04/04/2007: AFFRONTARE LA “GUERRA PREVENTIVA E INFINITA” DELL’IMPERIALISMO; PER IL PARTITO, PER LA RIVOLUZIONE


Il 12 febbraio è stato vera sconfitta?
La grancassa mediatica si è messa all’opera per martellare il messaggio sulla potenza dello stato, sulla brillante Operazione preventiva, sull’incapacità dei tentativi rivoluzionari, ecc.
Ma già lì trasparivano evidenti elementi di imbarazzo.
“Ma come ?! Non li avevamo definitivamente sconfitti ?! (..)
Ma come è possibile che siano di nuovo dentro le fabbriche, e che siano “ottimi delegati” e non isolati estremisti ?! (..). E la classe operaia poi, ma non era scomparsa? Estinta come i dinosauri ?!”
Siamo talmente sconfitti che i dirigenti della sottomissione operaia hanno pure proclamato sciopero. Contro… degli arrestati!
Il tragicomico nella storia è sempre molto significativo.
E ancora, la barzelletta sugli “infiltrati”… Mentre noi possiamo attestare la nostra storia operaia, sembra che i suddetti dirigenti non abbiano propriamente e giammai, lavorato in catena o sui ponteggi. Ma no, mi sbaglio. Qualcuno ci ha lavorato. Per esempio alla Pirelli, come cronometrista! (di nuovo il tragicomico)
Insomma, il clamore sollevato dagli arresti nostri e dì altri compagni di movimento vuol ben dire qualcosa. Vuol dire che tocca il vivo delle contraddizioni che si situano nel vivo dello scontro di classe.
Pure da qui dentro, in isolamento, si riesce a cogliere come si stia dando un riflesso di simpatia e di fierezza proletaria attorno a noi. Vedere in TV delle anonime operaie, di fronte alle “domande” terroristico-intimidatorie del Goebels di turno, rispondere “No, non li denuncerei”. Vedere le scritte di solidarietà apparse sui muri di molte città; vedere la coraggiosa difesa politica dentro le manifestazioni, dà la misura di come in seno al proletariato siano vivi dei margini di autonomia, di come si riconoscono esperienze che si sentono proprie.
Esperienze che meritano valutazione politica ed autocritica, certo. Ma autocritica, cioè analisi da svolgere in seno alle forze di classe, per capire e correggere gli errori; per mettersi a livello dei compiti necessari e saper fronteggiare i mezzi della controrivoluzione. Il loro dispiegamento di mezzi, la loro innovazione tecnologica (e, di conseguenza certi nostri ritardi), la tendenza ad agire preventivamente – nel solco di “guerra preventiva ed infinita, ai popoli (loro dicono “al terrorismo” noi diciamo che fanno guerra ai popoli)” – dimostrano anche quanto lo stato teme l’insorgenza proletaria, la tendenza rivoluzionaria.
Il colpo subito da noi (in quanto organizzazione, non evidentemente in quanto generalità degli arrestati) è una realtà. Va detto proprio affinché le forze proletarie possano trarne insegnamenti e bilancio, al fine preciso di continuare la lotta.
Escludiamo ovviamente da tale diritto di critica/autocritica la variegata fauna opportunista che immaginiamo già all’opera con il suo repertorio disfattista. Non fosse che per la questione di “buon gusto” per cui, chi non è disposto a misurarsi con la dimensione complessiva dello scontro, è meglio che stia zitto.
Come già ebbe a dire Lenin, contro tali attitudini:
“Il passaggio dalla fase dei circoli di propaganda a quella dell’agitazione provocò una certa disorganizzazione. Il passaggio dalla fase dell’agitazione a quella delle grandi azioni di piazza, pure. E così anche il passaggio dalle azioni di piazza alla pratica combattente, partigiana.Dobbiamo per questo dire che non bisogna combattere? No! Dobbiamo solo imparare a combattere. E basta.”
(da un testo sulla sconfitta del movimento insurrezionale 1905, in cui attacca coloro che, perciò, volevano abbandonare il terreno rivoluzionario).
