03/04/2008: Call center: profitti e precarietà corrono sul filo - Colsenter: continuiamo a dirlo, cominciamo a collegarci


Il settore dei call center viene spesso portato ad esempio come il nuovo orizzonte della "new economy". Nel mondo si stimano circa 10 milioni di addetti ai call center. Sicuramente è molto redditizio: solo per il 2007, il Sole-24 Ore annunciava "un miliardo di ricavi" per le 655 aziende in outsourcing e per quelle "in house" che sfruttano complessivamente più di 300.000 lavoratori e lavoratrici. Un incremento del "giro d'affari" del 13,5% con punte elevatissime per i "colossi" del settore, come i gruppi Almaviva, Transcom Worldwide, Omnia Network, Comdata, Raf, E-Care, ecc, ma con indubbi guadagni anche per quelle miriadi di società (circa il 70%) che impiegano meno di 50 addetti; e per il 2008 è previsto un ulteriore aumento del 15%. Nelle società di outsourcing il numero delle postazioni per operatore sta aumenando di circa il 6% l'anno e si stima che alla fine del 2009 il numero delle postazioni in outosurcing pareggiera quelle in house..
Al di là dei soliti piagnistei di Assocontact e di Asstel, la Circolare Damiano e le famose "conciliazioni" hanno fortemente favorito i "signori dei telefoni". Sappiamo bene però a che prezzo?

Nei call center le condizioni normative e contrattuali spesso sono molto diverse: possiamo lavorare come Co.Co.Pro, come "somministrati", a tempo determinato oppure, dopo una lunga odissea nella giungla dello sfruttamento, avere uno straccio di contratto a tempo indeterminato; oppure possiamo essere inquadrati nel CCNL delle TLC, dei Metalmeccanici, del Commercio, oppure, quando siamo più fortunati, del credito o dei poligrafici (evento rarissimo!). Eppure, alla fine, ciò che unisce è sempre lo stesso:

1. la precarietà imperante, ossia l'impossibilità di determinare per sè una traiettoria di vita stabile, dove garantirsi alcune necessità primarie (mangiare, avere una casa, un mezzo di trasporto, poter terminare i propri studi, ecc.), o dedicare del tempo alla famiglia (per chi ce l'ha), agli amici, agli affetti, alle proprie aspirazioni culturali, sportive, di svago, insomma a poter fare una vita "normale" e dignitosa. Impossibilità dovuta alla continua spada di Damocle di interminabili rinnovi di contratti a termine nella speranza di un'assunzione a tempo indeterminato che non arriva quasi mai. E quando arriva, dopo poco arriva magari la mazzata di una bella esternalizzazione o delocalizzazione ed ecco che devi comunque ricominciare la giostra (agenzia, contrattino, vari rinnovi, assunzione a tempo determinato con l'azienda, vari rinnovi...);

2. I salari da fame, che ormai non ci permettono di arrivare neanche alla terza settimana. Nella maggior parte delle aziende, al di là degli aumenti ridicoli degli ultimi rinnovi - siano essi di TLC, sia dei Metalmeccanici - non esistono contrattazioni di secondo livello, tanto meno accordi su premio di risultato o affini, così che il divario fra il costo della vita e gli stipendi che percepiamo è sempre più drammatico;

3. Condizioni di salute che vanno sempre più peggiorando, in ragione dell'aumento dei tempi di risposta, della pressione subita dai clienti e soprattutto dai capi, e in ultimo dell'assoluta mancanza dei minimi criteri a tutela della sicurezza dell'operatore (illuminazione, dimensioni della postazione, ergonomicità delle sedie, malfunzionamento dei PC e degli accessori). Le conseguenze sono stress (i lavoratori dei call center sono quelli che fanno più ricorso a psico-farmaci), gastriti, cefalee, disturbi muscolo-scheletrici al metacarpo e alla colonna vertebrale.

Le aziende spesso cercano di blandirci col solito adagio del "stiamo tutti sulla stessa barca", e, con uno snervante quanto spesso incomprensibile ricorso ad anglicismo, vorrebbero farci credere che lavorare nei call center è sinonimo di sicurezza, di ambiente familiare e di possibilità di carriera.
I burocrati sindacali ci vogliono illudere che delegando ad essi la tutela dei nostri interessi otterremo qualcosa in più, quando spesso ci tocca tirare fuori unghie e denti per non veder peggiorata la nostra situazione.
Con una situazione del genere è facile cadere nella filosofia del "si salvi chi può", del "tanto questo è un lavoro di passaggio", del "fammi leccare il culo a questo o quel capo in modo che così mi assumono". Sono mentalità destinate purtroppo al naufragio, o che se ottengono risultati è veramente per pochi/e, a scapito di molti/e.

Il blog di colsenter nasce proprio su queste esperienze concrete, che sono le esperienze di tutti noi, ma che spesso non necessariamente sono esperienze negative.
Nasce per cominciare a scambiarci informazioni, a dirci che tutte le porcate che queste aziende fanno, e che governi e sindacati compiacenti avallano, possono essere contrastate. Che un padrone non ha il diritto di cacciarti via dopo che hai lavorato per lui per anni; che non ha il diritto di cederti a un altro padrone per ricavarne qualche milione di euro ed andarlo a investire nelle borse asiatiche; che non ha il diritto di pagarti meno e di discriminarti sugli orari perchè sei donna e magari anche madre; che non ha diritto di appaltare o di avere in appalto una pezzo della filiera produttiva perchè così ci guadagna di più. Se si conosce, si può essere consapevoli dei nostri diritti e degli strumenti da utilizzare per affermarli; se si conosce, si è più liberi; se si conosce ci si unisce e ci si difende meglio.
Precarietà, salario, salute: su queste tre parole, che per noi hanno ancora una valenza concreta, vogliamo informarci e contro-informare, organizzarci e difenderci, sul piano legale, sindacale, della lotta, collegarci tutti/e insieme per "scollegare" i fili di chi pensa che può impunemente lucrare sul nostro lavoro e sulla nostra vita.
Cominciamo a parlarne

PS: Questo testo verrà diffuso di fronte ai principali cinema di Torino e di Milano dove verrà proiettato il film "Tutta la vita davanti" di Paolo Virzì. Ovviamente chiunque se vuole può riprodurlo e diffonderlo dove vuole.
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