29/10/2006: SULL’ASSEMBLEA DEL 1° OTTOBRE 2006 A ROMA


Questo secondo incontro, tappa del percorso avviato sulla base della proposta del collettivo Olga del luglio di quest’anno, nasceva dall’esigenza di un momento ulteriore di confronto e chiarimento e doveva assolvere fondamentalmente a due compiti: elaborare una proposta di lotta comune e convocare sulla stessa un’assemblea nazionale alla quale sarebbe spettato di definire le successive iniziative.

Nell’assemblea si sono rimarcate alcune differenze già emerse nei precedenti incontri ma si è anche manifestata un’adesione sostanziale alla proposta del collettivo promotore.
Di seguito esponiamo una serie di punti sui quali si è verificata una convergenza con alcuni approfondimenti elaborati e proposti dagli estensori.

• Del terrorismo dello stato, la differenziazione carceraria – dagli arresti domiciliari, ai CPT, fino all’articolo 41bis – è lo strumento principe a cui è affidato lo specifico compito di intimidire, sottomettere e annullare persino l’idea della ribellione, sia nei prigionieri che in tutta la classe. Aggredire il 41bis, ultimo piolo di quella scala fatta di premi e punizioni, senza però trascurare alcun altro gradino, poiché ad ognuno di essi la posta in gioco è sempre e comunque la coscienza e la dignità dei prigionieri, significa smascherare i propositi della differenziazione ed iniziare ad inceppare il loro realizzarsi. Così, contemporaneamente, si affermano la solidarietà e l’unità di lotta fra i prigionieri, fra questi e l’esterno; ed anche le lotte fuori avvertiranno meno la pressione terroristica e deterrente dello stato.

• Costruzione di momenti che diano la possibilità alla lotta contro il carcere, la repressione e, in particolare, contro il 41bis, di trovare posto e svilupparsi all’interno di ogni altra lotta contro la società capitalistica, collegando la variegata mobilitazione a sostegno della lotta interna alle iniziative che avvengono nel territorio, anche tessendo rapporti con realtà esistenti in altri paesi che agiscono nella stessa direzione.

• L’assemblea si è trovata d’accordo a promuovere, su queste basi, una mobilitazione contro il 41bis davanti al carcere dell’Aquila per la funzione che esso ha avuto e che riveste tuttora nei confronti dei prigionieri rivoluzionari e non.

• A partire da questo lavoro, auspichiamo che, in corso d’opera, i collegamenti fra le diverse realtà possano consolidarsi ed esprimersi con maggiore responsabilità, tenendo conto delle connessioni fra la guerra imperialista e le trasformazioni che essa determina, in particolare, nella forma-stato sempre più caratterizzata in funzione della controrivoluzione preventiva.

