28/11/2006: Ciò di cui ho pena, Libano...


Scrivo queste parole mentre l’invasione israeliana contro il Libano entra nel suo settimo giorno, a seguito dell’operazione militare della Resistenza Islamica che ha portato alla cattura di due soldati israeliani e all’uccisione di altri sette.
Salto tra i canali televisivi e le pagine dei giornali. E tutti mi portano a dire: “Che pena, Libano”.
Ma non dico questo perché vedo il Libano “prigioniero di una guerra creata dalle macchinazioni dell’asse iraniano-siriano”. Questo è quanto sostengono coloro che vogliono rendere neutrale il Libano dal conflitto arabo–israeliano - tra questi il “Blocco del 14 Febbraio” - o coloro che considerano la propria partecipazione a questo conflitto [strettamente] subordinata a quella di tutti gli altri paesi arabi.
Non lo dico perché sono scettico sul successo di HizbAllah sul raggiungimento degli obbiettivi posti, come ad esempio il rilascio dalle carceri israeliane di prigionieri libanesi o di altri prigionieri arabi. E non lo dico neppure perché piango (e lo faccio veramente) la distruzione dell’aeroporto, dei ponti e del resto delle infrastrutture, i cui costi stiamo pagando noi libanesi e continueranno a pagare i nostri figli e i nostri nipoti per decine di anni a venire.

Sì Libano, ho pena per te. E tuttavia…
Ciò per cui ho pena di te, Libano, è che tu sia costretto ad essere guidato da una classe dirigente che non ha tratto vantaggio dalla liberazione del 2000, fortificando il Sud e altre zone contro future aggressioni israeliane (e chiunque tenga conto della storia e delle ambizioni di Israele in questa regione avrebbe potuto prevedere che nuove aggressioni non si sarebbero fatte attendere a lungo).
I vari governi libanesi succedutisi hanno fallito nella costruzione di rifugi, strade asfaltate e nell’investire nella costruzione di istituzioni che avrebbero potuto contribuire alla resistenza della popolazione (come ospedali, scuole, università…), nonostante i milioni di dollari che avevano ricevuto dai regimi arabi dopo ogni attacco israeliano e che erano stati stanziati dal Consiglio per il Sud.

Ciò per cui ho pena di te, Libano, è che tu sia costretto a subire una leadership che non ha fornito al proprio popolo i mezzi per l’autodifesa, mentre invece i vari governi, compreso l’attuale, hanno intrattenuto “rapporti amichevoli” con gli sponsor della Rivoluzione dei Cedri, gli Stati Uniti e la Francia, paesi entrambi fornitori a Israele di qualsiasi arma desiderasse. Nessuna meraviglia, naturalmente, ove consideriamo che le autorità libanesi hanno coerentemente sostenuto per decenni che “la forza del Libano… è nella sua debolezza”.
Ciò per cui ho pena di te, Libano, è che tu debba essere governato, particolarmente in questi giorni, da un governo che non adotta la cattura dei soldati israeliani per chiedere la liberazione dei prigionieri libanesi, delegittimando la Resistenza davanti al mondo e coprendo così l’aggressione israeliana.
E’ penoso, Libano, che tu sia ferito da un Primo Ministro che condanna l’aggressione israeliana solo per il suo essere sproporzionata rispetto all’operazione di Hizballah. Significa questo che, diversamente, egli avrebbe appoggiato l’aggressione anche se è stata Israele, in quanto paese belligerante e occupante, che ha provocato quella operazione (e tutte quelle passate, presenti e forse future) ?
Come è penoso, Libano, che tu non sia stato così fortunato da avere una leadership che prema incessantemente sulla “comunità internazionale” (di cui ha sempre cantato le lodi) per obbligare Israele a pagare le riparazioni per i suoi atti di aggressione avvenuti nel corso di più di quattro decenni.
E come stona sentire i principali membri dei vari governi libanesi lodare l’astuzia della lobby sionista negli USA dimenticando del tutto (o piuttosto ignorando) che quella lobby, dal 1998, è riuscita ad estorcere 1,25 miliardi di dollari alla Svizzera e 60 miliardi di dollari alla Germania come “riparazioni” il cui pagamento da parte dell’Europa è stato imposto “per il suo crescente anti-semitismo”, tanto prima quanto dopo la Seconda Guerra Mondiale (vedi Norman G. Filkenstein, L’industria dell’Olocausto, Verso, 2000).
Ciò per cui ho pena di te, Libano, è che tu debba tollerare una classe di politici e “analisti” che in questi giorni cerca di sommergerci con due slogan: “pessima scelta del momento” e “avere offerto un pretesto al nemico”. Il primo slogan è stato l’ossessione dei politici del “Blocco del 14 Febbraio” e dei media che li sostengono – come se avessero mai applaudito operazioni avvenute in altri momenti (e quale sarebbe potuto essere il momento buono, evidentemente, non lo specificano). Relativamente al secondo slogan, ci è stato ripetuto più e più volte che l’operazione rappresentava il pretesto necessario agli israeliani per scatenare la loro aggressione. Questa assurda logica ignora completamente la storia: neanche una volta il nemico israeliano ha cercato un pretesto per sviluppare la propria aggressione, occupazione e vendetta contro l’opposizione araba. Al contrario, Shabak ed il Mossad, compiono le loro scelte per l’aggressione anche quando le operazioni contro di loro sono cessate.
Inoltre, questa logica porta rapidamente gli arabi alla sottomissione e alla fiducia delle stesse vecchie pretese: “realismo” e “l’occhio non può combattere l’inganno” (sebbene abbia combattuto e trionfato, nei fatti, il 25 maggio 2000).
Ciò che è penoso, Libano, è anche che i tuoi più importanti mezzi di comunicazione siano stati trasformati in messaggeri delle ambasciate di Stati Uniti e Francia mentre queste invitavano i loro cittadini a lasciare un Libano perché non era più un luogo sicuro, sebbene questo sia avvenuto precisamente a causa degli armamenti statunitensi e dell’appoggio politico americano e francese a Israele. E con i loro inviti a fuggire, queste ambasciate, favoriscono il dispiegamento di armamenti contro il Libano e probabilmente contro Beirut in particolare.
Parlando dei mass-media è pietoso per il Libano anche che nessuna delle ben equipaggiate stazioni televisive come Future TV abbia prodotto un video clip a sostegno alla resistenza del popolo libanese, mentre quella stazione televisiva ha prodotto più di cento canzoni e video clip (molti dei quali veramente stupidi) nelle settimane dopo l’uccisione del Primo Ministro Hariri. Forse le vittime dell’aggressione israeliana (mentre scrivo ci sono già più di 210 civili libanesi morti) contano meno di un Primo Ministro Hariri?

