27/09/2006: Ancora tortura… basta immobilismo! Riflessioni sulla campagna per la vita di Diana Blefari


Il tribunale di sorveglianza ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di Diana Blefari per la revoca del regime di 41 bis. L’esito era scontato, perché sarebbe strano che un apparato repressivo così evoluto che utilizza in maniera sistematica i più svariati strumenti di annientamento avesse dei punti deboli che agiscono in controtendenza con la logica che lo governa.
Come “Comitato contro la tortura democratica”, promotore dell’appello che denunciava la situazione di pericolo di vita di Diana, vogliamo ringraziare quanti hanno espresso la loro solidarietà, sia quando di classe sia quando mossa da un atteggiamento vigile verso le istituzioni repressive, sottoscrivendo l’appello e impegnandosi per la sua diffusione. Consideriamo chiusa questa campagna di lotta specifica, che trovava origine nella particolare situazione di quei giorni quando Diana non si alimentava da circa un mese e quindi esisteva un concreto pericolo per la sua vita. Proprio questa situazione rendeva necessario secondo noi lanciare un appello pubblico diretto a mobilitare settori più ampi di quelli di solito sensibili al principio della solidarietà di classe. Oggi la situazione di pericolo di vita non è più attuale (e non per l’intervento delle istituzioni, ma solo perché Diana ha deciso di continuare a lottare contro la violenza che la colpisce) anche se identiche restano le condizioni “ambientali” che la avevano provocata, e questo non può fare certo stare tranquilli.
La sentenza riconferma la contraddizione tra i fini perseguiti in teoria dall’art. 41 bis, che punterebbe a impedire eventuali comunicazioni con l’esterno, e la reale condizione di Diana che da circa un anno si è chiusa in una forma di autoisolamento che elimina anche quei ridottissimi spazi di socialità che sopravvivono per chi sta in 41 bis. Quindi è confermato il vero fine che viene perseguito con l’applicazione di questo regime carcerario (come di qualunque forma di carcere di annientamento) che infatti abbiamo definito, e non per primi, come una forma di tortura. Già questo basterebbe a legittimare la continuazione della campagna di lotta, ma tale possibilità è impedita da una serie di problemi.
L’iniziativa non ha centrato pienamente l’obiettivo della costruzione di un ambito di mobilitazione più ampio, anche se la prevalente provenienza regionale di buona parte delle adesioni dimostra chiaramente che dove c’è stato più impegno i risultati sono venuti.

Inoltre alcune situazioni dei settori di solito più solleciti nel disporsi su posizioni di solidarietà di classe l’hanno ignorata. Forse non gradendo l’impostazione ampia che cercava di mobilitare anche ambiti non tradizionalmente legati a questo tipo di campagne (e che ha determinato le adesioni di esponenti di rifondazione comunista), o forse perché non erano interessati a una lotta di tipo particolare, cioè dedicata a una singola persona.
Si tratta di posizioni rispettabili, e su queste facciamo delle precisazioni (mentre invece tralasciamo di commentare gli atteggiamenti di quelli che pur concordando sulla necessità di avviare una mobilitazione si sono resi praticamente indisponibili ad attivarsi per la sua riuscita). Sul primo punto sottolineiamo che l’incontro che si è verificato con ambiti di rifondazione comunista è avvenuto con la loro adesione su posizioni di denuncia (anche aspra) che di certo non sono patrimonio di quel partito (tantomeno oggi, e da questo punto di vista la deriva governativa sta contribuendo a spazzare via tante ambiguità). Questo lo consideriamo positivo.

Per quanto riguarda la parzialità della campagna, c’è da dire che era contestualizzata in una denuncia più generale della tortura democratica, considerando che la situazione di Diana può essere definita come uno dei risultati voluti e più ben riusciti di questa forma di annientamento.
Siamo d’accordo che bisogna uscire dal particolarismo, ma prima di tutto da quello che assume come centrale nelle proprie lotte la questione del carcere e della repressione non cogliendone però fino in fondo la sua odierna caratterizzazione all’interno dell’evoluzione della forma del dominio di classe. Un punto di partenza parziale può anche essere valido se poi l’obiettivo è quello di impostare una critica complessiva ai processi di controllo/repressione/annientamento che interessano tutti i proletari, dentro e fuori dal carcere.
Nell’attuale fase di crisi del capitalismo proprio l’impossibilità di governare con altri strumenti le contraddizioni (e questo rende ormai antistorica l’opzione socialdemocratica) porta per forza ad accentuare l’utilizzo della repressione, anche con nuovi e diversificati strumenti che producono l’introduzione in modo massiccio di forme di desocializzazione/precarizzazione/desolidarizzazione, che rendono ormai tutta la società come una grande prigione a cielo aperto.
L’imponente impiego di questi diversificati strumenti repressivi crea una condizione comune (naturalmente sempre meno percepita perché proprio l’individualismo e la frammentazione sociale sono gli effetti che questi strumenti devono produrre) che può costituire il terreno privilegiato sul quale i comunisti possono cercare di riaprire un intervento politico di carattere generale. Inutile dire che per farlo è necessario finirla di dare precedenza alla coltivazione dei propri particolari orticelli.

All’appello per Diana avevano aderito:

Adesioni singole:
Giulio Petrilli - Segretario provinciale prc L'Aquila; Francesco Paglia - Consigliere provinciale prc L'Aquila; Felicia Santilli e Pelino Santilli - Segreteria circolo prc L'Aquila; Romano Nobile - Ares 2000 onlus; Livia Medda – Cagliari; Enrico Padovan - Progetto Comunista Area Programmatica, Parma; Avv. Claudia Ruggieri – Teramo; Avv. Filippo Torretta – Teramo; dott.ssa Fabiana Costanzi - L'Aquila; Avv. Simona Giannangeli - L'Aquila; Avv. Marina Ranieri - L'Aquila; Maurizio Acerbo - Deputato prc alla Camera; Francesco Caruso - Deputato prc alla Camera; Italo Di Sabato- Capogruppo prc/sinistra europea Consiglio regionale Molise; Dott. Pino Cantarini - Psichiatra Responsabile del CSM di Orvieto (TR); Valentina Valleriani - L'Aquila; Doriana Goracci - Donne in Nero Tuscia, Collettivo Bellaciao Italia; Maria Rosa Panté - Borgosesia (Vercelli); Floriana Lipparini; Gabriella Grasso – Milano; Birgit Clari Schuler – Milano; Mirko Masi – Cagliari; Maurizio Bassetti –Associazione Vittime armi elettroniche-mentali, Roma; Dott.ssa Paola Cecchi – Pedagogista, Firenze; Libera Mazzoleni- artista, Milano; Michele Fagiani; Juri Bossuto - Consigliere regionale PRC Piemonte; Gabriele Tontini – Roma; Chiara Martucci; Mariella Megna - Associazione l'Altra Lombardia, segretaria del Circolo di Cremona.

Adesioni collettive:
Gruppo Donne in Nero di L'Aquila; Corrispondenze Metropolitane (Roma); Associazione Walter Rossi – Roma; Federazione Lazio CARC; Associazione Solidarietà Proletaria (ASP); Assemblea permanente dello Spazio Sociale Mario Lupo di Parma; Associazione l'Altra Lombardia - SU LA TESTA.

28 luglio 2006
COMITATO CONTRO LA TORTURA DEMOCRATICA E PER IL DIRITTO ALLA VITA DI DIANA BLEFARI

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