17/10/2007: Milano: convegno "La classe operaia e le sue lotte, la sua organizzazione, la sua cultura"


"Assemblea!" ti invita al Convegno:
1960-1980: dalla "cinghia di trasmissione" al contropotere, passando per l'autonomia...
La classe operaia e le sue lotte, la sua organizzazione, la sua cultura

MILANO - 20 ottobre 2007 - dalle 10.30 alle 17.00
Centro Culturale "Concetto Marchesi"
Via L. Spallanzani, 6 (fermata M1 Porta Venezia)

Interventi di:
Ines Arciuolo, una dei 61 licenziati politici di Mirafiori del '79
Liberato Norcia - delegato e avanguardia di fabbrica di Mirafiori negli anni '70
Michele - avanguardia di fabbrica alla Marelli di Milano negli anni '70
Goffredo Martucci - delegato ed avanguardia di fabbrica dei tipografici a Roma
Vincenzo Loi - delegato e avanguardia di fabbrica alla Fatme di Roma
Luigi Izzo - delegato ed avanguardia di fabbrica nei Cantieri navali a Napoli
Guido Borio, ricercatore e co-autore della trilogia sull'operaismo (Torino)
Emilio Mentasti, storico, curatore del libro "La guardia rossa" e autore di ricerche sui comitati autonomi nelle fabbriche della bergamasca negli anni '70 (Milano)
Sergio Manes - fondatore della casa editrice "La città del sole" (Napoli)

Contributi di altri delegati e lavoratori protagonisti delle lotte di ieri e di oggi.