E i problemi che si pongono sono esattamente questi:
imparare a lottare sui vari piani, fino al massimo livello di sintesi, l’unità del politico-militare. In questa sintesi puo trovare soluzione le stesso problema del Partito, come strumento e soggetto necessari allo sviluppo di una strategia di ampio respiro. Il fatto che di nuovo abbia fatto irruzione sulla scena politica l’istanza rivoluzionaria (quella che tale si è legittimata sul dritto filo che parte dei primi anni ’70), è già in se un impulso, un passo in avanti. È un impulso alle forze di classe ad orientarsi sulla tendenza necessaria e possibile; ad applicarsi ai compiti e problemi reali da risolvere. Ed è solo nella prassi che si risolvono i problemi, per quanto ardui e complessi.
In questi stessi giorni assistiamo all’ennesima, infausta capitolazione delle pretese riformistiche degli incorreggibili propugnatori della via istituzional-parlamentare.
La “sinistra radical-revisionista” illude le masse sull’utilità dell’andare in parlamento, ed entro una compagine governativa che non può che essere di chiara marca capital-imperialista. Fa un po’ di folclore, tanto baccano e poi, alle strette degli “improrogabili impegni” con NATO, USA, FMI, Commissione UE (e altri direttori imperialistici), deve capitolare ignominiosamente e accodarsi alle peggiori mene antiproletarie e colonialiste.
Finiscono solo per svolgere un ruolo di recupero verso i movimenti di massa, di demoralizzazione e sfiancamento; seminano disillusione e sfiducia; coltivano imbecillità ideologiche quali il “pacifismo” (uno delle peggiori imposture che i potenti, super-armati, diffondono tra gli oppressi affinché, la loro sì, restino disarmati e inermi).
Come ha detto l’on. Russo Spena (revisionista) “datemi dell’agente dell’imperialismo USA, ma io voto per il governo”. Esatto onorevole: siete un branco di stupidi agenti, e non solo di quello USA ma pure dell’imperialismo italiano!
Guardiamo la realtà del mondo odierno. Alcuni grandi fatti che la dicono lunga sul velleitarismo di qualsivoglia manovra riformista:
1) I lupi imperialisti storici, dopo aver scatenato guerre d’aggressione dappertutto, dopo aver gettato intere regioni in un caos sanguinario (dal Tricontinente fin dentro i Balcani), oggi lavorano a nuove tappe di progresso: la “mini bomba atomica”. Rotti gli accordi “Stalt-2” (che costituivano il quadro limitativo alla proliferazione nucleare con l’ex-URSS) per iniziativa unilaterale USA nel 2002, gli strateghi USA lo dichiararono apertamente: “Da deterrente, in equilibrio del terrore, la bomba atomica diventerà arma offensiva che noi utilizzeremo in prima istanza, e pure contro paesi che non ne dispongono” (!).
I criminali imperialisti hanno sempre tenuto fede ai loro pronunciamenti dottrinari.
E per realizzare questo, hanno appunto bisogno di una bomba utilizzabile: che massacri sì, ma non troppo. Insomma, si preoccupano dell’equilibrio tra il politico ed il militare.
Questo disegno (che poi è il top di tutta un’escalation in atto, di cui vediamo l’impiego di armi nuove e devastanti sulla testa dei popoli oppressi) avanza da tempo e non può che significare guerra e ancora guerra, e di ampiezza e potenza decuplicate! Così pure i lupi imperialisti di “nuova generazione” (Cina, Russia, India) sono lanciati in un escalation di armamenti ed in strategie aggressive, inevitabilmente belliciste.
