellamenti polizieschi e detenute in carcere per periodi di tempo variabili. Diversi degli accusati nelle inchieste contro Haika-Segi e Gestoras pro Amnistia hanno, fra l’altro, scontato quasi quattro anni di carcere preventivo, in attesa di giudizio. Proprio nella primavera di quest’anno si è celebrato il primo dei processi contro l’organizzazione giovanile Haika-Segi, il primo di una probabilmente lunga serie. Osservatori internazionali partecipanti all’iniziativa Euskal Herria Watch hanno dato conto delle irregolarità del processo e della sua totale mancanza di garanzie; la loro principale preoccupazione ha riguardato l’evidente mancanza di prove sulle quali basare l’accusa per la quale, partecipando alle attività di Haika-Segi, in realtà, si sarebbe partecipato all’attività di ETA. Il tribunale, nel suo verdetto, non ha riconosciuto questa accusa (che comportava pene di 12 anni) ma ha, invece, ritenuto che Haika e Segi sono organizzazioni illegali e diversi loro membri sono stati condannati a pene fra i due anni e mezzo ed i tre anni e mezzo.
L’atra via è quella marcata dalla Riforma della Legge Organica sui Partiti Politici, approvata nel giugno 2002 e che, da diversi ambiti, è stata definita come un “abito su misura” per la messa fuori legge di Batasuna, visto che i partiti che non condividono i “principi costituzionali” sono messi fuori dalla legge spagnola. Questo fatto si è verificato il 17 marzo 2003, quando il Tribunale Supremo spagnolo ha emesso la sentenza di messa fuori legge della formazione della Sinistra indipendentista, dopo un processo sommario, per evitare che partecipasse alle imminenti elezioni. Successivamente, altri partiti dall’orientamento politico simile (AuB Autodeterminaziorako Bilgunea, HZ Herritarren Zerrenda, Aukera Guztiak e circa 250 piattaforme elettorali municipali) saranno sospese mediante l’applicazione estensiva di quella sentenza. Questa situazione ha anche un impatto evidente sul diritto di manifestazione; i termini nei quali è stata redatta la legge, utilizzando determinate espressioni per proibire l’indizione di manifestazioni da parte di Batasuna (“direttamente o indirettamente”. “come entità o attraverso suoi membri”), conferisce alla polizia la facoltà di decidere se, ad esempio, l’indizione di una manifestazione pubblica da parte di privati cittadini, la manifestazione possa essere considerata, invece, promossa dalla formazione messa fuori legge, pur se semplicemente mascherata, come spesso è accaduto. Questi metodi non sono stati ideati a causa della retorica antiterrorista internazionale ma sono stati definiti in passato come strategia di stato; forse questo impatto antiterrorista globale ha accelerato le misure descritte, ma non si tratta di misure nuove contro il popolo basco. La nostra esperienza, negli ultimi decenni, è stata rafforzata dal grave quadro di violazioni dei diritti umani e dalla mancanza di garanzie per quanto riguarda la promozione e la protezione dei diritti umani.
La risoluzione di questa situazione è la sfida che dobbiamo affrontare.
Importante, inoltre, è alzare la voce, diffondere l’allarme prima che questa situazione sia diffusa ad altri contesti politici, ovunque ciò possa accadere.

Opuscolo distribuito dai compagni baschi, rispettivamente, di Behatokia, Osservatorio basco per i diritti umani e dell'organizzazione giovanile basca Segi, in occasione dell'assemblea sul tema "Paese Basco, Laboratorio europeo della repressione" tenutasi a Milano, promossa dal comitato promotore della "Campagna contro il 270 bis e tutti i reati associativi".

http://www.autprol.org/