26/09/2007: Lettera aperta al movimento, ai partiti, alle associazioni, ai collettivi, ai comitati, ai singoli in vista di una sentenza grave e pesante per la democrazia in questo Paese


Dal 5 al 26 ottobre si svolge il processo d’appello ai compagni e alle compagne condannate/i a quattro anni di galera per aver partecipato al corteo antifascista dell’11 marzo 2006 a Milano.
Sui fatti dell’11 marzo 2006 si è parlato tanto, ma le discussioni non hanno portato alla definizione di un bilancio collettivo, principalmente politico. Per questo è bene ricordare cosa accadde e perché.
Le autorità cittadine consentono alla Fiamma Tricolore di sfilare nel centro di Milano nell’ambito delle iniziative delle “attività elettorali” che si stavano svolgendo in quel periodo; le “forze della sinistra” non vanno oltre la protesta di facciata, condita con qualche lamento di sdegno e organizzano un timido presidio di protesta in una zona distante dal corteo: il dato di fatto è che l’11 marzo la città di Milano dovrà assistere impotente alla parata fascista.
L’11 marzo di Milano rappresenta anche il definitivo sdoganamento del fascismo e dei fascisti a livello nazionale: dopo che il centro-destra ha aperto loro le porte per le intese elettorali, si sono moltiplicate le iniziative delle formazioni neofasciste, iniziative permesse dalle autorità istituzionali che sono state la radice dalla quale si è sviluppata l’avanzata degli ultimi mesi dei fascisti, dalle parate alle azioni squadristiche su ampia scala [villa Ada e Casalbertone, a Roma; i pogrom contro i rom a Pavia, ecc].
Col senno di poi risulta, con maggiore chiarezza ancora, quanto fosse importante, giusto e legittimo opporsi a quella manifestazione oltraggiosa e pericolosa.
Alcune realtà e compagni e compagne del movimento milanese lanciano un appuntamento di mobilitazione per impedire la parata fascista, per occupare la piazza concessa ai fascisti, per respingere una provocazione insostenibile e inaccettabile nella città in cui i fascisti hanno ucciso un compagno, promosso agguati e aggressioni, condotto spedizioni squadristiche, devastato e incendiato centri sociali e sedi di movimenti di sinistra e sindacali.
Il corteo antifascista, non autorizzato, viene caricato duramente in C. Buenos Aires dalla polizia che rastrella e arresta 47 antifascisti.
Fra questi, 27 vengono rinviati a giudizio dopo 4 mesi di carcere preventivo. Nel luglio 2006 la sentenza del Tribunale di Milano: 18 antifascisti condannati a 4 anni per “concorso morale in devastazione e saccheggio”e 9 assolti.
Dopo la criminalizzazione, la persecuzione e le campagne mediatiche contro i compagni arrestati, nei mesi di aprile, maggio, giugno e luglio del 2006 si è sviluppata una vasta e capillare mobilitazione di solidarietà nei loro confronti che ha attraversato l’Italia e che ha trovato la massima espressione nel corteo nazionale del 17 giugno.
Il processo di primo grado è stato celebrato con la presenza costante di decine e decine di compagni che hanno portato la loro solidarietà agli imputati fuori e dentro il tribunale di Milano. Ormai è evidente: il muro di isolamento e criminalizzazione innalzato dalle autorità cittadine e da tutti i partiti di Centrodestra e Centrosinistra è stato infranto.
Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Milano ha mostrato la pretestuosità delle accuse mosse ai compagni e il carattere squisitamente politico del processo; le 9 assoluzioni sono il risultato concreto prodotto dalla mobilitazione dei mesi precedenti e rappresentano abbastanza chiaramente il “compromesso” che il tribunale è stato costretto a proporre: “a fronte della mobilitazione 9 antifascisti li scarceriamo, ma gli altri pagano per tutti”
Per condannare i 18 compagni, il tribunale ha cancellato un preciso articolo della costituzione [art. 27] che sancisce il carattere individuale della responsabilità penale e ha introdotto il “concorso morale”: chiunque era presente al corteo, abbia partecipato o meno agli scontri, è punibile per il reato ascritto agli indagati [in questo caso devastazione e saccheggio].
Contro la sentenza di primo grado, gli antifascisti condannati sono ricorsi in appello affinché le prove che sono valse la scarcerazione degli altri 9 siano valide anche per loro, visto che sono le stesse, e impugnano la Costituzione per contrastare il tentativo di farne carta straccia ad uso e consumo dell’accusa e delle autorità cittadine.
Questa è storia recente, le valutazioni che traiamo sono conseguenti, i dubbi che solleviamo sono più che legittimi.

