04/08/2007: la rivolta e la fuga dal cpt di bari


Il 29 luglio più di cento immigrati detenuti nel Centro di Permanenza Temporanea di Bari Palese hanno attuato una vera e propria rivolta protestando contro l’”accoglienza” che l’Italia garantisce loro.
Di fatto il Cpt barese, insieme a quello di Gradisca d’Isonzo, è diventato il principale luogo di smistamento dei migranti sbarcati in Italia, innanzitutto in Sicilia.
Il risultato della protesta è di 32 persone fuggite (di cui tre poi ritornate), 4 arrestati per violenza a pubblico ufficiale e danneggiamento, 8 feriti tra i manifestanti e una decina di feriti tra agenti delle forze dell’ordine e dipendenti dell’ente Operatori Emergenze Radio (O.E.R.) che da marzo gestisce il centro.
Non possiamo dire con certezza, come fatto dalla Questura barese, che i fuggitivi siano tutti di nazionalità egiziana e che abbiano voluto fuggire per paura di essere sicuramente reimpatriati. Anzi, pare dubbio che persone rinchiuse in quello che non stentiamo a definire un moderno lager abbiano conoscenza degli accordi di reimpatrio che l’Italia stipula con altri Paesi del mondo. Molto spesso, anzi, le persone detenute nel Cpt non sanno né perchè, né per quanto tempo, né con quali esiti avviene la detenzione stessa.
Se anche lo fossero ci sarebbe da ricordare al Governo italiano (che stipula tali accordi di riammissione) l’intervento della polizia egiziana nel 2006 contro l’accampamento dei rifugiati e richiedenti asilo davanti alla sede del Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Quell’intervento portò alla morte di 25 persone ed al ferimento di centinaia.
Quello che conta, tuttavia, è la fuga, la rivolta che la ha resa praticabile, il livello di autorganizzazione sviluppatosi.
Da notizie che si sono apprese attraverso le poche testimonianze trapelate e dalla ricostruzione fatta dai giornali locali e nazionali appare un quadro descrittivo di una situazione che non necessariamente possiamo dire casuale o estemporanea.
Sappiamo da tempo che nel Cpt di Bari (come in tutti gli altri) il ricatto, l’uso indiscriminato di psicofarmaci, la detenzione di minorenni, il mancato rispetto delle norme internazionali a tutela dei richiedenti asilo, le forme di pressione fisica e psicologica sono prassi consuete.
Da tempo sappiamo e denunciamo, altresì, i casi di autolesionismo e di fuga che si sono avuti in passato. In alcuni casi le morti.
Nel mese di luglio, tuttavia, nel solo centro di Bari Palese sono state segnalate due rivolte e due tentativi di fuga andati a buon fine, 7 persone nella prima, 32 nella seconda.
Come a Gradisca d’Isonzo, inoltre, anche a Bari il Centro di Permanenza Temporanea ha sin dalla sua apertura (marzo 2006) trattenuto una media di persone non superiore a 50.
Con i massivi sbarchi dell’ultimo mese, tuttavia, entrambi i centri hanno moltiplicato per tre il numero dei trattenuti.
Questo è sicuramente un dato su cui riflettere, visto che gli operatori dei centri sono sempre gli stessi e visto che l’organizzazione complessiva dei centri è, per così dire, “tarata” su un numero di detenuti inferiore a quello attuale.
Nel momento in cui il numero complessivo dei trattenuti cresce esponenzialmente è di tutta evidenza come questo possa creare disservizi, da un lato, e maggiore conoscenza e comunicabilità tra i rinchiusi, dall’altro.
D’altro canto le modalità dell’ultima rivolta con fuga portano ad immaginare un livello di autorganizzazione tra i migranti di non poco conto.
La dinamica degli accadimenti ha visto, infatti, un corposo numero di persone, circa un centinaio, protestare cercando di guadagnare l’uscita principale del Cpt.
Contemporaneamente altri hanno divelto le telecamere a circuito chiuso interne al Centro ed hanno utilizzato i cavi come corde idonee a superare l’alto muro di cinta che separa i migranti rinchiusi dalla campagna del quartiere San Paolo.
Nella fuga del 25 luglio scorso, invece, il malore di un immigrato (non sappiamo se vero o meno) ha costituito il pretesto per distogliere l’attenzione di operatori e forze di polizia dal gruppo di 7 che poi è effettivamente fuggito.
Nonostante la temporaneità della presenza delle persone nei Cpt è indubbio che chi scappa dalla miseria, dalla precarietà o dalle guerre o anche chi vuole realizzare un proprio desiderio di libertà lasciando la terra natia non può comprendere una carcerazione sapendo di non avere commesso crimini.
Ed è anche probabile che il meccanismo di doppia detenzione che spesso vivono i migranti (o perchè all’uscita dal carcere vengono portati nel Cpt o perchè non essendo reimpatriati rimangono in Italia da irregolari e sono esposti alla reclusione continua nei Cpt) porti alla diffusione di pratiche di resistenza alla detenzione amministrativa ed alla messa in pratica delle stesse.
I Cpt italiani sono stati pieni di fughe e di rivolte: dal Serraino Vulpitta al centro di Via Corelli a Milano gli esempi non mancano. Ed è evidente che fino a quando la libertà delle persone non sarà messa al centro delle politiche sull’immigrazione in Italia ed in Europa casi come questi si ripeteranno sempre più frequentemente.
Magari assurgendo all’onore delle cronache solo in presenza di una fuga tanto evidente da dovere fare correre ai ripari anche le stesse forze di polizia.
Ma l’autonomia dei movimenti migratori non può certo fermarsi perchè esistono i centri di permanenza temporanea e la privazione della libertà di persona.

Redazione Melting Pot

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