Ciò che mi fa pena di te, Libano, sono i tuoi falsi “sinistri” (specialmente quelli della “Sinistra Democratica”) che non hanno altra preoccupazione che sospettare di ogni reminescenza di dignità e cercare ogni cosa che permetta loro di denunciare i regimi iraniano e siriano, Hizballah, Hamas, la Jihad Islamica, il FPLP – Comando Generale, ogni cosa, perfino quelle cose che permetterebbero il rilascio degli eroi che hanno pagato il prezzo della loro libertà per garantire la nostra. Alcuni sinistrorsi di Hariri sono arrivati a dire che Nasrallah è stato la causa della distruzione dell’economia libanese con la sua audace operazione militare, dimenticando così deliberatamente di ricordare come le politiche del Primo Ministro Hariri abbiano fatto crescere il debito, gli sprechi e la corruzione (secondo quanto dicono alcuni dei suoi alleati e figure di spicco del regime siriano).
Questo non vuol dire che tutti quelli che vengono criticati dai membri del “Blocco del 14 Febbraio” siano senza colpa. Tanto meno il regime siriano, i cui strateghi (come il dottor Imad Fawzi Al–Shu’ayubi) mi disgustano con le loro sperticate lodi alla Resistenza Libanese, senza porsi domande sull’assenza di una reale resistenza siriana nel Golan.
Tali lodi mi colpiscono come d’altra parte le posizioni tenute da gente come Elias Atallah (della Sinistra “Decorativa”) che critica sia l’acquiescenza del regime siriano nel Golan, sia la resistenza e la non acquiescenza di Hizballah in Libano. Seguirà, il signor Atallah, la linea siriana in questo caso oppure no? Seguendo quella impostazione, la critica della leadership libanese non potrebbe accettare la contorta logica del regime iraniano che combatte l’imperialismo in Libano, ma collabora con esso in Iraq.
Allo stesso tempo, è davvero vergognoso che il “Blocco del 14 Febbraio”, insieme con i suoi “teorici” e uomini dei media, denuncino il coordinamento della Resistenza Libanese con Siria ed Iran, come se fosse possibile fermare la guerra israelo-americana (o almeno porvi un limite) senza alleanze regionali. Piuttosto ci si aspetterebbe che il Blocco, se avesse a cuore la sopravvivenza del Libano, la sua dignità e la sicurezza delle sue terre, sollecitasse immediatamente il governo libanese (del quale è la maggioranza) a richiedere il sostegno militare di Siria ed Iran malgrado il proprio presunto antagonismo al dominio religioso o di un unico partito.
O credono, i difensori della “sovranità, libertà e indipendenza”, che sia possibile affrontare la violenza israelo–americana con un’avanguardia guidata da tabouleh, kibbenayyeh e arak fatti in casa; una retroguardia composta da dabkeh, le poesie libanesi di Sa’id Aql, e il credo tradizionalista che rifiuta “la guerra degli altri sulla nostra terra” (riferendosi specificatamente a Siria, Iran e Palestinesi); e uno stendardo sventolante sopra di loro, decorato con i simboli della coesistenza, croci e mezzelune?
Ogni volta che qualcuno dice “Ho pietà per te, Libano” solamente per disprezzare Hizballah, la Resistenza, e tutti coloro che levano la voce contro l’America e Israele, bisognerebbe porre queste domande:

1) C’è qualche altro modo che catturare soldati israeliani, per riportare a casa Samir al-Qantar, Yahya Skaf, Nasim Nisr e Ahmad Farran, per non parlare - ed essendo arabi nazionalisti e di sinistra dobbiamo parlarne - delle migliaia di prigionieri palestinesi, arabi e di altre nazionalità? Sì, un altro modo è che i prigionieri dichiarino il loro pentimento e che giurino di essere delle persone per bene e collaborino. Un possibile secondo modo per la dirigenza della Resistenza Islamica è quello di seguire la via [degli accordi] di Oslo, “rinunciando e denunciando” la resistenza armata e facendo ricorso al Consiglio di Sicurezza per chiedere il ritorno dei propri prigionieri (così come la liberazione dei suoi territori o la cessazione del furto di acqua libanese da parte degli israeliani…). Io non dubito che lo stato libanese possa realizzare queste richieste dopo il rimpatrio dei profughi palestinesi (in accordo con la Risoluzione 194 e l’applicazione di altre risoluzioni dalle Nazioni Unite)! Ci può essere una terza via: se Sheikh Hasan Nasrallah cambiasse la sua identità e prendesse il nome di “Mr. Hasan Karzai” o “Generale Lahd” o “Generale Hasan Rajjoub”.

2) Oltre alle armi, c’è un’altra strada per intimorire Israele, anche solo un po’, prima che pensi di fare una nuova passeggiata nelle terre, nelle acque e nei cieli del Libano o espellere nuovi rifugiati e commettere nuovi massacri a Al–Houleh, Kfar Kila, Al–Mansuriyya, Qana, Marwahin e Aytaroun?