Un conflitto che permane
Una memoria da riconquistare
All’inizio del terzo millennio, la precarietà dilagante nei luoghi di lavoro, le morti bianche, la forbice sempre più larga fra profitti e salari, le guerre permanenti, ripropongono l’attualità del conflitto fra Capitale e Lavoro. Un conflitto che sicuramente vede il secondo in posizione di debolezza rispetto al primo, non solo privato della sua “rigidità” e compattezza sociale (a causa dello smantellamento delle grandi concentrazioni industriali e la divisione in decine di figure lavorative), ma anche della sua forza sindacale e politica, con i confederali che hanno rinnegato anche la pur minima difesa degli interessi proletari, il PCI naufragato fra l’americanizzazione del Partito Democratico e l’inconsistenza riformista della “sinistra” di Mussi, Diliberto e Bertinotti, ed i “gruppi” extraparlamentari ormai quasi sempre ridotti ad un ruolo di mera testimonianza. Tutto ciò nel mentre nei luoghi di lavoro e nei territori gli sfruttati cercano di opporsi e di difendersi come possono, spesso completamente ignari della propria storia, senza memoria, con i compagni stessi che spesso hanno la sensazione di trovarsi in un “deserto” non sapendo da dove provengono e non avendo chiaro nemmeno dove andranno. La memoria, oltre che l’esperienza pratica della lotta e i valori e la cultura che da questa lotta si producono, diventa allora, per noi, uno strumento che va assolutamente recuperato, rafforzato e difeso.
La storia del movimento proletario in Italia ha ormai circa 150 anni: tanti potrebbero essere gli spunti o i punti di partenza della riconquista della memoria. Una volta tanto non si parla dei gruppi, delle organizzazioni, dei partiti, dei singoli, ma si parla dei lavoratori, quei lavoratori le cui lotte «vedono infrangere il sogno dei riformisti e del grande capitale di integrare la classe operaia all'interno del ciclo capitalistico europeo». La classe operaia si pose proprio contro quell'organizzazione del lavoro che era stato oggetto del lancio dell'economia italiana a livello internazionale. Il ritrovarsi come classe, da parte degli operai, spezzando le barriere frapposte dalle direzioni sindacali e dai partiti riformisti, impresse alle stesse rivendicazioni un carattere di imposizione non mediato (“tutto e subito”), Inizialmente, l'enorme potenziale di lotta - da Mirafiori all'Alfa, all'Autobianchi, all'Italsider, a Marghera - in assenza di strumenti nuovi di organizzazione, esprime tutta la sua forza nella contrattazione, e quindi nell'istituto sindacale.
Ma man mano che la classe, saldandosi con quelle componenti del movimento comunista e rivoluzionario più attente a leggere sostanza e portata delle trasformazioni del ciclo capitalistico e della stessa composizione di Capitale – in primis i cosiddetti “operaisti”, da Quaderni Rossi a Classe Operaia fino a Potere Operaio – cominciava a porsi al di fuori della scadenza contrattuale per scendere sul terreno del rifiuto del lavoro salariato: il salto della scocca dell'Alfa, dell'Autobianchi, della Zanussi; le grandi vertenze Fiat e Zanussi del ‘71, nonostante il bidone che conclude il ciclo sindacale mettono sottozero gli indici della produttività nazionale, mettendo in crisi il sistema italiano fondato sul mercato dell'esportazione e sui bassi costi del lavoro; ed entra in crisi la cosiddetta “politica delle riforme”, cioè quel modo nuovo di programmare gli aumenti salariali in funzione degli indici di produttività per redistribuirne parte in servizi sociali (riforme peraltro spesso monche o disattese). Così gli operai vanno oltre, vogliono tutto, vogliono il potere. E così lo Stato della programmazione e dei centro-sinistra (DC+PSDI+PSI) nel giro di due anni, diventa lo Stato della crisi e della violenza antioperaia.
È un canovaccio già scritto, che in Italia che si è presentato spesso, anche se con forme diverse, tipico di un’«anomalia» italiana nello sviluppo capitalistico, che ha prodotto una diversa composizione di classe, ma anche interessanti ed innovative esperienze di organizzazione di classe. È un filo rosso che lega il movimento torinese dei consigli a quello che si è aperto con Piazza Statuto e che si è concluso a Mirafiori, caratterizzato dall’elemento dell’organizzazione autonoma (i consigli operai, le assemblee o i comitati autonomi) e della democrazia operaia: le assemblee di fabbrica diventano i centri decisionali sia delle lotte rivendicative, sia di quelle generali contro il carovita, contro lo stragismo e la violenza fascista e di Stato, contro l’imperialismo USA in Indocina… Entrò in crisi il meccanismo della “cinghia di trasmissione”, con il quale il PCI, attraverso i sindacati, cercava di disciplinare ed incanalare le lotte della classe sugli obiettivi della “democrazia progressiva” e poi del “compromesso storico”. Le avanguardie di fabbrica divennero i veri “intellettuali organici” della classe, senza delegare a politicanti fanfaroni e sindacalisti ruffiani la difesa dei propri interessi.
Molte cose oggi sono cambiate, lo abbiamo detto: gli operai, sebbene più numerosi che nel ‘68, sono sempre meno concentrati a migliaia in grandi fabbriche; accanto a loro, l’estensione del regime di fabbrica nella società e la proletarizzazione delle condizioni hanno messo nuove figure, dagli operatori dei call center ai facchini delle cooperative, dagli educatori sociali ai Co.Co.Pro. Non vogliamo quindi riproporre una mitica “età dell’oro” che non c’è più e che mai più tornerà (in quelle forme), ma cercare di capire quegli elementi generali che oggi possono favorire il lavoro di ricomposizione e di riconquista dell’autonomia politica che tante compagne e compagni portano avanti a fatica nei propri luoghi di lavoro o nei quartieri popolari dove vivono. Ilconvegno, che vede la partecipazione di alcune avanguardie di lotta di quegli anni delle fabbriche di Roma, Torino, Milano, Napoli, insieme ad alcuni intellettuali militanti, vuole essere un primo approccio e un esperimento “pilota”: un incontro fra generazioni che non si risolva in un “amarcord”, ma che fornisca preziosi strumenti interpretativi della realtà basati sulla condivisione di significative esperienze di lotta e di organizzazione. ricerca, analisi e battaglia politico-culturale.

assemblealavoratori@libero.it

http://www.autprol.org/