11/11/2007: Eppur la chiamano democrazia... materiali da Lecce


Quelli che alleghiamo sono due testi diffusi nel Salento negli ultimi tempi. Il primo durante un presidio di solidarietà con gli arrestati di Bologna e Perugia, il secondo sull'attuale clima repressivo contro Rom, rumeni e poveri in genere, come ben chiarisce il Pacchetto Sicurezza.
Anarchici

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Eppur la chiamano democrazia.
Ovvero come morire di galera, o finire rinchiusi per essere solidali, o per lottare contro sfruttamento e devastazione ambientale.

La notte del 13 ottobre Aldo Branzino viene trovato morto in una cella del carcere di Capanne (PG), senza ematomi evidenti. Era stato arrestato due giorni prima per possesso di piante di marijuana. L’autopsia rivela contusioni e lesioni su diverse parti del corpo. Aldo in carcere non è stato in contatto con altri detenuti, e il tipo di lesioni in questione può portare alla morte anche a distanza di molte ore.

La notte del 12 ottobre, a Bologna, alcune compagne e compagni prendono le difese di una ragazza che stava per essere portata via contro la sua volontà dai poliziotti. Motivo della misura coercitiva: il “pericolosissimo crimine” di essere ubriaca e di volersene stare a dormire per strada. Destinazione: l’ospedale, per sottoporla a Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.), cioè imbottirla di psicofarmaci e levarla dalle strade della preziosa città dello sceriffo Cofferati.
La reazione dei tutori dell’ordine contro chi solidarizzava con la ragazza malmenata è stata manganellate, pistole puntate in faccia e manette, fino all’arresto di cinque anarchici con accuse molto pesanti. Inoltre, alcune successive scritte murali in solidarietà agli arrestati sono costate quasi un anno di carcere ad altri due compagni, processati per direttissima.

Martedì 23 ottobre a Perugia, l’ennesima operazione anti-anarchica: condotta dai carabinieri del Ros e dalla Procura perugina, porta a cinque arresti con l’accusa di associazione sovversiva con finalità di eversione dell’ordine democratico. Cinque individui che del silenzio sociale non ne volevano sapere, che non si accontentavano di provare disprezzo in privato, o del “vaffanculo” pubblico gridato insieme al comico di turno verso chi ogni giorno decide e impone condizioni di vita infami.

Situazioni che in questo mondo retto dal denaro e dall’utilità non sono eccezione, ma si confermano regola.
La continua produzione di emergenze da parte dei media, il costante richiamo ad una necessità di sicurezza, risponde solo alle esigenze di auto-conservazione del Potere e dei suoi apparati, in modo che agli sfruttati sia impedito di individuare i veri responsabili della progressiva precarizzazione della propria esistenza.
Necessario diventa allora affidare carta bianca a sbirri, prefetti e sindaci nel loro sporco lavoro, così come funzionale diventa la minaccia della galera, dei Centri di Permanenza Temporanea, dei Centri di Igiene Mentale. La soluzione diventa criminalizzare chi per guadagnarsi da vivere lava vetri tra i fumi delle auto; chi, vivendo in una grigia periferia, ne colora le mura; chi consuma droghe; chi non accettai soprusi quotidiani della polizia; chi solidarizza con i più poveri, gli oppressi e i ribelli; chi lotta affinché questo stato di cose venga superato.
Ma se tutto ciò tenta di imporre la normalità del silenzio e dell’indifferenza da bravi cittadini, non resta che contrapporre la complicità tra gli sfruttati contro la logica della guerra fra esclusi.