E’ banale ricordare ai liberali che la storia (quella araba almeno) non ha mai avuto esperienza di autentiche vittorie senza [pagare un prezzo in] spargimenti di sangue, arresti, torture e morte.
Perfino le lotte non violente, come gli scioperi, i boicottaggi, le campagne (in Sud Africa durante l’Apartheid, nel movimento Indiano contro gli Inglesi guidato da Gandhi e in Palestina durante la prima Intifada), non sono sfuggite a spargimenti di sangue.
Non che io creda che chi si oppone alla Resistenza armata libanese possa proclamare, per esempio, il boicottaggio delle compagnie che sostengono Israele come la Nestlé, Estée Lauder, Caterpillar, Coca Cola. E’ noto come ministri del vecchio governo Hariri (come Basil Fulayhan) abbiano ignorato le proteste, avanzate da gruppi civili locali, riguardanti l’apertura in Libano di Estée Lauder, una compagnia guidata da Ronald Lauder, presidente del Jewish National Fund (la principale fonte di finanziamento per i nuovi insediamenti in Israele). Di più, la signora Nazik al–Hariri (moglie dell’ex Primo Ministro) nonostante le numerose manifestazioni pubbliche di protesta, ha presieduto alcuni anni fa la cerimonia di apertura di un grande magazzino Aishti alla periferia di Beirut, che vendeva esclusivamente prodotti della compagnia.
Inoltre, è estremamente banale ricordare a chi rigetta le operazioni di Hizballah (e della resistenza armata più in generale) optando per la fiducia nei confronti della “comunità internazionale” e delle “risoluzioni delle Nazioni Unite”, che gli Stati Uniti (e occasionalmente l’Europa Occidentale) hanno coerentemente rinunciato a rendere efficaci le risoluzioni contro Israele. All’opposto, essi hanno recentemente deciso di affamare l’intero popolo palestinese perché ha scelto, attraverso procedure completamente democratiche, la via della resistenza a Israele.
Se non restano altri mezzi per far tornare i prigionieri libanesi che la cattura di soldati israeliani (una tattica il cui successo è stato confermato nel recente passato da operazioni compiute dal FPLP–Comando Generale e Hizballah, tra gli altri gruppi) perché condannarla? E perché limitare la sua applicazione al territorio libanese dal momento che Israele stessa continua a detenere centinaia di prigionieri presi fuori dalla Palestina Occupata? Ma ciò che è più comico è quando alcuni politici e commentatori televisivi sul loro “libro paga” (soprattutto Future Tv e LBC) sostengono che non sono contro le operazioni armate di Hizballah e della Resistenza Libanese, ma piuttosto contro l’intraprendere la resistenza in assenza di un precedente consenso nazionale.
Di quale consenso nazionale stanno parlando?
La Resistenza non necessita né di consenso nazionale né di unità nazionale. Questa è una ridicola bugia che non è sostenuta da nessuna ragione storica, che sia di mia conoscenza. Per esempio la Resistenza Francese durante la Seconda Guerra Mondiale – un particolare e importante esempio dato che il “Blocco del 14 Febbraio” ama la Francia, la sua civiltà e specialmente Jacques Chirac - non rappresentava in nessun modo la maggioranza in Francia quando iniziò.
La storica Elizabeth Thompson (Colonial Citizens, Columbia U. Press, 2000, pag. 196) mostra che il 30% dei burocrati dell’amministrazione di Vichy in Libano rifiutarono di servire De Gaulle e tornarono in Francia per servire il governo di Vichy alleato dei nazisti. Allo stesso modo, l’intera forza militare francese in Libano abbandonò De Gaulle, a parte soli 3.000 uomini.
Per fare un esempio vicino a casa: nel 1982 la maggior parte dei libanesi fu terrorizzata dagli occupanti israeliani e molti gettarono via le armi per paura di venire colti in flagrante. La resistenza nazionalista all’occupazione israeliana di Beirut iniziò con una manciata di combattenti motivati dal loro rispetto di sé. Si sollevarono contro gli occupanti nei quartieri di Hamira, Concorde e Aisha Bakkar... Furono ricercati, arrestati e uccisi dal regime di Amin Gemayel, per procura israeliana. Con il passare dei giorni però la “manciata” diventò una marea che liberò Beirut e altre importanti zone del Libano dall’occupazione. Ancora la Resistenza era lontana dal godere di un qualsiasi consenso nazionale (ufficiale o popolare) malgrado il fatto di unire persone di diverse tradizioni in virtù il suo carattere laico e di sinistra. Più tardi, per una lunga serie di ragioni, Hizballah prese il timone della resistenza e liberò gran parte di ciò che era rimasto nelle mani degli israeliani, ancora senza che la resistenza arrivasse ad avere un qualsiasi consenso nazionale, nonostante fosse ormai diventata una rumoreggiante marea popolare. Piuttosto, [la resistenza] rimase confinata in un singolo, sebbene esteso, settore. Dunque perché oggi la Resistenza dovrebbe cercare un consenso nazionale circa i suoi diritti nazionali, legali e religiosi? E da chi?
Dalle “Forze Libanesi” che hanno collaborato con gli israeliani per molti anni con la scusa di proteggere i cristiani?
Dai partiti con identità ambigue – settarie, socialiste e conservatrici - le cui leadership collaboravano con l’occupante israeliano (come mostrato da Faris Abi Sa’b in un articolo pubblicato un mese fa sul giornale Al Diyan)?
Dai rappresentanti parlamentari che non avrebbero ricevuto cento voti nelle ultime elezioni se non fossero stati finanziati da Sheikh Sa’ad al–Hariri e se non avessero sfruttato le simpatie popolari per la sua famiglia in seguito all’uccisione del padre?
Dagli parlamentari dell’MP che hanno confessato di essere stati costretti a votare l’estensione anti-costituzionale della carica al Presidente Emile Lahhoud per paura della punizione del regime siriano, piuttosto che votare contro? Può gente che ha tradito la fiducia dei propri elettori rappresentare un consenso nazionale?

In verità, non ha avuto, Hasan Nasrallah, che possedeva già i missili Raad, Zilzal e Shihab, una grande pazienza discutendo ore e ore con i vari leader libanesi (Michel Aun, Sa’ad al-Hariri...) per ottenere il loro riconoscimento dell’identità libanese delle fattorie di Shaba e di Kafar Shuba, e il diritto al ritorno dei prigionieri libanesi? Non era già abbastanza affinché Hizballah intraprendesse azioni concrete per ottenere il rilascio dei prigionieri? Dopo il Dialogo Nazionale e il giro delle riunioni di coordinamento, era ancora necessario il “consenso nazionale”? Cosa era, se non [un vero] referendum pubblico (non degli MP, non dei leader dei partiti, ma del popolo stesso), nelle mani della Resistenza? Era meno di una dichiarazione della maggioranza dei libanesi (non tutti, dal momento che questo sarebbe impossibile in ogni caso) a sostegno della resistenza Libanese?