Cosa c’è in gioco e perché.
E’ possibile che la sentenza del processo d’appello sia già scritta da tempo e faccia riferimento a quel “compromesso” avanzato dal tribunale per cui “alcuni si assolvono, altri pagano per tutti”. L’unico modo per cambiare una sentenza già scritta è mettere in campo una campagna che rivendichi – soprattutto con la mobilitazione di piazza – la libertà per tutti gli imputati, quelli già assolti e quelli in giudizio in appello.
E’ possibile che una condanna esemplare [4 anni di carcere, imputazione devastazione e saccheggio, per 4 macchine incendiate nelle barricate!] possa essere il precedente che la magistratura italiana attende da tempo per abbattersi sul movimento di resistenza e sulle mobilitazioni con le armi che ha affinato dal G8 di Genova [il macello di piazza] all’11 marzo [concorso morale e “macello” in tribunale].
Non escludiamo che nella gestione della sentenza il tribunale possa prendere in considerazione l’ipotesi di confermare le condanne per gli imputati e applicare a discrezione l’indulto nel tentativo di svuotare apparentemente la sentenza dal significato politico e presentarla esclusivamente sul piano “giuridico e burocratico” mentre in effetti colpisce attraverso una repressione selezionata dei compagni e delle compagne già scelti come capri espiatori [per i precedenti, per la condotta processuale o per collocazione politica. Consideriamo anche che l’indulto non elimina la pena ma la sospende sino alla prossima manifestazione di piazza].
Crediamo che se anche a uno solo degli imputati venisse confermata la pena senza che in occasione del processo non si sia espressa una mobilitazione di piazza adeguata, fra i molti interrogativi e le molte questioni che animano il dibattito e minano l’unità possibile, ce ne sarà una particolarmente pesante e scomoda:
per quale motivo è accettabile che in un processo sommario, per celebrare il quale è stata abolita d’ufficio la Costituzione, ci siano imputati che devono pagare per tutti?
Questa è la legge del taglione che le autorità giudiziarie stanno preparando per il 26 ottobre e per ogni processo a venire.
Non vorremmo che le differenti valutazioni, posizioni, “strategie”, ogni differenza vera o presunta avessero il sopravvento rispetto all’urgenza e alla gravità che questa sentenza rappresenta: al di la di ogni discussione possibile, qua ci sono 18 compagni e compagne che rischiano seriamente che la condanna in primo grado si concretizzi in 4 anni di carcere.
Crediamo che non opporsi e non mobilitarsi contro questa sentenza, in una certa misura equivalga a lasciar passare sotto silenzio la riabilitazione e lo sdoganamento del fascismo con tutte le conseguenza che questo comporta [squadrismo, razzismo, omofobia, violenze…].