Disse Mao: "O la Rivoluzione impedisce la guerra, o la guerra scatenerà la Rivoluzione”
2) L’accellerazione concorrenziale sui mercati (effetto delle leggi immanenti del capitalismo, della sua crisi di carattere storico, da sovrapproduzione di capitale) sta producendo una devastazione sociale senza precedenti. La pressione sul tasso di sfruttamento (loro la chiamano “produttività”-competitività), unica fonte del plusvalore, è diventata feroce, ossessiva. Abbiamo visto riapparire o meglio, estendersi di nuovo le forme più selvagge di sfruttamento pure qui nei centri imperialisti; mentre nel Tricontinente le aree industriali sono semplicemente dei campi di concentramento! Le recenti violente esplosioni operaie in alcuni di questi campi, in Bangladesh e Cina, ne sono tragica illustrazione.
La sintesi tra i due fatti è nell’essenza dell’imperialismo, che non è un banale fatto di politica estera (come si affannano a far credere i suddetti stupidi revisionisti), bensì è la natura stessa del modo di produzione capitalistico. “L’imperialismo è il proseguimento dello sfruttamento con altri mezzi”.
L’orizzonte della guerra appartiene a questa formazione sociale. Il proletariato ed i popoli oppressi non hanno da scegliere. Sono obbligati. Alla guerra imperialista e reazionaria, che sconvolgerà sempre più il mondo negli anni a venire, si può solo opporre la tendenza alla “guerra popolare prolungata”, rivoluzionaria e di classe. Ciò che è già realtà in alcune aree del Tricontinentale fino alla Turchia, a lambire l’Europa. Il suo contenuto è la liberazione sociale, via la presa del potere e l’avvio della trasformazione socialista.
Questo contenuto dà forma così anche al carattere di questa guerra, ed al processo che vi conduce. La violenza rivoluzionaria è ben diversa della violenza reazionaria e mille esempi lo stanno a dimostrare, da quello che succede in Irak o in Nepal, fino alla nostra storia italiana.
E questo processo è appunto un percorso di contenuto e mezzi, di costituzione del proletariato in forza ideologica-politico-militare indipendente. Costituzione che può darsi solo nel vivo dello scontro “imparando a combattere”, gettando le condizioni per trasformare la resistenza popolare in vera lotta di classe, cioè in lotta per il potere.
A questo processo concorreranno l’insieme delle forze e forme organizzate anche svariate, che sapranno porsi rispetto a queste necessità fondamentali, a questo orientamento di prospettiva. C’è posto per chiunque sia seriamente e coerentemente disposto ad avanzare verso la Rivoluzione.
Le caricature che vorrebbero ridurre il processo rivoluzionario alle vicende di qualche Organizzazione iniziale, come la nostra, fanno parte del concerto disfattista e disarmante contro la classe.
Noi diciamo a tutti/e i/le militanti sinceri alle forze di classe, a tutti/e i/e proletari/e che cercano una via d’uscita agli incubi sanguinari cui l’imperialismo ci condanna, a tutti/e coloro che si pongono il problema di aprire una nuova prospettiva rivoluzionaria:
• bisogna rompere il cordone-ombelicale con il gioco politico istituzionale. Va spezzata la catena elettoral-parlamentarista che, in un paese imperialista marcio (come il nostro) non ha più alcuna valenza utile per la classe, bensì solo imprigionante, subalternizzante.
• Bisogna affrontare i vari piani dello scontro, nel senso dello sviluppo dell’autonomia di classe: Organismi di Massa dentro le lotte e Partito Comunista nell’unità del Politico-Militare.
• Bisogna sviluppare le lotte non per inseguire “tragicomiche conquiste immediate” (Marx), bensì nel senso dell’accumulazione di forze entro una precisa strategia di lotta rivoluzionaria.
• Senza organizzazione dell’attacco la difesa resta impotente, si disperde e viene recuperata dai professionisti della sottomissione di classe.
• La vera solidarietà con la resistenza armata dei popoli oppressi consiste nello svillupare il processo rivoluzionario in ogni paese, nel proprio paese, così consolidando il fronte unito anti-imperialista e internazionalista.

Aprile 2007
Davanzo Alfredo
Militante per la costituzione del Partito Comunista Politico-Militare

* Questo testo è personale a causa dell’isolamento carcerario, che ci ha finora impedito di comunicare e confrontarci. Non certo per concessione allo stupido individualismo borghese.

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