Anarchici salentini
c. p. 260 - 73100 Lecce

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QUALE GUERRA?
“L’aggressività del popolo rumeno è indiscutibile”
Cosmo Francesco Ruppi, Arcivescovo di Lecce

Istigazione all’odio razziale. Solo così può essere definita l’affermazione che il Vescovo metropolita di Lecce si è sentito in dovere di esprimere, accodandosi alla canea mediatica di questi giorni in merito alla cosiddetta “emergenza rumeni”. Peccato che il Monsignore non abbia voluto parlare dell’aggressività – quella si, indiscutibile – del suo braccio destro, don Cesare Lodeserto, dei medici e di tutti gli sgherri che gestivano il CPT “Regina Pacis” a San Foca, di proprietà della Curia da lui governata.
L’aggressione di una donna ad opera di un Rom, a Roma, è giunta nel momento opportuno per il Governo, che grazie ad una enorme campagna di speculazione terroristica, volta a criminalizzare la fascia indesiderata di un intero popolo, punta ad ottenere due risultati in un colpo solo: da una parte, l’approvazione del cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” approntato dal ministro Amato, e dall’altra il via libera alla deportazione di uomini e donne stranieri, seppure di Paesi appartenenti all’Unione Europea.
Negli stessi giorni, sempre a Roma, un Capitano dell’Esercito Italiano, ex tiratore scelto, spara all’impazzata dal balcone della sua abitazione, uccide due uomini e ne ferisce altri sette. Nessuno, in questo caso, ha però avanzato l’ipotesi di sciogliere l’Esercito. Anzi, se il Capitano avesse sparato da un balcone di Baghdad, non sarebbe stato tratto in arresto, ma con ogni probabilità gli sarebbe stata conferita una medaglia.
Parlare dunque di una “questione rumeni” non è solo fuorviante, ma risponde ad una logica ben precisa. Le misure inserite nel Decreto Legge sul “Pacchetto Sicurezza” dovrebbero rappresentare un giro di vite contro i soggetti che, a quanto ci dicono, destano maggiore “allarme sociale”. Questi sarebbero coloro che per campare vendono merce o lavano i vetri delle auto ai semafori, gli ambulanti abusivi – in particolare quelli che vendono merce contraffatta – ed ancora, i graffitari e chi chiede l’elemosina. I provvedimenti contro queste due ultime categorie sono paradigmatici delle mire del governo e degli Stati, che puntano a sopprimere sul nascere il dissenso sociale, che può esprimersi appunto per mezzo di scritte sui muri, per le quali ormai si rischia l’arresto, come accaduto circa un mese fa a Bologna. Le misure coercitive contro chi elemosina, invece, richiamano alla mente le grida del Medio Evo, che prescrivevano che gli elemosinanti fossero trascinati fuori dalle mura della città. Ora, a distanza di alcuni secoli, le mura sono quelle della Fortezza Europa e quelle interne, non geografiche ma tangibili, della eterna divisione in classi: da una parte gli sfruttatori, dall’altra gli sfruttati. Da un lato gli inclusi, dall’altro gli esclusi.
Si criminalizza il lavavetri e l’ambulante, in una società in cui la guerra è dappertutto; dove squadracce xenofobe vanno in giro impunite ad incendiare i campi Rom e ad accoltellare e pestare immigrati, omosessuali e “diversi”, con la protezione e la complicità delle forze di polizia; si arresta chi fa una scritta sui muri in un Paese dove circa 1300 persone all’anno muoiono di lavoro; si rinchiude e si espelle chi chiede l’elemosina per strada, perché non ha accettato di prendere l’elemosina nel proprio Paese, sotto forma di un salario da fame elargito dall’imprenditore occidentale di turno.
Appare chiaro come il problema non sia quindi etnico o religioso, bensì sociale. Di classe, appunto. C’è allora un’unica strada da percorrere: quella del riconoscere i propri fratelli ed identificare il reale nemico. Non più la guerra degli italiani contro gli stranieri, ma quella delle vittime contro i propri carnefici, degli sfruttati contro gli sfruttatori.
Non resta che soppiantare l’intolleranza e l’odio xenofobo con la guerra di classe.
Anarchici

f.i.p. 6/11/2007 V.le della Libertà - Lecce

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