Cosa crediamo sia giusto fare e perchè.
Crediamo sia un dovere di ogni antifascista, ogni democratico, ogni progressista mobilitarsi e mobilitare affinché il processo d’appello effettivamente sia occasione per respingere la sentenza che ha trasformato il tribunale di Milano in una sorta di tribunale speciale e per liberare i condannati per i fatti dell’11 marzo dalla responsabilità di aver partecipato a un corteo.
Crediamo che sia dovere di ogni antifascista, ogni democratico, ogni progressista mobilitarsi e mobilitare per difendere i diritti e le libertà conquistate con la Resistenza: finché l’antifascismo sarà un valore fondante di questa Repubblica, per quanto la classe dirigente nella pratica lo svuoti di significato e lo rinneghi, per le masse popolari e per i lavoratori è un legittimo riferimento, un filo rosso che lega la storia della lotta di classe, dell’emancipazione e del progresso sociale alle lotte attuali e future per difendere i diritti conquistati con le lotte dei decenni passati e per conquistarne di nuovi.
Crediamo che chiunque abbia a cuore che 18 compagni e compagne non vadano in carcere sia tenuto a farsi carico di una mobilitazione la più ampia possibile affinché il processo d’appello respinga la condanna di luglio
Crediamo che alla luce di queste considerazioni il dibattito, il confronto, anche aspro, le divisioni e i dissapori fra i vari ambiti e le varie fazioni del movimento rappresentino un livello tanto povero da poter essere accantonato a beneficio di una mobilitazione unitaria che pone in essere un aspetto di gran lunga principale rispetto agli “interessi di cortile”.
A margine di questa lettera aperta alleghiamo una bozza di appello per una mobilitazione unitaria nata dalla discussione e dal confronto con alcune realtà che si sono dimostrate disponibili e sensibili alla difesa della libertà per i 18 antifascisti condannati.
Chiariamo subito che questo documento non è concepito come - e non deve diventare - un ambito d’iniziativa che ne esclude degli altri. Lo spirito con cui è stato concepito e formulato è quello della massima unità possibile, una logica che tende a includere e non a escludere tutti coloro che fino a questo momento non hanno preso parte al percorso collettivo che lo ha prodotto; una logica e uno spirito che tende ad ampliare la mobilitazione e non a restringerla, ad ampliare gli ambiti di confronto, non a chiudere spazi di dibattito. In definitiva a mettere in campo una mobilitazione che consideri tutti gli strumenti a disposizione come strumenti utili e necessari: informazione, denuncia, agitazione, propaganda e mobilitazione di piazza.
I tempi sono stretti e la sentenza del 26 ottobre si avvicina, la posta in gioco è alta, l’obbiettivo è uno:
No alle condanne, no al carcere per gli antifascisti

Partito dei CARC – Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo
Via Tanaro, 7 – 20128 Milano
Tel/fax: 02.26.30.64.54
resistenza@carc.it – www.carc.it

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13 ottobre 2007: corteo nazionale antifascista a Milano
Le libertà democratiche conquistate con la Resistenza partigiana sono sempre più in pericolo! Scendiamo in piazza tutti insieme per difenderle e riaffermarle con forza!
Difendiamo gli antifascisti sotto processo!
Difendiamo la libertà di manifestare!