La controrivoluzione si esprime in modo puntuale nei momenti e nei punti caldi del conflitto e della lotta di classe sebbene non in modo immediatamente palpabile. Ma, se guardiamo più in profondità, possiamo ben cogliere la sostanza e i contorni di questo processo. Alcuni esempi esplicativi:
- si tenta di impedire le manifestazioni di piazza mettendole di fronte a una legislazione di guerra (“associazione sovversiva… con finalità di terrorismo”, “devastazione e saccheggio”, “concorso morale”, ecc) che legittimano l’uso della “carcerazione preventiva” peraltro già largamente applicata specialmente in relazione alla recidiva;
- nelle lotte per la salvaguardia dell’ambiente e, più in generale, delle condizioni di vita di intere popolazioni – parlano per tutte le mobilitazioni di massa a Scanzano, Acerra, la resistenza in Val di Susa e recentemente a Vicenza, come in Sardegna, contro l’esistenza e l’estensione delle basi militari, strutturalmente connesse alle esigenze della guerra imperialista – lo stato interviene con la militarizzazione di interi territori;
- la legge antisciopero (n. 146/90) e successive modifiche;
- il “pacchetto Pisanu”, dell’estate 2005, ha determinato una forte restrizione nella comunicazione e nella socialità della popolazione immigrata, con particolare accanimento nei confronti di quella araba, mediante il controllo ossessivo soprattutto dei phone center; l’elargizione di “privilegi” a chi collabora ed espulsioni immediate con decreto ministeriale per motivi di “sicurezza nazionale”;
- consolidamento dei Centri di Permanenza Temporanea (e della “detenzione amministrativa”) quali anelli sempre più integrati nel circuito carcerario, presupposto il vincolo fra permesso di soggiorno e posto lavoro. Solo come ultimo esempio, i prigionieri originari di altri paesi, scarcerati dal recente indulto, nella grande maggioranza sono stati trasferiti nei CPT e da li espulsi dall’Italia;
- potenziamento ed estensione del carcere e, nello specifico, della sua funzione deterrente, quale potere assoluto della classe dominante su qualsiasi persona, in particolare, naturalmente, nei confronti di chi lotta e resiste ai suoi piani di desolidarizzazione, sfruttamento, devastazione ambientale e di guerra.
La trasformazione del carcere nel senso della guerra bisogna coglierla nella sua funzione assassina: nell’isolamento, nella differenziazione e nell’annientamento. La controrivoluzione in Italia non ha niente da imparare da altri stati imperialisti anzi ha dato loro indicazioni notevoli: molti sono i casi di funzionari ministeriali, compresi interi gruppi di guardie, andati in altri paesi ad istruire e collaborare alla costruzione dei rispettivi sistemi carcerari (Albania, Afghanistan, Iraq, Guantanamo, solo per fare gli esempi ufficialmente documentati). Del resto lo stato in Italia si è dovuto confrontare per oltre 10 anni con un forte movimento rivoluzionario. Questo lo diciamo perché il carcere di guerra in Italia esiste almeno dal 1974-75. Oggi, si adegua alle trasformazioni sociali determinate dalla guerra imperialista, soprattutto per quel che riguarda i flussi migratori. I prigionieri, originari dei paesi aggrediti o occupati militarmente, rinchiusi nelle carceri italiane, devono scontrarsi con una realtà che li considera immediatamente nemici. Sono noti molti casi in cui a prigionieri di orgine irachena e in generale agli arabi è stato riservato un trattamento in perfetta armonia con quello praticato ad Abu Ghraib o Guantanamo.
Riferendoci ai prigionieri in generale, ogni comportamento di ribellione, o di semplice salvaguardia della propria identità e dignità, viene sanzionato a vari gradi – a seconda del carattere e della forma che assume la protesta: se è pacifica o violenta, se è individuale o collettiva, se è casuale o voluta, ecc – con la differenziazione nel trattamento, con l’isolamento e, non di rado, con l’assassinio. Queste pratiche deterrenti e desolidarizzanti, direttamente rivolte a chi sta in carcere e potenzialmente a tutti i proletari che stanno fuori, sono state formalizzate ed hanno assunto dei nomi: EIV (Elevato Indice di Vigilianza), 41bis, ecc. Ad oggi, il massimo dell’isolamento, della differenziazione in termini di privazioni, dell’annientamento della propria identità, lo stato lo dispiega nel regime previsto dall’articolo 41bis, dove, tra l’altro, nega la presenza fisica dell’accusato nell’aula del tribunale in cui viene processato. Inoltre il prigioniero sottoposto al regime del 41bis è controllato da personale dei Gruppi Operativi Mobili della Polizia Penitenziaria, i famigerati GOM, noti soprattutto per le torture nella caserma di Genova Bolzaneto, in occasione del G8 del 2001, e per essere impiegati nei teatri di guerra come ad esempio in Iraq.
Contrastare i processi di controrivoluzione in atto non significa affrontare genericamente il terreno del carcere ma aggredire il terrorismo che lo stato cerca di esercitare nei confronti della coscienza, delle pratiche, dell’agire del proletariato e non solo, per imporre l’accettazione passiva della guerra, dello sfruttamento, della superiorità dei “valori occidentali” che come campane a lutto rintoccano i vari Magdi Allam e, purtroppo non solo la domenica, i vari Nazinger.

• E’ emersa l’esigenza di un’ulteriore incontro, prima di un’assemblea nazionale, che abbia tra i suoi obiettivi quello di definire una iniziale proposta di mobilitazione contro l’isolamento, la differenziazione, il 41bis e di consolidare attorno a questa un’assunzione di responsabilità collettiva finalizzata a coordinare e a promuovere le ulteriori tappe di questo percorso.

Per preparare questo ultimo incontro, crediamo necessario confrontarci con una serie di realtà, alcune delle quali non hanno potuto partecipare a questa prima serie di incontri.
Seguirà perciò nei prossimi giorni la convocazione/appello della prossima riunione.

I materiali prodotti nel corso degli incontri sono consultabili all’indirizzo
http://www.autprol.org/olga


novembre 2006
OLGa – è Ora di Liberarsi dalle GAlere

olga2005@autistici.org

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