09/05/2008: Operai, gente delle lotte


si diceva un tempo "la verità è rivoluzionaria". Bisogna guardare in faccia la realtà e i fatti: oggi, 5 maggio, per tanti uomini, donne, per tante vite, storie diverse e comuni, per la collettività operaia di Pomigliano, le loro famiglie, per la storia sociale delle nostre terre, per la storia di classe, è stata una giornata, grigia. Alla fine di una vicenda alterna, a tratti tumultuosa e passionale, gli operai hanno finito per ingoiare quella che non può essere definita altrimenti che come una sconfitta. E lo sanno.
Oggi il padrone, simbolizzato dal volgarissimo Marchionne, può certo levare uno sguaiato sghignazzo: l'ordine, infatti, regna nell'Interporto di Nola.
Stamattina la maggioranza dei 316, oppressa dal ricatto aziendale e confusa dagli illusionismi sindacali, ha finito per lasciarsi caricare sui pullman, per andare ad essere "sversata" nel capannone-discarica (così la pensano, e così ci vedono i padroni, i loro "caporali", e tutti quanti compongono il loro sistema di comando).
Alla fine è stato determinante il peso della minaccia scagliata da Torino: se non si fosse ottemperato all'ordine di deportazione dei 316, pronti licenziamenti e ritorsioni individuali, e perfino il ricorso a sanzioni penali contro i picchetti e altre forme di lotta dura. Questo era sibilato nelle lettere intimidatorie dell'azienda alle famiglie. Dietro, chiaramente, c'era la minaccia di chiusura dell'intero stabilimento (cosa che poi probabilmente avverrà, se la logica di ristrutturazione conseguente alla dittatura del profitto troverà utile liberarsene come "ramo secco" non redditizio, e in cui i lavoratori risultano degli esuberi. E avverrà tanto più sicuramente quanto più -- per mancanza o inadeguatezza di resistenza -- sarà realizzabile a buon mercato e in modo indolore per il padrone e l'ordine pubblico e sociale).
Tutto ciò era stato inaugurato con le cariche della polizia che la ferocia padronale ha scatenato contro gli operai.
Dopo di oggi, l'orizzonte prossimo venturo si presenta ancora più inquietante, anche un po'più nebbioso e livido. Le recriminazioni non servono, così come non serve illudersi. Forse non si poteva fare altrimenti, forse la lungimiranza, la lucidità, la capacità di assumere rischi, la dignità operaia non poteva sprigionarsi, né mantenersi attestandosi su una mera conservazione delle posizioni come difesa e resistenza. Forse, tutto questo ha come principale causa "esterna", sovrastante, gli effetti dei contesti concentrici a partire dai più globali, che da un lato abbagliano e angosciano con l'accecante trasparenza che mostra un mondo sempre più complesso e terribile, diffondendo la sensazione di un'impotenza anche solo a capire qualcosa e a decidere il proprio destino, e dall'altro lato annebbiano la percezione, la consapevolezza della propria condizione, le relazioni, i rapporti sociali, la loro natura e, dunque, la possibilità di agire. [...] Siamo incastrati in un mondo dove ogni ragionevole speranza, scommessa, tentativo che emerge, viene aggredito, da un lato da vociferazioni miracolistiche che lo sommergono, e dall'altro da minacce terrificanti che presentano rovesci della medaglia, effetti di controproducenza e catastrofi a catena se solo si tocca qualcosa ragionando con la propria testa a partire dai propri bisogni – e anche desideri – e non ci si affida a governanti, statisti, imprenditori, capitani di industrie e polizie, gran sacerdoti, sapienti per mestiere e compagnia cantando.
Forse non si poteva granché di più contro la forza della fiat, la vigilanza occhiuta dei gestori polizieschi dell'ordine pubblico, e sindacali di quello sociale. Non si poteva forse di più, sotto il profluvio di chiacchiere dei mercanti della politica istituzionale, che campano con le rendite e i profitti speculativi del loro auto-decretarsi "classe dirigente", casta dei titolati per professione, quasi per schiatta, per vocazione, ad amministrare il destino degli altri.
Uno "scatto di reni", un soprassalto di lucidità, di dignità, di amor proprio, nel senso del rispetto di sé, di fraternità con i compagni più esposti, di rivolta e scommessa su una resistenza come misura provvisoria immediata, come resistenza senza la quale niente è possibile e a partire dalla quale tutto può diventare pensabile, questo scatto noi dei Cobas di Pomigliano d'Arco, questo 'scatto' l'abbiamo caparbiamente proposto : noi, e i compagni e compagne che hanno lottato assieme a noi, e noi con loro ; compagni, che sono significativi di altri frammenti, altri movimenti di lotta – a cominciare dai precari, dai disoccupati --, altri spezzoni di questa immensa umanità sfruttata e dominata da chi difende con ferocia e a qualsiasi prezzo i suoi profitti e i suoi ruoli di comando, scagliandosi contro ciò che lo spaventa di più: la potenza di persistere, potenza di vita stessa, tradotta in capacità di autogoverno, forza di organizzare la coesistenza delle proprie particolarità, di sviluppare la propria costruzione di autonomia e comunanza.
Questo 'scatto' l'abbiamo rilanciato a costo di sembrare predicatori che diffondono parole al vento, a costo di sembrare velleitari e sognatori -- e forse, in parte, di avanzare scommesse troppo audaci.
Noi pensiamo, comunque, che qualsiasi sconfitta, che la sconfitta di una lotta, una lotta sconfitta, sia infinitamente meglio che la sconfitta più radicale e irreparabile, quella di non averci neanche provato. Pensiamo che questa di oggi, sia una sconfitta: per i 316 l'anticamera del licenziamento, e, per il momento, la quarantena in un capannone vuoto, che somiglia al cortile di un carcere, a svolgere mansioni più inutili che i lavori forzati ; per tutti gli altri, che si troveranno ad affrontare la resa dei conti da parte della Fiat epurati di quelli che erano stati finora elementi della spina dorsale e del sistema nervoso dell'intera comunità operaia e saranno perciò più inermi e nudi rispetto alla dittatura del sistema dell'utilizzazione strumentale delle vite umane, saranno già più "addomesticati", pronti a subire altre amputazioni e vessazioni di ogni tipo. Ma nessuna sconfitta subita sul campo è irreparabile e definitiva.
Noi non ci attardiamo a coltivare recriminazioni, risentimenti e voglie di rivincita. Noi ricominciamo ogni volta daccapo, e -- se i fatti confermeranno le nostre previsioni pessimiste, che in cuor loro tutti gli operai non accecati dal martellamento ideologico che scende dalle cabine di regia condividono pienamente -- non diremo <> come se aspettassimo il peggio perchè ci dia ragione.
Al contrario, vogliamo applicarci assieme, senza rancori e al contempo senza concessioni, senza lasciare zone d' ombra rispetto a bilanci critici che si impongono, con l'obiettivo di trovare una linea di resistenza che è condizione per aprire delle possibilità di linea di fuga dalla morsa di tutti i poteri costituiti, e di ricerca di una dinamica per una vita diversa.
Se "il futuro non è più quello che era", noi ribadiamo, col poeta critico-sovversivo, che "noi non vogliamo sperar niente / il nostro sogno è la realtà".
Qui, ora, sempre incessantemente,in modo diverso e uguale, si tratta di ricominciare. Domani è un altro giorno : capire, ricominciare.

Cobas "del lavoro privato"
Pomigliano, 5 maggio 2008

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