Ad ottobre, a Milano, si celebra il processo di appello che vede gli antifascisti impegnati a respingere le accuse al mittente, a riaffermare che l’antifascismo non è reato, che manifestare non è reato.
La sentenza di primo grado invece afferma il contrario ed è un precedente di una gravità inaudita. Nel luglio del 2006 diciotto antifascisti sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di Milano a QUATTRO ANNI di carcere per concorso morale in devastazione e saccheggio. Soprattutto l’utilizzo del concorso morale presenta alcuni aspetti gravi e allarmanti. Vediamoli in breve.
Innanzitutto l’accusa non ha portato in aula alcuna prova. Dunque, per riuscire a condannare gli antifascisti, il Giudice si è inventato il concorso morale, che in pratica significa questo: non conta che l’imputato abbia commesso il fatto, è sufficiente che egli ne sia moralmente corresponsabile. In questo modo il Tribunale di Milano è riuscito a infliggere una pesantissima pena collettiva cancellando di fatto l’art. 27 della Costituzione che recita chiaramente: “la responsabilità penale è personale”.
Qualora in appello venisse confermata questa sentenza, le conseguenze per tutti saranno gravissime. La prossima volta che la polizia riceverà l’ordine di attaccare un corteo, chiunque verrà fotografato nelle vicinanze, pur senza essere immortalato a commettere alcun reato, potrà beccarsi quattro anni di galera. Visti i freschi precedenti (dal massacro di Genova alle manganellate contro il popolo NO TAV) questa è una preoccupazione più che fondata. La sentenza di primo grado del Tribunale di Milano è un chiaro monito a chiunque abbia intenzione di tornare in piazza a protestare, ad alzare la voce contro i padroni e le loro losche manovre antipopolari. È un monito a tutti: ai vicentini del Comitato No Dal Molin, alle popolazioni di Ariano Irpino, di Acerra, della Val di Susa, agli operai di Melfi, Mirafiori, Arese, dell’Ilva di Taranto, a tutti quanti oggi lottano per difendere il proprio territorio, il posto di lavoro, il futuro dei propri figli. Ovviamente è anche un monito a tutti i giovani antifascisti che oggi, a più di 60 anni dal 25 aprile 1945, non accettano passivamente che quella sentenza storica, scritta col sangue dei figli migliori del nostro Paese, venga messa in discussione.
I fascisti della Fiamma Tricolore e di Forza Nuova continuano a scorrazzare liberi per le nostre strade accoltellando compagni, picchiando immigrati, incendiando luoghi di aggregazione della sinistra giovanile. Questi vili criminali neofascisti adesso sono arrivati alle vere e proprie cariche squadriste sulla folla inerme (Roma, 26 giugno 2007: 50 fascisti armati di coltelli e bastoni si lanciano sulla folla al grido di “viva il duce” lasciando per terra diversi feriti, di cui uno grave colpito con arma da taglio). Gli antifascisti che oggi lottano contro la riabilitazione del fascismo vengono arrestati e messi pubblicamente alla sbarra, mentre i fascisti rimangono impuniti al cospetto dei crimini che commettono.
A Milano, l’11 marzo 2006, circa trecento giovani antifascisti sono scesi in piazza per impedire che il corteo fascista convocato dalla Fiamma Tricolore si svolgesse. La polizia, schierata in forze in assetto antisommossa, ha difeso la parata fascista e attaccato brutalmente gli antifascisti arrestandone 43. Di questi oltre la metà sono stati sbattuti in galera per quattro mesi e 18 di essi condannati a QUATTRO ANNI, senza lo straccio di una prova a loro carico. Bisogna dire a gran voce che l’11 marzo 2006 il reato è stato commesso dalle autorità cittadine milanesi: hanno autorizzato il corteo indetto dal partito neofascista Fiamma Tricolore in palese violazione della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista. Il corteo della Fiamma Tricolore ha attraversato le strade di Milano esibendo saluti romani, inni al duce, svastiche! Quel giorno, i giovani antifascisti che hanno cercato di impedire un’immonda parata fascista ci hanno messo del loro per difendere la libertà di tutti noi. Dobbiamo essergli riconoscenti, dobbiamo fargli sentire il calore della nostra solidarietà democratica e antifascista, dobbiamo sostenerli in vista della sentenza di Appello che il Tribunale di Milano emetterà il 26 ottobre prossimo.

Tutti in corteo sabato 13 ottobre!

Cittadini democratici e antifascisti: tutti uniti in corteo per dire a gran voce che l’antifascismo non è reato, che manifestare non è reato. Solo una grande mobilitazione popolare, democratica e antifascista può impedire al Tribunale di Milano di confermare in appello quella grave sentenza. Più numerosi saremo in piazza e più il Tribunale sarà in difficoltà a confermare la sentenza di primo grado.
L’unità e la mobilitazione delle forze democratiche e antifasciste è l’unica strada che abbiamo da percorrere per fermare la riabilitazione in atto del fascismo e dei fascisti, per difendere le libertà democratiche che sono sempre più traballanti ovunque: nei posti di lavoro, nelle scuole, nelle strade del nostro Paese.
Che ogni organizzazione politica e sindacale, che ogni centro sociale, che ogni collettivo studentesco, che ogni comitato di lotta porti in piazza la sua bandiera, il suo volantino, i suoi contenuti. Tutti uniti dietro la comune parola d’ordine L’ANTIFASCISMO NON E’ REATO, MANIFESTARE NON E’ REATO. DIFENDIAMO GLI SPAZI DI AGIBILITA’ POLITICA.

Promuovono la piattaforma:
Comitato antifascista 18 giungo – Torino; PCL Versilia; PCL Massa Carrara; Circolo gramsci – Garbagnate Milanese (MI); Collettivo Autonomo Modenese; Partito dei CARC; Comitato Pace Robassomero - Torino; Comitato Studentesco Autonomo - Massa

http://www.autprol.org/