Infine, ciò per cui ho pena per te, Libano, è che dopo la tua vittoria del 2000 sia stato ridotto un’altra volta da quelli che criticano la Resistenza ad un mero luogo di affari, turismo e furberie. L’industria degli affari e del turismo fu colpita da Israele e Stati Uniti (che l’ha imposta con le armi) non da Hizballah, che esercitava il proprio diritto a liberare i prigionieri libanesi. L’Aeroporto di Beirut (che per inciso è stato ribattezzato recentemente Aeroporto Internazionale Rafiq al-Hariri, senza nessun consenso nazionale malgrado che sia il popolo intero a pagarlo), è stato colpito da Israele e Stati Uniti e non da Hizballah nel 2000 o dalla Resistenza Palestinese nel 1968. (Per inciso, la distruzione dell’aeroporto non indica una grossa sottovalutazione da parte di Hariri delle priorità nazionali? La priorità non dovrebbe essere, piuttosto che l’immagine del Libano come nazione “civile” e “avanzata” agli occhi dei turisti e visitatori del Golfo o della comunità internazionale, la sicurezza di fronte alla belligeranza israeliana?).

Ho pena che si dica “Libano, hai pagato abbastanza per la Palestina”, per non dover più avere solidarietà con il sottomesso popolo palestinese, neppure attraverso un’operazione il cui scopo primario era quello di liberare i prigionieri libanesi, ma in un momento che ha coinciso con le pressioni della macchina militare israeliana sul governo democraticamente eletto di Hamas. E’ troppo chiedere, Libano, che i tuoi tentativi di liberare i tuoi prigionieri possano, anche solo per effetto della scelta del momento, possano [indirettamente] alleggerire un po’ dell’orribile peso che i militari israeliani pongono sulle spalle del popolo palestinese? Abbiamo già scordato l’amarezza, noi libanesi, quando gli Arabi applaudirono gli algerini contro i polacchi alla Coppa del Mondo del 1982, ma tacquero sull’invasione israeliana del Libano? Gli intellettuali e gli analisti che sono così stanchi dei Palestinesi, vogliono essere, oggi, come quegli Arabi che condannavano?

Allo stesso modo, come è penoso per il Libano che alcuni dei suoi residenti di origine Palestinese, venuti come rifugiati decenni fa, dopo aver acquisito la cittadinanza (al contrario di centinaia di migliaia di altri palestinesi), raggiunto il benessere, sottolineino oggi l’importanza di separare i destini del Libano da quelli della Palestina. Ora che sono diventati libanesi rifiutano la “scelta del momento” delle operazioni di Hizballah, sostenendo che sarebbero venute in soccorso di Hamas. Questo, nei fatti, non è tanto un caso di rinuncia alle proprie origini o di abbandono di un popolo torturato, quanto piuttosto la dimenticanza di un semplice fatto storico: l’intera regione era un territorio comune per i suoi abitanti prima che fosse divisa di protettorati e imperi che separarono i Libanesi dai Palestinesi.
Come dovrebbe essere un Libano non meschino come questo? Un Libano dignitoso dovrebbe essere alleato di una Palestina onorevole. Non ferirebbe, ma anzi onorerebbe il Libano aiutare il popolo palestinese ed il suo governo democraticamente eletto a prevalere, ogni volta possibile, e specialmente quando lo scopo principale è direttamente in favore del Libano (come nel caso [della liberazione] dei libanesi prigionieri nella Palestina Occupata).
Comunque, la vittoria della Resistenza Islamica è “vicina, molto vicina, veramente vicina”, come giura oggi il simbolo della dignità araba (sì, dignità, cari liberali), Sayyid Hasan Nasrallah. Quella vittoria sarà una vittoria anche per la Palestina. Tutto ciò che è necessario in questo momento è mantenere saldi i principi e il sostegno alla Resistenza, avere pazienza.
E’ destino del Libano essere vicino di un feroce nemico. Ma è una scelta nobile del Libano stare dalla parte dei suoi eroici combattenti per la libertà e dalla parte della Palestina.

Beirut, 18 luglio 2006
Samah Idriss (Al-Adab)
Pubblicato nel numero di luglio-agosto della rivista Al-Adab (www.adabmag.com)
Traduzione in italiano a cura del Laboratorio Marxista, novembre 2006
Traduzione dall’arabo di Kirsten Schedi

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